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Il predicatore come studioso

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Il predicatore come studioso
Il predicatore come
studioso
James Stalker*
N
elle nostre riflessioni durante le lezioni precedenti, non
ho dato molti accenni all’importanza dello studio nella
preparazione al ministero. Tuttavia, il corso che abbiamo seguito
ci ha portato, infine, a trattare anche di questo argomento.
Nell’ultima lezione sul ministero apostolico di Paolo, ho
parlato del vasto campo di azione assegnatogli come apostolo e
del suo sforzo per adempiere la chiamata che aveva ricevuto. Ma
in che modo egli si sforzò? Come riuscì a perseverare nelle sue
fatiche? Ciò che lo sostenne fu il glorioso messaggio di cui era
araldo, e che desiderava annunciare al mondo. Paolo combina
spesso due concetti nei suoi scritti: che Dio ha affidato i Gentili alla sua cura e che Dio ha affidato il Vangelo alla sua cura,
affinché annunciandolo ai Gentili egli si curasse di loro. Ecco
in cosa consisteva il suo apostolato: nell’attenzione al mondo
pagano e nella pubblicazione del Vangelo.
Certo, egli non aveva ricevuto il Vangelo dalle labbra di Cristo; eppure l’aveva ricevuto direttamente da Cristo in un altro
modo. Voi sapete come egli attesti con vigore che il suo Vangelo
non proveniva dall’uomo. Il Vangelo che definisce “mio” è tanto
autentico e autorevole quanto quello predicato da un qualsiasi
altro apostolo, anche se non possiamo dire con esattezza come
*
Lo scozzese James Stalker (1848-1927) fu pastore a Kirkcaldy e Glasgow, e anche professore di Storia della chiesa ad Aberdeen. Il presente articolo è tratto dalle sue Yale Lectures on Preaching del 1891, pubblicate col
titolo The Preacher and His Models, New York, Hunt & Eaton, 1892, pp.
239-263.
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Rivista di pratica pastorale 3/06
gli sia stato rivelato. Questo problema è simile al mistero delle
profezie dell’Antico Testamento. Sia i profeti che gli apostoli
parlano dimostrando una conoscenza dei pensieri e della volontà
di Dio, caratterizzata da una certezza e da un’autorità speciali.
Anche noi predichiamo e insegniamo con certezza e autorità,
ma c’è una differenza tra loro e noi. Di solito definiamo tale
differenza col termine “ispirazione”, che a dire il vero è un po’
vago. Tuttavia, la differenza c’è, eccome!
Pur ammettendo questa differenza e questo mistero, possiamo comunque comprendere come la verità raggiunse Paolo
e come egli la ricevette. A questo riguardo non vi è differenza
tra lui e noi.
Rinnovamento
della mente
C
iò che desidero sottolineare in questa lezione è che la verità
del cristianesimo s’impadronì soprattutto del suo pensiero. Il Vangelo conquista tutto l’uomo interiore: le emozioni, la
coscienza, la volontà e anche l’intelletto. A volte succede che
alcuni siano, rispetto ad altri, maggiormente influenzati in uno
o più di questi ambiti. Questo accade per la diversa costituzione
delle varie personalità. Vi è chi sostiene – forse a ragione – che
la primiera predicazione cristiana fosse il semplice annuncio
della storia di Cristo, della sua vita e della sua morte. Si dice che
coloro che accolsero questo messaggio cominciarono a vivere
una nuova vita secondo l’esempio di Cristo. Questo, in buona
sostanza, era il cristianesimo delle origini. Questo è quanto avviene nel caso dell’animo sensibile ed emotivo come quello di
Giovanni, il cui cristianesimo si contraddistingue dall’elemento
mistico della comunione tra l’anima e il Salvatore.
Non che l’apostolo Paolo fosse mancante nel sentimento; il
fatto è che egli possedeva un intelletto notevole. Si tratta di una
di quelle nature per le quali bisogna comprendere il “perché”
e il “dunque” delle cose. Tale tendenza naturale fu rafforzata
dall’istruzione ricevuta. E quando il Vangelo lo raggiunse,
venne a lui come un messaggio di verità che spiegava i misteri
Il predicatore come studioso
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della vita e che definiva l’universo come un mondo di ordine
e armonia.
