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Settimana naturalistica Personalità Piero Ghiglione

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Settimana naturalistica Personalità Piero Ghiglione
LG
Biblioteca della Montagna - CAI Milano
Club Alpino Italiano
Sezione di Milano
Biblioteca
Luigi Gabba
archivio storico
e fotografico
Servizio
Bibliotecario
Nazionale
Anno IX N.36 - Autunno 2014
Direzione e redazione
Via Duccio di Boninsegna 21,23 - 2045 Milano
Tel. 0291765944 - Fax 028056971
www.caimilano.eu - email: [email protected]
Piero
Ghiglione
All’intrepido
ingegnere
giramondo
verrà dedicata
una mostra al
museomontagna
Personalità
il tempismo
perfetto di vitale
bramani, alpinista
e imprenditore
Settimana
naturalistica
In Valfurva con
Smiraglia e la
nangeroni,
tracce dI
deglaciazione
LG
Editoriale
Biblioteca della Montagna - CAI MIlano
Anno IX N.36 - Autunno 2014
Direzione e redazione
Via Duccio di Boninsegna 21/23 - 20145 Milano
Tel. 0291765944 - Fax 028056971
www.caimilano.eu
email: [email protected]
Coordinamento redazionale: Renato Lorenzo
e-mail: [email protected]
Biblioteca della Montagna - CAI Milano
Via Duccio di Boninsegna 21,23 - 2045 Milano
orario
martedì 10:00-12:30/14:00-19:00/21:00-22:30
giovedì 10:00-12:30/14:00-19:00
È vietata la riproduzione anche parziale di testi,
fotografie, schizzi, figure, disegni, senza esplicita
autorizzazione.
Layout: Lorenzo Serafin
La redazione accetta articoli, possibilmente
succinti, compatibilmente con lo spazio, riservandosi ogni decisione sul momento e la forma
della pubblicazione. Gli argomenti trattati
sono in genere correlati alla ricca bibliografia
consultabile presso la Biblioteca della Montagna Luigi Gabba del Cai Milano.
Club Alpino Italiano
Sezione di Milano
fondata nel 1873
6.206 soci (fine dicembre 2013)
Distribuzione riservata gratuitamente a soci
e simpatizzanti
In copertina
una suggestiva
immagine di Piero
Ghiglione sulle Ande
peruviane nel 1959,
all’intreprendente
ingegnere alpinista
milanese è dedicato un
breve ritratto a pagina
4 di questo bollettino.
In questa pagina la
copertina del nuovo
27° Manuale del CAI:
un lavoro corale,
che ha coinvolto
gli Organi Tecnici
Centrali e un gruppo
di Consiglieri Centrali
del CAI in un clima di
dialogo, condivisione e
trasversalità.
Il volume sarà oggetto
di una serata in
sede il 14 novembre
organizzata in
collaborazione con la
Libreria Militare
(www.libreriamilitare.com)
Montagne da vivere, alla ricerca
di una cultura comune
L’adesione della nostra sezione al
calendario di iniziative legate alla
rassegna Bookcity avverrà, come
già annunciato in queste pagine, il
14 novembre prossimo con la presentazione nella sede di via Duccio
di Boninsegna, del nuovo manuale
CAI. Ce ne parla il nostro consigliere Lorenzo Maritan, che assieme a
Maurizio Dalla Libera ne ha coordinato la realizzazione
L
’11 dicembre 2013, presso la sala consigliare della Sede CAI in via Petrella, veniva presentato alla stampa specializzata il
volume “Montagna da vivere Montagna da
conoscere per frequentarla con rispetto e
consapevolezza”.
Proprio queste due
ultime parole hanno
ispirato i Presidenti degli Organi Tecnici del CAI, riuniti
nel Coordinamento
recentemente costituito, non senza difficoltà, dal Comitato
Centrale di Indirizzo e
Controllo.
Troppo spesso si legge
negli organi di stampa
di Montagna assassina, di catastrofe naturale di frane, alluvioni
ed esondazioni, senza
mai citare che quasi
sempre tutto ciò accade anche per opera
dell’uomo.
