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Il predicatore come studioso
Il predicatore come studioso James Stalker* N elle nostre riflessioni durante le lezioni precedenti, non ho dato molti accenni all’importanza dello studio nella preparazione al ministero. Tuttavia, il corso che abbiamo seguito ci ha portato, infine, a trattare anche di questo argomento. Nell’ultima lezione sul ministero apostolico di Paolo, ho parlato del vasto campo di azione assegnatogli come apostolo e del suo sforzo per adempiere la chiamata che aveva ricevuto. Ma in che modo egli si sforzò? Come riuscì a perseverare nelle sue fatiche? Ciò che lo sostenne fu il glorioso messaggio di cui era araldo, e che desiderava annunciare al mondo. Paolo combina spesso due concetti nei suoi scritti: che Dio ha affidato i Gentili alla sua cura e che Dio ha affidato il Vangelo alla sua cura, affinché annunciandolo ai Gentili egli si curasse di loro. Ecco in cosa consisteva il suo apostolato: nell’attenzione al mondo pagano e nella pubblicazione del Vangelo. Certo, egli non aveva ricevuto il Vangelo dalle labbra di Cristo; eppure l’aveva ricevuto direttamente da Cristo in un altro modo. Voi sapete come egli attesti con vigore che il suo Vangelo non proveniva dall’uomo. Il Vangelo che definisce “mio” è tanto autentico e autorevole quanto quello predicato da un qualsiasi altro apostolo, anche se non possiamo dire con esattezza come * Lo scozzese James Stalker (1848-1927) fu pastore a Kirkcaldy e Glasgow, e anche professore di Storia della chiesa ad Aberdeen. Il presente articolo è tratto dalle sue Yale Lectures on Preaching del 1891, pubblicate col titolo The Preacher and His Models, New York, Hunt & Eaton, 1892, pp. 239-263. 4 Rivista di pratica pastorale 3/06 gli sia stato rivelato. Questo problema è simile al mistero delle profezie dell’Antico Testamento. Sia i profeti che gli apostoli parlano dimostrando una conoscenza dei pensieri e della volontà di Dio, caratterizzata da una certezza e da un’autorità speciali. Anche noi predichiamo e insegniamo con certezza e autorità, ma c’è una differenza tra loro e noi. Di solito definiamo tale differenza col termine “ispirazione”, che a dire il vero è un po’ vago. Tuttavia, la differenza c’è, eccome! Pur ammettendo questa differenza e questo mistero, possiamo comunque comprendere come la verità raggiunse Paolo e come egli la ricevette. A questo riguardo non vi è differenza tra lui e noi. Rinnovamento della mente C iò che desidero sottolineare in questa lezione è che la verità del cristianesimo s’impadronì soprattutto del suo pensiero. Il Vangelo conquista tutto l’uomo interiore: le emozioni, la coscienza, la volontà e anche l’intelletto. A volte succede che alcuni siano, rispetto ad altri, maggiormente influenzati in uno o più di questi ambiti. Questo accade per la diversa costituzione delle varie personalità. Vi è chi sostiene – forse a ragione – che la primiera predicazione cristiana fosse il semplice annuncio della storia di Cristo, della sua vita e della sua morte. Si dice che coloro che accolsero questo messaggio cominciarono a vivere una nuova vita secondo l’esempio di Cristo. Questo, in buona sostanza, era il cristianesimo delle origini. Questo è quanto avviene nel caso dell’animo sensibile ed emotivo come quello di Giovanni, il cui cristianesimo si contraddistingue dall’elemento mistico della comunione tra l’anima e il Salvatore. Non che l’apostolo Paolo fosse mancante nel sentimento; il fatto è che egli possedeva un intelletto notevole. Si tratta di una di quelle nature per le quali bisogna comprendere il “perché” e il “dunque” delle cose. Tale tendenza naturale fu rafforzata dall’istruzione ricevuta. E quando il Vangelo lo raggiunse, venne a lui come un messaggio di verità che spiegava