Comments
Transcript
“amico del ticino” ? ma fateci il piacere
l’inchiostro rosso Mensile di critica sociale della Svizzera Italiana - Estate 2010 - Anno 9 N° 7/8 “I proletari non possono abbandonare la lotta in nessunissima situazione”. Pietro Monetti (1904-1975), segretario del Partito ticinese del Lavoro “AMICO DEL TICINO” ? MA FATECI IL PIACERE ! Per il presidente del Partito Socialista ticinese Manuele Bertoli, il dimissionario consigliere federale Moritz Leuenberger sarebbe un “amico del Ticino”. Il massimo dirigente socialdemocratico ticinese non si è però reso conto che questo “amico del Ticino” ha contribuito a smantellare il servizio pubblico e le ex-regie federali proprio dal Ticino e licenziando lavoratori residenti in Ticino. E’ da pazzi affermare frasi simili: sono queste dichiarazioni totalmente fuori luogo che fanno perdere credibilità alla sinistra e che spingono i lavoratori nell’orbita leghista. Al di là del fatto che una presunta “amicizia” (e cosa vuol dire, poi?) per il nostro cantone è una categoria politicamente piuttosto vuota (soprattutto per un politico di sinistra) e dal sapore molto campanilista, il fatto politico centrale è che Leuenberger non è stato per niente un amico dei lavoratori né ticinesi né di altri cantoni, ma a Manuele Bertoli questo evidentemente è sfuggito, l’importante è difendere a tutti i costi l’operato di un ministro liberale ma con la tessera socialista! I comunisti queste incoerenze si ostinano a non accettarle e il PS delude ogni giorno sempre di più come partito saldamente egemonizzato dai centristi e parte integrante della struttura borghese-consociativa del paese. All’interno di questo numero Servizio civile, un’alternativa valida al militare: intervista a Janosch Schnider Il divieto del burqa: un falso problema posto nell’agenda politica borghese Nuovo scandalo delle schedature in Svizzera. Sorvegliata pure la LINKE. L’INTERVISTA 2 - l’inchiostro rosso Stare fra i lavoratori e agire per la collettività! Nostro colloquio con Janosch Schnider sul servizio militare e l’alternativa che molti giovani cercano Janosch Schnider, neo-maturato al liceo di Bellinzona, è un giovane comunista noto per le sue responsabilità nel sindacato studentesco. Attualmente si trova in servizio civile (che - ricordiamo - non ha niente a che vedere con la protezione civile) quale operaio del servizio ausiliario in ospedale: è infatti uno delle migliaia di giovani che hanno rifiutato di assolvere la scuola reclute. Il suo nome figura inoltre fra i promotori dell’iniziativa popolare per abolire l’obbligo di leva. Gli abbiamo posto alcune domande. Per quale ragione al momento del reclutamento hai annunciato la tua obiezione al servizio militare? Da bambino mi colpirono in modo particolare le immagini delle guerre balcaniche di metà anni ‘90, il che mi permise di sviluppare una coscienza fortemente critica nei confronti di tale contesto. In seguito capii fin da subito che la mia personalità sarebbe stata difficilmente adattabile ad un ambiente autoritario; inoltre ho imparato a sviluppare una coscienza critica, a pensare con la mia testa, cosa che nell’esercito è vivamente sconsigliabile. Si tratta poi, a mio modo di vedere, di un istituzione anacronistica, i cui costi -in questi decenni di smantellamento della socialità- non sono più accettabili. Qualcuno a sinistra ritiene che bisogna lavorare all’interno dell’esercito per democratizzarlo, anche perché a indossare la divisa vi sarebbe ampia parte della classe operaia. Cosa ne pensi? L’esercito svizzero - aldilà della propaganda, sempre meno credibile, che né giustifica l’esistenza in virtù di una presunta funzione difensiva - rappresenta in realtà uno dei più efficaci mezzi di controllo sociale dispiegati dall’apparato statale (a tal proposito è bene ricordare Marx, secondo cui lo stato è sempre orientato alla conservazione degli interessi complessivi della classe dominante, e a tale funzione risponde appunto l’esercito svizzero). È proprio per questo motivo che l’esercito non sarà mai democratico, del popolo e per il popolo: è bene ricordare quanto scrisse lo scrittore elvetico Max Frisch, asserendo che “l’esercito svizzero per fortuna ha sparato di rado, ma quando ha sparato lo ha fatto contro i suoi stessi cittadini (si pensi alla repressione delle manifestazioni operaie contro il fascismo)”. Quali vantaggi presenta invece il servizio civile? Innanzitutto permette di elevarsi al di soprà di un istituzione anacronistica e fuorviante, evitando le suddette influenze omologanti e la riduzione dell’individuo ad una sorta di automa. In secondo luogo da la possibilità di offrire un vero servizio a favore della popolazione, attraverso lo svolgimento di un numero estremamente variegato di mansioni, in tutta la Confederazione. Ciò significa ampliare in maniera considerevole le proprie esperienze e il proprio curriculum (dato fondamentale nel mondo del lavoro), imparare a prendere contatto coi datori di lavoro (ibidem) , sapersi autogestire () e, non meno importante, vivere momenti arricchenti da un punto di vista umano. Non vengono meno ne il dato finanziario, in quanto il guadagno complessivo è addirittura maggiore rispetto a quello del militare, ne il possibile contatto col pluringuismo elvetico, essendo gli istituti d’impiego sparsi su tutto il territorio svizzero. Come sono state queste prime settimane da civilista? Deluso o contento della tua scelta? Oserei definirmi entusiasta: la precedente risposta è tratta soprattutto da quest’esperienza che sto vivendo all’Ospedale San Giovanni di Bellinzona. In questi giorni sto imparando a conoscere un istituzione importantissima (questa sì) come l’Ospedale, la sua quotidianità, le dinamiche quotidiane, le tantissime persone che vi ruotano attorno. Sto inoltre arricchendo la mia capacità di svolgere vari lavori manuali, che spesso noi studenti ignoriamo. Quanto pensavo è stato confermato dai fatti, cioè che non ci sono dei motivi razionali per preferire la leva al SC. Franco Cavalli ha detto recentemente che è preferibile un esercito di leva che un esercito di professionisti. Tu sei uno degli iniziativisti per abolire il servizio militare obbligatorio, cosa ti senti di rispondere al leader di Prospettive Socialiste? Cavalli sembra convinto che un esercito di leva sia meno pericoloso di uno professionistico - peraltro quello svizzero è già semiprofessionistico - ma dimentica che molti tra i primi hanno originato storicamente colpi di stato militari (Cile, Argentina, etc), inoltre l’iniziativa non ha mai chiesto il passaggio al pieno professionismo: per fare ciò occorrerebbe un nuovo ricorso al voto popolare. È imbarazzante che Cavalli - fautore del tutto (abolizione dell’esercito) o niente (status quo) - non voglia accettare tappe intermedie: in questo modo non fa altro che prestarsi all’estremismo, giocando contro gli interessi di tutti i cittadini coscienti della natura anacronistica, nonché oppressiva, dell’esercito svizzero. No alla leva! Il Comitato Cantonale del Partito Comunista ha accolto con favore l’iniziativa popolare atta ad abolire la leva obbligatoria. E tramite la Gioventù Comunista contribuirà a gestire in Ticino la raccolta firme. Si tratta di un’iniziativa a favore dei giovani che ancora oggi vengono intruppati in un esercito sovradimensionato, sempre più inglobato nell’ottica NATO (missioni all’estero per conto di terzi) e insicuro (vedi crescente numero di incidenti in servizio) anche a causa di “rambo” che giocano con la vita dei ragazzi. Il servizio militare è diseducativo sia eticamente (perché non ragiona circa la risoluzione pacifica dei conflitti), sia politicamente perché trasmette valori nazionalisti, imperialisti e sessisti. Socialmente inoltre non educa affatto alla convivenza e alla responsabilizzazione, come vorrebbero far credere invece gli i politici-ufficiali Badaracco (PLR) e Gobbi (Lega), al contrario viene trasmesso il disvalore del conformismo e dell’ubbidienza servile. Già oggi il servizio militare per quanto obbligatorio è sempre meno partecipato: solo il 40% di una classe di leva adempie i propri obblighi al completo. Il nostro non è quindi già più un esercito “di popolo” come vorrebbe la mitologia elvetica. Inoltre la Svizzera risulta essere uno dei paesi più militarizzati d’Europa: abbiamo infatti più soldati attivi noi dell’Italia e siamo di poco sotto agli effettivi dell’esercito tedesco! Questo apparato pachidermico deve quindi essere drasticamente ridotto liberando energie umane e risorse economiche a favore del servizio civile che fornisce a tanti giovani delle esperienze soprattutto in campo sociale, sanitario, educativo ed ambientale. Il Partito Comunista