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“amico del ticino” ? ma fateci il piacere

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“amico del ticino” ? ma fateci il piacere
l’inchiostro rosso
Mensile di critica sociale della Svizzera Italiana - Estate 2010 - Anno 9 N° 7/8 “I proletari non possono abbandonare la lotta in nessunissima situazione”. Pietro Monetti (1904-1975), segretario del Partito ticinese del Lavoro
“AMICO DEL TICINO” ? MA FATECI IL PIACERE !
Per il presidente del Partito Socialista ticinese Manuele Bertoli, il dimissionario consigliere federale Moritz Leuenberger sarebbe un “amico del Ticino”. Il massimo dirigente socialdemocratico ticinese non si è però reso conto che questo
“amico del Ticino” ha contribuito a smantellare il servizio pubblico e le ex-regie federali proprio dal Ticino e licenziando
lavoratori residenti in Ticino. E’ da pazzi affermare frasi simili: sono queste dichiarazioni totalmente fuori luogo che
fanno perdere credibilità alla sinistra e che spingono i lavoratori nell’orbita leghista. Al di là del fatto che una presunta
“amicizia” (e cosa vuol dire, poi?) per il nostro cantone è una categoria politicamente piuttosto vuota (soprattutto per
un politico di sinistra) e dal sapore molto campanilista, il fatto politico centrale è che Leuenberger non è stato per
niente un amico dei lavoratori né ticinesi né di altri cantoni, ma a Manuele Bertoli questo evidentemente è sfuggito,
l’importante è difendere a tutti i costi l’operato di un ministro liberale ma con la tessera socialista! I comunisti queste
incoerenze si ostinano a non accettarle e il PS delude ogni giorno sempre di più come partito saldamente egemonizzato dai centristi e parte integrante della struttura borghese-consociativa del paese.
All’interno di questo numero
Servizio civile, un’alternativa valida al
militare: intervista a Janosch Schnider
Il divieto del burqa: un falso problema
posto nell’agenda politica borghese
Nuovo scandalo delle schedature in
Svizzera. Sorvegliata pure la LINKE.
L’INTERVISTA
2 - l’inchiostro rosso
Stare fra i lavoratori e agire per la collettività!
Nostro colloquio con Janosch Schnider sul servizio militare e l’alternativa che molti giovani cercano
Janosch Schnider, neo-maturato al liceo di Bellinzona, è un
giovane comunista noto per le
sue responsabilità nel sindacato studentesco. Attualmente
si trova in servizio civile (che
- ricordiamo - non ha niente a
che vedere con la protezione
civile) quale operaio del servizio ausiliario in ospedale:
è infatti uno delle migliaia di
giovani che hanno rifiutato di
assolvere la scuola reclute. Il
suo nome figura inoltre fra i
promotori dell’iniziativa popolare per abolire l’obbligo di
leva. Gli abbiamo posto alcune domande.
Per quale ragione al momento
del reclutamento hai annunciato la tua obiezione al servizio
militare?
Da bambino mi colpirono in
modo particolare le immagini
delle guerre balcaniche di metà
anni ‘90, il che mi permise di
sviluppare una coscienza fortemente critica nei confronti di
tale contesto. In seguito capii
fin da subito che la mia personalità sarebbe stata difficilmente
adattabile ad un ambiente autoritario; inoltre ho imparato a
sviluppare una coscienza critica,
a pensare con la mia testa, cosa
che nell’esercito è vivamente
sconsigliabile. Si tratta poi, a mio
modo di vedere, di un istituzione
anacronistica, i cui costi -in questi decenni di smantellamento
della socialità- non sono più accettabili.
Qualcuno a sinistra ritiene che
bisogna lavorare all’interno
dell’esercito per democratizzarlo, anche perché a indossare
la divisa vi sarebbe ampia parte
della classe operaia. Cosa ne
pensi?
L’esercito svizzero - aldilà della
propaganda, sempre meno
credibile, che né giustifica
l’esistenza in virtù di una presunta funzione difensiva - rappresenta in realtà uno dei più
efficaci mezzi di controllo sociale
dispiegati dall’apparato statale
(a tal proposito è bene ricordare
Marx, secondo cui lo stato è sempre orientato alla conservazione
degli interessi complessivi della
classe dominante, e a tale funzione risponde appunto l’esercito
svizzero). È proprio per questo
motivo che l’esercito non sarà
mai democratico, del popolo e
per il popolo: è bene ricordare
quanto scrisse lo scrittore elvetico Max Frisch, asserendo che
“l’esercito svizzero per fortuna ha
sparato di rado, ma quando ha
sparato lo ha fatto contro i suoi
stessi cittadini (si pensi alla repressione delle manifestazioni
operaie contro il fascismo)”.
Quali vantaggi presenta invece
il servizio civile?
Innanzitutto permette di elevarsi
al di soprà di un istituzione anacronistica e fuorviante, evitando
le suddette influenze omologanti e la riduzione dell’individuo
ad una sorta di automa. In secondo luogo da la possibilità di
offrire un vero servizio a favore
della popolazione, attraverso lo
svolgimento di un numero estremamente variegato di mansioni, in tutta la Confederazione.
Ciò significa ampliare in maniera
considerevole le proprie esperienze e il proprio curriculum
(dato fondamentale nel mondo
del lavoro), imparare a prendere contatto coi datori di lavoro
(ibidem) , sapersi autogestire ()
e, non meno importante, vivere
momenti arricchenti da un punto di vista umano. Non vengono
meno ne il dato finanziario, in
quanto il guadagno complessivo è addirittura maggiore rispetto a quello del militare, ne il
possibile contatto col pluringuismo elvetico, essendo gli istituti
d’impiego sparsi su tutto il territorio svizzero.
Come sono state queste prime
settimane da civilista? Deluso o
contento della tua scelta?
Oserei definirmi entusiasta: la
precedente risposta è tratta soprattutto da quest’esperienza
che sto vivendo all’Ospedale San
Giovanni di Bellinzona. In questi
giorni sto imparando a conoscere un istituzione importantissima (questa sì) come l’Ospedale,
la sua quotidianità, le dinamiche
quotidiane, le tantissime persone che vi ruotano attorno. Sto
inoltre arricchendo la mia capacità di svolgere vari lavori manuali, che spesso noi studenti ignoriamo. Quanto pensavo è stato
confermato dai fatti, cioè che
non ci sono dei motivi razionali
per preferire la leva al SC.
Franco Cavalli ha detto recentemente che è preferibile un esercito di leva che un esercito
di professionisti. Tu sei uno degli iniziativisti per abolire il servizio militare obbligatorio, cosa
ti senti di rispondere al leader
di Prospettive Socialiste?
Cavalli sembra convinto che
un esercito di leva sia meno
pericoloso di uno professionistico - peraltro quello svizzero
è già semiprofessionistico - ma
dimentica che molti tra i primi
hanno originato storicamente
colpi di stato militari (Cile, Argentina, etc), inoltre l’iniziativa non
ha mai chiesto il passaggio al pieno professionismo: per fare ciò
occorrerebbe un nuovo ricorso
al voto popolare. È imbarazzante
che Cavalli - fautore del tutto
(abolizione dell’esercito) o niente
(status quo) - non voglia accettare tappe intermedie: in questo
modo non fa altro che prestarsi
all’estremismo, giocando contro
gli interessi di tutti i cittadini coscienti della natura anacronistica,
nonché oppressiva, dell’esercito
svizzero.
No alla leva!
Il Comitato Cantonale del Partito
Comunista ha accolto con favore
l’iniziativa popolare atta ad abolire
la leva obbligatoria. E tramite la Gioventù Comunista contribuirà a gestire in Ticino la raccolta firme.
Si tratta di un’iniziativa a favore dei
giovani che ancora oggi vengono
intruppati in un esercito sovradimensionato, sempre più inglobato
nell’ottica NATO (missioni all’estero
per conto di terzi) e insicuro (vedi
crescente numero di incidenti in
servizio) anche a causa di “rambo”
che giocano con la vita dei ragazzi.
Il servizio militare è diseducativo
sia eticamente (perché non ragiona circa la risoluzione pacifica dei
conflitti), sia politicamente perché
trasmette valori nazionalisti, imperialisti e sessisti. Socialmente inoltre
non educa affatto alla convivenza
e alla responsabilizzazione, come
vorrebbero far credere invece gli
i politici-ufficiali Badaracco (PLR)
e Gobbi (Lega), al contrario viene
trasmesso il disvalore del conformismo e dell’ubbidienza servile.
Già oggi il servizio militare per quanto obbligatorio è sempre meno partecipato: solo il 40% di una classe
di leva adempie i propri obblighi
al completo. Il nostro non è quindi
già più un esercito “di popolo” come
vorrebbe la mitologia elvetica. Inoltre la Svizzera risulta essere uno dei
paesi più militarizzati d’Europa: abbiamo infatti più soldati attivi noi
dell’Italia e siamo di poco sotto agli
effettivi dell’esercito tedesco! Questo apparato pachidermico deve
quindi essere drasticamente ridotto
liberando energie umane e risorse
economiche a favore del servizio civile che fornisce a tanti giovani delle
esperienze soprattutto in campo
sociale, sanitario, educativo ed ambientale.
