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La sobrietà - Suore Operaie
Scrivo a voi In principio era un bimbo Facciamoci prestare gli occhi da un bambino: Dio creò, l’uomo ha distrutto. Cosa faranno i bambini domani? Con gli occhi della fede Essere Vangelo Correndo tra Parole di cielo, ecco nascere sogni da mangiare, sogni da camminare. Sogni che non vedono l’ora di diventare realtà. Periodico trimestrale Suore Operaie S. Casa di Nazareth Presto la Chiesa avrà un nuovo Santo. La quotidianità salirà sugli altari. La sobrietà Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 DCB Brescia 4 2008 Cose di casa Il beato Tadini presto santo Donne consacrate e innamorate nel mondo del lavoro... Sommario Fondate nel 1900 dal sacerdore diocesano Beato Arcangelo Tadini, il nostro carisma è testimoniare Cristo nel mondo del lavoro attraverso, in primo luogo, la condivisione del lavoro stesso. Ti portiamo nel nostro cuore, dove vive e lavora Gesù, operaio nella bottega di Nazareth. Scrivo a voi In principio era un bimbo Antonio Giovannini Dal vivo Allarme rifiuti Matteo Mascia 05 Sobrietà televisiva Meglio sobri che male accompagnati Filippo Borille Dalla missione Una virtù per i ricchi Isidoro Apostoli Virtù antica e... di moda 12 Essere Vangelo 12 Il Padre nostro per gustare un pezzo di pane... 14 Giochi ritrovati 15 Voglio sposarmi! 17 18 Con gli occhi della fede don Marco Cagol sr Alessandra Falco sr Sabrina Pianta Non fa rumore, ma... Gianni Saonara @ 09 10 Alessandro Piergentili 06 08 Sobri nel tempo dei consumi Dal mondo 04 Sentinelle del mattino Mp3 e bastoni Corry 19 La porta del Natale Cose di casa Pagine di storia Camilla 20 Vorrei che ognuno di noi avesse quattro chiavi. Le Suore Operaie a Sanpolino Mettersi in Gioc 21 22 Raccontami di te 24 Lavorare con loro Adueadue Cinema e cultura Un incontro sulla via di... Damasco Fulgenzio Razio sr Erika Sobrietà, dallo spreco di pochi ai diritti per tutti 25 Un prete per te sr Cristiana Crippa e sr Italina Parente Io mi sono privato di tutto 26 28 Varie ed eventuali Flash LAVORO E VITA Periodico trimestrale Suore Operaie S. Casa di Nazareth Direttore responsabile: Don Antonio Fappani Autorizzazione Tribunale di Brescia n. 127 del 25/02/1957 Direzione, amministrazione e redazione: Gabriella Cappellato Raffaella Falco Francesca Fiorese Giorgio Maghella Camilla Marcolini Mario Sberna Corrado Tregambe Sede abbonamenti: Casa Madre Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth Via Beato Arcangelo Tadini, 19 25082 Botticino Sera (Bs) tel. 030.2691138 - fax 030.2198609 e-mail [email protected] www.suoreoperaie.it A questo numero hanno collaborato: Antonio Giovannini, Matteo Mascia, Filippo Borille, Isidoro Apostoli, Alessandro Piergentili, don Marco Cagol, sr Alessandra Falco, sr Sabrina Pianta, Gianni Saonara, Paola Rodella, Matteo Corbetta, Fulgenzio Razio, sr Erika Perini, Daniele Sottini, sr Italina Parente, sr Cristiana Crippa, Piercarlo Fontana. Grafica: Maurizio Castrezzati Realizzazione: Cidiemme - Brescia Stampa: Tipografia Pagani Attilio Lumezzane (Bs) 28 Una chiave per la porta che dà sul retro: il Signore viene, dove e come non lo sappiamo. Viene in coloro che non ardiscono accostarsi alla grande porta maestra. Una chiave per la porta che dà verso l’interno: il Signore ci è più intimo del più profondo dell’anima nostra. Da lì egli entra nella casa della nostra vita. Una chiave per la porta di comunicazione che è stata murata, ricoperta con l’intonaco, quella che dà su ciò che ci sta accanto: in coloro che ci sono più prossimi, che sono anche coloro che più ci sono estranei, il Signore bussa alla nostra porta. Una chiave per la porta principale, il portale: su quella soglia Gesù, con Maria e Giuseppe furono respinti. Non esitiamo a lasciarlo decisamente entrare nella nostra vita, nel nostro mondo! Sapremo essere, oggi, la sua Betlemme? (Klaus Hemmerle) A tutti i nostri lettori auguri così... Le Suore Operaie Editoriale Mario Sberna Dalla grotta di Betlemme alla vetrina di un centro commerciale. Certo che il piccolo Gesù ne ha fatta di strada. Ma, viene da chiedersi, sono tutti chilometri che si è scelto, o siamo noi che ce lo siamo trascinato dietro come un bel souvenir, lungo le rotte delle nostre vite traballanti? È difficile concepire Dio nell’immagine di un bimbo. Forse per questo riusciamo a vivere in festa anche questo Avvento, nonostante i milioni di casi di schiavitù