Cartografia ed orientamento L`uomo ha sempre avuto l`esigenza di
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Cartografia ed orientamento L`uomo ha sempre avuto l`esigenza di
Cartografia ed orientamento L’uomo ha sempre avuto l’esigenza di rappresentare graficamente il territorio dove vive, almeno da quando è in grado di farlo, per diversi motivi: ritrovare le aree di caccia, tramandare ad altri degli itinerari da seguire od un luogo da raggiungere, per relazionarsi con popolazioni vicine etc etc. A pensarci bene le “nostre” esigenze non sono molto cambiate col passare dei secoli, forse ora servono a farci passare dei bei momenti di tempo libero, mentre una volta erano perlopiù dettate da necessità vere e proprie. Questa rappresentazione del territorio subì un’improvvisa e repentina accelerazione principalmente per merito degli scambi commerciali via terra e via mare, senza tralasciare l’importanza delle innumerevoli campagne militari di conquista di altri territori che, in una fase iniziale, facevano scoprire il nuovo territorio, poi sorgeva la necessità di descriverlo graficamente per poterlo governare meglio. La cartografia ufficiale, intesa come scienza, vede il suo albore sul territorio greco. Ma facciamo un piccolo passo indietro. La parola “orientarsi”, letteralmente, significa volgere lo sguardo verso oriente, per individuare dei punti di riferimento, che per gli antichi viaggiatori erano proprio i cardini del mondo; il termine “orizzonte”, che guarda caso deriva dal greco e sta per delimitazione, è quella linea orizzontale e circolare che, appunto, delimita tutti i punti di contatto della superficie terrestre con il cielo. Non basta però la circonferenza dell’orizzonte per darci la giusta direzione, ma se la associamo all’osservazione di fenomeni ripetitivi (movimento del sole di giorno, posizione della Stella Polare di notte) otterremo delle informazioni particolarmente indicative. Il sole ci permette di individuare il Sud (a mezzogiorno si trova nella direzione della massima altezza raggiunta dal sole nella giornata) e di conseguenza nella direzione opposta (la direzione della nostra ombra proiettata sul terreno piano) troviamo il Nord, con rispettivamente l’Ovest alla sinistra e l’Est alla destra; un altro aiutino ci arriva negli equinozi di primavera (21 Marzo) e d’autunno (21 Settembre) dove, il sole sorge esattamente ad Est e tramonta (quasi) esattamente ad Ovest (questo nell’emisfero settentrionale, mentre in quello meridionale i termini sono invertiti). Queste posizioni precise del sole risultano spostate in direzione del Nord in primavera ed in estate, in direzione del Sud in autunno ed in inverno. Durante la notte nell’emisfero boreale, se il cielo è stellato e sgombro di nubi, possiamo trovare con una buona approssimazione il Nord tramite la Stella Polare: identificato il Grande Carro o Orsa Maggiore, la Stella Polare risulterà lungo la congiunzione prolungata di circa 5 volte dell’asse delle cosiddette “ruote” posteriori, ulteriore conferma della giusta stella sarà che, oltre ad essere la più luminosa, sarà anche quella posizionata sulla “punta del timone” del Piccolo Carro o Orsa Minore. Il Nord (è la posizione nella quale si trova l’asse di rotazione terrestre), il Sud (o meridione), l’Ovest (chiamato anche ponente od occidente) e l’Est (detto anche levante od oriente) indicano sul piano dell’orizzonte i punti cardinali, i greci aggiunsero dei punti intercardinali dovuti alla direzione dei venti ed altri punti intermedi a formare la famosa Rosa dei Venti. Il disegno che rappresenta la Rosa dei Venti è suddiviso in 360°: zero corrisponde al Nord, 90° all’Est, 180° al Sud e 270° all’Ovest; se tracciamo i due diametri Nord-Sud ed EstOvest, le bisettrici dei quattro quadranti danno i punti intercardinali Nord-Est (NE), SudEst (SE), Sud-Ovest (SO) e Nord-Ovest (NO). Punti cardinali ed intercardinali vengono anche chiamati venti visto che corrispondono alle direzione dei principali venti del Mediterraneo, infatti abbiamo: la tramontana da Nord, il grecale da Nord-Est, il levante da Est, lo scirocco da Sud-Est, il mezzogiorno (o meridionale) da Sud, il libeccio da Sud-Ovest, il ponente da Ovest ed il maestrale da Nord-Ovest. Ognuno di questi venti racchiude un arco di circonferenza equivalente a 45° e l’ulteriore divisione tramite bisettrici delimita archi di circonferenza di 22° 30’ detti mezzi venti. Per orientarci non facciamo, però, solo riferimento ai punti cardinali, visto che risulterebbero insufficienti per determinare esattamente tutti i punti dell’orizzonte, ma sfruttiamo le coordinate polari del punto da raggiungere, con il calcolo dell’azimut (misura in gradi dell’angolo delimitato dalle semirette “osservatore-Nord” ed “osservatore-punto da raggiungere”) e della distanza (misura in linea d’aria tra osservatore e punto da raggiungere). Esistono altri metodi di orientamento piuttosto empirici e non sempre precisi al 100%, ma ottimi se non disponiamo di strumenti migliori e sicuramente più precisi. Ad