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M isericordia io voglio e non sacrifici
laSoglia QUELLO CHE PIÙ MI STA A CUORE a i rd io o ic ogl ci r ise io v crifi M sa n o en Per la comunità parrocchiale di S. Giustina in Colle anno XI, n. 46, aprile 2016 NOI… CENTRO PARROCCHIALE SABATO 21 maggio 2016 DALLE 15 FESTA DEL CENTRO PARROCCHIALE perchè riesca bene servono IMPEGNO, FANTASIA, SPIRITO DI COLLABORAZIONE, GENEROSITÀ, GRATUITÀ E FIDUCIA NEI FRATELLI E IN DIO. VOI AVETE QUESTI DONI… PORTATELI! 2 laSoglia n. 46, Aprile 2016 Misericordia IO VOGLIO E NON SACRIFICI CHIAMATA DI MATTEO (Matteo 9,9-13) A ndando via di là, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. 10Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. 11Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». 12Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. 13Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori». N o, Signore, non abbiamo capito, nemmeno noi. Come i farisei, non abbiamo capito cosa significa che tu desideri la misericordia e non i sacrifici. A volte anche noi riduciamo la fede ad un elenco di regole da rispettare, di riti da celebrare, di preghiere da mandare a memoria e da recitare svogliatamente. Oppure, in nome di una presunta libertà, cancelliamo tutto, confondiamo la spontaneità con l'anarchia, crediamo di essere diversi dagli altri perché annacquiamo la fede nel sentimento fino a renderci indistinguibili da chi non crede. Ciò che tu proponi, invece, è ben diverso. La fede nasce d a l l ' e s p e r i e n z a gioiosa col Padre, dalla consapevolezza di essere amati, e diventa cambiamento di prospettiva: capiamo che solo nell'amore concreto e fattivo possiamo realizzare la nostra vita, capiamo che il mondo ha un progetto da realizzare e che tu ci chiami ad essere tuoi collaboratori. L'osservanza dei precetti diventa, allora, un modo concreto di amare, di esprimere la fiducia nei tuoi confronti. Gesù non è un anarchico che vìola la legge, ma colui che la riporta all'essenziale. No, Signore, non abbiamo ancora capito che tu non ami i sacrifici. “laSoglia”, periodico bimestrale per la comunità di Santa Giustina in Colle, anno XI, n. 46, Aprile 2016, è una iniziativa del Consiglio Pastorale. Canonica, Piazza dei Martiri. Tel. 049 5790174. Direttore: don Leopoldo Voltan. Redattore: Giuseppe Verzotto. Comitato di redazione: don Daniele Zoccarato, Giampietro Beghin, Fabrizio Biasibetti, Costanza Biasibetti, Natalia De Santi, Suor Roberta, Valentino Fiscon, Egidio Gottardello, Raffaele Meneghello, Federica Pinton, Gianluca Ruffato, Antonio Ruffato, Diana Tommasin. Segretaria: Maria Cecilia Zorzi. Indirizzo e-mail: lasoglia@ email.it. Aut. Tribunale di Padova n. 2076 del 30-3-2007. Stampato dalla Litografia Nino Andretta. n. 46, Aprile 2016 laSoglia 3 EDITORIALE DOCUMENTO “scrivo a voi” dalla "Bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia L’unico lavoro che urge «C ’è nel Vangelo una risposta già fatta per ogni problema umano? [...] Il Vangelo non ha una soluzione, è una soluzione, la quale non esce bella e pronta dalle pagine del libro divino né dalle esperienze o dall’insegnamento della Chiesa, ma diviene, di volta in volta, la soluzione, man mano che, come fermento gettato nella pasta, lo spirito del Vangelo solleva e piega la realtà verso le sue conclusioni salutari. Quali siano queste conclusioni, quali aspetti prenderà un mondo fermentato dal Vangelo, nessuno lo può sapere in precedenza [...] Quello che importa è di “forzare” il Signore, non le persone, a entrare nella fabbrica, nella scuola, nello Stato, in una testa, in un cuore. Ho detto “il Signore”, non la sua effige, che può essere messa dappertutto insieme a tante altre, e con poco significato se non quello di collocarlo o di toglierlo a seconda degli uomini e delle convenienze. Quando gli apostoli hanno fatto entrare il Vangelo tra i pagani, non potevano prevedere le reazioni e immaginare la nuova società che ne sarebbe uscita [...] Se uno ha fede nel fermento evangelico, deve lasciarlo operare senza porgli limiti o condizioni di sorta. Guai se mi preoccupo in precedenza di salvare questo o quell’interesse, questa o quella costituzione, questa o quella civiltà! [...] Forse è provvidenziale quest’ora di spaventosa impotenza perché ci persuadiamo che è necessario abbandonare ogni questione di metodo, di forma, di organizzazione, per riprendere l’unico gesto e l’unico lavoro che urge, quello del seminatore che esce a seminare dappertutto, lungo la strada, nei 4 laSoglia n. 46, Aprile 2016 Misericordia vultus di papa Francesco luoghi rocciosi, sulle spine, nella buona terra. Perché il primo dovere dell’ora è seminare; l’unico dovere, seminare». Sono righe del Diario di don Primo Mazzolari, uno dei preti, insieme con don Lorenzo Milani della Scuola di Barbiana e con don Zeno Santini del popolo nuovo di Nomadelfia, che ha segnato ed illuminato il 900 italiano. A me piace pensare che il Vangelo è la soluzione in se stesso e che questo Vangelo non è una formula ma diviene, nel tempo e nelle situazioni del nostro territorio e società. La verità, la libertà, la giustizia, la condivisione, l’amore che il Vangelo ci offre non sono possessi esclusivi ed assoluti ma sono semplicemente sementi gettate nel solco della storia e che sono destinate, per loro forza intrinseca, per la grazia di Gesù, a fruttificare. Cara comunità di Santa Giustina c’è molto da seminare nei nostri cuori e nei cuori dei nostri fratelli. Una parola di giustizia che sia gonfia di misericordia, un messaggio di misericordia che contenga anche le istanze della giustizia. C’è da annunciare il volto buono ma anche desideroso di giustizia del Signore, c’è da raccontare ancora la salvezza del Signore che passa attraverso la misericordia ma anche nelle attenzioni concrete di giustizia sociale. Senza separare giustizia e misericordia, senza opporle e snaturarle. C’è da seminare. Questo nostro tempo, il Vangelo, la buona notizia di Gesù sono la soluzione del vivere e del mondo… c’è da seminarlo! dleo Giustizia e Misericordia 20. Non sarà inutile in questo contesto richiamare al rapporto tra giustizia e misericordia. Non sono due aspetti in contrasto tra di loro, ma due dimensioni di un’unica realtà che si sviluppa progressivamente fino a raggiungere il suo apice nella pienezza dell’amore. La giustizia è un concetto fondamentale per la società civile quando, normalmente, si fa riferimento a un ordine giuridico attraverso il quale si applica la legge. Per giustizia si intende anche che a ciascuno deve essere dato ciò che gli è dovuto. Nella Bibbia, molte volte si fa riferimento alla giustizia divina e a Dio come giudice. La si intende di solito come l’osservanza integrale della Legge e il comportamento di ogni buon israelita conforme ai comandamenti dati da Dio. Questa visione, tuttavia, ha portato non poche volte a cadere nel legalismo, mistificando il senso originario e oscurando il valore profondo che la giustizia possiede. Per superare la prospettiva legalista, bisognerebbe ricordare che nella Sacra Scrittura la giustizia è concepita essenzialmente come un abbandonarsi fiducioso alla volontà di Dio. Da parte sua, Gesù parla più volte dell’importanza della fede, piuttosto che dell’osservanza della legge. È in questo senso che dobbiamo comprendere le sue parole quando, trovandosi a tavola con Matteo e altri pubblicani e peccatori, dice ai farisei che lo contestavano: « Andate e imparate che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori » (Mt 9,13). Davanti alla visione di una giustizia come mera osservanza della legge, che giudica dividendo le persone in giusti e peccatori, Gesù punta a mostrare il grande dono della misericordia che ricerca i peccatori per offrire loro il perdono e la salvezza. Si comprende perché, a causa di questa sua visione così liberatrice e fonte di rinnovamento, Gesù sia stato rifiutato dai farisei e dai dottori della legge. Questi per essere fedeli alla legge ponevano solo pesi sulle spalle delle persone, vanificando però la misericordia del Padre. Il richiamo all’osservanza della legge non può ostacolare l’attenzione per le necessità che toccano la dignità delle persone. Il richiamo che Gesù fa al testo del profeta Osea – « voglio l’amore e non il sacrificio » (6,6) – è molto significativo in proposito. Gesù afferma che d’ora in avanti la regola di vita dei suoi discepoli dovrà essere quella che prevede il primato della misericordia, come Lui stesso testimonia, condividendo il pasto con i peccatori. La misericordia, ancora una volta, viene rivelata come dimensione fondamentale della missione di Gesù. Essa è una vera sfida dinanzi ai suoi interlocutori che si fermavano al rispetto formale della legge. Gesù, invece, va oltre la legge; la sua condivisione con quelli che la legge considerava peccatori fa comprendere fin dove arriva la sua misericordia. n. 46, Aprile 2016 laSoglia 5 Anche l’apostolo Paolo ha fatto un percorso simile. Prima di incontrare Cristo sulla via di Damasco, la sua vita era dedicata a perseguire in maniera irreprensibile la giustizia della legge (cfr Fil 3,6). La conversione a Cristo lo portò a ribaltare la sua visione, a tal punto che nella Lettera ai Galati afferma: « Abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge » 6 laSoglia n. 46, Aprile 2016 (2,16). La sua comprensione della giustizia cambia radicalmente. Paolo ora pone al primo posto la fede e non più la legge. Non è l’osservanza della legge che salva, ma la fede in Gesù Cristo, che con la sua morte e resurrezione porta la salvezza con la misericordia che giustifica. La giustizia di Dio diventa adesso la liberazione per quanti sono oppressi dalla schiavitù del peccato e di tutte le sue conseguenze. La giustizia di Dio è il suo perdono (cfr Sal 51,11-16). 21. La misericordia non è contraria alla giustizia ma esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e credere. L’esperienza del profeta Osea ci viene in aiuto per mostrarci il superamento della giustizia nella direzione della misericordia. L’epoca di questo profeta è tra le più drammatiche della storia del popolo ebraico. Il Regno è vicino alla distruzione; il popolo non è rimasto fedele all’alleanza, si è allontanato da Dio e ha perso la fede dei Padri. Secondo una logica umana, è giusto che Dio pensi di rifiutare il popolo infedele: non ha osservato il patto stipulato e quindi merita la dovuta pena, cioè l’esilio. Le parole del profeta lo attestano: « Non ritornerà al paese d’Egitto, ma Assur sarà il suo re, perché non hanno voluto convertirsi » (Os 11,5). Eppure, dopo questa reazione che si richiama alla giustizia, il profeta modifica radicalmente il suo linguaggio e rivela il vero volto di Dio: « Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Èfraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira » (11,8-9). Sant’Agostino, quasi a commentare le parole del profeta dice: « È più facile che Dio trattenga l’ira più che la misericordia ».[13] È proprio così. L’ira di Dio dura un istante, mentre la sua misericordia dura in eterno. Se Dio si fermasse alla giustizia cesserebbe di essere Dio, sarebbe come tutti gli uomini che invocano il rispetto della legge. La giustizia da sola non basta, e l’esperienza insegna che appellarsi solo ad essa rischia di distruggerla. Per questo Dio va oltre la giustizia con la misericordia e il perdono. Ciò non significa svalutare la giustizia o renderla superflua, al contrario. Chi sbaglia dovrà scontare la pena. Solo che questo non è il fine, ma l’inizio della conversione, perché si sperimenta la tenerezza del perdono. Dio non rifiuta la giustizia. Egli la ingloba e supera in un evento superiore dove si sperimenta l’amore che è a fondamento di una vera giustizia. Dobbiamo prestare molta attenzione a quanto scrive Paolo per non cadere nello stesso errore che l’Apostolo rimproverava ai Giudei suoi contemporanei: « Ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. Ora, il termine della Legge è Cristo, perché la giustizia sia data a chiunque crede » (Rm 10,3-4). Questa giustizia di Dio è la misericordia concessa a tutti come grazia in forza della morte e risurrezione di Gesù Cristo. La Croce di Cristo, dunque, è il giudizio di Dio su tutti noi e sul mondo, perché ci offre la certezza dell’amore e della vita nuova. n. 46, Aprile 2016 laSoglia 7 Misericordia io voglio… (Matteo 9, 9-13) È un brevissimo brano preso dal cap. 9 del Vangelo di Matteo. È certo che prospetta e definisce le motivazioni per le quali Dio si è fatto uomo. Poi chiarisce anche il perché papa Francesco abbia programmato un anno di riflessione, di preghiera e di impegno personale verso l’atteggiamento fondamentale di Dio Padre verso di noi. Dio vuole salvare, ma salvare con e per amore. Dio Padre è misericordioso, è misericordia. La Bibbia lo proclama. Cristo, Dio fatto uomo, lo ha abbondantemente rivelato attraverso tutta la sua vita con azioni concrete, visibili e spesso da Lui sofferte. Gesù ha voluto formare il vero discepolo non solo con l’ascolto della Parola di Maestro, ma anche con tutta una vita concreta coerente in parole e opere con la volontà del Padre, quindi con fedeltà alla sua vocazione. Meditando questo breve brano è importante aprire la mente verso tutto il capitolo 9 di Matteo. Potremmo affermare che l’evangelista ha collocato qui alcuni momenti, varie azioni miracolose che ci rimandano oltre a ciò che si vede con i sensi. Basti pensare ai primi ver- setti 1-8 dove Gesù fa misericordia a un paralitico perdonandogli i peccati e guarendolo.