Il Partito Comunista resta per
l’abolizione del farsesco esercito
svizzero che costa miliardi di franchi
(tagliati ai servizi pubblici e al welfare). Visto però che la popolazione
non è pronta per tale opzione, riteniamo positivo e pragmatico rendere volontaria la leva. Non condividiamo il ragionamento del “tutto
e subito” di Franco Cavalli (PS), secondo cui o si abolisce l’esercito o lo
si mantiene così com’è: l’iniziativa infatti àncora alla Costituzione il principio che l’esercito rimane di milizia
e non professionista, toglie però ai
giovani il fardello di un obbligo inutile e diseducativo.
OPPOSIZIONE SOCIALE
l’inchiostro rosso - 3
Il divieto del burqa. Dopo i minareti la storia si ripete!
Creare odio e falsi problemi per sviare l’attenzione
Amedeo Sartorio
Secondo UNIA, in Svizzera non ci
sono nemmeno un centinaio di
donne che portano il velo integrale, nessuna della quali porta
il Burqa, un abito tradizionale
afgano che non lascia scoperti
neppure gli occhi. È dunque più
che lecito domandarsi come
mai tutti i media e tutti i partiti
ne parlano con un tale fervore.
Nell’Europa intera si moltiplicano le richiesta di interdizione di
tale indumento: in Francia è ormai proibito in tutti i luoghi pubblici, così come in alcune regioni
della Spagna. Il cantone Argovia
è stato invece il primo in Svizzera
a fare una proposta simile, e in Ticino il Guastafeste di Ghiringhelli
è riuscito a raccogliere molte
firme contro burqa e niqab. Secondo i promotori di tali iniziative
la lotta contro il velo integrale è
una lotta contro il maschilismo,
contro una colonizzazione islamica dell’Europa, e a favore
della sicurezza.
Se vogliamo veramente capire
la “questione burqa” dobbiamo
però fare una piccola analisi della situazione politica, economica e sociale dei paesi occidentali
in questa fase storica. Essendo
marxisti sappiamo come negli
anni successivi alla crisi capitalista di sovrapproduzione del 1929,
un po’ ovunque nel mondo, le
classi dirigenti hanno intensificato il controllo sulla popolazione per mantenere una certa
stabilità politica di fronte al malcontento delle classi popolari.
Oggi la storia si ripete!
In tutti i paesi liberali o socialdemocratici l’attacco allo Stato sociale a raggiunto livelli mai
visti in questi ultimi decenni. In
Svizzera sono toccate in particolare le pensioni, l’assicurazione
disoccupazione e i salari. In altri paesi, la Grecia in prima fila,
la situazione è ben più grave e
i potenti fanno pagare la loro
crisi ai lavoratori e alle lavoratrici
facendo cadere la maggioranza
della popolazione in una situazione di precarietà. Per mantenere
il potere, la classe politica deve
focalizzare l’attenzione della
gente su dei falsi problemi. Nello
stesso tempo, dopo gli attentati
dell’11 settembre a New York, i
paesi occidentali non fanno che
parlare della minaccia del terrorismo islamico e una mentalità
antimusulmana si sta diffondendo tra le masse popolari. Perché
non usare quindi i musulmani
come capro espiatorio di diverse
problematiche?
La proibizione del velo integrale
non serve assolutamente a nulla!
L’ipotesi di un’invasione fisica e
culturale da parte dei musulmani è una farsa. Nello stesso
tempo l’emancipazione delle
donne deve passare prima di
tutto dall’eguaglianza di salario
con gli uomini, dalla loro partecipazione alla vita politica e culturale, da una maggiore difesa
del loro lavoro durante la maternità,… Non è criminalizzando
una manciata di donne che si aiuta l’emancipazione della donna.
Anche se questi vestiti rappresentano un radicalismo islamico
che si allontana dai messaggi del
Corano, parecchie donne che
li indossano, lo fanno per convinzione, e non per imposizione.
La proibizione di burqa e niqab,
come lo era quella dei minareti
o l’amplificazione dell’”affare
Gheddafi”, non sono quindi
nient’altro che una scelta tattica
messa in atto dalla borghesia per
fomentare una guerra fra poveri.
I borghesi ci vogliono far credere
che gli stranieri, specialmente se
musulmani, sono i veri nemici
del popolo svizzero, quando invece i nostri soli nemici sono i
grandi capitalisti che vivono nel
nostro paese.
Una tale proibizione sarebbe poi
un’altra sfida nei confronti della
Lega Araba, che non a torto ci
ha già classificati come paese
razzista dopo il voto popolare sui
minareti.
I cittadini svizzeri e le cittadine
svizzere non devono seguire una
propaganda che porta dritta alla
guerra e all’odio. Si devono unire
ai popoli di tutti i paesi per liberarsi dal capitalismo e costruire
insieme il loro futuro nella pace,
il rispetto e la solidarietà.
Elezioni: convocata la commissione politica del Partito Comunista
Aprofittare delle elezioni per intensificare la presenza sul territorio e l’elaborazione politica della sinistra combattiva
Massimiliano Ay
Il Partito Comunista in maggio
ha deciso di dotarsi di una Commissione che prepari un Programma d’azione dei comunisti
in Ticino, da cui trarre anche un
programma elettorale. Ritenendo troppo vago il programma
elettorale del 2007, si è deciso
di rielaborarlo rendendolo anzitutto uno strumento di lavoro
quotidiano del Partito sul territorio: non si tratta, insomma, di
una semplice Commissione elettorale, perché le elezioni devono
essere un strumento e non un
fine: dobbiamo insomma toglierci di dosso ogni elemento
di “cretinismo parlamentare” che
porta solo al distacco fra la popolazione e il ceto politico. Occorre, al contrario, concentrarci
su un programma d’azione adatto per il lavoro nelle istituzioni,
ma soprattutto che sia un punto
di riferimento per le lotte sociali
cui partecipano i militanti comunisti sui posti di studio, di lavoro
e nella società civile.
Riconquistare dei seggi in Gran
Consiglio è comunque importante: offre la possibilità di portare nelle istituzioni i problemi
reali delle classi sociali meno favorite e di ricevere informazioni
sul malaffare borghese, nonché
di far capire chiaramente che,
anche se siamo una forza politica ancora piccola, non siamo
affatto (e non dobbiamo ridurci
ad essere per pigrizia nostra) una
forza politica marginale! Il Partito
Comunista deve però sapersi
porre come alternativa credibile alla socialdemocrazia ormai
svendutasi al liberalismo. E’ questo l’unico modo per evitare che
prevalga un drammatico “voto
utile” verso il PS: troppo spesso
siamo stati silenti verso i voltafaccia dei social-liberali, ora è giunto il momento di dire dove sta
la Sinistra che non tradisce, e in
questo come Partito Comunista
abbiamo solo carte in regola da
giocare!
Affinché si possa incidere maggiormente abbiamo chiesto già
in febbraio al Movimento per il
Socialismo (MPS) di iniziare un
dialogo, che dura ancora oggi,
per favorire l’unità d’azione della
sinistra di classe e di trasformazione sociale del Cantone. Nes-
suno vuole sottovalutare le differenze politiche e di metodo
che esistono fra noi e i troskisti,
nessuno qui propone fusioni, tuttavia riteniamo che se si lavora su
ciò che ci unisce rispetto a ciò che
ci divide i margini per presentare
una lista unitaria di matrice anticapitalista alle elezioni cantonali
sia fattibile.
SI MUOVE A SINISTRA
4 - l’inchiostro rosso
LORD: dove vogliamo andare?
Giovani operai greci a Ginevra
I problemi della meritocrazia per i lavoratori socio-sanitari
Delegati del SISA incontrano il PAME e altri sindacati di classe
Ancora una volta il profondo abisso che separa istituzioni governative ed il popolo lavoratore viene accentuato sempre più dagli interessi di bottega dei partiti borghesi, ma in questo caso purtroppo
non solo da loro. Il Gran Consiglio, o meglio, la sua maggioranza, (per
non sminuire il lavoro di chi in parlamento lavora davvero), stavolta
ha dato il “meglio” di se tanto da far invidia alla cosiddetta “Camera
dei Lord” britannica (roccaforte dei conservatori e non propriamente
vicina ai ceti popolari), approvando la revisione di una legge che porterà ad una sistematica e distruttiva rottura dei rapporti di lavoro tra
dipendenti pubblici. Ma questo, la camera dei LORD ticinese lo sa,
o meglio, si spera che lo sappiano. Come giustificare quindi la decisione? In un paese come il nostro, dove tacitamente tra le condizioni
di lavoro e di assunzione c’è l’appartenenza politica o ideologica che
non contrasti “lo spirito” dell’posto di lavoro (che guarda caso corrisponde all’appartenenza politica del datore di lavoro), ecco il trionfo non più del lavoro inteso come benefico contributo al benessere
nazionale, ma del servilismo, della delazione e tutto per un tozzo
di pane e per una sperata (che non arriva mai) pacca sulla spalla da
parte dei superiori. Che dire quindi del settore socio-sanitario, di cui
il sottoscritto fa parte?