esempio osservare alberi e rocce intorno a noi: generalmente il muschio si forma sulla faccia rivolta verso Nord; la neve, invece, si mantiene più a lungo sui versanti rivolti verso Nord ed Est. Eventualmente possiamo anche orientarci con un bastone piantato al suolo, orientato inclinato in direzione del sole, in modo che non proietti nessuna ombra (ovviamente all’alba ed al tramonto sarà quasi orizzontale ed adagiato per terra, mentre a mezzogiorno sarà quasi sulla verticale); dopo aver aspettato circa un quarto d’ora, in maniera che si “formi” l’ombra del sole sul bastoncino, questa punterà sempre verso Est. Si può usare anche un orologio (meglio se analogico, anche se basta fare riferimento alla posizione delle lancette usandone uno digitale) a mo’ di bussola: basta appoggiare un bastoncino verticalmente sul bordo (si riesce anche senza, ma così è più facile) dell’orologio adagiato all’incirca in piano nel punto dove combaciano l’ombra del bastoncino e la direzione della lancetta delle ore, ruotando l’orologio fino a che ciò non avviene. Il Nord è indicato dalla linea che unisce il centro dell’orologio con l’ora che è la metà di quella segnata dalla lancetta delle ore (oppure è la bisettrice tra l’ora segnata dalla lancetta delle ore e le ore 12 del quadrante dell’orologio). Unico accorgimento è ricordarsi che le ore vanno considerate da 0 a 24 (eventualmente tenere presente dell’ora legale, cui dobbiamo sottrarne una), se siamo prima di mezzogiorno, non ci sono problemi di “calcolo” (se, come nella figura, sono le 10, 10 diviso 2 fa 5 ed il Nord è in direzione delle 5), mentre nel pomeriggio le ore vanno “calcolate” come 17/18 etc (se sono le 4 del pomeriggio, 16 diviso 2 fa 8 ed il Nord è in direzione delle 8). Bisogna dividere l’ora per 2 poiché in un giorno la Terra compie un giro, mentre l’orologio ne compie due. Un altro suggerimento è quello di ricordarsi che alle 6 del mattino il sole sorge ad Est, alle 18 tramonta ad Ovest, a mezzogiorno è circa a Sud e fare tutte le considerazioni del caso valutando ad occhio tutte le altre posizioni intermedie. Nel caso disponessimo della sola carta e fosse riconoscibile il punto in cui stazioniamo, basterà individuare sul terreno un altro punto caratteristico presente sulla carta (un lago, una vetta, una malga etc), ruotarla fino ad allineare all’incirca i due precedenti punti per ottenere l’orientamento corretto ed avremo indicato il Nord sul lato superiore della carta. Se, invece, non si riuscisse a stabilire, neanche a grandi linee, il punto di stazionamento, bisognerà individuare sul terreno e sulla carta due punti caratteristici, tracciare sulla carta la linea che li unisce e poi provare a posizionarci sull’allineamento orientandoci. Cartografia Viene definita cartografia l’insieme delle operazioni scientifiche, tecniche ed artistiche che consentono l’elaborazione e le successive utilizzazioni delle carte geografiche, basandosi sui rilevamenti del terreno e su quelli ottenuti con altre interpretazioni, riproducendo i dati ottenuti su globi (superfici sferiche) o su carte (superfici piane). Una parte importante la svolge il tipo di sistema adottato di rappresentazione (proiezioni) sul piano di una superficie sferica che si basa su criteri matematici. Un primo tentativo di rappresentazione grafica piatta dei territori allora conosciuti è datato 550 a.C. e rappresenta la zona del Mediterraneo. Successivamente ci si accorse della difficoltà di rappresentare sul piano le superfici sferiche, si ebbe così la prima introduzione di longitudine e latitudine, volte ad ovviare le deformazioni riscontrate. Ovviamente, ad eccezione dei portolani (carte nautiche), datati circa seconda metà del ‘200 che servivano per brevi traversate o per la navigazione sotto costa e sfruttavano l’utilizzo della bussola magnetica (apparecchio appena perfezionato ed in rapida diffusione a bordo delle navi), tutti gli studi effettuati erano riferiti alla porzione di terra conosciuta, circa 1/5 dell’intera superficie terrestre, fino a dopo il Medioevo, epoca di grandi innovazioni scientifiche, anche legate alla cartografia,. La spallata decisiva si ebbe in seguito all’intuizione che oltre le Colonne d’Ercole si estendesse un mare vastissimo che bagnasse da Portogallo fino alle zone da dove arrivavano le spezie “orientali” via terra. Ciò permise i primi grandi viaggi via mare, senza rendersi neanche conto del “ritrovamento” di ben due continenti. All’epoca il calcolo della latitudine risultava parecchio perfezionato, tramite l’osservazione degli astri, mentre per il perfezionamento della longitudine bisogna attendere fino a metà ‘700 con l’invenzione del cronometro (infatti il calcolo faceva prevedere mete più vicine di quanto in realtà non fossero). Essenzialmente le rotte battute dai nuovi esploratori erano quattro: quella verso Ovest che permise la scoperta dell’America e portava nel Golfo del Messico e nel Mar dei Caraibi; quella di Sud-Est che circumnavigava l’Africa e portava in India; quella di Nord-Ovest alla