Il volume, che riporta il numero 27 nello
scaffale dei manuali del CAI, edito in coincidenza delle celebrazioni per i 150 anni,
si propone di fornire una serie di considerazioni e indicazioni non solo agli uomini
CAI impegnati nella formazione o, semplicemente, in fase di approccio i diversi sport
della montagna, ma anche ad un pubblico
più vasto che avverta il bisogno di informazioni semplici, immediate e multidisciplinari utili per affrontare anche una semplice
escursione su terreno di media montagna,
secondo l’etica del CAI e i principi basilari di
LG_settembre 2014 2
sicurezza e rispetto dell’ambiente.
Numerosi infatti sono i manuali specialistici, anche editi da soggetti diversi, che affrontano con competenza, professionalità
e il dovuto approfondimento i diversi temi
dell’Alpinismo. Mancava sugli scaffali delle
librerie un volume CAI che illustrasse, anche al semplice appassionato, la filosofia
e i principi, dettati dai padri fondatori, di
approccio all’Alpinismo, allo SciAlpinismo,
all’escursionismo, alle discipline scientifiche e ambientali collegate con tali pratiche:
geologia, meteorologia, ecc. e la tecnica di
base, evolutasi negli anni a seguito dell’esperienza maturata dalle Scuole sezionali e
centrali.
Ne è uscito un volume corposo, di circa 950
pagine, sicuramente poco pratico da portarsi nello zaino per una
consultazione rapida,
ma non è questo il
suo scopo. Si voleva
fornire, appunto, un
compendio delle “Conoscenze CAI”, che
fungessero da base
culturale comune a
chi si avvicina alla
Montagna con il CAI e
per il CAI.
Inoltre, a 100 anni
dallo scoppio della grande guerra, si
vuole anche ricordare
che, mentre negli anni
passati, almeno in
Europa, le montagne
costituivano motivo
di divisione e separazione, le loro cime e
creste venivano fortificate, perforate e
presidiate da improbabili assalti di massa,
le innumerevoli opere, sentieri d’alta quota,
ferrate ecc. sono oggi percorse da frotte di
escursionisti ed alpinisti di tutte le nazionalità, tanto che si può certamente affermare,
con il motto dei 150 CAI, “la Montagna unisce”.
È anche con questo auspicio che si vorrebbe
che il manuale fosse promosso e proposto a
tutti i Soci, vecchi e nuovi.
Excelsior!
Lorenzo Maritan
Testimonianze
Everest ‘73 e altre storie...
P
rimi anni settanta: un momento cruciale
per il percorso alpinistico e per le scelte
di vita di Marco Polo. Nasce tutto qui, cioè lì,
al Cai Milano di via Silvio Pellico, scuola Parravicini. Il ricordo è chiaro, netto, tagliente.
Marco, a cui abbiamo chiesto di contribuire
su LG con un breve resoconto di quella spedizione inizia il suo racconto, la sua voce fende il silenzio della biblioteca e le immagini
dell’Everest si animano.
La spedizione militare all’Everest - spiega
Marco - fu ideata e promossa da Guido Monzino, e coincise con l’anniversario dei 100
anni della sezione di Milano. Un misto di
spirito di avventura e di irredentismo spingevano quell’uomo, instancabile organizzatore ed esploratore, a cercare l’appoggio delle
massime istituzioni dello Stato per compiere un impresa di grande impatto mediatico.
Avendo acquistato direttamente dal governo
nepalese le royalties per l’ascensione all’Everest Monzino chiese e ottenne la partecipazione dell’esercito e si riservò il privilegio di
poter scegliere personalmente i partecipanti
alla spedizione.
Quale socio del Cai Milano Monzino pensò di
corroborare l’anniversario della Sezione, che
già aveva in cantiere la spedizione all’Huascaran, coinvolgendo quattro suoi soci alla
spedizione all’Everest. L’allora presidente
Casati sondò il terreno e la scelta cadde sugli istrutori della Parravicini. Entrato nel ‘69
Polo diventò ufficialmente istruttore nel ‘72 e
fu così coinvolto assieme a Mattioli, Bellotti
e Leccardi. Solo Mattioli e Polo, vigile urbano presso il Comune di Milano (un ulteriore
motivo per Monzino per far leva sull’orgoglio
cittadino e sottrarre il giovane istruttore alla
routine lavorativa) partono poi per il Nepal.