i misteri Il predicatore come studioso 5 della vita e che definiva l’universo come un mondo di ordine e armonia. Paolo esprime spesso l’intensa soddisfazione intellettuale suscitata in lui dal cristianesimo, e la gioia che riceveva nel constatare come rispondeva alle questioni fondamentali della vita. La luce che il Vangelo gettava sull’esistenza era per lui come il principio della creazione, quando Dio disse «splenda la luce fra le tenebre» (II Corinzi 4:6). Prima era tutto tenebre e caos, ma poi vi fu luce e ordine. Quante volte egli gioisce nel raccontare come gli sono stati rivelati i misteri tenuti nascosti fin dai tempi più remoti! Com’è scritto: «Le cose che occhio non vide, e che orecchio non udì, e che mai salirono nel cuore dell’ uomo, sono quelle che Dio ha preparate per coloro che lo amano» (II Corinzi 2:9). Dio ha rivelato la verità mediante il suo Spirito e con il termine “mistero” egli voleva indicare la segreta provvidenza di Dio, che Cristo è venuto a svelare e spiegare e che la mente può adesso discernere. A vendo ricevuto il cristianesimo come un messaggio comprensibile dall’intelletto, l’Apostolo si rivolgeva all’intelletto degli altri. La porta attraverso la quale le persone potranno entrare nel regno dei cieli sarà quella che noi apriamo, ma non possiamo aprire altra porta se non quella che abbiamo attraversato noi stessi! Il cristianesimo aveva raggiunto Paolo come verità: verità su Dio, sul mondo e su se stesso. Certo, vi era anche molto sentimento, ma esso seguiva l’illuminazione della mente e procedeva dalla persuasione dell’intelletto. Perciò, l’Apostolo si aspettava che anche gli altri ricevessero il Vangelo nella medesima maniera. Ecco perché egli non risparmiava la fatica mentale ai discepoli; piuttosto, dava per scontato che essi pensassero e avrebbe detto che, qualora non avessero voluto farlo, non potevano ricevere il messaggio cristiano. È a volte sconcertante osservare l’audacia di Paolo nel Rivolgersi alla mente 6 Rivista di pratica pastorale 3/06 coinvolgere le persone nelle sue riflessioni, soprattutto quando si trattava dei suoi pensieri più profondi e difficili. Provate a immaginare gli anziani della chiesa di Roma, o di Efeso, i quali, una domenica sera, leggono per la prima volta l’epistola dell’Apostolo Paolo appena ricevuta! Chi erano le persone che li ascoltavano? La maggior parte dei membri di chiesa erano degli schiavi, molti dei quali erano stati fino a poco tempo prima del tutto indifferenti alla religione. Inoltre, la maggior parte di quella gente non sapeva né leggere né scrivere. Eppure, cosa proponeva a questo tipo di persone Paolo? Non li trattava certo da bambini bisognosi di latte! Non li intratteneva con storielle, né insegnava tecniche pragmatiche per riuscire nelle cose pratiche della vita! Pensate alle lettera ai Romani con le sue idee grandiose e il suo sviluppo logico, o a quella agli Efesini, con la sua profonda spiritualità e le sue difficili digressioni. Anche se gli eruditi hanno ritenuto opportuno accumulare commentario su commentario per spiegare le sue epistole, evidentemente l’apostolo Paolo riteneva che le persone comprendessero ciò che insegnava. Il cristianesimo, così come si propagava tra le città dell’Impero Romano mediante l’opera di Paolo, deve essere stato una sorta di risveglio intellettuale, in quanto insegnava alle masse ad impiegare la propria ragione per investigare le più profonde questioni dell’esistenza. Si può comprendere quanto l’Apostolo desiderasse che il Vangelo fosse capito e assimilato mentalmente dalle preghiere che rivolge a Dio, affinché i discepoli ricevessero luce per afferrare la verità. «Prego – dice – che il vostro amore abbondi sempre più in conoscenza e in ogni discernimento» (Filippesi 1:9). E in un’altra