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CONFERIMENTO E SUCCESSIVA CESSIONE DELLE
Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex
D.M. 270/2004)
in Amministrazione, finanza e controllo
Tesi di Laurea
CONFERIMENTO E
SUCCESSIVA CESSIONE
DELLE PARTECIPAZIONI
Profili normativi ed elusivi della “cessione
indiretta” d’azienda
Relatore
Ch. Prof. Antonio Viotto
Laureando
Riccardo Carafoli
Matricola 821165
Anno Accademico
2013 / 2014
“Alla mia famiglia per l’affetto e gli insegnamenti che mi hanno dato,
agli amici tutti, in particolare Riccardo, Matteo, Gabriele ed Alberto,
per essermi sempre stati vicini nel momento del bisogno,
e ad Oksana, mia forza nei giorni più duri, mia gioia nella quotidianità.
Grazie per accompagnarmi in questo appassionante viaggio chiamato vita”
Riccardo
2
Indice
Capitolo I - Introduzione all'operazione di conferimento e successiva cessione delle partecipazioni ..... 4
1. Conferimento e la cessione di partecipazione ...................................................................... 4
2. L'inquadramento della operazione di conferimento e successiva cessione di
partecipazioni........................................................................................................................9
Capitolo II - Inquadramento storico normativo .................................................................................... 13
1. Dalla riforma del 1973 al TUIR del 1986 .............................................................................. 13
2. Le riforme fiscali del 2003 e del 2007.................................................................................. 19
3. La normativa comunitaria e i conferimenti transnazionali ................................................. 24
Capitolo III - La fiscalità dell'operazione ............................................................................................... 29
1. L’imposizione diretta ........................................................................................................... 29
1.1.
La neutralità fiscale nell'operazione di conferimento .................................................. 29
1.2.
La "Ratio Legis" del regime di neutralità fiscale nei conferimenti d'azienda............... 40
1.3.
L'opzione per l'imposta sostitutiva in caso di conferimento in neutralità fiscale ........ 44
1.4.
Il regime ordinario delle plusvalenze ........................................................................... 49
1.5.
Il regime di esenzione delle plusvalenze ...................................................................... 53
1.6.
Regime PEX nella successiva cessione delle partecipazioni e non sindacabilità ai sensi
della disposizione elusiva ............................................................................................. 63
1.7.
Aspetti fiscali nell'IRAP ................................................................................................. 67
2. L’imposizione indiretta ........................................................................................................ 70
2.1.
Trattamento IVA .......................................................................................................... 70
2.2.
L'imposta di registro, e le imposte catastali ed ipotecarie .......................................... 73
Capitolo IV - Confronto tra compravendita e conferimento con cessione delle partecipazioni.
Considerazioni di sintesi. ..................................................................................................................... 77
Capitolo V - Contestazioni nell’ambito applicativo del regime Pex....................................................... 83
1. Il requisito del “Holding Period” .......................................................................................... 83
2. Il requisito della commercialità ........................................................................................... 87
Capitolo VI - La disciplina antielusiva e l'abuso di diritto...................................................................... 91
1. L'imposizione diretta e il principio generale di abuso del diritto ........................................ 91
2. Imposta di registro, ipotecaria e catastale. L'utilizzo antielusivo dell'art 20 del DPR n
131/1986 ........................................................................................................................... 101
Capitolo VII - Conclusioni ................................................................................................................... 107
BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………………………………………………………………..………………….109
3
Capitolo I - Introduzione all'operazione di conferimento e successiva
cessione delle partecipazioni
1. Conferimento e la cessione di partecipazione
L’operazione di conferimento è indicata nella prassi aziendale con
numerosi appellativi, come ad esempio, apporto, scorporo, concentrazione e
scissione. Tale varietà di definizioni deriva essenzialmente dalla pluralità di
finalità che possono sottostare all’operazione de quibus. Nonostante negli anni
sia stato oggetto di numerose riforme, ultima delle quali, quella ad opera del
D.lgs. n.6/031, il conferimento non trova una esplicita definizione. Possiamo
tuttavia definirla in via generale, come l'operazione mediante la quale un
soggetto trasferisce la titolarità di un bene o apporta un servizio ad una società
ottenendo in cambio partecipazioni della stessa come corrispettivo2.
Dal punto di vista civilistico, il conferimento, non è stato accorpato sotto
un unico contesto normativo, come è stato fatto per le fusioni e per le scissioni,
ma viene regolato da specifiche disposizioni, all’interno delle fattispecie
societarie previste dal diritto societario. In particolare, dopo la riforma del diritto
societario del 2003 (D.lgs. 6/2003) la disciplina dei conferimenti è contenuta nel
codice civile agli articoli 2553, 2254 e 2255 per quanto riguarda le società di
persone, 2342, 2343, 2440 per le società per azioni e 2464, 2465 e 2466 per le
società a responsabilità limitata. Non trova al contrario esplicita trattazione la
fattispecie del conferimento d'azienda che quindi assume ai fini civilistici la
stessa veste normativa della fattispecie generale. Ai fini fiscali l’operazione di
conferimento viene assimilata, a norma dell’art. 9, comma 5 del TUIR alle
1
Che ha introdotto specifiche previsioni che hanno reso più flessibile tale istituto. In merito BONFINI A.
e DE ROSA B., La cessione e il conferimento di aziende - Aspetti civilistici e contrattuali, in AA. VV.
Operazioni di finanza straordinaria, a cura di G. Cristofori, ed. Il Sole 24 Ore, Milano, 2010, pp. 237
2
circ. Agenzia delle Entrate 25.09.2008 n. 57/E.
4
cessioni a titolo oneroso3. Tuttavia tale assunto appare fuorviante. Invero
sarebbe miope non ravvisare i molteplici scopi, e le numerose configurazioni
operative che può assumere tale operazione nella prassi. Con particolare
riferimento al conferimento d'azienda4, in via di semplificazione, si possono
identificare due macro categorie di conferimenti. Quelli effettuati con finalità di
realizzo dei maggior valori insiti nell’azienda o a scopo di disinvestimento, detti
anche “conferimenti modello cessione” e quelli atti alla riconfigurazione
organizzativa
dell’azienda
detti
“conferimenti
modello
trasformazione”5.
L’operazione di conferimento in effetti ben si presta ad interventi di
aggregazione societaria. L’apporto di un complesso organico di beni in una
società di nuova costituzione permette ad esempio, ad un ramo aziendale che
ha raggiunto una propria dimensione produttiva, di assumere un assetto
operativo e giuridico autonomo, e quindi più coerente con la sua struttura sia sul
piano
logistico
che
economico-fiscale.
In
aggiunta,
l’ottenimento
di
partecipazioni da parte della conferente, ben si sposa con l’impostazione
organizzativa del fenomeno assai diffuso delle “Holding”6. In aderenza a tali
valutazioni il legislatore ha riservato diversi trattamenti ai conferimenti di
azienda con finalità riorganizzative, e con il D.lgs. n. 358/1997 introduce per la
prima volta il regime di "neutralità fiscale"7, novellato oggi dall'art. 176 del TUIR
. Esso sottrae la fattispecie dei conferimenti d'azienda dalla realizzazione di
plusvalenze o minusvalenze imponibili
e prescrive al conferente ad "...
assumere, quale valore delle partecipazioni ricevute, l'ultimo valore fiscalmente
3
Per i quali, secondo il comma 2 dello stesso articolo, così come riformato dal D.lgs. n. 344/2003, "si
considera corrispettivo conseguito il valore normale dei beni e dei crediti conferiti"
4
Da precisare che, al fine di configurare tale operazione come conferimento d'azienda o di un ramo di
essa l'oggetto del trasferimento non possono essere singoli beni aziendali, ma un universitas di beni
materiali, immateriali e di rapporti giuridici in grado di consentire concretamente l'esercizio dell'attività
di impresa. Vedi C.M. 19.12.97 n. 320/E.
5
ZANETTI E., Manuale delle operazioni straordinarie, Torino, 2013, pp. 50 e ss.
6
PERROTTA R. Il Conferimento d’azienda, Milano, 2005, pp. 3.
7
Assieme alla fattispecie non più configurabile del conferimento realizzativo comminata all'art. 4 del D.
Lgs. N. 358/1997, e presente fino al 2013 nel testo dell’art. 175.
5
riconosciuto dell'azienda" e al soggetto conferitario di subentrare "... nella
posizione di quello conferente in ordine agli elementi dell'attivo e del passivo
dell'azienda stessa, facendo risultare da apposito prospetto di riconciliazione
della dichiarazione dei redditi i dati esposti in bilancio e i valori fiscalmente
riconosciuti". In altre parole, al fine di realizzare una vera e propria neutralità
fiscale, il conferimento non genera alcun tipo di discontinuità sui valori
fiscalmente riconosciuti, in quanto la società conferitaria subentra negli elementi
attivi e passivi mantenendo invariato il loro valore fiscale8, e il soggetto
conferente assume come valore fiscale della partecipazione il valore netto
fiscalmente riconosciuto risultante dai libri della azienda conferita anche se
esse vengono iscritte a bilancio ad un valore superiore. Il D.lgs. 344/2003 ha
poi provveduto a riportare le novità introdotte dal D.lgs. n. 358/1997 nel TUIR
rispettivamente agli art. 175 e 176, eliminando però la possibilità di
assoggettare a imposta sostitutiva le plusvalenze derivanti da operazioni di
conferimento "realizzative". Ulteriore innovazioni ha portato infine la legge 24
dicembre 2007 n. 244 che di fatto ha reso il regime di neutralità dei conferimenti
prevista dall'art. 176 l'unica configurazione consentita per le operazioni di
conferimento dell'azienda.9
In tale contesto normativo attraverso il conferimento dell'azienda o di un
ramo di essa da parte del cedente in una “Newco”, e la successiva vendita delle
quote di quest'ultima al cessionario è possibile dar luogo ad una cessione totale
o parziale dell'azienda lungo uno schema (definito anche "cessione indiretta di
azienda") che consente di avvalersi della quasi totale esenzione delle
8
Fatta salva la possibilità di affrancare i valori dell'attivo patrimoniale, iscritti tra le immobilizzazioni
materiali ed immateriali, attraverso il regime opzionale di imposizione sostitutiva introdotto al comma
2-ter dalla legge finanziaria 2008, istituita allo scopo di consentire di riallineare valori fiscalmente
rilevanti ai maggiori valori di bilancio dei cespiti ricevuti.
9
Tuttavia rimangono atti "realizzativi" i conferimenti di singoli beni aziendali, o i conferimenti d'azienda
da parte di soggetti che non hanno i requisiti richiesti per l'applicazione dell'art 176 ad esempio
conferimenti da parte di un soggetto residente di una azienda situata al di fuori del territorio dello stato
a favore di soggetti non residenti.
6
plusvalenze ammessa dall'art. 87 del TUIR. Ciò alla luce anche alle notevoli
innovazioni della disciplina fiscale riguardante i proventi derivanti dalla cessione
delle partecipazioni sociali con la riforma del 2003. Invero la legge delega n.
80/2003, all'art. 4, comma 1, lettera c), in sostituzione al metodo del credito di
imposta, introduce il metodo dell'esenzione, per affrontare il fenomeno della
doppia imposizione sui dividendi10. Il legislatore infatti assume che le
plusvalenze che si vengono a generare in seguito alla cessione di alcune
partecipazioni, dipendono da riserve di utili già tassati presenti nel patrimonio
netto della società o comunque da utili attesi futuri.11 Tuttavia al fine di non
estendere tale agevolazione a cessioni che non configurano il caso di doppia
imposizione, quali per esempio le cessioni di quote a fini speculativi12, sono
richiesti determinati requisiti: la classificazione delle partecipazioni tra le
immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio di chiusura durante il periodo di
detenzione, un periodo minimo di possesso, la residenza fiscale della
partecipata al di fuori di Stati o territori a regime fiscale privilegiato (i cosiddetti
"paradisi fiscali") e l'esercizio da parte della società partecipata di un'attività
commerciale. La classificazione tra le immobilizzazioni finanziarie, e quindi della
loro iscrizione nella voce B, raggruppamento III, n.1, dello stato patrimoniale di
esercizio, non dipende dalle caratteristiche oggettive della partecipazione, né
dalla percentuale di capitale sociale rappresentato ma piuttosto dalla
destinazione economica che la società che le detiene intende attribuirle. In
particolare il legislatore richiede che tali partecipazioni siano detenute non al
solo scopo speculativo, per evitare che, come già detto in precedenza, imprese
teoricamente non soggette alla doppia imposizione possano usufruire della
esenzione sulle plusvalenze derivanti dalla cessione di titoli. Il requisito del
10
Oltre, come ravvisabile nella relazione della Commissione Biasco, a perseguire l'obiettivo di
circoscrivere il fenomeno del posizionamento delle "holding" all'estero.
11
SCHIAVOLIN R., L'imposta sul reddito delle società, in AA.VV Corso istituzionale di diritto Tributario, a
cura di G. Falsitta, Milano, 2012, pp. 510-511.
12
BEGHIN M., Le modifiche alla "pex", in Corr. Trib., 46, 2007, pp. 3791.
7
periodo minimo di possesso, mira anch'esso a circoscrivere l'area applicativa
del regime “pex”, ai soli investimenti sufficientemente duraturi e che denotano
quindi un legame durevole tra partecipata e partecipante13. In particolare è
richiesto un possesso ininterrotto dal primo giorno del dodicesimo mese
precedente a quello dell'avvenuta cessione14. Evidenti infine le ragioni
sottostanti agli ultimi due requisiti. Per quanto riguarda la residenza fiscale in
paesi soggetti a fiscalità privilegiata infatti, considerata la ridotta tassazione
degli utili in tali stati, di fatto non si verifica alcuna doppia imposizione sui redditi
percepiti. Infine lo svolgimento dell'attività commerciale15 da parte della
partecipata mira ad evitare la creazione di società partecipate al solo fine di
godere del regime agevolato sulle plusvalenze16. L'ammontare dell'esenzione
concesso dalla normativa è variato molto negli anni. Alla sua prima introduzione
nel 2003 il regime "pex" consentiva la totale esenzione delle plusvalenze
derivanti dalla cessione delle partecipazioni. Nel 2005 l'esenzione fu ridotta al
91%, con ulteriore diminuzione per l'anno fiscale 2007. La legge finanziaria
2008 ha poi elevato la soglia di esenzione al 95%, soglia che è rimasta
immutata fino ad oggi.
13
SCHIAVOLIN R., L'imposta sul reddito delle società, in AA.VV Corso istituzionale di diritto Tributario, a
cura di G. Falsitta, Milano, 2012, pp. 510-511
14
Prima della Legge 244/2007, il periodo di detenzione era di diciotto mesi.
15
La circolare n.7/E del 2013 chiarisce il requisito della commercialità, la quale deve ravvisarsi nello
svolgimento da parte della società partecipata di un'attività commerciale prevalente.
16
Si veda la ris. Agenzia delle Entrate, 226/E, 2009.
8
2. L'inquadramento della operazione di conferimento e successiva
cessione di partecipazioni
Come precedentemente premesso, lo schema operativo in esame
consente, in fase di trasferimento del complesso aziendale, di ottenere un
risparmio fiscale sulla eventuale plusvalenza derivante dalla cessione. Il regime
di neutralità tipico dei conferimenti, comminato dall'art. 176 del TUIR, rende la
prima fase di conferimento ad una “Newco” esente dalla determinazione di
plusvalenze imponibili ai fini dell'imposta sui redditi societari. La successiva
cessione delle partecipazioni ottenute a seguito dello scorporo dell'azienda,
gode invece del regime agevolato "pex", e le eventuali plusvalenze emergenti
dal trasferimento delle partecipazioni vengono escluse dalla tassazione per il
95%, rendendo di fatto imponibile solamente il 5% del maggior valore tra il
costo iscritto a bilancio delle partecipazioni e il corrispettivo ricevuto in cambio.
La possibilità di sfruttare l'istituto delle plusvalenze esenti tuttavia dipende,
come abbiamo visto, dalle caratteristiche delle partecipazioni. Particolare
attenzione a tal proposito merita il requisito del periodo di possesso minimo
previsto dall'art. 87 del TUIR. A norma del comma 4 dell'art. 176 del TUIR17 "
Le aziende acquisite in dipendenza di conferimenti effettuati con il regime di cui
al presente articolo si considerano possedute dal soggetto conferitario anche
per il periodo di possesso del soggetto conferente. Le partecipazioni ricevute
dai soggetti che hanno effettuato i conferimenti di cui al periodo precedente o le
operazioni di cui all'articolo 178, in regime di neutralita' fiscale, si considerano
iscritte come immobilizzazioni finanziarie nei bilanci in cui risultavano iscritti i
beni dell'azienda conferita o in cui risultavano iscritte, come immobilizzazioni, le
partecipazioni date in cambio". Il comma in esame trasferisce dunque
l'anzianità del possesso dell'azienda dal soggetto conferente al soggetto
17
Introdotto dalla legge 342/2000 all'art. 6, comma 4
9
conferitario e la partecipazione ricevuta in cambio ottiene la stessa anzianità
che aveva l'azienda conferita. Quindi se essa era detenuta da più di dodici mesi
dal conferente, le partecipazioni, in sede di vendita, potranno godere del regime
agevolato "pex". Inoltre l'art. 176 del TUIR prevede l'iscrizione delle
partecipazioni ricevute in cambio tra le immobilizzazioni finanziarie, rispettando
così anche il secondo requisito del regime di cui all'art. 87 del TUIR. Ad un
primo esame dunque, l'operazione in oggetto sembrerebbe portatore di un
effetto distorsivo, in quanto consente al conferente di realizzare, in esenzione,
le plusvalenze latenti sull'azienda conferita, mentre, nel caso di vendita diretta si
sarebbe applicata la tassazione ordinaria. Il che potrebbe indurre a pensare che
essa possa avere una natura cosiddette "elusiva". Si definisce infatti "elusivo"
quel comportamento del contribuente che attraverso l'utilizzo di un particolare
percorso negoziale, (nel nostro caso quello della cessione indiretta d'azienda)
ottiene un risparmio sulle imposte, rispetto ad un altro percorso (la cessione
"diretta" d'azienda) altrimenti fiscalmente più impegnativo. La normativa
antielusiva nel nostro ordinamento è contenuta all'interno del corpo del DPR n.
600/73
all'art.
37-bis
e
in
particolare
al
comma
1
essa
consente
all'amministrazione finanziaria di rendere inopponibili i fatti, atti o negozi
giuridici, privi di valide ragioni economiche (escluso ovviamente il risparmio
fiscale) diretti ad aggirare gli obblighi delle disposizioni normative al fine di
ottenere un vantaggio fiscale, e al comma 2 consente all'amministrazione
finanziaria di disconoscere detti vantaggi, e di applicare le modalità di
tassazione tenute nelle disposizioni eluse. Tuttavia con esplicita previsione, al
comma 3 dell'art. 176 del TUIR, il legislatore espunge dal novero delle
operazioni elusive il conferimento in regime di continuità di valori e la
successiva cessione delle partecipazioni ricevute in cambio sfruttando il regime
di cui all'art. 87 del TUIR e rende inapplicabili le norme contenute all'art. 37-bis
del DPR 600/73. I motivi che hanno spinto il legislatore ad escludere tale
10
operazione dall'applicazione antielusiva saranno esposti in seguito, ma in via di
anticipazione, sono ravvisabili nel bilanciamento che esiste tra il risparmio di
imposta ottenuto e il regime di continuità dei valori dei conferimenti. In caso di
cessione diretta infatti, il cedente sarebbe tassato sull'intera plusvalenza ma il
cessionario avrebbe acquisito valori fiscalmente riconosciuti utilizzabili nella
determinazione delle imposte sui redditi. Invero, in caso di cessione indiretta,
cedente potrebbe godere dell'esenzione sulle plusvalenze ma di contro, in sede
di conferimento, il cessionario non acquisisce valori fiscalmente recuperabili.18
Lo schema negoziale del conferimento con successiva cessione delle
partecipazioni, oltre che a garantire un risparmio con riferimento alla tassazione
indiretta, offre agevolazioni anche sul piano della tassazione indiretta. In
particolare come precedentemente accennato l'atto di conferimento è soggetto
a registrazione e quindi è sempre dovuta l' imposta di registro in misura fissa di
200,00 €19. In sede di cessione diretta d'azienda invece l'imposta di registro è
dovuta solo nel caso siano ricompresi nel complesso aziendale beni immobili,
ma anziché in forma fissa essa è debita in maniera proporzionale, con
un'aliquota del 9%, calcolata sulla base del valore dei beni immobili al netto
delle passività trasferite20. Di conseguenza in presenza di fabbricati o altri beni
immobiliari attraverso l'operazione di cessione indiretta d'azienda si verifica un
risparmio di imposta anche con riguardo all'imposta di registro. Fino al 1°
gennaio 2014, l'operazione di conferimento e successiva cessione delle
partecipazioni risultava vantaggiosa anche sotto il profilo delle imposte
ipocatastali, dovute nella misura fissa di 200,00 € ciascuna nel conferimento,
mentre, prima della recente riforma del 2013, dovute proporzionalmente al 3%
18
ANDREANI G. e FRANZESE C., Conferimenti in doppia sospensione d'imposta e cessione della
partecipazione ricevuta, il Fisco, 9, 2005, pp. 1271.
19
L'importo dell'imposta fissa di registro, ipotecaria e catastale sono state riviste ed aumentate ad opera
del D.L. 104/2013, art. 26 comma 2.
20
Le aliquote dell'imposta di registro sono state di recente riformate dal D.L. 23/2011. Le precedenti
aliquote erano del 7% per i trasferimenti dei fabbricati, 8% per i terreni edificabili e del 15% per terreni
agricoli acquistati da soggetti diversi da coltivatori diretti e imprenditori agricoli.
11
nel caso di cessione d'azienda con componente immobiliare. Con il D.Lgs.
23/2011 a partire dal 1° gennaio 2014 le imposte ipocatastali non si
applicheranno più in maniera proporzionale ma nella nuova misura fissa di
100,00 € totali. Di conseguenza oggi, sotto il profilo delle imposte ipocatastali,
risulta più economica la cessione diretta.
12
Capitolo II -
Inquadramento storico normativo
1. Dalla riforma del 1973 al TUIR del 1986
Per
lungo
tempo
la
rilevanza
reddituale
dei
conferimenti
ha
rappresentato un problema di dubbia soluzione poiché strettamente correlato al
concetto di ricchezza mobile e legato alla volontà di agevolare da un punto di
vista fiscale i processi di ristrutturazione aziendale.
21
Fino al 1956 il reddito era
identificato come “una novella ricchezza acquisita dal contribuente come
risultato di una compiuta operazione economica di produzione” 22. La sua
imponibilità quindi era strettamente correlata a due fattori: il verificarsi di un
incremento patrimoniale, e alla presenza di un cosiddetto animus speculandi
da parte del soggetto che poneva in essere l’operazione economica.
Di conseguenza i conferimenti, effettuati nell’esercizio dell’attività di
impresa, erano ritenuti, dalla dottrina prevalente, idonei a produrre plusvalenze
tassabili23. Bisogna attendere però il 1956 per giungere all’introduzione di una
strutturata disciplina in materia di incrementi patrimoniali. Invero con la legge
Tremelloni del 1956 all’art. 20 viene sancita l’imponibilità dei “maggiori valori
delle attività delle imprese, in qualsiasi forma costituite” e viene attribuito al
realizzo, la distribuzione o l’iscrizione in bilancio di tali valori il presupposto di
imposta, senza citare la necessità che ci siano alla base dell’operazione finalità
lucrative. Anche il Testo Unico introdotto pochi anni dopo, nel 1958, conferma
agli artt. 100 e 106 l’imponibilità delle plusvalenze 24 e dei conferimenti
21
TURCHI A., Conferimenti ed apporti nel sistema delle imposte sui redditi, Torino, 2008, pp. 20.
BERLIRI A., L’imposta di ricchezza mobile, incontri e scontri di dottrina e giurisprudenza, Milano, 1949,
pp. 101.
23
TURCHI A., Conferimenti ed apporti nel sistema delle imposte sui redditi, Torino, 2008, pp. 24
24
Tuttavia la tassazione di tali plusvalenze cambiava molto a seconda del soggetto passivo e dal tipo di
bene ceduto. In capo ai soggetti privati erano tassate le sole plusvalenze derivanti da attività
speculative. Per gli imprenditori individuali solo quelle derivanti da cessioni di beni materiali ed
immateriali di imprese. Per le altre società invece la tassazione era estesa a qualunque plusvalenza
senza alcuna limitazione su beni o intenti speculativi.
22
13
societari25. Infatti sebbene all’art. 100 del Testo Unico del 1958, il concetto di
realizzo, si ricollegasse al pagamento di un “prezzo”, inducendo dunque a
pensare alla necessaria monetizzazione della plusvalenza, la dottrina
prevalente rimase coerente con l’impostazione della tassazione delle
plusvalenze latenti derivanti dall’iscrizione in bilancio dei beni conferiti,
elaborata negli anni antecedenti l’introduzione del testo26.
Dopo un intervento al quanto confusionario da parte del legislatore con la
legge delega per la riforma tributaria del 1971, in cui non veniva espressamente
decretata l’imponibilità delle operazioni di conferimento, alcuni interventi nel
1973 ricondussero la fattispecie dei conferimenti nell’esercizio di impresa tra le
operazioni potenzialmente idonee a produrre plusvalenze imponibili. In
particolare il DPR n. 597/1973 all’art. 54 dispose l’imponibilità delle operazioni
di conferimento (assimilandole per altro alle cessioni onerose) con riferimento
all’IRPEF e introdusse regole per il calcolo della base imponibile27, mentre gli
artt. 5 e 12 del DPR n. 598/1973 estesero tale previsione anche nei riguardi
dell’IRPEG. In tale contesto normativo si pone inoltre in evidenzia la netta
diversità di trattamento tra il conferimento d’azienda e le altre operazioni di
riorganizzazione aziendale, come ad esempio le fusioni, le quali per espressa
previsione normativa28, non costituivano operazioni idonee a generare
plusvalenze tassabili. Tale diversità di trattamento derivava essenzialmente da
una valutazione sulle differenze dei profili giuridici esistenti tra le due fattispecie
(in quanto nella fusione non si verifica alcun trasferimento di beni tra le due
società) ma che trascurava di fatto le analogie funzionali tra i due istituti,
25
Si veda a riguardo Comm. Trib. Centr., 14 febbraio 1980, n.594; Cass., 21 dicembre 1984, n. 6657, e
Cass., 12 maggio 1979, n. 2739.
26
ROMANI A., Contribuito allo studio delle plusvalenze come presupposti dell’imposta di ricchezza
mobile, in Giur. Imp., 1960, pp. 706 ss.
27
Art. 54, comma 4, DPR n. 597/73 “Nel caso di conferimento in società la plusvalenza è determinata
con riferimento al valore delle azioni o quote ricevute, assumendo come tale la media dei prezzi di
compenso dell’ultimo trimestre se si tratta di azioni quotate in borsa e il valore normale dei beni
conferiti in ogni altro caso”
28
Art. 16, comma 1, DPR 598/1973
14
entrambi idonei a determinare operazioni di riorganizzazione societaria29. La
necessità di agevolare le operazioni di concentrazione aziendale, (sentita per
altro già in precedenza e che avevano portato ad agevolazioni per i
conferimenti con la promulgazione della L. n. 170/1965, resa poi inefficace
dall’introduzione dei decreti del 1971 e del 1973), spinsero il legislatore a
generare soluzioni normative al fine di limitare l’effetto disincentivante della
normativa fiscale sui conferimenti d’azienda. Tali soluzioni si concretizzarono
con l’emanazione della legge n. 576/1973 (Visentini-bis). In particolare tale
provvedimento estese ai conferimenti di società o di singoli rami d’azienda, il
regime tributario agevolato delle fusioni, ovvero l’inidoneità dell’operazione a
generare plusvalenze imponibili. Per eliminare distorsioni sugli effetti normativi
causati dall’esenzione, il conferente avrebbe iscritto la partecipazione allo
stesso valore fiscalmente riconosciuto dei beni conferiti, mentre la società
conferitaria avrebbe potuto iscrivere i nuovi beni ai maggiori valori di mercato,
ed ottenerne il riconoscimento fiscale. L’idea del legislatore era semplicemente
quella di posticipare, al momento della cessione, il realizzo delle plusvalenze
sui beni conferiti. Tuttavia tale previsione più che favorire le operazioni di
riorganizzazione aziendali, consentì, operazioni finalizzate alla riespressione dei
cespiti aziendali a valori correnti in franchigia di imposta, al fine di ottenerne un
vantaggio
fiscale
derivante
dalla
possibilità
di
dedurre
i
maggiori
ammortamenti30, fino agli interventi del legislatore dell’80, che negarono il
riconoscimento fiscale del maggior valore dei cespiti iscritti in capo alla
conferitaria31.
29
TURCHI A., Conferimenti ed apporti nel sistema delle imposte sui redditi, Torino, 2008, pp. 25.
Sul punto PERROTTA R. Il Conferimento d’azienda, Milano, 2005, pp. 283. In particolare dato l’elevato
tasso di inflazione, “gli ammortamenti non risultavano coerenti con i ricavi espressi in moneta
inflazionata” consentendo un consistente risparmio di imposta su termini reali.
31
Si veda DL n. 853/1984, convertito in legge n.17/1985, soluzione poi ripresa nel Testo Unico del 1986
30
15
Con l’introduzione del Testo Unico del 1986 vennero introdotte importanti
novità in riferimento alla disciplina tributaria dei conferimenti. Per la prima volta,
infatti, venne sancita, con espressa previsione all’articolo 16 comma 4 del Testo
Unico (poi trapiantato al comma 5 dell’art. 9 del TUIR), l’equiparazione tra i
conferimenti e le cessioni onerose32, sciogliendo ogni dubbio sull’imponibilità, ai
fini delle imposte dirette, delle plusvalenze realizzate tramite conferimenti
(anche quelle conseguite al di fuori dell’attività di impresa o senza animus
speculandi), con conseguente abrogazione della norma che
disponeva
l’imputabilità delle plusvalenze derivanti da operazioni di conferimento effettuate
nel solo esercizio d’impresa. Tale previsione normativa tuttavia si dimostrò in
parte incoerente con le disposizioni relative alle cessioni onerose, comminate
dall’art. 9 del TUIR. C’era infatti una notevole incompatibilità tra i due istituti con
riguardo alla modalità di determinazione della plusvalenza. Nel caso di cessioni
onerose veniva assunto come base del calcolo il corrispettivo ricevuto in
cambio del trasferimento, mentre per i conferimenti si faceva riferimento al
valore di mercato delle quote ricevute in cambio, nel caso dei conferimenti in
società quotate, o con riguardo alle società non quotate, al valore normale dei
beni conferiti. Tali incongruenze, che rendevano di fatto irrealizzata l’opera di
semplificazione della disciplina fiscale dei conferimenti, confermavano la difficile
sovrapposizione tra la fattispecie della cessione e le operazioni di conferimento.