Marco firma un mucchio di carte e si ”arruola” in una delle spedizioni alpinistiche più
militarizzate del momento. Quasi tutti i corpi
militari sono rappresentati nella spedizione,
compresi gli incursori della Marina e l’Aeronautica militare che portò smontati e poi
rimontò all’aeroporto di Katmandu tre elicotteri Augusta Bell; in quell’occasione uno
dei tre stabilì il record mondiale di categoria
atterrando a 6.500 metri di quota carico di
materiale e di due piloti, impresa ancor oggi
difficilissima da realizzare a causa della rarefazione dell’aria. Gli elicotteri portavano anche quotidianamente non solo la posta - che
a Marco era preziosa perchè in quei giorni
era nato a Milano suo figlio Livio - ma anche
l’insalata fresca da Katmandu.
Gli elicotteri - precisa Marco - erano uno
strumento fondamentale
non solo per salvare un
compagno di spedizione
da un edema polmonare,
ma anche per trasportare le enormi e indivisibili
macchine da campo per il
complesso programma di
test e prove mediche, parte
integrante della spedizione.
“Toccare con mano un sogno, da istruttore della Parravicini, da alpinista... sentir
parlare di Everest era un Mito...
e nel giro di pochi mesi mi sono
ritrovato dentro un romanzo” racconta Polo.
Ma il sogno dura poco perchè il clima
militaresco non è del tutto digeribile, soprattutto per l’intransigente
Mattioli. L’episodio scatenante è
una razione smodata di pepe che
Minuzzo (uno dei prescelti per la vetta assieme a Carrell e Innamorati) decise di aggiungere al rancio serale e che fece traboccare il
vaso: Mattioli sbotta e per questo assieme a
Polo sono allontanati temporaneamente dal
campo base a Katmandu e messi alle strette:
“vogliate collaborare o partite” intima Monzino per telegrafo. Mattioli se ne parte e Polo
accetta definitivamente le regole d’ingaggio.
Promosso sul campo magazziniere e soprannominato da Mario Curnis il “quater penn”
Marco lavora al campo base dalla mattina
alla sera fino a quando non viene spedito a
bruciapelo sull Ice Fall.
Breve e traumatica esperienza per via di un
inevitabile mal di quota, “e però l’Ice Fall te
lo porti dentro” ci spiega, così come la dimensione di quella spedizione dispotica e
pure così istruttiva umanamente.
Un esperienza che torna preziosa per i futuri anni di Parravicini e per i numerosi viaggi
e esplorazioni alpinistiche che segneranno anni di grande fermento; prima fra tutte quella al monte Api, condotta da Renato
Moro, presidente della Parravicini dal ‘77
all’80. Marco gli succederà fino all’83 e cercherà di riportare nell’insegnamento le esperienze maturate nella spedizione all’Everest:
la pazienza e una dimensione di ascolto maggiore, valori che nella grande spedizione gli
erano stati completamente negati nel nome
di un agonismo e di una competizione troppo
esasperati, che ancora oggi spesso tendono a
minare qualsiasi buon insegnamento.
LS
“Alla ricerca di un
tempo passato” è
il volume inedito
che Marco Polo
ha dedicato alla
storia della Scuola
Parravicini:
una raccolta di
documenti, articoli
e testimonianze su
60 anni di imprese
alpinistiche,
ma anche di
aggregazione e
formazione di
giovani. Qui sopra
un ritratto di Polo
alla vigilia della
spedizione “Ala dag
‘82” tratta da un
ritaglio di giornale
dell’epoca.
3 LG_settembre 2014
Piero Ghiglione
Viaggi, scalate e fantasia
N
Qui sopra Ghiglione in
tenuta alpinistica con
in spalla i pioneristici
minisci da lui inventati
con cui compì il periplo
del monte Kibo.
A fianco, nel testo la
riproduzione della
domanda di iscrizione
alla nostra Sezione in
data 10 aprile 1909
e un suo fiero ritratto
negli anni ‘50
La sua attività
letteraria è ampia,
la nostra Biblioteca
offre in consultazione
almeno una decina
di suoi volumi.
Alcuni titoli:
Manuale ufficiale
d’istruzione sciistica
(1932)
Le mie scalate nei
cinque continenti
(1942)
Eroismo e tragedia
sul monte Api
(1954)
el 1934 la vetta del Queen’s Mary Peak,
7422 m, è stata nel Karakoram himalayano la più alta mai scalata. Impresa tutta
italiana oggi dimenticata, così come risulta
evanescente nella memoria dei cultori di
alpinismo il personaggio che condusse a
termine l’ascensione, l’intrepido ingegnere
giramondo Piero Ghiglione (1883-1960).