infantile, di prostituzione minorile, di compravendita di organi, di botte e violenze sui bimbi. Perché per noi l’Avvento non può essere un momento di tristezza: se fossimo tristi, non spenderemmo denaro. E senza denaro, senza spese, che festa sarebbe? Il tempo di Natale è tempo di scambio di doni e messaggi di felicità per eccellenza. Il mercato approfitta di questa antica cultura del dono e provoca un’onda di consumismo. Ma, all’origine di tutto questo, un fatto determinante: nel giorno che abbiamo dedicato al Natale, l’umanità ha ricevuto il suo dono migliore: Gesù Cristo. Per noi che viviamo in un tempo di incertezze e di pensiero debole, la fede non si oppone ai dubbi e nemmeno al diritto di non credere. A maggior ragione, su argomenti come questi, nei quali la storia si mescola a leggende e miti. Nessuno, se non Dio, sa in quale giorno dell’anno avvenne questo straordinario dono. Si decise, per convenzione, dopo quattro secoli, che quel giorno sarebbe stato il giorno del solstizio d’inverno nell’emisfero nord. Qualche secolo dopo si decise, ancora per convenzione, che un bue e un asinello avrebbero riscaldato il corpicino infreddolito di Gesù e, con la Madonna e San Giuseppe, abbiamo chiama- Presepe o souvenir? to questa convenzione presepe. Ma queste, anche se poco verosimili, sono cose facili da credere; quel che mi riesce, invece, più difficile credere, e continua a stupirmi, non è tanto che la verità si mescoli con la leggenda, quanto piuttosto che i più bei simboli di questa verità vengano letteralmente profanati. Una grande stella cometa che simboleggia la nascita del Salvatore, il Signore della Pace e della giustizia, fa bella mostra di sé, oggi, in questa città, all’ingresso di una fabbrica di armi. Uno splendido presepio col Bambin Gesù, con Sua Madre, madre dei dolori che ben conosce il soffrire, con Suo padre adottivo, questa esemplare e commovente figura di padre e sposo e lavoratore, questo presepio con pastori, zoppi, storpi, poveri e umili fa bella mostra di sé nel miglior shopping center della città e mille e mille piccole imitazioni di questo presepio appaiono come un marchio di fabbrica in mille e mille vetrine luccicanti e invitanti allo spreco e all’indifferenza verso la sofferenza altrui. Un albero di Natale, pieno di luci multicolori, troneggia sullo slargo che porta all’acquitrino putrido e maleodorante del campo nomadi, dove si passerà ben altro Natale. Il Natale non ci porta un nuovo Dio bambino. Ci porta lo stesso Gesù che amava giudei e israeliti, schiavi o liberi, pagani o greci. E ci chiede di fare lo stesso, a partire dagli zingari, dagli immigrati, dai senza fissa dimora, dagli alcolizzati, dai tossicodipendenti, dai malati, dai carcerati, dai disperati. Allora, anche per noi, sarà Natale. Per continuare insieme… Desideriamo ringraziare tutti gli abbonati che ci sostengono con il loro contributo, in particolare quanti ci aiutano con la quota Sostenitore, che ci permette di inviare la rivista anche a coloro che non hanno la possibilità di abbonarsi. Per chi non avesse ancora effettuato il versamento, alleghiamo alla rivista il conto corrente prestampato, nel quale sarà sufficiente inserire il proprio indirizzo di recapito. Grazie di cuore per il vostro camminare con noi… 03 Scrivo a voi Antonio Giovannini In principio era un bimbo Lunedì a scuola abbiamo parlato di cielo e di terra. Con la fantasia ho fatto il giro del mondo. Il cielo era azzurrissimo, la terra era un’esplosione di vita. Mi sono affacciato alla realtà: il cielo era sporco, l’aria puzzava. Un pezzo di merendina mi è caduta a terra. L’ho buttata… La terra era così sozza, contaminata, deturpata. Martedì a scuola abbiamo parlato di sole e di luna. Con la fantasia ero sdraiato in un prato. Di giorno, i raggi del sole mi scaldavano. Di notte la luna illuminava delicatamente la vita attorno a me. Mi sono affacciato alla realtà: il sole era troppo caldo, mi bruciava la pelle ed io avevo dimenticato a casa la crema solare… E la luna… La sua luce delicata era soffocata dalle luminarie della mia città. Mi vergogno a dirtelo, ma l’avevo scambiata per un lampione! Mercoledì a scuola abbiamo parlato di piogge, di mari e di pesci. Con la fantasia mi sono ritrovato sotto una pioggerella. Saltavo e, cantando, ringraziavo per sorella acqua e mi sentivo puro, prezioso e casto. Mi sono affacciato alla realtà: piogge torrenziali, uragani, fiumi in piena che