Inoltre, nel tentativo di unificare e semplificare la normativa fiscale dei
conferimenti, era stata trascurata l’idoneità di tale istituto a concretizzare
operazioni di ristrutturazione aziendale, costringendo il legislatore al ricorso di
norme integrative. In particolare, successivamente l’entrata in vigore del Testo
unico, con la legge n. 218/1990 (legge Amato) furono introdotte delle
agevolazioni per i conferimenti diretti alla ristrutturazione di aziende e istituti di
32
Anche se di fatto sorsero, soprattutto con riguardo alla determinazione della base imponibile, alcune
incongruenze tra i due istituti. Sul punto TURCHI A., Conferimenti ed apporti nel sistema delle imposte
sui redditi, Torino, 2008, pp. 48 e ss.
16
credito di diritto pubblico. All'art. 7 tale legge disponeva che i conferimenti
effettuati al fine di consentire a tali enti di assumere la veste di società per
azioni non generassero plusvalenza fiscalmente rilevante, e che la differenza
risultante tra il valore delle azioni ottenute e il valore dei beni conferiti
generasse un reddito imponibile solo al momento della cessione delle quote. La
norma, più che introdurre un regime di sospensione di imposta per tali
operazione,
modificava
il
presupposto
di
realizzo
della
plusvalenza,
posticipandolo al momento della monetizzazione. La legge prevedeva inoltre il
regime di continuità dei valori fiscali, introdotto già dalla Visentini-ter e ancora
contenuto nel vigente Testo Unico, al fine di porre un freno all'utilizzo
improprio33 dell'istituto. Altre disposizioni poi nel corso degli anni estesero il
regime agevolato delle Legge “Amato” ad altri settori (come imprese di
autotrasporto) e i conferimenti da parte di Provincie e Comuni per la
costituzione di nuove società34. In sintesi si può osservare come nella prima
metà degli anni '90 la disciplina fiscale dei conferimenti prevedeva
principalmente due regimi coesistenti. Quello generale, contenuto all'art. 9 del
TUIR che equiparava i conferimenti alle cessioni onerose, e che quindi definiva
l'immediata imponibilità delle plusvalenze, ed un altro contenuto nella
legislazione speciale, che consentiva di posticipare, in un regime di continuità
dei valori fiscali, la rilevanza tributaria della plusvalenza al momento della
cessione delle partecipazioni ottenute in cambio del conferimento. In tale
schema impositivo si denotava una logica simmetrica. La mancata imposizione
della plusvalenza in fase di conferimento era controbilanciata dal mancato
riconoscimento fiscale dei maggior valori iscritti in bilancio da parte della
conferitaria. Al contrario, con il regime generale contenuto all'art.9 del TUIR,
l'eventuale plusvalenza originata dal conferimento veniva tassata in capo al
33
34
Cioè con finalità elusive, così come spiegato precedentemente.
L n. 68/1992 per gli autotrasportatori; L. n. 498/1992 per Provincie e Comuni
17
conferente, ma consentiva alla conferitaria di farsi riconoscere fiscalmente il
valore dei beni così come iscritti a bilancio. Tuttavia l’assunto, delineato dal
legislatore, che equiparava i conferimenti d’azienda alle cessioni onerose, era
destinato, anche alla luce delle problematiche emerse nell’introduzione del testo
unico del 1986, ad essere abbandonato. Un primo segnale di cambiamento, in
tal senso, arrivò sul piano della normativa comunitaria, con il recepimento della
direttiva n. 434/1990 ad opera del D.Lgs. n. 544/1992. Essa introduceva il
regime di neutralità dei conferimenti d’azienda intracomunitari. In particolare
prevedeva35 che le operazioni di conferimento tra soggetti residenti in paesi
diversi della comunità europea, non costituissero realizzo di plusvalenze o
minusvalenze, e che la partecipazione ricevuta dalla conferente assumesse lo
stesso costo fiscalmente riconosciuto dell’azienda conferita. In tal modo la
plusvalenza godeva di un regime di sospensione, e sarebbe divenuta imponibile
solo in seguito alla sua realizzazione, o alla sua distribuzione ai soci. Anche se
gran parte della dottrina dell’epoca rifiutò la rilevanza di tale disposizione
all’interno dei confini nazionali, è difficile non definire in qualche modo
anticipatore l’intervento del legislatore comunitario36. In tale direzione invero si
mosse il legislatore pochi anni più tardi con l’introduzione del D.Lgs. n.
358/1997, nel tentativo di eliminare i vincoli tributari che influenzavano le scelte
strutturali delle imprese37 e, non di meno, di porre fine ai continui interventi
settoriali e temporanei che avevano caratterizzato l’attività legislativa negli anni
precedenti38, giungendo finalmente ad una disciplina fiscale unificata in materia
35
Il regime era condizionato dal verificarsi di due condizioni. Una oggettiva, ovvero che i due soggetti
siano residenti in due diversi stati della Comunità Europea, e una soggettiva, cioè che i due soggetti
assumessero una natura giuridica tra quelle soggette all’IRPEG (ex art. 87 lett. A) e b) ). In merito A.
Bompani in “Conferimento e scissione d’azienda” pp. 45 e ss. - 1993
36
Di tale avviso TURCHI A., Conferimenti ed apporti nel sistema delle imposte sui redditi, Torino, 2008,
pp. 57 e ss.
37
Nella relazione al D.Lgs. 358/97 il legislatore riconosce che “il conferimento d’azienda si trova (…) in
una posizione particolare rispetto agli atti dispositivi sui beni d’impresa”
38
CORASANITI G., Profili tributari dei conferimenti in natura e degli apporti in società, Milano, 2008, pp.
227 e ss.
18
di conferimenti. L’art. 3 del decreto de quibus, introduceva una deroga alla
determinazione della plusvalenza imponibile nelle operazioni di conferimento di
azienda o di partecipazioni di controllo o di collegamento. In particolare ai
soggetti veniva data la possibilità di adottare o un regime a valori fiscalmente
riconosciuti, secondo la logica della cessione d’azienda, rivalutando i beni iscritti
in capo alla conferitaria attraverso il pagamento di un imposta sostitutiva 39,
oppure40 di “equiparare il conferimento alla trasformazione di società con la
conseguenza di una successione dei dati contabili tra conferente e
conferitaria”41. In sintesi, come descritto dalla relazione al D.lgs. 358/97, i
conferimenti dovevano considerarsi “produttivi di materia imponibile solo se, e
nella misura in cui, la società conferitaria ottiene il riconoscimento di valori
fiscali più elevati rispetto a quelli cui l’azienda era iscritta in capo alla
conferente”42. Ai conferimenti di singoli beni43 tuttavia per esplicita previsione
normativa, continuavano ad essere applicate le disposizioni previste all’art. 9
del TUIR44.
2. Le riforme fiscali del 2003 e del 2007
La fattispecie dei conferimenti nel 2003 subì rilevanti cambiamenti sotto
diversi profili. Nel contesto civilistico fu quella tra le operazioni straordinarie
maggiormente innovata dalla riforma del diritto societario ad opera del D.Lgs. n.
6/2003. Invero, anche se non era stato previsto lo stesso accorpamento in un
39
Introdotta all’art. 1 del D.Lgs. 358/97 pari al 19%.
Limitatamente ai conferimenti d'azienda posseduta da almeno tra anni, effettuati nei confronti di
società di capitali o enti pubblici.
41
CONFALONIERI M., Trasformazione, Fusione, Conferimento, Scissione e Liquidazione delle Società,
Milano, 2011, pp. 368.
42
Relazione al D.Lgs. 358/97 – cit.
43
Escluse dalla previsioni del D.Lgs. 358/97. Erano per altro esclusi i conferimenti di partecipazioni e
controllo effettuati al di fuori dell’esercizio di imprese commerciali, e i conferimenti previsti dall’art. 81
comma 1, lett. h) e h-bis) del TUIR
44
Vedi C.M. 19.12.97 n. 320/E.
40
19
unico corpus normativo attuato invece nei confronti delle operazioni di fusione,
scissione e trasformazione, sono state promulgate specifiche previsioni, nei
diversi contesti societari, che hanno reso tale istituto più flessibile, e più adatto
a configurare operazioni di ristrutturazione aziendali45. Semplificazioni ad
esempio sono state introdotte per le S.r.l. in relazione alla scelta dell’esperto
incaricato alla valutazione dei beni conferiti, o alla libertà di decidere
liberamente le tempistiche dell’operazione, definite espressamente dal terzo
comma dell’art. 2343 c.c. invece per le S.p.A46. . Novità inoltre sono state
apportate in merito al conferimento d'opera da parte del socio in materia di S.r.l.
(Art. 2464), che precedentemente alla riforma era consentito esclusivamente al
momento della costituzione della società. Sotto il profilo delle imposte dirette,
tale previsione, evidenziava ancor più l'inadeguatezza dell'impostazione che
vedeva il conferimento come una operazione assimilabile alle cessioni onerose.
In siffatta prospettiva invero il conferente non monetizza nulla, e sotto il profilo
delle imposte dei redditi l'emissione di quote in cambio di una prestazione
d'opera si configura come un debito di fare in capo al socio e un credito per la
società. Progressivamente con l'adempimento al proprio onere idealmente il
conferente dovrebbe realizzare un reddito, rappresentato dalle quote ad esso
cedute, e la società a sua volta potrebbe dedurre i costi della prestazione.
Tuttavia il rapporto che si instaura tra conferente e conferitaria è estremamente
aleatorio sia nella qualità che nelle quantità delle opere conferite e sarebbe
inappropriato tassare all'origine tale scambio47.
45
merito BONFINI A. e DE ROSA B., La cessione e il conferimento di aziende - Aspetti civilistici e
contrattuali, in AA. VV. Operazioni di finanza straordinaria, a cura di G. Cristofori, ed. Il Sole 24 Ore,
Milano, 2010, pp. 237 e ss.
46
GAVELLI G. e LOTTI B., I conferimenti in società alla luce della riforma del diritto societario e delle
conseguenze di ordine tributario, in Boll. Trib., 10, 2004, 736 ss.
47
Sul punto LUPI R., Spunti di riflessione sui possibili effetti Tributari dei conferimenti nelle S.r.l., in Corr.
Trib., 2, 2003, pp. 101 e ss.
20
Numerose novità furono apportate anche sul piano normativo tributario
con l'introduzione del D.Lgs. 12 Dicembre 2003, n. 344 che abrogò le
disposizioni del D.Lgs. n. 358/1997 trapiantando per la prima volta il corpus
normativo dei conferimenti all'interno del TUIR, agli artt. 175 e 17648. In fase di
elaborazione della riforma fiscale nel 2003 (riforma Tremonti) il legislatore,
attraverso la legge delega n. 80/2003 aveva individuato due elementi chiave:
l'abolizione dell'imposta sostitutiva del 19% comminata all'art. 1 del D.Lgs. n.
358/1997 e la conservazione e l'ottimizzazione del regime di neutralità
contenuta nel medesimo decreto. Con riferimento all'eliminazione dell'imposta
sostitutiva, essa, innanzitutto, era volta a eliminare le distorsioni causate dalla
fiscalità sulle decisioni organizzative aziendali, limitando gli arbitraggi praticati,
soprattutto nell'ambito dei gruppi societari che sfruttavano le differenze tra le
aliquote previste dall'imposizione sulle plusvalenze in capo al soggetto cedente
e il risparmio derivante dagli ammortamenti fiscalmente rilevanti ai fini fiscali per
l'impresa cessionaria49
50
. Inoltre era una "logica conseguenza dell'introduzione
dell'esenzione per le plusvalenze su partecipazioni societarie realizzate da
società di capitali"51. Infatti con il D.Lgs. n.344/2003, coerentemente con quanto
previsto dall'art. 4, comma 1, lett. c) della Legge delega n. 80/2003, viene
introdotto all'art. 87 del TUIR il principio della "Partecipation Exemption", che
consentiva l'esenzione52 dall'imposizione diretta della plusvalenza derivante
dalla cessione delle partecipazioni. La perdita del vantaggio ottenuto tramite
l'affrancamento dei valori contabili ottenuto grazie all'imposta sostitutiva era
controbilanciato dalla totale esenzione che veniva applicata alla successiva
48
LEO M., Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Tomo II, Milano, 2014, pp. 2638 e ss.
In merito ZIZZO G. Participation exemption e riorganizzazioni societarie, il Fisco, 1, 2002, pp. 4433
50
TURCHI A., Conferimenti ed apporti nel sistema delle imposte sui redditi, Torino, 2008, pp. 81 e ss.
51
Relazione governativa al D.Lgs. 344/2003.
52
Inizialmente totale, ridotta e modificata negli anni per giungere all'attuale 95% di esenzione.
49
21
cessione
delle
partecipazioni
ottenute
a
seguito
del
conferimento 53.
L'introduzione del regime di esenzione ha richiesto al legislatore un'azione di
integrazione e coordinamento tra la fattispecie dei conferimenti e quella delle
cessioni di partecipazioni. A tal proposito il legislatore, al fine di consentire alle
operazioni di conferimento in regime di neutralità di maturare due dei requisiti
necessari per l'esenzione ha disposto al comma 4 dell'art. 176 del TUIR, che le
partecipazioni ricevute dal soggetto conferente acquisiscono la stessa anzianità
dei beni conferiti e si considerano iscritte a bilancio alla voce delle
immobilizzazioni finanziarie. Da tali disposizione emerge con chiarezza l'intento
del legislatore di consentire al contribuente di effettuare la cessione dell'azienda
secondo due modalità: una in regime realizzativo attraverso la cessione
onerosa dell'impresa e una in regime di neutralità attraverso il conferimento e la
successiva cessione delle partecipazioni. L'evidenza di tale volontà si evince
dall'ulteriore previsione al comma 3 dello stesso articolo che dichiara la non
elusività dell'operazione ai fini delle imposte dirette e la non applicabilità della
norma antielusiva contenuta all'art. 37-bis del D.P.R. n.600/197354.
Per quanto riguarda la conservazione e l'ottimizzazione del regime di
neutralità, invece, il legislatore ripropose, rispettivamente agli articoli 175 e 176
del TUIR, i due regimi fiscali contenuti agli artt. 3 e 4 del D.Lgs. n. 358/1997
ovvero il regime cosiddetto "realizzativo" (o a valori fiscalmente riconosciuti) che
trasferiva la plusvalenza del conferente direttamente nelle rilevazioni di
contabilità con conseguente tassazione a norma dell'art. 54 del TUIR55, e quello
"neutrale" senza l'emersione di alcuna plusvalenza ma con valori civili e fiscali
diversi e conservò le disposizioni al comma 5 dell'art. 9 del TUIR che
53
IAVAGNILIO M. e TRUTALLI F. La «participation exemption» nelle operazioni di conferimento e
permuta, in Corr. Trib. , 47, 2003, pp. 3873 e ss.
54
FACCHINI F. e AMPOLILLA M. il regime dei conferimenti di aziende e partecipazioni, in Corr. Trib., 18,
2004, pp. 1408 e ss.
55
Oppure quella separata prevista all'art. 17, comma 2 del TUIR.
22
disponevano l'equiparazione dei conferimenti alle cessioni onerose. Tuttavia
numerose modifiche e novità sono state introdotte. Innanzitutto, al fine di evitare
la trasformazione di operazioni imponibili in operazioni esenti tramite il nuovo
regime previsto all'art. 87 del TUIR, viene inserito al comma 2 dell'art. 175 del
TUIR una clausola "antiabuso" che dispone l'applicabilità del regime ordinario
del valore normale in caso di conferimenti di partecipazione prive dei requisiti di
cui all'art. 87 del TUIR "se le partecipazioni ricevute non sono anch'esse prive
dei requisiti predetti"56. Viene rimosso il requisito soggettivo del possesso
dell'azienda per più di 3 anni comminato all'art. 4 della legge 358/2003, per
l'applicazione del regime di neutralità di cui all'art. 176 e la rimozione
dell'esplicito richiamo ai "soggetti indicati nell'articolo 87, comma 1, lettere a) e
b)"57 ha esteso l'applicabilità del regime neutrale anche alle società di persone.
Viene poi novellato il comma 2 dell'art. 9 che, colmando una preesistente
lacuna, individua nel valore normale dei beni e dei crediti conferiti, la base di
calcolo ai fini delle imposte dirette per il valore della plusvalenza nel caso di
conferimenti in società non quotate. Infine un terzo regime viene introdotto al
comma 4 dell'art. 175 del TUIR, per l'imprenditore individuale conferente l'unica
impresa, che consente il conferimento dell'unica azienda individuale senza
oneri fiscali ai fini delle imposte dirette58.
Per concludere il quadro storico normativo e giungere alla situazione
giuridica attuale è necessario, infine, analizzare la Legge n.244 del 24 dicembre
2007. L'art 1, comma 46, lettera, c) n. 3, della legge in oggetto ha abrogato le
disposizioni precedentemente contenute al comma 1 dell'art. 175 del TUIR, che
prevedevano il regime cosiddetto realizzativo,
riconosciuti,
assegnando
all'operazione
56
di
ovvero a valori fiscalmente
conferimento
un
unica
Comma 2, Art. 175 del TUIR.
Art. 4 del D.Lgs. 358/1997
58
CONFALONIERI M. Trasformazione, Fusione, Conferimento, Scissione e Liquidazione delle Società,
Milano, 2011, pp. 370 e ss.
57
23
configurazione, oltre a quella ordinaria di realizzo 59: quella del regime di
neutralità prevista dall'art. 176 del TUIR. Tale decisione è coerente con la
reintroduzione dell'imposta sostitutiva per l'affrancamento dei valori. Invero
all'art. 176 del TUIR viene introdotto il comma 2-ter che consente alla
conferitaria di affrancare i valori dei beni conferiti, iscritti tra le immobilizzazioni
materiali e immateriali, pagando un'imposta sostitutiva rilevante ai fini IRPEF,
IRES e IRAP, proporzionale con aliquote progressive: per i maggior valori al di
sotto dei 5 milioni di euro viene applicata l'aliquota del 12%, per la parte
eccedente i 5 milioni ma inferiore i 10 milioni di euro passa al 14%, giungendo
infine il 16% per i maggiori valori eccedenti i 10 milioni di euro. A seguito del
reinserimento dell'imposta sostitutiva si è resa necessaria l'eliminazione del
regime realizzativo previsto dall'art. 175, in quanto potenzialmente idoneo a
configurare arbitraggi finalizzati al risparmio di imposta60. Le previsioni dell'art.
175 sono rimaste applicabili ai conferimenti di partecipazioni di controllo e
collegamento, mentre le previsioni sul conferimento dell'unica impresa da parte
dell'imprenditore individuale sono state riportate nel testo del novellato art. 176,
al comma 2-bis.
3. La normativa comunitaria e i conferimenti transnazionali
Come chiarito nel precedente capitolo, il conferimento di beni, ai fini delle
imposte dirette, deve considerarsi assimilabile alle operazioni di cessione a
titolo oneroso (art. 9, comma 5 del TUIR). Inoltre il D.Lgs. n.344/2003 ha
modificato il comma 2 dell'art. 9 del TUIR definendo che il valore del
59
ai sensi del comma 2 dell'art. 9 del TUIR.
Come si verificava in passato prima dell'abrogazione dell'imposta sostitutiva, resasi per altro
necessaria proprio per questo motivo. Si veda a riguardo DOLCE R., Compravendita di azienda vs.
conferimento e successiva cessione della partecipazione alla luce della recente giurisprudenza, in Il Fisco,
28, 2010, pp. 4262 e ss.
60
24
corrispettivo del conferimento in natura è il valore normale del bene conferito, il
ché può far emergere difficoltà di determinazione della base imponibile.
Nell'ambito dei conferimenti transnazionali, proprio alla luce di queste
considerazioni, possono verificarsi fenomeni di spostamento della base
imponibile tra paesi, con la conseguente perdita di imponibile da parte degli
Stati61. Le necessità poi di dover presidiare il principio di libertà economica e il
diritto alla libera circolazione dei capitali, hanno spinto la CEE a produrre una
normativa al fine del coordinamento delle operazioni di conferimento d'azienda
(ma non solo) tra stati comunitari. Un primo intervento della CEE sulla
questione si ha con la direttiva del Consiglio delle Comunità Europee
90/434/Cee del 1990 (sostituita ora dalla direttiva 2009/133/Ce), attuata ad
opera del D.Lgs. n.544/1992 e recepite agli artt. da 178 a 181 del TUIR
attraverso il D.Lgs. n.344/2003. Tale direttiva interveniva in materia di
"operazioni straordinarie" tra stati membri, ovvero effettuate tra:

una società di capitali o un altro ente commerciale residente in Italia

un soggetto residente in un altro stato europeo e che rientri in una
della categorie indicate nella Tabella A allegata al TUIR, e che sia
sottoposto a una delle imposte contenute nella Tabella B allegata al
TUIR. 62
Per effetto degli artt. 178 e 179 introdotti dalla riforma fiscale del 2003,
recependo la direttiva europee, le operazioni di conferimento tra società italiane
e società comunitarie godono del regime di neutralità presente all'art. 176 del
TUIR. La ratio di tale previsione è quella di contemperare due interessi
contrapposti, ovvero da un lato le necessità organizzative dei gruppi
internazionali, in ordine al principio di libertà di stabilimento all'interno della
61
GIOVANNINI P., Le imposte sui redditi, in AA.VV., Operazioni di finanza straordinaria a cura di G.
Cristofori, Milano, 2010, pp.358 e ss.
62
ZANETTI E., Manuale delle operazioni straordinarie, Torino, 2013, pp.410 e ss.
25
comunità europea, e dall'altro la "ragion fiscale" dei singoli stati membri. Invero
il conferimento transnazionale di impresa presenta caratteristiche peculiari. In
primis, l'oggetto dell'operazione di conferimento è il mezzo per poter procedere
alla tassazione al momento del realizzo. In secondo luogo il collegamento con
l'oggetto della tassazione può essere rappresentato anche dai soggetti coinvolti
dall'operazione nel caso in cui essi siano residenti nello stato. Quindi il regime
di neutralità richiede che nel caso in cui il complesso aziendale venga conferito
ad un soggetto non residente, lo stesso vede confluire in una stabile
organizzazione all'interno dello stato. Nel caso ciò non avvenga, si scioglie il
collegamento fra oggetto e stato, e quindi il trasferimento darà luogo ad una
plusvalenza realizzata al valore normale dell'azienda. Parimenti se l'oggetto del
conferimento è un'azienda sita in uno stato estero, ma è posseduta da un
soggetto
residente,
l'eventuale
conferimento
ad
un
soggetto
estero
configurerebbe una operazione soggetta a tassazione.63 Proprio sulla base di
tali considerazioni, importanti modifiche a tale schema sono state apportate
dalle innovazioni introdotte dalla finanziaria 2008 (legge n. 244/2007). In
particolare oltre all'esclusione del conferimento d'azienda dall'applicazione del
regime cosiddetto a "realizzo controllato" previsto all'art. 175 del TUIR, è stato
esteso il campo di applicazione del regime di neutralità di cui all'art. 176 del
TUIR ai soggetti non residenti che non rientrano nell'ambito di applicazione
degli artt. 178 e 179 del TUIR, a patto che uno tra conferente e conferitario sia
residente in Italia. Tali modifiche hanno di fatto esteso l'applicazione del regime
di neutralità a tutte le operazioni di conferimento ove l'Italia ha potere impositivo
con unica esclusione dei conferimenti fatti da soggetti residenti nello Stato
Italiano a soggetti non residenti nel qual caso l'oggetto del conferimento sia un
complesso aziendale non situato nel territorio italiano. Invero Assonime, nella
63
GIOVANNINI P., Le imposte sui redditi, in AA.VV., Operazioni di finanza straordinaria a cura di G.
Cristofori, Milano, 2010, pp.386 e ss
26
circolare n.51/2008 osserva che nel caso in cui l'azienda conferita sia situata in
un territorio estero, a causa dei limiti di territorialità, il conferimento ad un
soggetto non residente comporta la fuoriuscita del complesso aziendale dal
circuito impositivo italiano, e di conseguenza è giustificata la tassazione a
valore normale del bene64. In tal caso, se l'azienda è situata nel territorio di un
altro Paese UE, e la società conferitaria estera rientra tra i soggetti previsti alla
lett. a) del comma 1 dell'art. 178 del TUIR, verrà riconosciuto alla società
conferente un cosiddetto "credito d'imposta virtuale"65. Quindi da un lato la
società conferente sarà tassata sulla plusvalenza calcolata sul valore normale
dell'azienda conferita, dall'altro gli sarà riconosciuta la possibilità di detrarre
dall'imposta italiana il totale dell'imposta che lo stato dove è fiscalmente
residente l'azienda conferita avrebbe prelevato se non vi fosse stata la
normativa (credito di imposta virtuale o notonial tax credit). Tale previsione
tuttavia non si applica nei casi in cui o il conferitario sia un soggetto residente in
un paese extra-comunitario, o se il conferente è un'impresa residente in Italia
ma organizzato in forma diversa dalle società di capitali o enti commerciali 66.La
necessità di applicare un credito di imposta virtuale, e non effettivo, deriva dal
fatto che, a norma della direttiva n. 90/434/Cee, non viene esercitato il prelievo
fiscale sul conferimento nello Stato dove ha sede la stabile organizzazione
dell'azienda conferita. Quindi data la neutralità dell'operazione in assenza del
credito virtuale l'operazione risulterebbe tassata due volte. La prima volta in
capo al conferente residente in quanto la fronte delle imposte pagate a seguito
del conferimento non avrebbe alcun credito da compensare per le imposte
pagate all'estero. E la seconda volta in capo al soggetto conferitario UE, il quale
64
circ. Assonime , n.51, 2008 pp. 19.
Art. 179, comma 5, del TUIR.
66
PIAZZA M. Operazioni straordinarie internazionali - Conferimenti d'azienda, in Guida alla Contabilità &
Bilancio, 2, 2011, pp. 46.
65
27
in sede di realizzo dei vedrebbe calcolata la plusvalenza ai fini fiscali sulla base
degli stessi valori fiscali precedentemente riconosciuti in capo alla conferente.67
67
GIOVANNINI P., Le imposte sui redditi, in AA.VV., Operazioni di finanza straordinaria a cura di G.
Cristofori, Milano, 2010, pp.411 e ss.
28
Capitolo III -
La fiscalità dell'operazione
1. L’imposizione diretta
1.1. La neutralità fiscale nell'operazione di conferimento
Nella corrente formulazione del comma 1 dell'art. 176 del TUIR è definito
che i conferimenti di aziende "... effettuati tra soggetti residenti nel territorio
dello Stato nell'esercizio di imprese commerciali, non costituiscono realizzo di
plusvalenze o minusvalenze" ma nondimeno "il soggetto conferente deve
assumere, quale valore delle azioni ricevute, l'ultimo valore fiscalmente
riconosciuto dell'azienda conferita...", mentre il soggetto conferitario "...
subentra nella posizione di quello conferente in ordine agli elementi dell'attivo e
del passivo dell'azienda stessa...". La norma nella sua stesura individua dei
requisiti oggettivi e soggettivi per l'applicazione del regime di neutralità. Il primo
di essi prevede che il conferimento abbia per oggetto un'azienda. Su tale tema
l'amministrazione finanziaria si è espressa nella circolare ministeriale n. 320/E
del 19 dicembre 1997 nella quale afferma che il termine "azienda" è da
intendersi nel suo senso più ampio, e si estende dunque anche al conferimento
di singoli rami operativi. Inoltre la definisce, coerentemente con la definizione
contenuta all'art. 2555 del codice civile, come un "universitas di beni materiali,
immateriali e di rapporti giuridico - economici suscettibili di consentire l'esercizio
dell'attività di impresa"68. Tuttavia tale impostazione sembra accogliere la tesi
secondo cui, una volta configuratosi un complesso aziendale in grado di
espletare l'esercizio di una qualsivoglia attività di impresa, sono da includersi
nell'eventuale trasferimento anche i beni o i rapporti giuridici che non sono
necessari o attinenti a tale attività. In altri termini il conferimento di un
68
Circ. Ministero delle Finanze, n. 320, 1997.
29
complesso aziendale è idoneo ad attrarre al suo interno anche tutta una serie di
attività patrimoniali puramente accessori rispetto all'azienda, in un unico
contratto di trasferimento. Un altro aspetto che può suscitare perplessità è
l'applicabilità del regime di neutralità anche nel caso in cui l'oggetto del
trasferimento è rappresentato da una mera divisione interna dell'azienda, non
operativa direttamente sul mercato, ma idonea allo svolgimento dell'attività di
impresa: un esempio potrebbe essere lo scorporo e il successivo conferimento
di una fase della produzione all'interno operante all'interno di una filiera. Anche
in tal senso la risposta pare essere affermativa. Invero non sarebbe ne coerente
ne agevole negare l'applicazione del regime di neutralità ad un operazione che
ha tutte le fattezze dello scorporo. Rilevante, ai fini dell'identificazione di un
complesso aziendale, è la presenza di elementi patrimoniali, caratterizzati
dall'attitudine alla produzione o scambio di beni e servizi, e non è richiesta a tal
fine, una linea di continuità con l'attività svolta in precedenza dal soggetto
conferente69.