Nell’ottantesimo anniversario di questa
esperienza, Ghiglione meriterebbe qualcosa più di un cenno. Malauguratamente nel
2014 ricorre anche il sessantennale della
sua spedizione al Monte Api dove in tragiche circostanze perirono i valorosi Bignami,
Rosenkrantz e Barenghi.
A dispetto di qualche ombra che lui stesso
ha chiarito, Ghiglione è stato un uomo di
valore, che ha raccontato le sue esperienze
in libri affascinanti e in puntuali corrispondenze per la Gazzetta del Popolo e il Corriere della Sera. Fece due volte il giro del
mondo (a quei tempi!) sempre scalando a
più non posso, con un fervore e una fantasia inesauribili. Lavorò prima alla Siemens
di Berlino, poi alla Fiat di cui fu ispettore
all’estero, indi alla Lancia con mansioni di
rappresentanza per Germania e Norvegia.
Poi scelse la libertà…
La sua intraprendenza fu proverbiale quanto il suo caratteraccio, ma è grazie a questo
aspetto della sua personalità che sempre ce
l’ha sempre fatta ad autofinanziarsi senza
ricorrere a (peraltro inesistenti) sponsor e
senza legarsi mani e piedi a rinomati editori.
Ora è giusto che si riparli di Ghiglione e non
è un caso che il Museo della montagna si appresti a celebrarne ai Cappuccini le imprese
con una mostra dedicata alle sue molteplici
spedizioni in tutti i continenti di cui conserva preziose testimonianze nell’Area documentazione.
Anche Milano potrebbe partecipare all’evento.
Il legame di Ghiglione con la Madonnina fu
infatti tenace come sottolineò Dino Buzzati mettendo a disposizione del personaggio
la sua penna prestigiosa. Il 2/7/59 Buzzati
dedicò infatti sul Corriere lusinghieri giudizi alla scalata di Ghiglione sull’Huantincaya
nelle Ande dove l’ingegnere fece sventolare il vessillo di Milano. “Alle 3 e mezza del
pomeriggio”, scrisse, “Ghiglione toccava
la vergine glaciale vetta e sventolava lassù
nel più azzurro cielo il vessillo della città di
Milano e la bandiera del Perù rossa bianco
rossa”.
Della conquista del Queen’s Mary Peak re-
LG_settembre 2014 4
alizzata con Roch, Belajev e tre portatori,
Ghiglione racconta nel libro “Le mie scalate
nei cinque continenti” (Ulrico Hoepli, Milano, 1942), un piccolo classico che oggi ci
offre visioni incomparabili su un mondo che
non esiste più.
Con se aveva gli inseparabili sci.
Dello sci Ghiglione fu, del resto, un profeta
entusiasta, autore di tre manuali che all’epoca fecero testo. Inventò e utilizzò alle alte
quote degli sci corti con i quali compì, sul
tetto dell’Africa, il periplo del Kibo. Sulle
nevi himalayane calzava invece sci leggeri
di betulla, “laminati di una composizione
di ottone e compensati al di sotto con due
millimetri di hickory, italianissimi, dell’ingegner Ettore Ricci di Milano”.
Ghiglione dedicò alla moglie il citato libro
sulle sue scalate nei cinque continenti: erano gli anni Trenta. Le dedicò teneramente
(“A mia moglie, che, fiduciosa, attese il mio
ritorno”) anche “Dalle Ande all’Himalaya”
nel 1936 (ed. Montes, Torino). Si risposò
nel 1959 a 76 anni con la ventiduenne Maria Luisa. Possiamo immaginarlo come un
uomo affabile, scorbutico solo in apparenza.
Come un sognatore affascinante. Senza far
nomi, si conoscono altri alpinisti illustri fatti di questa pasta.
Un anno dopo avere sposato Maria Luisa,
Ghiglione perse la vita in un incidente d’auto a Trento dove si era recato per partecipare al festival della montagna.
Roberto Serafin
Il tempismo perfetto di Vitale Bramani,
alpinista e imprenditore
Q
uando si entra in un negozio di articoli
da montagna per acquistare un paio di
scarponi o pedule, quasi automaticamente
si gira la suola verso l’alto per accertarsi che
ci sia il rassicurante ottagono giallo con la
scritta Vibram. Ma come si è arrivati a questa suola con il logo ottagonale?
