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Italiani in Irlanda: comunità, individualità, transnazionalità

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Italiani in Irlanda: comunità, individualità, transnazionalità
Saggi Passato e presente delle migrazioni italiane in alcuni Paesi europei
Italiani in Irlanda: comunità, individualità,
transnazionalità
Paolo Zanna
Università di Milano
Chiavi di lettura dell’emigrazione italiana in Irlanda1
Nell’esaminare le componenti del social capital, ovvero il rapporto tra l’agente (agency) e il contesto strutturale (structural context) della sua azione, un recente saggio di Adrian Favell2 fa riferimento al modello di Bourdieu, per cui
il capitale sociale è definito secondo le modalità in cui determinate pratiche culturalmente definite condivise da un particolare gruppo gli consentono di creare forme di distinzione sociale da altri gruppi. Ciò porta a generare potere conquistando
dei monopoli su determinati settori della vita pubblica, cui ad altri è precluso l’accesso necessitando una conoscenza interna del know-how di specifici codici culturali o un’expertise specializzata3.
Il nesso tra successo sociale e successo economico (social attainment ed
economic attainment) si riflette nella upward mobility e outward mobility
dei migranti, nel caso specifico, tra possibilità di miglioramento economico
presenti in Italia e /o in Irlanda, a seconda del mutamento delle condizioni
in ciascuno dei due paesi e /o nell’ambito internazionale.
Sul piano storico-sociale della transnazionalità del fenomeno migratorio,
cambiate le motivazioni per emigrare in Irlanda è cambiata anche la configurazione socioprofessionale della comunità nonché il suo rapporto con l’Italia e l’Irlanda. Maggiori sono i rapporti con l’Italia e maggiori le sollecitazioni a un più maturo rapporto d’interscambio economico e socioculturale
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con il paese ospitante. Sul piano sociopolitico, vanno esaminate le dinamiche di integrazione degli italiani in Irlanda (perdita o rafforzamento dei legami con l’Italia) e le forme di espressione delle identità nazionali e transnazionali (identità / assimilazione, differenziazione / indifferenziazione)4.
Cenni di storia dell’emigrazione italiana in Irlanda 5
Primi italiani in Irlanda tra Settecento e Ottocento
Architettura e decorazione d’interni. La lezione di Andrea Palladio (15081580) è portata in Irlanda da Alessandro Galilei (1691-1737) che, su incarico
di Lord Molesworth, nel 1718 disegna la facciata di Castletown completata
da Sir Lovett Pearce, che aveva conosciuto Galilei (tornato in Italia) a Firenze, durante il suo grand tour.
L’espressione sub rosa, «sotto il sigillo di segretezza», fa riferimento alle
conversazioni riservate tenute nella stanza con la rosa incisa sul soffitto dagli stuccatori italiani nelle dimore della Dublino georgiana (Power, Una,
1991, p. 15). A Paolo e Filippo Lafranchini, due fratelli provenienti dalla
Svizzera italiana, si deve l’introduzione della figura umana, ad esempio a
Carton House, nella contea di Kildare e nei saloni di Powerscourt House e al
n. 85 di St Stephen’s Green a Dublino6. Nel 1755 Bartolomeo Crammillion
si occupa della decorazione della cappella dell’Ospedale, tuttora visibile.
Giovanni Battista Cipriani disegna nel 1771 la vetrata meridionale della Biblioteca del Trinity College di Dublino (La Malfa, 2003).
Tecnicamente, non si tratta fin qui di un’emigrazione stabile in Irlanda,
ma, nella terminologia odierna, di prestatori d’opera occasionali.
Charles Bianconi. Comasco di origine (1785-1875), ma tanto «irlandese» da
essere successivamente ribattezzato Brian Cooney7, venditore ambulante e
poi negoziante di stampe e specchi dall’Italia e dall’Inghilterra, decide di ovviare alle difficoltà di trasporto della merce incontrate nella propria attività
allestendo egli stesso un servizio pubblico di carrozze. La sua fortuna economica e la fama nelle alte sfere della società irlandese gli meritano l’amicizia
del politico David O’Connell (Power, Una, 1991, pp. 16 sgg.; La Malfa,
2003, pp. 10-14).
Musica e stampa, politica. Il violinista Pietro Castrucci è noto per il Great
Music Room di Dame Street, mentre Francesco Scarlatti, fratello di Alessandro, morì in Irlanda intorno al 1741 (Peparini, 2002/2003, p. 9); Michele
Esposito della Royal Irish Academy of Music insegna a Dublino per molti anni prima del ritorno a Firenze, dove rimarrà fino alla morte nel 1928; il prin-
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cipe napoletano Caracciolo è animatore della Dublin Grand Opera Society of
Ireland. Il vicepresidente di quest’ultima, Menotti Caprani, citato da Joyce
nell’Ulysses, come «more Irish than the Irish», fu noto stampatore e collega
di Joe Nanetti, sindaco di Dublino nel 19068.
Il successo politico di Joe Nanetti dimostra certamente la notorietà personale raggiunta, ma rappresenta un’eccezione rispetto a epoche più recenti in
cui l’impegno politico non ha interessato affatto gli italiani, dediti integralmente all’attività commerciale e imprenditoriale.
Nel Novecento
Gli italiani entrano nella ristorazione, prima gelaterie, caffè9, poi fish and
chips, vera specializzazione settoriale (benché la vendita di «pesce e patate»
fosse cominciata intorno al 1870 a Londra e a Dublino)10. Significativi in tale fenomeno migratorio sono i seguenti aspetti:
1) l’emigrazione a catena (dalla Valle del Comino, in provincia di Frosinone);
2) la specializzazione settoriale (nella ristorazione);
3) il successo personale (Luciano Vergnano, Raffaele Cavallo, Mauro
Biondi);
4) i rapporti tra italiani in Irlanda e terre d’origine;
5) la lingua e la cultura italiana in Irlanda (Concetto La Malfa, Enzo Farinella);
6) Italia in Irlanda e globalizzazione (farmaceutica e finanza).
A questi aspetti corrispondono scenari sociologici diversi:
– la famiglia come elemento di identificazione professionale e sociale
(Borza, Morelli);
– l’imprenditorialità come fonte di conservazione e innovazione (Vergnano, Terrinoni);
– la vendita della qualità oltre che del prodotto (ristorazione, corsi di lingua inglese);
– la dinamica interlinguistica dei rapporti sociali in comunità bilingui (Casalattico, Frosinone);
– la permeabilità culturale dell’italiano in Irlanda (da Dante a Pinocchio);
– l’identità italoirlandese nell’era della globalizzazione (associazionismo e
diplomazia).
Le genealogie di immigrati casalatticesi: un fortissimo «social network»11
Dopo la Seconda guerra mondiale, un’emigrazione per «chiamate» successive
a scopo di ricongiungimento familiare svuota progressivamente Casalattico
(Frosinone). L’attuale «comunità estiva» locale è divisa tra francofoni e an© Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli
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glofoni a seconda della destinazione scelta dalle successive ondate migratorie. La già citata tesi di laurea di Lucilla Peparini, da lei stessa messami gentilmente a disposizione durante la mia visita a Sant’Andrea di Casalattico,
presenta il quadro più completo di tale fenomeno che coinvolge a più riprese,
dal primo al secondo Novecento, quattro generazioni di emigrati. I primi casi
sono quelli, riportati da Una Power (1991, p. 18; Peparini, 2002/2003, p. 14),
dei Forte, che raggiungono i Macari da Londra a Derry in Irlanda del Nord,
quello di Vincenzo Macari che chiama la moglie Mariantonia Di Vito da cui
avrà dieci figli in Scozia.
L’effetto moltiplicatore delle chiamate fu qui ancor più determinante del
risvolto economico. La terra d’arrivo era all’epoca povera quanto quella d’origine. Le motivazioni erano piuttosto di tipo sociale ed esistenziale:
a) il ristabilimento di equilibri interni alla famiglia (assistenza agli anziani
nonni e da parte di questi ai nipoti bambini);
b) il godimento di un ambiente diverso (cittadino piuttosto che rurale) e
più aperto (per esempio quanto alla disponibilità di merci sul mercato);
c) prospettive di lavoro meno duro di quello agricolo, soprattutto per le
donne di una certa età12.
Il ritorno goduto dagli emigrati stessi è di tipo economico e umano, in termini di investimenti professionali e personali13.
Monsignor Moloney, da sessant’anni cappellano della comunità italiana a
Dublino presso la cappella di St Kevin, annessa alla Pro-Cathedral di St
Mary14, pone l’accento sull’etica del lavoro degli italiani trasmessa attraverso
le generazioni, che prevale su qualsiasi altro impegno15, e la forza del social
network (l’unità della comunità a livello locale, nazionale e transnazionale)
sia in termini di sostegno finanziario16, sia di partecipazione alle sorti delle
famiglie (dai battesimi ai matrimoni ai funerali) e della comunità (feste patronali, quali quella di San Patrizio o di San Barbato di Casalattico, celebrate sia
in Irlanda che in Italia).
Ora che viaggiare è agevole e poco costoso, «le persone che appartengono
alle famiglie calesi vivono due realtà culturali e sociali diverse e sentono di
appartenere ad entrambe» (Peparini, 2002/2003, p. 124). L’uso del telefono
ha creato un peculiare network transnazionale di diffusione delle notizie: tramite il passaparola certe novità circa un membro della famiglia residente in
Italia si sanno prima in Irlanda che nello stesso paese d’origine17.