resta per l’abolizione del farsesco esercito svizzero che costa miliardi di franchi (tagliati ai servizi pubblici e al welfare). Visto però che la popolazione non è pronta per tale opzione, riteniamo positivo e pragmatico rendere volontaria la leva. Non condividiamo il ragionamento del “tutto e subito” di Franco Cavalli (PS), secondo cui o si abolisce l’esercito o lo si mantiene così com’è: l’iniziativa infatti àncora alla Costituzione il principio che l’esercito rimane di milizia e non professionista, toglie però ai giovani il fardello di un obbligo inutile e diseducativo. OPPOSIZIONE SOCIALE l’inchiostro rosso - 3 Il divieto del burqa. Dopo i minareti la storia si ripete! Creare odio e falsi problemi per sviare l’attenzione Amedeo Sartorio Secondo UNIA, in Svizzera non ci sono nemmeno un centinaio di donne che portano il velo integrale, nessuna della quali porta il Burqa, un abito tradizionale afgano che non lascia scoperti neppure gli occhi. È dunque più che lecito domandarsi come mai tutti i media e tutti i partiti ne parlano con un tale fervore. Nell’Europa intera si moltiplicano le richiesta di interdizione di tale indumento: in Francia è ormai proibito in tutti i luoghi pubblici, così come in alcune regioni della Spagna. Il cantone Argovia è stato invece il primo in Svizzera a fare una proposta simile, e in Ticino il Guastafeste di Ghiringhelli è riuscito a raccogliere molte firme contro burqa e niqab. Secondo i promotori di tali iniziative la lotta contro il velo integrale è una lotta contro il maschilismo, contro una colonizzazione islamica dell’Europa, e a favore della sicurezza. Se vogliamo veramente capire la “questione burqa” dobbiamo però fare una piccola analisi della situazione politica, economica e sociale dei paesi occidentali in questa fase storica. Essendo marxisti sappiamo come negli anni successivi alla crisi capitalista di sovrapproduzione del 1929, un po’ ovunque nel mondo, le classi dirigenti hanno intensificato il controllo sulla popolazione per mantenere una certa stabilità politica di fronte al malcontento delle classi popolari. Oggi la storia si ripete! In tutti i paesi liberali o socialdemocratici l’attacco allo Stato sociale a raggiunto livelli mai visti in questi ultimi decenni. In Svizzera sono toccate in particolare le pensioni, l’assicurazione disoccupazione e i salari. In altri paesi, la Grecia in prima fila, la situazione è ben più grave e i potenti fanno pagare la loro crisi ai lavoratori e alle lavoratrici facendo cadere la maggioranza della popolazione in una situazione di precarietà. Per mantenere il potere, la classe politica deve focalizzare l’attenzione della gente su dei falsi problemi. Nello stesso tempo, dopo gli attentati dell’11 settembre a New York, i paesi occidentali non fanno che parlare della minaccia del terrorismo islamico e una mentalità antimusulmana si sta diffondendo tra le masse popolari. Perché non usare quindi i musulmani come capro espiatorio di diverse problematiche? La proibizione del velo integrale non serve assolutamente a nulla! L’ipotesi di un’invasione fisica e culturale da parte dei musulmani è una farsa. Nello stesso tempo l’emancipazione delle donne deve passare prima di tutto dall’eguaglianza di salario con gli uomini, dalla loro partecipazione alla vita politica e culturale, da una maggiore difesa del loro lavoro durante la maternità,… Non è criminalizzando una manciata di donne che si aiuta l’emancipazione della donna. Anche se questi vestiti rappresentano un radicalismo islamico che si allontana dai messaggi del Corano, parecchie donne che li indossano, lo fanno per convinzione, e non per imposizione. La proibizione di burqa e niqab, come lo era quella dei minareti o l’amplificazione dell’”affare Gheddafi”, non sono quindi nient’altro che una scelta tattica messa in atto dalla borghesia per fomentare una guerra fra poveri. I borghesi ci vogliono far credere che gli stranieri, specialmente se musulmani, sono i veri nemici del popolo svizzero, quando invece i nostri soli nemici sono i grandi capitalisti che vivono nel nostro paese. Una tale proibizione sarebbe poi un’altra sfida nei confronti della Lega Araba, che non a torto ci ha già classificati come paese razzista dopo il voto popolare sui minareti. I cittadini svizzeri e le cittadine svizzere non devono seguire una propaganda che porta dritta alla guerra e all’odio. Si devono unire ai popoli di tutti i paesi per liberarsi dal capitalismo e costruire insieme il loro futuro nella pace, il rispetto e la solidarietà. Elezioni: convocata la commissione politica del Partito Comunista Aprofittare delle elezioni per intensificare la presenza sul territorio e l’elaborazione politica della sinistra combattiva Massimiliano Ay Il Partito Comunista in maggio ha deciso di dotarsi di una Commissione che prepari un Programma d’azione dei comunisti in Ticino, da cui trarre anche un programma elettorale. Ritenendo troppo vago il programma elettorale del 2007, si è deciso di rielaborarlo rendendolo anzitutto uno strumento di lavoro quotidiano del Partito sul territorio: non si tratta, insomma, di una semplice Commissione elettorale, perché le elezioni devono essere un strumento e non un fine: dobbiamo insomma toglierci di dosso ogni elemento di “cretinismo parlamentare” che porta solo al distacco fra la popolazione e il ceto politico. Occorre, al contrario, concentrarci su un programma d’azione adatto per il lavoro nelle istituzioni, ma soprattutto che sia un punto di riferimento per le lotte sociali cui partecipano i militanti comunisti sui posti di studio, di lavoro e nella società civile. Riconquistare dei seggi in Gran Consiglio è comunque importante: offre la possibilità di portare nelle istituzioni i problemi reali delle classi sociali meno favorite e di ricevere informazioni sul malaffare borghese, nonché di far capire chiaramente che, anche se siamo una forza politica ancora piccola, non siamo affatto (e non dobbiamo ridurci ad essere per pigrizia nostra) una forza politica marginale! Il Partito Comunista deve però sapersi porre come alternativa credibile alla socialdemocrazia ormai svendutasi al liberalismo. E’ questo l’unico modo per evitare che prevalga un drammatico “voto utile” verso il PS: troppo spesso siamo stati silenti verso i voltafaccia dei social-liberali, ora è giunto il momento di dire dove sta la Sinistra che non tradisce, e in questo come Partito Comunista abbiamo solo carte in regola da giocare! Affinché si possa incidere maggiormente abbiamo chiesto già in febbraio al Movimento per il Socialismo (MPS) di iniziare un dialogo, che dura ancora oggi, per favorire l’unità d’azione della sinistra di classe e di trasformazione sociale del Cantone. Nes- suno vuole sottovalutare le differenze politiche e di metodo che esistono fra noi e i troskisti, nessuno qui propone fusioni, tuttavia riteniamo che se si lavora su ciò che ci unisce rispetto a ciò che ci divide i margini per presentare una lista unitaria di matrice anticapitalista alle elezioni cantonali sia fattibile. SI MUOVE A SINISTRA 4 - l’inchiostro rosso LORD: dove vogliamo andare? Giovani operai greci a Ginevra I problemi della meritocrazia per i lavoratori socio-sanitari Delegati del SISA incontrano il PAME e altri sindacati di classe Ancora una volta il profondo abisso che separa istituzioni governative ed il popolo lavoratore viene accentuato sempre più dagli interessi di bottega dei partiti borghesi, ma in questo caso purtroppo non solo da loro. Il Gran Consiglio, o meglio, la sua maggioranza, (per non sminuire il lavoro di chi in parlamento lavora davvero), stavolta ha dato il “meglio” di se tanto da far invidia alla cosiddetta “Camera dei Lord” britannica (roccaforte dei conservatori e non propriamente vicina ai ceti popolari), approvando la revisione di una legge che porterà ad una sistematica e distruttiva rottura dei rapporti di lavoro tra dipendenti pubblici. Ma questo, la camera dei LORD ticinese lo sa, o meglio, si spera che lo sappiano. Come giustificare quindi la decisione? In un paese come il nostro, dove tacitamente tra le condizioni di lavoro e di assunzione c’è l’appartenenza politica o ideologica che non contrasti “lo spirito” dell’posto di lavoro (che guarda caso corrisponde all’appartenenza politica del datore di lavoro), ecco il trionfo non più del lavoro inteso come benefico contributo al benessere nazionale, ma del servilismo, della delazione e tutto per un tozzo di pane e per una sperata (che non arriva mai) pacca sulla spalla da parte dei superiori. Che dire quindi del settore socio-sanitario, di cui il sottoscritto fa parte? Nelle aule del potere, forse la situazione delle condizioni di lavoro dei