ricerca di un passaggio settentrionale verso l’India; quella di Sud-Ovest anch’essa diretta verso l’India alla ricerca di un ipotetico passaggio che doppiasse l’America del Sud. Il resto è storia nota, ma bisogna arrivare fino alla metà del ‘400 per avere delle riproduzioni, tramite l’invenzione della stampa, anziché delle copie manuali, molto meno diffuse. Nel ‘500 furono create le prime raccolte ordinate di carte, gli atlanti, il cui nome deriva da una di esse (Lofreri 1570) che raffigurò nel frontespizio il titano Atlante che sorreggeva il mondo sulle spalle; furono sinonimo di cartografia fino alla fine del ‘700, poi perdettero importanza. Nel ‘500 con Mercatore venne rivoluzionata la cartografia sino ai giorni nostri, con una sua rappresentazione matematica che sfruttava una proiezione cilindrica, ancor’oggi usata perlopiù sulle carte nautiche; nel secolo successivo venne perfezionato il metodo della triangolazione applicato alle superfici terrestri, implementato fino al ‘700 con nuove proiezioni tendenti a rappresentare le terre in maniera sempre più precisa, fino ad arrivare all’800 con l’invenzione della macchina fotografica, unita a quella della mongolfiera, che permisero la prima fotografia aerea ed, in seguito (primi del ‘900), alla fotogrammetria(tecnica di rilievo che permette di acquisire forma e posizione di un oggetto tramite l'acquisizione e l'analisi di una coppia di fotogrammi stereometrici), sostituendo l’aereo al pallone aerostatico e la macchina da ripresa a quella fotografica. Arrivando ad oggi l’avvento dei computers e dei primi satelliti ha perfezionato ulteriormente i tantissimi dati in nostro possesso ed aperto definitivamente l’era moderna della cartografia computerizzata. Una carta geografica è un disegno approssimato su di un piano, simbolico e ridotto, di una parte (o di tutta) la terra, essa avrà sicuramente delle imprecisioni, dovute alla rappresentazione sul piano di una superficie curva. La riduzione tra la superficie reale e la sua misura corrispondente sulla carta si attua con l’adozione di un rapporto unico e costante detto scala, che viene riportata su ogni carta sia in formato numerico sia grafico. Il primo è una frazione con il numeratore sempre pari ad 1 ed il denominatore indica quante volte l’effettiva distanza è stata ridotta sulla carta (ad esempio 1:10.000); il secondo ci consente con un colpo d’occhio di quantificare su carta le distanze reali, con una buona approssimazione. Il rapporto espresso dalla scala è tanto più piccolo quanto maggiore è il denominatore; questo indica quante volte dobbiamo moltiplicare la misura lineare rilevata su carta per ottenere la distanza reale lineare (1:100.000 significa che 1 cm su carta va moltiplicato per 100.000 e risulta 100.000 cm che sono 1 Km). La scala grafica è rappresentata da una linea retta disegnata in vari modi con evidenziati tanti segmenti (generalmente di 1 cm di lunghezza) progressivi che partendo dallo zero indicano gli intervalli di misure via via crescenti, espressi in metri, centinaia di metri o chilometri. Maneggiando qualche carta per le nostre escursioni, con un minimo di dimestichezza e buona memoria, risulta facile ricordarsi: 1:10.000 1 cm su carta è = a 100 mt mentre 1 Km reale è = a 10 cm 1:25.000 1 cm su carta è = a 250 mt mentre 1 Km reale è = a 4 cm 1:50.000 1 cm su carta è = a 500 mt mentre 1 Km reale è = a 2 cm 1:100.000 1 cm su carta è = a 1000 mt mentre 1 Km reale è = a 1 cm Per quantificare una distanza lineare tra due punti basta misurare con un righello gli estremi del segmento che li unisce e moltiplicare per il denominatore della scale; se non disponessimo del righello potremo ottenerlo con un pezzo di carta fatto aderire alla scala grafica e riportandone il valore; se invece si volessero misurare distanze non rettilinee è necessario l’uso di un curvimetro. Lo strumento va fatto scorrere sulla carta lungo l’itinerario da misurare e all’interno del suo quadrante questo indica i valori in base alle differenti scale. Le varie carte geografiche vengono definite in maniere differenti in base alla scala ed al contenuto: - PIANTE fino ad 1:15.000 molto ricche di particolari con rappresentati centri urbani, vie e piazze; - MAPPE fino ad 1:10.000 molto ricche di particolari in uso agli uffici del catasto per documentare terreni, appartamenti, palazzi sul suolo comunale; - CARTE TOPOGRAFICHE discretamente particolareggiate ed usate soprattutto per le escursioni a piccola scala da 1:50.000 ad 1:100.000 a media scala da 1:10.000 ad 1:25:000 a grande scala da 1:5.000 ed a grandissima scala da 1:1.000 ad 1:2.000; - CARTE COROGRAFICHE rappresentano una o più regioni ed indicano vie di comunicazione e vengono usate come carte stradali da 1:50.000 ad 1:1.000.000; - CARTE GEOGRAFICHE fino ad 1:1.000.000; - CARTE GENERALI da 1:1.000.000 in poi, rappresentano in genere uno stato oppure un continente; - MAPPAMONDO da 1:100.000.000 ad 1:150.000.000, disegno cartografico (in piano) di tutta la terra suddivisa in due emisferi; - PLANISFERO