Nelle aule del potere, forse la situazione delle condizioni di lavoro
dei dipendenti sanitari e sociali non è conosciuta o volutamente,
poco presa in considerazione. Il lavoratore socio-sanitario è confrontato con drastiche misure di restrizione qualitativa. Ne sa qualcosa
il personale, che si trova al lavoro confrontato con una sempre più
crescente “logica aziendale”, con il personale contato al centesimo
nell’organizzazione giornaliera e notturna (che se dovesse, per forza maggiore, accadere una malattia improvvisa od un infortunio, si
mette in crisi tutto l’apparato organizzativo e di conseguenza ne fa le
spese il paziente in generale che si trova così privato, inevitabilmente,
di una percentuale di presa a carico), la precarietà e la mancanza di
un contratto collettivo. Mettiamo in conto anche il lavoro d’èquipe e
la logica interdisciplinare, importantissima nel lavoro sociale e sanitario, per una presa a carico del paziente a 360°. Se quest’ottica di
lavoro condiviso e armonico viene messo in discussione, come la
meritocrazia senza dubbia farà, cosa succederà negli istituti sociali e
sanitari?
Signori qui non si parla di noccioline come vogliono farci credere, si
parla di degenti, di persone malate, che da sole non ce la fanno. Cosa
succederà se la meritocrazia distruggerà l’armonia tra i lavoratori nei
reparti? Come potrà il lavoratore socio-sanitario essere “meritevole”
agli occhi del superiore per non incorrere in una valutazione negativa? Aumentando forse il numero di iniezioni da fare per paziente?
O forse di dimentica che in un’ottica interdisciplinare ognuno vale
in base alla propria esperienza e conoscenza personale? Cosa succederà se il lavoratore socio-sanitario, confrontato con l’impegnativo
compito di prendersi cura di un paziente dovrà guardarsi le spalle dai
colleghi e dai superiori? La risposta si può immaginare. Il lavoratore
va semplicemente in crisi e questo a discapito del paziente che si ritrova, ahimè, privato di un servizio di qualità. Il lavoratore, che si trova
con un fucile piantato in faccia e che per sopravvivere dovrà anche
lui piegarsi alla logica del lavoro servile, sempre grazie alla politica
meritocratica. E non dimentichiamoci che il paziente è un essere
umano e nonostante gli sforzi per celare giustamente a quest’ultimo
le difficoltà dell’équipe, inevitabilmente percepirà sempre che qualcosa non va e se ne preoccuperà, perché si chiederà, non esternandolo, se cambierà in peggio la sua presa a carico. Questo è solo un
esempio di cosa porterà la meritocrazia nel settore socio-sanitario.
Il 14 giugno mi sono recato a
Ginevra con i compagni Raffaele Morgantini, Esteban Muñoz e
Fabrizio Crameri al 65° anniversario della Federazione Sindacale
Mondiale (FSM). La nostra piccola delegazione rappresentava
il Sindacato Indipendente degli Studenti e Apprendisti (SISA),
unico sindacato sizzero presente
all’evento. Arrivati sul posto, nel
palazzo del «Bureau International du Travail», siamo stati accolti con entusiasmo dalla compagna Osiris Oviedo (CTC Cuba)
responsabile permanente della
FSM presso l’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Osiris
Oviedo ci ha subito presentati
ad alcuni esponenti del PAME,
il sindacato di classe che funge
da avanguardia nelle lotte dei
lavoratori greci, nonché a membri della Gioventù Comunista
Greca (KNE). Dopo aver conosciuto alcuni ragazzi è cominciato
l’evento: i dirigenti della FSM
hanno ripercorso la sua nobile
storia, dalla fondazione dopo la
seconda guerra mondiale, passando per i momenti bui cominciati con il crollo del blocco sovietico, arrivando al 2005 fino
ad oggi, in cui la FSM riprende
forza e porta avanti sempre più
lotte nel mondo. Il Ministro del
Lavoro cubano ha portato i saluti del governo di Raul Castro e
ha chiesto la solidarietà di tutti i
Roberto De Tullio, coordinatore per il Mendrisiotto della GC
Amedeo Sartorio
sindacati nei confronti di Cuba,
che, anche con Obama al potere negli USA, resta soffocata
dall’embargo. Altro intervento
importante è stato quello di un
compagno sudafricano che ha
commosso tutti toccando diversi
temi come la speranza che danno agli africani i movimenti socialisti dell’America latina, come
il dovere morale di ogni uomo di
schierarsi contro lo stato fascista
di Israele, come il colossale fallimento dell’UE e l’insostenibilità
del sistema capitalista. Dopo i
vari interventi, a volte con toni
un po’ da cerimonia, si sono potute intensificare le relazioni interpersonali con sindacalisti di
tutto il mondo: venezuelani, cubani, nepalesi e greci. Abbiamo
subito legato coi compagni greci
visto che avevano tutti circa la
nostra età e abbiamo incontrato
George Mavrikos, il segretario
generale della FSM, nonché deputato comunista in Grecia. Dopo
il rinfresco siamo andati tutti
insieme in città discutendo dei
nostri rispettivi sindacati e partiti. È stata l’occasione per capire
cosa sta succedendo in Grecia in
questo periodo di crisi e qual è
l’importante ruolo che hanno il
KKE (il partito comunista) e il suo
sindacato nella lotta dei lavoratori contro il governo venduto a
UE e USA di Papandreou.
l’inchiostro rosso - 5
SUCCESSI ELETTORALI
SEMINARIO INTERNAZIONALE
In Belgio il PTB triplica i voti!
Uscire dalla crisi da sinistra
Contro la divisione del paese e interni alle lotte sociali
Dibattito fra i partiti operai di tutto il mondo
Il Partito del Lavoro del Belgio (PTB), piccola organizzazione marxista-leninista di ispirazione filo-cinese, si era presentato alle elezioni
europee dello scorso anno con lo slogan “Stop al circo politico” con
una lista aperta agli indipendenti che evidenziava la nuova “linea di
massa” adottata dal Partito con il suo ultimo Congresso del 2007. In
quell’occasione si erano allentati i principi maoisti per rendere più vicino ai problemi concreti della classe operaia e degli studenti l’azione
politica dei comunisti nella fase storica particolare. Sul piano politico,
quindi, la partecipazione alle elezioni del PTB è stata una sorta di
banco di prova per l’attuazione degli orientamenti congressuali che
possono essere riassunti nel precetto: “fermezza sui principi, flessibilità nelle tattiche”! Peter Mertens, giovane sociologo presidente del
partito, spiega: “da un lato, la crisi mostra più che mai il capitalismo
come un sistema barbaro e disumano e il socialismo come una necessità oggettiva. Dall’altro, le condizioni soggettive delle masse appaiono ancora molto arretrate rispetto a questo livello di coscienza.
In passato, abbiamo spesso trascurato quest’ultimo aspetto limitandoci ad affermare le nostre verità. Ma la cosa importante non è
avere ragione, ma convincere gli altri della bontà di questa idea. E
perché questo avvenga, è necessario cogliere i germi di resistenza,
per scoprire su quali questioni le masse sono pronte a mobilitarsi e
contro cosa la loro rabbia è diretta”.
Nel frattempo il governo belga è nuovamente caduto e a giocare
un ruolo importante in tale instabilità politica è stata la questione
nazionale. Il PTB è ormai l’unico partito nazionale rimasto, tutti gli
altri - compreso il Partito Comunista - si sono scissi in partiti di lingua
francese e partiti di lingua fiamminga con organi dirigenti, statuti
e programmi diversi a seconda della comunità linguistica. Il PTB invece ha rifiutato ogni separatismo e, unitamente ai sindacati, chiama
all’unità nazionale e alla solidarietà dei lavoratori delle due comunità.
Stando ai vertici del PTB, “le larghe masse sono stufe dell’opzione nazionalista che porta alla divisione del paese”. Contro - insomma - la
spaccatura del Belgio! E’ questo il motivo per il quale il PTB ha scelto
di presentare una propria lista alle elezioni rifiutando convergenze
con altre organizzazioni della sinistra radicale. Lo slogan della campagna è stato “votate CONTRO, votate PTB”. Per il PTB, infatti “l’offerta
nazionalista divide la classe operaia proprio nel momento in cui è
necessaria la più grande unità tra lavoratori fiamminghi, valloni, brussellesi e immigrati contro le oscure misure che ci aspettano”. Come
tutti i paesi europei, anche il Belgio si è pesantemente indebitato
per salvare le banche e il deficit di bilancio ammonta al 6% del PIL. Il
precedente governo stava preparando una riforma radicale del sistema previdenziale per arrivare all’estensione dell’età lavorativa.
Ma non vi è nel PTB uno spirito puramente elettoralista: “come in
tutti i paesi capitalistici, la disoccupazione è alle stelle, mentre la lista
delle ristrutturazioni e dei licenziamenti si allunga di giorno in giorno
- spiega Mertens - il nostro slogan significa che il PTB vuole organizzare la resistenza contro la distruzione sociale. Dall’esplosione della
crisi il nostro Partito cerca di concentrare tutte le forze sulla mobilitazione delle masse contro la politica della crisi. Vogliamo concentrare la nostra attività nell’intervento all’interno della lotta di classe,
nelle fabbriche e nei servizi pubblici. La crisi ci costringe a combattere la routine offrendoci un’eccellente opportunità per rivoluzionare il nostro Partito. Anzitutto, abbiamo dovuto fare in modo che i
nostri iscritti prendessero piena coscienza della profondità della crisi
sistemica. Abbiamo dedicato sessioni speciali del Comitato Centrale
a questo tema, in modo che l’intero Partito, fosse sul piede di guerra”.