occasione: «Non smetto mai di rendere grazie per voi, ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione perché possiate conoscerlo pienamente; egli illumini gli occhi del vostro cuore, affinché sappiate a quale speranza vi ha chiamati, qual è la ricchezza Il predicatore come studioso 7 della gloria della sua eredità che vi riserva tra i santi, e qual è verso di noi, che crediamo, l’immensità della sua potenza» (Efesini 1:16-19). Tuttavia, nulla più della sua preoccupazione di mantenere puro ed integro il suo Vangelo dimostra il valore che l’Apostolo attribuisce alla dinamica della comprensione. Egli esorta i giovani ministri – come Timoteo e Tito – a salvaguardare il Vangelo, custodendolo come un tesoro prezioso e affidandolo a uomini fedeli che siano in grado di trasmetterlo ad altri (II Timoteo 2:1-2). Considerate l’agonia del suo spirito quando i discepoli venivano confusi da false dottrine che sovvertivano la verità che è in Cristo Gesù! Egli era impegnato sia sul versante del giudaismo sia su quello del paganesimo nella strenua difesa del Vangelo. Ricorderete senz’altro lo zelo e l’affetto dimostrato verso i Galati allorché essi furono sviati da falsi dottori: «Anche se noi o un angelo dal cielo vi annunziasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunziato, sia anatema. Come abbiamo già detto, lo ripeto di nuovo anche adesso: se qualcuno vi annunzia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema. Vado forse cercando il favore degli uomini, o quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servo di Cristo. […] O Galati insensati, chi vi ha ammaliati, voi, davanti ai cui occhi Gesù Cristo è stato rappresentato crocifisso? […] Figli miei, per i quali sono di nuovo in doglie, finché Cristo sia formato in voi, oh, come vorrei essere ora presente tra di voi e cambiar tono perché sono perplesso a vostro riguardo!» (Galati 1:8-10; 3:1; 4:19-20). M iei cari, se volete essere ministri della Parola dovete prima di tutto aver ben compreso la Parola voi stessi. Un certo numero di persone, più o meno grande, dipenderà da voi rispetto al modo in cui concepirà il messaggio cristiano. Il modo in cui la gente valuterà le realtà più importanti dell’esistenza umana sarà determinato da come comprenderanno il Vangelo, e la Responsabilità ministeriale 8 Rivista di pratica pastorale 3/06 responsabilità di far capire bene e approfonditamente la verità dipende, in gran parte, da voi. È difficile esagerare l’importanza della visione del mondo e delle convinzioni fondamentali delle persone a riguardo della vita dell’universo di cui sono parte. Vi è spesso la tendenza a pensare che l’intelletto, diversamente da tutte le altre facoltà, non abbia nulla a che vedere con la spiritualità, come se fosse una specie di intruso. Tuttavia, essendo l’intelletto una nobile facoltà ha un ruolo preminente nell’esperienza religiosa. La mente precede sia il sentimento sia la volontà. Anzi, sono i contenuti dell’intelletto a determinare sentimenti e decisioni. Spesso, le persone entrano a far parte della chiesa essendo coinvolte in una sorta di moto emotivo. Difatti, l’influenza dei cristiani in generale e il fulgido esempio dei conduttori di chiesa fanno molto per incoraggiare tale sentimento religioso. Tuttavia, nei momenti di crisi e di grande tentazione, allorché una fiumana di passioni o una forte pressione mondana sta per separare i credenti da Cristo, è la forza della convinzione che ci fa essere saldi. Ciò che ci sostiene nel momento della prova è la profonda persuasione sulla verità della fede. Il Signore Gesù in persona ha affermato che la verità è il sostegno della vita. Tutto ciò che siamo e facciamo dipende, in ultima analisi, da ciò che pensiamo e da ciò in cui crediamo. Sarebbe una vera catastrofe