Esempi di successo
Ristorazione e intrattenimento18. Tra gli italiani più noti in Irlanda, Barbato
Borza, detto Barbie, ex chipper, si divide ora tra Dublino e Montattico. Nato a Dublino nel 1959, dal 1972 al 1984 lavora presso il negozio del padre
Donato in Upper Leeson Street a Dublino. Dopo aver gestito un negozio di
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memorabilia di poster e foto d’epoca19, si fa successivamente conoscere organizzando grandi eventi: per il millenario della città di Dublino nel 1988,
poi il grande Ballo in Maschera (Venetian Ball) nel 1991 e due mostre sugli
italiani in Irlanda (1998 e 2005).
Borza evidenzia la forte etica del lavoro che aveva contraddistinto la sua
esperienza familiare di emigrato e parla del cambiamento dei tempi in un’epoca in cui le sorti delle attività sono soprattutto fondate sulla concessione di
prestiti bancari. La sua è poi una traiettoria di diversificazione personale, a
partire dal contributo dato al family business20.
La BBC ha recentemente dedicato uno speciale alla storia dell’impresa personale e familiare in Irlanda del Nord di Angelo Morelli di Casalattico, 97
anni compiuti. Morelli ha studiato e parla un italiano molto pulito e raffinato;
ha trasferito tale signorilità nei suoi caffè con l’aiuto della moglie e dei quattro figli, cui ha affidato un negozio e donato un appartamento nel palazzo ora
intitolato alla famiglia, il Morelli Plaza di Portstewart. Simili valori superano
la specificità del settore commerciale di competenza (ad esempio, uno dei figli di Angelo Morelli si è inserito con successo nel settore sale-giochi e un nipote corre in macchina, in Formula Ford 1600)21.
Il settore ristorazione è un settore controverso dal punto di vista merceologico e culturale. Mario di Fiore, originario di Atina, all’imbocco della Valle
del Comino ai piedi di Montecassino, che ha dedicato gli ultimi anni di attività alla fornitura ai ristoranti di Dublino di lasagne prodotte all’ingrosso a
domicilio, sottolinea che le ricette italiane vanno spesso modificate per rispondere ai gusti locali: la lasagna «irlandese» deve essere molto più condita
di besciamella e di verdure; alla pasta alla carbonara, per citare un altro
esempio, va aggiunto il pollo. Altri cuochi italiani in Irlanda storcono il naso
di fronte a simili «devianze» culinarie, ma a prevalere è il fiuto per gli affari
dei proprietari di ristoranti italiani a Dublino, quali Luigi Santoro (ristoranti
con murales di panorami romani, come «Ciao Bella Roma», o un nome in
dialetto romanesco, come «Ar Vicoletto»)22 o Germano Terrinoni (con ristoranti i cui nomi associano riferimenti simbolici all’Italia e alla lingua italiana
come «Topo Gigio», «Casalinga», «Mamma mia» e alla Formula 1 della Ferrari, come «Pizza stop»). L’Accademia Italiana della Cucina (si veda oltre) riveste un ruolo di rappresentanza della qualità della cucina nostrana al di là
delle modifiche ad hoc per accontentare il cliente irlandese.
Professionalità e simpatia italica. Da trentacinque anni in Irlanda, Luciano Vergnano è proprietario di un’industria tessile che, oltre a servire il mercato interno,
esporta nel Regno Unito e in altri paesi23. Se nella sua azienda non c’è mai stato
uno sciopero, la ragione sta nello stile di un uomo di grande esperienza (Cavaliere della Repubblica e già vicepresidente dell’Italian Irish Business Associa© Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli
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tion), ma di altrettanta apertura mentale. Parente di Giampiero Boniperti e amico
di Enzo Bearzot, ha un passato di calciatore e allenatore della squadra del suo
paese natale, Chieri (Torino), ama la buona cucina ed è vicedelegato della delegazione irlandese dell’Accademia Italiana della Cucina (si veda oltre).
Architettura da Little Italy. L’architetto catanese Raffaele Cavallo è tra gli italoirlandesi più celebri degli ultimi vent’anni e questo per diversi motivi:
a) la fama e l’appeal professionale;
b) la promozione di un autentico connubio interculturale;
c) l’integrazione sociale in Irlanda (per il matrimonio con un’irlandese);
d) il ruolo di rappresentanza ufficiale della comunità italiana.
Da studente di architettura in Italia, Cavallo scrive una tesi dedicata a «un
organico connubio tra talento immaginativo e preparazione scientifica, cultura
mediterranea e cultura nordica» e, una volta trasferitosi, opera sia nella conservazione e riqualificazione di vari edifici georgiani di Dublino sia nella progettazione di nuove soluzioni per lo storico quartiere medievale di Temple Bar: sua
l’idea seminale del Millennium Bridge, come «ponte» tra antico e nuovo nel
progetto «Architetture per Dublino» (definito «un capolavoro in miniatura» da
un grande architetto irlandese)24. Riprende la lezione di Vitruvio nel promuovere il desiderabile abbinamento di tre principi: utilitas (funzionalità / uso sociale
dello spazio); firmitas (tecnologia) e venustas (piacevolezza estetica)25.
Sotto il profilo sociale il siciliano affianca la vita di una famiglia italoirlandese alla membership di club. I figli parlano inglese con la madre e vengono corretti quando commettono qualche errore nel parlare italiano con il padre. Con la moglie Cavallo gestisce poi una pasticceria - snack bar proprio di
fronte al Millennium Bridge, dal nome latino Panem «in the best Italianate
style and gives a glimpse of how our capital might have been shaped with a
Latin touch»26.
Sul versante dell’associazionismo (vedi oltre), non solo è membro del
Club di Dublino, ma dal 1997 è presidente del COMITES, Comitato Italiani all’Estero, che si occupa, come vedremo meglio oltre, di tutte le iniziative «attinenti alla vita sociale e culturale» della comunità italiana in terra irlandese,
della quale Cavallo stesso è uno degli esponenti più illustri.
Scuola di lingua inglese (e di calcio) per stranieri a cura di un italiano. Come
quelli di Vergnano e Cavallo, il caso di Mauro Biondi, catanese sposato con
un’irlandese, a Dublino dagli anni ottanta, rappresenta in modo esemplare l’anello di congiunzione fra la «vecchia» e la «nuova» emigrazione verso l’isola
di Erin. Non si tratta infatti di un caso di ricongiungimento familiare, bensì
della scelta imprenditoriale autonoma di un laureato in Scienze politiche, autore di una tesi di laurea sul problema nordirlandese tra il 1980 e il 1982, che
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decide di aprire una scuola di lingua in Irlanda. Genesi e sviluppo dell’esperienza di un emigrato imprenditore nel settore EFL (English as a Foreign Language) seguono logiche diverse da quelle della precedente generazione di
emigrati laziali citati sopra.
All’origine dell’iniziativa di Biondi vi sono, infatti, due fattori concomitanti riscontrabili in altri esempi di emigrati italoirlandesi d’alto profilo:
a) la formazione a livello universitario del migrante;
b) l’affinità culturale con l’Irlanda e la funzione di «ponte» interculturale.
Possiamo vedere in questo elementi di contatto e di distacco rispetto all’esperienza di emigrazione già illustrata. Da un lato, il motivo della scelta imprenditoriale, ossia di occupare una posizione di vantaggio in un mercato in
espansione come quello delle «vacanze-studio» appare simile a quello dei
chippers, intenti a fornire un servizio non disponibile sul mercato irlandese,
così da colmare un vuoto nel settore della ristorazione e socializzazione after
hours (ovvero dopo la chiusura dei pub irlandesi). Dall’altro, diverso è il target del mercato della scuola di lingua inglese, esterno al paese ospitante e che
ha nel paese d’origine, l’Italia, il primo bacino di utenza.
Nello sviluppo dell’esperienza si rileva, poi, la medesima capacità imprenditoriale nello sviluppo di contatti sempre più estesi con quaranta paesi,
grazie a una rete capillare simile, mutatis mutandis, a quella dei numerosi
punti-vendita di caffè, fish and chips e ristoranti italiani in tutta l’Irlanda27. Si
osserva altresì la medesima capacità di diversificare l’offerta, grazie a servizi
diversi, quali la scuola-calcio estiva, in collaborazione con il Milan Calcio.
La funzione di «ponte» culturale tra due mondi, e non tanto tra due comunità italiane stanziate da una parte e dall’altra del continente europeo, è un
aspetto inedito nel panorama dell’emigrazione italoirlandese finora considerato, sia come motivazione di partenza dell’iniziativa imprenditoriale sia come
risorsa spendibile sul mercato. La permanenza in Irlanda di Biondi è legata
inizialmente a un interesse culturale alla storia dell’Irlanda, che permette lo
sviluppo di amicizie e di legami anche di matrimonio28. D’altro canto, la scuola promuove il successo del marchio Italia (il tasso di gradimento della scuola
presso la clientela italiana e internazionale è innalzato dall’offerta della già citata scuola-calcio e da quella della cucina italiana garantita da chefs italiani).
Ultimi flussi migratori: italiani in Irlanda e globalizzazione. Alla base dei grandi mutamenti nel quadro della recente immigrazione italiana in Irlanda sono le
mutate condizioni economiche di questo paese negli anni novanta, decennio in
cui esso ha sperimentato un tasso di crescita economica del 18 per cento annuo.
Attualmente questo indice si attesta intorno al 5-6 per cento ed è comunque assai elevato, tanto da giustificare costanti investimenti stranieri e servizi sempre
migliori. Gli italiani non stanno a guardare, approfittando soprattutto dell’incen© Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli
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tivo della tassazione agevolata per le imprese del solo 12,5 per cento annuo. È
quanto emerge dai dati raccolti presso l’Ufficio dublinese dell’Istituto Nazionale
per il Commercio Estero (ICE), l’Italian Trading Commission29.