dipendenti sanitari e sociali non è conosciuta o volutamente, poco presa in considerazione. Il lavoratore socio-sanitario è confrontato con drastiche misure di restrizione qualitativa. Ne sa qualcosa il personale, che si trova al lavoro confrontato con una sempre più crescente “logica aziendale”, con il personale contato al centesimo nell’organizzazione giornaliera e notturna (che se dovesse, per forza maggiore, accadere una malattia improvvisa od un infortunio, si mette in crisi tutto l’apparato organizzativo e di conseguenza ne fa le spese il paziente in generale che si trova così privato, inevitabilmente, di una percentuale di presa a carico), la precarietà e la mancanza di un contratto collettivo. Mettiamo in conto anche il lavoro d’èquipe e la logica interdisciplinare, importantissima nel lavoro sociale e sanitario, per una presa a carico del paziente a 360°. Se quest’ottica di lavoro condiviso e armonico viene messo in discussione, come la meritocrazia senza dubbia farà, cosa succederà negli istituti sociali e sanitari? Signori qui non si parla di noccioline come vogliono farci credere, si parla di degenti, di persone malate, che da sole non ce la fanno. Cosa succederà se la meritocrazia distruggerà l’armonia tra i lavoratori nei reparti? Come potrà il lavoratore socio-sanitario essere “meritevole” agli occhi del superiore per non incorrere in una valutazione negativa? Aumentando forse il numero di iniezioni da fare per paziente? O forse di dimentica che in un’ottica interdisciplinare ognuno vale in base alla propria esperienza e conoscenza personale? Cosa succederà se il lavoratore socio-sanitario, confrontato con l’impegnativo compito di prendersi cura di un paziente dovrà guardarsi le spalle dai colleghi e dai superiori? La risposta si può immaginare. Il lavoratore va semplicemente in crisi e questo a discapito del paziente che si ritrova, ahimè, privato di un servizio di qualità. Il lavoratore, che si trova con un fucile piantato in faccia e che per sopravvivere dovrà anche lui piegarsi alla logica del lavoro servile, sempre grazie alla politica meritocratica. E non dimentichiamoci che il paziente è un essere umano e nonostante gli sforzi per celare giustamente a quest’ultimo le difficoltà dell’équipe, inevitabilmente percepirà sempre che qualcosa non va e se ne preoccuperà, perché si chiederà, non esternandolo, se cambierà in peggio la sua presa a carico. Questo è solo un esempio di cosa porterà la meritocrazia nel settore socio-sanitario. Il 14 giugno mi sono recato a Ginevra con i compagni Raffaele Morgantini, Esteban Muñoz e Fabrizio Crameri al 65° anniversario della Federazione Sindacale Mondiale (FSM). La nostra piccola delegazione rappresentava il Sindacato Indipendente degli Studenti e Apprendisti (SISA), unico sindacato sizzero presente all’evento. Arrivati sul posto, nel palazzo del «Bureau International du Travail», siamo stati accolti con entusiasmo dalla compagna Osiris Oviedo (CTC Cuba) responsabile permanente della FSM presso l’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Osiris Oviedo ci ha subito presentati ad alcuni esponenti del PAME, il sindacato di classe che funge da avanguardia nelle lotte dei lavoratori greci, nonché a membri della Gioventù Comunista Greca (KNE). Dopo aver conosciuto alcuni ragazzi è cominciato l’evento: i dirigenti della FSM hanno ripercorso la sua nobile storia, dalla fondazione dopo la seconda guerra mondiale, passando per i momenti bui cominciati con il crollo del blocco sovietico, arrivando al 2005 fino ad oggi, in cui la FSM riprende forza e porta avanti sempre più lotte nel mondo. Il Ministro del Lavoro cubano ha portato i saluti del governo di Raul Castro e ha chiesto la solidarietà di tutti i Roberto De Tullio, coordinatore per il Mendrisiotto della GC Amedeo Sartorio sindacati nei confronti di Cuba, che, anche con Obama al potere negli USA, resta soffocata dall’embargo. Altro intervento importante è stato quello di un compagno sudafricano che ha commosso tutti toccando diversi temi come la speranza che danno agli africani i movimenti socialisti dell’America latina, come il dovere morale di ogni uomo di schierarsi contro lo stato fascista di Israele, come il colossale fallimento dell’UE e l’insostenibilità del sistema capitalista. Dopo i vari interventi, a volte con toni un po’ da cerimonia, si sono potute intensificare le relazioni interpersonali con sindacalisti di tutto il mondo: venezuelani, cubani, nepalesi e greci. Abbiamo subito legato coi compagni greci visto che avevano tutti circa la nostra età e abbiamo incontrato George Mavrikos, il segretario generale della FSM, nonché deputato comunista in Grecia. Dopo il rinfresco siamo andati tutti insieme in città discutendo dei nostri rispettivi sindacati e partiti. È stata l’occasione per capire cosa sta succedendo in Grecia in questo periodo di crisi e qual è l’importante ruolo che hanno il KKE (il partito comunista) e il suo sindacato nella lotta dei lavoratori contro il governo venduto a UE e USA di Papandreou. l’inchiostro rosso - 5 SUCCESSI ELETTORALI SEMINARIO INTERNAZIONALE In Belgio il PTB triplica i voti! Uscire dalla crisi da sinistra Contro la divisione del paese e interni alle lotte sociali Dibattito fra i partiti operai di tutto il mondo Il Partito del Lavoro del Belgio (PTB), piccola organizzazione marxista-leninista di ispirazione filo-cinese, si era presentato alle elezioni europee dello scorso anno con lo slogan “Stop al circo politico” con una lista aperta agli indipendenti che evidenziava la nuova “linea di massa” adottata dal Partito con il suo ultimo Congresso del 2007. In quell’occasione si erano allentati i principi maoisti per rendere più vicino ai problemi concreti della classe operaia e degli studenti l’azione politica dei comunisti nella fase storica particolare. Sul piano politico, quindi, la partecipazione alle elezioni del PTB è stata una sorta di banco di prova per l’attuazione degli orientamenti congressuali che possono essere riassunti nel precetto: “fermezza sui principi, flessibilità nelle tattiche”! Peter Mertens, giovane sociologo presidente del partito, spiega: “da un lato, la crisi mostra più che mai il capitalismo come un sistema barbaro e disumano e il socialismo come una necessità oggettiva. Dall’altro, le condizioni soggettive delle masse appaiono ancora molto arretrate rispetto a questo livello di coscienza. In passato, abbiamo spesso trascurato quest’ultimo aspetto limitandoci ad affermare le nostre verità. Ma la cosa importante non è avere ragione, ma convincere gli altri della bontà di questa idea. E perché questo avvenga, è necessario cogliere i germi di resistenza, per scoprire su quali questioni le masse sono pronte a mobilitarsi e contro cosa la loro rabbia è diretta”. Nel frattempo il governo belga è nuovamente caduto e a giocare un ruolo importante in tale instabilità politica è stata la questione nazionale. Il PTB è ormai l’unico partito nazionale rimasto, tutti gli altri - compreso il Partito Comunista - si sono scissi in partiti di lingua francese e partiti di lingua fiamminga con organi dirigenti, statuti e programmi diversi a seconda della comunità linguistica. Il PTB invece ha rifiutato ogni separatismo e, unitamente ai sindacati, chiama all’unità nazionale e alla solidarietà dei lavoratori delle due comunità. Stando ai vertici del PTB, “le larghe masse sono stufe dell’opzione nazionalista che porta alla divisione del paese”. Contro - insomma - la spaccatura del Belgio! E’ questo il motivo per il quale il PTB ha scelto di presentare una propria lista alle elezioni rifiutando convergenze con altre organizzazioni della sinistra radicale. Lo slogan della campagna è stato “votate CONTRO, votate PTB”. Per il PTB, infatti “l’offerta nazionalista divide la classe operaia proprio nel momento in cui è necessaria la più grande unità tra lavoratori fiamminghi, valloni, brussellesi e immigrati contro le oscure misure che ci aspettano”. Come tutti i paesi europei, anche il Belgio si è pesantemente indebitato per salvare le banche e il deficit di bilancio ammonta al 6% del PIL. Il precedente governo stava preparando una riforma radicale del sistema previdenziale per arrivare all’estensione dell’età lavorativa. Ma non vi è nel PTB uno spirito puramente elettoralista: “come in tutti i paesi capitalistici, la disoccupazione è alle stelle, mentre la lista delle ristrutturazioni e dei licenziamenti si allunga di giorno in giorno - spiega Mertens - il nostro slogan significa che il PTB vuole organizzare la resistenza contro la distruzione sociale. Dall’esplosione della crisi il nostro Partito cerca di concentrare tutte le forze sulla mobilitazione delle masse