“Costui bestemmia, solo Dio può perdonare i peccati” (9,34), dicono alcuni scribi presenti. Più avanti, oltre il nostro brano, Gesù parlerà della novità del Regno non comprensibile in superficie, ma sicura e accessibile solo a una mentalità nuova, quella della fede, aperta al Dio che viene continuamente. “Vino nuovo in otre nuovo” afferma Gesù (9.17) Nei versetti che seguono troviamo due guarigioni miracolose. Una del figlio di un capo del luogo e l’altra di una donna che soffriva da dodici anni perdite di sangue. Gesù affermerà: “Coraggio, figlia, la tua fede ti ha guarito” (9,22). La vera storia dell'uomo nasce dal cuore 8 laSoglia n. 46, Aprile 2016 La stessa affermazione è rivolta da Gesù anche al papà del figlio guarito. Anche nell’altra parte di questo capitolo 9 di Matteo troviamo la proposta concreta di Gesù di andare oltre al puro ragionamento umano o alla norma del codice della legge, quando ci si mette a contatto con Dio Padre. Cristo si è fatto uno di noi per provarci questa verità e richiamarci a una conversione che viene prima di quella della fuga dal peccato. La prima e fondamentale conversione è quella che ci fa puntare lo sguardo pieno, totale, vitale verso il Signore e Autore della vita, “capace di far sorgere figli di Abramo da queste pietre” (Matteo 3,9). Figli di Abramo sono coloro che possiedono la fede sicura in Dio, sono i veri convertiti. Gesù venne in mezzo a noi e rimane come risorto in mezzo a noi, per insegnarci come lasciarci convertire da questo grande Dio. Il primo invito continua ad essere sempre quello di riconoscerlo come Padre. Gesù continua a porre nelle nostre labbra, anche oggi in ogni eucaristia, la preghiera del Padre nostro. Misericordia non animali sacrificati Dio è il padrone di tutto l’universo, nulla esiste che non sia suo e di cui Egli non possa disporre. Esiste però il cuore dell’uomo, di ogni essere umano, che solo può diventare proprietà di Dio se l’essere n. 46, Aprile 2016 laSoglia 9 umano lo offre. La vera e autentica storia di ogni essere umano nasce proprio dal cuore, cioè da quelle profondità nascoste nei nati da donna, dove albergano i sentimenti, la capacità di entrare in comunione, di godere e di soffrire facendo esperienza di che cosa significhi crescere, maturare umanamente. Il cuore vede più in là dei nostri occhi. Spesso nei nostri rapporti personali con il prossimo vediamo che una semplice presenza, una parola amica, un gesto fraterno o Un silenzio pensato, vale più di una medicina precettata dal medico. È la bontà che aiuta l’essere umano a uscire dalla prigione del suo egoismo. 10 laSoglia n. 46, Aprile 2016 È cosa buona l’indulgenza, non c’è dubbio. Però il senso pieno di questo Anno di Grazia lo troviamo nella riflessione serena sulla nostra capacità di assomigliare al nostro Maestro nella pratica della misericordia. anche un silenzio pensato, valgono più di una medicina precettata dal medico. È la bontà che aiuta l’essere umano a uscire dalla prigione del suo egoismo. Nel testo evangelico che ci è proposto troviamo Gesù in questo atteggiamento di incontro con un eretico, esattore di imposte a favore di una autorità straniera. Assieme ai suoi discepoli Gesù sta pranzando nella casa di Matteo come ospite commettendo un grave peccato di contaminazione, di impurità. Scrive un conosciuto biblista “tra i semiti la commensalità era segno chiaro di amicizia e comunione di vita”. Gesù risponde alle accuse degli scribi con una frase del profeta Osea (6,6) dichiarando senza tentennamenti di trovarsi, sì, nella casa pranzando con un peccatore, però come medico, per salvare, per guarire. Il medico non visita i sani. Il medico Gesù dichiara di essere segno della misericordia, della bontà di Dio Padre quindi sta attuando oltre la Legge. In questo caso, come in vari altri presentati da Matteo, il peccatore convertito in apostolo ed evangelista dalla misericordia, il più in là, l’oltre è la fede in un Dio che non cerca di aggiustare ma “che fa nuove tutte le cose” (Ap. 21,5) partendo dal cuore. Due profeti alcuni secoli prima avevano scritto: “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo” (Ez. 36,26 – Gr. 31,31). Gesù, Maestro e Salvatore ne dà testimonianza nel suo incontro quotidiano con i suoi, incominciando con Matteo e i dodici apostoli, Perché la misericordia Cristo Maestro e medico aveva la missione di rendere evidente la protezione e l’amore di Dio Padre verso l’umanità e di agire conformemente a questa sua missione. Giovanni nel suo Vangelo ci riporta una frase illuminante di Gesù: “…conoscerete che non faccio nulla da me stesso ma parlo come il Padre mi ha insegnato... faccio sempre le cose che gli sono gradite” (Gv.8,2829). Dio è misericordioso, è misericordia però chiede conversione, chiede fede. Completano le nostre osservazioni aprendo la nostra mente sul: che cosa fare? le ultime righe di questo nostro cap. 9 “Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: “la mèsse è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il Signore della mèsse, perché mandi operai alla sua mèsse!” (9, 35-38). Gesù insegna con azioni concrete ad avere compassione, a sentire misericordia come un dovere… a fare ciò che è possibile incominciando con la preghiera. Conclusione In questi giorni ho potuto ascoltare tanti battezzati, discepoli del Signore. Ho provato profonda meraviglia nella richiesta di spiegazioni sulla indulgenza unita al passaggio attraverso la porta santa. È cosa buona l’indulgenza, non c’è dubbio. Però il senso pieno di questo Anno di Grazia lo troviamo nella riflessione serena sulla nostra capacità di assomigliare al nostro Maestro nella pratica della misericordia. Papa Francesco ci dice che scoprendo meglio la nostra vocazione di rappresentanti del Cristo risorto come suoi imitatori nell’operare misericordia, crescerà nel mondo la fraternità. Si potrà scoprire che cosa significhi formare la grande famiglia di un unico Dio che è AMORE. p. Giorgio Morosinotto n. 46, Aprile 2016 laSoglia 11 Gesù chiama i peccatori L ’Anno Santo del Giubileo Straordinario della Misericordia è un tempo che ci è donato per ascoltare, conoscere, riflettere e vivere conoscendo un po’ di più in che modo «Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua Persona rivela la misericordia di Dio». Il brano del vangelo secondo Matteo 9,9-13 è uno dei molti brani a mostrarci, in un episodio della vita di Gesù, la sua relazione con i peccatori mentre sedeva a tavola con loro e la risposta alla domanda dei farisei: «12Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. 13Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori». Questa risposta di Gesù sorprende sempre ogni volta che viene letta o ascoltata perché mette a nudo la distanza tra il sentire, l’agire, il parlare di Gesù e il modo di sentire, agire e parlare dei farisei che è anche un po’ il nostro. Il sedere a tavola con certe persone, i pubblicani e i peccatori, mostra che tra Gesù e queste persone vi è una vicinanza non solo fisica ma anche una sintonia spirituale e questo disturba molto ancora oggi, le sue parole sono pesanti e vengono percepite come un qualcosa di inaudito. Se allarghiamo lo sguardo 12 laSoglia n. 46, Aprile 2016 Non sono i sani che hanno bisogno del medico alla Bibbia possiamo leggere che Dio, fin dagli inizi e durante tutte le vicende della storia della salvezza, si manifesta continuamente con un cuore di padre e madre e usa, senza sosta, misericordia verso: • Adamo ed Eva dopo il peccato: «Il Signore Dio fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì» (Gen 3,21); • Caino, dopo l’uccisione del fratello: «Il Signore impose a Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse» (Gen 4,15); • il salmista quando, nel sal- mo 145 e in altri salmi, prega riferendosi alla sua esperienza di vita e ci invita oggi ad avere nel nostro cuore questa preghiera che apre ad una speranza certa verso l’amore gratuito di Dio: «8Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all'ira e grande nell'amore. 9 Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature»; • il popolo che, al ritorno dall’esilio babilonese, si rivolge a Dio nella preghiera riconoscendolo presente nella sua storia, pur difficile e dolorosa, con queste parole: «Si sono rifiutati di obbedire e non si sono ricordati dei tuoi prodigi, che tu avevi operato in loro favore; hanno indurito la loro cervice e nella loro ribellione si sono dati un capo per tornare alla loro schiavi- tù. Ma tu sei un Dio pronto a perdonare, misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e non li hai abbandonati» (Ne 9,17); • tutte le persone di ogni tempo e luogo che sperimentano la sua misericordia come speranza in un futuro di vita piena ascoltando la parola di Dio che ci invita a ripartire sempre: «Forse che io ho piacere della morte del malvagio – oracolo del Signore – o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva?» (Ez 18,23). Gesù, nella sua nascosta vicenda umana, ci rivela il Dio Trinità che ama tutti di un amore così traboccante da invitarci a viverlo pienamente andando oltre il nostro modo di pensare: «44Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,44-45). Gesù ci invita, in vari modi, a convertirci e vivere con gioia la sua misericordia e per questo, come nel brano del vangelo proposto dove si narra la chiamata di Matteo e la festa che ne segue, evidenzia in modo diretto e forte che la sua presenza tra di noi ha lo scopo di rendere presente il Regno di Dio e salvare l’uomo dal peccato. L’uomo viene salvato con il dono della sua grazia, del suo amore che è la presenza di Dio nella nostra vita, nel nostro cuore. Questa realtà non è in vendita, non la possiamo comprare è semplicemente un dono del Signore ai suoi figli. Fare domande del come mai Gesù mangia insieme con i pubblicani e i peccatori o mormorare quando entra nella casa di Zaccheo (Lc 19, 1-10) o chiedere tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!» quando è invitato a tavola nella casa di Simone (Lc 7,36-50), mostra che chi si crede giusto ha un altro pensare, ha un’altra idea di Dio. È un pensare ai doni di Dio come frutto di una vita buona e rispettosa delle regole, come un merito, una conquista, un acquisto, un diritto e non si accetta un Dio che dona se stesso gratuitamente. Rifiutano e combattono un Dio misericordia, un Dio che si dona al peccatore perché viva. È considerata una scandalosa gratuità, un sovvertimento delle regole da combattere con ogni mezzo. Per questo il giusto, il buono, l’osservante della Legge si arrabbia, si incattivisce e lo odia fino a tal punto da cercare il modo di metterlo a tacere e lo fa morire in croce. In questa situazione di estremo annullamento Gesù è messo in croce tra due «malfattori» e prega ed offre a tutti il suo perdono, la sua misericordia, una vita nuova, piena di dignità che nasce dal dono del suo Spirito. Gesù viene tra di noi per salvarci, liberarci dal peccato che è causa di ogni male per ognuno di noi, per le società di questo pianeta e n. 46, Aprile 2016 laSoglia 13 INSIEME CI AIUTIAMO AD ESSERE Papa Francesco, Bolla indizione Giubileo Straordinario della Misericordia, 11 Aprile 2015. Francesco, Il nome di Dio è misericordia, Piemme. bito i farisei furono pronti a giudicarlo. Pregare, andare a Messa, partecipare attivamente alla vita della comunità sono gesti importanti per un cristiano, ma per essere veramente coerente con il suo credo, deve anche cercare di non porre discriminazioni fra le persone e non emarginare nessuno. Se pensiamo ai fatti di cronaca di questi giorni, terrorismo, guerre e profughi in esilio, omicidi, ci vien facile rivolgersi al Signore e chiedere "come poterci sedere allo stesso tavolo degli artefici di tali soprusi?". Credo sia giusto fermarsi e cominciare dai gesti semplici e dalle piccole cose. A partire dalle nostre famiglie, dai vicini, dai colleghi e dagli amici. Spesso nascono screzi, giudizi, discussioni, che potrebbero essere facilmente risolti con un po' di educazione ed empatia reciproca. Comprendere l'altro, accogliendolo per quello che è con la propria storia. Se imparassimo a vivere le relazioni assaporando il bello di ognuno, accettando vicendevolmente i difetti dell'altro, cercando di migliorarsi sempre, anche le diversità ci aiuterebbero a stare bene con noi stessi e con gli altri. Spesso invece, ognuno si chiude nel suo mondo pensando di essere nel giusto, cammina per la propria strada senza mai incrociare lo sguardo dell'atro, ci si osserva da lon- 14 laSoglia n. 46, Aprile 2016 n. 46, Aprile 2016 laSoglia 15 per il creato in cui viviamo. Ci invita ad avere un cuore puro, a riconoscere che solo Dio può creare sempre un cuore nuovo con la conoscenza della sua Parola, l’amore al prossimo e la preghiera. Le persone, dei brani evangelici sopra riportati, entrano in una relazione di fiducia e di amore con Gesù a differenza dei farisei sempre pronti a giustificare se stessi e a giudicare gli altri nella loro orgogliosa autosufficienza. Ascoltano la sua parola, rientrano in se stessi e desiderano di essere salvati. Percepiscono l’Altro che si manifesta nella sua disponibilità a prendersi cura di loro, a consolarli, a guarirli. Si riconoscono per quello che sono, povere creature di fronte al Creatore che non hanno nulla da vantare né da esigere. Non si giustificano, non accusano alcuno, chiedono solo misericordia. Nel volto di Gesù vedono la tenerezza di Dio. Questo contatto li trasforma. Escono dalla logica del profitto per entrare in quella dell’amore e della gratuità e conformare la propria vita a questa novità. In modo libero e spontaneo, nei loro gesti e parole, chiedono e ottengono il perdono, sono giustificati-ricreati, riacquistano la loro dignità. Subito iniziano a cambiare vita con gioia, compiono azioni di giustizia verso il prossimo e scoprono che possono camminare, con responsabilità e coraggio, verso un avvenire e una promessa nuovi, non più soli. Raffaele e Natalia "M isericordia io voglio e non sacrifici", papa Francesco anche questa volta, con pochissime parole ci chiede di essere veri, giusti non solo per pura ottemperanza alle regole, ma perché crediamo in alcuni valori che a volte vanno oltre al rispetto di alcune norme. Spesso può essere più facile rispettare con fedeltà e rigidità principi e dettami stabiliti, per sentirsi giusti e in pace con se stessi, ma è così che si incarna la misericordia e la giustizia? Viviamo in una società mutevole, dinamica, a volte molto dura, che spesso ci pone di fronte situazioni, idee, non sempre facili da comprendere e accettare. La gente si divide tra giudizi severi, indifferenza, accettazione e accoglienza. Dove sta il giusto? Dove risiede la verità? Credo dimori nel profondo del cuore di colui, che riesce a vedere l'amore come fine ultimo, un amore che rispetti "la vita". Giuseppe di fronte alla circostanza di Maria incinta avrebbe dovuto, secondo la legge, denunciarla dichiarandola adultera e facendola così lapidare. Egli decise però di non ascoltare il proprio orgoglio ferito, ma si preoccupò di trovare una soluzione per salvare la vita di Maria e del bambino. Sceglie di stare dalla parte dell’Amore. Giuseppe va così oltre la mentalità di quel tempo che lo avrebbe giustificato se avesse denunciato pubblicamente Gli facciamo una carezza? Maria. L’angelo poi gli svela il mistero circa la gravidanza e lui, con la forza dell’amore gratuito, restituisce la dignità alla sua promessa sposa e con lei, si prende cura di Gesù. L’essere giusto di Giuseppe non si dimostra nell’applicare rapidamente la legge, ma nell’accogliere l’Amore e il suo stesso progetto di vita. Giuseppe ci insegna a mettere in discussione le leggi della tradizione, quando il loro rispetto potrebbe ledere fortemente la vita degli altri. Gesù, prima ancora di venire al mondo, ci offre una lezione di vita: al centro del tuo essere, del tuo agire, deve esserci l’amore e il rispetto per