Con riguardo ai requisiti soggettivi di applicazione del regime contenuto
nell'art. 176 del TUIR, le modifiche effettuate dalle riforme del 2003 e dal
200770, ne hanno esteso l'applicabilità a tutti i conferimenti d'aziende ovunque
situate, se attuate da soggetti residenti e a tutti i conferimenti d'aziende situate
nel territorio italiano effettuati da soggetti non residenti in Italia. E' da ritenersi
coerente la scelta del legislatore di estendere l'applicabilità del regime di
neutralità, alle operazioni di conferimento tra soggetti non residenti nel solo
caso in cui l'oggetto del trasferimento sia un'azienda situata nel territorio dello
stato. Invero nel caso di conferimenti da parte di società residenti a favore di
società non residenti, l'eventuale trasferimento di un'azienda situata all'estero,
comporterebbe una fuoriuscita dal sistema impositivo italiano, e ciò dunque
69
70
LEO M., Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Tomo II, Milano, 2014, pp. 2638 e ss.
Si veda il capitolo 1 paragrafo 2.
30
motiverebbe la tassazione a valore nominale dell'azienda ceduta. Mentre nel
caso in cui ne il conferente ne l'azienda trasferita fossero fiscalmente residenti
in Italia, non ci sarebbero i presupposti territoriali per l'applicazione di un
prelievo da parte dello Stato Italiano71. In merito alla requisito della
commercialità , all'art. 176 del TUIR non si fa alcun richiamo alla definizione
contenuta nell'art. 55 del TUIR. Ciò fa sorge il dubbio se, al fine
dell'applicazione del regime di neutralità, sia più corretto fare riferimento alla
definizione contenuta nel codice civile all'art. 2195. Aderendo a questa tesi
resterebbero escluse dall'applicazione delle disposizioni previste all'art. 176 del
TUIR: le attività in forma di impresa dirette allo svolgimento di attività non
rientranti tra quelle comminate dall'art. 2195, le attività rientranti nella
elencazione dell'art. 2195 ma non organizzate in forma di impresa e tutte le
attività agricole che superano i limiti quantitativi per la determinazione del
reddito agrario. Tali problematiche per altro si rilevano anche nel testo dell'art.
87 del TUIR, che richiama con la stessa terminologia, il requisito della
commercialità del soggetto cedente, ai fini dell'applicazione del regime di
esenzione sulle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni72. Proprio
analizzando la previsione sul regime "pex" è possibile dare risposta a tale
quesito. Invero, con la previsione all'art. 87 del TUIR, si è voluto evitare che i
plusvalori originati dalla cessione delle partecipazioni di soggetti che non sono
già sottoposti a tassazione (come ad esempio società immobiliari), possano
usufruire dell'esenzione prevista per evitare la doppia imposizione dei redditi. In
altre parole il requisito di commercialità si è reso necessario solo al fine di non
estendere il regime agevolato a enti non soggetti al problema della doppia
imposizione, ed è quindi inteso ad escludere dall'applicazione di tale regime
71
72
LEO M., Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Tomo II, Milano, 2014, pp. 2638 e ss.
L'argomento, con riferimento all'art. 87, verrà ripreso nel prossimo capitolo.
31
unicamente i soggetti non imprenditori73. Per analogia possiamo dunque
estendere la stessa osservazione al medesimo termine utilizzato nel corpo
normativo dell'art. 176 del TUIR74.
Altro aspetto degno di approfondimento è la possibilità di adottare il
regime in esame da parte dei soggetti sottoposti al regime di contabilità
semplificata, in considerazione delle previsioni contenute ai commi 3 e 4 dell'art.
176 del TUIR, ovvero la non elusività dell'operazione di conferimento e
successiva cessione delle partecipazioni in regime di esenzione parziale delle
plusvalenze e il periodo di anzianità delle partecipazioni ottenute per effetto del
conferimento dell'azienda. Il comma 3 dell'art. 176 del TUIR disciplina gli effetti
della cessione delle partecipazioni ricevute a seguito del conferimento. Se la
cessione viene effettuata da un impresa cosiddetta "minore" e sottoposto al
regime contabile semplificato, essa non potrà godere del regime di esenzione
"pex". Invero l'Agenzia delle entrate, con la circolare n. 36/E del 4 agosto 2004,
specifica75 che tali soggetti " ...non essendo tenuti agli obblighi di redazione del
bilancio previsti per i soggetti in contabilità ordinaria, non possono accedere al
regime in esame, data l'impossibilità di riscontrare la sussistenza dei requisiti
previsti dalla legge ...", e di conseguenza l'eventuali plusvalenze emergenti
dalla cessione delle partecipazioni saranno interamente tassabili. Paiono
dunque estendibili tali conclusioni anche al regime di neutralità dei conferimenti,
in considerazione anche del comma 4 dell'art 176 del TUIR,ove nel disporre il
trasferimento dell'anzianità dai beni conferiti alle partecipazioni ricevute in
cambio, fa esplicito richiamo alla data di iscrizione nel "bilancio della
conferente". In assenza del bilancio verrebbe quindi meno uno dei requisiti
previsti per il conferimento in regime di neutralità, e dunque se ne deduce la
73
Dello stesso avviso l'Agenzia delle Entrate nella circolare n. 36/e del 2004
ANDREANI G. e FRANZESE C. Conferimenti in doppia sospensione d'imposta e cessione della
partecipazione ricevuta, in il Fisco, 9, 2005, pp. 1271.
75
Coerentemente con l'analoga conclusione prevenuta nella circolare n.320/E del 1997.
74
32
sua inapplicabilità ai soggetti in regime di contabilità semplificata. Tale
conclusione sembra rafforzata se si considera che originalmente il legislatore,
nell'introduzione del regime di neutralità ad opera del D.Lgs. 358/97, ne aveva
consentito l'accesso alle sole società di capitali ed agli enti commerciali, le quali
sono sottoposte unicamente al regime di contabilità ordinaria76.
In merito agli effetti fiscali del regime di neutralità previsto all'art. 176 del
TUIR, possiamo, ai fini riepilogativi, proporre una sintesi. In particolare, come
già anticipato, la neutralità fiscale delle operazioni di conferimento implica,
innanzitutto, che l'azienda viene acquisita dal conferitario sulla base degli stessi
valori fiscali riconosciuti in capo al conferente. Tale effetto tuttavia non vincola
la società conferitaria all'iscrizione ai fini civilistici degli stessi valori
precedentemente contenuti nel bilancio della conferente. Si verifica per cui un
disallineamento tra i valori fiscalmente rilevanti e quelli risultanti dal bilancio
civilistico. Al fine di riconciliare i valori fiscalmente riconosciuti con quelli di
bilancio, la conferitaria è tenuta, in sede di dichiarazione dei redditi, a compilare
e consegnare il cosiddetto "prospetto di riconciliazione"77 . Va precisato però
che l'erronea compilazione del prospetto non può in alcun modo invalidare la
neutralità fiscale del conferimento d'azienda, in quanto il regime in oggetto è
l'unico applicabile a tale fattispecie e verranno dunque, al massimo, erogate le
relative sanzioni78. Un ulteriore puntualizzazione va fatta in merito al concetto di
continuità dei valori fiscalmente riconosciuti. Invero l'art. 176 del TUIR al comma
1, dispone che "...il soggetto conferitario subentra nella posizione di quello
conferente in ordine agli elementi dell'attivo e del passivo..." e ciò non va inteso
con riferimento ai soli valori fiscalmente riconosciuti ma anche a tutte le
pregresse situazioni fiscali. Per quanto riguarda per esempio i criteri fiscalmente
76
ANDREANI G. e FRANZESE C. Conferimenti in doppia sospensione d'imposta e cessione della
partecipazione ricevuta, in il Fisco, 9, 2005, pp. 1271.
77
Contenuto nel quadro RV del modello di dichiarazione.
78
Vedi Circ. Assonime, n. 51, 2008.
33
rilevanti assunti per la valutazione del valutazione del magazzino la circolare n.
320/E del 1997, prevede "... la conservazione dell'eventuale stratificazione LIFO
esistente presso la conferente...". Ancora, analogamente, in merito ai beni
strumentali, la stessa circolare chiarisce che "... le residue quote di
ammortamento dovranno essere computate assumendo il costo originario di tali
beni...", e quindi l'ammortamento di tali beni, ai fini fiscali, continua secondo le
stesse tempistiche e modalità adottate in principio dal soggetto conferente. Si
evidenzia
dunque
l'irrilevanza
fiscale
delle
procedure
civilistiche
di
ammortamento. Invero, anche nel caso di iscrizione dei beni ammortizzabili, a
valori contabili inferiori a quelli fiscali, è da ritenere che l'eccedenza
dell'ammortamento fiscale, anche se non imputata in conto economico, sia da
ammettersi comunque a deduzione79. Sempre in tema di deduzione dei costi,
in ottemperanza al regime di continuità dei valori fiscali, si pone il problema
dell'individuazione dell'ammontare dei valori fiscalmente riconosciuti, in caso di
conferimenti nel corso dell'anno fiscale. A tal riguardo si è espressa ancora una
volta l'amministrazione finanziaria nella già citata circolare 320/E, nella quale
disponeva l'applicabilità delle norme sulle cessioni (per la conferente) ed
acquisizioni (per la conferitaria) di beni in corso d'esercizio per la
determinazione delle quote di ammortamento, di accantonamento, e delle
spese di manutenzione. Più di recente, con la risoluzione n.41/E del 2002
l'agenzia è ritornata sull'argomento, confermando il precedente orientamento
secondo
cui
"...le
quote
di
ammortamento relative ai beni facenti parte dell'azienda conferita debbono
essere calcolate ragguagliando la quota ordinaria ai giorni che intercorrono tra
79
Vedi Norma di comportamento AIDC di Milano n.178 del 10/2010. Tali conclusioni tuttavia non
potranno essere estese al caso in cui le differenze tra l'ammortamento civilistico e quello fiscale sono
dovute all'allungamento della vita utile del bene conferito in seguito modifiche del piano di
ammortamento. In questo senso di veda PIAZZA M. Le novità in materia di operazioni straordinarie, in Il
Fisco, 2, 2008, pp. 183 e ss.
34
l'inizio del periodo d'imposta e la data del conferimento" 80 precisando tuttavia
che " il metodo, scelto in alternativa tra l'imputazione delle quote di
ammortamento pro quota o la non imputazione delle stesse, dovrà essere
applicato uniformemente per tutti i beni dismessi o alienati" 81. Infine, con
riguardo al subentro del conferitario nelle posizioni del soggetto conferente,
esso deve ritenersi, a differenza di quanto avviene per le operazioni di fusione e
scissione, esclusivamente nei confronti degli elementi in attivi o in passivi con
esclusione quindi delle poste del patrimonio netto. A tal proposito, l'Agenzia
delle Entrate nella circolare 8/E del 2010, ha ritenuto che l'avviamento non
rientri tra gli asset degli attivi conferibili ai sensi dell'art. 176 del TUIR, in quanto
"il valore dell’ “asset” avviamento non è oggetto di trasferimento (ma viene
stornato dalla contabilità del soggetto conferente in conseguenza della perdita
di valore
scaturente dalla
“dismissione” del compendio aziendale
di
riferimento)", e "ciò anche nella ipotesi in cui, sotto il profilo contabile, il valore
dell’avviamento sia incluso nel valore delle attività dismesse ai fini della
quantificazione dell’utile o della perdita da conferimento"82. In altri termini
l'avviamento non costituisce oggetto di trasferimento e quindi ai fini fiscali la sua
cancellazione obbliga il conferente a procedere all'ammortamento secondo
l'imposizione ordinaria. L'Agenzia delle Entrate motiva tale conclusione
affermando innanzitutto che la determinazione dell'avviamento da stornare
avrebbe origine da un processo valutativo simile a quello dell'impairment test, e
in secondo luogo che lo storno contabile dell'avviamento, avendo natura
fiscalmente neutrale, non può costituire un'ipotesi di realizzo di plusvalenze e
dunque, in ossequio al principio di neutralità il soggetto conferente deve
mantenere lo stesso regime fiscale di deduzione applicato prima del
80
Ris. Agenzia delle Entrate, n. 41/E, 2002.
Vedi nota precedente.
82
Circ. Agenzia delle Entrate, n. 8/E, 2010.
81
35
conferimento. In senso contrario si esprime invece l'AIDC di Milano83 che,
confermando l'inidoneità da parte del avviamento a circolare autonomamente in
quanto giuridicamente è "non un bene a se stante bensì una qualità
dell'azienda"84, lo ritiene parte inscindibile dal complesso aziendale e quindi
necessariamente trasferibile con essa85. Per tali motivazioni il regime previsto
all'art. 176 del TUIR si applicherebbe anche all'avviamento, e quindi il
conferitario subentrerebbe nel valore fiscalmente riconosciuto in capo al
soggetto conferente86. Di conseguenza, nel rispetto del regime di neutralità, il
soggetto
conferitario
potrà
dedurre
fiscalmente
l'ammortamento
dell'avviamento87.
In merito agli effetti fiscali in capo al soggetto conferente, il regime di
neutralità dei conferimenti implica innanzitutto che non emerge dall’operazione
alcuna plusvalenza o minusvalenza fiscalmente rilevante, anche se viene
rilevata contabilmente una variazione in positivo e negativo nei valori dei beni
conferiti. Ciò significa che qualora tali plusvalenze o minusvalenze vengano
rilevate nel conto economico dal soggetto conferente, si dovrà provvedere
rispettivamente ad una variazione in diminuzione o in aumento, in sede di
determinazione del reddito imponibile. Inoltre, pare opportuno precisare che,
come affermato dall’Amministrazione Finanziaria in occasione della R.M. n.82/E
del 2000, sia nel caso di immediata costituzione, che nel caso di progressivo
accantonamento, di un’apposita riserva di patrimonio netto, gli utili emergenti
dall’operazione di conferimento, non costituiscono utili in sospensione di
imposta, e sono esenti da ogni vincolo di natura fiscale, sia in sede di
83
Oltre che Assonime nella circolare n. 20 del 2010. In tal senso anche A. Cotto Sull’avviamento è
necessario un passo indietro, in il Quotidiano del Commercialista, www.eutekne.info, del 09 novembre
2010.
84
GALGANO F., Dizionario Enciclopedico del Diritto, Vol . I, 1996, voce "Avviamento".
85
Di tale avviso anche GALGANO F., op. cit., "l'acquirente dell'azienda lo consegue automaticamente,
per il solo fatto di avere acquistato l'azienda".
86
Ovviamente non rileverebbe fiscalmente l'eventuale iscrizione dell'avviamento ad un valore maggiore.
87
Norma di comportamento AIDC di Milano, n.181, 2011.
36
utilizzazione che in sede di distribuzione88. Altro aspetto, riguarda le
caratteristiche
che
assume
la
partecipazione
ricevuta
in
seguito
al
conferimento. Essa, in primo luogo, assume come costo fiscale “… l’ultimo
valore fiscalmente riconosciuto dell’azienda conferita …”. Da ciò si deduce che
nel caso di iscrizione della partecipazione ricevuta ad un valore contabile
diverso da quello fiscale, si genera, come abbiamo visto per la conferitaria, un
disallineamento tra i dati contabili e i valori fiscalmente rilevanti. In merito,
l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 342 del 2002, ha osservato che,
anche se l’obbligo della redazione del prospetto di riconciliazione è previsto
dall’art. 176 del TUIR per il solo soggetto conferitario89, in caso di
disallineamento tra i valori contabili e fiscali in capo allo conferente, si rende
necessaria comunque la sua compilazione90. Oltre ad assumere l’ultimo valore
fiscalmente riconosciuto, la partecipazione ottiene anche la sua “anzianità” di
possesso. Si verifica, in altri termini, agli effetti fiscali, la retrodatazione della
partecipazione iscritta, alla medesima data di possesso dell’azienda conferita.
Inoltre essa risulterà iscritta nel bilancio della conferente tra le immobilizzazioni
finanziarie. Evidente, da tali disposizioni, la volontà del legislatore di coordinare
la disciplina dei conferimenti con quella della partecipation exemption. Invero
l'iscrizione alla voce delle immobilizzazioni finanziarie risponde al primo
requisito contenuto all'art. 87 del TUIR, mentre il trasferimento dell'anzianità
consente di ottenere il riconoscimento dell'holding period ai fini del regime di
esenzione. Inoltre la mancanza dei requisiti di cui alle lett. c) e d) del comma 1
dell'art. 87 del TUIR, non precludono il computo degli anni di possesso per
l'applicazione del frazionamento delle plusvalenze previsto al comma 4 dell'art.
88
Sul punto si veda MIELE L. Il trattamento fiscale della riserva da conferimento, Corr. Trib., 10, 2001,
pp. 710.
89
Come per altro rileva Assonime nella circolare n. 42 del 1998.
90
In merito DEZZANI F. e DEZZANI L. Art. 109, comma 4, del TUIR: risoluzione n.382/E del 6 dicembre
2002, risoluzione n. 82/E del 6 giugno 2000. Il conferimento d’azienda a “valori rivalutati in sospensione
di imposta”. Il “fondo imposte differite”, in Il Fisco, 23, 2005, pp. 3474 e ss.
37
86 del TUIR. In merito al trasferimento dell'anzianità alla partecipazione iscritta,
emerge il problema della determinazione del dies a quo per il calcolo del
periodo di possesso. Una parte della dottrina, escluso che tale termine possa
coincidere con la data del conferimento, ha altresì scartato l'ipotesi di
identificarlo con la data in cui il conferente ha ottenuto il possesso dei beni
conferiti, ed ha individuato una soluzione intermedia nel "giorno di chiusura del
primo bilancio in cui i beni conferiti risultavano in possesso della conferente" in
quanto "per espressa presunzione legislativa, le partecipazioni ricevute
dovevano ritenersi iscritte nelle immobilizzazioni finanziarie, il che lascerebbe
intendere che debbano anche presumersi "possedute" quantomeno a quella
data dal soggetto conferente"91. Tuttavia secondo la dottrina prevalente, dal
quadro normativo, si desume la volontà del legislatore a garantire una "piena
simmetria fra le posizioni delle parti interessate all'operazione"92, e quindi di
trasferire totalmente l'anzianità del possesso dell'azienda conferita. Invero, se il
legislatore avesse voluto assegnare alle partecipazioni un periodo "autonomo"
di possesso da parte della conferente, sarebbe "poco comprensibile" l'espressa
esclusione dell'operazione di conferimento e successiva cessione della
partecipazione ricevuta dall'applicabilità della normativa antielusiva, in quanto
non si configurerebbe alcuna operazione configurabile come elusiva93. Sembra
dunque corretto, come d'altronde espresso più volte da Assonime nella
circolare n. 38 del 2005, e così come riconosciuto dall'Amministrazione
Finanziaria 94, considerare il periodo di possesso delle partecipazioni ricevute a
partire dal momento della costituzione dell'azienda oggetto del trasferimento. Si
ricorda infine che il computo dell'anzianità dell'azienda assume rilevanza anche
sul piano degli ultimi due requisiti contenuti alle lett. c) e d) del comma 1 dell'art.
91
BARBONE L. Conferimento di azienda e periodo minimo di possesso delle partecipazioni ricevute ai fini
della participation exemption, in Dialoghi dir. Trib., 4, 2004, pp. 605.
92
TURCHI A., Conferimenti ed apporti nel sistema delle imposte sui redditi, Torino, 2008, pp. 49 e ss.
93
Vedi precedente citazione.
94
Circ. Agenzia delle Entrate, n. 36/E, 2004.
38
87. Al comma 2 del medesimo articolo infatti, è previsto che tali requisiti 95 "...
devono sussistere ininterrottamente, al momento del realizzo, almeno dall'inizio
del terzo periodo d'imposta anteriore al realizzo stesso." .
Merita infine un breve cenno il conferimento dell'unica azienda da parte
dell'imprenditore individuale, comminata dal comma 2-bis dell'art. 176 del
TUIR96, in sostituzione ad opera della finanziaria 2008, del precedente comma
6 del medesimo articolo. Il legislatore in merito alla fattispecie prospettata
stabilisce che "la successiva cessione delle partecipazioni ricevute a seguito del
conferimento è disciplinata dagli artt. 67, comma 1, lettera c), e 68, assumendo
come costo delle stesse l'ultimo valore fiscale dell'azienda conferita".
Innanzitutto la norma conferma l'applicabilità del regime di neutralità del
conferimento, nonostante che, a seguito della cessione dell'unica azienda il
soggetto conferente perde la qualifica di imprenditore. In secondo luogo, dal
testo normativo emerge che, l'eventuale realizzazione della plusvalenza
derivante dalla cessione delle quote ricevute in cambio sarà da considerarsi
nell'ambito delle cessioni di quote "qualificate", al di là dell'eventuale entità della
partecipazione. La ratio della norma è da ricercare alla sua origine, quando è
stata introdotta per la prima volta ad opera dell'art. 3 del D.lgs. n. 358 del 1997.
Ad opera di tale decreto era previsto che l'eventuale plusvalenza derivante dalla
cessione di partecipazioni ottenute in cambio del conferimento dell'unica
azienda, venisse attratta al regime di impresa, se ciò avveniva entro tre anni
dall'operazione di conferimento. In caso contrario essa sarebbe stata soggetta
alla tassazione secondo il regime del "capital gain" per le partecipazioni
"qualificate". Il legislatore aveva quindi individuato un criterio temporale per
determinare se il conferimento assumesse una veste cosiddetta modello
95
Ovvero il requisito di commercialità e quello della residenza in paesi non inclusi della Black List dei
paesi a fiscalità privilegiata
96
Come rileva l'Agenzia delle Entrate nella circolare 57/E del 2007 "di contenuto analogo al vecchio
comma 5 dell'art. 175 del TUIR"
39
"cessione"97 e quindi realizzativa, o se dovesse considerarsi modello detto
"trasformazione" assumendo quindi una funzione riorganizzativa. Con il venir
meno della fattispecie dei conferimenti d'azienda "realizzativi", il legislatore ha
ritenuto opportuno riconfigurare tale operazione in conformità al nuovo indirizzo
normativo assunto, estendendo a tutti i casi di conferimento dell'unica azienda
l'applicazione dei regimi contenuti agli artt. 67 e 68 del TUIR. Le disposizioni
contenute al comma 2-bis dell'art. 176 del TUIR si applicano anche nel caso in
cui sia conferita e ceduta la cosiddetta "impresa familiare"98.
1.2. La "Ratio Legis" del regime di neutralità fiscale nei conferimenti d'azienda
Nell'excursus normativo del precedente capitolo si è osservato come il
legislatore abbia modificato la propria posizione nei confronti dell'operazione di
conferimento. In particolare dall'analisi storica si può notare che il momento di
svolta sotto il profilo interpretativo e normativo, che ha segnato la rielaborazione
del paradigma dei conferimenti è stato sicuramente il D. Lgs. n. 358 del 1997.
Con tale decreto il legislatore si allontana dal concetto che vede il conferimento
d'azienda come un atto assimilabile alle cessioni (che aveva caratterizzato gli
interventi normativi del 1973) e riconfigura la fattispecie avvicinandola agli atti di
riorganizzazione aziendale, rendendola inidonea all'emersione di plusvalenze
fiscalmente rilevanti. Questa presa di posizione deriva in parte dal forte
aumento del fenomeno delle operazioni di aggregazione aziendale negli anni
novanta99, ma soprattutto da valutazioni di carattere giuridico, originate sia dalle
97
In merito PORCARO G., Le ragioni della sistematica neutralità delle recenti norme sulle ristrutturazioni
aziendali: dalla donazione, al conferimento alla fusione, in Rass. Trib., 6, 1997, pp. 1556 e ss.
98
ZANETTI E., Manuale delle operazioni straordinarie, Torino, 2013, pp. 418.
99
Rese necessarie dal contesto economico, e dall'accesso ai mercati internazionali da parte delle
aziende. Si prese atto anche della necessità di non influire fiscalmente sulle scelte di ristrutturazione
aziendale.
40
difficoltà di carattere applicativo che erano emerse dalla previgente normativa,
che dalla contrapposizione della dottrina in merito alla scelta operata dal
legislatore nell'equiparare le operazioni di conferimento agli atti di cessione
onerosa, e di sottoporle dunque a tassazione100. In merito alle difficoltà
applicative, esse erano emerse prevalentemente nei casi di conferimenti a
favore di società non quotate. La normativa infatti prevedeva la tassazione della
plusvalenza da conferimento determinata in ragguaglio al valore normale dei
beni apportati, il che rendeva estremamente difficile determinare il corretto
ammontare della plusvalenza. Oltre a ciò, tale sistema di determinazione
dell'imponibile rendeva l'operazione estremamente onerosa, e per tali motivi era
quasi scomparsa nella prassi101.
Condivisibili, poi, sono le motivazioni che avevano spinto la dottrina
maggioritaria ad esprimersi contrariamente sulla tassazione delle plusvalenze
derivanti da operazioni di conferimento. Innanzitutto il prelievo fiscale effettuato
in capo agli atti che realizzano plusvalenze privi di contropartita, quali ad
esempio, l'autoconsumo, il trasferimento della sede all'estero, e le destinazioni
estranee all'esercizio di impresa, è giustificato dalla chiusura del ciclo fiscale
d'impresa dei beni ad oggetto, ovvero dalla loro fuoriuscita dal regime normale
dei cespiti aziendali, se non addirittura dal circuito impositivo dello stato (nel
caso del trasferimento della sede all'estero). Nel conferimento invece i beni
vengono apportati nel medesimo regime, non concludendo alcun ciclo
fiscale102, e per ciò vengono meno le ragioni d'imposizione appena presentate.
All'opposto l' operazione di conferimento d'azienda mal si concilia con atti, come
100
In merito ZIZZO G., Le riorganizzazioni societarie nelle imposte sui redditi, Milano, 1996, pp. 13 e ss.
TURCHI A., Conferimenti ed apporti nel sistema delle imposte sui redditi, Torino, 2008, pp. 49 e ss.
102
In senso contrario MICCINESI M. Le plusvalenze d'impresa - Inquadramento teorico e profili
ricostruttivi, Milano, 1993, pp. 202 e ss. Ad opinione dell'autore "l'apporto in società recide il
collegamento dei beni con l'impresa originaria e quindi esaurisce il loro ciclo impositivo presso la
medesima, rendendo indefettibile la tassazione dei plusvalori".
101
41
quello della cessione103, dove il soggetto cedente ottiene una contropartita
monetaria certa nell'ammontare e nel realizzo. Con il conferimento, invero,
l'azienda conferente riceve in contropartita delle partecipazioni della società
conferitaria e quindi non realizza direttamente, o nell'immediato un reddito. In
poche parole nel conferimento il conferente non vende niente e la conferitaria
non compera nulla, ma più correttamente si da atto ad un contratto associativo
finalizzato all'apporto di beni per l'esercizio comune di un'attività di impresa.
Infine la tassazione di tale operazione ab origine, comporterebbe un'uscita
monetaria anticipata da parte dei soggetti, causando potenzialmente problemi
di natura finanziaria in capo ad essi.104
Nonostante quindi, in considerazione di tali corrette osservazioni, il
conferimento non si configuri, come un'operazione naturalmente idonea a
generare plusvalenze, poteva ancora essere ravvisata una "ragione fiscale"
legata al possibile "salto d'imposta" derivante dalla differenza tra i
valori
fiscalmente riconosciuti in capo alla conferente e quelli potenzialmente maggiori
o minori in capo alla conferitaria. Invero il riconoscimento dei maggior valori dei
beni aziendali conferiti in capo alla conferitaria comportava maggiori costi da
portare in deduzione in conto economico (quali ad esempio maggiori
ammortamenti), originando dunque un vantaggio fiscale in capo a quest'ultima.
Al fine di porre rimedio a tale complicazione, il legislatore, ha proposto due
diverse soluzioni. Innanzitutto con il D.Lgs. n. 358 del 1997 prima e il D.Lgs. n.
344/2003105 poi , viene rinviato il momento della tassazione al tempo della
realizzazione della plusvalenza, lasciando la scelta di determinare ai soggetti in
103
Che il legislatore degli anni '70 aveva preso come modello per i conferimenti.
LUPI R. Conferimenti d'azienda e fusioni nello schema di decreto delegato, in Rass. Trib., 3, 1997, pp.
531 e ss.
105
Il quale riporta rispettivamente agli artt. 175 e 176 del TUIR le previsioni contenute agli artt. 3 e 4 del
D.Lgs. n. 358/1997.
104
42
capo a chi far emergere tale plusvalore106. In particolare la plusvalenza poteva
affiorare o in capo al conferente (art. 175 del TUIR), al momento della cessione
della partecipazione ricevuta in cambio, o in capo al conferitario al momento
della cessione dei cespiti aziendali (art. 176 del TUIR)107. Nel primo caso si
costituiva un regime detto di continuità di valori contabili, in cui il conferente
iscriveva la partecipazione ottenuta in cambio ad un valore pari a quello
derivante dalla somma dei valori
di attivo e passivo conferiti 108, mentre la
conferitaria avrebbe riportato in bilancio i beni ricevuti allo stesso valore con cui
erano iscritti in capo alla conferente. Al momento della cessione della
partecipazione ottenuta in cambio, da parte del soggetto conferente, sarebbe
emersa una plusvalenza calcolata sulla differenza tra il valore di iscrizione della
partecipazione e il valore fiscalmente riconosciuto dell'azienda (dato dalla
somma aritmetica delle attività e delle passività). Secondo l'art. 176 del TUIR
invece, i soggetti potevano usufruire del regime di continuità dei valori fiscali,
altrimenti detto di neutralità, secondo cui il conferente avrebbe iscritto la
partecipazione ad un valore pari a quello fiscalmente riconosciuto dell'azienda,
mentre il soggetto conferitario sarebbe subentrato ai fini fiscali nella posizione
del conferente in ordine degli elementi dell'attivo e del passivo dell'azienda 109.
In tal modo l'emersione e la tassazione delle plusvalenze si sarebbe verificata
nel momento della cessione degli asset aziendali da parte del conferitario 110.
Con la finanziaria 2008, il regime di neutralità contenuto all'art. 176 del TUIR,
viene
consacrato
come
unico
regime applicabile
nelle operazioni di
conferimento di azienda. La scelta operata dal legislatore di rimuovere
106
In assenza di esplicitazione del regime fiscale si applicava il regime contenuto all'art. 176.
L'applicazione del regime di cui all'art. 175 invece richiedeva l'indicazione nell'atto di trasferimento.
107
L'art. 176 a differenza del 175 poteva essere applicato solo se il soggetto conferitario era una società
di capitali.