contro la politica della crisi. Vogliamo concentrare la nostra attività nell’intervento all’interno della lotta di classe, nelle fabbriche e nei servizi pubblici. La crisi ci costringe a combattere la routine offrendoci un’eccellente opportunità per rivoluzionare il nostro Partito. Anzitutto, abbiamo dovuto fare in modo che i nostri iscritti prendessero piena coscienza della profondità della crisi sistemica. Abbiamo dedicato sessioni speciali del Comitato Centrale a questo tema, in modo che l’intero Partito, fosse sul piede di guerra”. La crisi ha una soluzione sola: muoversi verso il socialismo. È l’ambiziosa conclusione emersa al 19° seminario comunista internazionale che si è tenuto il maggio scorso a Bruxelles. L’incontro ha riunito una quarantina di partiti comunisti e operai di tutto il mondo. L’obiettivo era d’approfondire e condividere le analisi sulle ripercussioni della crisi e le possibili risposte da elaborare. Gli interventi, che partivano dalle esperienze e punti di vista molto diversi, avevano come obiettivo d’arrivare ad una sintesi utile per rafforzare il movimento dei lavoratori e delle classi popolari. Tutti d’accordo sul fatto che la crisi attuale non è assolutamente finita, i partecipanti hanno approvato un documento comune che presenta gli effetti concreti della crisi e qualche proposta strategica per farvici fronte. Dall’Africa si è sottolineato come la crisi ha duramente toccato le popolazioni dei paesi meno sviluppati, per esempio con l’aumento dei prezzi degli alimenti, provocando un aumento delle persone che soffrono la fame. D’altro canto le politica neo-liberali del FMI e della Banca Mondiale continuano il loro corso, come nel passato. In America Latina delle vive inquietudini sono emerse rispetto agli sforzi bellici promossi dagli USA con i loro alleati e diretti contro i governi progressisti di diversi paesi, quali Venezuela, Ecuador e Bolivia. Un appello per la pace è venuto anche dal mondo arabo, sia esprimendo la solidarietà con i popoli palestinesi e libanesi, costantemente aggrediti da Israele, ma evidentemente con i popoli di Iraq e Afganistan, confrontati ad un conflitto aperto contro la NATO, lunga mano dell’imperialismo made in USA. Per il momento la crisi non ha fatto che intensificare i conflitti e questo malgrado le grandi dichiarazioni di Obama. I compagni dell’Europa dell’Est, dal canto loro, hanno chiaramente presentato il quadro drammatico dei paesi ex-socialisti. I partito di estrema destra, a tendenza autoritaria si sono ulteriormente rafforzati, tra l’altro con politiche apertamente anticomuniste, mentre le condizioni di vita continuano a degradarsi. Come prevedibile, una parte importante dei dibattiti si è focalizzata sulla crisi greca. C’era molta attesa per l’intervento del compagno del KKE, attese che non sono state deluse. Dalla Grecia le idee sono chiare, bisogna rilanciare la lotta concreta per il socialismo. “È impossibile, afferma, trovare delle soluzioni nell’interesse del popolo continuando ad avere fiducia nelle istituzioni internazionali al servizio dell’imperialismo, come l’UE e l’FMI”. Sono i cubani a raccogliere per primi l’appello, invitando il movimento comunista internazionale a l’unità, soprattutto in Europa dove le divisioni sono ancora grandi. Il compagno del Partito Comunista dei Popoli di Spagna rilancia esprimendo la necessità di uscire dalla retorica, per iniziare a fare la politica per strada, nei luoghi di lavoro, al fianco degli sfruttati. Insiste pure sull’importanza dell’impegno del militante comunista, dicendo “ deve sempre essere al servizio del popolo, essere un militante non è un hobby, ma una scelta di vita”. L’intervento del Partito Svizzero del Lavoro si è concentrato sull’analisi del fenomeno pubblicitario, come strumento di propaganda della borghesia. Una maniera fine di alienare la popolazione verso l’individualismo ed il consumismo che secondo il relatore (colui che scrive questo articolo, ndA) deve essere combattuto in maniera più cosciente. Infine il seminario si è concluso in un clima di intesa rispetto alle analisi, ma anche con la coscienza di essere riusciti, ancora una volta, a riunire un numero importante di compagni in provenienza da ogni parte del mondo. Nonostante un passato diviso in varie correnti del marxismo, l’accordo per un movimento verso il socialismo ne esce fortificato. Massimiliano Ay Leonardo Schmid DAL TERRITORIO 6 - l’inchiostro rosso Sempre attivi sul fronte dei trasporti pubblici Collaborazione fra i giovani comunisti ticinesi e i giovani socialisti del moesano Comunicato stampa della Gioventù Comunista La Gioventù Comunista (GC) non può che dirsi soddisfatta della petizione lanciata dalla Gioventù Socialista (GISO) del Moesano, denominata „Petizione Nottebus“, con la quale si propone un miglioramento dei trasporti pubblici sulla tratta BellinzonaMesocco, per quanto riguarda gli orari notturni nei fine settimana. Nel testo della petizione si dice infatti che „la Nottebus chiede di aggiungere un’ulteriore corsa in parteza da Mesocco in direzione di Bellinzona (fra le 21:30 e le 22:30) ed una in partenza da Bellinzona in direzione di Mesocco (fra le 01:00 e le 02:00).“ Ricordiamo come la GC abbia a cuore il tema del diritto alla mobilità per i giovani e la promozione del trasporto pubblico: abbiamo infatti lanciato negli scorsi mesi una petizione che verteva su temi simili, ossia il salvataggio di una dozzina di linee regionali in Ticino. I principi che hanno fatto sorge- re le due petizioni sono gli stessi: una tutela del servizio pubblico in contrapposizione a quello privato, dunque rifiutando processi di liberalizzazione nocivi per l’interesse collettivo; una politica dei giovani per i giovani (e non solo) che proponga contenuti concreti ed attuabili; una promozione delle tematiche ambientali ed ecologiste. Come ultimo troviamo ulteriormente interessante, in relazione alla petizione di GISO Moesano, sviluppare il discorso di un servizio di trasporto pubblico nelle ore serali e notturne, dato che in questa fase della giornata avvengono la maggior parte degli incidenti, causati spesso da una guida in stato di ebrezza. Riteniamo sia necessario ed auspicabile che la gente si riconosca in questo tipo di servizi, maturando in senso abitudinario un utilizzo ed un legame in rapporto a queste strutture. « Sulle dimissioni del consigliere federale Moritz Leuenberger Il “socialista” che difendeva i manager getta la spugna! L’amico intimo di Thomas Held, capo di Avenir.Suisse, fondazione svizzera padronale e neo-liberista, ha dato le dimissioni! Stiamo parlando del consigliere federale “socialista” Moritz Leuenberger. non solo era un convinto europeista, ma sosteneva pure la liberalizzazione del mercato dell’elettricità; era favorevole alle ristrutturazioni neo-liberali presso le ex-PTT che hanno prodotto un’ondata di licenziamenti e il peggioramento del servizio pubblico universale sul territorio; era favorevole ai processi di liberalizzazione in seno alle Ferrovie Federali, con conseguenti licenziamenti e ristrutturazioni aziendali anti-sociali. La notizia delle dimissioni del ministro hanno peraltro suscitato la commozione dei vari manager, Ulrich Gygi in testa (che gli operai delle Officine di Bellinzona conoscono bene!): il “socialista” Leuenberger, infatti, difendeva i super-salari dei manager! tito realmente di sinistra? I socialisti non hanno mai voluto affrontare realmente queste contraddizioni, venendo meno quindi ai principi del movimento operaio. Non ci interessa tanto sapere chi sostituirà adesso l’uscente Leuenberger, ci preoccupa il fatto che nemmeno a sinistra si discuta seriamente del superamento dell’organizzazione consociativa di gestione del potere tipicamente svizzera, che obbliga la società a un consenso immobile e rende quasi impossibile una seria opposizione democratica come auspica invece il Partito Comunista. Com’era concretamente il Leuenberger politico? Stando a dichiarazioni pubbliche di pochi anni fa, egli - secondo la deputata Valérie Garbani - “non è più un socialdemocratico” per le sue derive liberiste e secondo il dirigente sindacale. Anzi, per Paul Rechtsteiner addirittura era un “traditore”. Il Partito Socialista, invece, si spertica nel difenderlo! Ringrazieranno tutti i lavoratori Altra domanda: cosa ci fanno dei servizi pubblici licenziati gradei socialisti al governo con zie alle sue ristrutturazioni delle ex-regie federali! Leuenberger Come dovrebbe agire un par- l’estrema destra? Licenziamenti alla RUAG La RUAG (braccio affaristico dell’esercito) è una società economica al 100% di proprietà della Confederazione Svizzera. Essa è nota per vendere ai popoli in guerra armi