il prossimo; da adulto siede alla stessa tavola di pubblicani e peccatori e su- tano, ci si giudica e ci si fa la guerra a distanza. È solo sedendo allo stesso tavolo, che gli occhi si possono incontrare e nel momento in cui le mentalità riusciranno ad aprirsi, finalmente ci si accorgerebbe che al di là del corpo diverso, abbiamo tutti un unico cuore. Missione non semplice, ma dobbiamo crederci! Per i nostri figli e per i bambini di tutto il mondo, che nascono puri, innocenti e pieni di amore per l'altro. Noi educatrici e insegnanti ogni giorno affrontiamo la vita con i bambini e le famiglie con questo obiettivo nel cuore, aiutare i bambini a fare esperienza della diversità, guidarli nel comprendere l'altro, educarli all'ascolto e al rispetto. Ogni occasione diventa momento per riflettere sulle nostre azioni, quelle giuste, quelle sbagliate, non fer16 laSoglia n. 46, Aprile 2016 mandoci a classificarle, ma cercando di comprendere motivazioni e emozioni che spingono i compagni a compiere "gesti poco gentili". Si cerca sempre infatti, di sottolineare l'azione sbagliata senza affidare appellativi e giudizi alla persona. Questo permette al bambino di non sentirsi sbagliato, ma di accorgersi che è il comportamento ad essere in questione. Una metodologia educativa che offre al bambino l'opportunità di riflettere sul proprio agire e sentirsi in grado di potersi migliorare. Ecco perché spesso "ci si siede al tavolo insieme ai pubblicani e ai peccatori", è nello stare insieme e nel confrontarsi che ci si può arricchire l'un l'altro. Un bambino che morde e viene sgridato perché dispettoso, maleducato e viene messo in castigo, si sentirà solo, sbagliato, la sua rabbia aumenterà e morderà ancora. Un bambino morde, la maestra si avvicina, si abbassa lo guarda negli occhi e prende per mano entrambi i bambini, rivolgendosi a quello che ha morso: "Cosa succede, hai morso un tuo amico che ora ha male, gli chiediamo scusa? gli facciamo una carezza?". A volte le scuse avvengono subito, il bambino morso riprende a giocare, ma il dialogo tra maestra e bambino che ha morso continua: "Come mai hai morso? Stai male?", vi assicuro che spesso le risposte sono queste: "mi manca la mamma", "sono stanco", "quel bambino non voleva giocare con me", "ho male i denti". Ecco che quel morso assume un significato e la maestra può aiutare il bambino a dare voce a quelle emozioni, in un modo diverso dal morso. A volte i bambini riescono a chiedere scusa solo dopo questo confronto. Questo significa che solo nel momento in cui una persona di sente accolta a prescindere da quello che fa, ascoltata e capita, comprende i propri gesti. Chiaramente questi passaggi sono delicati, per niente semplici, a volte non riescono, ma noi ci proviamo sempre, perché credere nella bontà dell'animo umano non è ingenuità, non è sacrificio, ma misericordia. CHIEDERE CON FEDE Q uanto è grande la misericordia di Dio? Fino a 70 volte 7, come l’oceano, come l’universo, cioè infinita!? Di certo è così ma mi pongo il problema se sia giusto chiedere a Dio la sua misericordia anche se per cose importanti come la salute. Perché dovrei guarire io e non altri, salvarmi io e non altri miei fratelli che soffrono con me e più di me? Dubbio inutile e atteggiamento superbo. Non sta a me stabilire a chi e perché sia destinata una vita lunga e in salute o breve e tormentata… lascia fare a Dio. E Dio ci dice di chiedere e di chiedere con fede . Poi la sua risposta verrà anche se potrebbe essere diversa da quella che ci aspettiamo. L’ho pregato in questo tempo e continuerò a farlo insieme con tanti amici e fratelli per poter guarire e poterlo lodare ancora. Ma non voglio pregarlo solo per me. Porto nel cuore situazioni che necessitano della misericordia di Dio come la terra riarsa della pioggia: matrimoni e sacerdoti in grave difficoltà, malattie invalidanti o mortali, perdite del lavoro e della sicurezza economica, perdita della patria e del proprio spazio di vita a causa di guerre assurde, dove giochi politici ed economici si travestono da esigenze religiose. Come si può non pregare per tutto ciò? Ma il mio desiderio oggi è che la misericordia di Dio inondi il mondo degli adulti. Siamo noi, gli adulti, che dobbiamo offrire ai giovani un esempio, un modello di dedizione e saggezza. Siamo noi che dobbiamo mostrare come una vita buona e generosa sia anche una vita gioiosa. Come potrebbero i giovani investire le loro energie in relazioni a lungo termi- ne come il matrimonio e la famiglia, in progetti e valori alternativi a quelli del guadagno ad ogni costo, se noi, gli adulti, non ci mostriamo contenti di queste scelte? Come potranno far dono di sé e del loro tempo se noi li educhiamo a competere, a cercare il successo sempre e comunque e a monetizzare tutte le loro esperienze? Se il passare degli anni facesse crescere in noi la paura, anziché la saggezza e la generosità, cosa potremmo offrire di valido alle nuove generazioni ? E mi immagino Gesù che cena con noi adulti malati di soldi e di paura che nella gioia ci dice di fidarsi di Lui e di essere testimoni di gratuità e di speranza . Fabrizio (da una riflessione di don Giorgio Ronzoni) Misericordia per noi adulti Chiara n. 46, Aprile 2016 laSoglia 17 2. Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato. Francesco, Misericordiae vultus papa 18 laSoglia n. 46, Aprile 2016 Gesù chiama i peccatori Matteo esattore U n uomo probabilmente ricco, sicuramente detestato. Egli infatti raccoglieva i soldi da consegnare all'occupante romano. L'esattore, mai particolarmente amato, in questo caso è un detestabile collaborazionista. Bastano però poche parole, una sola in verità, "Seguimi" perché tutto questo cessi nella vita di Matteo. Con la parola "Seguimi", pronunciata da Gesù con autorità divina, Matteo riceve la forza per trasformare la pro- pria vita, abbandonare le vecchie abitudini e abbracciare la nuova vita in Cristo. La conversione del cuore è un'opportunità speciale che Dio, in qualche momento della vita, concede a ciascuno di noi; dipende da noi accogliere o meno questa opportunità. Alla prima chiamata, che genera conversione, segue la quotidiana lotta contro le abitudini e le passioni che incatenano l'uomo vecchio e appesantiscono il suo cuore. Chi si sente peccatore è pronto ad accogliere la chiamata di Cristo che, trovando terreno fertile, produce frutti di conversione. A colui che si crede nel giusto non è facile aprire il cuore al perdono di Dio. Che cosa sa l'uomo che pensa di bastare a se stesso, della Misericordia di Dio? Dopo la prima chiamata è necessario abbandonare le abitudini dell'uomo vecchio. Dio è consapevole di quanto sia difficile per la natura umana passare per la porta stretta del pentimento. Sant'Ambrogio scriveva: "anch'io, come Levi, ero piagato dalle vostre stesse passioni. Ho trovato un Medico, il quale abita in cielo e diffonde sulla terra la sua medicina (...). Lui solo può cancellare il Chi si sente peccatore è pronto ad accogliere la chiamata di Cristo che, trovando terreno fertile, produce frutti di conversione. A colui che si crede nel giusto non è facile aprire il cuore al perdono di Dio. dolore del cuore, il pallore dell'anima, perché conosce i mali nascosti" (Ambrogio, Commento al Vangelo di Luca ). Passare attraverso la misericordia di Dio ci permette di entrare nel suo regno come fece il peccatore sulla croce che, grazie a Gesù, entrò direttamente in paradiso. La misericordia del Padre è un canale preferenziale rivolto a chi ha il cuore umile e pentito. "Non disperate del perdono per la grandezza delle malvagità, poiché una grande misericordia cancella grandi peccati". Così rifletteva San Girolamo nel suo commento al profeta Gioele. Il premio è grande e merita il nostro sacrificio, un sacrificio di decisione. È necessario, infatti, perseguire con risolutezza la strada che Dio ci ha spalancato con la sua misericordia. Sempre San Girolamo, uomo dal carattere focoso e risoluto nel diffondere la parola di Dio e contrastare i pagani, ci esorta così: "Perciò convertitevi a me con tutto il vostro cuore e palesate la penitenza del cuore nel digiuno, nel gemito e nelle lacrime, affinché, digiunando ora, possiate essere saziati dopo, gemendo ora, ridere dopo, piangendo ora, siate consolati dopo... (San Girolamo, Commento al profeta Gioele). Per tutti noi che perseguiamo la conversione del cuore ci sorregga la certezza che Dio ci ama. Luca Pagnin n. 46, Aprile 2016 laSoglia 19 MISERICORDIA IO VOGLIO M entre Gesù era seduto a mensa, alcuni pubblicani e peccatori s’erano messi a tavola con lui. Accortisi di questo, i farisei dissero ai suoi discepoli: «Perché il vostro Maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù, sentite queste parole, rispose: «Andate ad imparare che cosa vuol dire: misericordia io voglio e non sacrificio». Gesù cita qui una frase del profeta Osea e questo fatto dimostra che a Gesù piace il concetto lì contenuto: l’amore ha il primato su qualsiasi altro comandamento, su qualsiasi altra regola o precetto. Si tratta della norma secondo la quale Gesù stesso si comporta. È questa la novità del cristianesimo. Dio tramite suo Figlio Gesù indica ad ogni uomo di rivolgere, nei con- fronti degli altri uomini, prima di tutto l’amore. L’amore dovrebbe essere per ogni cristiano la legge fondamentale del suo agire e dovrebbe prendere il sopravvento sulle altre leggi. Il cristiano dovrebbe vivere così, anzitutto perché Dio è così: Dio è prima di tutto misericordioso, il Padre che ama tutti, che fa sorgere il sole e fa piovere sopra i buoni e i cattivi. Gesù, per rivelarci chi è Dio, sta proprio con i pubblicani e i peccatori, poiché Egli dice «non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati». E chi tra gli uomini può definirsi sano, giusto, senza peccato? Dio quindi sta vicino a tutti, la misericordia esprime la vicinanza di Dio verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e credere. E se Dio è così, se Gesù è tale, anche noi cristiani dobbiamo nutrire identici sentimenti. Se non si ha misericordia, amore per il fratello, a Gesù non piace il culto esercitato. Non gli interessa che venga espressa una preghiera, che si partecipi alla messa, che si facciano offerte, se tutto ciò non fiorisce da un cuore in pace con tutti, ricco di amore verso tutti. Se tu volessi fare un dono a tuo padre mentre sei in collera con tuo fratello (o tuo fratello con te) che ti direbbe tuo padre? Prima è necessario mettersi in pace e poi è possibile offrire qualcosa a Dio. L’amore, quindi, è la base del vivere cristiano ed è anche la via più diretta, per stare in comunione con Dio. Non bisogna porre discriminazioni fra gli uomini, non bisogna emarginare nessuno, ma con tutti si può essere misericordiosi allo stesso modo, imitando Dio Padre. È bene aggiustare piccoli o grandi screzi che dispiacciono a Dio e che amareggiano la vita. Se ci si comporterà così, tutto ciò che ognuno di noi farà (sia che si lavori o si riposi, sia che si giochi, o si studi, sia che si stia con i figli, o che si preghi, o ci si sacrifichi, o si partecipi alla vita della comunità, ...) sarà gradito a Dio. Federica Se non si vuole incorrere nel giudizio di Dio, nessuno può diventare giudice del proprio fratello. Gli uomini, infatti, con il loro giudizio si fermano alla superficie, mentre il Padre guarda nell’intimo. Quanto male fanno le parole quando sono mosse da sentimenti di gelosia e invidia! Parlare male del fratello in sua assenza equivale a porlo in cattiva luce, a compromettere la sua reputazione e lasciarlo in balia della chiacchiera. Non giudicare e non condannare significa, in positivo, saper cogliere ciò che di buono c’è in ogni persona e non permettere che abbia a soffrire per il nostro giudizio parziale e la nostra presunzione di sapere tutto. Ma questo non è ancora sufficiente per esprimere la misericordia. Gesù chiede anche di perdonare e di donare. Essere strumenti del perdono, perché noi per primi lo abbiamo ottenuto da Dio. Essere generosi nei confronti di tutti, sapendo che anche Dio elargisce la sua benevolenza su di noi con grande magnanimità. papa Francesco, Misericordiae vultus Un cuore in pace con tutti 20 laSoglia n. 46, Aprile 2016 n. 46, Aprile 2016 laSoglia 21 CHIAMATA DI DIO RISPOSTA DELL'UOMO I l nostro è un Dio ineffabile. Vorrei tanto che parlasse, vorrei tanto che di fronte alle piccole e grandi scelte della vita venisse accanto a me, mi prendesse la mano e semplicemente mi dicesse: “Quella è la cosa giusta da fare”. Non so se faccio testo, io sono anche una che va a leggersi i finali dei libri prima di leggere l’inizio e la trama completa dei film prima di andarli a vedere: vorrei con tutto il cuore poter sapere che cosa mi aspetta, perché dentro di me ho questo assurdo bisogno di organizzami. Come se bastasse organizzarsi bene per affrontare la vita… Ma credo che tutti, nel profondo del nostro cuore, vorremmo parlare davvero con Dio. Sentire la sua voce, invitarlo a pranzo, a fare una gita in montagna. A volte, fatico a sentirlo. Fatico a rendermi conto che c’è, che è accanto a me, nella discrezione silenziosa ed umile che lo contraddistingue. Qualche settimana fa, mi è stato chiesto di chiudere gli occhi e di immaginare di trovarmi nel posto più bello che potessi sognare. E proprio lì, Gesù mi sarebbe venuto incontro. Sempre immaginando, mi sono chiesta che cosa gli avrei detto se veramente fosse arrivato. Avrei fatto un gran preambolo, credo. Niente dubbi teologici, forse gli avrei chiesto com’era il Paradiso, dove stavano i miei amati nonni, se poteva portare loro la mia carezza. Poi avrei iniziato un’arringa sulla pastorale giovanile, su alcuni interventi che ritengo necessari, programmato qualche azione dello Spirito Santo e poi credo ci saremmo rivolti a discutere dei grandi problemi umanitari: trovare una soluzione alla fame che ancora affligge troppi uomini, mettere pace nel cuore dei Ineffabile Dio 22 laSoglia n. 46, Aprile 2016 paesi e dei popoli in guerra, accogliere e sostenere coloro che partono dalla propria casa per cercare salvezza, le ragioni della speranza nella malattia. Mi sono addirittura fatta un elenco, per essere preparata, per non sprecare neppure un secondo del tempo che avevo a disposizione faccia a faccia con Gesù. Ascolta... la senti? La musica! Io la sento dappertutto: nel vento, nell'aria, nella luce... è intorno a noi, non bisogna fare altro che aprire l'anima, non bisogna fare altro che ascoltare! Evan Taylor "August Rush" Come se Lui non sapesse già tutto quello che c’era scritto. Come se Lui non sapesse tutto quello che abita il mio cuore. Come se Lui non fosse a conoscenza di ogni cuore che smette di battere, di ogni speranza svanita, di ogni vita che nasce nel Sud Sudan