Su un totale di 200-250 imprese presenti in Irlanda, si distinguono le industrie farmaceutiche, con il recente ingresso della Recordati di Milano a
fianco della Menarini di Firenze, che a Cork lavora alla messa a punto di un
farmaco contro la pressione alta. Tra le altre maggiori 20-25 imprese, oltre alla Fiat-Iveco e all’Ansaldo, che si occupa qui specialmente di sicurezza dei
frenaggi, alla Ferrrero e alla Benetton, che si appoggia a Bloom Ltd. e a Boomer Ltd., si registrano nuovi arrivi nell’informatica (Engitech).
Nel 2004 l’Italia è stato il sesto paese «cliente» dell’Irlanda (prodotti di
chimica organica, medicali, farmaceutici e carne) e l’ottavo esportatore verso
l’Irlanda, specie nei settori dei macchinari, dell’arredamento e degli alimentari (in Irlanda si deve a un emigrato del Nord, Antonino Nico, 1906-1987, la
fondazione della Macaroni Food Company, ora Roma Food Company)30.
L’International Financial Centre di Dublino ospita i principali gruppi bancari e assicurativi italiani, tra cui brilla la Emro Ltd., che a fine 2004 ha festeggiato i cinque anni di presenza in Irlanda, in rappresentanza della Banca
dell’Emilia Romagna, sotto la guida di Paolo Zanni, attivissimo in altri settori della vita sociale della comunità italiana (vedi oltre).
La «comunità fluttuante»: giovani e /o turisti per studio e lavoro in Irlanda.
Si stima che il numero totale degli italiani presenti in Irlanda sia di circa
7.00031, 5.000 residenti in Irlanda da più di dieci anni e iscritti all’anagrafe
consolare, di cui 1.000 di seconda e terza generazione, e 2.000 con passaporto
italiano ma non iscritti all’anagrafe consolare32. Oltre ai professionisti e ai dirigenti di servizi finanziari citati sopra, esiste una comunità italiana di giovani
sotto i 40 anni, difficilmente quantificabile statisticamente, che sbarca in Irlanda per esperienze di studio e lavoro più o meno temporaneo (dai 3 mesi a 1
anno) e che l’ambasciatore Schepisi definisce la «comunità fluttuante».
Perché i figli della globalizzazione scelgono l’Irlanda. Carlo Savini, un bolzanino di padre romagnolo, che lavora come informatico alla Semantech, mi
segnala l’incontro tra giovani lavoratori e universitari italiani e irlandesi tutti
i lunedì alle 18 presso la biblioteca di un centro commerciale di Dublino. Tutti i partecipanti sono d’accordo sulle ragioni della scelta dell’Irlanda, un paese: 1) giovane; 2) socievole; 3) «musicale»; 4) più internazionale e più semplice sul piano lavorativo rispetto all’Italia.
Le medesime caratteristiche sono confermate da altre fonti tra gli italiani
«di esperienza» in Irlanda:
1) Alfredo Rizzo, direttore della già citata Italian Trading Commission,
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sottolinea come:
– il 40 per cento della popolazione sia sotto i 25 anni;
– le aziende in Irlanda (vedi Oracle) sono specializzate nella formazione
multifunzionale della manodopera;
– l’ambiente «di base» nel mondo del lavoro è caratterizzato da un’alta
professionalità (non high labour ma high profile) e da una forte flessibilità
(dopo due anni è già tempo di cambiare, «move on», secondo la felice metafora anglosassone). Ad esempio, per un informatico assunto a tempo indeterminato dalla City Bank presso il Financial Centre di Dublino, arrivato
da poco da Arona, sul lago Maggiore, trovare lavoro via Internet, mandando soltanto «due curricula», è stato – dice candidamente – «banale»33. Oltre agli studenti Erasmus, alcuni degli altri ragazzi intervistati lavorano nei
caffè (quelli italiani come quelli del gruppo irlandese Nude di proprietà
della star degli U2 Bono, affezionato cliente di Germano Terrinoni, che fa
non tanto concorrenza ai caffè italiani, quanto sfrutta la popolarità del prodotto italiano).
2) Gli emigrati di vecchia data confermano, dopo il primo contatto telefonico, l’abitudine alla socializzazione immediata e all’informalità, una delle
«affinità elettive» tra italiani e irlandesi cui si è già accennato.
3) L’apprezzamento per la musica «celtica» suonata dal vivo in molti pub
non ha un risvolto solamente culturale ma rappresenta uno dei fattori di maggiore interesse del business del turismo irlandese. Mi raccontano che un pub
fra i più noti di Dublino incassa 100.000 euro ogni fine settimana!
4) Quanto all’internazionalità del mercato, l’Irlanda è meta di investimenti
ragguardevoli: la multinazionale farmaceutica Pfizer, ad esempio, ha recentemente investito 240 milioni di euro a Dun Laoghaire, nell’hinterland dublinese.
Gli emigrati «indipendenti». Altrettanto significativo, poi, nell’ambito della
«comunità fluttuante», il caso di alcuni italiani «di rottura», che scelgono l’Irlanda in cerca di lavoro e non solo. Una laureata calabrese in statistica lavora
in un ristorante italiano a Dublino avendo scelto volontariamente di rinunciare a un dottorato di ricerca a Milano; un’altra ragazza piemontese gestisce la
contabilità dello stesso ristorante, dopo il diploma di ragioneria e un corso
professionalizzante all’Institute of Technology di Dublino; è orgogliosa di potersi permettere di abitare in un quartiere residenziale dublinese, visto che,
tornata in Italia, nella sua zona di provenienza, non riusciva a trovare un inserimento in azienda dello stesso livello economico. Molto soddisfatta delle
condizioni di lavoro una cameriera di Lazise sul lago di Garda a servizio in
un ristorante francese di Dublino.
Riporto, infine, una pagina anonima dedicata alle «vacanze-studio» di studenti italiani, tratta dal sito www.altrairlanda.it:
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Il rimpatriota
Non so se si possa considerare turismo e spero che nessuno se ne voglia... ma dove
li mettiamo tutti gli studenti che sbarcano sull’isola i primi di agosto, destinazione
Dublino, per imparare l’inglese in tre settimane («a settembre mi comincia un master e mi richiedono un inglese fluente»... peccato che Dublino non sia Lourdes).
Mi sento in diritto di parlarne perché l’ho fatto anch’io, non me ne vergognavo
(prima di farlo, s’intende) ma la tristezza di quelle rimpatriate all’insegna di Battisti sulla piazzetta di Temple Bar... non ha prezzo! Sì, perché noi italiani siamo fantastici: sempre ad ingiuriare il nostro paese quando siamo in patria, a scaricare interi posacenere sul ciglio del marciapiede perché «tanto è tutto un casino e io pago le
tasse», a sognare di scappare per isole e città dove tutto funziona e la metro ti arriva fin sotto casa... e poi diventiamo nostalgici e nazionalisti appena ci rendiamo
conto che l’integrazione costa fatica, fosse solo quella di studiare la grammatica!
In quelle tre settimane ho sentito spagnoli rimpiangere la loro «millenaria» Madrid (che prima del 1400 era un paesello marcondirondirondello), valloni nostalgici
degli insulti dei francesi («che saranno anche pesanti ma almeno sono in francese e
li capiamo...»), coreani rievocare orgogliosi le 20 ore di studio giornaliero delle loro
patrie scuole («ci danno degli occhialini apposta per rilassarci che voi occidentali ve
li sognate») e italiani rimpiangere tutte le cose meravigliose che hanno lasciato:
1. le lasagne della mamma
2. i saltimbocca della nonna
3. il calciomercato (che non aspetta nessuno), per gli uomini
4. l’estetista di fiducia (fedele custode dei segreti più spinosi), per le donne
5. il sole, la pizza e il mandolino
Per andare in un posto dove:
1. piove sempre, piove troppo, piove male, piove bagnato...
2. l’inglese ha un accento strano, decisamente diverso da quello che parlano a
Eton...
3. sono tutti ubriaconi, sfido io che son sempre allegri...
4. la gente che preleva al bancomat sta proprio esaurita (dopo 3 settimane non
risulta ancora chiaro che le 50 persone al lato del bancomat non sono lì a dargli il
benvenuto ma semplicemente in fila)
5. non si trova mai un taxi libero all’uscita dei locali (che abbandonano indispettiti solo all’ultimo minuto insieme a migliaia di altre persone)
6. mangiano male (... great famine? chi fu costei???)
7. per i ragazzi: le ragazze son tutte un po’ baldracche (e appena imbattono in
un hens party sfoderano sei metri di lingua bavosa e son disposti a farsi levare
persino le mutande per poi capire, tardi ormai, che le inglesine si stanno divertendo tra loro E BASTA!)
8. per le ragazze: i ragazzi sono troppo diretti e si lavano poco (vuoi mettere
con «il maschio italiano» che ti tampina in discoteca per ore con l’ascella pezzata
e l’occhio da bove per poi darti pure della cozza quando tu, estenuata, ti rassegni
ad abbandonare il locale?)
Mogli e buoi dei paesi tuoi, insomma. Considerato che in tre settimane fanno
quello che in Italia li impegnerebbe per un anno accademico (studiare, socializza-
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re, divertirsi) ci si aspetterebbe un po’ più di clemenza verso una città che assorbe
in un mese un milione di persone che, forse, cercano l’America ma atterrano in Irlanda perché è più vicina!
S’intende: al ritorno tutt’insieme al pub irlandese per l’ennesima rimpatriata!
Da questo brano di ispirazione satirica si potrebbe dedurre:
a) che, ironicamente, per noi l’Irlanda è come l’America per gli irlandesi,
con il vantaggio di essere più vicina;
b) che l’emigrante italiano non si libera di tanti stereotipi legati all’immagine italiana all’estero («pizza, sole, mandolino»)34;
c) che si corre il rischio, per via della lingua, nonostante le differenze d’accento, di mescolare Inghilterra e Irlanda (mondo anglosassone e mondo celtico);
d) che si dà molta importanza ai fattori di differenziazione della cultura
italiana e irlandese (rispettivamente cucina, pub) che però unificano coloro
che le hanno vissute «sulla propria pelle», affetti da «nostalgia di ritorno» al
momento del rimpatrio.