leggere e mine a frammentazione per farli “scannare” meglio e di commerciare con il regime dell’apartheid di Israele. Soldi che grondano sangue, ma che il nostro Paese - che ama dar lezioni di diritti umani a destra e a manca - in questo caso accetta fregandosi le mani. Pochi mesi fa la RUAG si era schierata in modo deciso nella propaganda contro l’iniziativa che intendeva vietare alla Svizzera l’esportazione di materiale bellico. Una iniziativa giusta che anche i comunisti avevano sostenuto in modo convinto, ma che la popolazione - temendo di perdere posti di lavoro - aveva preferito bocciare. Proprio la RUAG - durante la campagna in vista del voto - aveva minacciato che, in caso di vittoria del fronte pacifista, il proprio giro d’affari sarebbe crollato comportando il licenziamento di molti suoi lavoratori. Se già allora si trattava di una minaccia meschina perché la RUAG stessa aveva saputo in precedenza riconvertire parte della sua produzione in ambito civile, oggi sappiamo che era in realtà una truffa: l’azienda intende infatti chiudere il sito industriale di Plan-les-Ouates (Ginevra) eliminando 52 posti di lavoro, dopo aver già sbattuto in strada un numero cospicuo di operai l’anno scorso. Quindi si licenzia con o senza il divieto di esportare armi: la buona fede della popolazione preoccupata dalla congiuntura economica è stata turlupinata nuovamente, come sempre ama fare la classe padronale capitalista prendendosi gioco della democrazia (a cui naturalmente tutti retoricamente si riferiscono). La situazione diventa ancora più vergognosa se pensiamo che la RUAG è un’azienda pubblica: è lo Stato quindi a licenziare propri cittadini! Segreteria del Partito Comunista VIVA CILE l’inchiostro rosso - 7 Ci ha lasciato Luis Corvalan! Il ricordo di chi l’ha incontrato. In memoria dell’ex-segretario generale del Partito Comunista Cileno, uno degli alleati più fedeli di Salvador Allende Davide Rossi Quando nel 1976 viene liberato dai campi di tortura e di morte organizzati dal dittatore Pinochet il segretario del Partito Comunista Cileno, Luis Corvalan, raggiunge Mosca, dopo essere scambiato a Zurigo con Valdimir Bukovsky un presunto scrittore “dissidente”, in realtà un mediocre e miserevole pennivendolo che, allora come oggi, agisce in favore dei servizi segreti inglesi in funzione antirussa. Corvalan presto è acclamato dalle donne e dagli uomini, dai ragazzi e dalle ragazze di tutta Europa e inizia a vistare città e nazioni del continente. A Berlino, nella DDR, l’accoglienza è grande, affettuosa, trionfale. Luis Corvalan risponde come nella sua natura, con garbo, gentilezza, disponibilità, amicizia. Tra chi lo festeggia la presidentessa dell’Unione degli Scrittori Anna Seghers. Anche lei ha versato lacrime profonde per la fine della straordinaria esperienza di Unidad Popular. Un mondo irripetibile, un’avventura stroncata solo con la violenza della dittatura. Indimenticabile il Cile guidato da quell’uomo, Salvador Allende, con occhiali spessi e molte passioni, per le belle ragazze, per la buona tavola, per i gelati al cocco. Luis Corvalan è amico e compagno in quella stagione rivoluzionaria e democratica del presidente socialista, sono i comunisti a sostenere il presidente ben più del suo partito, guidato da giovani maldestri ed avventurosi che invocano una presa totale del potere, difficile e impossibile, capaci solo di frantumare la fragilità dell’equilibrio politico, sociale e costituzionale che reggeva la sinistra al governo. Luis Corvalan lo ho abbracciato, impossibile dimenticarlo. Un uomo mite, aperto, cordiale, nell’ultimo anno del Novecento, sotto le Ande, a casa sua, abbiamo cenato insieme al termine di un lungo e soleggiato pomeriggio dell’estate australe, segnato dai suoi libri, che mi regalava e tuttora conservo con dedica, dai racconti di una vita rivoluzionaria, dalle risposte alle mie molte domande, mentre mi incoraggiava nel mio lavoro di insegnante di storia. Intensa la gratitudine che mi ha manifestato nel ricevere il libro “Cile democrazia sofferta”, il mio primo libro, uscito in Italia nel ’97, portato al Festival Mondiale della Gioventù nello stesso anno all’Avana e regalato alla delegazione dei giovani comunisti cileni, poi da loro tradotto come dispensa universitaria, perché allora in Cile degli anni di Allende e della dittatura non si poteva ancora parlare, né scrivere. Neppure, in quell’estate ’99, bere una birra per strada era permesso, si finiva in carcere, ricordo i giovani comunisti cileni che mi saltano affettuosamente addosso per coprire quel mio inconsapevole reato commesso su un marciapiede della captiale. Luis Crovalan nasce a Puerto Montt il 14 settembre 1916, insegnante elementare, giornalista, aderisce al partito comunista, fondato da Luis Emilio Recabarren e segue tutte le sorti del partito, espulso e riammesso nella legalità secondo i venti della politica internazionale. Nel secondo dopoguerra l’inizio è promettente, i comunisti raccolgono il 22% alle amministrative del ’47, il cantore dell’ “ora felice dell’assalto e del bacio”, il comunista Pablo Neruda, suo caro amico, è senatore della Repubblica. Ma la guerra fredda è scoppiata. I comunisti condannati per i loro ideali. Corvalan internato nel campo di prigionia di Pisagua. Nel ’58 il partito torna a potersi esprimere e ne diventa segretario. Lo sarà sino al 1990. È tra i promotori della stagione di Unidad Popular. Un’esperienza politica straordinaria e difficilmente raccontabile, chi l’ha vissuta spesso non trova le parole o le trova a grande fatica, sente che la gioia e il sogno, la vita e il sorriso, sono difficili da far rivivere tanti anni dopo. I giovani lottavano nel mondo, i cattolici chiedevano giustizia ed uguaglianza. Il vescovo di Santiago del Cile Raul Silva Herniquez con discorsi pacati e al contempo potenti scuoteva coscienze, gettava semi. Non a caso in Cile sono nati i “cattolici per il socialismo” e giovani, pieni di fede nell’uomo che è fratello, hanno dato vita all’Izquierda Cristiana e al Movimento di Azione Popolare Unitario (MAPU) a fianco di Allende. Con Corvalan collabora l’infaticabile segretaria dei giovani comunisti, bella, intelligente, affascinante, con un sorriso che conquista anche i più dubbiosi, con un’energia che travalica l’immaginabile, trascina ed entusiasma: Gladys Marin. Dopo le piaghe della dittatura Gladys, persi gli amici, le amiche, il marito, tutti scomparsi, guiderà il partito, dopo il breve passaggio alla segreteria di Volodia Teitelboim, in quegli anni ’90 la sua voce sarà quella indelebile del ricordo, del desiderio di giustizia, di chi non ha rinunciato alla gratuità delle relazioni umane, di chi non si è lasciato sopraffare dal mercimonio di ogni rapporto instaurato dal consumismo capitalista e forsennato, applicato con scientifica esclusione sociale da Pinochet. Nel ricordare Corvalan il pensiero corre anche ai tanti comunisti che ho conosciuto in quei miei giorni cileni. A Valpariso, dove ad esempio molti vivevano integrando le misere pensioni cilene con la liquidazione conseguita in quindici anni di lavoro nelle fabbriche della DDR, durante l’esilio. Valparaiso è bellissima, d’estate con luci, colori, mare, vento tenue e caldo che probabilmente d’inverno si rivela perfido e tormentoso. Valparaiso è colline e case, dignitose ed umili, di legno, in un eterno saliscendi, correre a perdifiato è possibile ma anche pericoloso, risalire lento e arduo, intorno volti e nuvole, e dall’alto le barche e il porto, dove incredibile ma vero capita di vedere, gatti e gabbi- anelle insieme, come nelle pagine di Luis Sepulveda. La notte è stellata e più grande che mai, le stelle sono quelle che si vedono dall’altra parte del mondo, vere e irreali, universi desueti per occhi europei, il cielo blu profondo, con due amici professori di musica mal pagati, su quella terrazza, nella casa di un ebanista comunista, abbiamo cantato, anzi hanno cantato loro per me le parole di Silvio Rodriguez e quando sono arrivati a cantare la canzone che più amo, “La maza”, l’emozione e le lacrime han confuso ogni sguardo, unendo stelle e mare. È la stessa emozione e sono le stesse lacrime di ora, alla notizia della scomparsa di Luis Corvalan. Sino all’ultimo ha portato in giro per le vie di Santiago il suo sorriso, calmo, riflessivo, intenso. Ha visto nel dicembre 2006 la fine miserevole e senza condanna dell’assassino di suo figlio e di tanti cileni, ma probabilmente anche per lui quel giorno di sole e di luce per il Cile, la morte di Pinochet, ha lasciato più amarezza per il dolore incancellabile che il sanguinario e vile generale ha seminato, ben più del sollievo per la scomparsa dell’autore di tante crudeltà. La più grande responsabilità di Pinochet è quella di aver cercato di uccidere il sogno, seminando paura, uccidendo ogni uguaglianza, promuovendo ogni sopraffazione. Ma il sorriso di Luis Corvalan, tra ciocche e baffi da tempo immemorabile candidi, ci hanno insegnato che i sogni non si possono uccidere, a patto che trovino chi non ha rinunciato e nutre e vive quell’entusiasmo che ci porta ogni giorno ancora come fratelli per le strade del mondo. Ciao Luis, ti sia lieve la terra, le tue idee sono nei nostri cuori e quella bandiera rossa, che hai tenuta alta per novantatre, quasi novantaquattro anni, è ancora la nostra. Grazie. 