Agli inizi del secolo scorso gli alpinisti usavano scarponi con chiodi dalla capocchia
sagomata: il primo passo per rendere più
sicuri gli scarponi di una semplice suola di
cuoio. Il numero e il posizionamento dei
chiodi influivano sulla riuscita di un’impresa alpinistica perché garantivano una presa
più sicura sulle condizioni più diverse del
terreno. Però la maggiore presa sul fondo
aveva uno svantaggio: gli scarponi chiodati
erano pesanti e tozzi e di conseguenza imprecisi su appoggi di dimensioni ridotte e
quindi occasione di situazioni pericolose.
Era necessario trovare un’alternativa, che
si concretizzò nella comparsa delle pedule
con suola di feltro. Esse diventarono ben
presto le preferite degli scalatori che arrampicavano soprattutto sulle pareti delle Alpi
orientali e delle Dolomiti, perché leggere e
aderenti al fondo e permettevano una progressione più elegante e una maggiore libertà dei movimenti. Certo le suole di feltro
erano leggere e garantivano un buon attrito
sulla roccia, però l’attrito riduceva grandemente la durata della suola, per cui gli al-
pinisti che volevano compiere arrampicate
di più giorni dovevano portarne almeno un
paio di scorta nello zaino.
Vitale Bramani si avvicinò all’alpinismo
all’età di 15 anni entrando nella SEM, e già
a 17 si mise in evidenza con le prime scalate e venne notato da Eugenio Fasana, che
lo portò con sé in scalate impegnative. L’affiatamento tra i due diventò un vero e proprio sodalizio tanto che Fasana lo invitò a
frequentare la sua famiglia, dove Bramani
conobbe la figlia Maria, sua futura moglie.
Nel 1923 fu nominato capo istruttore della
Scuola di Alpinismo della SEM e l’anno successivo viene ammesso nel CAAI. Grande
alpinista, fu scelto da Re Alberto del Belgio
come guida personale sulle Dolomiti, che
erano molto familiari a Bramani. Bramani
era una figura poliedrica: uomo di famiglia,
alpinista e imprenditore con un carattere
sobrio e riflessivo.
La disgrazia della Punta Rasica nel settembre 1935, in cui su un gruppo di diciannove
scalatori ne perirono sei per assideramento, dipese in parte dalle pedule con suole di
feltro che non opposero attrito sulla roccia
bagnata da un’improvvisa tempesta, obbligandoli a un tremendo bivacco in parete.
Infatti gli scalatori avevano lasciato gli scarponi chiodati alla base e indossato le pedule
con suola di feltro per compiere la scalata.
La disgrazia colpì profondamente Vitale
Bramani, che si pose come traguardo di inventare una suola che andasse bene su tutti
i terreni e in ogni condizione meteorologica.
In quel tempo si sperimentavano le prime
suole di gomma ancora lisce, buone sulla roccia asciutta, ma inefficienti su roccia
bagnata. A Bramani venne l’idea di fondere insieme pedula e scarpone e sostituire i
chiodi con tasselli di gomma (era stato ebanista-incisore con il fratello Cornelio) che
drenassero detriti e acqua e garantissero
così una buona presa. Non conoscendo la
tecnica della lavorazione della gomma e della vulcanizzazione si rivolse direttamente
alla fabbrica di pneumatici Pirelli. Per convincere Leopoldo Pirelli della bontà del suo
progetto lo portò a compiere diverse escursioni, soprattutto ai rifugi della Presolana.
Conquistato dalla montagna, Pirelli si convinse a supportare l’idea di Bramani. Venne studiata una mescola di gomma e dopo
alcuni tentativi e un precollaudo “doloroso
per i piedi” fatto al Passo del Bondo
→
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5 LG_settembre 2014
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“Il rassicurante
ottagono giallo”
→
dalla signora Bramani in veste di cavia - la gomma della suola era troppo morbida - nel 1937 videro la luce le suole di
gomma vulcanizzate con la tassellatura “a
carrarmato” e Bramani brevettò il marchio
VIBRAM (acronimo di VItale BRAMani) inscritto nell’ottagono, allora di colore nero.