In questo senso, le esperienze più recenti ed elastiche di integrazione degli
italiani in una nazione giovane come l’Irlanda possono additare una strada già
aperta da alcune generazioni di emigrazione verso l’Isola di Smeraldo.
Visibilità e identità della comunità italiana in Irlanda35
Emigrazione in Irlanda e cultura italiana. Antenne e contatti italoirlandesi
Italia Stampa. È questo l’organo di informazione della comunità, fondato da
Concetto La Malfa nel 1983. Laureatosi in economia a Catania, La Malfa lavorò all’Enit (Ente Nazionale Italiano per il Turismo) di Dublino dal 1965 al
1970, dove collaborò con il riminese Giuseppe Guaraldi, «un grande amico
dell’Irlanda»36, per poi passare all’insegnamento dell’italiano. In Italia Stampa, il direttore distingue tre aspetti:
a) la componente generalista (informazioni sull’Italia e sulla legislazione
in materia di emigrazione);
b) la componente sociale (cronaca delle attività e degli eventi promossi
dalle rappresentanze diplomatiche politiche e culturali e dalla comunità italiana, ad esempio, l’«Italian Week», l’«Italian Racing Day»37, il «Lucan Festival», presso la residenza dell’ambasciatore italiano a Lucan House)38;
c) la componente letteraria, per cui si avvale della collaborazione del ricercatore in letteratura italiana Marco Sonzogni, corrispondente italiano per l’Irish
Times.
La finalità dichiarata è quella di essere strumento di integrazione della comunità diversificata (si veda oltre il paragrafo dedicato all’associazionismo).
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I gemellaggi italoirlandesi. Corrispondente Ansa, già insegnante in una scuola cattolica dublinese, allo University College Dublin (UCD) e vent’anni all’Istituto Italiano di Cultura, fondatore del Casa Italia Cultural Centre, Enzo
Farinella è l’anima di 32 gemellaggi tra località italiane e irlandesi. Ad essi è
dedicato il Terzo Annuario bilingue di Casa Italia, dopo quelli che hanno trattato i legami storici tra Italia / Sicilia e Irlanda e le possibili origini irlandesi
di San Cataldo, patrono di Bari39. Una tale propensione alle connections sembra proprio averla trasmessa anche alla figlia Aisling Farinella, dirigente della Ryan Air, prima compagnia aerea in Europa.
Il Coro Italiano di Dublino. Sottolinerei due aspetti dell’Italian Cultural Institute Choir, fondato nel 1986 su iniziativa dell’allora primo segretario
d’ambasciata dottoressa Rosamaria Chicco-Ferraro, poi ribattezzato nel 2002,
Il Coro Italiano di Dublino: la composizione della corale e i suoi sostenitori.
Tra le fila del coro la comunità italiana brilla per la sua assenza: il solo membro italiano è il già ricordato Mario di Fiore di Atina, alla cui gentilezza e
ospitalità devo queste informazioni. Tra i soprani, soltanto Clare Borza rappresenta la stirpe di Montattico. La totalità dei cantori è così costituita da ex
studenti irlandesi dell’Istituto Italiano di Cultura.
Dopo il distacco dall’Istituto, i Friends of «Il Coro Italiano di Dublino»
comprendono, oltre all’ambasciatore d’Italia, un buon numero di aderenti
irlandesi.
L’Accademia della Cucina Italiana. Dal 2003 l’Accademia della Cucina Italiana esplora i ristoranti italiani in Irlanda alla ricerca del «cibo italiano autentico», nel senso tradizionale del termine. «Se si modifica la ricetta – dice il
presidente Zanni – diventa qualcos’altro, non è italiana»40. Se i chippers hanno resistito alla concorrenza del fast food americano, l’Accademia mira a promuovere i sapori della tavola e della forma mentis italiana, a difesa della cultura dello slow food.
Lingua italiana in Irlanda ed emigrazione: «I can understand that,
però…»41
Il professor Bruno Busetti, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Dublino, mi informa che i corsi di italiano presso l’Istituto hanno visto un aumento
della frequenza del 12 per cento rispetto al 2003, con oltre 300 studenti frequentanti. La Settimana della Lingua Italiana è giunta alla IV edizione42.
Sul piano letterario, nel marzo 2002 Italia Stampa riferiva dell’imperitura
popolarità di Dante43, presentando il convegno dantesco «Dante and the
Church» allo University College Dublin. Al Trinity College, dove l’italiano si
insegna da 229 anni44, Dante è obbligatorio al terzo e quarto anno di italiano.
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Si moltiplicano, poi, le iniziative di traduzione dei classici della letteratura italiana in gaelico: dall’Inferno dantesco, ai Fioretti di San Francesco, al Burbero
benefico a Pinocchio45, cui sono stati recentemente dedicati per iniziativa dell’Ente Nazionale Irlandese di Promozione del Gaelico Foras na Gaeilge e con
il patrocinio dell’ambasciata italiana un laboratorio per ragazzi delle superiori e
una mostra di stampe su legno da loro realizzate a cura di Raffaele Cavallo.
Nel gruppo storico di emigrati laziali, poi, notevoli i fenomeni di contaminazione interlinguistica che riguardano parole ed espressioni inglesi italianizzate
(Peparini, 2002/2003, pp. 138-40). Nell’elenco sommario che segue si osservino, ad esempio, l’adeguamento morfologico – terminazioni maschili e femminili dei sostantivi – e fonetico-grafico, corrispondente alla pronuncia laziale, nonché la produttività lessicale tramite suffissi italiani a calchi di vocaboli inglesi:
«accountante» (accountant) = commercialista
«boxa» (box) = scatola
«checca» (cake) = torta, da cui «checchetelle» = piccoli dolci e mignon
«coptì» (cup of tea) = tazza di tè
«freg», «frig» (refrigerator) = frigorifero46
«tippotte» (tea pot) = teiera
«accrossa’ la strada» (to cross) = attraversa la strada
«stare besé» (busy) = essere indaffarato
«s’è messa enghéighe» (she got engaged) = s’è fidanzata
A Casalattico si sta creando un’isola bilingue in cui i parenti italoirlandesi e i
loro congiunti capiscono tutti l’italiano e parlano perlopiù inglese. La scuola
del paese è frequentata anche da bambini provenienti dall’Irlanda, temporaneamente residenti in Italia, e l’insegnamento avviene in italiano e in inglese.
Associazionismo nella comunità italiana in Irlanda
L’aggregazione degli italiani emigrati in Irlanda è stimolata da diverse realtà associative. Ad esse sono legate le fasi storiche dello sviluppo della comunità stessa che rappresentano, in tutto o in parte, proprio in virtù di una tale evoluzione.
Il Club Italiano47. Fondato nel 1971, il Club Italiano ha da sempre riunito la
«vecchia guardia» dell’emigrazione italoirlandese. In una newsletter del 1983,
sul quarto numero di Italia Stampa, si apprende anche che ne era allora segretario Enzo Farinella, e si dichiara che il Club si prefigge di «tenere vivo il senso della comunità tra i connazionali, attraverso l’organizzazione di attività collettive, ispirandosi sempre al principio di una maggiore integrazione nel paese
che li ospita». La forte rappresentanza laziale ha persino costituito una squadra
di calcio chiamata Lazio Rancilio48 ed è in contatto con l’Associazione Laziali nel mondo, con la quale ha organizzato a Dublino una sfilata di moda49.
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Il Comitato di Collaborazione Culturale e il Comitato Italiani all’Estero
(COMITES) di Dublino. Legato alla rappresentanza ufficiale della comunità
italiana, il Comitato di Collaborazione Culturale, comprendente anche alcune personalità irlandesi, era stato costituito dall’ambasciatore dottor Francesco Guariglia il 28 settembre 1993 per contribuire alle attività di promozione
dell’immagine culturale dell’Italia all’estero50.
Il Comitato Italiani all’Estero (COMITES) di Dublino51 conta ora 13 membri con un esecutivo composto da 5 membri, presieduto dall’architetto Cavallo e in cui figurano i già citati Paolo Zanni e Marco Sonzogni, rispettivamente in qualità di vicepresidente e di addetto alle pubbliche relazioni. Sei
gli obiettivi del Programma quinquennale pubblicato su Italia Stampa nel
settembre 200452, che ci pare valga la pena di citare integralmente per consentire eventualmente un positivo confronto con altri Comitati nel mondo:
– una nuova sede più ampia nello stesso palazzo vicino all’ambasciata;
– la stesura di una «Guida alle Risorse», «documento informativo a cura
del Comitato stesso, anche attraverso l’aiuto di consulenti esterni, che sarà dedicato alla presenza italiana in Irlanda in tutte le sue strutture e potenzialità»;
– «lo sviluppo della lingua e cultura italiana» in seno alla comunità di
emigrati, attraverso attività culturali nonché soggiorni in Italia presso centri
estivi per ragazzi;
– la creazione di «Gruppi di lavoro inter-COMITES» per raggiungere tutte le
consistenti comunità di connazionali in zone periferiche dell’Irlanda;
– l’organizzazione di «visite per aggiornamento e scambio» in Irlanda e
all’estero «per conoscere in modo diretto le realtà delle comunità italiane all’estero» ed eventualmente programmare una collaborazione53;
– la «presenza sulla stampa specializzata» per «assicurare che il COMITES
abbia il maggior rilievo possibile in organi di stampa italiani e irlandesi».