La crisi ha una soluzione sola: muoversi verso il socialismo. È
l’ambiziosa conclusione emersa al 19° seminario comunista internazionale che si è tenuto il maggio scorso a Bruxelles. L’incontro ha
riunito una quarantina di partiti comunisti e operai di tutto il mondo.
L’obiettivo era d’approfondire e condividere le analisi sulle ripercussioni della crisi e le possibili risposte da elaborare. Gli interventi, che
partivano dalle esperienze e punti di vista molto diversi, avevano
come obiettivo d’arrivare ad una sintesi utile per rafforzare il movimento dei lavoratori e delle classi popolari. Tutti d’accordo sul fatto
che la crisi attuale non è assolutamente finita, i partecipanti hanno
approvato un documento comune che presenta gli effetti concreti
della crisi e qualche proposta strategica per farvici fronte.
Dall’Africa si è sottolineato come la crisi ha duramente toccato le
popolazioni dei paesi meno sviluppati, per esempio con l’aumento
dei prezzi degli alimenti, provocando un aumento delle persone che
soffrono la fame. D’altro canto le politica neo-liberali del FMI e della
Banca Mondiale continuano il loro corso, come nel passato.
In America Latina delle vive inquietudini sono emerse rispetto agli
sforzi bellici promossi dagli USA con i loro alleati e diretti contro i
governi progressisti di diversi paesi, quali Venezuela, Ecuador e Bolivia. Un appello per la pace è venuto anche dal mondo arabo, sia
esprimendo la solidarietà con i popoli palestinesi e libanesi, costantemente aggrediti da Israele, ma evidentemente con i popoli di
Iraq e Afganistan, confrontati ad un conflitto aperto contro la NATO,
lunga mano dell’imperialismo made in USA. Per il momento la crisi
non ha fatto che intensificare i conflitti e questo malgrado le grandi
dichiarazioni di Obama. I compagni dell’Europa dell’Est, dal canto
loro, hanno chiaramente presentato il quadro drammatico dei paesi
ex-socialisti. I partito di estrema destra, a tendenza autoritaria si sono
ulteriormente rafforzati, tra l’altro con politiche apertamente anticomuniste, mentre le condizioni di vita continuano a degradarsi.
Come prevedibile, una parte importante dei dibattiti si è focalizzata
sulla crisi greca. C’era molta attesa per l’intervento del compagno
del KKE, attese che non sono state deluse. Dalla Grecia le idee sono
chiare, bisogna rilanciare la lotta concreta per il socialismo. “È impossibile, afferma, trovare delle soluzioni nell’interesse del popolo continuando ad avere fiducia nelle istituzioni internazionali al servizio
dell’imperialismo, come l’UE e l’FMI”. Sono i cubani a raccogliere per
primi l’appello, invitando il movimento comunista internazionale a
l’unità, soprattutto in Europa dove le divisioni sono ancora grandi.
Il compagno del Partito Comunista dei Popoli di Spagna rilancia
esprimendo la necessità di uscire dalla retorica, per iniziare a fare la
politica per strada, nei luoghi di lavoro, al fianco degli sfruttati. Insiste
pure sull’importanza dell’impegno del militante comunista, dicendo
“ deve sempre essere al servizio del popolo, essere un militante non
è un hobby, ma una scelta di vita”. L’intervento del Partito Svizzero
del Lavoro si è concentrato sull’analisi del fenomeno pubblicitario,
come strumento di propaganda della borghesia. Una maniera fine di
alienare la popolazione verso l’individualismo ed il consumismo che
secondo il relatore (colui che scrive questo articolo, ndA) deve essere
combattuto in maniera più cosciente.
Infine il seminario si è concluso in un clima di intesa rispetto alle
analisi, ma anche con la coscienza di essere riusciti, ancora una volta,
a riunire un numero importante di compagni in provenienza da ogni
parte del mondo. Nonostante un passato diviso in varie correnti del
marxismo, l’accordo per un movimento verso il socialismo ne esce
fortificato.
Massimiliano Ay
Leonardo Schmid
DAL TERRITORIO
6 - l’inchiostro rosso
Sempre attivi sul fronte dei trasporti pubblici
Collaborazione fra i giovani comunisti ticinesi e i giovani socialisti del moesano
Comunicato stampa della Gioventù Comunista
La Gioventù Comunista (GC) non
può che dirsi soddisfatta della
petizione lanciata dalla Gioventù
Socialista (GISO) del Moesano,
denominata „Petizione Nottebus“, con la quale si propone
un miglioramento dei trasporti
pubblici sulla tratta BellinzonaMesocco, per quanto riguarda gli
orari notturni nei fine settimana.
Nel testo della petizione si dice
infatti che „la Nottebus chiede
di aggiungere un’ulteriore corsa
in parteza da Mesocco in direzione di Bellinzona (fra le 21:30 e le
22:30) ed una in partenza da Bellinzona in direzione di Mesocco
(fra le 01:00 e le 02:00).“
Ricordiamo come la GC abbia a
cuore il tema del diritto alla mobilità per i giovani e la promozione del trasporto pubblico: abbiamo infatti lanciato negli scorsi
mesi una petizione che verteva
su temi simili, ossia il salvataggio
di una dozzina di linee regionali
in Ticino.
I principi che hanno fatto sorge-
re le due petizioni sono gli stessi:
una tutela del servizio pubblico
in contrapposizione a quello
privato, dunque rifiutando processi di liberalizzazione nocivi
per l’interesse collettivo; una
politica dei giovani per i giovani
(e non solo) che proponga contenuti concreti ed attuabili; una
promozione delle tematiche
ambientali ed ecologiste.
Come ultimo troviamo ulteriormente interessante, in relazione
alla petizione di GISO Moesano,
sviluppare il discorso di un servizio di trasporto pubblico nelle
ore serali e notturne, dato che
in questa fase della giornata avvengono la maggior parte degli
incidenti, causati spesso da una
guida in stato di ebrezza.
Riteniamo sia necessario ed auspicabile che la gente si riconosca
in questo tipo di servizi, maturando in senso abitudinario un
utilizzo ed un legame in rapporto a queste strutture.
« Sulle dimissioni del consigliere federale Moritz Leuenberger
Il “socialista” che difendeva i
manager getta la spugna!
L’amico intimo di Thomas Held,
capo di Avenir.Suisse, fondazione
svizzera padronale e neo-liberista, ha dato le dimissioni! Stiamo
parlando del consigliere federale
“socialista” Moritz Leuenberger.
non solo era un convinto europeista, ma sosteneva pure
la liberalizzazione del mercato
dell’elettricità; era favorevole alle
ristrutturazioni neo-liberali presso le ex-PTT che hanno prodotto un’ondata di licenziamenti e
il peggioramento del servizio
pubblico universale sul territorio; era favorevole ai processi di
liberalizzazione in seno alle Ferrovie Federali, con conseguenti
licenziamenti e ristrutturazioni
aziendali anti-sociali. La notizia
delle dimissioni del ministro
hanno peraltro suscitato la commozione dei vari manager, Ulrich
Gygi in testa (che gli operai delle
Officine di Bellinzona conoscono
bene!): il “socialista” Leuenberger,
infatti, difendeva i super-salari
dei manager!
tito realmente di sinistra?
I socialisti non hanno mai voluto affrontare realmente queste
contraddizioni, venendo meno
quindi ai principi del movimento operaio. Non ci interessa tanto sapere chi sostituirà
adesso l’uscente Leuenberger,
ci preoccupa il fatto che nemmeno a sinistra si discuta seriamente del superamento
dell’organizzazione consociativa
di gestione del potere tipicamente svizzera, che obbliga la
società a un consenso immobile
e rende quasi impossibile una
seria opposizione democratica
come auspica invece il Partito
Comunista.
Com’era concretamente il
Leuenberger politico?
Stando a dichiarazioni pubbliche
di pochi anni fa, egli - secondo la
deputata Valérie Garbani - “non
è più un socialdemocratico” per
le sue derive liberiste e secondo
il dirigente sindacale. Anzi, per
Paul Rechtsteiner addirittura era
un “traditore”. Il Partito Socialista,
invece, si spertica nel difenderlo!
Ringrazieranno tutti i lavoratori
Altra domanda: cosa ci fanno
dei servizi pubblici licenziati gradei socialisti al governo con
zie alle sue ristrutturazioni delle
ex-regie federali! Leuenberger Come dovrebbe agire un par- l’estrema destra?
Licenziamenti
alla RUAG
La RUAG (braccio affaristico
dell’esercito) è una società economica al 100% di proprietà della
Confederazione Svizzera. Essa
è nota per vendere ai popoli in
guerra armi leggere e mine a
frammentazione per farli “scannare” meglio e di commerciare
con il regime dell’apartheid di Israele. Soldi che grondano sangue,
ma che il nostro Paese - che ama
dar lezioni di diritti umani a destra e a manca - in questo caso accetta fregandosi le mani.