correvano al mare… E un pescatore rassegnato che, lavando le reti sul molo, mi parlava di mari ormai vuoti di pesci. Giovedì a scuola abbiamo parlato di alberi, di fiori, di frutti e di sottosuolo. Con la fantasia passeggiavo in un giardino fiorito. Il profumo era inebriante e passavo di albero in albero, raccogliendo ed assaporando gustosissimi frutti. Mi sono affacciato alla realtà: interi boschi soffocati da overdose di piogge acide, montagne svuotate dei minerali, foreste vive trasformate in distese inanimate, vaste pianure allagate e contaminate da petrolio uscito da tubature fatiscenti. Sono rimasto confuso, ho chiusi gli occhi e una lacrima è scivolata giù… Ma non era nera: forse vale molto meno dell’oro nero. Venerdì a scuola abbiamo parlato di animali. Con la fantasia ho volato su ali d’aquila e per ore ho ammirato a bocca aperta migliaia di specie di animali. Mi sono affacciato alla realtà: animali in gabbia, maltrattati, usati, morti sulle rive di fiumi che non hanno il colore del fiume, ansimanti sulle spiagge di mari che non hanno il colore del mare. Sono tornato a casa e ho liberato l’uccellino che tenevo in gabbia. Sabato a scuola abbiamo parlato dell’uomo. Con la fantasia ho stretto mani, ho abbracciato, ho baciato, ho sorriso, ho comunicato, ho giocato, ho amato. Mi sono affacciato alla realtà: soldi, soldi nelle mani, soldi nel portafoglio, soldi nel cervello, in banca, in borsa, nel cuore, in ogni cassetto e in tutte le tasche dei vestiti. E chi i vestiti non li aveva era lì, che moriva. Di fame! Domenica, a casa, ho riposato, ho pensato e ho pregato. Una lacrima è scivolata giù. Era trasparente. Come il cuore di tutti i bambini. Siamo così assuefatti da ciò che ci sta intorno, che non ci accorgiamo più di niente. Abbiamo bisogno di sguardi più limpidi. Facciamoci prestare gli occhi da un bambino: occhi di fantasia che guardano la terra e la ricreano, occhi capaci di vedere fino a dove siamo stati capaci di arrivare. Dio creò. l’uomo ha distrutto. Cosa faranno i bambini domani? Matteo Mascia | Progetto Etica e Politiche Ambientali della Fondazione Lanza Dal vivo Allarme rifiuti possano durare nel tempo, prevedendo di poter realizzare interventi di manutenzione e di sostituzione di singoli componenti. È necessario attuare una semplificazione e standardizzazione del tipo e della composizione merceologica di un gran numero di prodotti e oggetti, onde favorire i successivi processi di recupero e riciclo delle materie residue. Si tratta di una vera e propria “rivoluzione culturale” per le nostre società dei consumi: esse sono chiamate, sotto la spinta dell’emergenza ambientale, a ripensare il loro rapporto con i beni, che, come sappiamo, attualmente sono destinati a trasformarsi in breve lasso di tempo in rifiuti. Un possibile strumento è l’introduzione di politiche volte alla sostituzione dei beni con i servizi. Si pensi ad esempio al car sharing, dove il consumatore non acquista il bene auto, ma un servizio che gli consente di utilizzare a seconda delle necessità uno o più mezzi. In prospettiva si può ipotizzare lo sviluppo di servizi legati all’assistenza domiciliare, al prelievo e alla consegna a domicilio dei prodotti da lavare o rigenerare, alla progressiva sostituzione di giornali e riviste con l’informazione telematica. Se non agiamo subito, i nostri figli abiteranno in case fatte d’immondizia. La sobrietà ha anche qui voce in capitolo: è necessario ripensare tutti i prodotti, affinché diventino beni riciclabili e riutilizzabili. Una responsabilità nostra e del sistema economico che ci governa… Con grande dispiacere di S. Francesco. Tra le molte problematiche ambientali che caratterizzano questo nostro periodo storico, il sussidio della CEI per la Giornata per il creato 2008 ha posto l’attenzione in particolare sul tema dei rifiuti. La questione dei rifiuti è, infatti, una delle più importanti emergenze ecologiche a livello internazionale, nazionale e locale. La questione dei rifiuti si inserisce pienamente all’interno dell’approccio alla sobrietà e, anzi, per certi aspetti, ne rappresenta un modello esemplare, in quanto riflette, a livello globale come a quello locale, la necessità di un profondo ripensamento del modello di sviluppo economico e sociale oggi prevalente. Produciamo sempre più rifiuti Benché da molti anni la prevenzione sia un obiettivo fondamentale delle politiche comunitarie e nazionali, ciò che si registra