da 1:100.000.000 ad 1:150.000.000, disegno cartografico (in piano) di tutta la terra senza la divisione in emisferi. Gli svariati temi di oggetto nella rappresentazione grafica forniscono le diverse tipologie di carte tematiche assieme alle modalità di rappresentazione sfruttata ed all’uso che se ne può fare, ferme restando le esigenze di leggibilità, completezza, affidabilità e soprattutto sintesi che comunque devono essere soddisfatte. Fondamentalmente possiamo classificarle in base a due criteri: le carte tematiche sintetiche, con rappresentazioni di più fenomeni e quindi di informazioni nell’interezza delle varie interrelazioni; le carte tematiche analitiche, con rappresentazioni dettagliate di un solo “tema” (od eventualmente di più temi correlati fra loro). Alcuni esempi possono essere: la carta della vegetazione (una sorta di inventario delle risorse naturali), la carta litologica (rappresentazione delle rocce affioranti suddividendole per classi geotecniche), la carta dell’uso del suolo (evidenzia l’opera di antropizzazione distribuita sulla superficie del territorio), la carta dell’acclività (riporta le peculiarità morfologiche dei vari versanti), la carta della franosità (rappresenta le zone soggette a fenomeni franosi passati, presenti e quiescenti) etc etc. Accennavamo alla problematica di rappresentare su di un piano una superficie ondulata. Basterebbe immaginare di schiacciare una buccia di arancia su di un tavolo: sicuramente la deformeremmo fino a spaccarla. Analogamente succede in cartografia con deformazioni inevitabili. Per ovviare a ciò (almeno parzialmente), per proiettare tutti i punti del terreno su di un foglio è stata universalmente riconosciuta una “griglia”. Esistono due differenti tipi di proiezione: la prospettica (rappresentazione della sfera terrestre su di un piano tangente ad essa) e quella di sviluppo (prima si rappresenta la superficie della sfera terrestre su di una superficie curva cilindrica o conica, poi la si sviluppa sul piano); entrambe non sono esenti da deformazioni. Sfruttando singolarmente le tre proprietà necessarie alla rappresentazione di una superficie sferica su di un piano (uguaglianza degli angoli, equidistanza fra due punti oppure equivalenza nelle superfici) avremo quattro tipi di rappresentazioni cartografiche: afilattiche quando risultano alterati angoli, distanze ed aree; isogone (o conformi) quando gli angoli misurati sul terreno coincidono con quelli segnati sulla carta; equidistanti se corrispondono le distanze misurate sul terreno con quelle misurate sulla carta; equivalenti se le superfici misurate sul terreno coincidono con quelle calcolate sulla carta. A seconda di che cosa dobbiamo rappresentare utilizziamo la più appropriata. Le coordinate geografiche servono per identificare in maniera univoca la posizione di un punto sulla superficie terrestre e sono espresse in latitudine (distanza angolare dall'equatore) e longitudine (distanza angolare dal meridiano di Greenwich su scala internazionale), entrambi sempre indicate in quest’ordine ed in gradi, primi e secondi. La latitudine può essere Nord o Sud e varia da 0° a 90° (equatore-polo), mentre la longitudine sarà indicata Est oppure Ovest e varia da 0° a 180°. Il reticolato geografico formato dalle linee immaginarie che si viene a creare ha delle linee di direzione Nord-Sud congiungenti i Poli dette meridiani, quelle parallele aventi direzione Est-Ovest sono iparalleli. A queste aggiungiamo l’altitudine (distanza dal livello del mare) per indicarne con la quota una sorta di tridimensionalità rappresentabile su carta. Abbiamo due tipi di quote: i punti quotati e le curve di livello. I primi consistono in un’indicazione numerica (sul livello del mare) per particolari del terreno come vette, campanili, paesi, case etc, mentre le seconde, dette isoipse, sono linee sinuose contenenti tutte la stessa quota indicata (slm) che con qualche trucchetto grafico (tratteggio, sfumo, colore) ci consentono di interpretare la morfologia del terreno. Immaginiamo di tagliare una montagna perfettamente conica con tanti piani orizzontali posti alla stessa distanza uno dall’altro, proiettiamo le linee di intersezione ottenute su un altro piano orizzontale ed otteniamo curve concentriche che raffigurano l’altitudine e la ripidità del cono; se il cono fosse più alto ma con la stessa base, avremo più piani che lo intersecano e quindi curve più fitte, questo significa che curve maggiormente ravvicinate indicano una pendenza maggiore, al contrario avremo pendenze minori se saranno più rade. Oltre una data pendenza sarebbe impossibile rappresentare su carta una parete rocciosa verticale, allora si ricorre ad un tratteggio imitativo leggermente ampliato orizzontalmente, mantenendo inalterata la linea di cresta. Lo spazio tra due curve di livello è detto equidistanza, viene sempre indicata nella legenda della carta e generalmente è legata al denominatore della scala adottata (1:25.000 equidistanza 25 mt); più ha un valore basso migliore sarà la