108
In tal modo contabilmente non emergeva alcuna plusvalenza.
109
Al quale era richiesta la compilazione di un prospetto di riconciliazione dei valori fiscali con quelli
contabili.
110
ZANETTI E., Cessione e conferimento d'azienda, Napoli, 2005, pp. 227 e ss.
43
l'applicazione dell'art. 175 del TUIR dai conferimenti d'azienda, sembra non
dipendere da ragioni sistematiche, come ad esempio il fatto che il conferimento
non permette di monetizzare i cespiti oggetto dall'operazione, ma più che altro
da ragioni fiscali cautelari atte a ridurre l'attività di pianificazione aziendale. In
particolare come si evince dalla relazione illustrativa n. 1817 del 2007, si è
inteso dar fine al fenomeno del cosiddetto "refreshing" delle perdite. Al fine di
non perdere la deducibilità delle perdite, a seguito della prescrizione, venivano
effettuati conferimenti "realizzativi" intermedi
111
. In merito a ciò, alcuni autori
hanno ritenuto spropositato l'intervento del legislatore in quanto il realizzo di
plusvalenze al fine del recupero delle perdite pregresse non è una prerogativa
dei conferimenti di azienda, ma sono frequenti anche per altri tipi di conferimenti
di beni in natura quali ad esempio marchi e brevetti, e non si giustifica quindi un
intervento con riferimento ai soli conferimenti d'azienda112. Oltretutto i
conferimenti effettuati a norma dell'art. 175 del TUIR sarebbero potuti essere
assoggettati, dalla norma antielusiva dell'art. 37-bis comma 3 lett. b) del DPR
600/73 rendendo inefficaci i vantaggi indebiti conseguiti con tali operazioni.
1.3. L'opzione per l'imposta sostitutiva in caso di conferimento in neutralità
fiscale
A seguito delle novità introdotte dall'art. 1 commi 46 ss. della legge
Finanziaria del 2008, il soggetto conferitario, durante un'operazione di
conferimento d'azienda, può scegliere di adottare il regime previsto dal comma
2-ter dell'art. 176 del TUIR, al fine di affrancare fiscalmente i maggiori valori
contabili iscritti tra le immobilizzazioni nei bilanci, che altrimenti andrebbero
111
CIANI F. Conferimenti di azienda sempre più neutrali, in Boll. Trib., 3, 2009, pp. 1165 e ss.
BEGHIN M., Saggi sulla riforma dell'IRES: dalla relazione Biasco alla Finanziaria 2008, Milano, 2008
pp. 214 e ss.
112
44
persi a seguito del regime di neutralità previsto dal medesimo articolo 113. Per
esercitare tale facoltà è richiesto il versamento di una imposta sostitutiva,
imperniata sull'applicazione di aliquote proporzionali e progressive (12%, 14% e
16%), divise per fasce di valori (rispettivamente da 0 a 5 milioni di euro; da 5
milioni a 10 milioni di euro e oltre i 10 milioni di euro), da applicare sui maggiori
valori attribuiti in bilancio ai soli cespiti iscritti nella voce delle immobilizzazioni.
Sulla base di quanto esposto è doveroso fare delle considerazioni.
Innanzitutto l'espressione "imposta sostitutiva" è scorrettamente utilizzata dal
legislatore in quanto come abbiamo visto dalle operazioni di conferimento
d'azienda non emergono mai redditi imponibili, perché ne il conferente realizza
alcuna plusvalenza, ne la conferitaria riceve alcun nuovo costo fiscalmente
deducibile.
In
mancanza
quindi
di
una
tassazione
ordinaria
sembra
assolutamente improprio definirla sostitutiva. Inoltre anche se il conferimento
d'azienda, per ipotesi, fosse idoneo a generare plusvalenze, essere
emergerebbero in capo al soggetto conferente e non certo in capo al soggetto
conferitario, cioè colui che può avvalersi dell'imposta sostitutiva. Secondo alcuni
autori sarebbe più consono farla piuttosto rientrare nel novero dei cosiddetti
tributi "volontari"114, ovvero un'imposta attivata solo per volontà manifesta del
contribuente, e finalizzata al solo scopo del riallineamento dei valori fiscali in
una logica di pianificazione fiscale. Sulla base di tali considerazioni la dottrina
maggioritaria ha osservato che l'applicazione di tale tributo rappresenta la
"garanzia di un prelievo fiscale commisurato alla ricchezza reale prodotta"115.
113
ZANETTI E. Conferimento d'azienda e cessione della partecipazione ricevuta in cambio, in Il Fisco, 6,
2008, pp. 941 e ss.
114
LUPI R. Un'imposta sostitutiva "consapevole", anche se non logicamente necessitata, in Dial. dir. Trib.,
9, 2007, pp. 1122 e ss.
115
STEVANATO D. L'impatto della PEX sul regime fiscale delle operazioni straordinarie e l'opportunità di
un'imposizione sostitutiva nella cessione e nei conferimenti di azienda, in Dial. dir. Trib., 9, 2007, pp.
1115 e ss.
45
Un'altra considerazione può essere fatta in merito al principio di
progressività introdotto nello schema dell'imposta de qua, il quale
richiama
il
concetto contenuto all'art. 53 della Costituzione. Seppure è apprezzabile
l'adozione di un sistema progressivo proporzionale, correlato alla misura
dell'imponibile, rimangono tuttavia oscure le ragioni che hanno spinto il
legislatore ad adottare uno schema a tre scaglioni. Tale scelta infatti pare non
rispondere ad alcuna logica sistematica, e anzi, si allontana dallo schema ad
unica aliquota proporzionale che era stato usato nella precedente adozione
dell'imposta sostitutiva sui conferimenti ad opera del D.Lgs. n. 358/1997. In quel
contesto l'adozione di un unica aliquota del 27% era giustificata dalla necessità
di uniformare il prelievo sulle plusvalenze derivanti da operazioni straordinarie
al fine di evitare arbitraggi tra le fattispecie. Siffatta aliquota invero
ricomprendeva sia le operazioni di cessione d'azienda, che quelle di
conferimento, oltre che essere adottata per l'affrancamento dei disavanzi da
fusione e scissione, ed inserita nella disciplina delle plusvalenze da cessione di
partecipazioni qualificate116. Tale uniformità di trattamento è venuta meno con
l'introduzione della partecipation exemption, che ha limitato la fungibilità tra
negozi giuridici finalizzati al trasferimento d'azienda. Invero a seguito della
previsione del regime di esenzione pex, cessione e conferimenti
hanno
assunto un propria disciplina fiscale. In tale contesto dunque, l'imposta
sostitutiva introdotta dal legislatore ad opera della legge finanziaria 2008, si
presenta esclusivamente come alternativa rispetto al regime di neutralità
previsto dall'art. 176 del TUIR, anche se come specifica la relazione illustrativa
al disegno di legge, ciò non significa che è possibile "tramutare la natura
dell'operazione in realizzativa"117. In tal senso, anche se viene pagata l'imposta
per riallineare i valori fiscali e contabili, rimangono applicabili le previsioni di cui
116
117
BEGHIN M. Conferimenti d'azienda e nuove imposte "sostitutive", in Corr. Trib., 3, 2008, pp. 185 e ss.
Atto parlamentare del senato n.1817 del 1997
46
all'art. 176 del TUIR in merito alla detassazione della plusvalenza e al
trasferimento dell'anzianità di possesso dell'azienda dal conferente alla
conferitaria.
In merito ai beni soggetti all'applicazione dell'imposta sostitutiva, il
legislatore specifica, nel corpo normativo del decreto attuativo, che possono
essere riallineati solamente gli "elementi dell'attivo" classificati "dal soggetto
conferitario
tra
le
immobilizzazioni
materiali
e
immateriali,
incluso
l'avviamento"118 e con riferimento esclusivo alle "differenze residue tra il valore
di iscrizione in bilancio dei beni ricevuti (...) e l'ultimo valore fiscalmente
riconosciuto dei beni stessi presso il soggetto conferente". Inoltre come fa
notare l'amministrazione finanziaria nella circolare 57/E, lo specifico riferimento
ai "beni", contenuto nel testo della norma esclude l'applicazione del regime di
imposizione sostitutiva agli pluriennali. Con riguardo invece alle attività
riconosciute e iscritte tra le immobilizzazioni immateriali secondo principi IAS/
IFRS, come le cosiddette "liste clienti", l'amministrazione finanziaria si è
espressa favorevolmente all'estensione dell'applicazione della disciplina de
qua, anche se esse di fatto si discostano dal concetto giuridico di bene 119.
L'affrancamento dei valori contabili, a differenza da quanto previsto per
l'imposta sostitutiva presente nell'ordinamento prima del 2003, può essere
previsto solo per una parte dei beni conferiti, lasciando al contribuente la facoltà
di decidere quali affrancare e sottoporre a tassazioni e quali invece escludere, a
patto che il riallineamento operi senza distinzioni per tutti i cespiti rientranti nella
stessa categoria. In particolare, a tal fine, identifica cinque categorie per i beni
immobili120, categorie per anno e per coefficiente di ammortamento per i beni
mobili, impianti e macchinari. Infine consente la libera determinazione dei beni
118
Art. 1 comma 1 del Decreto Attuativo
Circ. Agenzia delle Entrate, 28/E, 2009.
120
Ovvero aree fabbricabili, aree non fabbricabili, fabbricati strumentali per natura, fabbricati
strumentali per destinazione e fabbricati patrimoniali.
119
47
sottoposti al riallineamento e il conseguente pagamento dell'imposta sostitutiva
per i beni immateriali, compreso l'avviamento. Sempre coerentemente al
principio di elasticità adottato dal legislatore, è possibile inoltre applicare
l'imposta sostitutiva e di conseguenza affrancare "in tutto o in parte" i maggiori
valori di bilancio. Tuttavia nel caso in cui si decida di affrancare parzialmente
tali valori, essi dovranno essere spalmati in modo proporzionale tra tutti i beni di
una stessa categoria omogenea.
E bene in ultima osservare che al fine di evitare usi elusivi dell'imposta
sostitutiva il legislatore ha previsto un cosiddetto "periodo di sorveglianza" di tre
anni, all'interno del quale l'eventuale cessione del bene sottoposto ad
affrancamento fa decadere gli effetti dell'allineamento, e il conferitario sarà
dunque tassato sulla plusvalenza con riferimento ai valori fiscalmente
riconosciuti prima dell'esercizio del regime di imposizione sostitutiva con
conseguente riconoscimento di un credito d'imposta pari all'imposta pagata.
Con il D.L. n. 185 del 2008 è stata inserita un'altra imposta sostitutiva
che si sovrappone a quella prevista al comma 2-ter dell'art. 176. Invero, come
per altro indicato dall'Agenzia delle Entrate nella circolare 28/E del 2009,
l'assenza di una specifica previsione in merito al presupposto soggettivo di
applicazione, implica che esso sia il medesimo dell'imposta prevista all'art. 176.
Dunque il nuovo tributo non è del tutto autonomo, tuttavia, presenta
caratteristiche diverse. In primo luogo con il nuovo regime è possibile affrancare
beni esclusi dalla disciplina generale sull'imposta sostitutiva mentre altri
rimangono esclusi. In particolare è possibile affrancare oltre all'avviamento e ai
marchi anche altri beni immateriali, compresi gli oneri pluriennali che erano
esclusi dal regime dell'imposta sostitutiva introdotta nel 2007. Inoltre è possibile
sottoporre a rivalutazione anche attività diverse da quelle previste dal comma 2ter dell'art. 176 del TUIR quali ad esempio, rimanenze di magazzino, titoli non
48
iscritti tra le immobilizzazioni, e anche i crediti. Nel corpo normativo della nuova
imposta sostitutiva scompare anche la previsione che richiede l'estensione del
regime a tutte le categorie omogenee, conferendo al conferitario piena elasticità
nella determinazione dei beni oggetto di riallineamento e l'ammontare di
imponibile da far emergere. Le aliquote previste nel nuovo regime sono diverse
a seconda del bene e perdono il connotato della progressività che caratterizza
l'imposta prevista all'art. 176. Per i beni immateriali come avviamento, marchi e
beni immateriali l'aliquota è pari al 16%, mentre per i crediti l'imposta è dovuta
nella misura del 20%. Infine per le attività diverse dai crediti, che rientrano nel
novero del comma 11 dell'art. 15 del D.L. n. 185 del 2008, viene applicata
l'aliquota ordinaria ai fini IRPEF, IRAP e IRES, in maniera separata
dall'imponibile.
1.4. Il regime ordinario delle plusvalenze
L'art. 86 del TUIR dispone che le eventuali plusvalenze derivante dalla
cessione o da risarcimento per perdita o danneggiamento, o ancora la
destinazione a fini estranei all'attività di impresa, di beni diversi da quelli che
generano ricavi , concorrono alla formazione della base imponibile di impresa. I
beni plusvalenti dunque vengono individuati dal legislatore in via residuale
rispetto ai beni cosiddetti beni merce, e a seguito del verificarsi di un qualsiasi
evento121 che ne determina un uscita dal regime d'impresa, sono idonei a far
emergere una plusvalenza imponibile122. La determinazione della base
imponibile emergente dalle operazioni delineate dal legislatore, è data dalla
differenza positiva (o negativa nel caso delle minusvalenze), tra il corrispettivo
121
Con esclusione della donazione o dalla perdita del bene senza successivo risarcimento, e ovviamente
nel caso dell'azienda delle operazioni di riorganizzazione effettuate in regime di neutralità.
122
STEVANATO D., Plusvalenze e minusvalenze nel diritto tributario, in Riv. Dir. Trib., 1, 1994, pp. 1089 e
ss.
49
ricevuto in cambio del trasferimento o il risarcimento, (o in mancanza il suo
valore normale) e il suo valore fiscalmente riconosciuto. Rientrano sotto tale
regime anche le plusvalenze derivanti dalla cessione di un intero complesso
aziendale le quali concorrono a formare reddito tenuto conto anche
dell'eventuale avviamento. Tuttavia la cessione d'azienda presenta delle
peculiarità che richiedono un doveroso approfondimento. Innanzitutto la
cessione d'azienda o il risarcimento ottenuto per la perdita di essa comportano
come per i singoli cespiti l'emersione di una plusvalenza o di una minusvalenza
determinate sulla base delle previsioni contenute rispettivamente agli art. 86 e
101 del TUIR, ossia "dalla differenza fra corrispettivo o l'indennizzo conseguito
al netto degli oneri accessori di diretta imputazione, e il costo non
ammortizzato". Ancora "Concorrono alla formazione del reddito anche le
plusvalenze delle aziende, compreso il valore di avviamento, realizzate
unitariamente mediante cessione a titolo oneroso". Nel caso in cui un'azienda
non sia obbligata alla redazione dello stato patrimoniale, in quanto rientrante nel
regime di contabilità semplificata, tale plusvalenza va calcolata facendo
riferimento ai valori iscritti nei libri dei cespiti ammortizzabili o dalle scritture IVA
obbligatorie. L'agenzia delle entrate con la circolare n. 41/E del 2002 ha anche
chiarito che nel caso di cessione dell'azienda in corso di esercizio, il calcolo del
valore dei cespiti ceduti, va fatto tenendo conto degli ammortamenti fiscali
computati sulla base della porzione di esercizio che precede il trasferimento.
Sempre con riferimento alle operazioni previste all'art. 86 comma 2, aventi ad
oggetto un complesso aziendale, il legislatore ha concesso diverse modalità di
tassazione. Una ordinaria e una seconda opzionale in tassazione separata.
Scegliendo la tassazione ordinaria il cedente può scegliere se far emergere la
plusvalenza in un'unica soluzione nell'esercizio in cui si è conclusa l'operazione
oppure in maniera rateizzata, in quote costanti fino ad un massimo di cinque 123.
123
Per l'imprenditore individuale la possibilità di rateizzare la plusvalenza è concessa al verificarsi
50
Per accedere a quest'ultima opzione tuttavia è richiesto che il soggetto
possieda da più di tre anni l'azienda ceduta, avendo riguardo non del giorno
dell'acquisizione dei singoli beni, ma del giorno in cui l'azienda è stata
acquistata o costituita124. Un secondo regime per la tassazione delle
plusvalenze da cessione d'azienda è previsto solamente per l'imprenditore
individuale che abbia posseduto l'azienda almeno 5 anni. Tale regime prevede
una tassazione separata ad un'aliquota corrispondente alla metà del reddito
dichiarato nei due anni antecedenti alla cessione125. Si tratta di un regime
opzionale al quale l'imprenditore individuale può accedere attraverso l'espressa
indicazione nella dichiarazione dei redditi dell'anno in cui le plusvalenze in
oggetto risultano imponibili. 126
Tra le operazioni che comportano la fuoriuscita dei beni dalla sfera
d'impresa è opportuno approfondire anche il caso della permuta di uno o più
beni ammortizzabili, per i quali è prevista una disciplina speciale. Infatti, nel
caso in cui si riceva in cambio del trasferimento un altro bene ammortizzabile,
ed esso viene iscritto allo stesso valore del bene ceduto, sarà considerata
plusvalenza solamente l'eventuale conguaglio in denaro pagato al cedente.
Attraverso tale previsione consente al cedente di trasferire sul nuovo bene il
valore fiscalmente riconosciuto di quello vecchio, e così di rimandare la
realizzazione ai fini fiscali della plusvalenza al momento della successiva
cessione del nuovo bene. Con particolare riferimento alla permuta di azienda
invece in passato la dottrina si era espressa a favore dell'idoneità
dell'operazione
a
generare
plusvalenze
imponibili.
In
particolare
tale
interpretazione era giustificata dal fatto che la permuta, esattamente come per
dell'ulteriore condizione che l'azienda l'attività di impresa dopo la cessione.
124
Così si è espressa l'Agenzia delle Entrate in merito, con la circolare n. 320/E del 1997
125
Nel caso nei due anni precedenti non si rilevasse alcun reddito imponibile si applicherebbe l'aliquota
più bassa ai fini IRPEF.
126
GIOVANNINI P., Le imposte sui redditi, in AA.VV., Operazioni di finanza straordinaria a cura di G.
Cristofori, Milano, 2010, pp. 338 e ss.
51
la cessione, è un contratto che prevede prestazioni corrispettive, con la sola
differenza che una prevede una controprestazione monetaria, mentre l'altra,
ovvero la permuta, prevede due prestazioni in natura. Di conseguenza la sola
diversa natura delle prestazioni non può di per sé far venir meno l'imponibilità
della operazione. Tale impostazione, adottata anche dal legislatore, sia nella
riforma tributaria del 1971 che nel Testo Unico127, è tuttavia derogata al terzo
periodo del comma 2 dell'art. 86 del TUIR. In particolare il testo dispone che
"Se il corrispettivo della cessione è costituito esclusivamente da beni
ammortizzabili, anche se costituenti un complesso o ramo d'aziendale, e questi
vengono complessivamente iscritti nel bilancio allo steso valore al quale vi
erano iscritti i beni ceduti, si considera plusvalenza soltanto il conguaglio
economico in denaro eventualmente pattuito". In merito al motivo di tale
previsione la dottrina non si è espressa in modo univoco. Alcuni autori rilevano
esclusivamente
una
mera
semplificazione
del
sistema128,
altri
invece
sostengono che la stessa sia una disposizione incentivante atta al
rafforzamento dell'apparato produttivo nazionale129. Invece con riferimento al
testo normativo, la locuzione esclusivamente con riferimento ai beni
ammortizzabili sembrerebbe affermare che l'azienda, per essere sottoposta al
regime de qua, dovrebbe essere completamente composta da tali beni,
escludendo tutte le operazioni aventi ad oggetto aziende composte anche da
cespiti non ammortizzabili. Inoltre sempre, analizzando il contenuto letterale del
testo di legge, la disposizione prevede che l'azienda deve essere iscritta al
bilancio ad un valore contabile pari a quello "complessivamente" apportato dai
beni ceduti in permuta può essere fonte di comportamenti distorsivi. Invero, in
tal modo, il soggetto permutante potrebbe iscrivere i beni caratterizzati da un
127
Il comma 2 dell'art. 86 del TUIR invero prevede la rilevanza ai fini della determinazione dell'imponibile
da parte delle plusvalenze realizzate a seguito della cessione, e quindi anche di permuta, d'azienda
128
Si veda in merito P. BORIA, Permuta nel diritto Tributario, Dig. Disc. Priv. sez. Comm. Torino, 1995.
129
BEGHIN M. La riorganizzazione delle attività produttive attraverso permute "neutrali", in Corr. Trib.,
25, 2004, pp. 1944 e ss.
52
ammortamento fiscale più celere ad un valore più alto130. Tuttavia in merito a
tali questioni autorevole dottrina sostiene che tali effetti non sono antitetici al
regime previsto dall'art. 86 del TUIR, in quanto già scomputati in sede di
elaborazione della legge131.
1.5. Il regime di esenzione delle plusvalenze
La riforma del 2003, ad opera del D.Lgs. n.344/2003, ha modificato
profondamente la disciplina dei redditi derivanti da partecipazioni societarie132
sia con riferimento agli utili e alle plusvalenze. Invero, come già accennato nel
capitolo precedente, al fine di affrontare l'annoso problema dell'imposizione sui
redditi societari il legislatore ha abbandonato il previgente metodo del credito di
imposta ed ha adottato il metodo dell'esenzione, per altro già utilizzato da molti
paesi della comunità europea. Il concetto che sta alla base è che le plusvalenze
sulle partecipazioni semplicemente derivino o da utili già conseguiti ed
accantonati dall'impresa133, e quindi già sottoposti a tassazione, o dalla
prospettiva di utili futuri i quali saranno sottoposti a tassazione al momento della
loro realizzazione in capo all'azionista134. Proprio alla luce di tali considerazioni
la logica della partecipation exemption si fonda, come si evince dai documenti
esplicativi di fonte governativa, su due principi fondamentali ovvero la
130
BEGHIN M., La riorganizzazione delle attività produttive attraverso permute "neutrali", in Corr. Trib. ,
25, 2004, pp. 1944 e ss.
131
PEDROTTI F., Cessioni di aziende e di partecipazioni sociali nel reddito di impresa ai fini dell'IRES,
Milano, 2010, pp. 138.
132
Si vuole precisare che, con riguardo al profilo oggettivo di applicazione dell'esenzione, rientrano nel
regime di esenzione oltre che le cessioni di azioni e di quote di società anche il trasferimento di
strumenti finanziari similari alle azioni e di contratti di associazione in partecipazione. In tal senso
l'Agenzia delle entrate nella circ. n. 36/E del 2004.
133
E' stato tuttavia osservato che tale corollario non corrisponde sempre al vero, ma al contrario non
sempre le plusvalenze dipendono esclusivamente dalla redditività dell'impresa, ma possono essere
correlate ad altri fattori.
134
FALSITTA G., Manuale di diritto Tributario, Padova, 2005, pp. 298
53
tassazione solo in capo alla società e non ai soci, e l'esclusione della
tassazione dei dividendi. Attraverso tale sistema la società cessa di essere un
soggetto che anticipa la tassazione all'azionista, come avveniva per il sistema
del credito di imposta, e diventa soggetto autonomo di imposta. La scelta del
sistema di esenzione si basa inoltre sulla volontà, desumibile dalle relazioni
esplicative, di tassare il reddito al momento della sua produzione e non al
momento
della
sua
distribuzione.
Tassare
entrambe
le
operazioni
significherebbe duplicare il prelievo fiscale, prima in capo alla società e poi in
capo all'azionista, sul medesimo reddito. Al fine di evitare la doppia tassazione
si è ritenuto necessario quindi provvedere ad una equiparazione tra le
plusvalenze generate dalla cessione di partecipazioni e i dividendi.
La maggior evoluzione in tal senso è quella relativa alla tassazione delle
plusvalenze comminata all'art. 87 del TUIR. Invero, se per i dividendi è stato
previsto
un'
ammodernamento
della
previgente
normativa
consistente
nell'abrogazione delle previsioni sul credito d'imposta contenute all'art. 89 del
TUIR, per le plusvalenze invece è stata introdotto un regime completamente
nuovo. Nel vecchio sistema difatti era in vigore un principio di sospensione
dell'imposizione sulle plusvalenze che rinviava la tassazione al momento del
realizzo; di conseguenza esse sarebbero state sottoposte al medesimo regime
previsto all'art. 86 del TUIR135. Con le novità introdotte dal D.Lgs. 344/2003,
invece le plusvalenze da cessione di partecipazioni concorrono solo in parte
alla formazione del reddito imponibile. Dato il forte contenuto agevolativo del
nuovo art. 87 il legislatore ha provveduto ad evitare un indebito utilizzo
definendo dei limiti applicativi. Infatti mentre per quanto riguarda i dividendi, la
loro esclusione richiede il solo requisito della residenza della società al di fuori
di uno dei paesi a fiscalità privilegiata, per le plusvalenze invece sono richieste
135
GARBARINO C., Le plusvalenze esenti, in AA.VV., Istituzioni di diritto Tributario, a cura di F. Tesauro,
Milano, 2011, pp. 179 e ss.
54
ben quattro condizioni, di cui due soggettive e due oggettive. Il primo requisito
soggettivo contenuto alla lett. a) del 1° comma dell'art. 87 del TUIR è
"l'ininterrotto possesso dal primo giorno del dodicesimo mese136 precedente
quello dell'avvenuta cessione". Specifica poi la previsione che se la
partecipazione è stata acquisita in più date, si considerano "cedute per prime le
azioni o quote acquisite in data più recente". Quindi nel caso in cui solo una
parte delle partecipazioni abbia i requisiti previsti dalla lettera a) si dovrà
procedere alla suddivisione della parte imponibile da quella esentata. Tale
previsione è finalizzata a circoscrivere l'applicazione del regime di esenzione a
partecipazioni che rappresentano un investimento duraturo per il soggetto
cedente. Ciò perché vi è la presunzione che più è lungo il periodo di detenzione
delle partecipazioni, più il plusvalore accumulato da esse è legato alla redditività
dell'azienda che rappresentano. Vengono quindi escluse dal legislatore tutti gli
investimenti effettuati nel breve termine, con la presunzione che essi derivino
meramente da attività speculative sui titoli, e le cui plusvalenze quindi
dipenderebbero più dagli andamenti del mercato mobiliare che dalla capacità
reddituale delle imprese detenute. Nel secondo periodo della lettera a) del
comma 1 dell'art. 87 del TUIR, il legislatore ha poi previsto un metodo per
determinare il calcolo del "holding period" in presenza di partecipazioni
acquistate in date diverse. In particolare c'è una presunzione di cessione per le
partecipazioni per ultime acquistate. Tuttavia dalla relazione illustrativa al
D.Lgs. n. 344/2003 specifica che "Tale presunzione di cessione opera
relativamente alla sola ipotesi di acquisto di una medesima partecipazione
effettuato in più tranche qualora uno o più di tali acquisti non soddisfano la
condizione minima di possesso richiesta nella lett. a). Diversamente, qualora
136
Il D.L. n. 203/2005 aveva allungato il periodo di "holding period" a diciotto mesi. Tuttavia a causa di
evidenti asimmetrie che si erano generate, in particolare con le previsioni relative alle minusvalenze, la
finanziaria del 2008 ha provveduto a riportare il periodo minimo di possesso a dodici mesi come in
origine. In merito si veda Lettera Circolare Assonime del 30 settembre 2005.
55
tutti gli acquisti dovessero soddisfare la condizione indicata sia nella citata lett.
a), che nelle successive lettere da b) a d), l'impresa è libera di individuare il
costo di acquisto della partecipazione da contrapporre al valore di realizzo,
secondo il metodo di valutazione dei titoli prescelto, non essendo obbligata al
rispetto del criterio Lifo previsto nella lett. a)" 137. In altre parole il criterio LIFO,
previsto dal testo normativo va applicato esclusivamente nel caso in cui una
parte delle partecipazioni non risponda ai requisiti di cui alla lett. a) e ai soli fini
della determinazione del periodo di possesso138. Il contribuente, quindi, non è
vincolato all'utilizzo di tale criterio per la determinazione del valore delle
partecipazioni cedute139. Il requisito del "holding period" deve applicarsi
indistintamente anche alle società neo costituite140, con l'unica eccezione per
società nate a seguito di operazioni di riorganizzazione aziendale, come quelle
di fusione o scissione totale. Tale esclusione dal requisito di possesso minimo
deriva dal fatto che il patrimonio oggetto dell'operazione di scissione o fusione,
anche se viene trasferito in un nuovo soggetto giuridico, non perde la sua
identità, e quindi l'anzianità della partecipazione nella Newco sarà pari a quella
della vecchia partecipazione iscritta. La trasmissione della caratteristiche della
partecipazione da quella precedentemente iscritta a quella nuova opera anche
nei confronti del secondo requisito soggettivo previsto per l'applicazione del
regime di esenzione ovvero l'iscrizione delle azioni o delle quote tra le
immobilizzazioni finanziarie "nel primo bilancio chiuso durante il periodo di
possesso"141. Con riferimento a quest'ultimo è evidente che la ratio del
legislatore è la stessa che soggiace al requisito di possesso minimo, ovvero la
137
Atto parlamentare del senato n.1817 del 1997
FERRANTI G. Periodo minimo di possesso e iscrizione tra le immobilizzazioni per la "participation
exemption", in Corr. Trib., 24, 2004, pp. 1867 e ss. In tal senso anche VIOTTO A., Il regime tributario delle
plusvalenze da partecipazioni, Torino, 2013, pp. 268.
139
Così l'Agenzia delle entrate nella circ. n. 36/E, 2004.
140
Di questo avviso l'Agenzia delle entrate nella già citata circ. n.36/E, 2004
141
G. CRISTOFORI e PINI D., La cessione e il conferimento di partecipazioni sociali - Aspetti fiscali, in
AA.VV., Operazioni di finanza straordinaria, a cura di G. Cristofori, Milano, 2010, pp. 137 e ss.
138
56
volontà di ricomprendere all'interno del regime di esenzione le sole
partecipazioni detenute al fine di un investimento sufficientemente durevole,
verificando in tal caso che ci sia un rapporto stabile tra la partecipata e la
partecipante. La collocazione tra le immobilizzazione finanziarie delle
partecipazioni non dipende da caratteristiche oggettive ma semplicemente dalla
destinazione economica che gli viene attribuita dalla società che le detiene.