Con un tempismo perfetto, perché tra il 13
e 16 luglio dello stesso anno i primi scarponi
con suole Vibram furono impiegati da Cassin, Esposito, Molteni, Ratti e Valsecchi per
effettuare la prima ascensione della Parete
NE del Badile.
Nello stesso mese Bramani e Castiglioni
indossarono gli scarponi con suola Vibram per compiere la prima sulla Parete
NO del Badile. Anche Gervasutti e Devies
furono tra i primi a usare le suole Vibram
sulla Parete Nord del Petit Dru, a cui seguirono, tra gli altri, Tony Gobbi, Lachenal e Terray; questi ultimi due rilasciarono un entusiastico attestato sulla qualità
delle suole Vibram.
Tiziano Lozza
Commissione Scientifica Giuseppe Nangeroni
Sulle tracce della deglaciazione,
settimana naturalistica in Valfurva
N
In questa foto
scattata in Val
Pisella l’illustre
glaciologo
Claudio Smiraglia
mentre introduce
la settimana
naturalistica:
si dimostrerà
come sempre
disponibilissimo e
“paziente vittima
di tutte le curiosità
del gruppo”
on è mai ovvia la scelta della
zona dove organizzare la tradizionale settimana naturalistica
della Commissione Scientifica G.
Nangeroni. Ed anche quest’anno
le proposte sono state numerose, diversificate e animatamente discusse in commissione. Ma
sapevamo che poi saremmo finiti
lì, in Valfurva, perché tanti erano
gli elementi catalizzatori.
Elencarli è un po’ come metterli
in ordine di precedenza e quindi
di importanza, ma non è questo
lo scopo e proprio per evitare la
tentazione comincerei con l’elemento più evidente: la bellezza
dei luoghi.
Per continuare poi con la presenza in valle di tanti rifugi della nostra Sezione, con i monitoraggi
che da decenni l’Università degli Studi di Milano fa sui ghiacciai della vall, con l’essere il
prof. Claudio Smiraglia - insigne glaciologo
e docente presso l’Università degli Studi di
Milano - membro della nostra Commissione, con il fatto che nel “Il Bel Paese” (di cui
certamente oltre che nella Biblioteca “Luigi
Gabba” un esemplare è anche in quella di
casa nostra) il primo presidente della sezione di Milano del CAI, Antonio Stoppani,
parla diffusamente del “ghiacciajo del Forno, che si può dire un ghiacciajo modello”.
Una settimana meteorologicamente fortunata, quella dal 13 al 19 luglio! Cinque gite
in programma e solo qualche goccia in Val
Pisella e un serio temporale quando ormai,
in Val Viola, avevamo raggiunto le macchine. Che sia valsa l’intercessione del nostro
LG_settembre 2014 6
primo presidente?
Come da consuetudine, l’incontro di domenica anche con gli amici di Monaco di Baviera, soci dell’Ortlerkreis, ha gioiosamente
iniziato (pur sotto una insistente e noiosa
pioggia) la nostra avventura.
La gita del lunedì ha previsto un percorso
in Val Pisella, partendo dal Rifugio dei Forni, su tracce di sentiero nella parte iniziale e
segnalazioni con “ometti” per due terzi del
percorso. La particolare posizione di questo itinerario consente di avere una ottima
visione sulla formazione dei bacini glaciali,
sui fenomeni di glaciazione e deglaciazione, sulla formazione delle morene. Non si
poteva aver miglior introduzione all’ambiente che abbiamo frequentato durante
la settimana, introduzione resa facile dalle
spiegazioni del prof. Claudio Smiraglia, disponibilissimo e paziente vittima di tutte le
curiosità del gruppo. Ma il punto di rilievo della giornata è stato scoprire
i “rock glacier”. Sapere che dal
1979 questo termine è entrato anche nei manuali in lingua italiana
non ha consolato chi di noi non ne
aveva sentito parlare prima. Ma
quale emozione poi riconoscerli
(ovviamente con l’aiuto del prof.
Smiraglia) e distinguere quelli in
scorrimento da quelli inattivi. Non
mi pare corretto non dare una definizione di rock glacier, che possa
soddisfare le curiosità del lettore.