rappresentazione del terreno nella sua sinuosità. La capacità di interpretare correttamente le isoipse è determinante nella lettura del territorio, soprattutto in fase di progettazione a tavolino delle nostre fatiche. Se le convessità delle isoipse è rivolta verso le quote maggiori, come nel primo disegno, abbiamo delle linee di impluvio (incisioni nel terreno), mentre se risulta rivolta verso le quote minori, come nel secondo disegno, abbiamo dei displuvi (speroni, creste, dossi etc). Generalmente le quote vengono riportate solo nelle curve più marcate (direttrici), ad esempio ogni centinaio di metri, mentre nulla è indicato nelle altre (intermedie) che possono essere facilmente calcolate tramite l’equidistanza e la quota della direttrice più vicina; talvolta possono essere introdotte delle altre curve (ausiliarie) nei terreni pressoché pianeggianti, ad esempio con equidistanza di 5 mt disegnate con il tratteggio. Le isoipse ci consentono di calcolare semplicemente la pendenza dei versanti e l’angolo di inclinazione (formato da un piano obliquo ed una superficie orizzontale). Supponiamo di dover andare sul Mongioie seguendo dapprima il segnavia che ci conduce fino al Bocchino dell’Aseo quotato 2292 mt, poi su labili tracce dovremo risalire il pendio Est fino in vetta a quota 2630 mt. Con l’aiuto di un semplice righello misuriamo la distanza (non sui suddetti disegni che non sono in scala, ma sulla carta reale non ingrandita!) fra le due quote che risulta di 24 mm e pari pari la riportiamo su di un foglio di carta (come nel disegno a fianco della carta), dove il punto A rappresenta il Bocchino dell’Aseo ed il punto B il Monte Mongioie. 2630 – 2292 = 338 mt che è il dislivello da affrontare, per riportarlo graficamente lo dividiamo per la scala (in questo caso 25.000), quindi 338 : 25.000 = 0,01352 mt = 13,52 mm. Verticalmente dal punto B tracciamo la perpendicolare fino a fermarci a 13,5 mm nel punto C e disegniamo il tratto obliquo AC che ci darà l’inclinazione del tratto in questione. Per maggiore comodità prolunghiamo i tratti AB ed AC e con un goniometro misuriamo l’angolo di circa 30°, ma se mastichiamo un minimo di trigonometria ci si arriva con più precisione con la formula del calcolo dell’angolo che è = atan (dislivello in scala/misura lineare tra A e B) = atan (13,52/24) = 29,39°. La tabella sottostante permette di calcolare in percentuale una pendenza in gradi: Chiariamo brevemente un concetto che spesso ritroveremo nelle varie relazioni che ci capiteranno per le mani: la destra e la sinistra orografica/idrografica. Sono un fianco di una valle o una parte di territorio delimitata dal corso di un fiume. Per individuarle occorre volgere (anche solo idealmente) le spalle verso “monte” (la parte più alta della valle oppure la sorgente del fiume) e lo sguardo verso il fondovalle o la direzione del fiume. La destra orografica sarà la porzione destra della valle o del territorio delimitato dal fiume. L'altra parte sarà ovviamente la sinistra orografica o idrografica se analizziamo il corso d’acqua. Lo strumento basilare per l’orientamento è la bussola che è composta da un ago calamitato libero di orientarsi (verso il Nord magnetico), posto all’interno di un contenitore stagno contenente del liquido, che ha lo scopo di rallentarne le oscillazioni. Normalmente la parte dell’ago che si dispone verso il Nord è colorata e/o forgiata a forma di freccia; nelle bussole più recenti (perfezionate) questo contenitore stagno può ruotare su di una base trasparente che serve come misuratore di distanze e come indicatore di direzione, ha un quadrante graduato da 0 a 360° con riportate le linee meridiane e la freccia d’orientamento. Esempio classico dell’uso della bussola è assieme alla carta in cima ad un monte (od un punto noto panoramico) in una zona che non conosciamo: tutte le carte hanno una disposizione Nord (in alto) Sud (in basso). Posando la bussola sulla carta (se è di quelle trasparenti come in figura, i lati lunghi della placchetta trasparente sono paralleli ai margini della carta, meglio ancora al reticolato dei meridiani (se c’è) e tenendole poi ben fissate assieme ruotiamo su noi stessi fino a far combaciare la direzione del Nord sulla bussola con la direzione del Nord indicata dall’estremità dell’ago magnetico. Ora la carta è perfettamente orientata, avremo il Nord davanti ed in alto sulla carta, ed il Sud alle nostre spalle ed in basso sulla carta. Sapendo dove siamo (monte, punto panoramico etc) le direzioni che abbiamo sul terreno davanti agli occhi combaciano a quelle su carta e riusciamo a capire correttamente il territorio circostante. Ricordiamo brevemente che il Nord magnetico indica un diverso punto rispetto al Nord geografico (angolo di declinazione magnetica), infatti il Polo Nord magnetico è ubicato attualmente nel Canada del Nord, ed in Italia è ininfluente ai fini escursionistici (in Islanda il Nord magnetico è pressoché ad Ovest rispetto a quello geografico!); le linee di magnetismo non sono perfettamente parallele da Sud