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Superfranco,latempestael`ombrello

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Superfranco,latempestael`ombrello
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COMMENTI&OPINIONI
❚❘❙ DALLA PRIMA PAGINA
MORENO BERNASCONI
Musulmani,
l’integrazione
alla prova
nationale» e dal mondo del lavoro. Le
ragioni dell’impasse francese sono certo numerose ma colpisce che gli slogan
sia della destra frontista sia dei repubblicani (in senso lato), sia della sinistra, siano di stampo tipicamente nazionale: il diritto del sangue da un lato,
la cittadinanza e la laicità dello Stato
dall’altro. Se il diritto che viene dal
ceppo familiare e razziale autoctono
appaiono manifestamente inappropriati ad affrontare il mondo globale,
anche il richiamo astratto alla cittadinanza e alla laicità dello Stato non si
stanno dimostrando adeguate all’ampiezza del problema. Se un cittadino
francese di origini arabe dopo due generazioni subisce ancora pesanti discriminazioni sociali, economiche e
formative, vuol dire che qualcosa non
va nel sistema. Quanto al principio
della laicità dello Stato, se con esso si
intende il fatto che la legge religiosa
non può essere applicata in politica, si
tratta di un baluardo necessario contro chi vuole applicare la «sharìa» alla
vita civile. Ma se esso viene interpretato rigidamente come pretesa di accordare ai credenti la libertà di culto individuale restringendo o rintuzzando
quello di associazione religiosa, lo
scontro è programmato. Infatti, nelle
società europee segnate dall’individualismo si dà spesso per scontato che anche la religione possa essere praticata
solo privatamente e non pubblicamente. Nelle comunità immigrate in generale, ma particolarmente in quelle di
origini islamiche, la cultura e la religione sono un fatto anzitutto comunitario. L’individualismo diffuso in Europa ha d’altronde svuotato parecchio la
stessa nozione di cittadinanza. Esattamente come la globalizzazione e unioni politiche sovranazionali stanno
cambiando la nozione di cittadinanza
nazionale.
Queste considerazioni sono utili per
capire come il punto di partenza di un
Paese come la Svizzera (confrontata
con 450.000 musulmani, di cui un terzo naturalizzati) sia uguale e diverso
nel contempo. Se è vero che il progresso
economico e il welfare hanno favorito
anche da noi la diffusione dell’individualismo, il sistema sociopolitico elvetico permette tuttavia (e i fatti sembrano confermarlo, almeno finora) di integrare le diversità meglio di altri. Ciò
è dovuto anzitutto al fatto che lo Stato
non è qualcosa di lontano dal cittadino ma lo coinvolge direttamente, declinandosi in una miriade di sottoinsiemi
e di comunità diverse (dai Cantoni, ai
Comuni, ai patriziati … ai comitati di
quartiere e del carnevale… alle lingue e
confessioni diverse). Ciò configura una
diversificata ma forte società civile,
strutturata in modo tale da favorire il
dialogo non solo con individui isolati
bensì con altre comunità. Certo, il sistema politico svizzero fortemente partecipativo può anche portare il popolo
sovrano a votare, ad esempio, contro
l’edificazione di minareti e il porto del
burqa oppure per l’espulsione degli
stranieri criminali. Ma indipendentemente dal giudizio che si può avere
sull’esito di questa o quella votazione
popolare (che può essere talvolta in
contrasto con il diritto internazionale e
porre problemi giuridici o politici non
facilmente risolvibili) ciò ha il merito
di far chiarezza sulle evidenze culturali, religiose o sociali maggioritarie di
un Cantone o della Svizzera, agli occhi
di chi decide di stabilirvisi pur avendo
altri costumi sociali e pratiche religiose. Anche sui rapporti fra religione e
politica, la laicità dello Stato viene applicata in Svizzera in modo differenziato a dipendenza della storia religiosa e culturale dei diversi Cantoni: in
taluni casi «alla francese», in altri riconoscendo fattivamente alle comunità
religiose un ruolo pubblico utile al corpo sociale. Sulla carta, la configurazione del modello politico-istituzionale e
socio-culturale elvetico appare più moderno, vale a dire più adeguato al
mondo globale e agli acuti problemi di
oggi che non altri. Se lo sarà anche in
realtà, lo dimostreranno i non facili
anni a venire.