Paolo esprime spesso l’intensa soddisfazione intellettuale
suscitata in lui dal cristianesimo, e la gioia che riceveva nel
constatare come rispondeva alle questioni fondamentali della
vita. La luce che il Vangelo gettava sull’esistenza era per lui
come il principio della creazione, quando Dio disse «splenda
la luce fra le tenebre» (II Corinzi 4:6). Prima era tutto tenebre
e caos, ma poi vi fu luce e ordine. Quante volte egli gioisce nel
raccontare come gli sono stati rivelati i misteri tenuti nascosti
fin dai tempi più remoti! Com’è scritto: «Le cose che occhio
non vide, e che orecchio non udì, e che mai salirono nel cuore
dell’ uomo, sono quelle che Dio ha preparate per coloro che lo
amano» (II Corinzi 2:9). Dio ha rivelato la verità mediante il suo
Spirito e con il termine “mistero” egli voleva indicare la segreta
provvidenza di Dio, che Cristo è venuto a svelare e spiegare e
che la mente può adesso discernere.
A
vendo ricevuto il cristianesimo come un messaggio
comprensibile dall’intelletto, l’Apostolo si rivolgeva all’intelletto degli altri. La porta attraverso la quale le persone
potranno entrare nel regno dei cieli sarà quella che noi apriamo,
ma non possiamo aprire altra porta se non quella che abbiamo
attraversato noi stessi!
Il cristianesimo aveva raggiunto Paolo come verità: verità
su Dio, sul mondo e su se stesso. Certo, vi era anche molto
sentimento, ma esso seguiva l’illuminazione della mente e
procedeva dalla persuasione dell’intelletto. Perciò, l’Apostolo
si aspettava che anche gli altri ricevessero il Vangelo nella
medesima maniera. Ecco perché egli non risparmiava la fatica
mentale ai discepoli; piuttosto, dava per scontato che essi pensassero e avrebbe detto che, qualora non avessero voluto farlo,
non potevano ricevere il messaggio cristiano.
È a volte sconcertante osservare l’audacia di Paolo nel
Rivolgersi alla
mente
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Rivista di pratica pastorale 3/06
coinvolgere le persone nelle sue riflessioni, soprattutto quando
si trattava dei suoi pensieri più profondi e difficili. Provate
a immaginare gli anziani della chiesa di Roma, o di Efeso, i
quali, una domenica sera, leggono per la prima volta l’epistola
dell’Apostolo Paolo appena ricevuta! Chi erano le persone che
li ascoltavano? La maggior parte dei membri di chiesa erano
degli schiavi, molti dei quali erano stati fino a poco tempo prima
del tutto indifferenti alla religione. Inoltre, la maggior parte di
quella gente non sapeva né leggere né scrivere. Eppure, cosa
proponeva a questo tipo di persone Paolo? Non li trattava certo
da bambini bisognosi di latte! Non li intratteneva con storielle,
né insegnava tecniche pragmatiche per riuscire nelle cose pratiche della vita! Pensate alle lettera ai Romani con le sue idee
grandiose e il suo sviluppo logico, o a quella agli Efesini, con la
sua profonda spiritualità e le sue difficili digressioni. Anche se
gli eruditi hanno ritenuto opportuno accumulare commentario
su commentario per spiegare le sue epistole, evidentemente
l’apostolo Paolo riteneva che le persone comprendessero ciò
che insegnava. Il cristianesimo, così come si propagava tra le
città dell’Impero Romano mediante l’opera di Paolo, deve essere
stato una sorta di risveglio intellettuale, in quanto insegnava
alle masse ad impiegare la propria ragione per investigare le
più profonde questioni dell’esistenza.