Pochi mesi fa la RUAG si era
schierata in modo deciso nella
propaganda contro l’iniziativa
che intendeva vietare alla
Svizzera l’esportazione di materiale bellico. Una iniziativa giusta
che anche i comunisti avevano
sostenuto in modo convinto, ma
che la popolazione - temendo di
perdere posti di lavoro - aveva
preferito bocciare.
Proprio la RUAG - durante la campagna in vista del voto - aveva
minacciato che, in caso di vittoria
del fronte pacifista, il proprio giro
d’affari sarebbe crollato comportando il licenziamento di molti
suoi lavoratori. Se già allora si
trattava di una minaccia meschina perché la RUAG stessa aveva
saputo in precedenza riconvertire parte della sua produzione in
ambito civile, oggi sappiamo che
era in realtà una truffa: l’azienda
intende infatti chiudere il sito
industriale di Plan-les-Ouates
(Ginevra) eliminando 52 posti di
lavoro, dopo aver già sbattuto in
strada un numero cospicuo di
operai l’anno scorso.
Quindi si licenzia con o senza
il divieto di esportare armi: la
buona fede della popolazione
preoccupata dalla congiuntura
economica è stata turlupinata
nuovamente, come sempre ama
fare la classe padronale capitalista prendendosi gioco della
democrazia (a cui naturalmente
tutti retoricamente si riferiscono).
La situazione diventa ancora più
vergognosa se pensiamo che la
RUAG è un’azienda pubblica: è
lo Stato quindi a licenziare propri
cittadini!
Segreteria del Partito Comunista
VIVA CILE
l’inchiostro rosso - 7
Ci ha lasciato Luis Corvalan! Il ricordo di chi l’ha incontrato.
In memoria dell’ex-segretario generale del Partito Comunista Cileno, uno degli alleati più fedeli di Salvador Allende
Davide Rossi
Quando nel 1976 viene liberato
dai campi di tortura e di morte organizzati dal dittatore Pinochet il
segretario del Partito Comunista
Cileno, Luis Corvalan, raggiunge
Mosca, dopo essere scambiato a
Zurigo con Valdimir Bukovsky un
presunto scrittore “dissidente”,
in realtà un mediocre e miserevole pennivendolo che, allora
come oggi, agisce in favore dei
servizi segreti inglesi in funzione
antirussa. Corvalan presto è acclamato dalle donne e dagli uomini, dai ragazzi e dalle ragazze
di tutta Europa e inizia a vistare
città e nazioni del continente. A
Berlino, nella DDR, l’accoglienza
è grande, affettuosa, trionfale.
Luis Corvalan risponde come
nella sua natura, con garbo, gentilezza, disponibilità, amicizia. Tra
chi lo festeggia la presidentessa
dell’Unione degli Scrittori Anna
Seghers. Anche lei ha versato
lacrime profonde per la fine della
straordinaria esperienza di Unidad Popular. Un mondo irripetibile, un’avventura stroncata solo
con la violenza della dittatura.
Indimenticabile il Cile guidato
da quell’uomo, Salvador Allende, con occhiali spessi e molte
passioni, per le belle ragazze,
per la buona tavola, per i gelati
al cocco. Luis Corvalan è amico
e compagno in quella stagione
rivoluzionaria e democratica del
presidente socialista, sono i comunisti a sostenere il presidente
ben più del suo partito, guidato
da giovani maldestri ed avventurosi che invocano una presa totale del potere, difficile e impossibile, capaci solo di frantumare
la fragilità dell’equilibrio politico,
sociale e costituzionale che reggeva la sinistra al governo.
Luis Corvalan lo ho abbracciato, impossibile dimenticarlo.
Un uomo mite, aperto, cordiale,
nell’ultimo anno del Novecento,
sotto le Ande, a casa sua, abbiamo cenato insieme al termine di
un lungo e soleggiato pomeriggio dell’estate australe, segnato
dai suoi libri, che mi regalava e
tuttora conservo con dedica, dai
racconti di una vita rivoluzionaria, dalle risposte alle mie molte
domande, mentre mi incoraggiava nel mio lavoro di insegnante di storia. Intensa la gratitudine che mi ha manifestato nel
ricevere il libro “Cile democrazia
sofferta”, il mio primo libro, uscito
in Italia nel ’97, portato al Festival
Mondiale della Gioventù nello
stesso anno all’Avana e regalato
alla delegazione dei giovani comunisti cileni, poi da loro tradotto come dispensa universitaria,
perché allora in Cile degli anni
di Allende e della dittatura non
si poteva ancora parlare, né scrivere. Neppure, in quell’estate ’99,
bere una birra per strada era permesso, si finiva in carcere, ricordo
i giovani comunisti cileni che mi
saltano affettuosamente addosso per coprire quel mio inconsapevole reato commesso su un
marciapiede della captiale.
Luis Crovalan nasce a Puerto
Montt il 14 settembre 1916, insegnante elementare, giornalista, aderisce al partito comunista, fondato da Luis Emilio
Recabarren e segue tutte le sorti
del partito, espulso e riammesso nella legalità secondo i venti
della politica internazionale. Nel
secondo dopoguerra l’inizio è
promettente, i comunisti raccolgono il 22% alle amministrative
del ’47, il cantore dell’ “ora felice
dell’assalto e del bacio”, il comunista Pablo Neruda, suo caro
amico, è senatore della Repubblica. Ma la guerra fredda è scoppiata. I comunisti condannati
per i loro ideali. Corvalan internato nel campo di prigionia di
Pisagua. Nel ’58 il partito torna
a potersi esprimere e ne diventa
segretario. Lo sarà
sino al 1990. È tra i promotori
della stagione di Unidad Popular. Un’esperienza politica straordinaria e difficilmente raccontabile, chi l’ha vissuta spesso
non trova le parole o le trova a
grande fatica, sente che la gioia
e il sogno, la vita e il sorriso, sono
difficili da far rivivere tanti anni
dopo. I giovani lottavano nel
mondo, i cattolici chiedevano giustizia ed uguaglianza. Il vescovo di Santiago del Cile Raul Silva
Herniquez con discorsi pacati e
al contempo potenti scuoteva
coscienze, gettava semi. Non a
caso in Cile sono nati i “cattolici
per il socialismo” e giovani, pieni
di fede nell’uomo che è fratello,
hanno dato vita all’Izquierda
Cristiana e al Movimento di Azione Popolare Unitario (MAPU) a
fianco di Allende. Con Corvalan
collabora l’infaticabile segretaria
dei giovani comunisti, bella, intelligente, affascinante, con un
sorriso che conquista anche i più
dubbiosi, con un’energia che travalica l’immaginabile, trascina ed
entusiasma: Gladys Marin. Dopo
le piaghe della dittatura Gladys,
persi gli amici, le amiche, il marito, tutti scomparsi, guiderà il partito, dopo il breve passaggio alla
segreteria di Volodia Teitelboim,
in quegli anni ’90 la sua voce sarà
quella indelebile del ricordo, del
desiderio di giustizia, di chi non
ha rinunciato alla gratuità delle
relazioni umane, di chi non si è
lasciato sopraffare dal mercimonio di ogni rapporto instaurato
dal consumismo capitalista e
forsennato, applicato con scientifica esclusione sociale da Pinochet.
Nel ricordare Corvalan il pensiero corre anche ai tanti comunisti
che ho conosciuto in quei miei
giorni cileni. A Valpariso, dove ad
esempio molti vivevano integrando le misere pensioni cilene
con la liquidazione conseguita
in quindici anni di lavoro nelle
fabbriche della DDR, durante
l’esilio. Valparaiso è bellissima,
d’estate con luci, colori, mare,
vento tenue e caldo che probabilmente d’inverno si rivela perfido e tormentoso. Valparaiso è
colline e case, dignitose ed umili,
di legno, in un eterno saliscendi,
correre a perdifiato è possibile
ma anche pericoloso, risalire
lento e arduo, intorno volti e
nuvole, e dall’alto le barche e il
porto, dove incredibile ma vero
capita di vedere, gatti e gabbi-
anelle insieme, come nelle pagine di Luis Sepulveda. La notte
è stellata e più grande che mai,
le stelle sono quelle che si vedono dall’altra parte del mondo,
vere e irreali, universi desueti per
occhi europei, il cielo blu profondo, con due amici professori
di musica mal pagati, su quella
terrazza, nella casa di un ebanista comunista, abbiamo cantato,
anzi hanno cantato loro per me
le parole di Silvio Rodriguez e
quando sono arrivati a cantare la
canzone che più amo, “La maza”,
l’emozione e le lacrime han confuso ogni sguardo, unendo stelle
e mare. È la stessa emozione e
sono le stesse lacrime di ora, alla
notizia della scomparsa di Luis
Corvalan. Sino all’ultimo ha portato in giro per le vie di Santiago
il suo sorriso, calmo, riflessivo,
intenso. Ha visto nel dicembre
2006 la fine miserevole e senza
condanna dell’assassino di suo
figlio e di tanti cileni, ma probabilmente anche per lui quel
giorno di sole e di luce per il Cile,
la morte di Pinochet, ha lasciato
più amarezza per il dolore incancellabile che il sanguinario e
vile generale ha seminato, ben
più del sollievo per la scomparsa
dell’autore di tante crudeltà. La
più grande responsabilità di Pinochet è quella di aver cercato
di uccidere il sogno, seminando
paura, uccidendo ogni uguaglianza, promuovendo ogni sopraffazione. Ma il sorriso di Luis
Corvalan, tra ciocche e baffi da
tempo immemorabile candidi, ci
hanno insegnato che i sogni non
si possono uccidere, a patto che
trovino chi non ha rinunciato e
nutre e vive quell’entusiasmo
che ci porta ogni giorno ancora
come fratelli per le strade del
mondo. Ciao Luis, ti sia lieve la
terra, le tue idee sono nei nostri cuori e quella bandiera rossa,
che hai tenuta alta per novantatre, quasi novantaquattro anni, è
ancora la nostra. Grazie.