8 - l’inchiostro rosso engels dixit La Sinistra turca ricorda İlhan Selçuk Fu uno degli ultimi giornalisti che sapevano unire rigorosità professionale e necessità militante Tratto con modifiche da “SoL”, periodico del Partito Comunista di Turchia Uno dei massimi giornalisti della Turchia democratica si è spento all’età di 85 anni nelle scorse settimane nel totale silenzio dei media occidentali. Non c’è da stupirsi: Selçuk era un anti-europeista intransigente e rifiutava qualsiasi lezione di democrazia dai paesi occidentali, che lui definiva “imperialisti”. Il Fronte Patriottico, il Partito Comunista TKP, i sindacati, l’Unione della Gioventù di Turchia TGB, l’Associazione del pensiero kemalista ADD e altre organizzazioni di massa critiche nei confronti dell’attuale governo di Ankara si sono riunite per ricordare la memoria dell’anziano scrittore. Nato nel 1925, Selçuk si laureò in diritto nel 1950 all’Università di Istanbul. Dopo una breve pratica legale, iniziò a collaborare a numerose riviste e fondò alla fine degli anni ‘50 una rivista di satira politica. Nell’ultimo mezzo secolo fu caporedattore dell’importante quotidiano repubblicano “Cumhuriyet”, un giornale laico che si ispira alle teorie di Atatürk e sulle cui pagine, ancora oggi, si possono leggere articoli a favore di Cuba socialista. Per l’impegno quale giornalista militante, Ilhan Selçuk venne fatto arrestare e torturare dai militari di destra durante il “putsch” del 1971 e rinchiuso nel carcere di Ziverbey Palace (dalla cui esperienza trarrà l’omonimo romanzo). I guai giudiziari sono continuati regolarmente e ancora di recente, nel 2008, nonostante le sue precarie condizioni di salute e l’età avanzata, Selçuk è stato arrestato come “terrorista” nella vertenza “Ergenekon”, una presunta organizzazione golpista di estrema destra che avrebbe tentato di rovesciare il governo del premier Erdogan. Una vicenda strana, quella di “Ergenekon”: lodata da Bruxelles, questa inchiesta dipinta come “anti-fascista” sta però portando in carcere le poche voci critiche a Erdogan: ex-ufficiali dell’esercito dichiaratamente ostili alla NATO e giornalisti di testate anti-imperialiste e laiche. Un radicale... ... come il PLRT non ne conosce più! Federico Engels In memoria di José Saramago E’ scomparso il poeta protagonista della Rivoluzione dei Garofani Redazione “La morte di José Saramago rappresenta una perdita irrimediabile per il Portogallo, per il popolo portoghese, per la cultura portoghese” - così si esprime la Segreteria del Comitato Centrale del Partito Comunista Portoghese (PCP) in riferimento alla scomparsa del grande poesta lusitano. “La sua statura umana e civile di intellettuale ed artista, ne fa una figura importante della nostra storia. La vasta opera letteraria, notevole e unica riconosciuta con un premio Nobel per la letteratura nel 1998 -, rimarrà come pietra miliare nella storia della letteratura portoghese ed il suo nome eccheggierà tra i personaggi di maggior spicco”. Egli non fu solo un grande narratore, o per dirla con Oliviero Diliberto, “un innovatore sul piano della forma e della sostanza”, José Saramago ha partecipato nell’aprile del 1974 alla Rivoluzione dei Garofani, rendendosi protagonista attivo della resistenza contro il fascismo e il colonialista del regime di Salazar. Come ricorda il PCP, Saramago “ha mantenuto dal Giorno della Liberazione, il suo impegno nel processo rivoluzionario, che, attraverso la creazione di una democrazia volta principalmente alla difesa degli interessi dei lavoratori, del popolo e del paese, ha profondamente e positivamente trasformato il nostro paese”. José Saramago è stato membro del Partito Comunista Portoghese dal 1969 e la sua morte rappresenta una perdita per tutto il Partito, in cui ha scelto di militare fino alla scomparsa, con tenacia e capacità dialettica in questo importante partito marxista-leninista che ottiene risultati importanti anche elettoralmente. «“Stefano Franscini è senza alcun dubbio una delle personalità più stimate di tutta la Svizzera. Fu essenzialmente lui che nel 1830 riuscì a ottenere che il Ticino rimpiazzasse la vecchia costituzione oligarchica con una democratica; era ancora lui che marciava in testa alla rivoluzione del 1840 che rovesciò la dominazione del clero e dell’oligarchia; fu sempre Franscini a mettere freno alla corruzione e agli sprechi e ancora lui riorganizzò in questo povero cantone di montagna l’insegnamento del tutto degenerato sotto la guida dei monaci. E’ un radicale risoluto!”» (articolo di Friedrich Engels sulla “Nuova Gazzetta Renana” del 29 novembre 1848) www.partitocomunista.ch www.gioventucomunista.ch www.comunisti.ch www.redflagtv.ch IL SOCIALISMO DEL XXI° SECOLO l’inchiostro rosso - 9 Rivoluzione Bolivariana e ALBA: solidarietà dalla Svizzera Partito e Gioventù Comunista ospiti dell’Ambasciata Venezuelana per un seminario presso le Colonie dei Sindacati di Rodi Mattia Antognini Tra i 27 movimenti presenti all’Incontro di solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana e l’ALBA tenutosi sabato 12 e domenica 13 giugno a Rodi presso le Colonie dei Sindacati, erano presenti dal Ticino rappresentanti del Partito Comunista (PC), della Gioventù Comunista (GC) e del Sindacato Indipendente Studenti e Apprendisti (SISA). Presenti anche Giuseppe Bomio e Graziano Pestoni dell’Associazione Svizzera-Cuba. La giovane delegazione ticinese – composta dai compagni Roberto De Tullio, Massimiliano Ay, Mattia Antognini e Francesco Vitali – si è subito interessata al processo di solidarietà tra la Svizzera ed i paesi dell’ALBA partecipando attivamente a un workshop chiamato a indicare su quali contenuti l’Ambasciata del governo di Caracas dovrebbe sviluppare la sua azione di informazione e di “diplomazia popolare”. L’intenso programma dell’incontro – composto da assemblee plenarie, conferenze e lavori a gruppi – ha avuto inizio già in mattinata. Dopo aver assistito alle testimonianze di solidarietà di alcune compagne venezuelane residenti in Europa, l’incontro è entrato nel vivo del suo progetto. La settantina di compagni presenti si è infatti suddivisa in quattro gruppi di lavoro i quali trattavano: “La comunicazione e i media in Svizzera”, “Cultura pueblo a pueblo”, “La formazione per la solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana e l’ALBA” e “La definizione di agenda pueblo a pueblo nella società svizzera”. Ogni gruppo ha discusso delle rispettive trattande per buona parte del pomeriggio di sabato. Evidentemente la delegazione è stata penalizzata a causa della lingua in cui tutti gli altri compagni si sono espressi, ovvero lo spagnolo. Nonostante l’apprezzato aiuto di traduzione dei compagni dell’Associazione Svizzera-Cuba Federico Jauch e Sabatino Annechiarico, la delegazione non è riuscita a comprendere le continue dilungazioni su tematiche esterne al discorso interessato. Ciò nonostante vi è stata una discreta partecipazione italofona che ha permesso al gruppo di sviluppare ulteriormente il risultato del proprio lavoro. Nel secondo pomeriggio, dopo tre ore di lavoro intenso, i vari rappresentanti dei gruppi hanno presentato a tutti i compagni le conclusioni parziali raggiunte. Dopo essersi aggiornati sul procedere dei lavori, i partecipanti hanno avuto l’onore di assistere all’intervento di Isaìas Rodrìguez, ambasciatore venezuelano a Madrid ed ex-vicepresidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela. L’intervento - trattante le fondamenta e gli apporti della Rivoluzione Bolivariana ai movimenti d’emancipazione del XXI secolo – è stato sicuramente il momento più interes- sante dell’intera giornata. Aspetti teorici e pratici della costruzione del socialismo dal basso, si sono uniti a considerazioni di carattere geopolitico. Una volta terminato il discorso del compagno Isaìas Rodrìguez, si è proceduto con la piccola esibizione della musicista Raquel Bernal ed una rappresentazione teatrale. La cena è stata inserita tra le due attività culturali. Terminato il programma ufficiale la delegazione si è presa la sua ora di