Si può comprendere quanto l’Apostolo desiderasse che il
Vangelo fosse capito e assimilato mentalmente dalle preghiere
che rivolge a Dio, affinché i discepoli ricevessero luce per afferrare la verità. «Prego – dice – che il vostro amore abbondi
sempre più in conoscenza e in ogni discernimento» (Filippesi
1:9). E in un’altra occasione: «Non smetto mai di rendere grazie
per voi, ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del
nostro Signore Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno
spirito di sapienza e di rivelazione perché possiate conoscerlo
pienamente; egli illumini gli occhi del vostro cuore, affinché
sappiate a quale speranza vi ha chiamati, qual è la ricchezza
Il predicatore come studioso
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della gloria della sua eredità che vi riserva tra i santi, e qual
è verso di noi, che crediamo, l’immensità della sua potenza»
(Efesini 1:16-19).
Tuttavia, nulla più della sua preoccupazione di mantenere
puro ed integro il suo Vangelo dimostra il valore che l’Apostolo
attribuisce alla dinamica della comprensione. Egli esorta i giovani ministri – come Timoteo e Tito – a salvaguardare il Vangelo,
custodendolo come un tesoro prezioso e affidandolo a uomini
fedeli che siano in grado di trasmetterlo ad altri (II Timoteo
2:1-2). Considerate l’agonia del suo spirito quando i discepoli
venivano confusi da false dottrine che sovvertivano la verità che è
in Cristo Gesù! Egli era impegnato sia sul versante del giudaismo
sia su quello del paganesimo nella strenua difesa del Vangelo.
Ricorderete senz’altro lo zelo e l’affetto dimostrato verso i Galati
allorché essi furono sviati da falsi dottori: «Anche se noi o un
angelo dal cielo vi annunziasse un vangelo diverso da quello che
vi abbiamo annunziato, sia anatema. Come abbiamo già detto,
lo ripeto di nuovo anche adesso: se qualcuno vi annunzia un
vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema. Vado
forse cercando il favore degli uomini, o quello di Dio? Oppure
cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli
uomini, non sarei servo di Cristo. […] O Galati insensati, chi vi
ha ammaliati, voi, davanti ai cui occhi Gesù Cristo è stato rappresentato crocifisso? […] Figli miei, per i quali sono di nuovo
in doglie, finché Cristo sia formato in voi, oh, come vorrei essere
ora presente tra di voi e cambiar tono perché sono perplesso a
vostro riguardo!» (Galati 1:8-10; 3:1; 4:19-20).
M
iei cari, se volete essere ministri della Parola dovete prima
di tutto aver ben compreso la Parola voi stessi. Un certo
numero di persone, più o meno grande, dipenderà da voi rispetto
al modo in cui concepirà il messaggio cristiano. Il modo in cui
la gente valuterà le realtà più importanti dell’esistenza umana
sarà determinato da come comprenderanno il Vangelo, e la
Responsabilità
ministeriale
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Rivista di pratica pastorale 3/06
responsabilità di far capire bene e approfonditamente la verità
dipende, in gran parte, da voi.
È difficile esagerare l’importanza della visione del mondo e
delle convinzioni fondamentali delle persone a riguardo della
vita dell’universo di cui sono parte. Vi è spesso la tendenza a
pensare che l’intelletto, diversamente da tutte le altre facoltà,
non abbia nulla a che vedere con la spiritualità, come se fosse
una specie di intruso. Tuttavia, essendo l’intelletto una nobile
facoltà ha un ruolo preminente nell’esperienza religiosa. La
mente precede sia il sentimento sia la volontà. Anzi, sono i
contenuti dell’intelletto a determinare sentimenti e decisioni.
Spesso, le persone entrano a far parte della chiesa essendo
coinvolte in una sorta di moto emotivo. Difatti, l’influenza
dei cristiani in generale e il fulgido esempio dei conduttori di
chiesa fanno molto per incoraggiare tale sentimento religioso.
Tuttavia, nei momenti di crisi e di grande tentazione, allorché
una fiumana di passioni o una forte pressione mondana sta per
separare i credenti da Cristo, è la forza della convinzione che ci
fa essere saldi. Ciò che ci sostiene nel momento della prova è
la profonda persuasione sulla verità della fede. Il Signore Gesù
in persona ha affermato che la verità è il sostegno della vita.
