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natura, selvaggia natura - Viaggi Avventure nel Mondo

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natura, selvaggia natura - Viaggi Avventure nel Mondo
(54-101)Taccuini 2-2005
13-04-2005
11:53
Pagina 65
BOTSWANA
TACCUINI DI VIAGGIO
NATURA,
SELVAGGIA NATURA
Testo e foto
di Laura Ferrato
o stretto contatto con la natura, il ritorno alle origini in una natura vera ed incontaminata: questo è
un viaggio in Botswana.
Un’esperienza che apre nuovi orizzonti, non soltanto olfattivi, ma soprattutto percettivi. L’istinto, infatti si rivela
più sensibile che mai,si allerta a decifrare,impara ad aspettare la mossa od il rumore successivo.
Il fascino della sfida con la natura primaria è ancora forte
ed attira. Noi uomini veri!!!
Come siamo piccoli davanti all’immensità della natura,davanti alle cose essenziali come il semplice gesto di raccogliere la legna per accendere il fuoco e scaldarsi,per cucinare,per formare un luogo di aggregazione davanti al falò che arde.
Noi super tecnologici e super attrezzati che ci dissolviamo davanti ad un tramonto infuocato.
Tanta è stata la sensazione di nullità che abbiamo provato davanti al primo camp in Botswana.,almeno io si! Il nulla!,una piazzola in mezzo all’erba sulle rive del fiume Chobe, due piante di acacia a fare un po’ d’ombra, a 200 mt
una piccola costruzione con i servizi igienici e null’altro.
Dal fiume possono arrivare ippopotami e coccodrilli, dal
bush invece elefanti, bufali e felini di vario genere, dalle
piante che ci sovrastano i famigerati babbuini e dall’erba
qualche bel serpentello. Niente male come situazione, sta
di fatto che senza che nessuno dicesse nulla all’altro ci siamo ritrovati a montare le tende appiccicate le une alle altre, si sa, la vicinanza con propri simili da conforto in situazioni nuove.E poi via a fare legna nel parco,perché manco a dirlo la bombola del gas tanto bramata non vuol saperne di funzionare. Dal fiume viene anche su un bel venticello che spegne la fiamma, il pranzo è così diventato
un’attesa estenuante e per la cena forse è meglio dar retta agli autisti e fare un bel fuoco.
Eccoci dunque ritornati alle origini,niente luce,nessun genere di collegamento,siamo proprio fuori dal mondo.Cala la sera con colori superbi e subito dopo la notte con i
cieli africani che non hanno eguali al mondo, ma soprattutto i primi rumori.Torcie accese a scrutare cosa ci cir-
L
Elefanti
nel fiume Chobe
conda, non si vede nulla, solo rumori amplificati dal nulla
che ci circonda, alle 22 siamo già tutti nelle tende.
Sicuramente è scomodo passare le notti in tenda, però
quando sei dentro,chissà perché si crea un’atmosfera profonda, due teli e chiudi fuori tutto. La prima notte è stata
un po’ così-così, tra la paura che ci venisse voglia di andare in bagno ed il timore che qualche animale giungesse a
trovarci.
Ma al mattino che spettacolo: le prime luci dell’alba ti accompagnano mentre si corre in bagno (di notte è molto
pericoloso uscire dalle tende), tutto si risveglia e riprende vita e tra una tazza di caffè, una fetta di pane con Nutella e la schiena un po’ rotta, si riesce pure a realizzare di
essere nel paradiso africano.
Qui l’Africa manda in scena il suo repertorio più entusiasmante, gesti eterni del ciclo della vita e della morte, come il mattino che abbiamo visto un gruppo di leoni che
banchettavano con una zebra appena cacciata:due maschi,
cinque leonesse ed un gruppo di cuccioli. Il tutto è iniziato con le orme viste sulla sabbia della pista che stavamo percorrendo con la nostra Toyota. L’autista rallenta
sempre più e dice: lion – lion!!! Tra l’erba della savana, un
po’ nascosto dagli arbusti, ecco il testone del re della savana che ci degna a mala pena di uno sguardo.Magnifico!!!
Non lo avevo mai visto!!! Un po’ in controluce, con la criniera che gli circonda il muso, strappa brandelli di zebra
mentre i cuccioli furtivi gli sottraggono pezzi di pelle a strisce bianca e nera e ci giocano.Sono talmente belli che viene proprio voglia di prendersene uno in braccio da coccolare.Ogni tanto qualche leonessa cerca anche lei di mangiare qualcosa, ma il ruggito possente dei maschi la fa subito allontanare, fino a che loro non hanno finito e si ritirano all’ombra, nessuno si avvicina più a quella che oramai è solo più la carcassa di una zebra. Leonesse e leoncini si danno ora un gran da fare e dopo più di un’ora sono tutti sazi e si sdraiano all’ombra delle acacie.