per i membri di chiesa se la nostra predicazione non contribuisse, gradualmente, a formare in loro una concezione del cristianesimo che sia vera, nobile e capace di costituire i principi fondamentali della loro vita. Le esigenze della verità O ltre alla responsabilità nei confronti dei membri delle nostre chiese, siamo obbligati nei confronti della verità stessa. L’apostolo Paolo avvertiva profondamente le esigenze della verità. Gli era stata affidata la rivelazione di Cristo e doveva annunciarla in tutto il suo splendore, applicandola a tutti gli aspetti dell’esistenza umana. Il predicatore come studioso 9 Anche a noi è stata affidata la parola di verità, e dobbiamo quindi affaticarci per presentare tutto il consiglio di Dio (I Timoteo 5:17; Atti 20:27). Se dobbiamo esporre un singolo testo della Scrittura, il nostro pregio come ministri della Parola sta nel saper trarre, in modo completo e interessante, la verità di cui tratta. Ancor più pregevole sarebbe riuscire a collegare quel particolare testo all’intero messaggio del libro in cui si trova. Per riuscirvi, non è sufficiente seguire la voga contemporanea e diventare degli specialisti di alcune porzioni della Bibbia, come gli scritti dei profeti o quelli giovannei. Dobbiamo altresì essere padroni dell’intero messaggio biblico. La Bibbia è il messaggio che rivela i pensieri e la volontà di un Dio d’amore e redentore; perciò dobbiamo esporla in modo tale da non sminuire né la consistenza della sua verità né quella della sua gloria. Occorre sapienza per comprendere come si possa raggiungere questo obiettivo. Indubbiamente vi sono modi diversi, adottati da personalità diverse in momenti diversi. Per esempio, alcuni predicatori espongono le dottrine evangeliche in modo tematico, presentandole una ad una secondo un ordine sistematico. Questo approccio è stato seguito da molti nel mondo anglosassone. Oppure, nei circoli luterani ed episcopali l’osservanza di celebrazioni, legate ad alcuni particolari giorni dell’anno, offre la possibilità di presentare alle persone i grandi eventi che caratterizzano la storia evangelica. Comunque sia, un ministro fedele deve impegnarsi affinché la sua predicazione affronti con sufficiente frequenza gli eventi e gli insegnamenti evangelici più importanti, assicurandosi di non omettere alcun elemento essenziale del cristianesimo. S pesso i ministri del Vangelo sono esortati a coltivare la semplicità nella predicazione. Ci viene detto che i nostri sermoni devono essere adattati al livello di comprensione delle persone più incolte, perfino dei bambini. Tuttavia, questo principio non è sempre applicabile. Lungi da me il disprezzare i membri più Semplicità e complessità 10 Rivista di pratica pastorale 3/06 modesti delle nostre congregazioni! L’attenzione e la cura per gli agnelli è sempre una grande prova della salute di una chiesa! Ma chiedo: la Bibbia è sempre semplice? Il libro di Giobbe o le profezie di Isaia sono elementari? E cosa dire dell’epistola ai Romani o di quella ai Galati? Questa smania di semplicità dipende spesso da pigrizia! E ricordiamoci: la chiesa che oltre a nutrire di latte i fanciulli non sa cibare di carne gli uomini fatti è destinata al declino. Abbiamo la responsabilità di annunciare il Vangelo non solo ai Barbari, ma anche ai Greci, non solo agli ignoranti, ma anche ai sapienti (Romani 1:14). Sono dell’avviso che l’elemento della complessità e dell’elaborazione non sia necessario solo per le chiese maggiormente istruite. Non vi è errore più grave del supporre che una predicazione che impegni la mente allontani la gente comune dalla chiesa. Ciò avverrà solo se predicheremo in modo incomprensibile, impiegando un linguaggio astruso e indecifrabile. Al limite potremmo fare come il predicatore puritano