a Nord ma variano seguendo l’orografia del terreno, creando delle aree magneticamente anomale. Nei frequenti casi di doversi orientare con la bussola, la prima cosa da non sottovalutare per risparmiarci brutte sorprese è di essere distanti da oggetti metallici come croci di vetta, piccozze, ramponi, chiodi etc, in maniera che questi non possano influenzare l’ago magnetico. Occorre poi ricordare che sono più precise le bussole che hanno una qualche linea di mira (per vedere più correttamente i rilevamenti relativi alle direzioni) unitamente ad uno specchietto inclinabile che rende possibile sia l’osservazione della suddetta linea di mira, sia l’ingrandimento della gradazione esatta, sia consente la contemporanea rotazione della ghiera fino a che l’indicazione del Nord (sulla ghiera) non corrisponda al Nord indicato dall’estremità dell’ago magnetico. Staccando gli occhi dalla bussola, possiamo ora osservare nell’apposito indice (ingrandimento) la direzione dell’oggetto che abbiamo rilevato, sapendone l’esatto azimut (cioè l’angolo misurato in senso orario creato dalle linee semirette direzione del Nord e direzione verso l’oggetto). Determinata la direzione di marcia si tratterà solo di seguire la freccia direzionale della placca trasparente della bussola, tenendola con l’ago calamitato sovrapposto alla freccia di orientamento; se conosciamo l’azimut (o lo abbiamo calcolato) della località di arrivo, dobbiamo per prima cosa ruotare la ghiera della bussola fino al valore in gradi visibile nell’indicatore dalla freccia direzionale, poi girare su se stessi fino a far collimare ago calamitato e freccia di orientamento, quindi seguire la freccia direzionale. Poniamo il caso che, come nel caso precedente, conosciamo l’azimut di una destinazione che abbiamo raggiunto e dobbiamo tornare sui nostri passi (azimut reciproco): se disponiamo di una bussola perfezionata basta ruotare la bussola fino a che la freccia di direzione sia rivolta verso di noi (con l’indicazione dell’azimut iniziale), poi ruotare ulteriormente su se stessi per far combaciare ago magnetico e freccia di orientamento ed infine seguire la direzione opposta da quella indicata dalla freccia direzionale; se invece disponiamo di una bussola tradizionale basta sommare 180° all’azimut iniziale, se questo era inferiore di 180°, oppure sottrarre 180°, se l’azimut iniziale era maggiore di 180°. Nel caso che lungo la nostra direzione di marcia si frapponga un ostacolo (montagnola, fiume, crepaccio etc) bisogna prima di tutto individuare un punto lungo la linea di marcia (casa, albero, sorgente etc) da raggiungere, per poi proseguire mantenendo la direzione originaria (e l’azimut iniziale). Potrebbe essere una buona idea, una volta raggiunto il punto di cui sopra, calcolare anche solo mentalmente, l’azimut reciproco dove abbiamo deviato, nel caso dovessimo ritornare sui nostri passi, per mancanza di riferimenti, o per mutate condizioni ambientali. In questi casi conviene approcciare l’ostacolo ad angoli retti e: se abbiamo una bussola perfezionata, basterà che teniamo la bussola con la freccia di direzione (azimut) indicante la direzione di marcia da seguire, raggiungiamo l’ostacolo, aggirandolo di lato, tenendo il lato lungo della placchetta trasparente della bussola verso di noi, contemporaneamente manteniamo collimate freccia direzionale e direzione di marcia, misurando la distanza percorsa in passi fino a superare l’ostacolo, ci riportiamo sulla direzione parallela alla direzione di marcia iniziale finchè non superiamo nuovamente l’altro lato dell’ostacolo per poi, infine, ritornare sulla linea di direzione iniziale facendo “a ritroso” ed in parallelo, ma nel senso opposto lo stesso numero di passi misurati precedentemente; nel caso avessimo a disposizione una bussola tradizionale bisogna aggiungere 90° all’azimut iniziale se aggiriamo l’ostacolo verso destra, toglierne 90° se lo aggiriamo sulla sinistra. Un altro strumento molto utile in situazioni difficili è l’altimetro. La sua versione analogica consiste in una lancetta che ruota su una o più scale graduate in base alle variazioni della pressione dell’atmosfera: parte dal livello una atmosfera (1 atm=1013 hPa) al livello del mare poi mano a mano che ci si innalza come quota lo spessore dell’aria si assottiglia e di pari passo si abbassa la pressione da essa esercitata. La scala graduata in metri indica la quota dove siamo (altimetri più precisi indicano in un giro di lancetta mille metri ed i diversi giri vengono evidenziati in un’altra finestrella-contatore), generalmente può essere fatta ruotare, come la ghiera della bussola, per effettuare le varie (se necessarie) tarature man mano che raggiungiamo dei punti ad altitudine nota. Questo perché l’altimetro, oltre ad indicarci la pressione relativa all’altitudine del luogo dove ci troviamo, risente delle variazioni di pressione dovute ai cambiamenti della situazione meteorologica in maniera sensibile. Negli altimetri digitali i dati relativi alla pressione atmosferica legati