pausa bevendo e discutendo in compagnia di altri compagni, rafforzando lo spirito fraterno di chi ha scelto di non essere neutrale nel momento storico di cambio che stiamo assistendo al di fuori del vecchio continente. Giunta l’ora di coricarsi i giovani compagni hanno poi ritenuto opportuno aprire un appassionante dibattito ideologico interno, il quale si è prolungato fino a tarda notte. Il lavoro mattutino della domenica ha avuto inizio con la conferenza dei giornalista militante tedesco Ingo Niebel, il quale – oltre che parlare delle sue esperienze nell’America Latina – ha trattato la questione della lotta alla disinformazione. Conclusa la conferenza si è proseguito con il lavoro a gruppi iniziato il giorno precedente, che si sono poi definitivamente spiegati nella plenaria finale: le soluzioni proposte sono state analizzate dai partecipanti ed inserite nei programmi futuri del movimento di solidarietà. Dopo di che i partecipanti hanno ancora avuto la possibilità di ascoltare l’ambasciatore venezuelano di Madrid, l’ambasciatore venezuelano di Berna César Méndez Gonzalez ed il Ministro Consigliere Francìsco Rodriguez, il quale ha coordinato l’intera attività assieme alla compagna Xiomara Tortoza ed al team dell’Ambasciata venezuelana di Berna. Passata la fase dei ringraziamenti, la musicista Raquel Bernal ha riproposto ulteriori brani e tutti gli invitati si sono stretti in canti rivoluzionari che scalderebbero il cuore di qualsiasi compagno. L’incontro si è poi sciolto con un pranzo conviviale. La delegazione comunista composta da Partito e Gioventù Comunista da un lato più politico, ma certamente anche il SISA dal lato più prettamente sindacale, si è ritenuta globalmente soddisfatta delle attività svoltesi, non solo tramite l’incontro di solidarietà, ma anche grazie ai momenti di riflessione tra i giovani compagni. Ogni militante internazionalista torna a casa propria con il discorso dell’Ambasciatore Isaìas Rodrìguez bene in mente; le sue sono parole che giungono da un’ideologia destinata a fare rivivere - anzi - fare rinascere l’America Latina, ma soprattutto sono parole che giungono dal cuore di chi giunto in Europa come rappresentante diplomatico si è reso conto dell’enorme entusiasmo offerto al popolo di tutti i paesi bolivariani. “E’ grazie a voi ha concluso l’ex-vicepresidente di Chavez - che noi capiamo per davvero il processo rivoluzionario!”. DEMOCRAZIA REALE 10 - l’inchiostro rosso Germania: controllare la LINKE e mantenere il divieto della KPD Un tribunale tedesco autorizza la polizia segreta a controllare la LINKE... la sua attività sarebbe potenzialmente “anti-costituzionale”! Redazione I servizi segreti tedeschi hanno ricevuto l’autorizzazione giudiziaria per poter continuare a sorvegliare l’attività della LINKE, il partito fondato dall’ex-ministro socialdemocratico Oskar Lafontaine. Il suo essere l’unione fra una frangia dissidente della SPD attiva soprattutto in ambito sindacale e all’Ovest e la PDS, il partito socialista di sinistra erede della SED marxista-leninista, partito guida della ex-DDR, lo porta infatti ad essere sospettato di coltivare “obiettivi incostituzionali”, ossia di mettere in discussione i caratterei fondanti della “democrazia” tedesca: la proprietà privata, ossia la base del capitalismo! Nulla di nuovo sotto il sole: è infatti dagli anni ‘50 che in Germania è vietata la KPD, il Partito Comunista che fu prima di Rosa Luxemburg e poi di Ernst Thälmann e di tanti altri eroi. E fin da allora il nuovo DKP (Partito Comunista Tedesco), che pure ha dovuro rinunciare ai precetti marxisti-leninisti più evidenti per evitare la chiusura, risulta essere sotto osservazione degli 007 di Bonn prima e di Berlino ora. La decisione inerente la LINKE giunge dopo che già una corte di Lipsia aveva rigettato il ricorso di un membro del partito, il quale chiedeva l’interruzione della sorveglianza da parte degli agenti della polizia politica della Bundesrepublick. Il tribunale aveva argomentato la sentenza di rigetto ritenendo giustificata la sorveglianza poiché nella LINKE vi sarebbero correnti che ancora oggi si rifanno al marxismo (cioè il Forum Marxista e la Piattaforma Comunista, organizzazioni di tendenza interne al partito della LINKE) e che potenzialmente quindi non rinnegano l’esperienza socialista della vecchia Germania dell’Est. I successi della DDR fanno infatti ancora pausa ad Occidente e il crescente fenomeno della “Ostalgie” viene combattutto in ogni modo attraverso controllo di polizia anti-comunista, ma pure con una revisione dei programma di storia nelle scuole pubbliche. Klaus Ernst, neo-leader della LINKE, che alle ultime elezioni ha ottenuto un risultato importante ha giustamente dichiarato di non accettare imposizioni dall’esterno su chi può entrare a far parte del suo partito e che sfrutterà tutti i mezzi legali per eludere la sorveglianza della polizia politica occidentale a cui è sottoposto. Si tratta di una bella lezione di real-politik per tanti militanti ingenui della sinistra europea che condannano la STASI senza rendersi conto che anche nelle “libere democrazie” occidentali esiste la polizia politica che controlla gli avversari di classe! La sentenza della corte pregiudica la reputazione della LINKE che, pur avendo ottenuto risultati elettorali rispettabili a livello federale, non è giudicata idonea dai suoi potenziali alleati a governare anche nel Bundestag. Questa potenziale limitazione forzata al governismo socialdemocratico potrebbe però addirittura rafforzare la LINKE a sinistra, frenando la tendenza “riformista” cui era finita. Basta con le schedature politiche in Svizzera! IMPRESSUM Dopo 20 anni dal “Fichenaffäre” e dopo 70 anni dal divieto dei comunisti, la storia sembra ripetersi “l’Inchiostro rosso”- pubblicazione mensile di critica sociale edita dal Partito Comunista (PC), sezione del Canton Ticino del Partito Svizzero del Lavoro (PSdL). Comunicato stampa del Partito Comunista Il Partito Comunista, sezione ticinese del Partito Svizzero del Lavoro, condanna le attività del Servizio di sicurezza svizzero che sono venute alla luce recentemente. La schedatura di più di 200’000 persone è inaccettabile. Tutto ciò fa venire in mente cattivi ricordi legati allo scandalo delle schedature della fine degli anni 80. Pare che il Servizio di sicurezza dello Stato non abbia imparato nulla da allora. Purtroppo questi scandali della sorveglianza e queste attività dei servizi di informazione non sono nulla di nuovo: il 6 agosto di quest’anno ricorre infatti il 70° anniversario della proibizione delle attività comuniste nel nostro Paese, alla quale è seguita poco dopo la proibizione del Partito Comunista Svizzero. Molti funzionari del Partito Comunista sono stati arrestati e molti deputati eletti democraticamente nelle varie istanze hanno perso i loro mandati. La polizia politica svizzera ha poi continuato a tenere d’occhio il nostro Partito anche nel dopoguerra con schedatura, pedinamenti, fermi e addirittura l’espulsione dalla Svizzera dei nostri membri che non detenevano il passaporto rossocrociato. La proibizione dei comunisti del 1940, la “scoperta” delle schedature del 1989 così come il nuovo scandalo costituiscono delle aggressioni massicce alla sfera privata della popolazione svizzera e nello stesso tempo degli attacchi fondamentali alla democrazia stessa. Esigiamo quindi non solo la fine della raccolta arbitraria di informazioni ma pure la fine dell’impegno del Servizio di sicurezza contro le cittadine e i cittadini. Abbonamento annuo: Fr. 25.-Sostenitore: Fr. 50.-Estero: EUR 20.