Richard Baxter, il quale spiega che aveva l’abitudine di predicare una volta all’anno in modo deliberatamente complicato per mantenere nell’umiltà i membri di chiesa, e per mostrare loro cosa poteva fare il loro pastore ogni domenica, se solo avesse voluto. Dobbiamo incontrarci con le persone al livello in cui si trovano, adoperando un linguaggio che sia comprensibile e cercando di stimolarle affinché crescano gradualmente. Se poi chi ci ascolta si dimostra attento e desideroso di imparare scopriremo che non solo avrà la forza nelle gambe per scalare monti, ma anche ali per librarsi in volo nei cieli della verità. I conflitti del predicatore U na difficoltà forse maggiore dipende dal predicatore stesso. Difatti, specialmente nel principio della sua opera, egli potrebbe essere disturbato da questioni dottrinali e da dubbi che non gli consentono di avere la chiarezza necessaria. Questo è davvero un grande ostacolo! A volte, per questo motivo, i primi anni di ministero sono molto sofferti. Le nostre chiese devono Il predicatore come studioso 11 spesso fare degli sforzi notevoli per seguirci, mentre cerchiamo di ottenere maggiore chiarezza e certezza nella nostra predicazione. Il più delle volte le persone nemmeno immaginano quali conflitti si scatenino nella mente del pastore. Tuttavia, vale la pena combattere queste battaglie, perché si tratta di doglie intellettuali, necessarie per dare alla luce una predicazione più chiara, più sicura e, quindi, più edificante. In casi del genere, la verità sarà privata della sua apparenza tradizionale per essere espressa nella sua genuinità. Il predicatore si troverà a predicare avendo maggiore intensità e incisività, derivanti dalla forza della convinzione interiore personale. Tuttavia, tali tentazioni non devono assolutamente derivare dalla pigrizia nello studio. Questo è un problema che s’incontra persino nei seminari teologici! Mi sembra che sia proprio questa, soprattutto tra i giovani, la causa più comune della mancanza di chiarezza teologica del pulpito. In una lezione precedente vi ho esortati a frequentare i grandi della letteratura. Accade, però, che alcuni studenti di teologia si appassionino così tanto a poeti e romanzieri da dimenticare il loro primo dovere! La letteratura in generale deve accompagnare a mo’ di supplemento i nostri studi teologici, senza mai diventare il nostro primo amore. Ho potuto osservare da vicino la “carriera” di alcuni studenti che sono caduti in questo errore fatale. Non è stato incoraggiante! Costoro divennero presto mondani e secolarizzati e la gente smise di frequentare la loro chiesa. C hiunque si prepari al ministero pastorale dovrebbe studiare a fondo almeno un paio di grandi opere teologiche, nelle quali una mente vasta e profonda presenta il messaggio cristiano. Se posso menzionare la mia esperienza, quando ero studente mi capitò – non certo per una speciale sapienza da parte mia! – di impegnarmi molto nello studio di tre volumi che hanno avuto un notevole impatto nella mia vita: The Holy Spirit del noto teologo puritano John Owen, New Testament Theology di Consigli sulle letture 12 Rivista di pratica pastorale 3/06 Bernard Weiss e Life and Epistles of St. Paul di Conybeare e Howson. Ricordo di aver imparato quasi a memoria queste opere! Allora non mi rendevo conto dei benefici che avrei ricevuto in seguito, ma adesso posso dirvi che ciascuno di essi è stato come una miniera nella quale ho scavato e scavato al punto che penso non vi sia sermone che abbia predicato senza rivelare in qualche modo la loro influenza1. Vi è un altro notevole beneficio che si trae studiando libri di questo calibro. Mi riferisco a quell’abitudine che potremmo chiamare delle “grandi letture”. Questa pratica permette al pastore di studiare sistematicamente