CENT’ANNI FA
Corriere del Ticino
VENERDÌ 15 GENNAIO 2016
DALLA PRIMA PAGINA ❚❘❙ LINO TERLIZZI
Passo giusto nel quadro che si è creato
15 gennaio 1916
Tempesta di vento – Nella
giornata di ieri e durante la
notte si è scatenata a Lugano una tempesta di vento.
Le strade erano spazzate
con furia da improvvise raffiche che sollevavano nugoli
di polvere acciecando quasi
i passanti. La cronaca non
registra
fortunatamente
danni gravi o incidenti notevoli. Nel Comasco più che
una tempesta di vento si
scatenò un vero ciclone che
causò danni abbastanza rilevanti. Parecchie persone
risultarono colpite e contuse dalla caduta di tegole;
qualche tetto fu scoperchiato, numerosi comignoli furono demoliti. I piroscafi
che provenivano dall’alto e
dal centro del lago dovettero
affrettarsi e rifugiarsi nei vicini porti.
Furto a Lugano – Due ragazzi, Dozio e Rezzonico,
della nostra città vennero
condotti dai gendarmi al
nostro Penitenziere imputati del furto di una pompa
idraulica di proprietà dell’Istituto Sant’Anna. I due biricchini, data la loro età non
possiamo chiamarli con altro nome, interrogati al
Commissiariato confessarono il loro fallo e dichiararono che rubarono la pompa per impadronirsi e vendere le parti in rame.
Controlli serrati al confine
– La Direzione centrale di
Polizia avvisa che lo Stato
Maggiore dell’Armata, Ufficio informazioni, in Lugano,
con sua comunicazione 7
gennaio corr., notifica di
aver prese le seguenti disposizioni in merito al transito
al confine italiano: «A partire dal 15 gennaio i posti militari, le guardie di confine
ed i gendarmi dell’armata,
non lascieranno entrare su
territorio svizzero che quelle persone a loro personalmente conosciute o che
possono provare con legittimazione (passaporto, lascia
passare) che sono cittadini
svizzeri, forestieri domiciliati in Isvizzera, o forestieri
che hanno da lavorare in
Isvizzera o che possegono i
mezzi per poter vivere in
Isvizzera.
le che i prossimi azionisti diano certezze e siano in grado di comprendere
bene la realtà della banca ticinese e di
questa piazza. La volontà di evitare lo
smembramento della BSI, dichiarata
da BancaStato, è importante. Un conto
sono limature agli organici di BSI, che
sono già in corso e che forse in futuro
ancora ci saranno, un altro conto sarebbero tagli drastici, con un impatto
sull’occupazione e sul gettito fiscale
del Cantone. È importante anche che
la BSI possa mantenere la sua autonomia, che possa essere ancora un centro decisionale con targa ticinese.
BancaStato ha fatto la sua offerta insieme a due partner, non dichiarati. Secondo fonti attendibili, si tratterebbe
del gruppo finanziario Investindustrial guidato dall’italiano Andrea Bonomi (che a suo tempo si era già interessato a BSI) e di UBS. BancaStato e
Investindustrial avrebbero in BSI quote rilevanti, mentre UBS avrebbe una
piccola partecipazione. Non ci sono
conferme dei diretti interessati, ma le
voci in queste direzioni sono insistenti. Vedremo gli sviluppi. In prospettiva,
tra cinque o sei anni, forse ci potrebbe
essere anche una quotazione in Borsa
di BSI. Ma ora occorre che l’offerta di
BancaStato e dei partner si affermi. In
campo ci sono appunto altri pretendenti. La maggior parte dei concorren-
ma la domanda sull’impatto maggiore
che deriverebbe da altre soluzioni al di
fuori dell’offerta di BancaStato e partner.