-CCP 69-4018-1 Amministrazione: Via Gemmo 5b 6924 Sorengo Tel.: 0919672572 [email protected] Editore responsabile: Partito Comunista [email protected] Direttore: Davide Rossi (Tel.: 0774473522) [email protected] l’inchiostro rosso - 11 Le pacche sulle spalle non bastano, ma neanche un ceffone va bene! I liberali prima tagliano nella formazione e nel sociale, poi si lamentano del disagio giovanile e favoriscono misure repressive Aris Della Fontana Ho seri dubbi circa i risultati positivi di questo tipo di strutture detentive, altresì definite con il termine di “riformatori”: insomma, nient’altro che dei carceri giovanili. Questi sono concetti pericolosi e riferibili ad altri tempi, soprattutto per la loro accezione intrinsecamente repressiva. In un’ottica puramente finanziaria, poi, l’onere complessivo di questi centri peserà in modo importante sulle finanze cantonali. Diversi milioni di franchi che non sono rapportabili ai potenziali risultati di questi centri e che potrebbero invece essere investiti nei settori della prevenzione e della riduzione del danno. Desta inoltre stupore constatare come il numero di ragazzi condannati negli ultimi anni sia veramente esiguo, infatti dal 2007 al 2009 sono stati internati in strutture di oltre cantone solo 8 ragazzi! Il giovane che viene sot- toposto a “soluzioni” come il riformatorio viene intaccato dal punto di vista psicologico ed è lecito chiedersi se questa traccia negativa si possa protrarre su tutto l’arco della vita. Il problema sociale, che non nego, viene posticipato in termini temporali, assumendo ulteriori tratti negativi dato che non si vuole dare la priorità (politica e di riflesso finanziaria) nel risolvere la problematica dalla radice. Ritengo inoltre si debba agire mediante manovre caratterizzate dall’azione sul lungo periodo poiché solo con una visione complessiva del problema e delle sue origini, sarà possibile eliminarlo completamente. Non è peraltro certificato il miglioramento in termini di comportamento del potenziale internato: l’ambiente in cui il soggetto si trova a dover vivere per determinati periodi, non potrà che, dato le strette somiglianze con un centro di detenzione per adulti, essere collegato al proprio sbaglio, assottigliando dunque le possibilità da parte dell’interessato di intraprendere dei miglioramenti; egli verrà consumato, nella sua giovane età, da un peso che non è in nessun modo rapportabile alla sua persona ed infine gravemente compromesso nella sua interiorità psicologica. A dirla tutta, i riformatori non possono sempre vantare esperienze positive negli altri cantoni. L’opinione pubblica è incline ad accettare contenuti quali ordine e disciplina. La società, in questi particolari periodi di crisi, secondo un istinto di auto-conservazione, si richiude a guscio su se stessa, diventando meno lungimirante, serbando uno spirito inquieto e cercando disperatamente dei capri espiatori. Ecco dunque che il riformatorio ci appare come la panacea a tutti i mali, la soluzione più ap- propriata per risolvere la situazione della criminalità giovanile e, del resto, anche di molte altre problematiche. La società occidentale si trova nel bel mezzo di una crisi economica strutturale del sistema capitalista. Il disagio sociale (tagli nelle prestazioni, licenziamenti e disoccupazione giovanile) non potrà che essere crescente. È immaginabile, stando allo stretto legame che sussiste tra il tasso di criminalità e la situazione economica, una cornice di eventi caratterizzata dall’incremento di atti criminosi, in cui a pagare saranno le fasce deboli della popolazione, tra cui anche i giovani; unitamente ad un potenziale irrigidimento della società, che porrà le basi per provvedimenti e manovre liberticide. Chi è in difficoltà avrebbe bisogno di sostegno concreto (altro che pacche sulle spalle!), invece di finire in carcere! Fare il saluto nazista in Svizzera non sarà punibile... Il governo federale banalizza l’ostentare simbologia nazifascista proprio quando l’estrema destra si rafforza! Massimiliano Ay Fare il saluto romano o mostrare una svastica non sarà punibile in Svizzera. Lo ha deciso di recente il Consiglio federale. Mentre in tutto l’Occidente i fenomeni neo-fascisti stanno tornando in auge mascherati in parte dall’aggettivo “democratico” e mentre la “guerra fra poveri” che vede contrapposti - per la felicità del padronato - lavoratori indigeni a lavoratori immigrati cresce, il nostro governo banalizza la simbologia criminale che veicola messaggi molto preoccupanti anche fra i giovanissimi. Ma in Svizzera la norma anti-razzismo si preferisce utilizzarla contro ricercatori storici (per quanto le loro tesi possano essere discutibili), piuttosto che contro chi esplicitamente loda Hitler o milita a favore di un clima d’odio e di intolleranza. Non c’è peraltro da stupirsi: nei paesi dell’Est, i governi amici dell’UE e della Svizzera, non solo stanno erigendo statue in memoria degli occupanti nazisti, ma addirittura vietano “democraticamente” i partiti comunisti e operai (che sono spesso realtà di massa con risultati elettorali non indifferenti). Senza dimenticare la vicina Italia, dove Berlusconi (che ha riportato in governo gli eredi dichiarati del Ventennio) non solo equipara repubblichini e partigiani, non solo inserisce negli esami di maturità argomenti politicamente faziosi, ma snatura addirittura la Costituzione sorta dalla Resistenza svuotando di contenuto il potere legislativo e giudiziario. Il vento della crisi dell’Occidente è un vento pericoloso, fatto di nazionalismo, razzismo e militarismo, metodi per tenere a bada il disagio sociale e indirizzare il malcontento verso obiettivi che non mettano in discussione lo status quo capitalista. In questo contesto sono la scuola, gli insegnanti e i movimenti studenteschi a dover ritrovare quel ruolo di coscienza collettiva incisiva, tipica dell’ “’intellettuale organico”, che negli ultimi anni è andato perso con la scusa della “neutralità”. Anche la scuola, infatti, è finita nella logica del consumismo (cioè dal nozionismo a crocette e della “compravendita” di crediti) che - per dirla con Pasolini - a tutto rende indifferenti, incapaci di indignazione, incapaci di passione. Elementi che sono il sale della vera democrazia e della vera libertà. Gramsci diceva: “odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita”. Bisogna dunque ritrovare il coraggio di dire che il il fascismo non è un’opinione, ma è un crimine: e un crimine va perseguito! E allo stesso modo va rifiutato il tentativo di mettere sullo stesso piano il nazifascismo con il so- cialismo. Del primo rifiutiamo tutto: il culto dalla guerra, la teoria della razza e del darwinismo sociale (già ben presenti nel “Mein Kampf”); che - al di là delle storture verificatosi in determinati paesi - sono invece assenti dall’ideale profondamente umanista del secondo: le battaglie per i diritti dei lavoratori, per l’uguaglianza sociale, per la parità uomodonna, per il diritto allo studio e alla sanità gratuiti, ecc. sono infatti presenti sia nel socialismo teorico, sia in quello “reale”. 12 - l’inchiostro rosso DOPO 9 ANNI STIAMO ANCORA ASPETTANDO UNA VERA GIUSTIZIA !!! (...) Non è mia intenzione in questa sede trattare cosa realmente sia successo in quei giorni a Genova. L’ho fatto già allora, non con la voce del testimone, ma con la voce di un indignato diciottenne che inizia a capire la faziosità della stampa libera europea. Con la rabbia di chi vede la Televisione pubblica, la nostra TSI, invitare come ospite un giornalista di estrema destra come può essere Vittorio Feltri che si diverte a spalare merda, scusate l’espressione ma è l’unica accettabile, su Carlo e sui fatti reali di quelle giornate. La mia è una voce incazzata di chi non avendo mai praticato forme di boicottaggio decide di non più acquistare quel Corriere della Sera tanto consigliato al liceo che mi lascia schifato dallo spessore propagandistico dei suoi reportage genovesi. Sono stati giorni in cui lo Stato di diritto non esisteva, in cui le forze di sicurezza non solo massacravano ragazzini minorenni, impauriti e tremanti, ma anche senatori della Repubblica. Al di là della ricostruzione oggettiva e cronologica di quel 20 luglio 2001, vale la pena ricordare come Carlo fosse dipinto allora come uno squatter violento, drogato, estremista. Si è poi rivelato essere un semplice studente di storia, obiettore di coscienza, vicino a Rifondazione comunista ma che votava, pragmaticamente, il Centrosinistra per evitare (invano) la vittoria della destra fascista e berlusconiana che lo fece assassinare. Ma Genova non è stata solo l’uccisione di Carlo, è stato molto di più: una città blindata, i genovesi sfrattatati, un sistema di sicurezza colossale che mirava a indebolire il movimento e ad esercitare una repressione degna di altri e bui tempi. Ragazzi che dormivano in una palestra attaccati in piena notte, massacrati di botte nel più totale riserbo. La stampa tenuta all’oscuro di tutto il possibile, gli avvocati e i medici impediti nella loro attività, i responsabili del Genoa Social Forum con senatori e deputati trattati come i peggiori criminali di questo mondo. Per non parlare di forme di tortura che niente hanno da invidiare a quei paesi che noi occidentali amiamo condannare dall’alto dei nostri diritti dell’uomo, diventati ormai solo una nuova forma, palesemente ipocrita, di dominazione. Genova ridotta a un terrore degno del miglior esempio di dittatura militare latinoamericana (...)”. Carlo Giuliani (1978-2001) LE NOSTRE CASSE SONO SEMPRE IN ROSSO: AIUTA IL NOSTRO MENSILE A CONTINUARE LA SUA OPERA DI CONTROINFORMAZIONE DI SINISTRA! FA CONOSCERE QUESTO GIORNALE E DACCI UNA MANO: VERSANDO L’ABBONAMENTO AL CCP 69-4018-1 Massimiliano Ay (e-mail ai membri del SISA del 20 luglio 2006)