Il Club di Dublino. È stato istituito nel 2002 su incoraggiamento dell’ambasciatore Alberto Schepisi, allo scopo di rappresentare in presa diretta l’apporto italiano alla crescita dell’Irlanda negli ultimi anni. Tra i suoi quaranta membri, esso
riunisce esponenti delle professioni (avvocati, medici) e della finanza (banche) e
dell’università (che operano sia al Trinity College sia allo University College
Dublin). Il presidente Aldo Aletti, direttore della filiale della Banca Popolare di
Milano a Dublino, sottolinea le due principali finalità statutarie del Club:
1) rappresentare le forze italiane operanti nel tessuto economico e professionale irlandese;
2) impegnarsi in attività di beneficenza attraverso iniziative di raccolta fondi.
Nel 2004, il Club ha ospitato Giuliano Amato e, in collaborazione con il Club
Italiano, ha organizzato una serata con Gianni Rivera. Fedele ai suoi fini istituzionali, il 10 novembre ha poi organizzato una cena di beneficenza i cui proventi
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(circa 30.000 euro) sono stati devoluti alla Simon Community d’Irlanda, che da
lungo tempo si prodiga ad assistere i meno privilegiati e i senza tetto54.
Conclusioni. «Not only am I perfect, I am Italian too»: a che serve la comunità italiana in Irlanda?55
Professionalità e mobilità in prospettiva storica
All’opera del singolo architetto (Alessandro Galilei, nel Settecento o Raffaele
Cavallo, ai nostri giorni) è legata l’eredità stilistica non solo di un singolo,
ma di una tradizione (si tratta, nel caso specifico, di Andrea Palladio e dell’architettura palladiana dublinese); all’eccezionalità di un singolo, quale Donato Borza o Angelo Morelli, la crescita di un apporto corporativo nel settore
della ristorazione (fish and chips, gelaterie, ristoranti). Di recente, nuovi settori (finanza, professioni, farmaceutica) mettono in rilievo il molteplice contributo economico italiano in Irlanda (tab. 1).
Si distinguono, quindi:
– l’emigrazione dei singoli professionisti (in svariati settori);
– la tradizionale emigrazione «a catena» (ristorazione);
– la «nuova» emigrazione settoriale (specialmente finanza);
– la «comunità fluttuante» (studenti e lavoratori).
A ciascun tipo di flusso corrisponde una motivazione diversa. La «catena»
socioeconomica familiare-corporativa dei gelatai e dei chippers-ristoratori si distingue nettamente da quella delle ultime due tipologie e categorie di emigrati,
legati alla logica della globalizzazione economica (anche nel settore dell’istruzione e formazione superiore e professionalizzante – scuole, università e stages).
Tabella 1. Individualità e corporativismo professionale. Italiani in Irlanda: professionalità e mobilità degli emigrati.
Tipologia
Expertise ’700
Storia
’800
Personale Alessandro Charles
Galilei
Bianconi
Corporativa
decoratori,
musicisti
Dinamica
’900
2000
Angelo Morelli,
Donato e Barbato
Borza, Vergnano,
Biondi, La Malfa,
Farinella, Cavallo
Motivazione
Mobility
’700-oggi
iniziativa personale
Upward e
Outward
gelatai, bankers, IT,
’900
2000
’900
2000
ristoratori, farmac.,
emigraz. «Going Upward Out /
chippers «fluttuanti» «a catena» global»
Upward
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Si può così notare una combinazione di upward e outward mobility. All’iniziativa personale di alcuni emigrati italiani è legato un semplice «trasferimento» delle attività in Irlanda (come nel caso dei decoratori, nel Settecento e
nell’Ottocento, dell’imprenditore Vergnano o in quello del professor Farinella, in epoca più recente, o degli architetti Galilei e Cavallo, casi paralleli a distanza di secoli), come era il caso anche dei decoratori, che «esportavano»
una propria expertise specializzata, traendone di conseguenza anche un successo economico. Ad altri fenomeni di network, come l’emigrazione «a catena» dalla Valle del Comino, è legata, invece, prevalentemente la ricerca di un
«ri-posizionamento» economico (da attività agricole di sussistenza ad attività
imprenditoriali di successo), con il conseguente miglioramento delle condizioni economiche a partire dalla seconda generazione. Ai recentissimi «trasferimenti» professionali nei settori della finanza e dell’istruzione (università,
stages) si lega un’emigrazione periodica che approfitta dell’occasione offerta
all’estero dalla dimensione globalizzata del mercato e del servizio (finanza,
formazione) rispettivamente prestato o goduto, con vantaggi economici in loco (scatti di carriera legati al trasferimento in Irlanda) o in Italia (al momento
del ritorno in patria, a fine esperienza).
Acculturazione-inculturazione (o socializzazione)56
Fase I) Per quanto riguarda l’acculturazione dei primi emigrati italiani celebri
(decoratori, il citato Charles Bianconi) e della prima generazione (soprattutto)
di emigrati laziali, da un lato essi sono portatori di una cultura forte legata a
una regione (Lazio) o a un’attività (decorazione d’interni) e, dall’altro, sono
visti dagli irlandesi esclusivamente come fornitori di servizi (trasporti, decorazione, stampa, ristorazione, tessile). Al di là del riconoscimento del loro valore e contributo artistico o economico-imprenditoriale da parte del paese ospite,
gli emigrati italiani resistono in una prima fase all’integrazione sociale in Irlanda. L’inculturazione o socializzazione di tali emigrati è circoscritta alla comunità di appartenenza tanto in Irlanda quanto in Italia. Ciò è determinato dalla caratterizzazione regionale della quasi totalità della comunità italoirlandese
e dal suo conseguente predominio in seno al Club Italiano (tab. 2).
Fase II) Gli emigrati italiani non laziali pre- anni novanta e quelli di origine laziale di seconda e terza generazione reinterpretano la propria appartenenza culturale, facendo conoscere maggiormente il contributo storico degli
italiani in Irlanda e le affinità storico-culturali tra Italia e Irlanda (vedi l’opera di ricostruzione storica e l’organizzazione di gemellaggi rispettivamente di
Barbato Borza ed Enzo Farinella). Da parte irlandese si sviluppa un progressivo approfondimento della conoscenza dell’Italia anche grazie al turismo per
vacanze e pellegrinaggi, favorito dalla maggiore facilità dei trasporti e dal comune patrimonio religioso. A questa conoscenza contribuisce anche una
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realtà a prevalente partecipazione irlandese (con una presenza italoirlandese
molto limitata) quale il Coro Italiano di Dublino. L’inculturazione di tale
«fetta» di emigrati italiani è basata sull’esistenza di un «ponte» socioculturale con la cultura dei padri e dei nonni, per le nuove generazioni nate dagli
emigrati storici laziali, nonché, in ambito non-laziale, sulla crescita di iniziative quali i trentadue gemellaggi italoirlandesi.
Fase III) Per quanto riguarda l’acculturazione dei «nuovi» settori della comunità italiana, assistiamo a una reazione «protezionistica» all’ibridizzazione
della cultura italiana e a un recupero dell’autentica matrice italiana, a una
contro-acculturazione. Gli irlandesi continuano ad apprezzare la cultura italiana, come testimoniano i progetti di traduzione in gaelico di alcuni «classici» della letteratura italiana (Inferno dantesco, Pinocchio) e il costante interesse per la lingua italiana (Istituto Italiano di Cultura e Casa Italia). In termini di inculturazione o socializzazione interna ed esterna alla comunità, oltre
alla promozione economica del marchio Italia e al successo degli operatori finanziari, a elevarne sempre di più il prestigio sociale (il social attainment cui
si accennava all’inizio) sono iniziative di promozione culturale e di valore sociale (quali l’Accademia Italiana della Cucina e le iniziative di beneficenza
promosse dal Club di Dublino).
Tabella 2. Relazioni socioculturali tra emigrati italiani e mondo irlandese. Italiani in
Irlanda: acculturazione e inculturazione.
Attori
Decoratori, musicisti,
C. Bianconi, ristoratori,
chippers, L. Vergnano
Acculturazione
Italiani
Resistenza
Irlandesi
Servizi e
commercio
Biondi, Borza, Farinella, Coro Reinterpretazione Approfondimento
Professionisti, finanza,
Istituto Italiano di Cultura
ed Ente Nazionale Irlandese
di Promozione del Gaelico
Controacculturazione
Globalizzazione
e scambio
culturale
Inculturazione
Vita di comunità in
Irlanda e in Italia
«Ponte»
Promozione
economica e
culturale
Identità e identificazione57
Ho fornito una triplice classificazione di questi tratti58 (tab. 3):
1) A un’iniziale identità tribale59 degli emigrati laziali, gelatai e chippers
(cfr. Peparini, 2002/2003, in nota, e cap. IV, pp. 125-52), corrispondeva forzata© Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli
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Tabella 3. L’«immagine Italia» in Irlanda. Italiani in Irlanda: identità e identificazione.