Secondo quanto abbiamo imparato, il rock glacier è costituito da
una lunga lingua di detriti cementati da ghiaccio interstiziale, che
scende lungo i versanti. Sui lati e
Via Silvio Pellico
Memoria ritrovata: manovre in corso
C
on l’avvicinarsi dell’anniversario della
“grande guerra” siamo forse vicini a ritrovare una nostra memoria: il 28 di maggio u.s.
grazie alla ideale condivisione ed alla fattiva
collaborazione del Gruppo ANA ( Associazione Nazionale Alpini), in particolare dei suoi
operatori Volontari della Protezione Civile,
dalla parete della storica “Sala Romanini”
nella vecchia sede di via Silvio Pellico è stato
staccato e messo in sicurezza il bassorilievo in
memoria degli oltre settanta soci della sezione
di Milano scomparsi in quei pochi anni.
Sarà dunque ricollocato in via Duccio di Boninsegna il bassorilievo di Oreste Labò, di
semplice marmo di Candoglia, che ricorda i
soci della Sezione di Milano caduti; commissionato nel 1919 e inaugurato nel 1920.
Anche in questa occasione i soci CAI-Milano
e i soci ANA stanno organizzando un piccolo evento dove, nel quadro di una semplice
presentazione di rari documenti ritrovati saranno illustrate alcune figure di allora, significative per la nostra associazione. La presentazione sarà accompagnata con alcuni canti
che esprimono un linguaggio comune a chi
ha praticato e sofferto la montagna in tempo
di guerra: patrimonio che sia compreso e ricordato da chi ama e pratica la montagna in
tempo di pace.
Luisa Ruberl
verso valle sono limitati da una fronte ripida. Sotto lo strato superficiale costituito da
blocchi, con uno spessore che varia da 2 a 5
m, si può trovare uno strato di sabbia e di
un sedimento sciolto (silt). Sul tema il prof.
Smiraglia ha pubblicato un interessante articolo nel numero di giugno 1985 della Rivista Geografica Italiana.
Decidiamo di fermarci in vista di un rock
glacier, per ulteriore formazione e per rifocillarci, ma presto dobbiamo indossare le
protezioni antipioggia e affrettarci a continuare il cammino. Per il rientro a valle
riusciamo poi a riporre mantelle e berretti
negli zaini.
La sera abbiamo il piacere di avere con noi
il direttore del Parco Nazionale dello Stelvio, dott. Wolfgang Platter, che con grande
passione e competenza (che non è sempre
ovvia…) ci introduce alla storia del Parco
e alle luci ed ombre dell’attuale situazione.
Siamo
impressionati
dalla fragilità di questo
meraviglioso ambiente,
fragilità del territorio
acuite da problemi di
gestione e di competenze regionali. Questioni
non risolte, ma che il
dott. Platter gestisce
con grande equilibrio.
Martedì il sole ci accompagna in Val Viola.
Il tema della giornata
è l’acqua, dal torrente
Viola, al ghiacciaio di Dosdè, un percorso
controcorrente che ci consente di osservare l’azione erosiva dell’acqua, le principali
forme glaciali e i principali ghiacciai della
valle. Si apprezzano le azioni di erosione
glaciale, gli accumuli morenici ma anche
la diffusione della vegetazione e la colonizzazione delle zone liberate dai ghiacci. E’
stupefacente come la natura, con il giusto
sguardo, sia un libro aperto, pronto per essere letto. All’interno di cerchie moreniche,
cordoni con minor vegetazione si innestano
su creste moreniche laterali, testimoni della
maggiore fase di espansione glaciale recente, detta Piccola Età Glaciale (tra il 1550 e il
1850).
Siamo a metà della seconda giornata, ma
già inebriati da tante meraviglie. Anche le
osservazioni botaniche sono di grande soddisfazione. E ci aspettano ancora tre gite: al
Ghiacciaio dei Forni, ai piedi del Gran Zebrù e al ghiacciaio della Sforzellina al Passo
Gavia, come sempre affiancate da numerose
interessanti serate in Sede.