o nel deserto insanguinato della Libia. Allora ho piegato la mia lista (che non avevo immaginato, avevo fatto per davvero) e ho immaginato di nuovo la stessa scena. Ero nel posto più bello che potessi sognare, Gesù mi camminava incontro con calma ed un sorriso sul volto che raccontava tutta la tenerezza di una madre che guarda il suo piccolo per la prima volta. E io lo abbracciavo. Non serviva altro, perché Lui sapeva già tutto. Sapeva anche della mia fame di conoscenza, della mia curiosità, sapeva tutto. Sa tutto. Ascolta... lo senti? Gesù! Io la sento dappertutto: nel vento, nell'aria, nella luce... è intorno a noi, non bisogna fare altro che aprire l'anima, non bisogna fare altro che ascoltare! Parole sante, queste. Davvero sante, sacre, preziose. Gesù sa tutto ciò che abita il nostro cuore. Conosce la nostra agenda, il nostro numero di scarpe, il modello delle scarpe che vorremmo ma che non possiamo permetterci. Sa che vorremmo anche noi sapere di più. Per organizzarci, per capire cosa fare del domani, per capire chi salutare, che strada prendere, se pioverà, cosa portare con noi. Ma sarebbe troppo facile. E non ci darebbe la possibilità di assaporare di ogni piccola cosa speciale che improvvisamente riempie di bellezza la nostra vita. La sanno lunga, il Padre e pure il Figlio. Basta ascoltare. Basta aprire il cuore, l’anima, e lasciarsi condurre. Ammetto che mi piacerebbe mi indicassero la strada giusta… Ma quanto è bello fare una scelta di cui siamo pienamente certi, in cui crediamo. Noi scegliamo cosa credere ogni giorno, scegliamo di riporre la nostra fiducia in un Dio ineffabile… Ma che ci avvolge in un abbraccio di colori, di luci, di profumi. Sì, così c’è la concreta possibilità che il rumore del mondo, il fracasso del traffico e la musica troppo alta ci impediscano di cogliere la sua presenza. C’è anche la possibilità che, non udendolo, ce ne scordiamo. Sbagliamo. Sbagliamo ancora. Ma Gesù è venuto incontro a noi nella nostra umana fragilità. Nei nostri peccati. Nel nostro desiderio di condividere umanamente con lui i nostri problemi, le nostre preoccupazioni. È venuto ad incontrare i peccatori. È venuto ad incontrare noi tutti, che non conosciamo il finale. Ma che vogliamo amare il presente Costanza n. 46, Aprile 2016 laSoglia 23 GIUSTIZIA E MISERICORDIA M i sono sempre chiesto cosa contenessero i due piattelli della bilancia perfettamente orizzontali, a simboleggiare la giustizia. Su un piattello si troverà certamente la colpa dell’imputato e sull’altro? Non saprei proprio. Forse il diritto o la legge o un castigo che dovrebbe equiparare il delitto. Ma una colpa è determinata da molti parametri non quantificabili: l’intenzione, la conoscenza a mente fredda, la volontà, le circostanze aggravanti o attenuanti, la disattenzione, un’improvvisa emozione… tutti fattori che non possono essere calcolati con numeri (ad esempio di anni di detenzione). Eppure i magistrati con tanto di tocco e toga, citando incomprensibili numeri di articoli dei codici, emettono sentenze di condanna nel nome di un popolo che, anche senza aver studiato codici e pandette, si sente spesso contrario a certe sentenze proclamate con tanta sicumera. Quante volte abbiamo sentito dire: se a subire quell’incidente o quello stupro fosse stato non un pinco pallino qualsiasi, ma la figlia del giudice, questi che sentenza avrebbe emesso? Non so se nei nostri tribunali sia ancora richiesto il 24 laSoglia n. 46, Aprile 2016 giuramento in nome di Dio o sulla Bibbia; ma se uno non crede neppure al pan bianco, su che cosa dovrebbe giurare? E la sua testimonianza è valida come quella di chi ha giurato? Ecco allora il solito pastrocchio del quale siamo testimoni nei vari c o m portamen- Consideriamo anche il disprezzato pubblicano che se ne stava pettoruto davanti all’altare: era una persona onesta, compiva tutti i doveri del buon cittadino e adempiva a tutte le leggi, anche quella di pagare la decima parte Se fosse stata la figlia del giudice? ti umani: per non discriminare quel due per cento diverso dalla massa, (nel comportamento sessuale, nell’appartenenza a una certa religione, nelle le adozioni ecc...), i nostri equanimi (?) legislatori del parlamento ti forgiano una legge che discriminerà gli altri 98 per cento. Così tutti saranno garantiti da una legge e la giustizia finalmente trionferà. della mentuccia che cresceva spontanea vicino al muro di casa e del cimino, la pianticella aromatica (angelica archangelica delle ombrellifere); insomma, non era un evasore fiscale (che oggigiorno non è poco!). Peccava di presunzione, ma tra i dieci comandamenti, quello di non essere presuntuosi non c’è. Eppure Gesù, così sempre misericordioso con ladri e prostitute, lo condannò senza appello. Ma allora, dove sta la giustizia? Cerchiamo di rispondere a queste domande. Nell’immaginario collettivo la giustizia è collegata alla legge, per cui chiamiamo giustizia l’applicazione della legge. Niente di più falso: questo collegamento è errato anche per la legge dettata da Dio, che spesso cade nel legalismo, mistificando il senso originario e oscurando il valore profondo che la giustizia possiede. (Misericordiae vultus, n. 20); figuriamoci per le leggi fatte dai parlamenti umani! “Davanti alla visione di una giustizia come mera osservanza della legge, che giudica dividendo le persone in giusti e peccatori, Gesù punta a mostrare il grande dono della misericordia che ricerca i peccatori per offrire loro il perdono e la salvezza”(ibid. n. 21). “Siate figli del Padre vostro che è nei cieli, il quale fa sorgere il suo sole sui cattivi come sui buoni e fa piovere sui giusti come sugli empi”(Mt 5:45). In questo versetto troviamo la giustizia collegata all’amore misericordiso, cosa possible a Dio, ma non sempre a noi uomini che riusciamo scavalcare la divina misericordia con i nostri trucchi. Dice infatti Woody Allen (che non è certo un padre della Chiesa) che anche se il Buon Dio fa piovere equamente sui giusti e sugli ingiusti, gli ingiusti riman- gono sempre all’asciutto e i giusti sempre nel bagnato, perché gli ingiusti rubano l’ombrello ai giusti. Ma allora come rispondere alle plurime domande formulate in questo articoletto e come faremo noi piccoli uomini a praticare una vera giustizia? La risposta c’è ed è unica: la misericordia. Ma se un magistrato usasse la mis e r i c o rd i a , anziché applicare la pena prevista dal codice, le vittime sarebbero doppiamente beffate. La misericordia non elimina la giusta pena: essa dovrebbe essere nel cuore del giudice ed esprimersi nell’applicazione della pena, come inevitabile rimedio al grave disordine causato dalla colpa. Riconosco che è più facile a dirsi che a mettere in pratica! Ma quale prescrizione del Vangelo è facile? Ricordo ancora con commozione un sacerdote vecchio e malato su di un let- to di ospedale. Mi volevo confessare da lui ed egli, durante la confessione, citò un detto di Sant’Ambrogio: “Ov’è la misericordia c’è Dio; dove non c’è la misericordia non c’è Dio, ma un suo rappresentante”. Mi confidò tra le lacrime e con mio grande imbarazzo, di aver negato l’assoluzione a una persona sposata che aveva l’amante e non era disposta a lasciarlo. Mi disse che le diede una semplice benedizione, promettendo di pregare e fare penitenza al suo posto. Io lo consolai dicendogli che anche questa era misericordia. Comunque noi abbiamo un modello: “la misericordia viene rivelata come dimensione fondamentale della missione di Gesù. Essa è una vera sfida dinanzi ai suoi interlocutori che si fermavano al rispetto formale della legge. Gesù, invece, va oltre la legge; la sua condivisione con quelli che la legge considerava peccatori, fa comprendere fin dove arriva la sua misericordia” (ibid. n. 20). Ecco allora trovato il contenuto del secondo piattello della bilancia: è la misericordia; e se è Dio a mettercela sul piattello, si assiste ad un subito cadere di questo e all’improvviso sollevarsi dell’altro, perché il grave peso delle colpe si trasforma, come per incanto, in vapore che svanisce. Dice il Signore: “Ho disperso come una nube le tue trasgressioni, i tuoi peccati come una nuvola” (Is 44:22). Franco Ometto n. 46, Aprile 2016 laSoglia 25 Testimonianza di Enrico Milan detenuto in carcere Due Palazzi, attualmente ospite presso la canonica di Campodarsego. C i sono alcune ingiustizie che difficilmente si trovano scritte nei libri o vengono raccontate. In più di 30 anni di carcere ne ho viste di tutti i colori, non è un vanto, tutt’altro, ma questo mi permette di dire qualcosa su questo tema. Il mio percorso di cristiano è stato tutt’altro che coerente, ma qualche valore in fondo l’ho sempre portato con me, anche se sono consapevole di avere fatto del male. Ho sbagliato, ed è giusto che paghi, ma in questo pagare mi sono scontrato anche con qualcosa che secondo me non è giusto, poi giudicate voi. Venendo ai fatti, la mia prima carcerazione è del 1978 (ero ancora minorenne) ed ho conosciuto molte persone e storie in questi anni. Ci sono storie che mi sono rimaste più in mente di altre, per esempio: che senso ha incarcerare una persona dopo 1015 anche 20 anni dal reato commesso? La legge italiana in materia penale è basata sul Codice Rocco del 1934, con il sistema di ulteriori pene rieducative in case di lavoro 26 laSoglia n. 46, Aprile 2016 nostre carceri. Il Codice prevede 3 gradi di Giudizio: I°, II° appello, III° Cassazione. Per avere una pena definitiva della Cassazione ci vogliono dai 12 ai 20 anni. Bene, prendete un ragazzo che ha fatto un reato a 20 anni, viene arrestato, fa un mese di carcere o qualcosa di più, poi viene messo a piede libero perché incensurato e non definitivo. È possibile che trovi un avvocato che vuole tirare per le lunghe il processo (volete mettere la Giustizia umana e giustizia divina A sinistra l'autore di questa testimonianza; celle di detenzione e sopra detenuti impegnati a produrre dolci. o in colonie agricole dopo aver scontato la pena (questo riguarda i recidivi, ma è un caso unico in Europa). Il nostro codice penale è inadeguato, antico, e così l’Italia è tuttora condannata dalla corte europea dei diritti per “Tortura”. Per gli altri stati europei sono inaccettabili le parcella per un grado di giudizio in confronto a una per tutti e tre i gradi?), che magari aggiunge inutili perizie che comportano altre attese. Intanto la vita del giovane va avanti, può sposarsi e magari avere figli, trova un lavoro, fa un mutuo per la casa, ha una vita normale. Il suo errore di gioventù diventa acqua passata, ha capito e compreso quello che ha fatto e gli è stato di monito. Il tempo passa e ci si dimentica, oppure si fa finta di dimenticare, ma la giustizia fa il suo lento inesorabile corso. Dopo 14 anni la sentenza diventa definitiva. A 34 anni si trova in prigione a scontare i suoi tre anni di pena. Il mondo gli crolla addosso. Chi penserà ai suoi cari?! Chi pagherà il mutuo?! C’è una sola risposta: “nessuno”. E questa è realtà, succede spesse volte, per pene che variano dai 3 ai 5-6 anni. Certo, è giusto che una persona che ha sbagliato paghi, ma metterla a piede libero e arrestarla dopo 10-1520 anni è barbarie. C’è poi il problema riguardo la vita in carcere: come si può pretendere di rieducare una persona lasciandola all’abbandono, nell’ozio totale? Le persone che lavorano in carcere sono pochissime, è una guerra tra poveri per pochi posti di lavoro. Questa quotidianità ti lascia un segno indelebile nella vita. Perché tutto questo? Quante domande senza risposta… Anni fa, nel 1981, è ve- nuto il Ministro di Grazia e Giustizia a Venezia, presso il carcere dicendo: “Chiuderemo il carcere di Venezia perché è indegno di uno Stato, i giovani adulti saranno messi in strutture a parte per dar loro una possibilità in più di rieducarli nella legalità... ecc. ecc.”. Tanta acqua è passata sotto i ponti da quell’anno, ma nulla è stato fatto, il carcere è ancora lì. Vorrei anche sfatare un luogo comune. A volte qualcuno dice: “Chi va in galera sta bene, mangia e beve, ha tutto pagato…”. Ebbene non si sa la cruda verità. Una normativa europea dice che servizi igienici, doccia con acqua calda, devono essere n. 46, Aprile 2016 laSoglia 27 ubicati nella cella, che deve essere presente un piccolo frigorifero in ogni cella. Nella maggior parte delle carceri tutto questo è un sogno, se vuoi un piccolo frigo lo paghi (198 €), è in comodato d’uso e al tuo trasferimento diventa proprietà dell’amministrazione, lo stesso per avere una spina di corrente in cella (costa 248€ l’installazione) che poi ha la stessa clausola di comodato del frigo. Lo stesso vale per il decoder e se vuoi pitturare la cella ti paghi il colore, il pennello e te la pitturi da solo. L’acqua calda in cella non esiste, e la doccia non c’è. C’è uno stanzone con 8 box doccia, e trovarla calda è un miracolo. La caldaia del carcere di Padova è progettata per 350 detenuti e siamo arrivati anche ad essere 900, come può soddisfare il fabbisogno? Anche il cibo è molto carente, e si mangia con orari strani, alle 11 è il pranzo e alle 15.50 la cena, oppure salti da quella finestra. Se hai qualche soldo puoi comprarti qualcosa da mangiare extra e prepararlo in cella con piccoli fornelletti, altrimenti devi accontentarti di quello che passa l’amministrazione, e allora è dura. D’inverno per vivere in cella bisogna mettersi cappotto, cappello e guanti e al mattino il materasso è tutto bagnato per l’umidità. D’estate invece si muore dal caldo, e questo per la maggior parte delle carceri italiane. Ora scusatemi, ma devo farvi una domanda che è una 28 laSoglia n. 46, Aprile 2016 provocazione: secondo voi nel carcere ci sono gli stessi diritti di ogni cittadino? Voglio raccontarvi un fatto che sto vivendo. Fra pochi giorni avrò 55 anni, sono in carcere dal 2005 con una pena di altri 10 anni da scontare; attualmente sono agli arresti domiciliari in quanto il 31 luglio 2015 mi hanno trovato un tumore con due classificazioni e con altre problematiche, la diagnosi è stata severa: pochi mesi di vita. Il 27 agosto mi hanno dunque messo fuori, ai domiciliari, quasi per farmi morire fuori dal carcere e per ricevere le cure necessarie. Se vivrò, il 30 novembre dovrò tornare in carcere a scontare la mia pena, ed è quello che desidero più di tutto: vivere. Questa più che vita è una lotta giornaliera, vedersi ogni giorno combattere con la malattia, sentire il proprio corpo che non ti dà più quella forza che aveva prima e la notte è anche più difficile. Ho già fatto mesi di chemio e radioterapia, adesso, dopo una operazione di 9 ore, mi hanno tagliato via alcune parti del mio corpo che non saranno più ristabilite. Ho altri problemi ma sono in piedi, avrò un ciclo di 6 mesi di chemio (per il momento, poi