Attori
Identità
Identificazione
Azione
Effetto
Decoratori, musicisti,
C. Bianconi, gelatai
e chippers
Tribale
Mistificante
Adattamento
Ascrittivo
Plurale
Mediata
Informazione
Descrittivo
Borza, Vergnano, Biondi,
Italia Stampa, Farinella
Professionisti, finanza,
Transnazionale
Istituto Italiano di Cultura
ed Ente Nazionale Irlandese
di Promozione del Gaelico
Formalizzata
Autenticazione Prescrittivo
mente un’identificazione mistificante, in quanto fortemente limitativa dell’apporto italiano e di conseguenza dell’Italia60, tanto mistificante che gli irlandesi
consideravano, ad esempio, fish and chips, «pesce e patate», venduti esclusivamente da italiani, un piatto tipicamente italiano (Italian food)61. La strategia
d’immagine messa in atto dai chippers italiani era quella dell’adattamento alle
esigenze dei clienti irlandesi, ad esempio in fatto di gusti alimentari:
E gl’ costumera (= i clienti) mi dicevano: – E in Italia si vende il fish and
chips? – e io: – No, no! In Italia si mangia la pasta! – e poi: – E perché qua voi
non vendete la pasta? – Eh! Perché quello, il pesce, era che a loro piaceva e la
pasta non piaceva. Patatine, chips, rihanno circa cento anni di vita in Irlanda, le
ha cominciate a fa’ Cervi, vendevano gelati poi c’è stata la crisi del gelato e hanno cominciato a fa’ i pesci… e uno di questo e uno di quello, una porzione di patate e una di pesce, a forza di dire così, è stato chiamato «One & One» e adessa
ci sta ancora un negozio che si chiama proprio «One & One» (P. M.)62
A tale strategia di adattamento culturale in funzione commerciale si può collegare, pertanto, l’ascrizione da parte degli irlandesi di un’identità italiana
agli immigrati del Comino (effetto ascrittivo dell’identificazione).
2) Grazie agli apporti diversificati successivi di esponenti dell’emigrazione non laziale si sviluppò in seguito un’identità che potremmo chiamare plurale. Per effetto della strategia d’informazione portata avanti, ad esempio, da
Farinella e dai progressi in direzione generalista del periodico della comunità
italiana Italia Stampa, dal 1990 al 1994 tradotto anche in inglese, l’identificazione degli italiani fu assai più mediata (anche da realtà quasi totalmente irlandesi come l’Italian Cultural Institute Choir, ribattezzato, in italiano, «Il
Coro Italiano di Dublino», i cui Friends annoverano tra le proprie fila l’ambasciatore italiano insieme ad altri membri irlandesi). Tale strategia di imma58
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gine ha portato con il tempo a presentare più compiutamente l’Italia agli irlandesi (effetto «descrittivo»).
3) I «nuovi» emigrati italiani verso l’Irlanda sono veicoli di un’identità
più fortemente transnazionale. All’azione di autenticazione della matrice culturale italiana portata avanti da attori quali l’Accademia della Cucina Italiana
o dal Club di Dublino e sotto il profilo linguistico dal Casa Italia Cultural
Centre come dall’Istituto Italiano di Cultura in collegamento con il suo omologo irlandese, l’Ente Nazionale di Promozione del Gaelico, risponde ora
un’identificazione formalizzata della presenza italiana in Irlanda, non solo
sotto il profilo economico e istituzionale (Financial Centre, Italian Trading
Commission). Quest’ultima assume un carattere, e produce un effetto prescrittivo, prefiggendosi di offrire un’immagine-modello dell’Italia agli irlandesi,
sempre più pronti a recepirla e ad apprezzarla63.
Sintesi: transnazionalità ed emigrazione italoirlandese
Proponiamo così una valutazione complessiva del «potere transnazionale dei
migranti»64 nei suoi aspetti economici e sociali cui è attribuibile un indice di
valore crescente, a seconda della forza del suo impatto in Irlanda e/o in Italia
(o nel mondo internazionale in genere) (tab. 4).
In campo economico, da notare, oltre all’«invisibilità» di lavoratori non
registrati all’anagrafe consolare italiana a Dublino, lo sviluppo locale (in Irlanda, non esportato dall’Italia) di un’expertise specializzata come quella
delle friggitorie di «pesce e patate»65, per piacere agli irlandesi. Esperienze
imprenditoriali come la ristorazione e l’insegnamento della lingua inglese o
delle professioni e della finanza aprono l’obiettivo transnazionale coinvolgendo tanto il mercato locale quanto quello italiano e internazionale.
In campo sociale, al di là del caso dei singoli emigrati indipendenti, la
medesima progressiva apertura della comunità di emigrati italiana si verifica grazie al passaggio, in ambito familiare dall’endogamia dei chippers
(specie di prima generazione) (cfr. Peparini, 2002/2003, pp. 176-78), ai
matrimoni misti delle generazioni e ondate successive di immigrati in Irlanda66. L’identità e lo spin-off linguistici dovuti all’emigrazione in Irlanda
sono altrettanto significativi, perché comprendono effetti avvertibili sia in
Irlanda sia in Italia. Partendo dalla lingua-madre dei chippers, il dialetto
del Comino (cfr. Peparini, 2002/2003, pp. 134-38), si assiste a un’ibridizzazione «anglo-dialettale» e poi all’esigenza di conoscere non solo l’inglese ma anche di diffondere la conoscenza dell’italiano tanto tra gli emigrati
laziali (cfr. i progetti del COMITES in questo senso), quanto, grazie all’aumentato interesse locale per la cultura italiana, tra gli irlandesi (mediante
canali istituzionali e privati, come l’Istituto Italiano di Cultura, i dipartimenti universitari di italiano e il Casa Italia Cultural Centre, o il «Proget© Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli
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Tabella 4. Impatto transnazionale dell’emigrazione italiana in Irlanda. Forme e gradi.
Campo
Indice
Attori
Azioni
0
1
Non registrati
Chippers
2
Ristoranti
3
Scuola di inglese
4
Finanza, libere professioni
Famiglia
0
1
Lingua
0
1
2
Chippers generazione I
Endogamia
Chippers generazioni II,
Matrimoni misti
III, IV, Biondi, Cavallo, ecc.
ECONOMICO
SOCIALE E CULTURALE
3
4
Associazionismo
60
0
1
Pre-Chippers in Italia
Chippers in Irlanda e Italia
Istituto Italiano di Cultura,
Casa Italia, COMITES,
«Progetto Pinocchio» con
l’Ente Nazionale Irlandese
di Promozione del Gaelico
Emigrati di Casalattico
Insegnanti di Casalattico
Italiani del 2000 in Irlanda
2
Emigrati non associati
Coro Italiano di Dublino
Cantori emigrati laziali
Friends of Il Coro Italiano
di Dublino
Club Italiano
3
COMITES
4
Club di Dublino
5
Accademia della
Cucina Italiana
Distacco
Specialised expertise
sviluppata in / pro Irlanda
Specialised expertise per
irlandesi e/o transnazionale
Servizio transnazionale
per italiani e per altri stranieri
Servizio in Irlanda
per italiani e irlandesi
Dialetto laziale del Comino
Ibridizzazione anglo-dialettale
Corsi per irlandesi
Corsi per italiani
Traduzione di classici in gaelico
Enclave bilingue transnazionale
Bilinguismo funzionale
transnazionale
Assenza
Cultura musicale
Scarsa partecipazione
Sostegno transnazionale
di italiani e irlandesi
Socializzazione ristretta
tra le famiglie di emigrazione
più antica in Irlanda
Azioni «di cerniera»:
- vecchia e nuova emigrazione
- Italia e italoirlandesi
- italoirlandesi e altri
- rinnovamento dell’immagine
italiana in Irlanda
- beneficenza in Irlanda
Promozione transnazionale
della cucina italiana autentica
© Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli
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to Pinocchio» in collaborazione con l’Ente Nazionale Irlandese di Promozione del Gaelico). Ma l’effetto dell’emigrazione «di ritorno» permanente
o, ancor più, periodica, si produce in Italia, dove a Casalattico (Frosinone)
nasce una enclave linguistica bilingue, in cui l’italiano viene capito più
che parlato dai figli più giovani degli emigranti e per cui nella scuola italiana del paese si insegna anche in inglese e si organizzano corsi di italiano per irlandesi immigrati in Italia.
Infine, le logiche transnazionali dell’associazionismo italiano in Irlanda
cambiano e si situano anch’esse su una scala ascendente di partecipazione e
di esclusione / inclusione delle varie anime della comunità italoirlandese. Seguendo questa scala, si può osservare che, mentre esistono sempre emigrati
non inseriti, Il Coro italiano di Dublino costituisce un caso sintomatico sia
in negativo sia in positivo. Se, da un lato, non sono in molti gli emigrati italiani tra le sue fila, dall’altro, la risonanza culturale del Coro stesso e della
lirica italiana che promuove è testimoniata dal coinvolgimento di tanti irlandesi tra i cantori nonché tra i membri dell’associazione dei suoi Friends. Al
passaggio da un’inculturazione o socializzazione ristretta tra italiani in Irlanda a un’acculturazione come scambio tra italiani e irlandesi e a una controacculturazione a favore della cultura italiana autentica corrisponde l’evoluzione associativa dal Club Italiano al Club di Dublino e all’Accademia della
Cucina Italiana. In tale transizione la realtà istituzionale del COMITES locale
gioca un fondamentale ruolo «di cerniera» in seno a tutta la comunità italoirlandese nei suoi rapporti interni come in quelli con l’Irlanda e con le altre
rappresentanze degli italiani nel mondo.
Prospettive future: «concordia discors» tra gli emigrati in Irlanda
In conclusione, nella comunità italiana in Irlanda vige una situazione di
concordia discors o di discors concordia (usando l’espressione di Orazio,
Ep. 1, 12, 19), a seconda che si voglia sottolineare l’elemento separativo o
unitivo della nazionalità in un panorama differenziato, se non proprio frammentato. Sono passati i tempi della lontananza prolungata dall’Italia, causa
dell’intensa nostalgia cantata dal compianto arciprete di Casalattico, Cesidio Cardarelli, nei versi popolari della sua elegia Emigrante:
Sfidando il cielo immenso
l’infinito
l’aereo sfreccia nell’azzurro,
ardito.
Possente,
dominando il mare amico,
o infido,
la nave salpa per lontano lido.
Ansie,
dolori,
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lacrime,
speranze.