Tutto ciò che siamo e facciamo dipende, in ultima analisi, da
ciò che pensiamo e da ciò in cui crediamo. Sarebbe una vera
catastrofe per i membri di chiesa se la nostra predicazione non
contribuisse, gradualmente, a formare in loro una concezione
del cristianesimo che sia vera, nobile e capace di costituire i
principi fondamentali della loro vita.
Le esigenze
della verità
O
ltre alla responsabilità nei confronti dei membri delle
nostre chiese, siamo obbligati nei confronti della verità
stessa. L’apostolo Paolo avvertiva profondamente le esigenze
della verità. Gli era stata affidata la rivelazione di Cristo e doveva annunciarla in tutto il suo splendore, applicandola a tutti
gli aspetti dell’esistenza umana.
Il predicatore come studioso
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Anche a noi è stata affidata la parola di verità, e dobbiamo
quindi affaticarci per presentare tutto il consiglio di Dio (I Timoteo 5:17; Atti 20:27). Se dobbiamo esporre un singolo testo
della Scrittura, il nostro pregio come ministri della Parola sta
nel saper trarre, in modo completo e interessante, la verità di
cui tratta. Ancor più pregevole sarebbe riuscire a collegare quel
particolare testo all’intero messaggio del libro in cui si trova.
Per riuscirvi, non è sufficiente seguire la voga contemporanea e
diventare degli specialisti di alcune porzioni della Bibbia, come
gli scritti dei profeti o quelli giovannei. Dobbiamo altresì essere
padroni dell’intero messaggio biblico. La Bibbia è il messaggio
che rivela i pensieri e la volontà di un Dio d’amore e redentore;
perciò dobbiamo esporla in modo tale da non sminuire né la
consistenza della sua verità né quella della sua gloria.
Occorre sapienza per comprendere come si possa raggiungere
questo obiettivo. Indubbiamente vi sono modi diversi, adottati
da personalità diverse in momenti diversi. Per esempio, alcuni
predicatori espongono le dottrine evangeliche in modo tematico, presentandole una ad una secondo un ordine sistematico.
Questo approccio è stato seguito da molti nel mondo anglosassone. Oppure, nei circoli luterani ed episcopali l’osservanza
di celebrazioni, legate ad alcuni particolari giorni dell’anno,
offre la possibilità di presentare alle persone i grandi eventi che
caratterizzano la storia evangelica. Comunque sia, un ministro
fedele deve impegnarsi affinché la sua predicazione affronti con
sufficiente frequenza gli eventi e gli insegnamenti evangelici
più importanti, assicurandosi di non omettere alcun elemento
essenziale del cristianesimo.
S
pesso i ministri del Vangelo sono esortati a coltivare la semplicità nella predicazione. Ci viene detto che i nostri sermoni
devono essere adattati al livello di comprensione delle persone
più incolte, perfino dei bambini. Tuttavia, questo principio non
è sempre applicabile. Lungi da me il disprezzare i membri più
Semplicità e
complessità
10 Rivista di pratica pastorale 3/06
modesti delle nostre congregazioni! L’attenzione e la cura per
gli agnelli è sempre una grande prova della salute di una chiesa!
Ma chiedo: la Bibbia è sempre semplice? Il libro di Giobbe o
le profezie di Isaia sono elementari? E cosa dire dell’epistola
ai Romani o di quella ai Galati? Questa smania di semplicità
dipende spesso da pigrizia! E ricordiamoci: la chiesa che oltre a
nutrire di latte i fanciulli non sa cibare di carne gli uomini fatti
è destinata al declino. Abbiamo la responsabilità di annunciare
il Vangelo non solo ai Barbari, ma anche ai Greci, non solo agli
ignoranti, ma anche ai sapienti (Romani 1:14).
Sono dell’avviso che l’elemento della complessità e dell’elaborazione non sia necessario solo per le chiese maggiormente istruite. Non vi è errore più grave del supporre che una
predicazione che impegni la mente allontani la gente comune
dalla chiesa. Ciò avverrà solo se predicheremo in modo incomprensibile, impiegando un linguaggio astruso e indecifrabile.
