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Godute o monetizzate?
DIRITTO INDENNITÀ DELLE FERIE Godute o monetizzate? La Cassazione punisce il dirigente che ha lavorato troppo, facendogli perdere il diritto all’indennità per mancato godimento dei giorni di riposo. Una recente sentenza lascia però spazio a un’interpretazione più equa di questo provvedimento. n Pasquale Dui e clausole contrattuali collettive dei dirigenti del settore privato che disciplinano le ferie non si discostano molto dal contenuto tipico della contrattazione collettiva in materia, anche per il personale impiegatizio, volta a una puntuale determinazione degli aspetti retributivi, contabili e strettamente normativi. Il periodo di ferie spettanti è gene- L Pasquale Dui, avvocato, è titolare di uno studio legale che si occupa prevalentemente di diritto civile e del lavoro. Ha collaborato con i maggiori quotidiani italiani. 56 䡵 DIRIGENTE 12|2009 ralmente da fruire in una o più soluzioni, secondo le previsioni contrattuali, da leggersi, peraltro, in armonia e in subordine alle regole più restrittive e precise risultanti dall’art. 10 del decreto legislativo 66/2003. In questo senso, il contratto del terziario risolve i problemi di coordinamento nell’art. 13, comma 6, disponendo che le ferie “non possono essere sostituite dalla relativa inden- nità, se non per la frazione eccedente il periodo minimo di quattro settimane di cui all’art. 10”. Fermo restando quanto detto in relazione ai principi e alle regole generali in materia (vedi box a pag. 58), vogliamo affrontare un caso particolare tutt’altro che infrequente nella prassi aziendale quotidiana delle vicende sui rapporti dirigenziali, non solo del terziario. Autodeterminazione delle ferie In determinate situazioni al dirigente può essere conferita la facoltà di autodeterminazione delle ferie, attraverso uno specifico e formale atto di attribuzione del relativo potere. In altri casi, questa facoltà, piuttosto che essere attribuita al dirigente, può essere verosimilmente ritenuta quale parte integrante della somma di poteri e prerogative che contraddistinguono tale qualifica, in ragione dell’inserimento nella gerarchia aziendale (in misura sempre più ampia in relazione al grado della dirigenza) facendo riferimento alla nota tripartizione tra dirigenti di vertice (e/o apicali), dirigenti intermedi, dirigenti minori (i cosiddetti minidirigenti). In questi termini, accanto al caso di espressa attribuzione di poteri relativi alla gestione dell’equili䊳 DIRITTO brio tra tempo di lavoro e tempo di riposo, soprattutto per ferie, deve aggiungersi il caso, piuttosto diffuso, nel quale tale potere è strutturalmente innestato nella specifica e individuale posizione dirigenziale. Ciò sarà verificabile nel caso del dirigente apicale e dei dirigenti che, comunque, per la loro indiscutibile posizione, si trovano nella condizione di non dover rendere conto dettagliatamente delle loro decisioni personali in tema di ferie. Questo potrà verificarsi anche nelle piccole o medie realtà imprenditoriali, dove il dirigente ha, per così dire, l’azienda quasi interamente nelle proprie mani ed è certamente in grado di decidere responsabilmente se sia il caso di assentarsi per un periodo di ferie, organizzando tutte le cautele necessarie al regolare funzionamento dell’organizzazione in sua assenza (ad esempio, deleghe, incarichi ad interim ecc.). Ferie non godute Secondo una corrente giurisprudenziale consolidata, il dirigente che, pur potendo determinare autonomamente il periodo di ferie non si avvale di questa possibilità, perde il diritto all’indennità per mancato godimento di ferie, a meno che non dimostri la ricorrenza di eccezionali e obiettive necessità aziendali che impediscono tale godimento (citiamo, tra le più note, Cassazione 12226/2006, Cassazione 11786/2005 e 11936/2005). In casi del genere, spetta comunque al dirigente provare di non aver go- duto di un adeguato periodo di ferie, oltre al preciso ammontare delle stesse, cosa, evidentemente, piuttosto onerosa. Questa rigida posizione suscita effettivamente qualche perplessità, poiché inserita nella realtà quotidiana del rapporto di lavoro del dirigente e del suo sviluppo nel tempo, con i relativi ed elevati margini di dedizione che sembrano veramente sminuiti di rilevanza e quasi “puniti” dall’orientamento della Cassazione, che in buona sostanza sembra ragionare nei termini di configurare, addirittura, una sorta di regime sanzionatorio per il dirigente che ha lavorato… troppo! Una sentenza a favore Ad aprire uno spiraglio, proprio di recente, una sentenza del Supremo collegio che, pur esprimendosi nel solco dell’orientamento precedente, in una precisazione finale lascia qualche spazio a un’interpretazione più equa e calmieratrice dell’opposto rigido principio. Si tratta della Cassazione 13953/2009, che così dispone: “Dal principio per cui il dirigente che pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza ingerenza del datore di lavoro non lo eserciti e perda il diritto all’indennità sostitutiva, salvo che non provi la ricorrenza di necessità aziendali eccezionali e oggettive, non può desumersi una presunzione, per tutti i dirigenti, di piena autonomia decisionale nella scelta del se e quando godere delle ferie, essendo evidente che tale potere non spetta a tutti i dirigenti in quanto tali”. La precisazione finale, che rappresenta un’interessante novità, lascia supporre che da tale principio ARTICOLO 10, DECRETO LEGISLATIVO 66/2003: DUE REGOLE DA RICORDARE 䡵 Individuazione di un minimo annuale di ferie pari a quattro settimane (pe- raltro generalmente già previsto in misura anche sensibilmente superiore da svariati contratti collettivi, tra cui quello dei dirigenti del terziario). 䡵 Obbligo di godimento, in caso di richiesta del lavoratore, per almeno due settimane nell’anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione. 58 䡵 DIRIGENTE 12|2009 sia possibile presumere l’esistenza di situazioni concrete nelle quali ai dirigenti “in quanto tali” potrebbe non spettare il potere di autodeterminazione, dovendosi conseguentemente argomentare, da tale pur sintetico passaggio, che la presunzione di spettanza del potere di autodeterminazione delle ferie per il dirigente non è assoluta, ma, semmai, relativa, potendosi, dunque, prospettare la figura del dirigente privo di tale prerogativa. Detto in altri termini, comporta la connessa deduzione logica che oltre alla prospettazione delle “eccezionali e obiettive necessità aziendali ostative” al godimento delle ferie, richiamate ormai stancamente dalla giurisprudenza, è possibile ipotizzare una controdeduzione specifica al principio giurisprudenziale diffuso che opera alla radice della questione interpretativa, comportando una previa analisi sull’esistenza o meno del potere di autodeterminazione delle ferie. Il che equivale a scindere il relativo lavoro di analisi nella seguente e schematizzata sequenza. Primo: preliminare verifica in concreto dell’esistenza, in capo al dirigente, di un reale ed effettivo potere di autodeterminazione del periodo di ferie, che non può mai darsi per scontato. Secondo: accertamento relativo al godimento – o al mancato godimento – delle ferie da parte del dirigente. Terzo: in caso di accertato mancato godimento, ricerca dei motivi. Quarto: analisi dei motivi e qualificazione degli stessi come dovuti e/o connessi a oggettive necessità aziendali. La differenza di impostazione, all’evidenza, prospetta un ambito di analisi più articolato di quello offerto dalla sintetica riproposizione della massima che si trascina da qualche decennio e permette, all’interno della dialettica processuale, salvi i principi e le regole sull’onere probatorio, la possibilità di un confronto su piani paritari tra dirigente e azienda. 䡵