si valuterà). Dico sinceramente che questa è una pena, il carcere è un paradiso in confronto. Ebbene, io dopo aver girato alcuni carceri sono arrivato nel 2007 al carcere Due Palazzi di Padova, lì ho la residenza: come mai non mi è mai stato fatto uno screening per il tumore (quello del sangue occulto sulle feci)? E io i 50 anni li ho compiuti nel 2011. Ma dal 27 agosto ho il domicilio presso la parrocchia Don Marco Pozza giovane cappellano del carcere di massima sicurezza "Due Palazzi" di Padova. Ogni giorno supera diciassette cancelli prima di stringere una mano. Il carcere è il suo punto di osservazione sul mondo. A destra il vescovo Claudio all'apertura della porta santa presso lo stesso carcere. di Campodarsego, e da quel giorno mi sono già arrivate due lettere a distanza di un paio di mesi l’una dall’altra per fare tale visita… perché fuori sì e in carcere no? Voglio chiudere dicendo che nella vita ho fatto del male e ne sono conscio. Sono entrato che ero un uomo (nel 2005) ma in questi anni ho intrapreso un cammino di conversione, chiedo perdono del mio passato (ma il mio passato è anche un po’ il mio presente, in quanto è giusto che paghi il mio debito verso la società), ho gettato nel cesso (scusate il francesismo) parte della mia vita, ho scoperto troppo tardi i veri valori: la famiglia è il vero valore. Adesso è inutile pensare con i “se” e i “ma”, conta il presente, e il presente è che sono stato accolto da una comunità che mi ha aperto le porte, a me che sono un “lupo di galera”, non avrei mai pensato di ricevere tanto amore da persone sconosciute. Anzi, avrebbero il diritto di trattarmi diversamente, e non sono messo ai margini, anzi, sono al centro. Ringrazio tutta la comunità per quello che stanno facendo verso di me e anche don Marco e tutta l’équipe della parrocchia del carcere che ha permesso di creare questo legame. Come finirà la mia odissea? Non lo so, ma con il cuore posso dire alla comu- nità di Campodarsego: Grazie! È inutile fare un elenco, ma voglio comprendere tutti. Vi porterò sempre nel cuore. Quest’anno è l’anno della misericordia, la porta santa è stata aperta il 12 dicembre, la comunità non ha aspettato, anzi, tramite don Leopoldo, don Nicolò e don Daniele hanno aperto la loro porta il 27 agosto 2015. È questa la data indelebile che porterò con me dovunque io vada. Da quale giustizia dipenderò? Da quella divina o da quella umana? Non lo so , ma… “vivi il presente, il domani non ci appartiene”. Questa parola della Bibbia mi è sempre rimasta impressa e ora ne capisco il significato. Enrico Milan detto “Il lupo” n. 46, Aprile 2016 laSoglia 29 Consiglio Pastorale Parrocchiale 12 Aprile 2016 Argomenti trattati 1. Verifica del tempo della Quaresima e celebrazione della settimana santa Questo importante periodo della vita cristiana ha visto la partecipazione della comunità alle varie iniziative: via crucis al venerdì mattino, centri di ascolto nelle famiglie, copertura della preghiera nelle sue varie proposte, varie celebrazioni liturgiche, celebrazione della prima comunione il giovedì santo, … come elemento di crescita e bella partecipazione. Importante è sempre il lavoro, mai compiuto, di interessare e coinvolgere più persone per pensare assieme quanto si compie, e questo è anche un compito dell’Ambito Liturgico. 2. Sacerdote e comunità Stiamo vivendo un periodo abbastanza lungo di assenza del parroco. Vengono proposte a tutta la comunità alcune iniziative per pensare e pregare nel periodo propizio del mese di maggio: trovarsi nel Centro parrocchiale ogni lunedì sera alle 20,30 per la recita del rosario guidato da Gruppi e Associazioni; mercoledì 11 maggio alla sera vi sarà un incontro sul tema: sacerdote/comunità nel nostro tempo; vi sarà il 21 maggio la festa del Centro parrocchiale in cui ricorrerà questo tema, come domenica 22 maggio è una giornata dedicata a commemorare il parroco don Giovanni Zannini (ha costruito la nostra chiesa) nel centenario della sua morte, anche con un intrattenimento di canti e riflessioni su questo tema alla sera; chiusura del mese di maggio lunedì 30. 30 laSoglia n. 46, Aprile 2016 Tutti siamo invitati a partecipare a queste iniziative, che verranno specificate meglio in varie forme. Hanno come tema questa realtà - sacerdote/ comunità - che è da vivere e costruire assieme. Il sacerdote e la comunità sono la Chiesa nel nostro territorio chiamata a vivere oggi il Vangelo di Gesù per il bene comune. Vengono illustrate le iniziative estive dell’ACR, giovanissimi, giovani (andranno alla Giornata Mondiale della Gioventù a Cracovia), Scout e Grest (al termine del periodo estivo)… questo non può non essere frutto della vita della comunità attenta ai ragazzi e ai giovani. 3. Iniziazione Cristiana: IV tempo Si vuole rendere partecipe tutta la comunità di come si procederà nel trasmettere la fede dopo la celebrazione dei sacramenti. È ancora una proposta diocesana, anche se molto avanzata. Nella nostra comunità, aderendo all’invito della diocesi, da tre anni si sta attuando questa modalità di trasmettere il Vangelo alle giovani generazioni: prima evangelizzazione, primo discepolato, ultima quaresima e celebrazione dei sacramenti nella veglia pasquale, IV tempo (in attesa di un nome appropriato). Questo ultimo periodo di due anni successivo alla celebrazione dei sacramenti ha la caratteristica di aiutare ad entrare sempre più a vivere/ conoscere quanto celebrato nei sacramenti dell’Iniziazione Cristiana con e nella comunità: Battesimo, Cresima ed Eucaristia. Don Leopoldo sottolinea alcune attenzioni: • è in continuità con quanto svolto in precedenza come me- todo. Vuole coinvolgere tutta la persona nel suo ambiente di vita e avere una dimensione globale e non puramente dottrinale; • è un modo che vuol porre attenzione a «creare percorsi possibili e praticabili dai ragazzi che stanno vivendo l’inizio della vita cristiana»; • è un accompagnamento «ad “immergersi” ancora di più nella relazione con Gesù». La presentazione del Vangelo non può non incontrare le domande della vita del ragazzo, il dialogo con Lui, il suo corpo, i sensi, il pensiero e valorizzare, del linguaggio della liturgia, tutto ciò che li mette in relazione con la realtà circostante; • viene incentrato sui sacramenti dell’Eucaristia e Penitenza che accompagnano e alimentano tutta la vita di ogni credente nelle sue relazioni; • attenzione deve essere posta sugli educatori, preferibilmente giovani in questo periodo, che fanno un lavoro di squadra assieme ai catechisti/animatori e altre figure educative. È un compito affidato a tutta la comunità che, un po’ alla volta si trasforma in “comunità educante”. Quindi particolare cura deve essere posta nella formazione a tutti e in particolar modo per i giovani per accordarsi con la pastorale giovanile; • particolare attenzione verrà posta ad attuare forme di unione con la diocesi ed il vescovo. NIDO INTEGRATO "Don Giuseppe Lago" Accreditato a pieni voti I l 4 marzo 2016 presso il nido integrato della nostra parrocchia, si è svolto un importante sopralluogo da parte del Gruppo Tecnico Multiprofessionale dell'Azienda ULSS 15 "Alta Padovana", incaricato per l'accertamento del possesso dei requisiti minimi, generali e specifici delle strutture socio-sanitarie e sociali. La visita ha riportato il seguente risultato: punteggio 100%, esito POSITIVO. È stata pertanto accertata la presenza dei requisiti previsti dalla normativa regionale e che il punteggio previsto dalla struttura, calcolato secondo le modalità stabilite nella D.G.R. n. 84/2007, di at- tuazione della L.R. 22/2002, è superiore alla soglia minima. Un ottimo risultato per l'équipe educativa, che lavora con professionalità e passione. Un altro importate obiettivo raggiunto, che stimola il personale a migliorare sempre il servizio offerto, garanzia per chi accede al nostro nido integrato, di impegno, serietà e competenza, volti a condividere con i genitori, la missione educativa. L'unione fa la forza, l'ascolto, l'umiltà, la grinta e il rispetto, contraddistinguono questo gruppo di lavoro, che fa della collaborazione una strategia vincente. 4. Varie ed eventuali Gita/pellegrinaggio il 3-4 maggio a Roma, il come verrà specificato meglio da foglietto. Settimana comunitaria, in canonica, degli animatori dal 25 aprile. Il 4 giugno serata di presentazione di un libro su Giulia. Colletta Caritas il 22 maggio. Preghiera finale. n. 46, Aprile 2016 laSoglia 31 GRUPPO CARITAS È all’aperto sulla destra del fabbricato e guarda la strada ma anche chi entra in patronato. C’è una quercia, una panchina, un leggìo e un vialetto fatto a tau. Lì non si vende e non si compra niente. Lì si va per riposare l’anima. È il posto di Giulia... preparato con tanto amore dalle sue famiglie: quella vera e quella altrettanto vera degli scout e donato a tutta la comunità. Ti puoi sedere sulla panca e leggere un libro che ti piace e che ti fa crescere. Puoi leggerti un brano del vangelo e lasciare che la parola faccia nuova la tua vita. Puoi ascoltare un po’ di musica per far ballare la tua voglia di bene e di Pace. Puoi regalarti qualche minuto di riposo per trovare in te la gioia del perdono. Ti può anche capitare di sentirti vuoto e senza speranza... vai lì da Giulia... pensa al suo sorriso, alla sua generosità e alla sua umile grandezza e tutto ritornerà possibile: nuove strade si apriranno e nuove sorgenti sgorgheranno nei tuoi deserti. C’è un posto in patronato dove puoi fare pace con te stesso e ritornare in armonia con il tuo mondo. Ricordalo!... fabrizio 32 laSoglia n. 46, Aprile 2016 I “esercizio Non c'è migliore per il cuore che stendere la mano ad aiutare gli altri ad alzarsi n più occasioni il Gruppo Caritas ha cercato di rendervi partecipi del ruolo dei Centri di Ascolto evidenziando il valore fondamentale dell'ascolto nel momento in cui una persona viene a chiedere aiuto. Pensiamo però che le parole usate nei volantini, non possano mettere a fuoco concretamente come si opera per giungere alla soluzione di problematiche che non sono solo la “borsa spesa”, anche se è indubbio il suo valore. Vorremmo allora spendere due parole per dare qualche altra informazione. Dopo l'ascolto delle persone che permette di mettersi in relazione costruttiva, comincia la fase delicata dell'accompagnamento verso una possibile soluzione delle problematiche emerse. In questa fase gli operatori dei CDA interpellano altri soggetti del territorio (assistenti sociali, parroci, altre realtà significative del territorio) per avere un quadro, il più completo possibile, della situazione che si sta esaminando. In data 18 febbraio scorso, in una riunione con i volontari Caritas, l'assistente sociale, il sindaco (responsabile dell’assistenza per il “ C’è un posto in centro parrocchiale... che mi affascina e mi attira comune) e don Leo, sono state valutate, a grandi linee e nel rispetto della privacy, le situazioni di disagio per concordare sinergie negli interventi. Sinergie che si chiamano anche contributi per sostenere economicamente iniziative progettuali. ATTUALMENTE: - è iniziato a febbraio un progetto dal titolo “alfabetizzando”, rivolto agli alunni delle scuole primarie e secondarie del territorio che presentano difficoltà nello studio, nello svolgimento dei compiti e nella comprensione linguistica orale e scritta. Il progetto si propone di favorire le famiglie che non hanno i mezzi economici per accedere a servizi a pagamento già presenti sul territorio. Le lezioni iniziate il 16 febbraio scorso proseguiranno fino al 9 giugno; - il 29 gennaio scorso è ini- ziato un corso di alfabetizzazione e orientamento ai servizi per le donne straniere, promosso dalle amministrazioni comunali di Borgoricco, S. Giustina in Colle, S. Giorgio delle Pertiche e Camposampiero della durata di otto lezioni (co-finanziato dalla Regione Veneto/spazio pari opportunità “Qui Donna”); sono state accompagnate e hanno partecipato con ottimi risultati alcune donne residenti nel nostro comune; - il sostegno a famiglie in grave difficoltà economica avviene costantemente attraverso il pagamento delle utenze domestiche, acquisto ausili sanitari, medicinali, legna, bombole gas ecc…; - il supporto a mamme sole con bimbi piccoli si effettua con l’acquisto di latte e pannolini, vestiario e alimenti per la prima infanzia. In questi ultimi due anni (dall’apertura del CDAV) sono state date in media n. 10 “borse spesa” al mese. Cogliamo l'occasione per ringraziare tutti i cittadini delle parrocchie di S. Giustina in Colle e Fratte, della generosità dimostrata nelle raccolte alimentari. Un ringraziamento particolare va anche alle diverse Associazioni e Gruppi operanti in paese e in Parrocchia, solo per menzionarne alcuni (CIF, Mercato Equo, ProLoco, Auser, Anteas e... per la sensibilità dimostrata nei confronti dell'attività Caritas. Fernanda e Pierpaola Gruppo Caritas n. 46, Aprile 2016 laSoglia 33 DAL LIBRO DEI RE U ltimo a regnare sull'intero Israele, Salomone fu certamente il più potente ed illustre di tutti i monarchi di quella nazione. Anche se la sua potenza e splendore erano in parte frutto del sagace ed energico governo di suo padre David, Salomone, per conto suo, accumulò ogni sorta di ricchezze anche con metodi di governo autoritari e oppressivi. Nel Nuovo Testamento, Salomone è ricordato come simbolo di sfarzo (Mt 4,29) e di sapienza (Mt 12,42). Divergenti sono i giudizi dei Padri della Chiesa su di lui: mentre S. Agostino e generalmente i Padri latini gli sono sfavorevoli e mettono in dubbio ch'egli si sia salvato (a motivo della sua idolatria finale), S. Giovanni Crisostomo e il più dei Padri greci gli sono favorevoli. Con questi ultimi si schiera Dante (Paradiso X,109-116) che mette Salomone nel Sole insieme con i dottori e lo fa presentare da S. Tommaso; ma allude pure all'incertezza che si aveva sulla terra riguardo alla sua salvezza, quando ricorda che "tutto il mondo - laggiù ne gola di saper novella". È talmente incredibile la descrizione che il libro dei Re fa di questo personag- gio, che viene spontaneo dubitare che sia realmente esistito. Il cronista bibblico, quasi a mettere le mani avanti, racconta e fa capire che la grande sapienza di questo uomo non era tutta farina del suo sacco, ma un dono esclusivo di Dio, che in sogno gli promise la sapienza, l'intelligenza, e il sapere amministrare la giu- stizia, oltre che onori e ricchezza in cambio della sua fedeltà e dedizione. Nessuno dei protagonisti dell'antichità biblica occupa il posto di Salomone nella tradizione popolare, la quale abbraccia una infinità di racconti e leggende, che sono contenuti in varie fonti storiche, morali, poetiche, e che sorprendente- La proverbiale giustizia di re Salomone 34 laSoglia n. 46, Aprile 2016 