Al limite potremmo fare come il predicatore puritano Richard
Baxter, il quale spiega che aveva l’abitudine di predicare una
volta all’anno in modo deliberatamente complicato per mantenere nell’umiltà i membri di chiesa, e per mostrare loro cosa
poteva fare il loro pastore ogni domenica, se solo avesse voluto.
Dobbiamo incontrarci con le persone al livello in cui si trovano,
adoperando un linguaggio che sia comprensibile e cercando di
stimolarle affinché crescano gradualmente. Se poi chi ci ascolta
si dimostra attento e desideroso di imparare scopriremo che non
solo avrà la forza nelle gambe per scalare monti, ma anche ali
per librarsi in volo nei cieli della verità.
I conflitti del
predicatore
U
na difficoltà forse maggiore dipende dal predicatore stesso.
Difatti, specialmente nel principio della sua opera, egli
potrebbe essere disturbato da questioni dottrinali e da dubbi che
non gli consentono di avere la chiarezza necessaria. Questo è
davvero un grande ostacolo! A volte, per questo motivo, i primi
anni di ministero sono molto sofferti. Le nostre chiese devono
Il predicatore come studioso 11
spesso fare degli sforzi notevoli per seguirci, mentre cerchiamo
di ottenere maggiore chiarezza e certezza nella nostra predicazione. Il più delle volte le persone nemmeno immaginano quali
conflitti si scatenino nella mente del pastore. Tuttavia, vale
la pena combattere queste battaglie, perché si tratta di doglie
intellettuali, necessarie per dare alla luce una predicazione più
chiara, più sicura e, quindi, più edificante. In casi del genere, la
verità sarà privata della sua apparenza tradizionale per essere
espressa nella sua genuinità. Il predicatore si troverà a predicare
avendo maggiore intensità e incisività, derivanti dalla forza della
convinzione interiore personale.
Tuttavia, tali tentazioni non devono assolutamente derivare
dalla pigrizia nello studio. Questo è un problema che s’incontra
persino nei seminari teologici! Mi sembra che sia proprio questa,
soprattutto tra i giovani, la causa più comune della mancanza
di chiarezza teologica del pulpito. In una lezione precedente vi
ho esortati a frequentare i grandi della letteratura. Accade, però,
che alcuni studenti di teologia si appassionino così tanto a poeti
e romanzieri da dimenticare il loro primo dovere! La letteratura
in generale deve accompagnare a mo’ di supplemento i nostri
studi teologici, senza mai diventare il nostro primo amore. Ho
potuto osservare da vicino la “carriera” di alcuni studenti che
sono caduti in questo errore fatale. Non è stato incoraggiante!
Costoro divennero presto mondani e secolarizzati e la gente
smise di frequentare la loro chiesa.
C
hiunque si prepari al ministero pastorale dovrebbe studiare
a fondo almeno un paio di grandi opere teologiche, nelle
quali una mente vasta e profonda presenta il messaggio cristiano.
Se posso menzionare la mia esperienza, quando ero studente
mi capitò – non certo per una speciale sapienza da parte mia!
– di impegnarmi molto nello studio di tre volumi che hanno
avuto un notevole impatto nella mia vita: The Holy Spirit del
noto teologo puritano John Owen, New Testament Theology di
Consigli sulle
letture
12 Rivista di pratica pastorale 3/06
Bernard Weiss e Life and Epistles of St. Paul di Conybeare e
Howson. Ricordo di aver imparato quasi a memoria queste opere! Allora non mi rendevo conto dei benefici che avrei ricevuto
in seguito, ma adesso posso dirvi che ciascuno di essi è stato
come una miniera nella quale ho scavato e scavato al punto che
penso non vi sia sermone che abbia predicato senza rivelare in
qualche modo la loro influenza1.