8 - l’inchiostro rosso
engels dixit
La Sinistra turca ricorda İlhan Selçuk
Fu uno degli ultimi giornalisti che sapevano unire rigorosità professionale e necessità militante
Tratto con modifiche da “SoL”, periodico del Partito Comunista di Turchia
Uno dei massimi giornalisti della
Turchia democratica si è spento
all’età di 85 anni nelle scorse settimane nel totale silenzio dei media occidentali. Non c’è da stupirsi:
Selçuk era un anti-europeista intransigente e rifiutava qualsiasi
lezione di democrazia dai paesi
occidentali, che lui definiva “imperialisti”. Il Fronte Patriottico, il
Partito Comunista TKP, i sindacati,
l’Unione della Gioventù di Turchia
TGB, l’Associazione del pensiero
kemalista ADD e altre organizzazioni di massa critiche nei confronti
dell’attuale governo di Ankara si
sono riunite per ricordare la memoria dell’anziano scrittore.
Nato nel 1925, Selçuk si laureò in
diritto nel 1950 all’Università di Istanbul. Dopo una breve pratica legale, iniziò a collaborare a numerose riviste e fondò alla fine degli
anni ‘50 una rivista di satira politica.
Nell’ultimo mezzo secolo fu caporedattore dell’importante quotidiano repubblicano “Cumhuriyet”,
un giornale laico che si ispira alle
teorie di Atatürk e sulle cui pagine,
ancora oggi, si possono leggere
articoli a favore di Cuba socialista.
Per l’impegno quale giornalista
militante, Ilhan Selçuk venne fatto arrestare e torturare dai militari di destra durante il “putsch”
del 1971 e rinchiuso nel carcere
di Ziverbey Palace (dalla cui esperienza trarrà l’omonimo romanzo). I guai giudiziari sono
continuati regolarmente e ancora di recente, nel 2008, nonostante le sue precarie condizioni
di salute e l’età avanzata, Selçuk
è stato arrestato come “terrorista” nella vertenza “Ergenekon”,
una presunta organizzazione
golpista di estrema destra che
avrebbe tentato di rovesciare il
governo del premier Erdogan.
Una vicenda strana, quella di
“Ergenekon”: lodata da Bruxelles,
questa inchiesta dipinta come
“anti-fascista” sta però portando
in carcere le poche voci critiche a
Erdogan: ex-ufficiali dell’esercito
dichiaratamente ostili alla NATO
e giornalisti di testate anti-imperialiste e laiche.
Un radicale... ... come il PLRT non ne conosce più!
Federico Engels
In memoria di José Saramago
E’ scomparso il poeta protagonista della Rivoluzione dei Garofani
Redazione
“La morte di José Saramago rappresenta una perdita irrimediabile
per il Portogallo, per il popolo portoghese, per la cultura portoghese”
- così si esprime la Segreteria del
Comitato Centrale del Partito Comunista Portoghese (PCP) in riferimento alla scomparsa del grande
poesta lusitano. “La sua statura
umana e civile di intellettuale ed
artista, ne fa una figura importante della nostra storia. La vasta
opera letteraria, notevole e unica riconosciuta con un premio Nobel
per la letteratura nel 1998 -, rimarrà come pietra miliare nella storia
della letteratura portoghese ed il
suo nome eccheggierà tra i personaggi di maggior spicco”. Egli
non fu solo un grande narratore, o
per dirla con Oliviero Diliberto, “un
innovatore sul piano della forma
e della sostanza”, José Saramago
ha partecipato nell’aprile del
1974 alla Rivoluzione dei Garofani, rendendosi protagonista
attivo della resistenza contro il
fascismo e il colonialista del regime di Salazar. Come ricorda il
PCP, Saramago “ha mantenuto
dal Giorno della Liberazione, il
suo impegno nel processo rivoluzionario, che, attraverso la
creazione di una democrazia
volta principalmente alla difesa
degli interessi dei lavoratori, del
popolo e del paese, ha profondamente e positivamente trasformato il nostro paese”.
José Saramago è stato membro del Partito Comunista Portoghese dal 1969 e la sua morte
rappresenta una perdita per
tutto il Partito, in cui ha scelto
di militare fino alla scomparsa,
con tenacia e capacità dialettica in questo importante partito
marxista-leninista che ottiene
risultati importanti anche elettoralmente.
«“Stefano Franscini è senza
alcun dubbio una delle personalità più stimate di tutta la
Svizzera. Fu essenzialmente lui
che nel 1830 riuscì a ottenere
che il Ticino rimpiazzasse la vecchia costituzione oligarchica
con una democratica; era ancora lui che marciava in testa
alla rivoluzione del 1840 che
rovesciò la dominazione del
clero e dell’oligarchia; fu sempre Franscini a mettere freno
alla corruzione e agli sprechi e
ancora lui riorganizzò in questo
povero cantone di montagna
l’insegnamento del tutto degenerato sotto la guida dei monaci. E’ un radicale risoluto!”»
(articolo di Friedrich Engels sulla
“Nuova Gazzetta Renana” del 29 novembre 1848)
www.partitocomunista.ch
www.gioventucomunista.ch
www.comunisti.ch
www.redflagtv.ch
IL SOCIALISMO DEL XXI° SECOLO
l’inchiostro rosso - 9
Rivoluzione Bolivariana e ALBA: solidarietà dalla Svizzera
Partito e Gioventù Comunista ospiti dell’Ambasciata Venezuelana per un seminario presso le Colonie dei Sindacati di Rodi
Mattia Antognini
Tra i 27 movimenti presenti
all’Incontro di solidarietà con la
Rivoluzione Bolivariana e l’ALBA
tenutosi sabato 12 e domenica
13 giugno a Rodi presso le Colonie dei Sindacati, erano presenti dal Ticino rappresentanti
del Partito Comunista (PC), della
Gioventù Comunista (GC) e del
Sindacato Indipendente Studenti e Apprendisti (SISA). Presenti
anche Giuseppe Bomio e Graziano Pestoni dell’Associazione
Svizzera-Cuba. La giovane delegazione ticinese – composta
dai compagni Roberto De Tullio, Massimiliano Ay, Mattia Antognini e Francesco Vitali – si è
subito interessata al processo
di solidarietà tra la Svizzera ed i
paesi dell’ALBA partecipando attivamente a un workshop chiamato a indicare su quali contenuti l’Ambasciata del governo di
Caracas dovrebbe sviluppare la
sua azione di informazione e di
“diplomazia popolare”. L’intenso
programma dell’incontro – composto da assemblee plenarie,
conferenze e lavori a gruppi
– ha avuto inizio già in mattinata. Dopo aver assistito alle
testimonianze di solidarietà di
alcune compagne venezuelane
residenti in Europa, l’incontro
è entrato nel vivo del suo progetto. La settantina di compagni
presenti si è infatti suddivisa in
quattro gruppi di lavoro i quali
trattavano: “La comunicazione
e i media in Svizzera”, “Cultura
pueblo a pueblo”, “La formazione
per la solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana e l’ALBA” e “La
definizione di agenda pueblo a
pueblo nella società svizzera”.
Ogni gruppo ha discusso delle
rispettive trattande per buona
parte del pomeriggio di sabato.
Evidentemente la delegazione è stata penalizzata a causa della lingua in cui tutti gli altri compagni
si sono espressi, ovvero lo spagnolo. Nonostante l’apprezzato aiuto di traduzione dei compagni
dell’Associazione Svizzera-Cuba
Federico Jauch e Sabatino Annechiarico, la delegazione non
è riuscita a comprendere le continue dilungazioni su tematiche
esterne al discorso interessato.
Ciò nonostante vi è stata una
discreta partecipazione italofona
che ha permesso al gruppo di
sviluppare ulteriormente il risultato del proprio lavoro.
Nel secondo pomeriggio, dopo
tre ore di lavoro intenso, i vari
rappresentanti dei gruppi hanno
presentato a tutti i compagni le
conclusioni parziali raggiunte.
Dopo essersi aggiornati sul procedere dei lavori, i partecipanti
hanno avuto l’onore di assistere
all’intervento di Isaìas Rodrìguez,
ambasciatore venezuelano a
Madrid ed ex-vicepresidente
della Repubblica Bolivariana del
Venezuela. L’intervento - trattante le fondamenta e gli apporti della Rivoluzione Bolivariana
ai movimenti d’emancipazione
del XXI secolo – è stato sicuramente il momento più interes-
sante dell’intera giornata. Aspetti
teorici e pratici della costruzione
del socialismo dal basso, si sono
uniti a considerazioni di carattere
geopolitico. Una volta terminato
il discorso del compagno Isaìas
Rodrìguez, si è proceduto con
la piccola esibizione della musicista Raquel Bernal ed una rappresentazione teatrale. La cena
è stata inserita tra le due attività
culturali.