– Italia…
Oh, casa mia!…
Tornerò presto! –
Dell’emigrante il sogno è solo questo!67
La «riunificazione» intracomunitaria tra i casalatticesi (o casalesi) «a casa» e
in Irlanda è indice del «ponte» costruito tra queste due «Italie» solo geograficamente staccate. Gli effetti interlinguistici sono solo uno degli aspetti più
eclatanti di tale orizzonte transnazionale italoirlandese.
Ma l’«ultimo orizzonte» della comunità italiana in Irlanda è quello di un’Italia policentrica, rappresentativa di quelle «Italie» cristallizzate al plurale nel
nome tedesco del Bel Paese, Italien. Nell’estensione della prospettiva sociologica (economica e culturale) allo scopo di abbracciare tutte le realtà individuali, corporative e associative italiane presenti in Irlanda; nell’azione di collegamento della «vecchia» e «nuova» emigrazione e, soprattutto, nelle sue «nuove» dinamiche di interdipendenza e di flusso assai più accelerate e ravvicinate,
sta la peculiarità della situazione presente e della sfida posta per il futuro agli
italiani in Irlanda, tra comunità, individualità e transnazionalità68.
Note
1
2
3
4
5
6
7
8
62
Tra gli studi sull’argomento segnaliamo: Salazar, 1912; Power, Una, 1991; Reynolds, 1993; King e Reynolds, 1994; Marcantonio, 1998; Peparini, 2002/2003, con
ricca bibliografia (I-VIII, dopo p. 183); La Malfa, 2003, scritto dal curatore della rivista Italia Stampa, organo di informazione della comunità italiana dal 1983
(www.italiastampa.info).
Favell, 2003, specialmente pp. 409 sgg.: «Social Capital and Social Power».
«Social capital is defined according to the ways distinct culturally-defined practices
shared by a particular group, allow it to create forms of social distinction from other
groups. This can generate power by seizing monopolies on certain areas of public
life, that other are denied access to by the need for insider know-how of specific
cultural codes or specialised expertise» (Favell, 2003, p. 409).
Rimando all’analisi di Carla De Tona, in questo stesso volume di Altreitalie.
Cfr. Carla De Tona, in questo stesso volume, al paragrafo «Representing Italianness»,
pp. 26-27.
La Malfa, 2003, p. 9; Peparini, 2002/2003, p. 9, con riferimento a Palumbo Fossati,
1982, pp. 5-8.
Bianconi e Watson, 1962; si veda anche Marcantonio, 1998, p. 130 e nota 22, con
riferimento a O’Neil, 1993 e Power, Una, 1991, pp. 16-17.
Si veda anche Italia Stampa, XIV, vol. III, giugno 1997, p. 3.
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20
21
Peparini, 2002/2003, p. 10, cita i dati riportati dal console regio Salazar, che nel
1912 enumera ad esempio 40 persone di nome Forte e 19 Fusco tutti impegnati
nella vendita ambulante di gelati o in caffè e gelaterie (vedi oltre il paragrafo sulle genealogie casalesi). Si pensi anche a Joe Savino (che arrivò a Dublino nel
1901) e ad Angelino Morelli (classe 1907) per la prima volta a Dublino a nove anni nel 1916, il primo a portare la macchina da caffè italiano in Irlanda del Nord,
patriarca di quattro generazioni di un impero del gelato.
Walton, 1992. Giuseppe Cervi fu il primo chipper dublinese ad aprire a Pearse
Street nel 1880. L’«uno e uno» («one and one»), definizione della porzione di fish
and chips usata dalla moglie che non conosceva l’inglese, entrò poi nell’uso comune. A Dublino, al numero 54 di Dorset Street, vi è ancora un negozio chiamato
«One & One» aperto nel 1970 da Adelmo e Antonietta Viti di Veroli (Frosinone).
Per un’analisi dell’emigrazione italiana in Irlanda nel Novecento, decennio per decennio fino agli anni ottanta, cfr. Power, Una, 1991, capp. IV-XI, pp. 29-72.
Sul concetto sociolinguistico di social network, vedi Milroy, 1980; Milroy e Margraine, 1980; Fasold, 1990, pp. 235-38 («Social Network Analysis»).
È quanto si desume leggendo le testimonianze riportate da Lucilla Peparini nel
cap. III, par. 3.1, «Perché emigrare?». Significativi i riferimenti alla crisi in Irlanda
nel 1960 e all’acquisto di arance al mercato di Atina, atteso dai bambini rimasti a
Casalattico, o di una banana a Roma, prima di partire per l’Irlanda (Peparini,
2002/2003, pp. 78-79).
Cfr. Carla De Tona, in questo stesso volume, al paragrafo «An historic overview
of the presence of Italian migrants in Ireland», pp. 24-26.
Cfr. Italia Stampa, XXI, vol. VII, luglio 2004, p. 7.
Mi dice esplicitamente: «Dovevano lavorare: non avevano tempo di entrare in politica!».
Cfr. Peparini, 2002/2003, p. 59: «I soldi prestati éh! Dicevi: quann’e gli può riènne [rendere] me li riènne, erano quelli prestati e quelli erano, no de cchiù quelli,
senza interessi, no, e un po’ a la vòta me li ridai» (M. M.).
Come mi è stato riferito da Lucilla Peparini durante la mia visita a Casalattico.
Cfr. «A History of Italian Restaurants», Italia Stampa, XVIII, vol. VI, settembre
2001, pp. 8 sgg.; dal 29 novembre al 2 dicembre 2004 si è tenuto a Roma il Primo
Convegno dei Ristoratori Italiani nel Mondo, in occasione del quale il ministro Tremaglia ha annunciato la creazione di una Consulta dei ristoratori italiani all’estero
che si affiancherà alla Confederazione dei nostri imprenditori nel mondo. Il ministro Alemanno ha anche parlato dell’introduzione di un marchio di qualità per i ristoranti italiani nel mondo (fonte Inform / Italia Stampa), www.italiastampa.info,
12/2/2004, Conclusioni del convegno ristoratori Italiani.
Cfr. «Un’idea geniale», Italia Stampa, II, vol. I, settembre 1984, p. 7.
«Il geniale contributo di Barbato Borza», Italia Stampa, XIV, giugno 1997, p. 3;
«Barbato Borza, A Man for All Seasons», Italia Stampa, XIX, vol. VI, dicembre
2002, pp. 5 sgg.
Cfr. «La famiglia Morelli, dai gelati alle automobili da corsa», Italia Stampa, VIII,
vol. III, febbraio 1991, p. 21; a un altro ceppo della famiglia appartiene il ristoratore dublinese Romano Morelli, asso veterano del ciclismo, cfr. «Lo sport nel sangue dei Morelli», Italia Stampa, XXI, vol. VII, settembre 2004, p. 16.
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Cfr. «Quanto sei bella Roma», Italia Stampa, XIX, vol. VI, maggio 2002, p. 11.
Cfr. «Luciano Vergnano, l’industriale alto e affabile», Italia Stampa, XVIII, vol. VI,
settembre 2001, p. 19.
Cfr. la risonanza dell’evento nella stampa irlandese e siciliana: Power, Con, 1991
e 1992; Di Fazio, 1992, p. 9 e la scheda personale a lui dedicata sul sito www.
militello.info.
Secondo una testimonianza personale riportata in Power, Con, 1991.
Secondo una felice e significativa espressione tratta dal citato articolo del 1991 di
Con Power sul Sunday Press dublinese.
Durante il nostro incontro in un bel quartiere residenziale di Dublino, il già citato
Mario Di Fiore, originario di Atina (nome che ha dato anche alla propria casa irlandese), ricorda che, proprio viaggiando tra Dublino e il sud dell’Irlanda, dove
aiutava il fratello nel suo negozio, notò che in un villaggio mancava un «fish and
chips», e così si ripromise di tornare successivamente ad aprirne uno, come puntualmente avvenne qualche anno dopo.
La più volte citata rivista Italia Stampa, su cui torneremo, ha pubblicato un simpatico articolo circa le affinità culturali tra italiani e irlandesi, a firma di Vincent
Caprani, – scrittore di origine italiana, nato in Irlanda nel 1939 e formatosi in una
delle scuole più importanti d’Irlanda, la Scoil Mhuire tra il 1943 e il 1948, – intitolato «Irishmen are really only Italians who don’t mind the rain», Italia Stampa,
X, vol. III, maggio 1993, pp. 16-17.
Già Italian Trade Centre; ringrazio vivamente il direttore, dottor Alfredo Rizzo,
per la gentilezza e la disponibilità.
Cfr. Italia Stampa, IV, vol. II, marzo 1987, p. 14, un necrologio in cui si sottolineano «la squisita affabilità [una caratteristica anche dell’altro grande imprenditore italoirlandese trattato sopra, Luciano Vergnano] e la profonda religiosità» di
Nico.
Cfr. Carla De Tona, in questo stesso volume, al già citato paragrafo «An historic
overview of the presence of Italian migrants in Ireland».
Cfr. anche Peparini, 2002/2003, p. 12, con riferimento a La Malfa, 2003, p. 6. Per
una differenziazione per professione su un piccolo campione di casalatticesi «di ritorno» (l’Ufficio Consolare non dispone di dati certi su tutti gli impieghi), cfr.
Reynolds, 1993, p. 419.
È a lui che devo la segnalazione del sito www.altrairlanda.it
Bruno Busetti, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura dal 2004 (si veda p. 52),
scrive: «Nel tentativo di presentare agli irlandesi la nostra cultura, cercherò sempre di usare un duplice messaggio: l’immagine tradizionale dell’Italia, accanto ad
un elemento sorprendente, a qualcosa che dica: nel mondo ci siamo anche noi…
ma, attenzione, non siamo più come credete» (Italia Stampa, XXI, vol. VII, luglio
2004, p. 6).