Vi è un altro notevole beneficio che si trae studiando libri
di questo calibro. Mi riferisco a quell’abitudine che potremmo
chiamare delle “grandi letture”. Questa pratica permette al pastore di studiare sistematicamente le più notevoli opere teologiche,
in aggiunta allo studio esegetico e omiletico necessario per la
preparazione dei sermoni. Ogni settimana, il pastore coscienzioso dovrà leggere molto usando commentari, dizionari e altri
strumenti per arricchire i suoi messaggi. Tuttavia, in aggiunta
a questo sforzo che è necessario, egli dovrebbe comunque
coltivare il proprio sottosuolo mentale mediante un impegno
ulteriore ad un livello più profondo e più ampio.
Padronanza
di qualche
disciplina
specifica
I
noltre, pur dedicandoci agli studi teologici in generale, dovremmo cercare di applicarci per acquisire una significativa
competenza in una qualche disciplina specifica. Il ministro del
Vangelo deve avere la reputazione di persona esperta in questa o
in quella materia. Può trattarsi della teologia esegetica o biblica,
di quella sistematica, di quella storica, oppure di quella morale.
Dopo un certo sforzo iniziale, diventerà più semplice mantenere
e approfondire ciò che si è acquisito. Quasi impercettibilmente,
1
Suggeriamo i seguenti “classici” disponibili in lingua italiana: IRENEO DI
LIONE, Contro le eresie; AGOSTINO D’IPPONA, La città di Dio; IDEM, La Trinità;
ANSELMO D’AOSTA, Perché un Dio uomo; MARTIN LUTERO, Il servo arbitrio;
GIOVANNI CALVINO, Istituzione della religione cristiana; RICHARD SIBBES, La
canna rotta e il lucignolo fumante; JONATHAN EDWARDS, Una storia dell’opera della redenzione, IDEM, I sentimenti religiosi; BENJAMIN B. WARFIELD, La
persona e l’opera di Cristo; GERHAARDUS VOS, Teologia biblica.
Il predicatore come studioso 13
l’accumularsi di letture ed esperienze serviranno a rafforzare
questa competenza particolare, così che, nonostante i molteplici
impegni ministeriali, il pastore non correrà mai il pericolo di
vedere inaridirsi il suo pensiero.
O
vviamente, in questa sede non posso esporre nemmeno
uno schema del sistema dottrinale dell’apostolo Paolo.
Tuttavia, vi sono un paio di punti su cui vorrei soffermarmi
prima di concludere. Si tratta di due elementi importantissimi
relativi alla predicazione.
Il pensiero di Paolo era un tutt’uno con la sua esperienza. Il
“suo” cristianesimo era cominciato con una grande esperienza,
la quale lo portò a scoprire la fonte della vita e a trovare pace
con Dio. Tale esperienza gli diede a pensare su come si era realizzata e su cosa implicava. Così, la teologia della prima parte
del suo apostolato non è nient’altro che il risultato delle sue
riflessioni – sotto la guida dello Spirito Santo – sulla sua stessa
conversione. Tali meditazioni lo portarono ancora più vicino
a Dio e a Cristo; di conseguenza ebbe nuove e più profonde
esperienze spirituali le quali lo portarono, ancora una volta,
alla formulazione teologica. Dunque, il pensiero paolino è sia
esperienziale sia progressivo. Difatti, se dovessimo leggere le
epistole di Paolo seguendo un ordine cronologico, sarebbe facile
discernere lo sviluppo dottrinale del suo pensiero. Col passare
del tempo, l’Apostolo non venne certo meno rispetto alle sue
convinzioni dottrinali passate. Non vi è alcuna incompatibilità
tra i due momenti del suo pensiero; tuttavia, esso si trasforma
costantemente per assumere un’espressione sempre più matura. La prima fase dell’elaborazione dottrinale costituisce il
fondamento su cui è stata poi edificata una struttura che Paolo
è andato innalzando per tutta la vita.