all’altitudine sono evidenziati come nei comuni orologi digitali (invece che tramite una lancetta ed una scala graduata); ne esistono di ogni forma, modello e prestazione, anche associati ad altri strumenti come bussole, GPS etc, ma il principio di funzionamento è simile alla versione analogica, così come l’affidabilità. Le carte a maggior diffusione oggigiorno sono due: UPS (Universal Polar Stereographic) a proiezione stereografica polare: rappresenta i Poli fino ad 80° di latitudine; UTM (Universal Transverse Mercator) o carta conforme di Gauss: la più diffusa nel mondo dal secondo dopoguerra; comprende il mondo tra + e – 80° di latitudine, suddiviso in 60fusi con ampiezza di 6° in longitudine e 20 fasce con ampiezza di 8° in latitudine. Questi incroci creano delle zone quadrate di 100 chilometri di lato. Nelle nostre escursioni a piedi, in bicicletta, a cavallo, perlopiù usiamo carte con scale dall’1:10.000 all’1:50.000, quindi abbiamo tra le mani carte topografiche ed abbiamo la possibilità di sfruttare quattro sistemi di riferimento: le coordinate cartesiane, dove i due assi di riferimento (ascisse ed ordinate) sono rappresentati da un meridiano e da un parallelo (oppure dalla griglia del reticolato chilometrico), che raffigurano l’esatta posizione di un punto tramite il valore delle coordinate geografiche (oppure chilometriche); lecoordinate polari, dove abbiamo un punto d’origine ed una semiretta orientata (asse polare), tramite i quali calcoliamo un altro punto attraverso il valore dell’angolo che si forma dall’intersezione di queste due semirette (come abbiamo già visto nel calcolo dell’azimut); le coordinate geografiche, dove latitudine e longitudine sono espresse in gradi, minuti primi e secondi rispetto all’equatore ed al meridiano fondamentale; lecoordinate chilometriche, ideate per effettuare un calcolo semplificato rispetto a quello in gradi, adattabile al sistema UTM che ne completa la lettura: le rette del reticolato sono numerate ed a seconda del valore della distanza di un punto da esse, ne viene “codificata” in maniera inequivocabile la posizione. Questo reticolato non coincide con quello geografico, viene contrassegnato con la sigla UTM; nelle carte dell’IGM (Istituto Geografico Militare) viene riportata una maglia di linee che si intersecano ad angolo retto, formando dei quadrati, nelle carte più utilizzate 1:25.000 ogni lato misura un chilometro per ogni lato; inoltre sulla cornice della carta, viene espresso in minuti primi il valore di longitudine e latitudine che serve per tracciare il reticolato geografico. La carta topografica d’Italia è prodotta dall’I.G.M. di Firenze ed è formata da circa 300fogli in scala 1:100.000, ogni foglio ha un numero progressivo ed è diviso in quattroquadranti in scala 1:50.000 con numeri romani susseguenti, in senso orario a partire da quello in alto a destra; a sua volta, ogni quadrante è diviso in quattro tavolette in scala 1:25.000 ordinate Nord-Est, Sud-Est, Sud-Ovest e Nord-Ovest. Nella Carta Topografica d’Italia il meridiano di partenza è quello di Monte Mario (Roma), quindi con longitudine 0; nel disegno viene sfruttata la proiezione poliedrica o naturale che risulta la più adatta per limitare gli errori della rappresentazione in piano. Vediamo un esempio pratico di come poterci preparare un’uscita a tavolino per non doverlo improvvisare, magari nel bel mezzo di un acquazzone, nebbia, o altre avversità meteorologiche. Intanto, solo il fatto di preparare preventivamente l’escursione ci “obbliga” a buttare un occhio sul percorso da affrontare e mnemonicamente ci proiettiamo già sulla carta che abbiamo davanti agli occhi. Questo potrebbe facilitarci nel caso avessimo delle indecisioni sul terreno. Immaginiamo di voler fare la traversata Svizzera-Francia dal rifugio du Trient (in prossimità del Col d’Orny) fino al rifugio Albert I°, percorrendo prima il Plateau du Trient e successivamente parte del Glacier du Tour, focalizzando la nostra attenzione solo sui tratti più “tecnici”, tralasciando volutamente tutto il resto dell’organizzazione (reperimento informazioni su vitto, alloggio, meteo, viaggio in auto, prenotazioni, cartine, orari etc). Il punto di partenza lo indichiamo con la lettera A ed è una lingua rocciosa orientata verso il Col d’Orny (3090 mt) ma più bassa di 8 mt; dobbiamo poi giungere al Col du Tour (3282 mt), che identifichiamo con la lettera B, attraversando il Plateau du Trient, ma per farlo dobbiamo segnare sia il tratto AB sia la direzione del Nord sulla lettera A, poi leggere su un goniometro l’azimut, in questo caso 237°, che dovremo infine tenere sulla bussola per avere la direzione corretta fino alla lettera B. Analogamente procediamo: il punto quotato più vicino da poter sfruttare è identificato dalla lettera C (3131 mt), tracciamo il tratto BC e daB ricalcoliamo l’azimut per arrivare a C, in questo caso 270° e più facilmente potremo poi sul terreno usare l’altimetro, anche come controprova della direzione mantenuta sulla bussola, anche se in questo caso