Come disposto dall'art. 2424-bis del c.c. esse dovranno essere iscritte tra le
immobilizzazioni
se
destinate
ad
essere
utilizzate
durevolmente"142143.
Proseguendo poi nella lettura del testo normativo, il legislatore specifica che
l'iscrizione dovrà avvenire "nel primo bilancio chiuso durante il periodo di
possesso". Innanzitutto si fa riferimento al bilancio "chiuso" e non a quello
"approvato", e per cui per il rispetto del requisito de quibus non è richiesta
l'approvazione
del
bilancio.
Ciò
sembra
rispondere
all'esigenza
di
semplificazione necessaria al fine di estendere il regime pex anche alle stabili
organizzazioni di società non residenti, per le quali non esiste alcun obbligo di
approvazione144. Ulteriori chiarimenti richiede poi il caso di riqualificazione delle
partecipazioni. Non viene infatti specificato dal legislatore se le partecipazioni
devono, al fine del rispetto del requisito di cui alla lettera b) dell'art. 87 del TUIR,
rimanere iscritte tra le immobilizzazioni finanziarie, oppure se sia sufficiente la
loro previa iscrizione al primo bilancio di possesso, senza rilevare la sua
successiva riclassificazione. Anche se la prima soluzione sembra più coerente
142
Per quanto riguarda le imprese "minori" esse devono ritenersi escluse dall'applicazione del regime di
cui all'art. 87 del TUIR in quanto non essendo obbligate alla redazione dello stato patrimoniale, non
rispettano il requisito dell'iscrizione della partecipazione tra le immobilizzazioni. In merito si veda
FERRANTI G., Aspetti particolari della "participation exempion", in Corr. Trib., 47, 2004, pp. 3679 e ss.
143
Con riferimento alle azioni proprie invece, considerato che, se superano i limiti consentiti dalla legge
devono essere cedute entro un anno dal loro acquisto non si ritiene che esse possano essere inserite tra
gli investimenti durevoli. Oltretutto l'art. 82 del TUIR che dispone in merito, richiama ai fini della
rateizzazione delle eventuali plusvalenze l'art. 86 del TUIR, suggerendo quindi l'applicazione del regime
ordinario per le plusvalenze. In merito e FERRANTI G., Classificazione delle partecipazioni tra le
immobilizzazioni nella "participation exemption", in Corr. Trib., 45, 2004, pp. 3519 e ss.
144
GARBARINO C., Le plusvalenze esenti, in AA.VV., Istituzioni di diritto Tributario, a cura di F. Tesauro,
Milano, 2011, pp. 179 e ss.
57
con la logica che integra la norma, il Ministero si è espresso in senso contrario,
e ha chiarito che ai fini del rispetto del requisito, è sufficiente esclusivamente la
prima iscrizione nel primo bilancio, a nulla rilevando le successive
riqualificazioni operate negli esercizi successivi145. Un ultima puntualizzazione è
doverosa in merito all'iscrizione delle partecipazioni tra le immobilizzazioni
finanziarie. Nonostante l'amministrazione non possa sindacare le scelte
economiche della società146, l'eventuale iscrizione delle partecipazioni tra le
immobilizzazioni finanziarie in mancanza di una valida ragione economica, e
con il solo scopo rientrare tra i requisiti di esenzione e ottenere un risparmio di
imposta, è configurabile, per espressa previsione normativa 147, come
operazione elusiva a norma dell'art. 37 bis, dpr 600/1973, con conseguente
disconoscimento dei vantaggi indebiti ottenuti148.
Passando ai requisiti cosiddetti soggettivi, il primo di essi si trova alla
lettera c) del comma 1 dell'art. 87 del TUIR, dove è previsto che, ai fini
dell'esenzione la società ceduta deve essere fiscalmente residente in uno stato
diverso da quelli ai fiscali privilegiata, salvo dimostrare tramite interpello,
secondo le modalità del comma 5, lett. b) dell'art 167 che sin dall'inizio della
detenzione delle partecipazioni, non si sia ottenuto l'effetto di localizzare i
redditi in tali stati. Inoltre tale requisito deve sussistere in modo continuativo
almeno dall'inizio del terzo periodo d'imposta anteriore al realizzo 149. Si
145
RUSSO V., I soggetti passivi dell'IRES e la determinazione dell'imponibile e FERRANTI G.,
Classificazione delle partecipazioni tra le immobilizzazioni nella "participation exemption", in Corr. Trib.,
45, 2004, pp. 3519 e ss.
146
In tal senso si è espresso lo stesso Ministero delle finanze, nella circolare n. 73/E/1994. Tuttavia vi è
una corrente dottrinale contraria a tale impostazione, che ritiene che l’Amministrazione finanziaria
abbia il poter di contestare le scelte di bilancio, al fine di tutelare l’interesse giuridico protetto dal
legislatore Tributario. In merito VIOTTO A., Il regime tributario delle plusvalenze da partecipazioni,
Torino, 2013, pp. 296 e ss.
147
Comma 1, lett. e), art. 2, del D.Lgs. 344/2003
148
G. FERRANTI, Classificazione delle partecipazioni tra le immobilizzazioni nella "participation
exemption", in Corr. Trib., 45, 2004, pp. 3519 e ss.
149
GARBARINO C., Le plusvalenze esenti, in AA.VV., Istituzioni di diritto Tributario, a cura di F. Tesauro,
Milano, 2011, pp. 212 e ss.
58
denotano due logiche ragioni sottostanti a tale previsione. Una di carattere
sistematico, in quanto la quasi totale mancanza di prelievo in capo alla società
partecipata situata in uno stato a fiscalità privilegiata, comporta l'assenza del
problema della doppia tassazione; anzi applicare il regime di esenzione
all'eventuale plusvalenza da cessione, consentirebbe una doppia esclusione dei
redditi. La seconda ragione è di tipo anti-elusivo. Infatti tale requisito mira anche
ad evitare l'acquisto di società situate in paradisi fiscali al fine di ottenere delle
plusvalenze completamente detassate.
Anche per quanto riguarda la
sussistenza ininterrotta da almeno tre esercizi del requisito della residenza, si
può rilevare una logica anti-elusiva. Invero il principio di continuità serve ad
evitare che si effettuino trasferimenti da paesi a fiscalità straordinaria a paesi a
fiscalità ordinaria in prossimità della cessione delle partecipazioni150. Infine con
riferimento alle società costituite da meno di tre anni151 l'agenzia delle entrate
ha chiarito che bisogna tener conto, ai fini del computo del periodo rilevante, del
tempo trascorso tra l'atto di costituzione della società e la data in cui avviene la
cessione delle quote152. In merito al contenuto dell'interpello, richiesto nel caso
di residenza fiscale della società partecipata in uno stato a fiscalità privilegiata,
al fine di dimostrare che "dalle partecipazioni non sia stato conseguito, sin
dall'inizio del periodo di possesso, l'effetto di localizzare i redditi in Stati o
territori diversi da quelli individuati nel medesimo decreto di cui all'articolo 168bis"153, è richiesto di provare che più del 75% dei redditi della società 154 siano
stati prodotti al di fuori del territorio fiscalmente "paradisiaco", e quindi sottoposti
150
GARBARINO C., Le plusvalenze esenti, in AA.VV., Istituzioni di diritto Tributario, a cura di F. Tesauro,
Milano, 2011, pp. 216 e ss.
151
Nel caso in cui la partecipazione sia posseduta da un periodo inferiore ai 3 anni, sarà onere della
società partecipante provvedere a risalire alle caratteristiche della partecipata per il periodo in cui non
era detenuta. Così l'Agenzia delle entrate nella già più volte citata circolare n. 36/E del 2004.
152
Circ. Agenzia delle Entrate, 36/E, 2004.
153
Comma 1, lett. c), art. 87 del TUIR.
154
Percentuale desumibile nel D.M. 21 novembre 2001, come confermato dall'Amministrazione
finanziaria nella circolare 26/E del 2004
59
a tassazione ordinaria. Attraverso tale dimostrazione quindi è possibile sanare
la carenza del requisito oggettivo di cui all'art. 87 del TUIR lett. c) del 1° comma
155
.
Ultimo requisito per l'applicazione del regime di esenzione delle
plusvalenze è contenuto alla lett. d) del 1° comma dell'art. 87 TUIR, ed attiene
alla natura dell'attività svolta dall'azienda partecipata. Si richiede, in particolare,
"l'esercizio da parte della società partecipata di un'impresa commerciale
secondo la definizione di cui all'articolo 55"156. Innanzitutto è da notare come il
legislatore nel D.Lgs. n.344/2003 non abbia adottato la stessa formulazione
espressamente prevista nella legge delega n. 80/2003 che al comma 1, lett. c)
faceva espresso richiamo ad una "effettiva" attività commerciale, senza per
altro fare alcun richiamo all'art. 55 del TUIR, il quale contiene una nozione di
commercialità molto più estesa rispetto a quella prevista all'art. 2195 del codice
civile. Secondo tale impostazione dunque sono da ritenersi attività commerciali,
oltre a quelle previste dal codice civile, anche:
1. "l'esercizio di attività organizzate in forma d'impresa dirette alla
prestazione di servizi che non rientrano nell'art. 2195 c.c.;
2. l'attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e
altre acque interne;
3. l'esercizio delle attività agricole di cui all'articolo 32, pur se nei limiti ivi
stabiliti, ove spettino alle società in nome collettivo e in accomandita
semplice nonché alle stabili organizzazioni di persone fisiche non
residenti esercenti attività di impresa."157
155
DODERO A., Residenza fiscale della società partecipata e rapporti tra interpelli, in Corr. Trib., 40,
2004, pp. 3131.
156
Comma 1, lett. d), art. 87 del TUIR.
157
Comma 2, lett. a), b), e c), Art. 55 del TUIR.
60
Tale impostazione sarebbe stata adottata al fine di utilizzare una
definizione più precisa rispetto a quella del codice civile, lasciando quindi meno
margini di discrezione, evitando quindi possibili dubbi interpretativi 158.
Chiarimenti sono stati comunque necessari, tuttavia, in merito al caso della
cessione di una società partecipata messa in liquidazione, in quanto in questa
fase non può riscontrarsi l'ordinaria attività di impresa. Invero a tal proposito è
intervenuta l'agenzia delle entrate con la circolare n.10/E del 2005, nella quale
ha individuato le procedure da seguire, in caso di accertamento, per la verifica
del requisito della commercialità.
In particolare l'Agenzia delle Entrate ha
stabilito che tale requisito deve sussistere nei tre anni antecedenti all'apertura
della liquidazione, anziché dalla data di cessione della partecipazione. Per
talune fattispecie poi, il legislatore ha individuato un principio di presunzione
assoluta di non commercialità. In particolare non potranno mai ritenersi imprese
commerciali (ai fini dell'art. 87 del TUIR), nemmeno fornendo prova contraria, le
società il cui patrimonio sia prevalentemente159 costituito da beni immobili non
strumentali160. La ratio della norma è stata evidenziata nella circolare
dell'Agenzia delle Entrate n. 152/E del 2004. In particolare, il fine è evitare che
la cessione società composte unicamente da beni patrimonio "si ponga sullo
stesso piano di teorica equivalenza rispetto alla cessione degli immobili" 161, e
che attraverso la cessione delle partecipazioni si ottenga l'esenzione dei beni di
primo grado in capo alla società, i quali sarebbero invece stati sottoposti al
regime ordinario contenuto all'art. 86 del TUIR. Quindi l'applicazione dell'art. 87
del TUIR sarà ammessa solo nel qual caso l'impresa svolga come effettiva
158
MOSCAROLI R. e MOSCARIELLO M., La commercialità nel regime della "participation exemption".
Rilievi critici sui recenti orientamenti restrittivi, in Boll. Trib., 13, 2010, pp. 1018 e ss.
159
Così come specificato nella relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 344/2003, la prevalenza va
verificata prendendo in esame i valori correnti degli immobili e non i valori contabili.
160
MASTROBERTI A., Per la commercialità P.ex. spazi di manovra ristretti, Prat. fisc. e prof., 34, 2009, pp.
19 e ss.
161
Ris. Agenzia delle Entrate, n. 152/E, 2004.
61
attività la costruzione o la vendita degli immobili162 che in tal caso verrebbero
classificati come beni merce o strumentali163. Con riferimento invece la
concessione in locazione e godimento la circolare 36/E del 2004 ha escluso
tale fattispecie dal novero delle attività commerciali e quindi le cessioni di
partecipazioni di società che svolgono attività prevalentemente di gestione
immobiliare quindi sono escluse dal regime di esenzione delle plusvalenze 164.
Tuttavia va precisato che, nel caso in cui la società sia proprietaria di rami
d'azienda ceduti in affitto, i fabbricati eventualmente inclusi sono da
considerarsi utilizzati nell'esercizio di impresa, nel caso in cui oltre alla
locazione siano connessi funzionalmente ad una serie di servizi 165. Invero, in
risposta all'interrogazione n.5-03920 la commissione Finanze della Camera, ha
affermato che "nel caso in cui la locazione degli immobili sia affiancata anche
da servizi accessori di significativa entità, per cui il contratto non assume più
sostanza di un contratto di locazione commerciale ovvero di affitto di azienda
bensì di prestazione di servizi integrati, gli immobili possono essere classificati
tra i fabbricati utilizzati direttamente nell'esercizio dell'impresa (...) e quindi
esclusi dalla verifica della cosiddetta prevalenza"166. In altre parole per valutare
correttamente se troverà o meno applicazione il regime della partecipation
exemption bisognerà verificare se le caratteristiche e la gestione di beni
immobili consentano la loro iscrizione tra le rimanenze di magazzino. In caso
contrario, se la locazione perde la sua funzionalità con l'attività di vendita, i
fabbricati dovranno essere iscritti tra le immobilizzazioni e in sede di cessione
162
Nella circolare 36/E del 2004 è stato chiarito che l'attività di compravendita degli immobili non si
limita alla volontà di cederli. Quindi la mancanza di atti di vendita e la durata pluriennale dei contratti
configurano un attività di locazione.
163
Associazioni Dottori Commercialisti Milano, norma di comportamento n.166
164
In questo senso l'Agenzia delle Entrate, circ. n. 7/E, 2013.
165
In tal senso si esprime anche l'Associazione Italiani Dottori Commercialisti con la norma di
comportamento n. 166
166
CRISTOFORI G. e PINI D., La cessione e il conferimento di partecipazioni sociali - Aspetti fiscali, in
AA.VV., Operazioni di finanza straordinaria, a cura di G. Cristofori, Milano, 2010, pp. 149 e ss.
62
delle partecipazioni della società non sarà possibile usufruire del regime di
esenzione167. Coerentemente con quanto osservato fino ad ora, si è espressa
l'Agenzia delle Entrate, anche nel caso di locazione dell'unica azienda. Con la
risoluzione n.165/E del 2005, ove la società istante provvedeva esclusivamente
alla
percezione
di
un
canone
derivante
dall'affitto
dell'azienda,
l'Amministrazione finanziaria ha ritenuto non applicabile, in sede di cessione
delle quote, il regime di esenzione "pex" proprio per difetto del requisito di cui
alla lettera d).
1.6. Regime PEX nella successiva cessione delle partecipazioni e non
sindacabilità ai sensi della disposizione elusiva
Dopo la doverosa introduzione effettuata nei precedenti capitoli, è ora più
agevole spiegare come la partecipation exemption trova applicazione nella
fattispecie del conferimento. Come anticipato, infatti, è possibile attraverso una
consecutio di atti cartolarizzare l'azienda per poi cederne successivamente le
partecipazioni, sfruttando il regime di esenzione contenuto all'art. 87 del TUIR.
Chiaramente per usufruire dell'esenzione le partecipazioni cedute dovranno
presentare congiuntamente le quattro caratteristiche richieste dalla disciplina,
ovvero un periodo di detenzione o "holding period" superiore ai 12 mesi,
l'iscrizione tra le immobilizzazioni finanziarie, la residenza fiscale della società
partecipata al di fuori di paesi a fiscalità privilegiata e l'esercizio da parte della
stessa di un'attività commerciale. Al fine del coordinamento delle due fattispecie
il legislatore ha predisposto all'art. 176 del TUIR alcune previsioni che
consentono alle partecipazioni ricevute in seguito al conferimento d'azienda di
ottenere in modo agevole, in sede di realizzo, l'esenzione delle eventuali
167
In tal senso Assonime nella circ. n. 38, 2005.
63
plusvalenze emergenti ai fini delle imposte dirette. In primo luogo, le
partecipazioni
ereditano
dall'azienda
conferita
sia
l'anzianità,
che
le
caratteristiche di commercialità, e di residenza, secondo un principio di
continuità168. Inoltre per espressa previsione, le partecipazioni ottenute a
seguito del conferimento vengono direttamente iscritte a bilancio tra le
partecipazioni immobilizzate senza per altro alcuna possibilità di diversa
opzione per la società conferente. Di conseguenza qualunque azienda che in
sede di conferimento presenti le caratteristiche tipiche richieste dall'art. 87 del
TUIR, sarà idonea a essere in seguito trasferita per mezzo delle sue
partecipazioni in regime di esenzione. Un caso particolare è rappresentato dal
conferimento di un’azienda, che presenta i quattro requisiti per l’esenzione delle
plusvalenze, all’interno in una più vasta operazione di conferimento che
comprende anche altri beni. In particolare è da chiarire se è possibile applicare
due diversi regimi, ovvero quello di esenzione per un parte e quello naturale
dall’altra, scindendo la plusvalenza in quote esenti e quote imponibili. In merito
la dottrina si è espressa contraria alla scissione della plusvalenza in più quote,
rilevando la sua unitarietà. Per tali motivi è da ritenere che dovrà essere
applicato il regime conforme al conferimento principale. Inoltre l’eventuale
separazione dell’operazione in due atti separati può comportare l’applicazione
dell’art. 37-bis del DPR 600/73 con conseguente annullamento dei vantaggi
fiscali attraverso la riqualificazione dell’atto come unica operazione di
conferimento169.
L’operazione
di
conferimento
e
successiva
cessione
della
partecipazione, definita nella prassi anche cessione indiretta permette di
168
Anche se il principio di continuità è riscontrabile nell’art. 87 del TUIR al solo requisito dell’holding
period, il legislatore con la circolare n. 36/E del 2004 ha chiarito che tale principio deve ritenersi un
principio di carattere generale, estendibile anche al periodo triennale presente nei requisiti di cui alle
lettere c) e d) del medesimo articolo.
169
PERROTTA R. Il Conferimento d’azienda, Milano, 2005, pp. 339 e ss.
64
ottenere un vantaggio fiscale diretto in capo al cedente, il quale riesce a
trasferire
il
complesso
aziendale
facendo
emergere
una
plusvalenza
notevolmente ridotta rispetto a quella che emergerebbe attraverso la normale
fattispecie della cessione onerosa. Il comma 3 dell'art. 176 del TUIR decreta la
non elusività di tale operazione, e l'inapplicabilità della norma generale
antielusiva contenuta all' art. 37-bis del DPR n.600/1973 . Anche se a prima
vista, la duplice applicazione del regime di neutralità in sede di conferimento e
del regime di esenzione delle plusvalenze in sede di cessione delle
partecipazioni ottenute in cambio, sembra apportare effetti fiscali distorsivi 170,
visto il vantaggio fiscale che genera in capo al conferente/cedente, bisogna
tuttavia osservare che tale vantaggio viene controbilanciato dalla trasmissione
in capo al cessionario di minori valori fiscalmente deducibili. Invero, come si è
esposto nei precedenti capitoli, il regime di neutralità comporta in capo al
soggetto conferitario il riconoscimento ai fini fiscali degli stessi valori riconosciuti
in capo al soggetto conferente, in un regime di cosiddetta continuità di valori
fiscali. Al contrario in sede di cessione dell'azienda il soggetto cessionario può
far riconoscere fiscalmente il maggior costo dei cespiti acquistati, ottenendo a
bilancio maggiori ammortamenti e oneri deducibili. Il motivo dunque di tante
accondiscendenza da parte del legislatore deve ricondursi proprio a questo
effetto di trasferimento tra soggetti dell'onere fiscale. Se il conferente otterrà un
vantaggio fiscale derivante dall'esenzione delle plusvalenze in sede di cessione
delle partecipazioni171 , dall'altra il conferitario si vedrà diminuire i costi del
venduto, e gli ammortamenti da portare in deduzione, che avrebbe potuto farsi
fiscalmente riconoscere in caso di cessione, ed aumentare i proventi tassabili a
seguito di una successiva cessione dei cespiti conferiti. Nemmeno il pagamento
dell'imposta sostitutiva reintrodotta ad opera della finanziaria 2008, pur
170
ANDREANI G. e FRANZESE C., Conferimenti in doppia sospensione d'imposta e cessione della
partecipazione ricevuta, il Fisco, 9, 2005, pp. 1271.
171
Ammesso che esse abbiano tutti i requisiti richiesti dall'art. 87 del TUIR
65
intaccando la dicotomia che caratterizza la ratio normativa appena presentata,
non costituisce fattispecie elusiva172. Perentorio infatti è il comma 3 dell'art. 176,
così come modificato dal comma 46 dell'art. 1 della Legge n.244/2007, nel
definire non rilevante ai fini della normativa antielusiva "il conferimento
dell'azienda secondo i regimi di continuità dei valori fiscali riconosciuti o di
imposizione sostitutiva di cui al presente articolo e la successiva cessione della
partecipazione ricevuta per usufruire dell'esenzione di cui all'articolo 87".
D'altronde la scelta di prevedere una triplice aliquota di imposta (12%, 14% e
16%) in un regime di progressività, e la fissazione di un periodo di possesso
minimo per l'accesso all'imposizione sostitutiva, pare assecondare la tesi che il
legislatore abbia voluto fornire completa libertà al contribuente di decidere per
l'affrancamento o per la conservazione del disallineamenti dei valori. Resta da
chiarire, nel silenzio del legislatore e dell'amministrazione finanziaria se la
previsione del comma 3 dell'art. 176 si applica anche nel caso in cui i maggiori
valori vengano affrancati per mezzo della nuova imposta sostitutiva introdotta
dall'art. 15, comma 10 del D.L. n. 185/2008. Letteralmente la norma contenuta
all'art. 176 del TUIR fa riferimento alla "imposta sostitutiva di cui al presente
articolo", quindi la questione è legata alla autonomia del regime introdotto nel
2008. Con la circolare n. 28/E del 2009 l’Agenzia delle Entrate si è espressa in
merito alla questione, e ha chiarito che l’imposta sostitutiva introdotta nel 2008
deve ritenersi non del tutto autonoma rispetto a quella contenuta all’art. 176 del
TUIR173. Di conseguenza pare corretto ritenere che trovi applicazione anche la
previsione di cui al comma 3 del medesimo articolo.
172
ZANETTI E. Conferimento d'azienda e cessione della partecipazione ricevuta in cambio, in Il Fisco, 6,
2008, pp. 941 e ss.
173
Circ. Agenzia delle Entrate, 28/E, 2009.
66
1.7. Aspetti fiscali nell'IRAP
La normativa che regola l’IRAP ha subito notevoli modifiche in seguito
alla Legge Finanziaria 2008 (L. n.244/2007). In particolare essa ha introdotto lo
sganciamento dalla normativa IRES per la determinazione della base imponibile
garantendo all'IRAP una propria regolamentazione indipendente. Tuttavia le
novità apportate alla disciplina non hanno modificato l’inquadramento delle
operazioni di conferimento con riferimento all'imposta sulle attività produttive.
Prima della riforma l'amministrazione finanziaria aveva già chiarito, nello stesso
anno dell'introduzione dell'imposta con la circolare ministeriale n. 141/E,
l'esclusione dalla base imponibile delle plusvalenze derivanti da operazioni di
conferimento aventi oggetto aziende o rami di esse. Tale scelta derivava dalla
natura unicamente straordinaria delle plusvalenze che possono emergere da
tali operazioni. Tale estromissione dalla base imponibile è stata poi
riconfermata anche a seguito della riforma citata, con la circolare n.27/E del
2009, evidenziando nuovamente che le plusvalenze da conferimento non
concorrono a formare base imponibile rilevante ai fini IRAP. Prima della riforma,
inoltre, non si poneva nemmeno la questione degli effetti del conferimento in
regime di neutralità in quanto i valori accolti per la determinazione della base
imponibile dell'imposta regionale erano gli stessi riconosciuti ai fini IRES. A
seguito dell'introduzione della Legge finanziaria 2008, come abbiamo avuto
modo di anticipare, si è verificato uno sganciamento tra le regole di
determinazione della base imponibile per le imposte sui redditi da quelle
previste per l'IRAP. L'art. 1 comma 50 della Legge 244/2007, per effetto delle
modifiche apportate al D.Lgs. 446/97174, ha decretato la determinazione della
base imponibile IRAP per le società di capitali sulla base delle voci rilevate in
conto economico, prevedendo in parte o in toto, l'irrilevanza delle variazioni
174
Ovvero l'abrogazione dell'art. 11-bis e la sostituzione dell'art. 5 con nuova previsione.
67
apportate a tali voci ai fini delle imposte sul reddito. Poi con l'introduzione
dell'art. 5-bis ha confermato, per le società di persone, la sovrapposizione tra la
base imponibile IRAP e quella IRES, lasciando però la facoltà ai soggetti di
adottare la stessa disciplina prevista per le società di persone175. Da tali
premesse non è ingiustificata l'idea che i maggiori valori contabili che vengono
iscritti nel bilancio della conferitaria a seguito dell'operazione di conferimento
dell'azienda, possano trovare pieno accoglimento nella determinazione della
base imponibile IRAP, dato che l'effetto di continuità dei valori fiscali previsto
dall'applicazione del regime contenuto all'art. 176 del TUIR, si applica alle
imposte sul reddito176. Tuttavia l'Agenzia delle Entrate con la circolare n. 57 del
2008, si esprime in senso contrario, ritenendo che al fine di ottenere il
riconoscimento fiscale dei maggiori valori, la conferita debba ricorrere all'istituto
dell'imposta sostitutiva, valevole, come da littera legis, sia ai fini IRES che ai fini
dell'IRAP. In coro con l'Amministrazione finanziaria si è espressa anche
Assonime con la circolare n. 51 del 2008, per la quale i maggiori valori iscritti a
bilancio "se non preceduti da una tassazione a monte" non possono "generare
ammortamenti deducibili"177. Tali considerazioni, per altro non pienamente
condivisibili, implicano inoltre che gli elementi costituenti il passivo dell'azienda
iscritti nei bilanci della conferitaria non possono essere riconosciuti ai fini
dell'IRAP, se non per quanto lo erano precedentemente in capo al conferente. Il
caso tipico potrebbe essere rappresentato dal fondo costituito dalla conferitaria
a seguito dell'emersione di un ammortamento negativo sull'azienda conferita.
Sembrerebbe infatti più corretto che l'utilizzazione di tali fondi generassero delle
variazioni in diminuzione sulla base imponibile IRAP, nel caso in cui tale utilizzo
175
In merito FORNERO L. Società di persone e imprenditori individuali: opzione per la determinazione
dell'IRAP in base al bilancio, in Schede di aggiornamento Eutekne, 4, 2008, pp. 599 e ss. e sempre
Fornero L. "Le novità in materia di IRAP", Quaderni di Schede di aggiornamento Eutekne n. 83 pp. 173 e
ss.
176
In tal senso MENEGHETTI P., Spazio al riallineamento anche sul bene singolo, il Sole 24 Ore, 20 agosto
2008, pp. 20.
177
Circ. Assonime,n. 51, 2008.
68
fosse rilevato a credito di voci di Conto Economico riconosciute ai fini
dell'imposta sulle attività produttive, esattamente come accade ai fini delle
imposte sul reddito178.
Per le medesime ragioni viste per le plusvalenze da conferimento
d'azienda, anche le plusvalenze da cessione di partecipazioni, data la loro
natura straordinaria, non concorrono alla formazione della base imponibile
IRAP. Tuttavia per le società che svolgono l'attività prevalente di acquisto e
cessione di società non operanti nel campo creditizio o finanziario, ovvero le
cosiddette
holding,
tali
plusvalenze,
rientrando
nella
ordinaria
attività
dell'impresa, contribuiscono a norma dell'art. 6, comma 9, del D.lgs n. 446/97,
come modificato dalla Legge n. 244/2007, alla determinazione della base
imponibile179.
178
ZANETTI E., Manuale delle operazioni straordinarie, Torino, 2013, pp. 436 e ss.
BONFINI A. e DE ROSA B., La cessione e il conferimento di aziende - Aspetti civilistici e contrattuali, in
AA. VV. Operazioni di finanza straordinaria, a cura di G. Cristofori, ed. Il Sole 24 Ore, Milano, 2010, pp.
213 e ss.
179
69
2. L’imposizione indiretta
2.1. Trattamento IVA
L'imposta sul valore aggiunto, mentre trova applicazione nei conferimenti
di beni180, non si applica ai conferimenti in società o altri enti di aziende o rami
di esse181. In virtù del fatto infatti che l'IVA è un'imposta sul consumo,
l'esclusione dei conferimenti d'azienda, come anche della cessione d'azienda,
trova la propria ratio nella natura di tali istituti, che è tipicamente quella della
riorganizzazione aziendale. Va comunque evidenziato che il legislatore
comunitario ha precisato che la mancata imposizione di tali operazioni deve
essere corredata dall'intenzione da parte del cessionario o del conferitario di
continuare l'attività produttiva dell'azienda, ovvero l'acquisto della proprietà del
complesso aziendale non deve essere finalizzato alla sua immediata
monetizzazione182.
Tuttavia
l'eventuale
l'esercizio
continuità
dell'attività
produttiva non si presenta come condizione necessaria ai fini dell'esclusione
dell'IVA ma piuttosto è la normale conseguenza della mancata configurazione
dell'operazione come atto di cessione. Nonostante l'esclusione dal novero delle
operazioni imponibili ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, a seguito del
conferimento si verificano alcuni effetti rilevanti anche ai fini IVA. Invero
nell'operazione di conferimento opera un regime di subentro da parte del
soggetto conferitario nelle posizioni fiscali della società conferente, sia con
riferimento agli elementi attivi e passivi del complesso aziendale conferito, ma
180
Infatti come precedentemente esposto i conferimenti di beni sono assimilati alle cessioni onerose.