mente appartengono a popoli diversi (Arabi, Persiani, Turchi, Africani ecc.). Essa narra dell'illimitato potere che Dio avrebbe concesso a quel principe, cui ubbidivano non solo gli animali della terra, del cielo e del mare, ma i geni di ogni natura e categoria e tutte le cose del creato. La tavola, il diadema, il tesoro, il trono risplendente e ornato di leoni e di uccelli magicamente animati, la coppa entro cui si vedevano riflessi come in uno specchio gli avvenimenti, l'anello, e soprattutto il sigillo (la famosa stella a sei punte, chiamata anche stella di Salomone, ma che oggi è meglio conosciuta come stella di Davide, ed è presente nello stemma di Israele) con cui Salomone piegava ai propri voleri ogni forza e disponeva dei venti che lo trasportavano da un capo all'altro dell'universo, sono l'oggetto di speciali racconti meravigliosi, che hanno fatto la fortuna di romanzieri e registi, e fanno del figlio di David un personaggio leggendario. Come accenavo all'inizio, considerando esclusivamente le notizie contenute nella Bibbia, la storia di Salomone e del suo mitico regno si trova nella Bibbia, nel primo libro dei Re, e l'autore gli dedica undici interi capitoli. Salomone fu il terzo Re di Israele ed il suo regno durò dal 970 al 930 a.C., circa, e fu l'ultimo dei Re del regno unificato di Giuda e Israele, dopo di lui i suoi eredi si divisero le terre. Figlio di Davide e Betsabea, la vedova di Uria l'Ittita che Davide ave- va mandato a combattere in prima linea per eliminarlo e così prendersi sua moglie, è ritenuto l’uomo più saggio e più colto del suo tempo. Seppe organizzare in maniera efficiente l’amministrazione del suo regno, curò i commerci e le relazioni diplomatiche in modo da accumulare grande fama e ricchezza. Un esempio della sua saggezza come giudice viene raccontato nel famosissimo episodio del bambino. Un giorno andarono dal re due prostitute e si presentarono innanzi a lui. Una delle due disse: “Ascoltami, signore! Io e questa donna abitiamo nella stessa casa; io ho partorito n. 46, Aprile 2016 laSoglia 35 mentre essa sola era in casa. Tre giorni dopo il mio parto, anche questa donna ha partorito; noi stiamo insieme e non c'è nessun estraneo in casa fuori di noi due. Il figlio di questa donna è morto durante la notte, perché essa gli si era coricata sopra. Essa si è alzata nel cuore della notte, ha preso il mio figlio dal mio fianco, la sua schiava dormiva, e se lo è messo in seno e sul mio seno ha messo il figlio morto. Al mattino mi sono alzata per allattare mio figlio, ma ecco, era morto. L’ho osservato bene; ecco, non era il figlio che avevo partorito io”. L’altra donna disse: “Non è vero! Mio figlio è quello vivo, il tuo è quello morto”. E quella, al contrario, diceva: “Non è vero! Quello morto è tuo figlio, il mio è quello vivo”. Discutevano così alla presenza del re. Egli disse: “Costei dice: Mio figlio è quello vivo, il tuo è quello morto e quella dice: Non è vero! Tuo figlio è quello morto e il mio è quello vivo”. Allora il re ordinò: “Prendetemi una spada!”. Portarono una spada alla presenza del re. Quindi il re aggiunse: “Tagliate in due il figlio vivo e datene una metà all’una e una metà all’altra”. La madre del bimbo vivo si rivolse al re, poiché le sue viscere si erano commosse per il suo figlio, e disse: “Signore, date a lei il bambino vivo; non uccidetelo affatto!”. L’altra disse: “Non sia né mio né tuo; dividetelo in due!”. Presa la parola, il re disse: “Date alla prima il bambino vivo; non uccidetelo. Quella è sua madre”. Tutti gli Israeliti seppero 36 laSoglia n. 46, Aprile 2016 della sentenza pronunziata dal re e concepirono rispetto per il re, perché avevano constatato che la saggezza di Dio era in lui per render giustizia. le due “donne di malaffare” avessero scelto il mestiere liberamente o per necessità. In ogni caso la tragedia della morte di uno dei bimbi le fa cercare il giudizio del re Salomone, noto nella nazione ebraica e presso tutti i popoli come sapiente, giusto e saggio. Re Salomone mostra in questo modo tutta la sua sapienza e capacità di penetrare la verità dell’uomo, fin nel suo più intimo sacrario della coscienza: egli infatti cerca di cogliere le intenzioni del cuore, oltre le parole che escono di bocca, e che possono essere una falsificazione retorica o un inganno. Il suo giudizio, come ci narra la storia, è entrato nelle espressioni correnti La virtù della giustizia Nel Vicino Oriente Antico la prima virtù dei re (la cui origine era data dal costituirsi quali capi di grandi tribù) era la giustizia. Il re (il termine re, rex, deriva dal latino rego, is, reggere: era un reggitore, non un dominus onnipotente e prepotente, anche se spesso lo diventava) amministrava direttamente la giustizia, su sua iniziativa, ma anche quando veniva invocato da qualcuno del popolo. Questo è il caso tramandatoci dallo scrittore biblico del Primo Libro dei Re. Salomone viene interpellato da due donne, che vengono definite prostitute. Al tempo, le donne sposate erano destinate a rimanere vedove molto presto: le guerre, le malattie senza rimedio e la strutturale fragilità degli uomini portava via i loro mariti lasciandole quasi sempre senza mezzi di sostentamento. E allora, se non interveniva un membro maschio della famiglia acquisita, solitamente un cognato, erano destinate alla strada. Non sappiamo Re Salomone dunque se e la regina di Saba. come il “giudizio per antonomasia” (salomonico). L'episodio era notissimo anche in ambienti pagani ai tempi ellenistici, certamerite mediante la diaspora giudaica, e se ne è trovata la raffigurazione in caricatura in un affresco di Pompei. La fama di Salomone raggiunse il massimo quando fece costruire il magnifico Tempio di Gerusalemme destinato a custodire l'Arca dell'Alleanza, simbolo del patto tra Dio e l'Uomo. I lavori durarono sette anni e la costruzione fu considerata una delle sette meraviglie del mondo sia per impianto architettonico che per la ricchezza dei materiali impiegati per decorarlo: legno di cedro, argento, oro e pietre preziose usati in grande quanti- tà. Fino alla distruzione del Tempio da parte dei Babilonesi, quattrocento anni dopo, fu l'orgoglio del popolo d'Israele. Ma la rovina di Salomone furono le donne. In lui, anche a leggere attentamente il testo sacro, non si trova mai un sincero slancio sentimentale. Forse non ha mai amato nessuna delle tante donne che ha avuto a portata di mano. Come tutti i dongiovanni della storia, non è stato capace di amare sul serio. Salomone tende più a vantarsi delle proprie donne che ad amarle. Secondo un calcolo concreto, pare ne abbia avute un migliaio. Se si pensa poi che una decina di loro praticava apertamente l'idolatria, si capisce come Salomone, alla fine, per contentarle, non abbia capito più nulla, e sia diventato un vecchietto spento che brucia incensi agli idoli più grotteschi. La regina di Saba Una sola regina fu all'altezza di Salomone; ma, per quanto si capisce dal racconto della Bibbia, non fu né sposa né amante; anche se in proposito, come vedremo, le leggende si sprecano. Sentendo della fama e della ricchezza del figlio di David, volle andare a trovarlo. Si recò a Gerusalemme anche per conoscerne la saggezza. Arrivò con un gran seguito e con cammelli carichi di spezie. Era la “regina di Saba”, nome diventato favoloso, ma anche rimasto incerto. Il racconto della Bibbia non entra nei particolari: la regina dopo avere appagato la sua curiosità a toccato con mano che la magnificenza e l'intelligenza di Salomone erano autentiche, prese la via del ritorno, e con i suoi servitori si avviò verso la sua terra. Ma chi era realmente la regina di Saba, era solo una figura mitica? Se fosse così, cosa ha alimentato l’incredibile leggenda che la circonda? Gli arabi la conoscevano come la regina Bilquis, gli etiopi la chiamavano Macheda, per gli ebrei e i cristiani è la regina di Saba. La sua storia probabilmente ha origini giudee, ma esiste anche una versione persiana, la troviamo anche nel Corano difatti gli arabi affermano che credesse nella grandezza di Hallah. Ma in nessuna parte del mondo la leggenda della regina di Saba è più viva che in Etiopia. Per questo popolo rappresenta il mito fondamentale della loro civiltà. n. 46, Aprile 2016 laSoglia 37 S alomone fu realmente il frutto di una nuova riappacificazione tra l'uomo e Dio e quindi fu una vera Benedizione di Dio. Dio stesso mandò a Davide un profeta per dare a Salomone il nome di Iedidià, ossia diletto del Signore. Salomone era un re saggio che “camminava con Dio”. Tale era il legame tra il re d’Israele e Dio, che Questi decise di donare al regnante un potentissimo mezzo con il quale mettersi direttamente in contatto con Lui. Il sigillo è quindi come una porta che mette in comunicazione il nostro piano con quello superiore e, se usato nella giusta e opportuna maniera e dalle persone giuste addirittura con l’Altissimo stesso. L’utilizzo dei 3 anelli sta ad indicare la trinarietà dell’oggetto e le parole ivi contenute formano, se lette nella maniera opportuna Della visita a Gerusalemme, avvenuta tra il 1000 ed il 950 a.C., vi è menzione nel Talmud ebraico, nella Bibbia con l’Antico Testamento, nel Corano ed ovviamente nel Kebra Nagast, Gloria dei re che è il libro fondamentale per la storia dell’impero degli altopiani, elaborato in Etiopia nel XIV secolo. La storia dice che la regina di Saba recatasi nuovamente dal potente re Salomone per sottoporgli alcuni enigmi per sondare le capacità tanto decantate del sovrano, ne rimase affascinata. Secondo la leggenda dall’unione del re Salomone con la regina, fu concepito Menelik, il cui significato intrinseco è “Figlio dell’uomo saggio” che portava nel sangue le tracce di una ascendenza divina e 38 laSoglia n. 46, Aprile 2016 che sarebbe stato il capostipite di una stirpe salomonica; da qui nasce il fatto che gli Etiopi siano un popolo eletto. Menelik, cresciuto e divenuto re, fece proprio il simbolo del leone di Giuda che innalzò a simbolo del proprio regno. Divenuto adulto, volle far visita al presunto padre Salomone e quando fece ritorno ad Axum, trafugò, o gli fu affidata, l’Arca dell’Alleanza, la quale non arrivò con Menelik ad Axum, ma impiegò qualche secolo, dopo un lento peregrinare in terra d’Egitto. Questo avvenimento è ricordato con i lenti ed esasperanti riti che la Chiesa Copta etiopica celebra in onore dell’Arca, in occasione di Ghenna e Timkat che sono il Natale e l’Epifania Il Tempio di Re Salomane costruito dall'833 all'826 a.C. e distrutto 410 anni dopo. del rito copto. Le feste di celebrazione di queste due ricorrenze fanno rivivere lo splendore di quelle che furono le corti di Gerusalemme e di Axum. La regina visse ad est di Sana’a, a Marib che era la capitale dell’antica Saba. Marib era situata nel punto in cui si incrociavano le carovane che trasportavano incenso in direzione del mar Rosso. L’intera regione con il passare degli anni, a causa dei fortunati e fiorenti commerci, prese il nome di Arabia Felix. Come abbiamo visto l’incontro tra i due sovrani è descritto anche nella Bibbia, con la differenza che in essa non si accenna né al loro rapporto, né al loro figlio Menelik, che darà origine alla stirpe dei sovrani d'Etiopia. Nella narrazione del Kebra Nagast invece, il loro profondo ed appassionante dialogo diviene importante per varie ragioni: anzitutto la Regina Makeda decide da allora che non adorerà più il Sole come i suoi avi, bensì il Creatore, Dio di Israele, come Salomone. Questo rappresenta il passaggio dal un culto arcaico ad un moderno monoteismo. Il peccato di Salomone Dopo essere stato il prediletto da Dio, dal quale aveva ricevuto saggezza e intelligenza, oltre a gloria e ricchezza, Salomone, come accennavo all'inizio, scivo- un’invocazione a Dio. La stella di Davide al centro del sigillo, indica il simbolo, il marchio, che il fautore del sigillo ha scelto come proprio di fronte a Dio. Dentro la stella è contenuto il nome di Dio, che è impronunciabile e inscrivibile per la legge ebraica. Ma Salomone non con- lò nell'idolatria trascinatovi dalle sue numerose mogli provenienti dai regni vicini che veneravano Astarte, Milcom, Camos, Moloc, Baal. «Il Signore si sdegnò con Salomone, perché aveva deviato il suo cuore dal Signore Dio d’Israele che egli era apparso due volte e gli aveva comandato di non seguire altri dei e gli disse; "Poiché ti sei comportato così, ti strapperò via il regno e lo consegnerò a un tuo servo. Tuttavia non farò questo durante la tua vita, per amore di Davide, tuo padre; lo strapperò dalla mano di tuo figlio. Ma non gli strapperò tutto il regno; una tribù la darò a tuo figlio, per amore di Davide, mio servo e per amore di Gerusalemme, che ho scelto"» (1Re11,9-13). Alla morte di Salomone, la minaccia divenne pur- tavvenne alla legge in realtà il nome messo nel cuore del sigillo indica appunto chi è l’elettivo contatto che Salomone aveva. I segni attorno la stessa sono indicativi trinari. Salomone quindi, assorto nella preghiera più profonda, pregava Dio utilizzando la preghiera scritta nel sigillo. A questa preghiera letta, vi era sempre associata una richiesta, una preghiera interiore, che potremmo definire una sorta di imposizione a Dio. L’Altissimo donò a Salomone questo mezzo affinchè attraverso esso, il re potesse richiederGli qualsiasi cosa purchè la richiesta fosse disinteressata e per il totale bene altrui; se la richiesta soddisfaceva le caratteristiche Dio stesso mosso da amore eterno e felice del fatto che quell'atto puro avvicinasse l'uomo a lui, avrebbe esaudito la richiesta... troppo realtà: ci fu un grave scisma politico causato dal figlio Roboamo, al quale Dio riservò due sole tribù: Giuda e Benamino. Le altre dieci tribù, quelle di Samaria e di Galilea, scelsero come re, in un’assemblea tenuta a Sichem, Geroboamo, un sovrintendente alle finanze dello stato (1Re c.12). Lo scisma politico comportò di conseguenza anche lo scisma religioso in quanto le tribù scissioniste rifiutarono di rendere culto a Dio in Gerusalemme, per loro ormai in territorio straniero, e si crearono due santuari alternativi: uno a Betel (Sud) e uno a Dan (Nord) con due statue di vitelli d’oro. Così iniziò la storia parallela dei due regni: Giuda e Israele. Egidio Gottardello n. 46, Aprile 2016 laSoglia 39 Challenge 23-24 gennaio 2016 Zona Padova del Brenta Grossa di Gazzo I l challenge è un’esperienza unica, ovvero il dover trascorrere due giorni con qualcuno che non conosci, e con lui o lei dover affrontare diverse prove non di certo facili… Al termine dell’esperienza, però, è stato più semplice del previsto, in fondo eravamo tutti scout! Alla partenza eravamo tutti un po’ preoccupati, lo ammetto. All’iscrizione, ogni pattuglia riceveva una mappa e le