Terminato il programma ufficiale la delegazione si è presa la
sua ora di pausa bevendo e discutendo in compagnia di altri
compagni, rafforzando lo spirito
fraterno di chi ha scelto di non
essere neutrale nel momento
storico di cambio che stiamo assistendo al di fuori del vecchio
continente. Giunta l’ora di coricarsi i giovani compagni hanno
poi ritenuto opportuno aprire
un appassionante dibattito ideologico interno, il quale si è prolungato fino a tarda notte.
Il lavoro mattutino della domenica ha avuto inizio con la conferenza dei giornalista militante tedesco Ingo Niebel, il quale – oltre
che parlare delle sue esperienze
nell’America Latina – ha trattato
la questione della lotta alla disinformazione. Conclusa la conferenza si è proseguito con il lavoro
a gruppi iniziato il giorno precedente, che si sono poi definitivamente spiegati nella plenaria
finale: le soluzioni proposte sono
state analizzate dai partecipanti
ed inserite nei programmi futuri
del movimento di solidarietà.
Dopo di che i partecipanti hanno ancora avuto la possibilità di
ascoltare l’ambasciatore venezuelano di Madrid, l’ambasciatore
venezuelano di Berna César
Méndez Gonzalez ed il Ministro
Consigliere Francìsco Rodriguez,
il quale ha coordinato l’intera
attività assieme alla compagna Xiomara Tortoza ed al team
dell’Ambasciata venezuelana di
Berna. Passata la fase dei ringraziamenti, la musicista Raquel Bernal ha riproposto ulteriori brani
e tutti gli invitati si sono stretti in
canti rivoluzionari che scalderebbero il cuore di qualsiasi compagno. L’incontro si è poi sciolto con
un pranzo conviviale.
La delegazione comunista composta da Partito e Gioventù Comunista da un lato più politico,
ma certamente anche il SISA dal
lato più prettamente sindacale, si
è ritenuta globalmente soddisfatta delle attività svoltesi, non solo
tramite l’incontro di solidarietà,
ma anche grazie ai momenti di
riflessione tra i giovani compagni.
Ogni militante internazionalista
torna a casa propria con il discorso
dell’Ambasciatore Isaìas Rodrìguez
bene in mente; le sue sono parole
che giungono da un’ideologia
destinata a fare rivivere - anzi - fare
rinascere l’America Latina, ma soprattutto sono parole che giungono dal cuore di chi giunto in Europa
come rappresentante diplomatico
si è reso conto dell’enorme entusiasmo offerto al popolo di tutti i
paesi bolivariani. “E’ grazie a voi ha concluso l’ex-vicepresidente di
Chavez - che noi capiamo per davvero il processo rivoluzionario!”.
DEMOCRAZIA REALE
10 - l’inchiostro rosso
Germania: controllare la LINKE e mantenere il divieto della KPD
Un tribunale tedesco autorizza la polizia segreta a controllare la LINKE... la sua attività sarebbe potenzialmente “anti-costituzionale”!
Redazione
I servizi segreti tedeschi hanno
ricevuto l’autorizzazione giudiziaria per poter continuare a sorvegliare l’attività della LINKE, il
partito fondato dall’ex-ministro
socialdemocratico Oskar Lafontaine.
Il suo essere l’unione fra una frangia dissidente della SPD attiva
soprattutto in ambito sindacale
e all’Ovest e la PDS, il partito socialista di sinistra erede della SED
marxista-leninista, partito guida
della ex-DDR, lo porta infatti ad
essere sospettato di coltivare
“obiettivi incostituzionali”, ossia
di mettere in discussione i caratterei fondanti della “democrazia”
tedesca: la proprietà privata, ossia la base del capitalismo!
Nulla di nuovo sotto il sole: è
infatti dagli anni ‘50 che in Germania è vietata la KPD, il Partito
Comunista che fu prima di Rosa
Luxemburg e poi di Ernst Thälmann e di tanti altri eroi. E fin
da allora il nuovo DKP (Partito
Comunista Tedesco), che pure
ha dovuro rinunciare ai precetti
marxisti-leninisti più evidenti per
evitare la chiusura, risulta essere
sotto osservazione degli 007 di
Bonn prima e di Berlino ora.
La decisione inerente la LINKE
giunge dopo che già una corte
di Lipsia aveva rigettato il ricorso di un membro del partito, il
quale chiedeva l’interruzione
della sorveglianza da parte degli
agenti della polizia politica della
Bundesrepublick. Il tribunale
aveva argomentato la sentenza
di rigetto ritenendo giustificata la sorveglianza poiché nella
LINKE vi sarebbero correnti che
ancora oggi si rifanno al marxismo (cioè il Forum Marxista e la
Piattaforma Comunista, organizzazioni di tendenza interne al
partito della LINKE) e che potenzialmente quindi non rinnegano
l’esperienza socialista della vecchia Germania dell’Est.
I successi della DDR fanno infatti
ancora pausa ad Occidente e il
crescente fenomeno della “Ostalgie” viene combattutto in ogni
modo attraverso controllo di polizia anti-comunista, ma pure con
una revisione dei programma di
storia nelle scuole pubbliche.
Klaus Ernst, neo-leader della
LINKE, che alle ultime elezioni
ha ottenuto un risultato importante ha giustamente dichiarato
di non accettare imposizioni
dall’esterno su chi può entrare
a far parte del suo partito e che
sfrutterà tutti i mezzi legali per
eludere la sorveglianza della polizia politica occidentale a cui è
sottoposto.
Si tratta di una bella lezione di
real-politik per tanti militanti
ingenui della sinistra europea
che condannano la STASI senza
rendersi conto che anche nelle
“libere democrazie” occidentali
esiste la polizia politica che controlla gli avversari di classe!
La sentenza della corte pregiudica la reputazione della LINKE
che, pur avendo ottenuto risultati elettorali rispettabili a livello
federale, non è giudicata idonea
dai suoi potenziali alleati a governare anche nel Bundestag. Questa potenziale limitazione forzata
al governismo socialdemocratico potrebbe però addirittura rafforzare la LINKE a sinistra, frenando la tendenza “riformista” cui era
finita.
Basta con le schedature politiche in Svizzera!
IMPRESSUM
Dopo 20 anni dal “Fichenaffäre” e dopo 70 anni dal divieto dei comunisti, la storia sembra ripetersi
“l’Inchiostro rosso”- pubblicazione
mensile di critica sociale edita dal
Partito Comunista (PC), sezione
del Canton Ticino del Partito
Svizzero del Lavoro (PSdL).
Comunicato stampa del Partito Comunista
Il Partito Comunista, sezione ticinese del Partito Svizzero del Lavoro, condanna le attività del Servizio
di sicurezza svizzero che sono venute alla luce recentemente. La schedatura di più di 200’000 persone è inaccettabile. Tutto ciò fa venire in mente cattivi ricordi legati allo scandalo delle schedature
della fine degli anni 80. Pare che il Servizio di sicurezza dello Stato non abbia imparato nulla da allora.
Purtroppo questi scandali della sorveglianza e queste attività dei servizi di informazione non sono
nulla di nuovo: il 6 agosto di quest’anno ricorre infatti il 70° anniversario della proibizione delle
attività comuniste nel nostro Paese, alla quale è seguita poco dopo la proibizione del Partito Comunista Svizzero. Molti funzionari del Partito Comunista sono stati arrestati e molti deputati eletti
democraticamente nelle varie istanze hanno perso i loro mandati. La polizia politica svizzera ha poi
continuato a tenere d’occhio il nostro Partito anche nel dopoguerra con schedatura, pedinamenti,
fermi e addirittura l’espulsione dalla Svizzera dei nostri membri che non detenevano il passaporto
rossocrociato.
La proibizione dei comunisti del 1940, la “scoperta” delle schedature del 1989 così come il nuovo
scandalo costituiscono delle aggressioni massicce alla sfera privata della popolazione svizzera e nello stesso tempo degli attacchi fondamentali alla democrazia stessa. Esigiamo quindi non solo la fine
della raccolta arbitraria di informazioni ma pure la fine dell’impegno del Servizio di sicurezza contro
le cittadine e i cittadini.
Abbonamento annuo: Fr. 25.-Sostenitore: Fr. 50.-Estero: EUR 20.-CCP 69-4018-1
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l’inchiostro rosso - 11
Le pacche sulle spalle non bastano, ma neanche un ceffone va bene!
I liberali prima tagliano nella formazione e nel sociale, poi si lamentano del disagio giovanile e favoriscono misure repressive
Aris Della Fontana
Ho seri dubbi circa i risultati positivi di questo tipo di strutture
detentive, altresì definite con il
termine di “riformatori”: insomma, nient’altro che dei carceri
giovanili. Questi sono concetti
pericolosi e riferibili ad altri tempi, soprattutto per la loro accezione intrinsecamente repressiva.
In un’ottica puramente finanziaria, poi, l’onere complessivo
di questi centri peserà in modo
importante sulle finanze cantonali. Diversi milioni di franchi
che non sono rapportabili ai potenziali risultati di questi centri e
che potrebbero invece essere investiti nei settori della prevenzione e della riduzione del danno.