L'esenzione è espressamente prevista dal legislatore comunitario nella direttiva CEE 77/388
181
Ai sensi dell'art. 2 comma 3 lett. b) del DPR 633/72. Nella normativa comunitaria in tal senso l'art. 19
della direttiva CE n. 112/2006 dispone che "In caso di trasferimento a titolo oneroso o gratuito o sotto
forma di conferimento a una società di una universalità totale o parziale di beni, gli Stati membri
possono considerare che non è avvenuta alcuna cessione di beni e che il beneficiario succede al
cedente"
182
CGCE, sentenza del 22 febbraio 2001, causa C-408/01, Abbey National
70
anche con riguardo all'attività d'impresa. Nonostante la rilevanza di tale
assunto, in Italia è stato recepito e integrato saltuariamente e in modo non
organico
nel
corpo
normativo.
Invero
l'unica
norma
che
regola
sistematicamente gli effetti delle operazioni di ristrutturazione ai fini IVA è l'art.
16 della legge 537/1993, la quale disciplinando le scissioni, al comma 11
dispone, in caso di scissioni che comportano il trasferimento di un'azienda o di
un ramo aziendale, il trasferimento degli obblighi e dei diritti assunti dall'azienda
in capo al beneficiario, nonché, nello svolgimento dell'attività imprenditoriale, la
continuità di applicazione dei regimi IVA sugli acquisti e sulle vendite, vigenti
precedentemente alla scissione. Tali disposizioni, come chiarito dall'Agenzia
delle Entrate nella circolare n. 178/E del 2009 sono analogicamente applicabili
a tutte le altre operazioni straordinarie, compresi i conferimenti183. In virtù del
principio di continuità introdotto dalla norma la conferitaria quindi subentra al
conferente nei diritti e obblighi tributari, come ad esempio l'adempimento ai
versamenti per i debiti d'imposta già presenti in liquidazione o il riporto del
credito IVA nel successivo periodo. In particolare con riferimento alle operazioni
attive la società conferitaria deve applicare le disposizioni procedurali previste
dal DPR n. 633/1972, al momento dalla data di efficacia del trasferimento184,
salvo adempimenti relativi alla mancata emissione di fatture per prestazioni
antecedenti a tale data185. Tali considerazioni sono estendibili anche nei
confronti delle operazioni passive. Invero anche nel caso in cui le fatture siano
intestate
alla
conferente,
in
ottemperanza
183
al
principio
di
continuità,
L'amministrazione finanziaria nella citata circolare rileva infatti che " nelle operazioni di scissione e in
linea generale, nei casi di operazioni straordinarie o altre trasformazioni sostanziali soggettive, si
verifica, ai fini IVA, una situazione di continuità tra i soggetti partecipanti alla trasformazione (fusione,
scissione, conferimento, cessione o donazione di azienda, successione ereditaria, ecc.). In particolare,
l'articolo 16, comma 11, lett. a), della legge 24 dicembre 1993, n. 537, nel disciplinare la materia,
stabilisce che “gli obblighi e i diritti derivanti dall'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, relativi
alle operazioni realizzate tramite le aziende o i complessi aziendali trasferiti, sono assunti dalle società
beneficiarie del trasferimento” cit. Agenzia delle Entrate, circolare n. 178/E del 09 luglio 2009.
184
Nell'art. 6 del DPR n. 633/1972 non è contenuta una modalità di determinazione di tale data. Si dovrà
a tal fine ricorrere alle disposizioni contenute nel codice civile.
185
In tal senso l'Agenzia delle entrate nella circolare n. 183/E del 1995.
71
l'Amministrazione finanziaria ha ritenuto che la detrazione sarà detraibile dalla
società beneficiaria, a nulla rilevando la diversa intestazione della fattura186. La
trasmissione degli obblighi e dei diritti può estendersi fino ad ottemperare ad
una vera e propria retrodatazione. Invero con riferimento alla dichiarazione
annuale dell'IVA, nel caso in cui il conferimento dell'azienda comporta
l'estinzione della società conferente, dovranno essere
rilevate tutte le
operazioni attive e passive rilevanti ai fini dell'imposta, comprese quelle
antecedenti alla data dell'efficacia del trasferimento187. Inoltre in tal caso188 è
stato precisato dall'Agenzia delle entrate che, dovrà essere trasferita in capo
alla società beneficiaria l'eventuale eccedenza di IVA a credito risultante sia
dalla dichiarazione annuale, con conseguente diritto al rimborso, che dal
periodo precedente, con la possibilità di utilizzarla in compensazione 189. Infine
per quanto riguarda i costi sostenuti dai soggetti per il trasferimento
dell'azienda, l'art. 19, comma 3, lett. c) del DPR n. 633/1972, consente in
deroga alle normali disposizioni, la possibilità di detrarre l'IVA assolta a monte.
Se il trasferimento invece avviene attraverso l'operazione di conferimento e
successiva cessione di partecipazioni, si applicherebbe il divieto di detrazione
contenuto all'art. 19-bis del medesimo decreto. Invero la cessione di
partecipazioni da parte di un soggetto che non esercita attività di
intermediazione mobiliare si configura a norma dell'art. 2 lett. b) del DPR
633/1972 come operazione esente IVA, in quanto tale attività rileva come
estranea all'attività di impresa190.
186
In tal senso l'Agenzia delle entrate nella circolare n. 183/E del 1995, con riferimento alla fattispecie
della scissione; tuttavia tale principio è estendibile a qualsiasi "trasformazione sostanziale soggettiva".
187
IAVANIGLIO M., Le operazioni straordinarie nell'IVA, in AA.VV., La fiscalità delle operazioni
straordinarie di impresa, a cura di R. Lupi e D. Stevanato, Milano, 2002, pp. 146 e ss.
188
Come esplicitamente previsto dalle istruzioni alla dichiarazione IVA del 2010, se specificato nell'atto
di cessione o di conferimento tale previsione si applica anche se la società conferente non si estingue.
189
Ris. Agenzia delle Entrate, n.417/E, 2008.
190
FALSITTA G., Manuale di diritto Tributario, Padova, 2005, pp. 574 e ss.
72
2.2. L'imposta di registro, e le imposte catastali ed ipotecarie
L'atto di conferimento dell'azienda è assoggettato alle imposte di
registrazione, anche se il complesso aziendale non è composto da beni
immobili191. Il presupposto di imposta infatti è variato negli anni, ed è passato
dalla configurazione tipica della tassa, a quello dell'imposta. Inizialmente
l'imposta di registro era versata dai privati in virtù della prestazione di un
servizio da parte di un soggetto pubblico, ovvero la registrazione. Ai fini poi
della necessità di maggior gettito192, l'applicazione dell'imposta si è lentamente
estesa nei confronti di tutti gli atti giuridici 193 che assumono un rilievo di tipo
economico. Tali atti ai fini dell'imposta di registro si dividono essenzialmente tra:
 atti soggetti a registrazione in termine fisso, con un imposta applicata o
in misura proporzionale o in maniera fissa, che va versata entro venti
giorni dopo la stipula dell'atto194;
 atti che sono soggetti alla registrazione in caso d'uso, ovvero imponibili
se vengono depositati volontariamente presso uffici pubblici per essere
acquisiti ai fini dell'emanazione di un provvedimento amministrativo,
esclusi gli atti il cui deposito è obbligatorio per legge;
 infine atti cui non è richiesta la registrazione, ma volontariamente
registrati da chiunque ne abbia interesse.195
191
Ciò anche in ottemperanza al principio di alternatività esistente tra l'IVA e l'imposta di registro.
Invero in virtù dell'introduzione dell'IVA, si è reso necessario coordinare tale imposta con l'imposta di
registro. Tale contrapposizione si è risolta riconoscendo all'art. 40 del TUR la prevalenza dell'IVA, e
prevedendo in presenza di quest'ultima l'applicazione dell'imposta di registro in misura fissa.
192
Osserva infatti MOSCHETTI F. ne Il principio della capacità contribuiva, Padova, 1973, a pp. 232-233
che "Nella grande maggioranza dei casi, il singolo scritto, il singolo atto, il singolo negozio giuridico, il
singolo trasferimento, che si vogliono tassare per mezzo di queste imposte, non sono nemmeno
indirettamente e per presunzione uno specchio, una manifestazione parziale della capacità economica
complessiva"
193
Il concetto di "atto" è inteso nell'accezione più ampia. Invero a differenza dell'imposta di bollo che va
versata esclusivamente in presenza di documenti, l'imposta di registro viene applicata a tutte le
operazioni e manifestazioni di volontà estrinsecate in forma diversa da quella scritta. Si veda FALSITTA
G., Manuale di diritto Tributario, Padova, 2005, pp. 620 e ss.
194
Estesi a trenta giorni per quanto riguarda gli atti di locazione di immobili.
73
Tutti gli atti finalizzati alla riorganizzazione societaria elencati all'art. 4 del
T.U. 131/1986 rientrano nella prima fattispecie. In particolare queste operazioni
hanno subito numerose innovazioni alla fine del millennio, a seguito
dell'adeguamento alla normativa comunitaria che prevedeva per le operazioni di
aggregazione aziendale, e per gli aumenti del capitale sociale a seguito di
conferimenti di qualsivoglia natura, l'esenzione dalla imposta di registrazione. In
tal senso una prima innovazione si è avuta nel 1996 con il D.L. n. 323 del 20
giugno, che ha introdotto per le operazioni di fusione, scissione, o conferimenti
di aziende o rami aziendali, l'applicazione dell'imposta fissa. Altro importante
intervento normativo è stato effettuato qualche anno più tardi, ad opera della L.
n. 488/1999 che ha esteso la previsione dell'imposta fissa anche a tutti i
conferimenti di denaro e di beni mobili, con la sola eccezione per i conferimenti
di beni immobili ai quali viene applicata l'imposta proporzionale196. Proprio con
riferimento ai tali beni pare opportuno fare delle osservazioni. Se per
conferimenti o le cessioni dei singoli beni immobili viene applicata l'imposta di
registro proporzionale, per quanto riguarda i complessi aziendali composti
anche da fabbricati viene applicata l'imposta in misura fissa di 200 euro. Tale
impostazione configura una diversità sostanziale di trattamento e nel caso di
trasferimento di immobili di valore consistente si verifica una disparità tra
l'imposta pagata tramite il conferimento d'azienda e le operazioni di cessione o
conferimento dei singoli beni immobiliari. Tale differenza di trattamento, può
indurre il cedente o il conferente alla tentazione di riconfigurare l'atto di
conferimento o di cessione dei beni, in altre operazioni come quella di
conferimento dell'azienda e la successiva cessioni delle partecipazioni ricevute
in cambio, al fine di ottenere un risparmio di imposta. Al fine di evitare
195
FALSITTA G., Manuale di diritto Tributario, Padova, 2005, pp. 584 e ss.
DOLFIN N. Le imposte di registro, ipotecarie e catastali, in AA.VV., Manuale di diritto Tributario, a cura
di G. Falsitta, Padova, 2005, pp. 613-615.
196
74
comportamenti elusivi da parte del contribuente197 all'art. 20 del T.U. n.
131/1986 è stata introdotta una disposizione che afferma l'irrilevanza del nomen
iuris ai fini della determinazione della natura dell'atto. In altre parole ai fini
dell'imposta di registro, non rileva la configurazione che viene assegnata
all'operazione ma piuttosto la "intrinseca198 natura o gli effetti presentati degli
atti presentati alla registrazione" oltre che anche elementi extratestuali199. A tale
principio si ispira anche l'art. 21 del medesimo T.U., il quale dispone che in
presenza di un atto formalmente unico, contenente però più effetti giuridici
autonomi e distinti, a ciascuno di essi è soggetto all'imposta di registrazione. Il
legislatore in particolare vuole evitare che, al fine di ottenere un risparmio
sull'imposta di registro, vengano inseriti in unico atto più operazioni.
Sempre nel caso di conferimenti o cessioni aventi ad oggetto immobili o
complessi aziendali da essi composti, vanno applicate le cosiddette imposte
ipocatastali. In particolare viene applicata l'imposta ipotecaria, la quale si
ricollega alle formalità di annotazione e trascrizione nei pubblici registri
immobiliari, e l'imposta catastale, collegata invece alle operazioni di
volturazione effettuate presso gli uffici catastali. Come per l'imposta di registro,
tali imposte, presentano delle differenze nell'imposizione tra i conferimenti e le
cessioni di beni immobili, e i conferimenti d'azienda contenenti tali beni. In
passato, l'imposta ipotecaria e quella catastale venivano applicate in misura
proporzionale, rispettivamente al 2% e all'1% nel caso di cessioni o conferimenti
197
Discussa in giurisprudenza la natura di tali comportamenti. Alcune operazioni infatti risultano essere
sul confine tra l'elusione fiscale, e una legittima pianificazione fiscale. Tale considerazioni verranno
approfondite nei prossimi capitoli.
198
Tale aggettivo come osserva BEGHIN M. in L'imposta di registro e l'interpretazione degli atti
incentrata sulla sostanza economica nell'abracadabra dell'abuso del diritto, GT Riv. di giur. Trib., 2, 2010,
pp. 150, l'aggettivo "intrinseca" sta a significare il "contenuto" ovvero la sostanza, e non il "contenitore"
ergo l'atto formale.
199
MELILLO C. L'art. 20 del T.U. dell'imposta di registro e gli strumenti di contrasto all'elusione: brevi
spunti ricostruttivi a margine di due contrastanti pronunce della giurisprudenza in merito, in Dir. e prat.
Trib., 3, 2010. In senso contrario TESAURO F., Istituzioni di diritto Tributario, Milano, 2011, pp. 307 e ss.
L'autore sostiene che "in sede di interpretazione non valgono i criteri interpretativi "extratestuali", che
invece devono essere tenuti in considerazione nell'interpretazione dei contratti secondo le regole
civilistiche."
75
di singoli beni immobili, mentre erano previste in misura fissa, ovvero 168 euro
per ciascuna, per i conferimenti di aziende aventi un patrimonio immobiliare.
Per tale motivo, si estendevano anche alle imposte ipocatastali le medesime
osservazioni fatte in occasione dell'analisi dell'imposta di registro, ovvero
risultava anche sotto tale profilo più conveniente conferire aziende costituite da
immobili piuttosto che i singoli beni separatamente200. Tuttavia il D.L.
n.104/2013 ha riformato la tassazione dei trasferimenti immobiliari a titolo
oneroso, e ha previsto, in caso di trasferimenti di immobili assoggettati
all'imposta di registro in misura proporzionale, l'applicazione delle imposte
ipocatastali in misura fissa di 50 euro ciascuna. Tale modifiche, sul piano
dell'imposta catastale e dell'imposta ipotecaria, reso anacronistiche le
osservazioni precedentemente riportate, in quanto ora, al contrario, le imposte
fisse dovute per i conferimenti d'azienda sono maggiori delle imposte da
versare in caso del singolo atto di cessione degli immobili201.
Infine per quanto concerne la cessione delle partecipazioni ottenute a
seguito del conferimento vi è l'obbligo di registrazione, nel solo caso di contratto
che riveste la forma pubblica o in scrittura privata autenticata. Si deve
considerare invece soggetta a registrazione in caso d'uso l'eventuale cessione
di partecipazioni, mediante contratto in forma di scrittura privata non
autenticata. In tali casi si applica l'imposta di registro in misura fissa di 200 euro.
200
DOLCE R. Compravendita di azienda vs. conferimento e successiva cessione della partecipazione alla
luce della recente giurisprudenza, in il Fisco, 28, 2010, pp. 4426 e ss. e ZANETTI E., Conferimento
d'azienda e cessione della partecipazione ricevuta in cambio, in il Fisco, 6, 2008, pp. 941 e ss.
201
Ad oggi infatti si applica un imposta fissa di 200 euro per ciascun tributo ipocatastale, nel caso di
conferimento d'azienda, mentre in caso di cessione del bene immobile, la contribuzione ammonta a 50
euro per ciascuna imposta.
76
Capitolo IV Confronto tra compravendita e conferimento con
cessione delle partecipazioni. Considerazioni di sintesi.
Dopo aver esaminato nei precedenti capitoli le singole fattispecie del
conferimento d'azienda e della cessione di partecipazioni, possiamo ora
confrontare l'operazione di conferimento e successiva cessione delle
partecipazioni, e la cessione diretta d'azienda, al fine di analizzare i costi e i
benefici derivanti dall'adozione di una di tali configurazioni al fine di trasferire un
complesso aziendale.
Innanzitutto la cessione onerosa d'azienda, comporta sempre, ai fini
delle imposte sui redditi, l'emersione di una plusvalenza soggetta a tassazione.
Con riferimento alle cessioni effettuate da soggetti esercenti attività di impresa,
essa concorre a formare la base imponibile dei redditi di impresa, a norma del
comma 2 dell'art. 86 del TUIR. A seconda poi della natura del soggetto, sarà
sottoposta a tassazione dell'unica aliquota del 27,5% prevista dall'IRES per le
società di capitali, mentre verranno applicate le aliquote progressive previste
per l'IRPEF, in caso di società di persone. La plusvalenza viene determinata
dalla differenza tra il corrispettivo di vendita pattuito dalle parti202, e il costo
fiscalmente riconosciuto dell'azienda. Tra i costi riconosciuti ai fini fiscali, trova
anche collocazione l'eventuale avviamento, pagato dal cedente in sede di
acquisto e non totalmente ammortizzato nel corso degli anni, prima della
cessione203. Le plusvalenze, così determinate, a norma dell'art. 109, comma 2,
202
Tale previsione ha evidenziato perplessità sulla congruità della somma pattuita. La dottrina si è
espressa contrariamente alla possibilità da parte dell'Amministrazione finanziaria di censurare
l'eventuale accordo per la cessione per un prezzo inferiore a quello di mercato. In tal senso PORCARO G.
e STEVANATO D. Cessioni di azienda e partecipazioni rilevanti, in AA.VV., La fiscalità delle operazioni
straordinarie di impresa, a cura di R. Lupi e D. Stevanato, Milano, 2002, pp. 170. La giurisprudenza in
merito si è espressa sia a favore (si veda la R.M. n. 9/1437 del 1980 e C.T. Regione Lazio n.83/2007) che
contrariamente a tale impostazione (in tal senso si segnala la Cassazione n. 4117 nel 2002 e C.T.
Provincia di Milano n. 86 del 1999, commentata da RAVACCI M. in GT Riv. di giur. Trib., 2, 2000, pp. 168).
203
In tal senso la Circolare Ministeriale n. 96/E del 2000. Invero appare illogico sia sul piano fiscale che
su quello contabile, mantenere l'iscrizione dell'avviamento nei bilanci della società cedente di un
avviamento che fa parte di un complesso aziendale ceduto.
77
lettera a) del TUIR, risultano conseguite ai fini delle imposte dirette, dal
momento della stipula del contratto di compravendita, o se successivo dal
momento del verificarsi dell'effetto traslativo. Come è stato presentato nei
precedenti capitoli, la cessione indiretta, si compone di due atti consecutivi; il
primo ovvero il conferimento dell'azienda che, in ottemperanza al regime di
neutralità previsto dall'art. 176 del TUIR, non genera alcuna plusvalenza
fiscalmente rilevante, e successivamente la cessione delle partecipazioni da
parte del conferente, le quali se presentano i requisiti previsti per l'esenzione
delle plusvalenze, prevista dall'art. 87 del TUIR, faranno emergere a seguito del
trasferimento una plusvalenza204 imponibile esclusivamente al 5%. In sede di
confronto tra le due fattispecie, si osserva quindi che attraverso l'atto ordinario
di trasferimento il soggetto conferente verrà tassato ai fini IRES al 27,5% della
plusvalenza, mentre a seguito del conferimento e successiva cessione delle
partecipazioni la medesima plusvalenza verrebbe tassata ad un aliquota
complessiva del 1,375%205. E' evidente che la convenienza dell'operazione
dipende esclusivamente dalla possibilità di applicare il regime di esenzione
previsto all'art. 87 del TUIR. Invero in caso di tassazione ordinaria, la
plusvalenza da partecipazione concorrerebbe a formare per intero base
imponibile, esattamente come avviene per la cessione d'azienda. Con
riferimento poi al risparmio effettivo, è doveroso ricordare che, se è vero che il
cedente/conferente ottiene un vantaggio fiscale in sede di conferimento a
seguito della mancata emersione delle plusvalenze, di contro il conferitario
riceverà dei valori fiscali minori rispetto a quelli contabili. A seguito di tali
implicazioni, la società beneficiaria, con ogni probabilità, chiederà in sede di
204
Calcolata sulla differenza tra il valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione, e il corrispettivo
ricevuto in cambio. Il valore fiscale della partecipazione, ad opera del regime di continuità dei valori
fiscali previsti dall'art. 176 del TUIR, è pari a quello dell'azienda conferita. Per approfondimenti si
rimanda al capitolo dedicato.
205
DOLCE R. Compravendita di azienda vs. conferimento e successiva cessione della partecipazione alla
luce della recente giurisprudenza, in il Fisco, 28, 2010, pp. 4432.
78
contrattazione di ridurre il corrispettivo economico per un importo pari all'incirca
all'attualizzazione della maggiore imposta che dovrà versare a seguito del
mancato riconoscimento ai fini delle imposte sui redditi dei maggiori valori iscritti
a bilancio, o in alternativa per un importo pari all'imposta sostitutiva, che esso
dovrà assolvere al fine del riconoscimento di detti valori206. Alla luce di tali
considerazioni è evidente che la cessione cosiddetta indiretta è tutt'altro che
una
"formula
magica"207
per
poter
ridurre
il
carico
fiscale.
Proprio
coerentemente con tali considerazioni, il legislatore ha escluso l'operazione di
conferimento con successiva cessione delle partecipazioni, dall'applicazione
della disciplina antielusiva contenuta all'art. 37-bis del DPR 600/1973,
configurandola come una operazione di legittima pianificazione fiscale con
riferimento alle imposte sui redditi. Le medesime considerazioni possono
essere svolte anche su piano dell'IRAP, in quanto sia le operazioni di cessione,
di conferimento, e di cessione di partecipazioni non generano alcuna
plusvalenza rilevante208, in quanto componenti straordinarie del reddito di
impresa209.
Anche nella tassazione indiretta si evidenziano differenze di trattamento,
sopratutto con riguardo all'imposta di registro, in quanto, per quanto riguarda
l'imposta sul valore aggiunto sia la cessione che il conferimento d'azienda (oltre
che la cessione delle partecipazioni) sono operazioni fuori campo IVA, per
206
Vedi nota precedente
Così ZANETTI E. in Conferimento d'azienda e cessione della partecipazione ricevuta in cambio, in il
Fisco, 6, 2008, pp. 942.
208
Fatto salve le cessioni di partecipazioni operate da imprese bancarie e finanziarie, per le quali
costituiscono proventi tipici dell'attività di impresa, come desumibile dall'art. 6 del D.Lgs. n. 446/1997.
209
E' doveroso però osservare che anche il principio di neutralità opera anche nei confronti dell'IRAP. Di
conseguenza, come affermato dall'Agenzia delle Entrate nella circolare n.57 del 2008, esattamente
come avviene per le imposte dirette, non devono essere accolti nella base imponibile IRAP i maggiori
valori eventualmente iscritti nel bilancio della società conferitaria a seguito del conferimento (in merito
si veda anche Assonime, circolare m. 51 del 2008). Per le stesse osservazioni fatte in merito alle imposte
sui redditi, questa minor deduzione in capo alla conferitaria potrebbe incidere sull'eventuale
corrispettivo da essa erogata a seguito dell'operazione. Sotto questi termini, l'operazione di cessione
indiretta risulterebbe più onerosa di quella diretta, in quanto in caso di mera cessione d'azienda i valori
degli attivi e dei passivi troverebbero pieno accoglimento nel bilancio della conferitaria, mentre
comunque non si rileverebbe alcuna plusvalenza tra i componenti positivi di reddito rilevanti ai fini IRAP.
207
79
mancanza del presupposto oggettivo, per effetto dell'art. 2, comma 3, lettera b)
del DPR n.633/1972. L'atto di cessione di azienda è soggetto all'imposta di
registro210, applicata sul valore "di mercato"211, determinata in maniera
proporzionale. L'aliquota applicata varia a seconda della composizione del
complesso aziendale. Per l'avviamento della azienda si applica, dal 1° gennaio
2014, un'aliquota del 3% per l'avviamento d'azienda, del 9% in presenza di
Fabbricati non abitativi, e del 2% per Fabbricati abitativi non di lusso212. Nel
caso il contribuente rilevi nell'atto la separata indicazione del corrispettivo
pattuito per ogni tipologia di bene, verranno applicate le aliquote separatamente
per ciascuna categoria. In mancanza di separata indicazione, l'art. 23 del TUR,
prevede che all'intero valore dell'atto vada applicata l'aliquota più alta. In tali
casi dunque, nel caso di cessione di azienda avente un patrimonio immobiliare
composto da fabbricati non abitativi, verrà applicata un imposta proporzionale
del 9%, sul totale del valore di mercato dell'azienda. In mancanza di beni
immobili, verrà invece applicata un'aliquota del 3% sullo stesso ammontare.
Anche l'atto di conferimento, come abbiamo evidenziato nel precedente
capitolo, è soggetto obbligatoriamente a registrazione e quindi è soggetto
all'imposta di registro. Tuttavia a differenza della cessione, il conferimento è
soggetto all'imposta in misura fissa pari a 200 euro. La disparità di trattamento
tra le due operazioni in esame, quindi, è molto più accentuata rispetto a quella
emergente nell'imposizione diretta, in considerazione anche del fatto che le
cessioni di partecipazioni sono soggette a registrazione solo in caso d'uso. Di
conseguenza in caso di cessione d'azienda il cedente si troverà a versare
210
In quanto deve essere obbligatoriamente registrato.
L'art. 51 del TUR assume come base per il calcola della plusvalenza il valore "venale in comune
commercio". In merito alla determinazione di tale valore la dottrina economica ha elaborato numerosi
metodi, i quali devono tener conto delle caratteristiche intrinseche dell'azienda soggetta a elaborazione.
Tuttavia l'Amministrazione finanziaria, al fine di rilevare la base imponibile dell'imposta di registro,
calcola tale valore considerando i valori degli attivi comprensivi dell'avviamento forfettariamente
calcolato, al netto delle passività, risultanti dalle scritture contabili.
212
Nel caso in qui l'azienda ceduta possieda terreni agricoli, se l'acquirente non è un imprenditore
agricolo professionale, viene applicata una aliquota più alta, pari al 12%.
211
80
migliaia di euro di imposte di registro, contro le poche centinaia richieste per il
conferimento e successiva cessione della partecipazione, ottenendo per altro
sostanzialmente i medesimi effetti traslativi. Tali sostanziali differenze hanno
attratto negli anni l'attenzione dell'Amministrazione finanziaria, la quale ha
spesso attribuito all'operazione di cessione indiretta una natura elusiva ai fini
dell'imposta di registro, al di fuori della legittima pianificazione fiscale. Invero a
differenza di quanto è previsto per le imposte dirette, non vi è nella disciplina
delle imposte indirette alcuna esplicita esclusione dal novero delle operazioni
elusive del conferimento con successiva cessione della partecipazioni. E per tali
ragioni
l'Amministrazione finanziaria,
usufruendo
dell'art.
20
del
DPR
131/1986213 ha frequentemente provveduto ad applicare la maggiore imposta
dovuta per l'atto della tipica fattispecie della cessione214.
Un ultima considerazione va fatta con riguardo alle imposte ipocastali, da
applicare in presenza di beni immobili nel patrimonio dell'azienda conferita.
Prima della riforma sui trasferimenti immobiliari del 2013215, valevano le stesse
considerazioni che si sono fatte in merito con riferimento alle imposte di
registro. Invero in caso di cessione d'azienda, le imposte ipocatastali venivano
applicate in misura proporzionale del 2%, per l'imposta ipotecaria, e del 1% per
l'imposta catastale, mentre nel caso di conferimento, l'imposta veniva applicata
nella misura fissa di 168 euro per ciascuna imposta. Di conseguenza, in
presenza di un considerevole patrimonio immobiliare trasferito assieme
all'azienda, le imposte pagate per la volturazione e per l'iscrizione degli atti
sarebbero state maggiori nel caso di cessione216. A seguito della riforma
213
Il quale, nell'evoluzione giurisprudenziale ha assunto una vera e propria funzione antielusiva. In tal
senso la CTP di Treviso, Sez. VII, n. 41 sottolinea che tale norma conferisce all'Agenzia delle Entrate il
potere di analizzare e tassare gli atti non in base al loro nomen iuris, ma in base agli effetti giuridici che
essi producono. Così BEGHIN M. L'abuso del diritto nella indefettibile prospettiva del "vantaggio fiscale",
in Corr. Trib., 41, 2009, pp. 2325 e ss.
214
L'argomento verrà approfondito nei prossimi capitoli.
215
D.L. n. 104/2013
216
Ciò tuttavia con meno evidenza rispetto a quanto avviene nell'imposta di registro.
81
operata dal D.L. n. 104/2013 sulle operazioni di trasferimento di immobili, le
imposte ipocatastali, per tutti gli atti soggetti a imposta di registro proporzionale
vanno ora versate in misura fissa di 50 euro per ciascun tributo. Di
conseguenza, ad oggi, con riferimento alle imposte di trascrizione e
volturazione, risulta meno oneroso il trasferimento dell'impresa tramite
l'ordinario atto di cessione di impresa.
Alla luce di tali osservazioni, possiamo dunque concludere che l'effettivo
risparmio
fiscale,
che
può
originarsi
attraverso
la
riconfigurazione
dell'operazione di cessione in una consecutio di atti, quali il conferimento e la
successiva cessione di partecipazioni, è da imputarsi esclusivamente alle
differenze di trattamento dei vari negozi giuridici in merito all'imposta di registro.
Invero con riguardo alle imposte sui redditi, il vantaggio fiscale è
controbilanciato da uno svantaggio in capo alla società conferitaria/cessionaria,
dovuto al mancato riconoscimento ai fini dell'IRES e dell'IRPEF, dei maggiori
valori iscritti in bilancio in sede di conferimento; mentre con riferimento alle
imposte ipocatastali e all'IRAP, non si riscontrano significative disparità di
trattamento.