Si può certo discutere sul fatto che una
banca pubblica si assuma il ruolo prefigurato dall’offerta. Bisogna però considerare la situazione particolare in
cui si è venuta a trovare BSI, banca di
rilievo per il cantone, e occorre considerare che BancaStato non corre in
solitaria, ma appunto con partner. Si
può anche ricordare che un intervento
di BancaStato per BSI era già emerso
come ipotesi negli anni scorsi. È vero,
va riconosciuto, anche se forse occorre aggiungere che a quel tempo il prezzo di BSI era attorno a 2 miliardi di
franchi, perché diverso era il mercato
e perché ancora non erano subentrate
le complicazioni dell’ultima fase, con
la lunga cessione da parte di Generali e
poi con le vicende BTG Pactual. Ora,
sempre secondo fonti bene informate,
il prezzo non supererebbe 1 miliardo
di franchi. È anche opportuno ricordare che la fase che si sta aprendo è cruciale per la piazza ticinese e, nello
specifico, per BSI. La voluntary disclosure italiana è terminata, molti capitali sono rimasti in gestione a banche elvetiche. Ma c’è terreno da recuperare e
ancor più occorrono certezze su azionisti, strategie, attività.
DALLA PRIMA PAGINA ❚❘❙ VANNI CARATTO
Superfranco, la tempesta e l’ombrello
mondo imprenditoriale si sono moltiplicate, soprattutto per i danni che
questo nuovo scenario poteva provocare all’export, colonna portante della
nostra economia.
Poi un anno è passato. Qualche azienda ha chiuso, la maggior parte ha tenuto, magari aumentando le ore di
lavoro dei dipendenti, investendo in
innovazione e riducendo i margini di
guadagno; la disoccupazione non ha
raggiunto per ora livelli preoccupanti.
Quindi – direbbe qualcuno – erano
allarmi ingiustificati. Purtroppo no.
Basta vedere l’andamento del PIL
svizzero del 2015: nel primo trimestre
dello scorso anno è salito dello 0,2%,
poi è sceso della stessa percentuale e
infine ha segnato zero nel terzo trimestre. Non sappiamo ancora come sia
andato l’ultimo scorcio dell’anno, ma
certamente non si può dire che sia
stato un anno da incorniciare. Soprattutto per un Paese come il nostro, abituato a ben altri livelli di crescita.
Se ora il peggio fosse passato, il pericolo di un rafforzamento del franco definitivamente scongiurato e le imprese
vedessero risalire lentamente gli ordini, allora ci sarebbe da stappare bottiglie di champagne. Purtroppo, stando
a quello che dicono gli imprenditori
interpellati dal CdT nelle pagine del
❚❘❙ lo spillo
Il bello della diretta RSI
è rimanere in mutande
Involontario e anche un po’
imbarazzante incidente di
percorso per il direttore regionale della RSI Maurizio Canetta. Tutte le mattine, il numero uno di Comano propone su Periscope – un’applicazione di Twitter per trasmettere in diretta una ripresa
fatta con il proprio smartphone – una rassegna stampa.
Canetta si inquadra con il
proprio telefonino e riassume, interagendo con i suoi
«follower», le prime pagine
delle principali testate internazionali e nazionali. Solo
che ieri, mentre trasmetteva
da una camera d’albergo nella regione di Zurigo, non si è
accorto del riflesso sulla vetrata. Dall’immagine, un po’
sfocata, si intravede l’abbi-
ti, come accade spesso in questi casi,
non conferma colloqui e contatti. Safra Sarasin ha smentito, Julius Bär (il
cui nome era corso già in precedenza)
non ha mai confermato, come altre
banche. Secondo fonti bene informate, ora sarebbe in prima linea nella
corsa il ramo svizzero del gruppo EFG,
controllato dalla famiglia greca Latsis.