Si offrono qui le informazioni di base per capire quanto trattato più approfonditamente da Carla De Tona nel suo articolo, in questo stesso volume di Altreitalie.
«Giuseppe Guaraldi, un grande amico dell’Irlanda», Italia Stampa, XVIII, vol. VI,
dicembre 2001, p. 8.
Cfr. ad esempio, Italia Stampa, XXI, vol. VII, settembre 2004, p. 14, in merito al© Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli
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l’edizione 2004 dell’«Italian Racing Day». Riunendo costantemente i ruoli di «Inner Observer» e «Inner Participant», cui fa riferimento l’antropologa inglese Kate
Fox in uno studio sui propri connazionali (Fox, 2004, p. 3), ho potuto tra l’altro
partecipare al concorso ippico «Italian Racing Day» del 18 settembre 2004. Superando, così, il distacco richiesto al «professional alien» (Fox, 2004, pp. 6, 16, 93),
mi sono piuttosto sentito coinvolto quale observateur engagé, come si definisce
Gilles Martinet, ambasciatore francese a Roma dal 1981 al 1984, in una recente
autobiografia (Martinet, 2004; recensione di Maurizio Caprara, Corriere della Sera, 9 gennaio 2005, p. 35).
Cfr. ad esempio, «The Unforgettable Lucan Festival», Italia Stampa, XXI, vol. VII,
luglio 2004, pp. 12-13.
Casa Italia First Annual (Dublin, A&B Editrice, 2000); San Cataldo. Casa Italia
Second Annual (Dublin, Taranto, A&B Editrice, 2002); Gemellaggi tra Italia e Irlanda. Casa Italia Third Annual (Dublin, A&B Editrice, 2004), sulla Sicilia, specialmente pp. 73-103; su alcuni dei gemellaggi con cittadine siciliane, vedi «Gli incontri di ritorno dei gemellaggi con cittadine siciliane», Italia Stampa, IV, vol. II,
28, luglio 1987, p. 10.
Cfr. «When not in Rome», Irish Times, 6 novembre 2004. Nel suo saggio Carla
De Tona discute «the problematic notion of a unique Italian culinary tradition» nel
paragrafo «Visibility: Italianness in the media and literature», in questo stesso volume, pp. 27-33.
È con quest’espressione bilingue che Barbato Borza esprime le proprie perplessità…
Cfr. l’articolo sulla II edizione, Italia Stampa, XIX, vol. VI, dicembre 2002, p. 4.
«Dante always in Vogue», Italia Stampa, XIX, vol. VI, marzo 2002, p. 6.
Cfr. Italia Stampa, I, vol. I, settembre 1983, p. 3.
Vedi anche Italia Stampa, XVIII, dicembre 2001, p. 3.
A Casalattico mi è stato raccontato che, entrato in un negozio in Italia, un emigrante
chiese un giorno di vedere un frigo, dicendo: «Posso avere una piccola fregatura?».
Cfr. Peparini, 2002/2003, pp. 155-59. Fino al 2002, «unica associazione ufficiale italiana in Irlanda», si veda il messaggio augurale «Presenza italiana in Irlanda», a firma dell’ambasciatore Salimei, Italia Stampa, VIII, vol. III, febbraio, 1991, p. 11.
Italia Stampa, XXI, vol. VII, luglio 2004, p. 18, pubblica una foto della «Juventus
degli Italiani d’Irlanda di 60 anni fa».
Cfr. l’articolo «Un Club Italiano molto attivo», Italia Stampa, VIII, vol. III, settembre 1991, p. 9.
Come previsto dalla Legge 401/90; cfr. Italia Stampa, X, vol. III, dicembre 1993,
p. 18.
Come previsto dalla Legge del 30 ottobre 2003, 286.
Italia Stampa, XXI, vol. VII, settembre 2004, p. 5.
Una rappresentanza del COMITES di Dublino, il 26 giugno 2004, ha partecipato a
Londra all’elezione di tre delegati per la Gran Bretagna e l’Irlanda in seno al Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE), Italia Stampa, XXI, vol. VII, luglio
2004, p. 5.
www.italiastampa.info, Archivio notizie, 11/15/2004.
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Nel titolo giustapponiamo la frase stampata su un adesivo in evidenza sul computer
di Barbie Borza nello studio sopra lo storico negozio di fish and chips, «Cherubs»,
a Dublino («est. [established] 1955 [fondato nel 1955]») e il titolo dell’articolo «A
che serve la comunità italiana» di Andrea Riccardi (Riccardi, 1998), ristampato in
versione abbreviata in Italia Stampa, XV, vol. IV, aprile-maggio 1998, p. 1.
Sui due concetti si veda l’utile scheda di Antonio Perotti sul sito del Comune di
Torino http://www.comune.torino.it/cultura/intercultura/glossario/glo35.html.
Il lettore potrà confrontare su questo punto le mie conclusioni con quelle tratte da
Carla De Tona nel suo saggio qui pubblicato.
Cfr. la posizione di Bruno Busetti, riportata sopra alla nota 34. Lucilla Peparini,
2002/2003, p. 127, cita la definizione di identità del lavoratore migrante come
«l’autopercezione che egli ha di sé in relazione con un altro» data da Signorelli
(1986, p. 45), il quale distingue una «sorta di sistema di cerchi concentrici» (ibidem, p. 46) comprendente «a) l’identità locale (in relazione al gruppo dei parenti
e compaesani); b) l’identità regionale (in riferimento alla regione d’origine); c)
l’identità per aree di provenienza (in opposizione: meridionali e settentrionali all’interno della stessa nazione); d) l’identità nazionale (in contrapposizione alla nazione d’accoglienza); e) l’identità di lavoratore immigrato (in opposizione ai lavoratori nativi); f) l’identità di emigrante (rispetto a quelli che non sono emigrati)». La nostra attenzione si concentra qui sui risvolti esterni dell’identità comunitaria, in particolare, cioè, sull’identità nazionale e di lavoratore immigrato – punti
d) ed e) – con riferimenti obbligati anche all’identità regionale (ad esempio quella sociolinguistica veicolata dal dialetto).
Su «Globalization e Tribalization», vedi Fox, 2004, pp. 13-15.
Cfr. Peparini, 2002/2003, pp. 127-34: «Gli “ ’taliani ” d’Irlanda», pp. 127-28: «Ho
potuto osservare che i migranti Casalesi, sia di prima generazione sia delle seguenti [!] (e in particolare i migranti originari di Montattico [!]), usano parlare del
paese d’origine (Casalattico) chiamandolo “Italia”, senza specificarne il nome, e
in moltissime conversazioni mi è capitato di rischiare di confondere l’Italia, intesa
come nazione in generale con Casalattico e Casalattico con l’Italia, ma questi malintesi mi hanno fatto notare che sono gli stessi Casalesi che spesso attuano un’identificazione del paese con l’Italia (senza dimenticare che alcuni di loro non conoscono molti posti dell’Italia al di fuori di Casalattico, come è stato evidenziato
nel precedente capitolo [!])».
Come riferito da Lucilla Peparini e dai suoi informatori tra i chippers da lei intervistati (Peparini, 2002/2003, p. 60).
Peparini, 2002/2003, pp. 60-61. Per il riferimento all’«One & One» e al negozio
così chiamato vedi sopra, p. 43, e anche nota 10.
A Dublino è persino nata l’idea di dedicare all’Italia una piazzetta del centro in
cui oltre a un’Enoteca delle Langhe e un Caffè Cagliostro, «su una parete c’è un
enorme murale che rappresenta l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci, opera del fotografo artista nordirlandese John Byrne… ma con la differenza che i personaggi
del quadro, da Gesù agli Apostoli, sono impersonati da gente comune di varie nazionalità, dallo studente all’attore, dall’operaio al musicista. Il murale, di 9,3 per
2,2 metri, è una mirabile composizione in cui l’autore è riuscito a includere sim© Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli
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boli di forte richiamo italiano tra i quali anche il graffito “Forza Juve…”, a quanto pare voluto dall’imprenditore Wallace, tifoso della grande squadra torinese»,
Italia Stampa, XXI, vol. VII, settembre 2004, p. 12.
Riprendendo le considerazioni tratte da Favell, 2003, all’inizio di questo saggio.
Basti una sola testimonianza sul punto in questione citata da Peparini, 2002/2003,
p. 60: «E tutto quel pesce chi l’aveva mangiato mai! Là io l’ho visto per la prima
volta, e là me so’ imparato a cuoce’ nelle padelle col lardo perché gli irlandese
mangiano sempre il pesce!» (D. M.).
Anche se i professionisti della finanza spesso trasferiscono, più o meno temporaneamente, la famiglia dall’Italia, ho conosciuto un’avvocatessa, emigrata degli anni settanta, sposata a un giudice irlandese.
Italia Stampa, III, vol. I, 12, aprile 1985, p. 5.
Ringrazio di cuore tutti coloro che, a ogni livello, hanno reso possibile questo saggio. Ritengo utile segnalare, inoltre, i seguenti siti Internet:
http://www.bbc.co.uk/legacies/immig_emig/northern_ireland/ni_4/index.shtml;
www.barbieborza.com; www.italiastampa.info; www.altrairlanda.it.
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Fox, Kate, Watching the English. The Hidden Rules of English Behaviour, Londra,
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Peparini, Lucilla, «The Chippers»: l’emigrazione casalese in Irlanda. L’esperienza dei
Casalesi emigrati in Irlanda analizzata attraverso i racconti di alcuni emigrati impegnati nell’attività di ristorazione (tesi di laurea in etnoantropologia presso la Facoltà
di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Roma «La Sapienza», a.a.
2002/2003), con ampia bibliografia.
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Walton, John K., Fish and Chips and the British Working Class 1870-1940, Londra e
New York, Leicester University Press, 1992, in paperback 2000.
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