le più notevoli opere teologiche, in aggiunta allo studio esegetico e omiletico necessario per la preparazione dei sermoni. Ogni settimana, il pastore coscienzioso dovrà leggere molto usando commentari, dizionari e altri strumenti per arricchire i suoi messaggi. Tuttavia, in aggiunta a questo sforzo che è necessario, egli dovrebbe comunque coltivare il proprio sottosuolo mentale mediante un impegno ulteriore ad un livello più profondo e più ampio. Padronanza di qualche disciplina specifica I noltre, pur dedicandoci agli studi teologici in generale, dovremmo cercare di applicarci per acquisire una significativa competenza in una qualche disciplina specifica. Il ministro del Vangelo deve avere la reputazione di persona esperta in questa o in quella materia. Può trattarsi della teologia esegetica o biblica, di quella sistematica, di quella storica, oppure di quella morale. Dopo un certo sforzo iniziale, diventerà più semplice mantenere e approfondire ciò che si è acquisito. Quasi impercettibilmente, 1 Suggeriamo i seguenti “classici” disponibili in lingua italiana: IRENEO DI LIONE, Contro le eresie; AGOSTINO D’IPPONA, La città di Dio; IDEM, La Trinità; ANSELMO D’AOSTA, Perché un Dio uomo; MARTIN LUTERO, Il servo arbitrio; GIOVANNI CALVINO, Istituzione della religione cristiana; RICHARD SIBBES, La canna rotta e il lucignolo fumante; JONATHAN EDWARDS, Una storia dell’opera della redenzione, IDEM, I sentimenti religiosi; BENJAMIN B. WARFIELD, La persona e l’opera di Cristo; GERHAARDUS VOS, Teologia biblica. Il predicatore come studioso 13 l’accumularsi di letture ed esperienze serviranno a rafforzare questa competenza particolare, così che, nonostante i molteplici impegni ministeriali, il pastore non correrà mai il pericolo di vedere inaridirsi il suo pensiero. O vviamente, in questa sede non posso esporre nemmeno uno schema del sistema dottrinale dell’apostolo Paolo. Tuttavia, vi sono un paio di punti su cui vorrei soffermarmi prima di concludere. Si tratta di due elementi importantissimi relativi alla predicazione. Il pensiero di Paolo era un tutt’uno con la sua esperienza. Il “suo” cristianesimo era cominciato con una grande esperienza, la quale lo portò a scoprire la fonte della vita e a trovare pace con Dio. Tale esperienza gli diede a pensare su come si era realizzata e su cosa implicava. Così, la teologia della prima parte del suo apostolato non è nient’altro che il risultato delle sue riflessioni – sotto la guida dello Spirito Santo – sulla sua stessa conversione. Tali meditazioni lo portarono ancora più vicino a Dio e a Cristo; di conseguenza ebbe nuove e più profonde esperienze spirituali le quali lo portarono, ancora una volta, alla formulazione teologica. Dunque, il pensiero paolino è sia esperienziale sia progressivo. Difatti, se dovessimo leggere le epistole di Paolo seguendo un ordine cronologico, sarebbe facile discernere lo sviluppo dottrinale del suo pensiero. Col passare del tempo, l’Apostolo non venne certo meno rispetto alle sue convinzioni dottrinali passate. Non vi è alcuna incompatibilità tra i due momenti del suo pensiero; tuttavia, esso si trasforma costantemente per assumere un’espressione sempre più matura. La prima fase dell’elaborazione dottrinale costituisce il fondamento su cui è stata poi edificata una struttura che Paolo è andato innalzando per tutta la vita. Paolo disdegnava l’intellettualismo religioso divorziato dall’esperienza, e non c’è dubbio che sia proprio questo divorzio a far nascere il disprezzo popolare nei confronti dell’elemento Dottrina ed esperienza 14 Rivista di pratica pastorale 3/06 intellettuale della predicazione. Quando la dottrina cristiana è presentata come mero dogma, la cui forma s’impone dall’esterno alla mente del predicatore, non c’è da