Desta inoltre stupore constatare
come il numero di ragazzi condannati negli ultimi anni sia veramente esiguo, infatti dal 2007
al 2009 sono stati internati in
strutture di oltre cantone solo 8
ragazzi! Il giovane che viene sot-
toposto a “soluzioni” come il riformatorio viene intaccato dal punto
di vista psicologico ed è lecito
chiedersi se questa traccia negativa si possa protrarre su tutto l’arco
della vita. Il problema sociale, che
non nego, viene posticipato in termini temporali, assumendo ulteriori tratti negativi dato che non si
vuole dare la priorità (politica e di
riflesso finanziaria) nel risolvere la
problematica dalla radice. Ritengo
inoltre si debba agire mediante
manovre caratterizzate dall’azione
sul lungo periodo poiché solo con
una visione complessiva del problema e delle sue origini, sarà possibile eliminarlo completamente.
Non è peraltro certificato il miglioramento in termini di comportamento del potenziale internato:
l’ambiente in cui il soggetto si
trova a dover vivere per determinati periodi, non potrà che, dato le
strette somiglianze con un centro
di detenzione per adulti, essere
collegato al proprio sbaglio, assottigliando dunque le possibilità da parte dell’interessato di intraprendere dei miglioramenti;
egli verrà consumato, nella sua
giovane età, da un peso che non
è in nessun modo rapportabile
alla sua persona ed infine gravemente compromesso nella sua
interiorità psicologica. A dirla
tutta, i riformatori non possono
sempre vantare esperienze positive negli altri cantoni.
L’opinione pubblica è incline
ad accettare contenuti quali ordine e disciplina. La società, in
questi particolari periodi di crisi,
secondo un istinto di auto-conservazione, si richiude a guscio
su se stessa, diventando meno
lungimirante, serbando uno
spirito inquieto e cercando disperatamente dei capri espiatori.
Ecco dunque che il riformatorio ci appare come la panacea a
tutti i mali, la soluzione più ap-
propriata per risolvere la situazione della criminalità giovanile
e, del resto, anche di molte altre
problematiche. La società occidentale si trova nel bel mezzo di
una crisi economica strutturale
del sistema capitalista. Il disagio
sociale (tagli nelle prestazioni, licenziamenti e disoccupazione
giovanile) non potrà che essere crescente. È immaginabile,
stando allo stretto legame che
sussiste tra il tasso di criminalità
e la situazione economica, una
cornice di eventi caratterizzata
dall’incremento di atti criminosi,
in cui a pagare saranno le fasce
deboli della popolazione, tra cui
anche i giovani; unitamente ad
un potenziale irrigidimento della società, che porrà le basi per
provvedimenti e manovre liberticide. Chi è in difficoltà avrebbe
bisogno di sostegno concreto
(altro che pacche sulle spalle!),
invece di finire in carcere!
Fare il saluto nazista in Svizzera non sarà punibile...
Il governo federale banalizza l’ostentare simbologia nazifascista proprio quando l’estrema destra si rafforza!
Massimiliano Ay
Fare il saluto romano o mostrare
una svastica non sarà punibile in
Svizzera. Lo ha deciso di recente il Consiglio federale. Mentre
in tutto l’Occidente i fenomeni
neo-fascisti stanno tornando
in auge mascherati in parte
dall’aggettivo “democratico” e
mentre la “guerra fra poveri” che
vede contrapposti - per la felicità
del padronato - lavoratori indigeni a lavoratori immigrati cresce, il
nostro governo banalizza la simbologia criminale che veicola
messaggi molto preoccupanti
anche fra i giovanissimi. Ma in
Svizzera la norma anti-razzismo
si preferisce utilizzarla contro
ricercatori storici (per quanto
le loro tesi possano essere discutibili), piuttosto che contro chi
esplicitamente loda Hitler o milita a favore di un clima d’odio e di
intolleranza.
Non c’è peraltro da stupirsi: nei
paesi dell’Est, i governi amici
dell’UE e della Svizzera, non solo
stanno erigendo statue in memoria degli occupanti nazisti, ma
addirittura vietano “democraticamente” i partiti comunisti e operai
(che sono spesso realtà di massa
con risultati elettorali non indifferenti). Senza dimenticare la vicina
Italia, dove Berlusconi (che ha riportato in governo gli eredi dichiarati del Ventennio) non solo equipara repubblichini e partigiani,
non solo inserisce negli esami di
maturità argomenti politicamente
faziosi, ma snatura addirittura la
Costituzione sorta dalla Resistenza
svuotando di contenuto il potere
legislativo e giudiziario.
Il vento della crisi dell’Occidente
è un vento pericoloso, fatto di
nazionalismo, razzismo e militarismo, metodi per tenere a bada il
disagio sociale e indirizzare il malcontento verso obiettivi che non
mettano in discussione lo status
quo capitalista. In questo contesto
sono la scuola, gli insegnanti e i
movimenti studenteschi a dover
ritrovare quel ruolo di coscienza
collettiva incisiva, tipica dell’ “’intellettuale organico”, che negli
ultimi anni è andato perso con
la scusa della “neutralità”. Anche
la scuola, infatti, è finita nella
logica del consumismo (cioè dal
nozionismo a crocette e della
“compravendita” di crediti) che
- per dirla con Pasolini - a tutto
rende indifferenti, incapaci di indignazione, incapaci di passione.
Elementi che sono il sale della
vera democrazia e della vera libertà.
Gramsci diceva: “odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire
essere partigiani. L’indifferenza
è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita”. Bisogna
dunque ritrovare il coraggio
di dire che il il fascismo non è
un’opinione, ma è un crimine:
e un crimine va perseguito! E
allo stesso modo va rifiutato il
tentativo di mettere sullo stesso
piano il nazifascismo con il so-
cialismo. Del primo rifiutiamo
tutto: il culto dalla guerra, la
teoria della razza e del darwinismo sociale (già ben presenti
nel “Mein Kampf”); che - al di
là delle storture verificatosi in
determinati paesi - sono invece assenti dall’ideale profondamente umanista del secondo: le battaglie per i diritti dei
lavoratori, per l’uguaglianza
sociale, per la parità uomodonna, per il diritto allo studio
e alla sanità gratuiti, ecc. sono
infatti presenti sia nel socialismo teorico, sia in quello “reale”.
12 - l’inchiostro rosso
DOPO 9 ANNI STIAMO ANCORA ASPETTANDO UNA VERA GIUSTIZIA !!!
(...) Non è mia intenzione in questa sede trattare cosa realmente
sia successo in quei giorni a Genova. L’ho fatto già allora, non con
la voce del testimone, ma con la voce di un indignato diciottenne
che inizia a capire la faziosità della stampa libera europea. Con la
rabbia di chi vede la Televisione pubblica, la nostra TSI, invitare
come ospite un giornalista di estrema destra come può essere Vittorio Feltri che si diverte a spalare merda, scusate l’espressione ma
è l’unica accettabile, su Carlo e sui fatti reali di quelle giornate. La
mia è una voce incazzata di chi non avendo mai praticato forme di
boicottaggio decide di non più acquistare quel Corriere della Sera
tanto consigliato al liceo che mi lascia schifato dallo spessore propagandistico dei suoi reportage genovesi. Sono stati giorni in cui
lo Stato di diritto non esisteva, in cui le forze di sicurezza non solo
massacravano ragazzini minorenni, impauriti e tremanti, ma anche senatori della Repubblica. Al di là della ricostruzione oggettiva
e cronologica di quel 20 luglio 2001, vale la pena ricordare come
Carlo fosse dipinto allora come uno squatter violento, drogato,
estremista. Si è poi rivelato essere un semplice studente di storia,
obiettore di coscienza, vicino a Rifondazione comunista ma che
votava, pragmaticamente, il Centrosinistra per evitare (invano) la
vittoria della destra fascista e berlusconiana che lo fece assassinare.
Ma Genova non è stata solo l’uccisione di Carlo, è stato molto di
più: una città blindata, i genovesi sfrattatati, un sistema di sicurezza colossale che mirava a indebolire il movimento e ad esercitare
una repressione degna di altri e bui tempi. Ragazzi che dormivano
in una palestra attaccati in piena notte, massacrati di botte nel più
totale riserbo. La stampa tenuta all’oscuro di tutto il possibile, gli
avvocati e i medici impediti nella loro attività, i responsabili del Genoa Social Forum con senatori e deputati trattati come i peggiori
criminali di questo mondo. Per non parlare di forme di tortura che
niente hanno da invidiare a quei paesi che noi occidentali amiamo condannare dall’alto dei nostri diritti dell’uomo, diventati ormai solo una nuova forma, palesemente ipocrita, di dominazione.
Genova ridotta a un terrore degno del miglior esempio di dittatura
militare latinoamericana (...)”.
Carlo Giuliani (1978-2001)
LE NOSTRE CASSE SONO SEMPRE IN ROSSO: AIUTA
IL NOSTRO MENSILE A CONTINUARE LA SUA OPERA DI CONTROINFORMAZIONE DI SINISTRA!
FA CONOSCERE QUESTO GIORNALE E DACCI UNA MANO:
VERSANDO L’ABBONAMENTO AL CCP 69-4018-1
Massimiliano Ay
(e-mail ai membri del SISA del 20 luglio 2006)
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