coordinate di un percorso in sei tappe da seguire durante i due giorni; in ogni tappa c’era una famigerata prova da svolgere: arrampicata, pane alla trappeur (cotto al fuco vivo), segnalazioni morse, una prova misteriosa, e infine due prove con semplice timbratura del “passaporto”. Siamo stati liberi di girovagare per le varie basi fino a sera, e poi, tornati tutti al campo base, abbiamo montato le tende e ci siamo radunati con tutti gli altri per cenare e fare il resoconto della giornata. Dopo cena abbiamo partecipato ad una veglia di preghiera iniziata in chiesa e conclusasi all’esterno con l’accensione delle fiaccole che avevamo preparato noi a casa; questo è stato un momento magnifico. La mattina seguente ogni pattuglia era libera di alzarsi e partire quando voleva, sapendo, però, che c’erano da tener presente gli orari di colazione e apertura delle basi. La cosa più traumatizzante, oltre l’aver passato la notte in tenda con circa –3\4°c, è stata dover smontare la tenda ghiacciata con le dita completamente congelate… Gennaio è gennaio!!! Per fortuna, durante la mattinata, la temperatura si è alzata e tutto è stato più semplice, anche se eravamo ancora indolenziti per le fatiche del giorno prima. Per le dodici ci siamo tutti riuniti al punto di ritrovo, dove abbiamo consegnato il “passaporto” con segnate le tappe fatte e il punteggio delle prove eseguite. All’arrivo degli ultimi, per fortuna, ci aspettava una pastasciutta calda… che buonaaaa...! Dopo il pranzo, poi, siamo andati tutti a messa. Alla fine, ci sono state le tanto attese premiazioni e noi, del S. Giustina in Colle1, siamo riusciti a portarci a casa (anche per la gioia dei nostri capi) ben due podi, uno della squadre femminili e uno delle squadre maschili, GRANDI!! Noviziato Clan Aquila I l Challenge è una proposta specifica, prevista dal metodo scout che si rivolge in particolare al noviziato della branca R\S (16 nni circa). La parola “challenge” significa “sfida, duello, lotta”. Fare un challenge scout significa impegnarsi a compiere una “sfida” con se stessi, con i propri limiti e le proprie paure. Ovviamente, affinché non appaia una specie di selezione per fregiarsi del titolo di “Rambo”, le gare non sono difficili ma impegnative e soprattutto hanno come scopo finale il “servizio”. Affinché questo servizio si possa adempiere in modo corretto, bisogna acquisire una mentalità nuova e sapere dove si vuole arrivare. È per questo motivo che indichiamo delle mete ideali, spirituali, allo scopo di pensare in modo nuovo: io accetto la sfida e mi metto in gioco anche alla scoperta e conoscenza dei miei limiti. Il Challenge può durare uno o più giorni, anche se normalmente avviene in un fine settimana; vi partecipano Noviziati appartenenti alla stessa Zona ma a volte viene proposto anche a livello regionale. I partecipanti, divisi in pattuglie o in semplici squadre, affrontano varie prove di abilità scout, che comprendono quindi: • abilità manuali • abilità espressive • abilità tecniche come - velocità nel montaggio tende - conoscenza di nodi e legature - conoscenze di tecniche trappeur - conoscenza delle tecniche di pronto soccorso • spiritualità. Ad ogni prova viene assegnato un punteggio in base al risultato e a come è stata svolta, e al termine del Challenge, la o le pattuglie che hanno totalizzato i punteggi migliori ricevono premi o riconoscimenti. La parola “challenge” significa “sfida, duello, lotta” 40 laSoglia n. 46, Aprile 2016 n. 46, Aprile 2016 laSoglia 41 USCITA DI COMUNITÀ CAPI 27-28 febbraio A nche i capi scout vanno in uscita? E precisamente cosa fanno? Giocano, si divertono e fanno le ore piccole? Questa è una domanda tipica dei nostri ragazzi quando gli diciamo che la prossima settimana non c’è attività perché noi capi siamo in uscita. E le risposte sono vere: giochiamo, ci divertiamo e facciamo le ore piccole… perché una comunità come la nostra ha l’esigenza di sentirsi unita e di vivere serenamente e con felicità il servizio verso i nostri ragazzi. Fare servizio, o se si vuole chiamiamolo volontariato, non è facile. E penso a tutti quei volontari che in vari ambiti, non solo parrocchiali, si adoperano per il bene comune. Si mettono le proprie energie, tempo e conoscenze a disposizione degli altri e in maniera gratuita, e non sempre le cose vanno bene, a volte si commettono anche degli errori e ci sono delle incomprensioni o diversità di vedute. Errare è una cosa facilissima, si può avere esperienza, essere navigati, ma l’errore è sempre dietro l’angolo. Ed è qui che interviene la comunità, che deve essere un insieme di persone che condividono uno stesso cammino e che insieme progettano e costruiscono qualcosa.Quindi, chi meglio della comunità può aiutare nel momento del bisogno, aiutarci negli errori fatti, aiutare la persona in difficoltà a capire lo sbaglio e ripartire? Sembra tutto facile, ma il 42 laSoglia n. 46, Aprile 2016 correggersi e l’aiutare non sempre sono visti di buon occhio, sia perché molte volte siamo orgogliosi e non accettiamo di essere corretti, sia perché non sempre è facile correggere che ci sta vicino, si ha paura di ferirlo o di logorare il rapporto. Baden Powell, il nostro fondatore, credeva molto nella correzione fraterna vista come il miglioramento e la crescita di ognuno di noi. Infatti questa uscita per noi capi è servita proprio a questo. Cercare di migliorare il nostro gruppo nella correzione fraterna, partendo da noi stessi, mettendo in campo i nostri talenti e mitigando i nostri difetti e le nostre debolezze, comprendendo che solo con l’aiuto del resto del gruppo possiamo diventare dei capi migliori. Quest’anno il nostro gruppo conta 80 iscritti, partendo dagli 8 fino ai 21 anni per gli animati e dai 22 ai 55 anni per i capi, quindi un gruppo numeroso e con età e periodi di vita molto diversi, un gruppo non facile da gestire perché, se vogliamo vedere le difficoltà, i tempi di uno studente non sono quelli del lavoratore, le idee di un adulto non sono quelle di un adolescente, e le incomprensioni o le differenze di vedute a volte possono diventare difficili da gestire. Ma noi non vogliamo guardare il lato negativo di questa cosa, anzi questa differenza d’età e di condizione lavorativa o famigliare è la forza del nostro gruppo che ci dà la possibilità di proporre ai nostri ragazzi sia cose divertenti e avvincenti, attività di avventura e di comunità, ma ci dà la possibilità di trasmettere esperienze di vita, lavorative o di famiglia diverse e utili per la loro crescita e formazione personale. E con questa visione la correzione fraterna diventa uno strumento utile ed efficace, nella consapevolezza che io capo posso essere importante nella crescita dei ragazzi che mi vengono affidati, devo anche essere vigile e attento negli errori che posso commettere, e se da solo non ce la faccio, avere qualcuno al mio fianco che mi aiuti in questo è la cosa migliore. E in questo l’età non c’entra, si sbaglia da giovani come da adulti, da capi novelli come da capi navigati.La cosa importante è accettare la critica costruttiva, la correzione fraterna, non importa da chi sia fatta, basta che sia fraterna, piantare paletti ed essere convinti solo di se stessi e delle proprie azioni o aver troppo amor proprio non aiuta a crescere né se stessi né il gruppo, aiuta invece il ripartire dalle diversità di vedute con maggiore convinzione per tracciare una strada utile al miglioramento, nella convinzione che se abbiamo scelto di far parte di questo gruppo lo facciamo per i ragazzi, per la loro crescita e per renderli uomini e donne felici. Nell’anno del Giubileo della Misericordia pensiamo che parlare di correzione fraterna La correzione fraterna sia un buon punto di partenza per migliorarci come cristiani e diventare veramente persone misericordiose sentendo anche le parole di papa Francesco dette all’apertura della Porta Santa a Roma: “Certo, qualcuno potrebbe obiettare: ‘Ma, Padre, la Chiesa, in questo Anno, non dovrebbe fare qualcosa di più? È giusto contemplare la misericordia di Dio, ma ci sono molti bisogni urgenti!’. È vero, c’è molto da fare, e io per primo non mi stanco di ricordarlo. Però bisogna tenere conto che, alla radice dell’oblio della misericordia, c’è sempre l’amor proprio. Nel mondo, questo prende la forma della ricerca esclusiva dei propri interessi, di piaceri e onori uniti al voler accumulare ricchezze, mentre nella vita dei cristiani si traveste spesso di ipocrisia e di mondanità. Tutte queste cose sono contrarie alla misericordia. I moti dell’amor proprio, che rendono straniera la misericordia nel mondo, sono talmente tanti e numerosi che spesso non siamo più neppure in grado di riconoscerli come limiti e come peccato. Ecco perché è necessario riconoscere di essere peccatori, per rafforzare in noi la certezza della misericordia divina”. “L’Anno Giubilare vissuto nella misericordia possa favorire l’incontro con le altre nobili tradizioni religiose; ci renda più aperti al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci; elimini ogni forma di chiusura e di disprezzo ed espella ogni forma di violenza e di discriminazione. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato”. Panda puntiglioso n. 46, Aprile 2016 laSoglia 43 I LETTORI CI SCRIVONO a cura di Giampietro Beghin Caro Direttore, la lapide posta al di sopra della porta a sinistra del presbiterio della nostra Chiesa ci ricorda che il 22 maggio 2016 ricorre il centenario della morte di don Giovanni Zannini, il parroco che ha eretto la Chiesa e del quale si conserva il busto marmoreo. Mi puoi dire qualcosa di questo Sacerdote e della sua opera? Ringrazio per l’attenzione e auguro a tutta la redazione un buon lavoro. Caro Lettore, rispondiamo volentieri alla tua domanda che ci dà l’occasione per parlare ancora dei nostri Sacerdoti. Lo facciamo riportando alcuni passaggi del volume La Chiesa e la comunità di Santa Giustina in Colle, uscito in occasione del centenario della consacrazione della Chiesa Parrocchiale, voluta dal parroco don Giovanni Zannini. G don GIOVANNI ZANNINI parroco Lettera firmata iovanni Zannini, nato a Borso del Grappa nel 1841, è ordinato sacerdote il 21 maggio 1864. Esercita per pochi mesi la cura d’anime quale cappellano curato a Roana e poi per dodici anni a Romano d'Ezzelino. Nel 1878 ha l'incarico di vice rettore del Seminario Maggiore di Padova fino al giorno del suo ingresso nella parrocchia di S. Giustina in Colle, avvenuto l'8 dicembre 1888. Il registro nati porta il suo primo atto in data 10 dicembre dello stesso anno, ma viene immesso nel possesso del beneficio solo il 23 febbraio 1889. Don Giovanni Zannini trova la chiesa “più che mai non rispondente ai bisogni della popolazione ed in condizioni pietose, con la facciata mutila ed indecorosa”. Si attiva quindi immediatamente per accrescere il fondo raccolto dalla com44 laSoglia n. 46, Aprile 2016 missione parrocchiale, e lasciato dal suo predecessore don Angelo Tombolato, e dà incarico di elaborare un primo progetto della chiesa all’arch. Augusto Zardo, figlio di Antonio, pure architetto, di Crespano del Grappa, probabilmente già conosciuti dallo Zannini, nativo di Borso del Grappa. Dopo aver compiuto alcuni sopralluoghi, il 7 ottobre 1892 il progettista consegna a don Giovanni Zannini “il disegno” della nuova chiesa. Prepara anche un “conto di spesa”, una specie di capitolato d’appalto, che elenca nel dettaglio i lavori previsti e preventiva costi, caratteristiche e quantitativi dei diversi materiali occorrenti per portare la chiesa al coperto. Il “conto di spesa” non prevede tuttavia né gli intonaci interni ed esterni (che non saranno peraltro mai realizzati, fatta eccezione per la parete nord), né la pavimentazione. Contempla invece la costruzione dell’abside che tuttavia “per varie ragioni, tra cui in particolare per esigenze finanziarie” sarebbe stata lasciata “in sospeso” e realizzata solo trent’anni dopo. Alla gara d’appalto dei lavori concorrono Pasquale Ferraro, capomastro muratore di Semonzo e Angelo Babolin, capo mastro muratore di S. Giorgio delle Pertiche. La ditta Ferraro presenta, il 5 gennaio 1893, un preventivo di lire 30.880,85 da cui “sottrarre il valore della muratura della vecchia chiesa”. Il capomastro muratore Angelo Babolin presenta il suo conto di spesa il 12 febbraio 1893 per complessive lire 24.412,97 calcolate detraendo dal conto finale “...le pietre che si trovano nei muri attuali cioè di miglia 164.576,00 che computando la spesa della demolizione si possono calcolare a lire 15.00”. Pur avendo offerto il Babolin il prezzo migliore, i lavori vengono tuttavia affidati all’Impresa Pasquale Ferraro. Quali siano le ragioni non è dato conoscere, ma n. 46, Aprile 2016 laSoglia 45 è verosimile che quest’ultima avesse dato maggior affidamento in considerazione dell’organizzazione aziendale, avuto riguardo anche al grosso impegno richiesto dall’opera. Don Giovani Zannini tiene un quaderno intitolato “Fabbrica Chiesa - Libro di memorie riguardanti la Fabbrica della nuova chiesa di S. Giustina in Colle”, in cui registra scrupolosamente, in ordine cronologico, brevi note concernenti i sopralluoghi del progettista, l’inizio e l’andamento dei lavori, l’acquisto dei materiali, i pagamenti di operai. Si tratta di appunti preziosi, che ci consentono di ricostruire con precisione, in ogni fase, lo svolgimento dei lavori: dagli accessi e studi in cantiere dell’arch. Zardo, alla demolizione della vecchia chiesa, via via fino alla copertura della chiesa attuale. Così, successivamente alla visita del 7 ottobre 1892, il parroco annota un secondo sopralluogo dell’arch. Zardo per “esaminare meglio l’altezza della vecchia chiesa”, probabilmente in vista della sua demolizione e del recupero dei materiali di risulta. In effetti, la demolizione della vecchia chiesa inizia alla fine di giugno 1893: i lavori vengono eseguiti in economia con una spesa di lire 60,75. Nell’occasione vengono levate le sepolture di famiglia che esistevano nell’interno della chiesa. Le ossa sono portate in cimitero, nell’ossario comune. Demolito il vecchio fab46 laSoglia n. 46, Aprile 2016 bricato e sgomberato il terreno dei materiali, inizia lo scavo delle fondamenta. Il 1o luglio l’arch. Zardo si ferma in cantiere per due giorni per “l’impianto della chiesa”. Ritorna il 3 luglio per la “sistemazione ed impianto delle quattro cappelle” e il 12 luglio “per far vedere il disegno delle cappelle e del coro”. Nel frattempo, domenica 9 luglio 1893 don Giovanni Zannini può benedire e posare la prima pietra del nuovo tempio. I lavori iniziano sicuramente subito dopo; don Giovanni Zannini annota infatti nel suo quaderno di memorie in data 4 agosto 1893 la “visita dell’ing. per vedere i lavori fatti e l’effetto