meravigliarsi se è arida e improduttiva. La verità rivelata è annunciata con forza e passione quando l’esperienza spirituale del predicatore si approfondisce, allorché egli assapora una ad una le dottrine del Vangelo ed è persuaso nell’intimo della propria coscienza che siano la verità. Forse, un sermone non è mai più vivo di quando il predicatore comprende per la prima volta o penetra più a fondo una certa dottrina, o un suo aspetto, durante la settimana. Nel Giorno del Signore, allora, predicherà il suo messaggio con la freschezza e con la passione che accompagnano sempre una nuova scoperta. Equilibrio tra esposizione e applicazione I l secondo elemento di notevole importanza è il perfetto equilibrio di Paolo tra esposizione e applicazione, tra dottrina e pratica. Se si deve biasimare la predicazione quando è sconnessa dall’esperienza, si deve fare lo stesso quando non regola la condotta dei credenti. La forma esteriore delle epistole dell’apostolo Paolo ci insegna a mantenere unite l’esposizione e l’applicazione. Una lettera di Paolo è divisa in due parti: la prima riguarda l’esposizione dottrinale di alcune verità e la seconda l’applicazione di quelle verità alla vita quotidiana. Tuttavia, vi è una considerazione ancora più importante: per Paolo le grandi dottrine evangeliche costituiscono la scaturigine delle vere motivazioni per vivere come discepoli di Cristo. La dottrina della redenzione magnifica e santifica anche i doveri più semplici e le responsabilità più comuni. Consideriamo un esempio: il parlare in verità. Come affronta Paolo questo argomento? «Non mentite gli uni agli altri – esorta l’Apostolo –, perché vi siete spogliati dell’ uomo vecchio con le sue opere» (Colossesi 3:9). Vedete: il dovere deriva dalla comunione dei credenti la quale, a sua volta, procede dalla loro unione personale con Cristo. Dunque, Paolo collega continuamente la fedeltà Il predicatore come studioso 15 nelle responsabilità più semplici alle grandi verità relative alla persona e all’opera del Signore Gesù. È difficile mantenere questo equilibrio tra esposizione e applicazione, e la chiesa lo ha mantenuto raramente per periodi prolungati. Di solito, la tendenza è quella di passare da un estremo all’altro: o si esalta la dottrina trascurando la condotta, oppure si dà risalto alla pratica al punto da ignorare la teoria. Per quanto riguarda la nostra Scozia, forse nel passato abbiamo avuto un tipo di predicazione troppo dottrinale, oppure sarebbe meglio dire che abbiamo predicato poco sull’applicazione della dottrina. Per questo oggigiorno si sta predicando soffermandosi di più sull’elemento morale del cristianesimo e la domanda stessa per una predicazione più pratica è in crescita. Di sicuro si tratta di una cosa buona. Eppure, dobbiamo fare molta attenzione perché siamo già passati attraverso un periodo segnato dalle conseguenze di una predicazione morale scissa dalla dottrina cristiana. M i domando se ci sia, in tutta la storia del pulpito cristiano, un documento più importante del discorso rivolto da Thomas Chalmers1 alla chiesa di Kilmeny in occasione del suo trasferimento a Glasgow. È notorio che il prof. Chalmers fu pastore a Kilmeny per sette anni prima di sperimentare la grazia e la conversione. In questo periodo era uso parlare dei luoghi comuni tipici di chi ha compromesso il Vangelo. Tuttavia, dopo che la grazia di Dio trasformò il suo cuore, egli predicò per altri cinque anni come un vero ambasciatore di Cristo, esortando gli 1 Thomas Chalmers (1780-1847), ministro scozzese particolarmente attivo nell’organizzazione della vita ecclesiale e dalle rare capacità intellettuali, insegnò all’università, oltre alla teologia, anche matematica e filosofia. Fu uno dei protagonisti della “disruption” del 1843 da cui ebbe