Brunella Marelli
La delicata fase
di distacco in Sala
Romanini
Qui sopra e a
sinistra due momenti
del randonnée
tra i ghiacciai
della Valfurva: il
ghiacciao Dosdè
visto dal Bivacco
Caldarini e una
promenade su un
“rock glacier” in Val
Pisella
7 LG_settembre 2014
Due passi in Biblioteca
Tanta luce e nuovi scaffali, un work in
progress che merita almeno una visita
Qui sotto uno scorcio
dei luminosi scaffali
che ospitano il ricco
patrimonio libraio
della biblioteca
Luigi Gabba; a
destra nel testo,
il frontespizio del
volume curato da
Renato Lorenzo e
dedicato alla storia
ultrasecolare di
questa preziosa
raccolta di testi
e volumi di
montagna; edito
nel 2010 il libro
può essere richiesto
indicando la sua
collocazione di
riferimento e cioè
G 866
“E
ntrando in questo locale sembra di
essere più vicini alle montagne e al
cielo”. Ma, bando ai lirismi (gentilmente
prestatici) e rimaniamo raso-terra, anche
se il nostro amato locale è al piano nobile
della palazzina dove sta ora la nostra Sede
sezionale.
Richiami all’importanza della nostra Biblioteca sono stati fatti nel corso degli ultimi
anni. Certi libri, a Milano, pare che si trovino soltanto qui pur con l’enorme numero di
biblioteche centrali o di Istituto delle sette
(o più?) Università cittadine (senza contare
altri importanti enti). Diversi studenti, per
comodità d’accesso o per l’irreperibilità su
piazza, hanno fruito della consultazione di
opere da noi custodite; ciò per completare
qualche ricerca o addirittura tesi. Il direttore Renato tempo fa aveva fatto un elenco
di questi utenti “anomali”; ora ne ha uno
aggiornato con nomi e cognomi anche di
utenti professionali: giornalisti, redattori
di guide ecc.. Molti non sono neppure soci
della Sezione.
In compenso tantissimi soci non hanno mai
messo piede in Biblioteca. Forse solo per
confermare un poco onorevole italico primato: quello del costante calo di lettori che
si registra nel nostro Paese. Così almeno dicono. Ma lasciamo il problema agli specialisti che magari ci “piccan dentro” anche un
bel convegno.
Veniamo alla parte fisica o, meglio, all’arredamento del nostro amato locale che, oltretutto, è piuttosto luminoso; in certe giornate chiare le consultazioni possono svolgersi
alla luce naturale.
L’aulicità della vecchia cara sala di Via Pellico è forse andata smarrita, ma volete mettere col vedere che i volumi possono ora respirare; nel senso che saranno meno stipati
e con la prospettiva che per un po’ di anni i
bibliotecari non si troveranno tutte le settimane al solito dilemma: “ma mi, in dove l’è
ch’el casci ‘sto volumm noeuv?”
La realtà è che con l’arrivo dei nuovi scaffali
bianchi, grazie al generoso gesto di un benemerito socio nonché consigliere, la capacità di immagazzinamento dei libri è più che
raddoppiata. Con ciò i vecchi scaffali azzurri
non sono stati dismessi; anzi, sono lì ancora
colmi e funzionanti. Soltanto hanno dovuto
subire l’onta dell’azzoppamento. Nel senso
che per incompatibilità plafonarie, ovvero i
soffitti molto più bassi, ai vecchi scaffali si è
LG_settembre 2014 8
dovuto levare un piano che funziona adesso
autonomamente.
Sempre per la parte “contenitori” un bel colpo è stato anche l’arrivo di eleganti armadi
lignei. Pure questi arrivati a costo zero grazie all’intervento di un parente del nostro
Presidente sezionale.
Un accenno all’archivio fotografico: si sta
lavorando anche per quello. Lo spazio ora
c’è. Ma la cosa, data l’importanza, meriterà
un discorso a parte.
Ci saranno pure gli angolini riposti per i
“tesori” della Biblioteca: quei volumi che
per contenuto e vetustà, in qualsiasi struttura come la nostra, esigono un trattamento
di favore.
In questi angolini, poi, qualche bibliotecario
si azzarderà se non proprio a baciarlo, a carezzare qualche volume. Sì, perché i bibliotecari, i libri, li catalogano, trovano loro il
migliore collocamento sugli scaffali, anche
li rimettono in sesto quando sono un po’
squinternati ma sopratutto: li amano!
Non tanto però da celarli agli occhi dei Soci
aspiranti lettori o consultatori. Anzi, questi
sono attesi a braccia aperte anche perché,
come dice il terzo assioma bibliotecario ambrosiano:
L’è bruta minga podè andà in suj montagn,
ma el pegg l’è de avègh nagòtt,
dij montagn, sòtt man de legg.
Il Cronista di passaggio
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