probabilmente basterà procedere lungo la parete fino alla quota di 3131mt. Ora, in teoria, potremmo anche tracciare fino al nostro punto di arrivo, ma in caso di errore (nostro, o dovuto al maltempo etc) verso Ovest ci troveremo a “mancare” il rifugio Albert I° ma a indovinare precisamente le saraccate sommitali del Glacier du Tour!. Per evitarci tutto ciò commettiamo un “errore calcolato” verso Est, sfruttando il punto quotato 2868 mt che diventa la lettera D: tracciamo il tratto CD, poi calcoliamo l’azimut suC per raggiungere D, in questo caso 315°, considerando che così facendo andremo a sbattere contro la morena del ghiacciaio, che incontreremo a circa 2810 mt in base alle isoipse della carta ed al relativo calcolo. Adesso siamo sulla morena del ghiacciaio, ma non potremo calcolare l’azimut da D ad E, visto che all’incirca dovremo girare in tondo fino al Rifugio Albert I°, nostro punto di arrivo. La guida (e la carta) in nostro possesso cita a questo punto di seguire la morena e con l’aiuto della bussola proveremo a farlo mantenendo una direzione oraria, mentre l’ago della bussola si muoverà in senso antiorario; nel frattempo controlleremo sull’altimetro di non superare la quota di 2702 mt e soprattutto ci guarderemo attorno e sicuramente noteremo gli immancabili ometti in pietra che ci porteranno a destinazione. Ora che abbiamo a disposizione questi dati li trascriviamo su carta, assieme ad altre note che potrebbero risultarci utili, per compilarci una vera e propria tabella di marcia. Questo esempio di tabella di marcia potrebbe rivelarsi particolarmente utile (assieme a qualche malizia) nel caso mutassero repentinamente le condizioni meteorologiche. Magari proprio mentre state attraversando un ghiacciaio su traccia labile, inizia a nevicare e/o si alza improvvisamente una fitta nebbia. Non sempre riusciamo a partire col sole e tornare col sole, anzi…Chi frequenta la montagna sa che le condizioni meteorologiche possono variare nell’arco di poco tempo e generalmente lo fanno. Dopo aver fatto il punto della situazione, se si riesce, nel caso suddetto, non riusciamo a vedere nessun altro riferimento, se non il nostro compagno a qualche metro (se siamo da soli, è un po’ più lento e laborioso ma il principio resta uguale, solo con la “costruzione” di qualche riferimento usando piccozze, bastoni, legni, pietre, neve, indumenti etc) da noi. Tabella alla mano si continua a controllare azimut e altitudine, si manda avanti il compagno finche si riesce a scorgerlo, mantenendosi a distanza di voce udibile distintamente, si notano quei pochi particolari che si riescono ad intravedere, adottando tutte le norme di sicurezza del caso, e sempre con la voce lo si guida per mantenere la giusta direzione confrontando la direzione di marcia con quella che indica la bussola che avrete costantemente sotto gli occhi fissando la direzione nel mirino. Occorre ricordare che la nebbia, in qualche caso anche un fitto acquazzone, o una nevicata fitta, fanno alterare il senso dello spazio e del tempo, quindi (se possibile) oltre ad annotare la nostra posizione sulla carta, servirebbe anche prendere nota dell’ora e del tempo trascorso, tanto da avere qualche riferimento in più, poi considerare un tempo di marcia più lungo una volta e mezza di quello calcolato e a questo punto dobbiamo aver trovato il nostro punto di arrivo (anche se parziale). Se così non fosse bisogna capire il perché ed eventualmente tornare sui nostri passi fino a ritrovare un punto noto precedente o il punto dove abbiamo sbagliato direzione. Questa comunque è tutta teoria per capire alcune malizie che speriamo non servano mai a nessuno (anche perché trovarsi in certe situazioni estreme e riuscire a venirne fuori con bussola ed altimetro è parecchio dura se non impossibile). Forse l’errore l’abbiamo già commesso in partenza a trovarci, appunto, in questa situazione spiacevole. Non commettiamone altri: troviamoci un riparo ed aspettiamo, se possibile, l’evolversi della situazione. Non bisogna mai ritrovarsi in montagna con queste condizioni, bisogna invece imparare a saper valutare correttamente la situazione ed eventualmente riuscire a ritornare indietro per tempo, appena abbiamo qualche avvisaglia del mutamento: il miglior strumento che abbiamo a disposizione per le nostre gite è la prevenzione. Qualche chance in più la abbiamo sicuramente (per l’uso appena descritto di bussola ed altimetro) in condizioni di relativa visibilità, magari anche se solo per pochi attimi, nei quali riusciamo a notare qualche particolare del territorio. In questo caso bussola ed altimetro potranno confermarci che la direzione che avremmo voluto intraprendere sia quella giusta. Mai fare il contrario ed affidarsi totalmente a quello che indicano gli strumenti, potremmo avere spiacevoli sorprese. Prima decidiamo che strada percorrere poi chiediamo conferma agli strumenti, se non coincidono stiamo commettendo uno sbaglio ed occorre scoprirlo. Così facendo avremo costantemente un doppio controllo sull’itinerario da seguire.