delle pietre vive messe a lato della facciata”. Alle maestranze dell’Impresa Ferraro si affiancano i parrocchiani che “...con slancio e generosità si prestarono per il trasporto del materiale e per giornate gratuite di manualità sotto la solerte guida del loro pastore”. Addirittura i parrocchiani chiedono al parroco il permesso di lavorare i campi la domenica, per poter negli altri giorni dedicarsi ai lavori della chiesa. Don Giovanni Zannini annota minuziosamente, giorno dopo giorno, le ore prestate dai parrocchiani. I materiali di consumo sono forniti dallo stesso committente. Nel libro di memorie di don Giovanni Zannini sono via via appuntati, con altrettanta cura e precisione, l’acquisto di ma- teriali di consumo e attrezzatura minuta: calce, ferro, una grossa corda, secchie in larice, pietre cotte, pietre cotte sagomate, chiodi, un tino, carriole, calce idraulica, una botte vecchia per bagnar le pietre, sabbia, cemento, travi, ferro. Con il capomastro, muratori e manovali, sono presenti in cantiere anche due garzoni ed “un fanciullo per l’acqua”. La presenza del fanciullo sarà costante lungo tutto l’arco temporale dei lavori. Sono registrati acconti al progettista, pagamenti al tagliapietre, al carrettiere per trasporto di pietre dalla fornace al cantiere. Il 4 settembre 1893 è annotato il pagamento di “tutti i viaggi di pietre: sia della facciata sia dell’interno della chiesa, escluse le basi, con lire italiane 376,55”. Un ‘nota bene’ ci dice che il tagliapietra di Nove era Marcadello Andrea di Pietro. Il 24 luglio e il 4 ottobre 1893 sono indicati i pagamenti al carrettiere per la condotta dei capitelli. I lavori e, parallelamente, le annotazioni del parroco continuano nel mese di novembre 1893 e fino al 24 dicembre dello stesso anno. Riprendono ai primi di marzo dell’anno successivo per tutto il 1894 e fino al 9 febbraio 1895. Qui si interrompono e riprenderanno il 5 settembre dello stesso anno, dopo la benedizione della chiesa, per i successivi lavori. In soli 18 mesi dunque si C arissimo Lettore, il racconto del parroco don Giovanni Zannini e della sua Chiesa, che tu ci hai richiesto, è anche il racconto di una Comunità, la Comunità di Santa Giustina in Colle dei nostri antenati di oltre 100 anni fa. È una Comunità semplice e povera, prevalentemente contadina, eppure tanto unita e generosa non esita ad affrontare una impresa impensabile per quei tempi, lasciandoci un Tempio maestoso ed imponente. Come sottolinea orgoglioso don Giovanni, i parrocchiani accorrono all’invito del loro Pastore e partecipano alla costruzione della Chiesa con le loro offerte o prestando, gratuitamente, la loro opera manuale; addirittura, essi chiedono al parroco il permesso di lavorare i campi la domenica, per poter negli atri giorni dedicarsi ai lavori della chiesa! Significativa è la partecipazione alla co- giunge alla copertura della nuova chiesa, che il 5 maggio 1895 viene benedetta dal vescovo di Padova Giuseppe Callegari “con solenne festa e grande giubilo dei fedeli”. In occasione della benedizione don Giovanni Zannini pubblica una lettera in cui esprime gioia e gratitudine ai parrocchiani che lo hanno aiutato nell’impresa. Il parroco sottolinea che “...la nuova chiesa parrocchiale dopo solo 18 mesi da che venne cominciata, s’innalza bella, grande, maestosa sullo spianato della vecchia, tanto deforme e cadente”. Ringrazia nell’ordine i “commissionati” Ballan Giovanni, Bisello Gaetano, Centenaro Angelo, Dalla Bona Pietro, Filippi Beniamino, Gottardello Luigi, Ruffato Antonio, Ruffato Valentino, struzione della Chiesa dei giovani che il Parroco ci descrive… alcuni occupati ad approntare i materiali… altri intenti a sollevarli oppure a lanciarli in alto a forza di braccia, altri pronti sui ponti a riceverli e sempre lesti, sempre obbedienti, sempre allegri e festevoli, come se neppure sentissero il peso della fatica. Un grazie viene rivolto anche alle madri e alle figlie che…“largamente concorsero colle loro offerte e col loro obolo alla santa impresa”. Una immagine bellissima, che ci piace ricordare. Quando siamo in Chiesa a pregare o quando vi passiamo davanti immaginiamo per un momento l’opera in costruzione e i giovani che vi lavorano orgogliosi e uniti. Può essere una bella immagine di oggi, delle tante persone, giovani e adulti, che generosamente e senza calcoli si prestano per fare grande e maestosa la nostra Comunità. Verzotto Graziano, Verzotto Stefano e Zorzi Carlo che “con tanto senso pratico hanno saputo mantenere sempre vivo, sempre concorde, sempre ben ordinato il movimento della Parrocchia”, facendosi “mallevatore che i loro nomi verranno sempre ricordati con ammirazione e benedetti”. Esprime inoltre soddisfazione e riconoscenza verso il “locale Municipio”. per l’aiuto concesso e i parrocchiani che “…persona, animali, averi, tutto impegnaste per la Santa Opera” e, in particolare, “i cari giovani… alcuni occupati ad approntare i materiali… altri intenti a sollevarli oppure a lanciarli in alto a forza di braccia, altri pronti sui ponti a riceverli e sempre lesti, sempre obbedienti, sempre allegri e festevoli, come se neppure sentisse- ro il peso della fatica”. Un grazie viene rivolto anche alle madri e alle figlie che…“largamente concorsero colle loro offerte e col loro obolo alla santa impresa”. Dopo i parrocchiani il parroco ricorda con gratitudine il progettista ing. Augusto Zardo, il capomastro Paolo Ferraro e gli operai…“per la loro assiduità e diligenza nel lavoro e poi per la loro costante docilità e dipendenza, virtù queste le quali fecero che tutto procedesse ordinato e tranquillo”. E poi i fornitori dei materiali, “i quali posero in noi tanta fiducia, furono sì moderati nei prezzi, ci servirono sempre con tanta probità e buon volere”. Tra essi don Giovanni Zannini cita con “particolare preferenza”… il sig. G. Zanchetta, distinto scalpellino di Cittadella, n. 46, Aprile 2016 laSoglia 47 i sigg. C. ed A. Fuga, negozianti di ferramenta di Camposampiero; il sig. G. Fiorazzo, negoziante di legname in Pontevigodarzere. Infine il sig. Morandi, fornaciao in Rustega, al quale il parroco riserva un particolare ringraziamento, ricordandolo come “il benefattor più munifico della nostra chiesa… per la generosità delle sue profferte… che hanno dato il coraggio di proseguir nell’impresa”. Dopo aver ricordato il cappellano don Remigio Salmaso, per l’azione di sostegno e incoraggiamento, don Giovanni Zannini conclude la lettera ai parrocchiani ringraziando …“il nostro caro e benedetto Signore… il più liberale, generoso e grande” dei benefattori…“Non vi ho io sempre detto che l’opera nostra è tutta opera del cielo? Per convincervi fate così: date prima uno sguardo alla chiesa e poi alla parrocchia. È grande la nostra parrocchia? No. È ricca? No. Siamo ricor- si per aiuto agli estranei? No. Eppure la nuova chiesa è là, bella ampia, maestosa, che colla sveltezza dei suoi archi, coll’altezza delle sue volte desta l’ammirazione di quanti vengono a visitarla. E non è questo tale fatto, che ben chiaro dimostra l’intervento divino? E dire che tanto lavoro progredì sempre tranquillo senza ostacoli, senza soste, senza inclemenze di stagione, e quello che più importa, senza che mai, in mezzo a tanti e impreveduti pericoli, succedesse qualche grave e tremenda sventura” In un manifesto rivolto al parroco…“nella fausta occasione in cui venne solennemente benedetto il nuovo tempio di S. Giustina in Colle” i parrocchiani esprimono a loro volta i sentimenti di gratitudine “a colui che tanto operò per innalzare al Dio dei padri nostri una chiesa che resterà monumento perenne di fede, pietà e concordia della presente generazione”. Per dimostrare la loro ri- HAIR STUDIO STEPHEN e CRISTIAN di Tomasin Stefano S. GIUSTINA IN COLLE - Via Tergola, 109 Tel. 049/9390141 Part. IVA 02627950286 48 laSoglia n. 46, Aprile 2016 conoscenza i parrocchiani fanno eseguire dal pittore padovano Luigi Papafava i ritratti ad olio di don Domenico Pierobon, don Angelo Tombolato e don Giovanni Zannini… per conservare “il ricordo dei tre benemeriti parroci, nei quali si compie in più di mezzo secolo la storia gloriosa del risorgimento morale e materiale del nostro Paese”. L’opera e l’impegno di don Giovanni Zannini non si fermano con la benedizione della nuova chiesa, in occasione della quale gli stessi parrocchiani avevano manifestano “l’impegno a continuare la nostra missione nell’abbellire il Nuovo Tempio”. Ad appena un solo anno dalla benedizione della chiesa, infatti, la porta maggiore viene dotata, nel 1896, di bussola realizzata da “artisti del nostro paese”, su disegno dell’ing. Augusto Zardo. L’anno successivo vengono…“armate di stipiti le quattro porte interne e quindi chiuse con forti e ben lavorati battenti; nel 1899 posta la scalinata della porta maggiore”. Nel mese di maggio 1900 l’impresa Paolo Ferraro, su direzione dell’ing. Augusto Zardo, esegue l’intonaco della navata maggiore e del presbiterio, successivamente affrescati dal pittore Manzoni di Padova, “ben esperto e bravo professionista”. Nella prima settimana di quaresima del 1902 inizia anche “il lavoro per dare il bianco alle due navate laterali”, affrescate ancora dal Manzoni. Nel 1905 l’impresa Ferraro, su direzione dell’ing. Zardo, costruisce due nuovi altari nelle prime due cappelle vicine al presbiterio. Infine, tra il 1906 e l’estate 1907 vengono eseguite la pavimentazione interna e le gradinate esterne. Conclusi tali lavori, il 5 ottobre 1907 la chiesa viene finalmente solennemente consacrata dal vescovo di Padova mons. Luigi Pellizzo. Anche in questa circostanza l’arciprete don Giovanni Zannini si rivolge ai suoi parrocchiani con una lettera che ripercorre le varie tappe della costruzione della nuova chiesa, a partire dalla benedizione della prima pietra. “Se siamo riusciti nella grande impresa… fu perché piccoli e poveri”, sottolinea don Giovanni Zannini invitando i parrocchiani a fare gran festa e a giubilare “per una tanta grazia a noi fatta” e a promettere che “entran- do da qui innanzi in chiesa vi staremo con rispetto e raccoglimento profondo” e che …“celebreremo ogni anno il ricordo di un sì gran giorno”. Dopo la consacrazione, il vescovo di Padova mons. Luigi Pellizzo visita per la prima volta solennemente, il 24 giugno 1912, la chiesa parrocchiale di S. Giustina in Colle trovandola… “in ottime condizioni materiali, abbondantemente provvista di sacri arredi, paramenti, biancheria, e di ogni altra cosa necessaria per la celebrazione dei SS. Misteri, e tutto secondo le leggi canoniche e liturgiche prescrizioni”. Nel 1914 la nuova chiesa, “fino a questo momento sprovvista di organo e armonio” viene dotata di organo, costruito dalla ditta Malvestito di Padova e collaudato dal maestro Ravanello della Cappella della Basilica del Santo. Questa è l’ultima opera a favore della chiesa da parte di don Giovanni Zannini, che la sera del 22 maggio 1916 muore all’età di 75 anni, assistito dal cappellano don Pietro Bianchini. Nell’epigrafe pubblicata il 25 maggio don Pietro Bianchini ricorda, con particolare risalto, il “nuovo artistico tempio rifugio di sua pietà” lasciato da don Giovanni Zannini quale “monumento testimone di fede”. I funerali sono imponenti. La salma viene tumulata nel centro del cimitero oltre la croce, coperta da un semplice strato di cemento sopra terra che riporta le sole iniziali e la data della morte. Alcuni anni dopo, il 30 gennaio 1922, viene scoperto con messa solenne di requiem, in memoria dell’arciprete scomparso, il busto marmoreo, ricordato dal nostro lettore, collocato al di sopra della porta della sacrestia (in quel tempo ancora a sinistra del presbiterio), con epigrafe dettata da mons. Serraglia, rettore del Seminario di Padova. Scoperto il busto e la lapide… “tutto il popolo si porta in processione al cimitero con le bandiere di tutte le associazioni”. Lo stesso anno il fratello di don Giovanni Zannini, Romano di Borso del Grappa, fa porre sopra la tomba in cemento una lastra di marmo con le parole in bronzo e decorata sui quattro lati da quattro piccoli coltelli legati insieme da catena. Nel 1953 i resti mortali di don Giovanni Zannini sono trasferiti e composti nella nuova Cappella dei sacerdoti del cimitero di S. Giustina in Colle. n. 46, Aprile 2016 laSoglia 49 ELOGIO DEL PRETE "FERIALE" Preti che ci hanno insegnato che cosa significhi vivere in Dio, con Gesù e per i fratelli, esempi di dedizione, pur con i loro mille difetti umani. Vittorio Messori, parlando dei sacerdoti, ha espresso la sua gratitudine per questi uomini che - nonostante povertà e angustie «tengono aperte le infinite chiese del mondo, dove si celebrano le messe di ogni giorno e quelle per le tappe fondamentali della vita di ciascuno: battesimi, matrimoni, funerali. Chiese dove talvolta c'è anche il dono - ché tale è di un vecchio confessore che attende paziente per renderci certi, se solo lo vogliamo, del perdono di Cristo; dove ci sono panche, penombra e fiori, silenzio, lumini accesi, anche opere d'arte, se l'edificio è antico; dove, forse, è restato persino un sentore di incenso; dove chiunque può entrare, restare quanto gli aggrada, pregare o pensare o anche solo sostare senza che nessuno gli chieda conto del suo essere lì o lo importuni, perché non si è tolto le scarpe o non si è calcato lo zucchetto in testa o non ha uno scialle sulle spalle... Ho affetto, stima e direi pure tenerezza per gli uomini che chiamo "feriali", di una Chiesa anch'essa feriale». Andrea Tornielli 50 laSoglia n. 46, Aprile 2016 La presenza del parroco nella comunità L a nostra parrocchia in questi mesi è senza parroco. Siamo in attesa di un nuovo parroco. Un grazie alla presenza generosa di don Leo e don Daniele. Il 22 maggio verrà ricordato, in vari modi, don Giovanni Zannini nel centenario della morte. È il parroco che ha costruito la nostra attuale chiesa. Il suo busto in marmo è collocato in alto all’inizio della navata di sinistra. È una opportunità per fare memoria di questo sacerdote e riflettere sulla presenza del parroco nella nostra comunità. Il mese di maggio, con iniziative che verranno comunicate, è un tempo che ci dedichiamo anche per considerare e pensare alla presenza del sacerdote nella nostra comunità oggi. Fin d’ora ci possiamo preparare, a questa importante presenza tra di noi, nelle relazioni familiari e nella realtà che ci circonda, pregando e vivendo «gli stessi sentimeti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5) come dono e «frutto dello Spirito che è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22) per avere «il pensiero di Gesù» (1Cor 2,16) e la disponibilità all’azione gratuita. n. 46, Aprile 2016 laSoglia 51 52 laSoglia n. 46, Aprile 2016 n. 46, Aprile 2016 laSoglia 53