Paolo disdegnava l’intellettualismo religioso divorziato dall’esperienza, e non c’è dubbio che sia proprio questo divorzio
a far nascere il disprezzo popolare nei confronti dell’elemento
Dottrina ed
esperienza
14 Rivista di pratica pastorale 3/06
intellettuale della predicazione. Quando la dottrina cristiana
è presentata come mero dogma, la cui forma s’impone dall’esterno alla mente del predicatore, non c’è da meravigliarsi
se è arida e improduttiva. La verità rivelata è annunciata con
forza e passione quando l’esperienza spirituale del predicatore
si approfondisce, allorché egli assapora una ad una le dottrine
del Vangelo ed è persuaso nell’intimo della propria coscienza
che siano la verità. Forse, un sermone non è mai più vivo di
quando il predicatore comprende per la prima volta o penetra più
a fondo una certa dottrina, o un suo aspetto, durante la settimana.
Nel Giorno del Signore, allora, predicherà il suo messaggio con
la freschezza e con la passione che accompagnano sempre una
nuova scoperta.
Equilibrio tra
esposizione e
applicazione
I
l secondo elemento di notevole importanza è il perfetto
equilibrio di Paolo tra esposizione e applicazione, tra dottrina e pratica. Se si deve biasimare la predicazione quando è
sconnessa dall’esperienza, si deve fare lo stesso quando non
regola la condotta dei credenti. La forma esteriore delle epistole
dell’apostolo Paolo ci insegna a mantenere unite l’esposizione e
l’applicazione. Una lettera di Paolo è divisa in due parti: la prima
riguarda l’esposizione dottrinale di alcune verità e la seconda
l’applicazione di quelle verità alla vita quotidiana.
Tuttavia, vi è una considerazione ancora più importante: per
Paolo le grandi dottrine evangeliche costituiscono la scaturigine
delle vere motivazioni per vivere come discepoli di Cristo. La
dottrina della redenzione magnifica e santifica anche i doveri
più semplici e le responsabilità più comuni. Consideriamo un
esempio: il parlare in verità. Come affronta Paolo questo argomento? «Non mentite gli uni agli altri – esorta l’Apostolo –,
perché vi siete spogliati dell’ uomo vecchio con le sue opere»
(Colossesi 3:9). Vedete: il dovere deriva dalla comunione dei
credenti la quale, a sua volta, procede dalla loro unione personale con Cristo. Dunque, Paolo collega continuamente la fedeltà
Il predicatore come studioso 15
nelle responsabilità più semplici alle grandi verità relative alla
persona e all’opera del Signore Gesù.
È difficile mantenere questo equilibrio tra esposizione e
applicazione, e la chiesa lo ha mantenuto raramente per periodi prolungati. Di solito, la tendenza è quella di passare da un
estremo all’altro: o si esalta la dottrina trascurando la condotta,
oppure si dà risalto alla pratica al punto da ignorare la teoria.
Per quanto riguarda la nostra Scozia, forse nel passato abbiamo avuto un tipo di predicazione troppo dottrinale, oppure
sarebbe meglio dire che abbiamo predicato poco sull’applicazione della dottrina. Per questo oggigiorno si sta predicando
soffermandosi di più sull’elemento morale del cristianesimo e
la domanda stessa per una predicazione più pratica è in crescita.
Di sicuro si tratta di una cosa buona. Eppure, dobbiamo fare
molta attenzione perché siamo già passati attraverso un periodo
segnato dalle conseguenze di una predicazione morale scissa
dalla dottrina cristiana.
M
i domando se ci sia, in tutta la storia del pulpito cristiano, un documento più importante del discorso rivolto da
Thomas Chalmers1 alla chiesa di Kilmeny in occasione del suo
trasferimento a Glasgow. È notorio che il prof. Chalmers fu
pastore a Kilmeny per sette anni prima di sperimentare la grazia
e la conversione. In questo periodo era uso parlare dei luoghi
comuni tipici di chi ha compromesso il Vangelo. Tuttavia, dopo
che la grazia di Dio trasformò il suo cuore, egli predicò per altri
cinque anni come un vero ambasciatore di Cristo, esortando gli
1
Thomas Chalmers (1780-1847), ministro scozzese particolarmente attivo
nell’organizzazione della vita ecclesiale e dalle rare capacità intellettuali,
insegnò all’università, oltre alla teologia, anche matematica e filosofia. Fu
uno dei protagonisti della “disruption” del 1843 da cui ebbe origine la Free
Church of Scotland. Sotto il suo ministero si formarono uomini del calibro
di Robert Murray McCheyne, William Cunningham, Robert Smith Candlish,
Andrew e Horatius Bonar, Patrick Fairbairn, e altri ancora.