La Finma, l’organismo svizzero di vigilanza, avrà certamente un ruolo anche
in questa vicenda della nuova cessione
di BSI. La volontà della Finma di garantire una soluzione ragionevole e il
più possibile priva di incertezze rispecchia il suo ruolo. È auspicabile
peraltro che anche l’autorità di vigilanza tenga conto dei vantaggi che
l’offerta di BancaStato e partner potrebbe dare per quel che riguarda il
quadro delle attività di BSI e il suo radicamento nel nostro cantone. Il problema dell’estensione della garanzia
pubblica a BSI non dovrebbe sussistere, anche perché BancaStato nell’ipotesi non supererebbe una certa soglia
di capitale e BSI manterrebbe appunto
la sua autonomia. BSI ha un’attività
centrata sul private banking, BancaStato è certo presente nel settore ma
non a un livello tale da produrre clamorose sovrapposizioni. BSI dovrà comunque fare i conti con i suoi organici,
come ha già iniziato a fare, ma è legitti-
gliamento minimalista usato
dal direttore durante la diretta online. Canetta indossa
una camicia, ma non i pantaloni. Non si è accorto di essersi ripreso in mutande.
Primo piano di oggi, la vera sfida inizia adesso: con l’inizio di quest’anno
bisogna costruire un nuovo portafoglio ordini che tenga conto dei nuovi
livelli di cambio, mentre molti strumenti di flessibilità e di innovazione
sono già stati ampiamenti utilizzati.
Quello che ci vorrebbe ora sarebbe un
vento di ripresa internazionale capace
di far crescere la domanda dei nostri
beni, ridando fiato al sistema economico: a leggere le stime dei principali
istituti, però, più che di vento per ora
si parla di brezza.
Come nel gioco dell’oca torniamo
dunque alla casella di partenza: l’unico modo per rimettere le cose a posto
sarebbe avere un franco più svalutato,
almeno saldamente sopra l’1,10 (stiamo parlando sempre di 10 centesimi
in meno di un anno fa).
La Banca nazionale è da tempo che ci
sta provando. Quest’estate ha permesso
con i suoi interventi sul mercato (più
che con le dichiarazioni sul franco
«chiaramente sopravvalutato») di portare l’euro-franco dall’area 1,05 a quella 1,08 e più volte ha tentato l’assalto
all’1,10: chi sa leggere bene i grafici
dice che la mano dell’istituto sul mercato è ben riconoscibile e si concretizza
in un «saltino» altrimenti inspiegabile
del cambio nel giro di un quarto d’ora.
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Ma il lavoro di Jordan è lungo e complesso. Rema contro la politica di
quantitative easing della BCE che
tende a indebolire la moneta unica;
rema contro anche la politica di rialzo dei tassi della Federal Reserve che
spinge al rialzo il dollaro a scapito
dell’euro. E il rapporto con il franco
spesso tende ad adeguarsi.
Quindi gli interventi sul mercato devono continuare per correggere la situazione. Il conto di un anno di questa politica lo conosciamo già: 560
miliardi di riserve in divise (nel 2009
erano 55 miliardi) e una perdita che
nel 2015 ha raggiunto, secondo la
prima stima preliminare, i 23 miliardi di franchi. È la più alta degli ultimi dieci anni.
Chiedere ora alla BNS interventi più
massicci per riportare il cambio eurofranco ad un livello più accettabile è
come chiedere ad un ciclista di correre il Tour de Suisse con le ruote sgonfie: magari ce la fa, ma certo non
parte avvantaggiato.
La buona notizia è dunque che dopo
un anno il sistema è ancora in piedi,
le imprese cercano nuovi mercati e
l’economia non si è avvitata su se
stessa. La cattiva è che abbiamo finito gli ombrelli e speriamo quindi in
un 2016 con poche nuvole.
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