Ma la vita continua e furtivamente iniziano ad arrivare gli
sciacalli, studiano la scena, provano ad avvicinarsi da sinistra, poi da destra, fanno avanti ed indietro più volte, un
leone si alza, uno sciacallo intimorito si allontana, poi ritenta, ma niente da fare, non è ancora il momento per loro. E noi li, sulle nostre auto a non più di 10 mt., intirizziti
dal freddo (il tutto è iniziato alle 6.30 del mattino) a goderci la scena. Si, sembra proprio di essere in quei documentari fantastici,che quando vedi pensi sempre:come deve essere bello dal vero. Non è solo bello, è eccezionale!
Cambia la scenografia, dalle aride pianure del Savuti Park,
ci spostiamo in un altro paradiso terrestre, il delta dell’Okavango. Qui le acque permanenti del fiume Okavango
incontrano le assetate sabbie del deserto del Kalahari dividendosi a raggiera,tra canali,isolotti e lagune danno origine al più grande delta interno del mondo.Tra la sabbia e
l’intensa evaporazione (oltre il 95%) il fiume si dissolve ed
è per questo che viene chiamato “il fiume che non trova
mai il mare”.
Un’immensa superficie di oltre 15.000 kmq (più grande
che la Campania) che è stata dichiarata area protetta nel
1963 per salvaguardare l’incredibile diversità di habitat,
ambiente fluviale e terraferma dove le foreste di mopane
ed acacie si alternano alla savana ed alle pianure alluvionali. Gli ospiti più numerosi sono gli ippopotami, ma tutto il mondo animale africano è ben rappresentato.
Non c’è un cartello che dice “state entrando nel delta dell’Okavango”, ce ne accorgiamo da soli: gli alberi diventano di alto fusto e sono più verdi,alla prima radura non vedi più erba ma un tappeto di canne che man mano si diradano e lasciano intravedere la prima laguna con le ninfee di mille colori.Cambia soprattutto il profumo,noi l’abbiamo chiamata “salvia africana”, ha un odore inebriante,
sa di Africa e l’abbiamo anche usata per cucinare. Si tratta di un arbusto non più alto di un metro, con le foglie un
po’ pelosette, color salvia ovviamente.
Il delta si visita un po’ in tutti i modi, con le jeep, con le
barche, con il mokoro oppure con l’aereo per averne una
visione completa.
Noi siamo arrivati alle nove del mattino dopo il trasferimento all’imbarco di Xakanaxa dove c’erano ad aspettarci due barche. Passeremo una notte su un’isola in mezzo
al delta, stile Robinson Cruse.Abbiamo lasciato il grosso
del bagaglio sulle jeep e ci siamo presi solo la tenda,il sacco a pelo, acqua e qualche scatoletta. Iniziamo la navigazione ed appena fuori dalla laguna inizia una serpentina di
canali che si aprono in mezzo a pareti di papiri, si procede a ritmo molto lento,è veramente bello,ogni tanto qualche uccello e poi anche ippopotami e coccodrilli. Ma qui
non sono gli animali ad attrarci maggiormente, ma il pa-
“pipi stop!”
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norama che ci circonda con colori accecanti, per quanto
sono intensi. Siamo stati molto fortunati, sempre il cielo
blu con qualche spruzzo di nuvole bianche, l’acqua trasparente con piante acquatiche bordeaux, i verdi ed i gialli delle palme e dei papiri. Credo che la prima sensazione
di piacere che trasmette l’Africa sia proprio dovuta ai colori sempre così luminosi e solari.
Tornando a noi,dopo quattro ore di beata navigazione arriviamo sulla nostra isola,dove vicino al punto in cui sbarchiamo c’è una piccola radura dove mettere le tende per
la notte. Nel frattempo vediamo i due barcaioli che armati di pala ed una “comoda” si allontanano per prepararci la toilette! Peccato che abbiano calcolato male il luogo, perché la privacy proprio non era tutelata: quanto la
prima persona ha cercato di utilizzare la toilette, tutti gli
altri si son goduti lo spettacolo! Due risate ed al solito le
tende montate una sull’altra, già, qui non c’è veramente
nulla!
Dopo aver pranzato con due scatolette a testa, risaliamo
sulle barche per andare in una zona che i barcaioli chiamano “croc free” e dove secondo loro possiamo fare tranquillamente il bagno. Solo che proprio free non era, mentre stavamo arrivando dal tetto della barca un coccodrillino lo abbiamo visto.“No problem”, ci urlano i barcaioli
scendendo in acqua: Qui l’acqua è bassa e come in tutto
il delta veramente molto pulita perché perennemente filtrata dalla sabbia. Piano-piano scendiamo anche noi nell’acqua fresca:come si fa a rinunciare ad un bagno nel delta dell’Okavango!