origine la Free Church of Scotland. Sotto il suo ministero si formarono uomini del calibro di Robert Murray McCheyne, William Cunningham, Robert Smith Candlish, Andrew e Horatius Bonar, Patrick Fairbairn, e altri ancora. L’esperienza di Thomas Chalmers 16 Rivista di pratica pastorale 3/06 uomini nel nome del Signor Gesù ad essere riconciliati con Dio. Ed ecco il resoconto. A questo punto, non posso fare a meno di parlare degli effetti di un esperimento che ho fatto, anche se involontariamente, durante la mia permanenza tra voi in questi dodici anni. Come sapete, in questo periodo ho potuto spaziare sulla miseria della disonestà, sulla volgarità della menzogna e sulla riprovevole arte della calunnia. In una parola, potevo ragionare di tutte le deformità del carattere che destano l’indignazione perfino dell’uomo naturale nei confronti di ciò che disturba la quiete della società umana. Orbene, se mediante queste mie calorose esortazioni avessi potuto portare il ladro a smettere di rubare, il maldicente a desistere dal calunniare e il bugiardo ad abbandonare la falsità, avrei gustato la soddisfazione di chi raggiunge lo scopo tanto ambito. Non mi è mai passato per la testa che nonostante si potesse realizzare tutto questo le persone potevano comunque rimanere del tutto estranee alla vita di Dio. Anche se io avessi potuto far detestare al ladro il suo furto, convincendolo per la sua intrinseca bassezza a non rubare più, costui avrebbe potuto continuare a vivere con un cuore del tutto separato da Dio e privo del principio dell’amore per lui. E tutto sarebbe stato come prima. In pratica, anche se io potessi rendere una persona più umana e onorabile, questo non implica che l’individuo in questione divenga solo per questo partecipe del principio essenziale della vera religione. Il fatto interessante è che nel periodo in cui non mi sono opposto all’inimicizia contro Dio del cuore dell’uomo naturale, quando non mi rendevo conto di come tale inimicizia potesse essere vinta mediante l’offerta gratuita del Vangelo e la fede nel Salvatore, e quando non parlavo del Cristo – o ne parlavo in termini talmente insignificanti così da non far risaltare la sua gloria e la perfezione del suo sacrificio sostitutivo – così che il peccatore, che per natura è sotto il giudizio divino, non poteva essere giustificato al cospetto del Giudice di tutta la Terra, pure esortavo voi tutti ad essere integri, veritieri e dignitosi. Eppure, non sentii di nessuno che si era ravveduto della propria corruzione. Non mi rendevo conto che tutta la mia veemenza nell’esortare ad una riforma morale dei costumi esercitava il peso di una piuma sulla Il predicatore come studioso 17 vita della gente! Non ho sentito che questi cambiamenti secondari fossero avvenuti in qualcuno finché non cominciai a essere consapevole della totale alienazione del sentimento e dei desideri del cuore verso Dio. Le cose cominciarono a cambiare in alcuni solo quando il tema della riconciliazione con Dio mediante il sangue di Cristo divenne il cuore del mio ministero, allorché iniziai a insistere affinché voi rispondeste all’offerta gratuita del perdono in virtù del suo sacrificio sostitutivo e riceveste il dono dello Spirito per tutti coloro che lo chiedono confidando nella mediazione del Signore Gesù. È stato solo quando in molti hanno cominciato a guardare alla croce comprendendo che bisogna vivere nel tempo in vista dell’eternità che si è assistito anche ad una riforma del comportamento. […] Tramite voi ho imparato che predicare Cristo crocifisso è il metodo più efficace per promuovere la vera moralità. Prego Dio che la lezione che ho imparato stando nel vostro modesto villaggio mi aiuti nel sottomettere al Vangelo della grazia la numerosa popolazione a cui sono stato destinato.