82
Capitolo V - Contestazioni nell’ambito applicativo del regime Pex
1. Il requisito del “Holding Period”
Come esposto nei precedenti capitoli, in seguito all'introduzione del
regime di partecipation exemption ad opera del D.Lgs. n.344/2003, il legislatore
ha introdotto all'art. 176 del TUIR delle disposizioni al fine di coordinare le
operazioni di conferimento in regime neutrale e il nuovo regime sulle
plusvalenze da cessione di partecipazione. In particolare l'art. 176 del TUIR al
comma 4 proprio a tal fine dispone che "Le partecipazioni ricevute dai soggetti
che hanno effettuato i conferimenti di cui al periodo precedente o le operazioni
di cui all'articolo 178, in regime di neutralità fiscale , si considerano iscritte come
immobilizzazioni finanziarie nei bilanci in cui risultavano iscritti i beni
dell'azienda conferita o in cui risultavano iscritte, come immobilizzazioni, le
partecipazioni date in cambio". Il regime di neutralità quindi prevede l'iscrizione
della partecipazione ricevuta a seguito del conferimento, senza peraltro
possibilità di diversa opzione, nel bilancio della società conferente nella voce
delle immobilizzazioni finanziarie. Tale rilevanza oltretutto si dovrebbe
estendere anche con riguardo al requisito a) per l'applicazione del regime di
esenzione delle plusvalenze comminato all'art. 87 del TUIR 217, nel senso di
poter considerare possedute le partecipazioni, dal momento in cui lo era
l'azienda conferita218; ciò sulla base della considerazione che se un asset si
assume come iscritto a bilancio, di conseguenza esso dovrebbe risultare anche
posseduto219. Un importante spunto normativo in tal senso è offerto dal comma
4 dell'art. 176 del TUIR, il quale con riferimento alle aziende oggetto del
217
In tal senso CIANI F. Conferimenti "realizzativi" di aziende e partecipazioni "qualificate" e
interrelazione con il regime della pex, 40, 2005, pp. 6289 e ss.
218
VIOTTO A., Il regime tributario delle plusvalenze da partecipazioni, Torino, 2013, pp.310
219
In tal senso CORASANITI V., Profili Tributari dei conferimenti in natura e degli apporti in società ,
Milano, 2008, pag. 261.
83
conferimento prevede che esse si "considerano possedute dal soggetto
conferitario anche per il periodo di possesso del soggetto conferente". Infatti, il
principio per cui l'azienda deve considerarsi posseduta da parte della
conferitaria anche per il periodo di possesso maturato da parte del soggetto
conferente, è perfettamente coerente con il criterio della neutralità fiscale
dell'operazione.220
Tale
assunto
nondimeno
è
stato
confermato
dall'Amministrazione finanziaria nella circolare n. 36/E del 2004 e nella
risoluzione n. 227/E del 2009, dove l'amministrazione riconosce che "i requisiti
soggettivi di cui alle lettere a) e b) risulterebbero verificati, già alla data del
conferimento, a condizione che il soggetto conferente disponesse dell’azienda
conferita da almeno dodici mesi, in quanto le partecipazioni rivenienti dal
conferimento vengono assunte con un’anzianità pari a quella attribuibile
all’azienda conferita." D'altronde se la volontà del legislatore fosse stata quella
di rendere necessario un periodo di possesso delle partecipazioni in capo al
soggetto conferente, sarebbe poco logico, e di rilievo marginale, la scelta di
escludere, per previsione esplicita, l'operazione di conferimento e cessione
della partecipazione, dal novero degli atti potenzialmente elusivi. Infatti non si
rileverebbe alcun rischio elusivo derivante dalla cessione immediata della
partecipazione, in quanto per ricorrere al regime di esenzione delle plusvalenze
sarebbe necessario un periodo minimo di possesso. Tali conclusioni tuttavia
fanno emergere alcuni problemi in merito alla determinazione dell'istante da cui
inizia il computo del periodo di possesso della partecipazione. In mancanza di
un espressa previsione nella normativa, in dottrina, alcuni hanno sostenuto la
tesi che il computo del holding period deve essere effettuato dal "giorno di
chiusura del primo bilancio in cui i beni conferiti risultavano in possesso della
220
TURCHI A., Conferimenti ed apporti nel sistema delle imposte sui redditi, Torino, 2008, pp. 367.
84
conferente"221, in quanto in tale bilancio, per espressa previsione, le
partecipazioni ricevute a seguito del conferimento, devono ritenersi iscritte nei
bilanci della conferitaria tra le immobilizzazioni finanziarie. Ciò quindi
"lascerebbe intendere che debbano anche presumersi "possedute" quantomeno
a quella data dal soggetto conferente"222. Tuttavia il quadro normativo attuale
sembra suggerire una soluzione più lineare, con pieno riconoscimento delle
reciproche posizioni fiscali, dei due soggetti dell'operazione di conferimento.
Invero come alla conferitaria viene trasferita l'anzianità dell'azienda maturata,
pare equo estendere tale previsione anche in capo alla conferente, con
riferimento alle quote ottenute. Infatti è probabile che la mancanza di una
espressa previsione in merito derivi più da una svista del legislatore 223, che da
una effettiva volontà di richiedere alle partecipazioni ottenute in seguito ad un
conferimento, un periodo di possesso in capo al soggetto conferente ai fini
dell’applicazione del regime di esenzione224. In particolare sembra più
appropriato riconoscere il periodo di possesso dal momento in cui l'azienda è
stata costituita o dal momento in cui i beni hanno assunto la connotazione tipica
organizzata, finalizzata all'attività d'impresa225. Tale soluzione sembra inoltre
più opportuna rispetto alla determinazione del dies a quo in base all'iscrizione
dei beni nei bilanci dell'azienda. Invero, la formula "bilanci in cui risultavano
iscritti i beni dell'azienda conferita" sembra suggerire che ai fini della
determinazione del periodo di possesso della partecipazione sia opportuno dare
rilevanza al momento in cui i beni sono stati iscritti nei bilanci aziendali. Tuttavia
221
BARBONE L. Conferimento di azienda e periodo minimo di possesso delle partecipazioni ricevute ai
fini della participation exemption, in Dialoghi Trib., 4, 2004, pp. 601 e ss.
222
Vedi nota precedente.
223
Che riproducendo il precedente testo normativo dell'art. 6, comma 4, L. n. 342/2000, non ha posto
attenzione alle modifiche che erano state introdotte dal D.Lgs. n. 344/2003
224
TURCHI A., Conferimenti ed apporti nel sistema delle imposte sui redditi, Torino, 2008, pp. 368-369.
225
VIOTTO A., Il regime tributario delle plusvalenze da partecipazioni, Torino, 2013, pp. 311 - 312, cit. e
in tal senso anche Assonime, circolare n. 38 del 2005 nella quale osserva che "il possesso delle nuove
azioni deve considerarsi risalente - per lo meno ai fini fiscali - all'epoca di costituzione dell'azienda
oggetto dell'operazione di apporto".
85
tale interpretazione creerebbe non poche perplessità sia in merito a quale, se il
primo o l'ultimo bene iscritto rilevi al fine del calcolo, sia con riferimento ai
cespiti non presenti nei bilanci dell'azienda conferita, come ad esempio i beni in
leasing226, ma comunque facenti parte del complesso aziendale. Per tale
motivo, è più corretto fare riferimento all'azienda nella sua universalità di beni e
rapporti giuridici, piuttosto che alle singole operazioni di acquisto e cessione dei
vari cespiti che la compongono227. D'altronde, l'Amministrazione finanziaria, più
di una volta si è espressa in tal senso. Nella circolare ministeriale n. 320/E del
19 dicembre 1997, disegnando i confini dell'oggetto della fattispecie del
conferimento d'azienda, si è affermato che il termine "azienda" è da intendersi,
coerentemente con la definizione contenuta all'art. 2555 del codice civile, come
un "universitas di beni materiali, immateriali e di rapporti giuridico - economici
suscettibili di consentire l'esercizio dell'attività di impresa". Più di recente con la
circolare n. 6 del 2006, in merito alla possibilità di rilevare all’interno della
medesima plusvalenza quote esenti e quote non esenti, a seconda della
composizione del conferimento, l’Agenzia delle entrate ha rilevato che ”Il
corrispettivo percepito per la cessione costituisce un valore riferito all’azienda
intesa come unitario complesso di beni da cui origina una plusvalenza che non
si può identificare con quella relativa alla cessione delle partecipazioni che ne
fanno parte”. Proprio in conformità con tali corrette osservazioni dunque,
sembra opportuno rilevare ai fini del computo del periodo di possesso
226
Si rileva oltretutto che non pare corretto sostenere che i beni in leasing non trovano iscrizione nel
bilancio. Infatti l’art. 2427 prevede, per i beni in locazione finanziaria, la loro rilevazione nella nota
integrativa.
227
Di tale avviso anche A., Conferimenti ed apporti nel sistema delle imposte sui redditi, Torino, 2008, pp.
368 e BARBONE L. Conferimento di azienda e periodo minimo di possesso delle partecipazioni ricevute ai
fini della participation exemption, in Dialoghi Trib., 4, 2004, pp. 604-606.
86
dell'azienda il momento in cui si è costituita, ovvero da quando si sia configurata
a seguito dell’organizzazione dei beni e dei mezzi che la compongono228.
2. Il requisito della commercialità
A differenza di quanto è stato riportato per i requisiti cosiddetti oggettivi,
nulla viene precisato nell’art. 176 del TUIR in merito ai requisiti c) e d) presenti
all’art. 87 del TUIR, i quali peraltro devono sussistere ininterrottamente
dall’inizio del periodo di imposta precedente a quello del realizzo. Il problema
sussiste principalmente nel caso in cui la società conferitaria non abbia già da
sé maturato il periodo triennale richiesto dalla norma in quanto, a titolo di
esempio essa è neo-costituita, oppure ha modificato la propria residenza nel
corso del periodo. In particolare ci si chiede se a seguito del conferimento di
una azienda avente i requisiti richiesti per la partecipation exemption, si possa
verificare un trasferimento alla conferitaria di tali caratteristiche, assieme al loro
possesso maturato in passato in capo al cedente. Per le caratteristiche del
regime di neutralità, ampiamente esposte nei precedenti capitoli, e in via
analogica per quanto si verifica nel caso del primo requisito, parte della
dottrina229 sostiene che il regime di neutralità contenuto all'art. 176 del TUIR,
comporta il trasferimento del periodo triennale di possesso dei requisiti di
commercialità e di residenza che in realtà erano maturati solo in capo alla
conferente. Ciò in virtù del principio di continuità illustrato nella circolare
dell'Agenzia delle entrate n.36/E del 2004, il quale può essere interpretato
228
La giurisprudenza si è espressa a favore del riconoscimento dell’unitarietà dell’azienda anche nei
confronti dei beni immateriali. In tal senso la Comm. Trib. Di Forlì n.. 113/1984, la quale ha affermato
che l’azienda non ha carattere pertinenziale. in quanto un complesso con tali caratteristiche si rilevano
solo beni materiali, aventi inoltre collegamenti di dipendenza in cui una vi è una cosa principale e
un'altra accessoria. L’azienda invece è un’organizzazione complessa di beni di diversa natura coordinati
tra loro.
229
In tal senso FICARI V., I conferimenti in società a responsabilità limitata nella riforma tributaria, in
Rass. Trib., 5, 2005, pp. 740 e ss., MIELE L. Qualche nodo da sciogliere sul conferimento di aziende e di
partecipazioni, in Corr. Trib., 30, 2005, pp. 2359 e ss. e VIOTTO A., Il regime tributario delle plusvalenze
da partecipazioni, Torino, 2013, pp. 369 e ss.
87
come principio generale che regola il conferimento d'azienda in regime di
neutralità. Di conseguenza, tale principio dovrebbe consentire l'estensione
anche dei requisiti di territorialità e di commercialità in quanto, con riferimento a
quest'ultimo, se la conferitaria subentra al conferente per il periodo di possesso
dell'azienda, di conseguenza è come se la società conferitaria abbia esercitato
l'attività di impresa, in vece della conferente. In altre parole, se una società
conferisce un'azienda con la quale ha esercitato per un periodo ininterrotto di
tre anni un'attività commerciale230, la società beneficiaria, anche se neocostituita, subentra sia nel periodo di possesso, sia nel periodo di esercizio
dell'azienda, soddisfacendo quindi il requisito della commercialità231. Tali
conclusioni, poi, si estenderebbero anche nei confronti del requisito della
territorialità.
A conclusioni opposte giunge altra autorevole dottrina232, la quale
osserva che il principio di piena fungibilità fra i beni di primo e secondo grado si
limita al solo trasferimento del periodo di possesso dell'azienda, con limitata
valenza quindi ai fini del requisito di cui al comma 1 lett. a) dell'art. 87 del TUIR.
Ciò in quanto il regime di neutralità non consente al soggetto conferente di
retrodatare il possesso di alcune condizioni completamente indipendenti dalle
caratteristiche
dell'azienda
conferita,
che
si
devono
perfezionare
autonomamente in capo alla società conferitaria. Invero ciò che rileva ai fini
dell'applicazione del regime di esenzione delle plusvalenze, per quanto riguarda
il profilo oggettivo, sono le caratteristiche dell'azienda partecipata, ovvero in tal
caso la società conferitaria, cui la disciplina fiscale richiede appunto lo
svolgimento di una attività commerciale, e la residenza al di fuori di territori a
fiscalità privilegiata. Il conferimento in regime neutrale, può consentire la
trasmissione del requisito di commercialità, ma non di certo la retrodatazione di
230
In merito alla definizione di attività commerciale si veda cap. III, par. 5
PERROTTA R. Il Conferimento d’azienda, Milano, 2005, pp. 343 e ss.
232
TURCHI A., Conferimenti ed apporti nel sistema delle imposte sui redditi, Torino, 2008, pp. 371 e ss.
231
88
esso. Elementi a sostegno di tale tesi possono essere rinvenuti nel testo del
comma 1 dell'art. 176, il quale prevede che il subentro da parte del soggetto
conferitario in capo alla situazione della conferente avviene "in ordine agli
elementi dell'attivo e del passivo dell'azienda", e non nei confronti di altri
elementi come quelli presi in esame. Di questo avviso inoltre, sembra essere
anche l'Amministrazione finanziaria, la quale nella già citata circolare n.36/E del
2004, si esprime a favore della retrodatazione nelle operazioni di scissione e
fusione dei requisiti di territorialità e di commercialità in capo all'ente emergente,
senza però fare alcun riferimento o richiamo alle operazioni di conferimento. Il
silenzio dunque dell'Agenzia delle entrate in tale occasione, in merito ai
conferimenti, sarebbe la conferma del fatto che si deve escludere la possibilità
di retrodatare il possesso dei requisiti oggettivi contenuti all'art. 87 del TUIR.
Su
tale
questione
è
intervenuta
di
recente
l'Amministrazione
finanziaria233, la quale si è espressa a favore dell'estensione delle osservazioni
fatte nella precedente circolare 36/E del 2004 in merito alle fusioni e alle
scissioni ai conferimenti,consentendo così alle partecipazioni della conferitaria
di ereditare i requisiti oggettivi maturati nell'azienda oggetto del conferimento. In
particolare nella risoluzione n. 227/E del 2009, l'Agenzia delle entrate osserva
che "coerentemente con la ratio che è alla base del disposto di cui al comma 4
dell'art. 176 del TUIR ... si ritiene che il principio di continuità possa essere
esteso anche al requisito di commercialità di cui all'articolo 87, comma 1, lettera
d), del TUIR" con la condizione però che l'attività commerciale "venga
ininterrottamente svolta anche dalla conferitaria fino alla data di cessione della
partecipazione e nel rispetto del requisito temporale ai sensi dell'art. 87, comma
2, del TUIR". Le medesime conclusioni infine vengono addotte anche con
riferimento al requisito della territorialità la cui sussistenza "analogamente al
requisito della commercialità, andrà verificata in capo alla società conferitaria
233
Ris. Agenzia delle entrate, n.227/E, 2009.
89
alla data di cessione della partecipazione e, per il periodo precedente, su
proiezione triennale, fino a esaurimento dell'intervallo di osservazione richiesto
dal comma 2 dell'articolo 87 del TUIR, anche in capo alla società conferente". In
chiusura, coerentemente con le conclusioni prodotte dall'amministrazione
finanziaria, si ritiene che sia per quanto riguarda il requisito della commercialità
si per quello della territorialità, è possibile trasmettere tali caratteristiche con
effetto di retrodatazione, dalla azienda conferita, alle partecipazioni della
società conferitaria. Di conseguenza il conferimento in regime di neutralità di
un'azienda avente tutte i requisiti richiesti per l'applicazione del regime "pex",
consente, ad opera dell'art. 176 del TUIR, l'estensione di detti requisiti anche
alla società conferitaria, permettendo quindi al conferente di poter accedere, a
seguito della cessione delle partecipazioni ottenute in cambio, di accedere al
regime di esenzione contenuto all'87 del TUIR.
90
Capitolo VI -
La disciplina antielusiva e l'abuso di diritto
1. L'imposizione diretta e il principio generale di abuso del diritto
Attraverso condotte cosiddette "evasive" il contribuente pone in essere
dei comportamenti al fine di nascondere in tutto o in parte, la ricchezza da esso
prodotta. Il soggetto "evasore" dunque sconta una tassazione inferiore a quella
cui sarebbe sottoposto se non avesse tenuto occultato all'amministrazione
finanziaria tutta una serie di fatti, atti e attività economiche, mediante la loro
omissione in sede di dichiarazione. Il reddito evaso dunque è reale, e il
patrimonio è tangibile, e il contribuente li nasconde o nella speranza che non
vengano mai scoperti a causa delle inefficienze degli enti verificatori, oppure
auspicando in un condono, al fine di scontare una tassazione minore.
Sostanzialmente diversa invece è la situazione nel fenomeno dell'elusione
fiscale. Infatti contrariamente a quanto avviene per l'evasione, il contribuente
non pone in essere un atto o un fatto economico, che secondo
l'amministrazione finanziaria, invece avrebbe dovuto concretizzarsi. L'elusione
fiscale dunque si configura come un modello di "tassazione differenziale",
attraverso il quale il contribuente "elude" un’operazione, adottando dei
comportamenti formalmente diversi, ma affini sotto il profilo sostanziale 234, i
quali sono sottoposti ad una tassazione ridotta. Tuttavia non tutti i
comportamenti che consentono il risparmio di imposta possono essere
catalogati come "elusivi". In effetti, ne il legislatore comunitario, ne quello
nazionale, vietano al contribuente di scegliere il negozio giuridico più
conveniente sul piano fiscale, ne lo vincolano a optare per la scelta più
234
Nella prospettiva della lotta all'evasione fiscale non si chiede una perfetta coincidenza tra due negozi
giuridici ma è sufficiente un somiglianza, o un analogia in conformità con la struttura dell'imposta presa
in considerazione. FALSITTA G., Manuale di diritto Tributario, Padova, 2005, pp. 223 e ss.
91
onerosa235. Invero, con esclusione di operazioni finalizzate a nascondere
totalmente o parzialmente atti e fatti giuridicamente rilevanti e operazioni
eccessivamente "funamboliche", in presenza di più regimi fiscali alternativi
proposti dalla disciplina per una certa operazione, il contribuente è libero di
scegliere per la soluzione fiscalmente meno onerosa, in attuazione di una
legittima "pianificazione fiscale" 236. Nonostante vi sia una sovrapposizione tra le
operazioni cosiddette elusive e le legittime scelte del contribuente tra più regimi
è possibile delineare un confine che separa le due fattispecie 237. Invero,
soluzioni eccessivamente "convenienti" da un punto di vista fiscale, saranno
censurate dal legislatore nel momento in cui verranno considerate contrarie ai
principi
dell'ordinamento
tributario.
Per
configurarsi
elusiva
quindi
un'operazione, non solo deve generare un risparmio di imposta, a seguito della
scelta tra più configurazioni e regimi, ma tale "vantaggio238" dovrà configurarsi
come incompatibile con i principi generali della disciplina fiscale. Riassumendo,
il termine "elusione" definisce "la minimizzazione del prelievo che il soggetto
realizza abusando di forme tipizzate da effetti pienamente leciti e meritevoli di
tutela da parte dell'ordinamento giuridico"239 mentre vi è legittimo risparmio
fiscale quando "tra i vari comportamenti posti dal sistema fiscale su un piano di
pari dignità, il contribuente adotta quello fiscalmente meno oneroso"240. Non è
quindi la forma utilizzata che da origine al fenomeno, ma piuttosto l'uso che se
235
Nella sentenza C-196/04 Cadbury Schweppes infatti, viene elevato a principio generale il diritto della
libertà di scelta nello svolgimento di un'attività economica, anche sulla base di scelte di carattere fiscale.
In merito si veda BEGHIN M., La sentenza Cadbury Schweppes e il "malleabile" principio di libertà di
stabilimento, Rass. Trib., 2007, 983 ss.
236
Oltre che accettati e proposti dal sistema, e privi di forzature o limitazioni.
237
Il confine tra l'elusione fiscale e il legittimo risparmio di imposta è riconosciuto anche dalla
giurisprudenza di legittimità. In tal senso si segnala STANCATI G., il dogma comunitario dell'abuso della
norma Tributaria, in Rass. Trib., 2008, pp. 776 e ss., in commento alla Cass. Sez. Trib. 4 aprile 2008, n.
8772.
238
Il vantaggio fiscale deve rilevarsi dal confronto sia giuridico che economico di due o più regimi, o
configurazioni, in quanto le valutazioni economiche sono eccessivamente elastiche, imprecise, e poco
"garantiste" dal punto di vista della certezza degli effetti giuridici. In tal senso BEGHIN M. L'elusione
fiscale e il principio del divieto di abuso del diritto, Milano, 2013, pp. 8 e ss.
239
TABELLINI P. M., L'elusione fiscale, Milano, 1988, pp. 20
240
Relazione governativa al D.Lgs. n. 358 del 1997
92
ne viene fatto. Al fine di contrastare l'adozione da parte dei contribuenti di
comportamenti elusivi, il legislatore ha introdotto l'art. 37-bis, comma 2, del DPR
n.600/1973, il quale consente all'amministrazione finanziaria di disconoscere gli
eventuali vantaggi fiscali, ottenuti mediante atti, fatti o negozi giuridici anche tra
loro connessi, e che sono diretti ad aggirare obblighi o divieti presenti nella
disciplina tributaria, al fine di conseguire riduzioni o rimborsi di imposta
altrimenti indebiti e privi di valide ragioni economiche241. In particolare l'art. 37bis del DPR 600/73 fa riferimento esplicito a riduzioni o rimborsi di imposta
"altrimenti indebiti", dove il termine "indebiti" deve interpretarsi come "non
dovute sulla base delle indicazioni sistematiche". Quindi come osserva
autorevole dottrina242 la normativa antielusiva mira a colpire "risparmi di imposta
"patologici" lasciando altrimenti impregiudicata la scelta - da parte dei
contribuenti - del comportamento fiscalmente meno oneroso"243.
La stessa
Amministrazione finanziaria, al fine di delineare un netto confine tra operazioni
elusive e lecita pianificazione fiscale, ha individuato quattro distinte e tassative
condizioni che devono contemporaneamente verificarsi per applicare la censura
prevista dall'art. 37-bis del DPR 600/1973. In particolare devono verificarsi
comportamenti:
 che comportano l'utilizzo di uno o più atti tra quelli elencati al comma 3
dell'art. 37-bis;
 privi di valide ragioni economiche;
241
In tal senso FALSITTA G., Manuale di diritto Tributario, Padova, 2005, pp. 224 e ss, STEVANATO D.,
Scissione proporzionale e "valorizzazione" del patrimonio immobiliare, Dir. prat. Trib. , 1, 2005, pp. 957 e
ss. e BEGHIN M. La scissione parziale non proporzionale e l'elusione condizionata, Riv. dir. Trib., 2, 2007
pp. 386 e ss., e la relazione governativa al D.Lgs. n. 358 del 1997.
242
LUPI R., Elusione e legittimo risparmio d'imposta nella nuova normativa, Rass. Trib., 5, 1997, pp. 1100
e ss.
243
Osserva infatti il legislatore nella relazione governativa al D.Lgs. n. 358 del 1997 che la "norma
antielusione non può vietare la scelta, tra una serie di possibili comportamenti cui il sistema fiscale
attribuisce pari dignità, di quello fiscalmente meno oneroso. In tutti questi casi la scelta della via
fiscalmente meno onerosa non è implicitamente vietata dal sistema, ma al contrario esplicitamente o
implicitamente consentita, e non è configurabile alcun aggiramento di obblighi e divieti."
93
 diretti ad eludere obblighi o divieti dell'ordinamento tributario244;
 tesi
a
perseguire
un
risparmio
di
imposta
disapprovato
dall'ordinamento245.
Con riferimento alle "valide" ragioni economiche si fa riferimento a motivi
che devono ricollegarsi in qualche maniera al programma imprenditoriale, sia
direttamente ma anche indirettamente inerenti all'attività d’impresa. Come
chiarito infatti dalla relazione governativa al D.Lgs. 358/1997, tale espressione
non si riferisce a una validità di tipo giuridico ma piuttosto di carattere
economiche e gestionali246 . Proprio alla luce di tali argomentazioni il legislatore,
con specifica previsione al comma 3 dell'art. 176 del TUIR, ha deciso di
escludere
l'operazione
di
conferimento
e
successiva
cessione
della
partecipazione dall'applicazione dell'art. 37-bis del DPR 600/73, affermando
quindi la non elusività dell'operazione. Innanzitutto, come abbiamo potuto
osservare nel precedente capitolo, attraverso la cessione di azienda "indiretta"
non si ottiene sul piano dell'imposizione sui redditi alcun vantaggio fiscale
rispetto alla cessione diretta d'azienda. Invero, la parziale tassazione delle
plusvalenze derivanti dalla cessione delle partecipazioni ottenute in seguito al
conferimento, è controbilanciata dall'effetto di continuità dei valori fiscali
caratteristico del regime di neutralità dei conferimenti. In particolare, il soggetto
conferitario, non ottiene il riconoscimento fiscale dei maggiori valori iscritti
eventualmente in bilancio, e di conseguenza, non potrà portare a deduzione i
maggiori costi e i maggiori ammortamenti in sede di dichiarazione dei redditi. Vi
244
Per configurarsi un aggiramento degli obblighi o dei divieti previsti dall'ordinamento devono
verificarsi una serie di atti, giuridicamente validi, ma con finalità atipiche in modo da realizzare un
risultato economico sostanzialmente equivalente a quello assunto dalla norma a presupposto di
imposizione.
245
Si sottolinea che non vi è aggiramento di obblighi e divieti e quindi non vi è elusione, quando il
contribuente consegue un vantaggio fiscale adottando una delle vie alternative ammesse dal legislatore.
In tal senso LUPI R., Manuale giuridico professionale di diritto tributario , Milano, 2011, pp. 295 e ss.
246
MELILLO C. Elusione e abuso del diritto: tra ipotesi di integrazione ed esigenze di una certezza
normativa, Dir. e prat. Trib., 3, 2010, pp. 425 e ss.
94
è in sostanza uno spostamento dell'onere fiscale dal soggetto conferente al
soggetto conferitario. In secondo luogo, la scelta del legislatore di escludere
l'operazione di conferimento e successiva cessione delle partecipazioni, è
legata alla natura dell'operazione. Infatti essa, a parere del legislatore, sarebbe
idonea a porre in essere operazioni di ristrutturazione e riconfigurazione della
struttura
operativa
di
un’azienda.
Di
conseguenza
l'operazione
non
presenterebbe i caratteri tipici delle operazioni elusive, in quanto ne si verifica
alcun indebito vantaggio fiscale, ne in secondo luogo, in linea di principio, si
rileverebbe come unico motivo dell'operazione l'ottenimento di una qualche
forma di risparmio aziendale, in quanto si riconosce la natura di operazione di
riorganizzazione aziendale247. L'art. 37-bis del DPR n. 600/73 non è l'unico
strumento utilizzato nella giurisprudenza per il contrasto all'elusione fiscale,
anche perché esso per espressa previsione al comma 3 si applica ad un ampio,
ma pur sempre limitato numero di operazioni. Con l'evoluzione della disciplina
tributaria, sono emersi fenomeni dall'evidente effetto distorsivo ma incensurabili
da parte dell'Amministrazione finanziaria, per la loro esclusione dall'elencazione
presente nell'articolo citato248. Al fine di reprimere tutti i comportamenti elusivi la
giurisprudenza ha progressivamente elaborato un principio generale di "divieto
dell'abuso di diritto"249. Il termine "abuso del diritto" viene coniato per la prima
volta in occasione della nota sentenza Halifax250 emessa dalla Corte di giustizia
247
TASSANI T. I confini dell'abuso del diritto ed il caso del conferimento di azienda con successiva
cessione delle partecipazioni, in Riv. Dir. Trib., 3, 2011, pp. 329 e ss.
248
Ad esempio il ben noto fenomeno di dividend washing ovvero l'acquisto la cessione e riacquisto di
azioni, sfruttando lo stacco della cedola. In merito si veda BEGHIN M., Le ragioni economiche tra difetto
di causa contrattuale ed elusività dell'operazione, in Corr. Trib., 2007 pp. 2699 e ss.
249
Tale principio a differenza di molti ordinamenti europei non trova espressione in una norma
specifica. Nella nostra disciplina infatti sono rinvenibili solo norme specifiche a ratio antielusiva come
l'art. 37-bis del DPR n. 600/73. TESAURO F. Elusione e abuso nel diritto Tributario italiano, in Dir. e prat.
Trib., 4, 2012, pp. 694 e ss. Di particolare ispirazione, in merito, per la giurisprudenza è stato
l'ordinamento tedesco. In merito VANZ G., L'elusione fiscale tra forma giuridica e sostanza economica,
Rass. Trib., 5, 2006, pp. 1606 e ss.
250
In tale sentenza il giudice comunitario ha affermato che, in merito all'IVA, il soggetto passivo non
detiene il diritto di detrarre l'IVA versata a monte quando la detrazione deriva da un comportamento
abusivo.