Il tempo di asciugarci e poi si risale in barca per spostarsi in un’altra isola dove i barcaioli-guida accompagnano a
fare un trekking di due ore in mezzo alla savana.Armati di
una fiocina ed un macete per andare veramente dentro la
natura,a tu per tu.Chi ha fatto la camminata ha detto che
è stata un’esperienza molto emozionate, assolutamente
non pericolosa. Camminare tra l’erba alta, senza rumori
intorno, incontrare gli elefanti mentre si è a piedi ha fatto salire un po’ l’adrenalina.
Ritorno in barca e ci spostiamo in un’ampia laguna per vedere il tramonto.Alle cinque e mezza già il cielo incomincia a colorarsi e poi il sole inizia la sua discesa rapidissima, sembra un tuffo sulla linea dell’orizzonte dove gli
spruzzi che ne scaturiscono illuminano il cielo e l’acqua di
tutto le tonalità del rosso.
Appagati dalla giornata, ritorniamo sull’isola con il nostro
I “legna drive”
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campo, si recupera un po’ di legna per il fuoco serale ed
ecco che qualche zanzara decide di venirci a trovare.Altre due scatolette di tonno e salmone, un boccone di pane, ananas in scatola e rum, Dio che cena!!! Il tonno oramai ci esce dalle orecchie, per non parlare della carne in
scatola: una schifezza allucinante, o peggio ancora il mais
in scatola, ma dico io, dove si è mai visto che il mais sia in
crema anziché in chicchi! Una sera che pensavamo di farci una bella insalata con mais- tonno-pomodori, dopo che
i ragazzi del gruppo si erano rovinati le mani ad aprire le
scatole (tassativo portarsi gli apriscatole dall’Italia), alzato
il coperchio della scatola del mais,ci siamo trovati una poltiglia gialla e dolciastra, che la sola vista ci ha fatto passare la fame.
Comunque dopo questo luculliano banchettare, eravamo
talmente cotti ed oramai integrati nell’ambiente,che il fatto di essere nel nulla non ci ha minimamente preoccupati ed abbiamo dormito alla grande.
Talmente eravamo abituati al contatto con la natura che
arrivati a Maun,ci siamo sentiti persino spersi;sicuramente
hotel con piscina, un buon pasto pronto e tranquillamente seduti sono cose che fanno piacere, però…
Ma già nel pomeriggio ci riprendiamo, un bel volo panoramico sul delta è proprio da fare. Girare il delta con le
jeep o con le barche è molto entusiasmante, ma è solo
dall’alto che riesci a capire appieno la conformazione del
territorio.A parte essere capitata con un pilota “brillante” che non lesinava inclinazioni mozzafiato del piccolo
Cesna a sei posti, vedere i branchi di impala o di elefanti
è proprio emozionante. La savana, le foreste, i canali che
diventano distese di acqua e poi lagune con in mezzo isolette di sabbia bianca con solamente una palma, sembra
quasi di essere ai Carabi.
Ancora acqua,quella con la A maiuscola che abbiamo trovato alle Cascate Vittoria, uno spettacolo da lasciare senza fiato: una muraglia di acqua lunga quasi due chilometri
ed alta più di 100 metri con una potenza incredibile ed un
fragore assordante.
La cascata è in uno stretto canyon e il ribollire dell’acqua
provoca tali nuvole di acqua nebulizzata che sembrano acquazzoni tropicali e sono visibili da molto lontano, (immaginatevi esserci in mezzo!). E’ per questo motivo che il
nome indigeno delle cascate era “Mosi oa Tunya”, cioè il
fumo che tuona. Poi è arrivato Livingstone che, in perfetto stile coloniale, le ha ribattezzate in omaggio alla Regi-
Il gruppo al campo
na.Le cascate segnano il confine tra lo Zimbabwe e lo Zambia e noi le abbiamo viste da entrambe i lati. Il periodo di
maggio corrisponde alla massima piena,lo spettacolo è assicurato, ma anche un colossale bagno. E’ comunque migliore la visita dal lato dello Zambia, soprattutto in questo
periodo; c’è un ponticello che collega le due sponde permettendo così di andare nel cuore delle cascate.
Quando c’è troppa acqua non si può fare il sognato rafting
sullo Zambesi e così per non perderci nulla abbiamo fatto
il giro con l’elicottero, decisamente più tranquillo del precedente volo, ma altrettanto bello. Si vede tutto il corso
del fiume,prima un sonnacchioso largo corso d’acqua con
la vegetazione da foresta pluviale,poi la violenta caduta nella spaccatura della roccia e per finire un canyon profondo
e sinuoso che prosegue per svariati chilometri. Un viaggio
ricco di sensazioni forti che ci ha permesso di riportare a
casa emozioni e tanti flash di una bella vacanza.
L’immagine, per me, che sintetizza meglio questo viaggio
è quella dell’ultimo giorno in Botswana sulle rive del fiume Chobe, un branco di elefanti che giocano nell’acqua
con dietro la palla del sole rossa che sta tramontando.
Il pasto dei leoni
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