L’esperienza
di Thomas
Chalmers
16 Rivista di pratica pastorale 3/06
uomini nel nome del Signor Gesù ad essere riconciliati con Dio.
Ed ecco il resoconto.
A questo punto, non posso fare a meno di parlare degli effetti di
un esperimento che ho fatto, anche se involontariamente, durante
la mia permanenza tra voi in questi dodici anni. Come sapete, in
questo periodo ho potuto spaziare sulla miseria della disonestà, sulla
volgarità della menzogna e sulla riprovevole arte della calunnia. In
una parola, potevo ragionare di tutte le deformità del carattere che
destano l’indignazione perfino dell’uomo naturale nei confronti di
ciò che disturba la quiete della società umana. Orbene, se mediante queste mie calorose esortazioni avessi potuto portare il ladro
a smettere di rubare, il maldicente a desistere dal calunniare e il
bugiardo ad abbandonare la falsità, avrei gustato la soddisfazione
di chi raggiunge lo scopo tanto ambito. Non mi è mai passato per
la testa che nonostante si potesse realizzare tutto questo le persone
potevano comunque rimanere del tutto estranee alla vita di Dio.
Anche se io avessi potuto far detestare al ladro il suo furto, convincendolo per la sua intrinseca bassezza a non rubare più, costui
avrebbe potuto continuare a vivere con un cuore del tutto separato
da Dio e privo del principio dell’amore per lui. E tutto sarebbe stato
come prima. In pratica, anche se io potessi rendere una persona più
umana e onorabile, questo non implica che l’individuo in questione
divenga solo per questo partecipe del principio essenziale della vera
religione. Il fatto interessante è che nel periodo in cui non mi sono
opposto all’inimicizia contro Dio del cuore dell’uomo naturale,
quando non mi rendevo conto di come tale inimicizia potesse essere
vinta mediante l’offerta gratuita del Vangelo e la fede nel Salvatore,
e quando non parlavo del Cristo – o ne parlavo in termini talmente
insignificanti così da non far risaltare la sua gloria e la perfezione
del suo sacrificio sostitutivo – così che il peccatore, che per natura
è sotto il giudizio divino, non poteva essere giustificato al cospetto
del Giudice di tutta la Terra, pure esortavo voi tutti ad essere integri, veritieri e dignitosi. Eppure, non sentii di nessuno che si era
ravveduto della propria corruzione.
Non mi rendevo conto che tutta la mia veemenza nell’esortare ad
una riforma morale dei costumi esercitava il peso di una piuma sulla
Il predicatore come studioso 17
vita della gente! Non ho sentito che questi cambiamenti secondari
fossero avvenuti in qualcuno finché non cominciai a essere consapevole della totale alienazione del sentimento e dei desideri del cuore
verso Dio. Le cose cominciarono a cambiare in alcuni solo quando
il tema della riconciliazione con Dio mediante il sangue di Cristo
divenne il cuore del mio ministero, allorché iniziai a insistere affinché voi rispondeste all’offerta gratuita del perdono in virtù del suo
sacrificio sostitutivo e riceveste il dono dello Spirito per tutti coloro
che lo chiedono confidando nella mediazione del Signore Gesù. È
stato solo quando in molti hanno cominciato a guardare alla croce
comprendendo che bisogna vivere nel tempo in vista dell’eternità
che si è assistito anche ad una riforma del comportamento. […] Tramite voi ho imparato che predicare Cristo crocifisso è il metodo più
efficace per promuovere la vera moralità. Prego Dio che la lezione
che ho imparato stando nel vostro modesto villaggio mi aiuti nel
sottomettere al Vangelo della grazia la numerosa popolazione a cui
sono stato destinato.
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