95
delle comunità europee (CGCE) il 21 febbraio del 2006251. Con tale pronuncia
la Corte ha disposto che l'interpretazione della normativa comunitaria non deve
mai superare i limiti definiti dall'abuso di diritto, e che l'esercizio delle libertà
concesse dal diritto comunitario non possono consentire l'aggiramento delle
normative interne dei singoli Stati Membri. In particolare, la sentenza osserva
che si verifica "abuso del diritto quando si invocano le disposizioni del diritto
comunitario per evadere la normativa nazionale e per conseguire agevolazioni
in modo che contrasta con gli scopi e con le finalità di quelle stesse
disposizioni". La Cassazione, alla ricerca di un principio generale per
contrastare le condotte abusive, ne ha determinato l'applicabilità nel diritto
interno252. Con una serie di numerose sentenze253 tale clausola implicita
è
stata estesa dalle imposte armonizzate alle imposte dirette destando non poche
perplessità alla dottrina maggioritaria254. Invero in tutte le sentenze che hanno
avuto seguito dopo la sentenza della CGCE, il divieto di abuso del diritto è stato
sempre definito in modo tutt’altro che preciso e risultava sostanzialmente
diverso rispetto al principio espresso dalla corte comunitario. La Cassazione,
nelle sentenze in commento, ha recepito solo in parte gli elementi costitutivi
della clausola disegnata dal giudice comunitario, eliminandone completamente
uno. Viene infatti affermato che una condotta deve giudicata dando rilievo al
solo aspetto sostanziale, e deve considerarsi "abusiva" quando il suo fine ultimo
è l'ottenimento di un vantaggio fiscale. Questo tuttavia risulta essere solo il
secondo degli elementi fondanti del principio enucleato dalla corte comunitaria
251
Sentenza C-255/02 del 21 febbraio 2006. Sull'argomento PICCOLO C. Abuso del diritto ed Iva: tra
interpretazione comunitaria ed applicazione nazionale, in Riv. dir. Trib., 3, 2006, pp. 1040 e ss.
252
Cass. n. 10352 del 5 maggio 2006, commentata da LA ROSA S. Sugli incerti confini tra l'evasione,
l'elusione e l'assenza del presupposto soggettivo Iva, in Riv. dir. Trib., 2, 2006, pp. 619 e ss.
253
Si veda su tutte Cass. n. 21221 del 29 settembre 2006.
254
In tal senso BEGHIN M. L'inesistente confine tra pianificazione, elusione e "abuso del diritto", Corr.
Trib., 22, 2008, pp. 1777 ss., ZIZZO G. L'abuso dell'abuso del diritto, GT Riv. di giur. Trib., 6, 2008;
STANCATI G. Il dogma comunitario dell'abuso della norma tributaria, Rass. Trib., 3, 2008; CONTRINO A.
Il divieto di abuso del diritto fiscale: profili evolutivi, asseriti fondamenti giuridici e connotati strutturali,
Dir. e prat. Trib., 1, 2009.
96
nella sentenza del 2006. Il primo, completamente omesso nelle sentenze della
Cassazione, riguarda il vantaggio fiscale eventualmente ottenuto, il quale deve
porsi in contrapposizione con le finalità dell'imposta o delle imposte evase.
Ulteriori perplessità si rilevano sulle sentenze emesse dalla Cassazione in
riferimento all'applicabilità del principio di divieto di abuso del diritto
all'ordinamento italiano. Infatti tale principio non fa parte dei principi generali
presenti nel Trattato CE, e riguarda esclusivamente imposte armonizzate di
carattere comunitario. Nella stessa sentenza Halifax, d'altronde, è affermato
che "gli interessati non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente del
diritto comunitario", e quindi le conclusioni espresse dal CGCE non possono
che essere imputate esclusivamente a fattispecie direttamente o indirettamente
regolate dalla normativa comunitaria255. Di conseguenza si è osservato che il
principio elaborato dal giudice comunitario non può trovare applicazione
nell'ordinamento nazionale, se non violando l'art. 11 e 23 della Costituzione, e
quindi il principio di abuso del diritto, con riferimento alle norme interne, non può
che avere origine che dalla medesima fonte256. A fronte di tali rilievi, vi ha posto
rimedio la stessa Corte di Cassazione a sezioni unite, che con alcune sentenze
nel 2008257, ha rideterminato la definizione di "abuso del diritto" ed ha
individuato la sua origine nella Costituzione Italiana. Invero secondo la Corte, il
divieto di abuso del diritto tributario, è un principio generale implicito
nell'ordinamento italiano, che si origina dai principi costituzionali che
definiscono il nostro sistema tributario. In particolare si fa riferimento al
255
CONTRINO A. Il divieto di abuso del diritto fiscale: profili evolutivi, (asseriti) fondamenti giuridici e
connotati strutturali, Dir. e prat. Trib., 3, 2009, pp. 468 e ss. In tal senso anche MELILLO C. Elusione ed
abuso del diritto: tra ipotesi di integrazione ed esigenze di certezza normativa, Dir. e prat. Trib., 3, 2010,
pp. 413 e ss. e CARPENTIERI L. L'ordinamento Tributario tra abuso e incertezza del diritto, in Riv. dir.
Trib., 1, 2008, pp. 1059 e ss.
256
Orientamento per altro confermato indirettamente dalla stessa corte di giustizia CE nella sentenza
della causa C-321/05 Kofoed. Interessanti commenti in merito di ANDRIOLA A. Quale incidenza della
clausola anti-abuso comunitario nella imposizione sui redditi in Italia?, Rass. Trib., 1, 2008, pag. 261.
257
Cass. n. 8772 del 4 aprile 2008, Cass. n. 10257 del 17 ottobre 2008, Cass. n. 23633 del 15 settembre
2008 e Cass. n. 25374 del 17 ottobre 2008.
97
"principio di capacità contributiva", contenuto al comma 1 dell'art. 53 della
costituzione, e al "principio di progressività dell'imposizione", al comma 2 del
medesimo articolo, che fungono da perno di tutta la disciplina tributaria, sia con
riguardo alle norme impositive, che alle norme che determinano vantaggi fiscali.
Di conseguenza, a parere della Corte di Cassazione, "non può non ritenersi
insito nell'ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali".
Tale impostazione è stata totalmente recepita nelle successive sentenze della
Cassazione258, le quali oltretutto, hanno rafforzato la tesi sulla base
costituzionale del "principio dell'abuso del diritto", integrando tra le motivazioni
addotte, anche "il principio di utilità sociale" contenuto al comma 2 dell'art. 41
della Costituzione259. Infatti, nella sentenza n. 8487 del 2009 la Corte sostiene
che "è evidente che una operazione economica realizzata al solo fine di
ottenere un risparmio fiscale (a prescindere da connotazione di fraudolenza) è
una operazione che contrasta con l'utilità sociale, sia nel senso che lede il
principio di solidarietà, sia nel senso che determina una indebita riduzione del
gettito fiscale"260. Come osservato da autorevole dottrina261, tuttavia, anche la
nuova configurazione della clausola antiabuso del diritto, produce non pochi
distortivi nell'ordinamento tributario. Invero stante la definizione di abuso del
diritto e quella dell'elusività contenuta all'art. 37-bis, si verifica una netta
sovrapposizione tra le due fattispecie. Nella sentenza n. 1465 del 2009 infatti la
Suprema Corte, ai punti 4, 5 e 6 afferma che "L'abuso costituisce una modalità
258
Cass. n. 1465 - 8481 - 8487 del 2009
Cass. n. 8487 del 2009
260
Conclusioni per altro criticate dalla dottrina essenzialmente per due ordini di motivi. Innanzitutto
perché l'obbligo tributario sorge solo per effetto di quanto stabilito nelle leggi ex. art. 23 Cost., e
l'obbligo di rispettarle non si fonda sull'art. 53 Cost. . In secondo luogo l'art. 53 Cost. al secondo comma
non pone limiti al contribuente, ma bensì al legislatore, al quale viene richiesto di legiferare sul diritto
Tributario nel perseguimento dei fini solidaristici e della giustizia sociale. In tal senso BEGHIN M.
L'abuso del diritto tra capacità contribuiva e certezza dei rapporti fisco-contribuente, Corr. Trib., 11, pp.
341 e ss. . A favore dell'interpretazione proposta dalla Corte si esprime invece FALSITTA G. in
L'interpretazione antielusiva della norma Tributaria come clausola immanente al sistema, e direttamente
ricavabile dai principi costituzionali in Corr. giur., 2009, pp. 298-299.
261
BEGHIN M., L'abuso del diritto tra capacità contribuiva e certezza dei rapporti fisco-contribuente,
Corr. Trib., 11, pp. 341 e ss.
259
98
di "aggiramento" della legge tributaria utilizzata per "scopi non propri" con forme
e modelli ammessi dall'ordinamento giuridico". L'impressione da parte della
dottrina è che l'espressione "scopi non propri" sia perfettamente sovrapponibile
all’asistematicità prevista dall'art. 37-bis del DPR n. 600/73. Invero esattamente
per quanto previsto per le operazioni elusive nella norma antielusiva generale,
anche nell'abuso di diritto ciò che rileva non sono tanto gli strumenti giuridici
utilizzati, ma il risultato conseguito a seguito dell'operazione. Altra analogia si
rileva nel confronto tra fattispecie concretamente posta in essere e la fattispecie
ipotetica, necessario sia per rilevare l'eventuale elusività di uno o più atti, che
per individuare casi di "abuso del diritto"262. Al fine di rimuovere le perplessità
legate all'esistenza contemporanea di una clausola generale anti-elusiva scritta
e un principio analogo ovvero il divieto dell'abuso di diritto che non trova
espressa previsione nella disciplina tributaria263, in qualità di Presidente della
Commissione Parlamentare di Vigilanza sull'Anagrafe Tributaria264, Maurizio
Leo presentò nel 2009 una proposta di modifica all'art. 37-bis del DPR n.
600/73265 al fine di integrare la fattispecie dell'abuso del diritto all'interno della
disciplina, facendo perno su tre punti fondamentali:
 L'inapplicabilità di alcuna sanzione amministrativa penale;
 garanzie per il contribuente;
 impossibilità dell'applicazione d'ufficio da parte del giudice.
262
MARONGIU G. L'elusione nell'imposta di registro tra abuso del diritto e l'abuso del potere, Dir. e prat.
Trib., 1, 2008, pp. 1083 e ss.
263
Rilevate dalla quasi totalità della dottrina. In tal senso si veda ZIZZO G. L'abuso dell'abuso del diritto,
GT Riv. di giur. trib., 6, 2008, pp. 465 e ss., ARMELLA S. e UGOLINI L. Gli aspetti critici dell'abuso del
diritto nell'imposizione indiretta, Corr. Trib, 3, 2012, pp. 218 e ss., LA ROCCA S., L'abuso del diritto dalle
orgini storiche (nel diritto civile)alla evoluzione più attuale, come strumento di lotta ai fenomeni
distorsivi, Boll. Trib. Info., 18, 2011.
264
Nella XVI Legislatura.
265
Proposta di legge n. 2521 del 18 giugno 2009, "modifica dell'art. 37-bis e l'integrazione del principio
dell'abuso del diritto". In merito M. Leo "Abuso del diritto e interventi legislativi possibili" , il Fisco n.
18/2009 pp. 2839 e ss.
99
Secondo Leo tale "intervento normativo (era) teso innanzitutto a chiarire
che la soluzione da considerare corretta, dal punto di vista fiscale, non può
essere sempre e comunque quella più onerosa. Un risparmio d'imposta è
illegittimo solo se il contribuente fa un uso distorto degli strumenti negoziali
messi a disposizione".A prescindere dalla proposta di legge, che non ha trovato
accoglimento266, sembra auspicabile che vi sia un intervento normativo che
tracci chiaramente i confini dell'abuso del diritto, perché il richiamo ai principi
costituzionali spesso effettuato nelle sentenze, rischia di avere gravi effetti
incontrollabili in sede di contenzioso267. Invero la presenza di un principio
implicito e non chiaramente delineato all’interno della disciplina tributaria mina
fortemente la "certezza" del diritto268 ponendo problemi di coordinamento tra la
normativa espressa e quella implicita della giurisprudenza. In particolare
ammesso che è insito nel sistema tributario un principio non scritto contrario
all'abuso del diritto, va chiarito innanzitutto se l'emersione di una condotta
"abusiva" possa comportare l'erogazione si sanzioni amministrative o penali. In
secondo luogo in mancanza di una previsione ben delineata, vi è il rischio
concreto che possano verificarsi accertamenti privi delle tipiche tutele
procedurali contenute nella normativa antielusiva. Sulla prima questione
sembrerebbe prevalere la tesi della non applicabilità delle sanzioni in quanto sia
nel caso Halifax, deciso dalla CGCE, sia nelle già citate sentenze n. 8487 e n.
12042 della Corte di Cassazione nel 2009, in quanto con riguardo ai fenomeni
dell'abuso del diritto e dell'elusività già il recupero della tassazione di per sé è
una sanzione. In merito alla seconda questione sia la CTP di Milano Sez. XLII
266
Come d'altronde una seconda proposta presentata dal Consiglio dei Ministri il 23 marzo 2012.
BEGHIN M., L'abuso del diritto tra rilevanza del fatto economico e poteri del magistrato, Corr. Trib. ,
40, 2009, pp. 3288 e ss. e Note critiche a proposito di un recente orientamento giurisprudenziale
incentrato sulla diretta applicazione, in campo domestico, del divieto di abuso del diritto, Riv. dir. Trib., 2,
2008, pp. 465 e ss. e CONTRINO A., Il divieto di abuso del diritto fiscale: profili evolutivi, asseriti
fondamenti giuridici e connotati strutturali, Dir. e prat. Trib., 1, 2009, pp. 463 e ss.
268
In tal senso M. BEGHIN L'abuso e l'elusione fiscale tra regole "scritte", giustizia Tributaria e certezza
del diritto, Corr. Trib., 17, 2012, pp. 1298 e ss.
267
100
che quella di Genova Sez. I si sono espresse 269 a favore dell'applicabilità delle
procedure introdotte all'art. 37-bis. La Corte ha osservato che: "Le garanzie
procedimentali rafforzate introdotte dall'art. 37-bis devono applicarsi ad ogni
caso di elusione fiscale, anche se contestata sulla base del principio generale
dell'abuso del diritto.".270
2. Imposta di registro, ipotecaria e catastale. L'utilizzo antielusivo
dell'art 20 del DPR n 131/1986
Nel capitolo dedicato al confronto tra cessione del complesso aziendale
e conferimento e successivo trasferimento delle partecipazioni, si è evidenziato
come, l'eventuale risparmio d’imposta derivante dalla cessione cosiddetta
"indiretta", è generato principalmente dall'applicazione dell'imposta fissa di
registro anziché di quella proporzionale prevista invece per l’ordinaria cessione
d'azienda. Tale risparmio è di frequente contestato dall'amministrazione
finanziaria attribuendo all'operazione una connotazione elusiva ai fini
dell'imposta di registro, nonostante il legislatore, con espressa previsione all'art.
176 del TUIR ne abbia escluso la natura elusiva, sottraendola inoltre
dall’applicazione della disciplina antielusiva contenuta all'art. 37-bis del DPR n.
600/73. L'amministrazione finanziaria, infatti, giustifica le proprie pretese
facendo emergere in sede di contraddittorio l'inapplicabilità della previsione di
cui all'art. 176 del TUIR, in quanto norma riferibile esclusivamente alle imposte
sui redditi271. Malgrado risulti inconcepibile riconoscere la legittimità di un
operazione con riferimento alle imposte dirette, e allo stesso tempo contrastarla
269
Rispettivamente sentenza 21/02/2011 n. 54 e sentenza 24/01/2011.
CTP di Milano (Sez. XLII), sentenza 21/02/2011 n. 54
271
In tal senso DEZZANI F. e DEZZANI L., Conferimento di azienda e successiva cessione della
partecipazione: operazione elusiva ai fini dell'imposta di registro, in il Fisco, 17, 2013, DEPIRRO R. e
PALLADINI G., Conferimento di azienda e successiva cessione delle quote ed elusione, in il Fisco, 36, 2012.
270
101
con riguardo all'imposizione indiretta, in merito alla questione, vi sono ancora
sentenze a favore dei rilievi effettuati dagli Uffici verificatori. A titolo di esempio,
la CTR della Lombardia, con la sentenza n. 36 del 3 marzo 2011 ha respinto il
ricorso di una società che si opponeva ad un avviso di liquidazione ai fini
dell'imposta di registro. L'Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento
aveva riqualificato l'operazione di conferimento d'azienda e successiva
cessione delle partecipazioni come cessione di ramo di azienda, fondando la
propria pretesa sul fatto che il conferimento e la cessione delle partecipazioni
sono avvenute nel medesimo giorno. La contestualità quindi sarebbe stata un
aspetto indiziario della natura elusiva della complessa operazione. In particolare
i giudici avrebbero sancito la riqualificazione della serie di atti posti in essere, in
una unica operazione di cessione, attraverso l'applicazione dell'art. 20 del DPR
n. 131/86. Tale articolo, che assume una posizione centrale nella disciplina
dell'imposta di registro, definisce il principio generale d’interpretazione dell'atto
ai fini dell'imposizione del tributo, tipico dell'ordinamento romanistico, per cui
nelle convenzioni la realtà prevale sull'apparenza272. In specie, la norma
prevede che al fine di determinare il regime impositivo si deve dare rilevanza,
non alla conformazione giuridica formale decisa dalle parti, ma alla sua
sostanza e ai suoi effetti giuridici. La disposizione è nata inizialmente con
l'intento di colpire il negozio giuridico realmente dentro all'atto nei casi di
discordanza tra scriptum e gestum ma presto ha cambiato direzione. D'altronde
era chiara fin da subito la vasta portata della norma. Essa infatti è evidente
prova della malcelata diffidenza nei contratti privati, da cui la necessità di
soprasedere la forma e rilevare invece l'effetto economico e giuridico perseguito
dalla parti273. Su tale linea interpretativa se n’è innestata un'altra che, come
272
"In conventionibus contrahentium voluntatem potius quam verba spectari placuit" ovvero "Nelle
convenzioni si deve aver riguardo alla volontà dei contraenti piuttosto che alle loro parole"
273
CARINCI A., La rilevanza fiscale del contratto tra modelli impositivi, timori antielusivi e fraintendimenti
interpretativi, Rass. Trib., 5, 2014, pp. 976 e ss.
102
logica evoluzione interpretativa, assegnava all'art. 20 del TUR una portata
antielusiva274. Tale impostazione tuttavia viene fortemente criticata da parte
della dottrina. Invero è importante precisare che la norma, si riferisce ad un
imposta che grava su un atto e non sul negozio giuridico implicito, ed ha una
funzione interpretativa dell'atto e non ha portata antielusiva. In altre parole, la
norma non permette di riqualificare le operazioni poste in essere dal
contribuente al fine di rilevarne l'elusività. La ratio normativa è quella di
permettere all'Amministrazione finanziaria di applicare la corretta imposta
facendo riferimento limitatamente all'atto in oggetto275. A titolo di esempio sarà
possibile riqualificare un conferimento di azienda in un conferimento di immobili
o viceversa, ma non snaturare il negozio giuridico adottato. Invero la norma fa
esplicito riferimento agli effetti giuridici e a quelli economici dell'atto, e di
conseguenza non potrà intervenire sull'aspetto civilistico di esso. Nonostante
tali osservazioni, negli ultimi anni, numerose sentenze hanno comunque
proteso a favore della natura antielusiva dell'art. 20 del TUR, fino al 2013
quando la Cassazione nella sentenza n. 15319 del 19 Giugno del 2013, crea un
punto di rottura rispetto alle precedenti posizioni 276. La Corte, nel decidere la
controversia, osserva che vi è la necessità di attribuire "preminenza al dato
giuridico, dell'effettiva causa negoziale dell'atto sottoposto a registrazione
rispetto al relativo assetto cartolare" concludendo che l'art. 20 del TUR "esprime
la precisa scelta normativa di assumere, quale oggetto del rapporto giuridico
tributario inerente a dette imposte, gli atti registrati, in considerazione non della
loro consistenza documentale, ma degli effetti giuridici prodotti", confermando in
274
PURI P. Il fantasma dell'art. 20 del TUR sulle cessioni di partecipazioni di controllo (riclassificate come
cessione di azienda, GT Riv. di giur. Trib., 1, 2015, pp. 71 e ss.
275
GALLIO F. Conferimento - cessione d'azienda e logica del Tributo di registro, Dialoghi Trib., 6, 2010,
pp. 669 e ss.
276
RENDA A., L'evoluzione del divieto di abuso del diritto Tributario nell'orientamento della Corte di
Cassazione (2011-2013), Rass. di giur., 5, 2013, pp. 907 e ss.
103
qualche modo le precedenti sentenze277. Tuttavia nel respingere il ricorso del
contribuente, che aveva evidenziato il mancato rispetto delle procedure previste
dall'art. 37-bis del DPR 600/73, e la mancata valutazione delle valide ragioni
extrafiscali,
la
Cassazione
afferma
che
"le
censure
che
muovono,
evidentemente, dal presupposto che la previsione del DPR n. 131/1986, art. 20,
introduca una clausola antielusiva sono infondate" in quanto la norma
"quand'anche ispirata pure a finalità genericamente antielusive, non configura
disposizione antielusiva". In tale contesto si inseriscono due importanti decisioni
che caratterizzano il contesto giurisprudenziale attuale. L'ordinanza n.
5877/2014 ancora a favore dell'antielusività dell'art. 20, e la sentenza
3481/2014, che prende origine dalla sentenza 15319/2013 appena richiamata,
che assume la cosiddetta "teoria della identità degli effetti giuridici".
Spostandoci dal piano generale, a quello particolare, in merito
all'operazione oggetto della tesi, ovvero il conferimento d'azienda con
successiva cessione della partecipazione, le due interpretazioni dell'art. 20
hanno conseguenze assai diverse. Restringendo l'analisi all'anno 2014, in
alcune sentenze il giudice ha perseverato lungo l'interpretazione antielusiva
della norma, considerando del tutto legittima la riqualificazione dell'operazione
in cessione d'azienda ogniqualvolta il contribuente non sia stato in grado di
fornire valide ragioni economiche, per giustificare la propria scelta. A titolo di
esempio in tal senso la sentenza n. 5877 del 2014, nel quale il giudice di
legittimità ha osservato che "il principio secondo cui, in forza del diritto
comunitario, non sono opponibili all'Amministrazione finanziaria quegli atti posti
in essere dal contribuente che costituiscano abuso del diritto, cioè che si
traducano in operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di un
vantaggio fiscale, deve estendersi a tutti i settori dell'ordinamento tributario e,
277
STANCATI G., Conferimento di azienda e cessione delle partecipazioni: autonomia degli atti ai fini del
registro, Corr. Trib., 6, 2013, pp. 477 e ss.
104
dunque, anche all'ambito delle imposte indirette, prescindendosi dalla natura
fittizia e fraudolenta della operazione stessa, essendo all'uopo sufficiente anche
la mera prova presuntiva, come nella specie. Pertanto incombe sul contribuente
la prova della esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti con
carattere non meramente marginale o teorico, come nel caso in esame". Di
conseguenza il contribuente potrà superare il vaglio di legittimità nel solo caso
in cui riesca a fornire sufficienti ragioni extra-fiscali, come operazioni di
carattere riorganizzativo e gestionale. Esse tuttavia sono soggette a
procedimenti di carattere valutativo e quindi sottoposte a un sindacato casistico
difficilmente circoscrivibile. Altre sentenze invece, in conformità con la tesi
espressa dalla già citata Cass. n. 15319/2013, escludono la natura antielusiva
dell'art. 20 del TUR, fornendo tuttavia rilevanza all'identità degli effetti giuridici.
Da tale principio, con riferimento all'operazione di conferimento e successiva
cessione delle partecipazioni, sarebbe dovuta discenderne, coerentemente con
quanto esposto, la non operatività della riqualificazione prevista all'art. 20 del
TUR. Invero l'acquisto di un'azienda o di partecipazioni presentano effetti
giuridici assai diversi in capo al cessionario278, e di conseguenza, in mancanza
del presupposto della convergenza delle identità degli effetti giuridici non
dovrebbe essere applicato quanto previsto dall'articolo in commento 279. Tuttavia
dopo la sentenza n. 15319 del
2013, la giurisprudenza a favore della tesi
dell'identità degli effetti giuridici, ha assunto una serie di decisioni280 in netto
contrasto con la ricostruzione appena esposta, miscelando una serie di principi
278
Si pensi alla responsabilità dell'acquirente per le passività connesse all'azienda, della "confusione" dei
patrimoni, o ancora i valori attribuiti agli asset.
279
In tal senso oltre alla già citata Cass. n. 15319/2013, anche CTP di Milano del 17 luglio 2013 n. 233. Di
rilievo MARONGIU G., L'abuso del diritto nella legge del registro tra principi veri e principi asseriti, Dir. e
prat. trib., 3, pp. 361 e ss.
280
Sentenza n. 16345 del 28 giugno 2013, sentenza n. 28259 del 18 dicembre 2013 e infine sentenza
n.3481/2014
105
incompatibili281, caratterizzate e assimilate solamente dal risultato, ovvero la
"soccombenza" del contribuente. Di conseguenza ad oggi, non si può delineare
un indirizzo unitario in merito all'elusività dell'operazione di cessione indiretta da
parte della Corte di cassazione. Ciononostante in linea teorica è possibile
tracciare uno schema riassuntivo:

Se la Corte in sede di giudizio, dovesse rilevare la natura antielusiva
dell'art. 20 del TUR, il contribuente potrà difendersi dimostrando la
presenza di validi motivi economici "extrafiscali", e dovranno essere
applicate le tutele procedurali previste all’art. 37-bis del DPR
del
600/1973;

Nel caso invece venga negata la natura antielusiva dell'art. 20 del TUR,
di per sé l'operazione di conferimento e successiva cessione della
partecipazione non sarebbe riqualificabile in un unico atto in carenza del
presupposto di sovrapposizione tra le identità degli effetti giuridici.
Malgrado ciò tale conclusione, come abbiamo visto, è macchiata nelle
ultime sentenze da elementi spuri, e non compatibili con la teoria enunciata. E'
quindi auspicabile che il giudice di legittimità giunga presto ad un'uniforme
interpretazione, al fine di non incrinare ulteriormente la già fragile "certezza del
diritto" che caratterizza l'ordinamento tributario italiano.282
281
Come ad esempio il principio dell'identità degli effetti giuridici, integrato dalla mancanza di ragioni
extrafiscali, elemento tipico della tesi che rileva la natura antielusiva dell'art. 20 del TUR.
282
FANNI M., Riqualificazione "ex parte fisci" del conferimento d'azienda seguito da cessione di
partecipazioni, GT Riv. di giur. trib., 6, 2014, pp. 494.
106
Capitolo VII -
Conclusioni
L'operazione di conferimento d'azienda e successiva cessione delle
partecipazioni, altrimenti conosciuta come "cessione indiretta", si configura nella
prassi come un’alternativa all'ordinario negozio giuridico della cessione. Il
trasferimento del complesso aziendale avviene, in una prima fase in regime di
neutralità, attraverso il conferimento in una "NewCo" o in una società
preesistente, e in seguito, le partecipazioni ottenute della società conferitaria
vengono cedute ad un terzo soggetto. Le plusvalenze risultanti dalla cessione,
in presenza di determinati requisiti, sono sottoposte al regime di esenzione
contenuto all'art. 87 del TUIR, e di conseguenza vengono assoggettate solo
parzialmente alla tassazione sui redditi. Nel disciplinare tale complessa
operazione tuttavia il legislatore ha espressamente previsto la sua esclusione
dall'applicazione della norma anti-elusiva contenuta all'art. 37-bis del DPR
600/73. Ciò in virtù del fatto che, con riferimento all'imposizione diretta, la
cessione indiretta d'azienda non produce alcun "vantaggio fiscale" netto. Il
conferimento in regime di neutralità, infatti non consente il trasferimento dei
valori fiscali in capo alla società conferitaria, e di conseguenza, essa otterrà
minori ammortamenti e costi da dedurre dal proprio reddito. In sostanza si
verifica una traslazione dell'onere fiscale, ovvero dalla tassazione delle
plusvalenze in capo al cedente, alle minor deduzioni operabili da parte della
società cessionaria. Diversa è la situazione che si configura con riguardo alle
imposte indirette. La cessione diretta, infatti, prevede l'applicazione dell'imposta
di registro con aliquota proporzionale, mentre, attraverso la cessione indiretta, il
tributo trova applicazione in misura fissa. Spesso quindi, tra le due operazioni si
crea una netta disparità di trattamento, che giustifica la predilezione da parte
degli imprenditori per il negozio traslativo indiretto in fase di cessione
dell'azienda. Tale disomogeneità d’imposizione non è passata inosservata agli
107
occhi dell'Amministrazione finanziaria, la quale, in più occasioni ha cercato di
contrastare questa perdita di materia imponibile. In mancanza di una norma
generale antielusiva, al fine di contrastare il fenomeno in oggetto, la
giurisprudenza negli anni si è affidata alla possibilità di riqualificare, per effetto
dell'art. 20 del TUR, la successione di atti che compone la cessione indiretta in
un unico atto di vendita, ottenendo una conforme applicazione dell'imposta di
registro. Oltre a sembrare del tutto illogico considerare legittima un'operazione
ai fini delle imposte dirette, salvo poi attribuirle un connotato elusivo, la ricerca
costante di aggredire l'imponibile sottratto tramite l'operazione di conferimento
di azienda e successiva cessione delle partecipazioni, ha portato nel corso degli
anni numerose sentenze che presentano argomentazioni spesso incongruenti o
incompatibili, accumunate da un unico risultato, ovvero la soccombenza del
contribuente. L'assenza di un'uniforme interpretazione da parte del giudice di
legittimità, rende estremamente azzardata l'eventuale scelta del contribuente di
avvalersi della fattispecie in esame, in quanto si espone ad accertamenti di
dubbio esito da parte dell'Amministrazione finanziaria. Sembra quindi sempre
più necessaria la definizione di una linea interpretativa unica da parte della
giurisprudenza. Invero la doverosa difesa dei principi costituzionali della
capacità contributiva e dell'utilità sociale, non possono prescindere dal requisito
fondamentale della certezza del diritto.
108
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