è un continuo e progressivo aumento della quantità di rifiuti pro- dotti. Se guardiamo all’intero ciclo di vita dei prodotti, ogni cittadino europeo produce l’equivalente di tonnellate di rifiuti l’anno, perché in ogni fase di produzione di un bene o di un servizio si generano rifiuti a volte anche molto superiori alle materie che compongono il bene stesso (materie prime estratte, energia consumata, trasporti…). Dematerializzare la produzione e il consumo La questione di fondo è che un’efficace azione di prevenzione e riduzione della produzione dei rifiuti deve intervenire a monte, agendo sulla composizione del prodotto e del servizio. Il processo è quello della dematerializzazione, che significa ridurre la quantità di materiali e di energia impiegati per soddisfare una singola unità di consumo. Bisogna, in altre parole, intervenire sui processi e sui prodotti, fin dalla fase della loro progettazione, per creare prodotti che Promuovere nuovi stili di vita Risulta dunque necessario sentirci tutti responsabili in quanto consumatori, sia per l’influenza diretta che le nostre scelte hanno sull’impatto ambientale e sulla produzione di rifiuti, sia perché 05 Dal vivo la scelta di acquisto o non acquisto di un prodotto o un servizio può contribuire al suo successo sul mercato, influenzando in via indiretta le scelte delle imprese. È chiaro, dunque, che uno sforzo maggiore andrà rivolto alle attività di informazione, formazione e sensibilizzazione delle comunità nell’adozione di comportamenti virtuosi, volti alla riduzione della produzione di rifiuti, ma anche ad una maggiore predisposizione alla raccolta differenziata, al riuso e riciclo dei beni e servizi utilizzati. Come gestire la transizione: il problema dello smaltimento Oltre che con i temi e gli indirizzi prioritari che la politica è chiamata a sviluppare nel medio-lungo periodo, per poter realizzare un efficace sistema economico e sociale in grado di minimizzare la produzione dei rifiuti, non si può non fare i conti con la realtà del “qui ed ora” e cioè con l’attualissimo problema del cosa fare dei rifiuti già prodotti. Non si tratta di inventare niente, quanto piuttosto di dare rapida e concreta attuazione agli indirizzi politici e normativi già previsti dall’Unione europea e recepiti dall’ordinamento italiano. In particolare, l’Unione indica quattro ordini di priorità: potenziare la raccolta differenziata e il riciclo, bruciare i rifiuti recuperando energia, bruciare i rifiuti tout court e, infine, portarli in discarica. Abitare il proprio ambiente con affetto Il pianeta Terra è la casa che ci è donata, perché la abitiamo responsabilmente, custodendone la vivibilità anche per le prossime generazioni. È un dovere richiamato con forza da Benedetto XVI nel Messaggio per la Giornata mondiale per la pace 2008: “Dobbiamo avere cura dell’ambiente: esso è stato affidato all’uomo perché lo custodisca e lo coltivi con libertà responsabile, avendo come criterio orientatore il bene di tutti” (n. 7). È un impegno che ci rimanda a San Francesco d’Assisi e alla lode da lui rivolta al Creatore per “sora nostra madre terra, che tutti ci sostiene” dichiara il documento della 3° giornata della salvaguardia del creato della CEI. Facciamo nostro questo impegno di abitare la terra con cura, di vivere nel proprio ambiente, nel sentirlo vicino, anche affettivamente, per far crescere il senso di responsabilità verso la natura. 06 Viviamo in una realtà mediatica e rischiamo di essere sempre più dipendenti dalla televisione. Dobbiamo cogliere che il consumismo utilizza i mass media per farci accumulare più cose possibili e per farci diventare grandi consumatori e divoratori di cose. È molto importante saper utilizzare, in maniera critica e giusta, questi strumenti di comunicazione di massa, per non cascare nelle loro braccia e diventarne totalmente dipendenti, perdendo così la nostra libertà di pensare e di agire. I mass media non ci educano a saper distinguere le cose necessarie da quelle superflue, anzi producono in noi bisogni indotti e ci portano ad un consumismo sfrenato. Per educarci ad usare in maniera critica i mass media, sarebbe importante fare una dieta televisiva, per disintossicarci da tutto quello che ci hanno messo in testa. Dieta significa recuperare la salute del Sobrietà televisiva Dieta a zone, dieta del minestrone, dieta arancio, gialla, verde blu… Il nostro fisico ha le sue esigenze, ma non dimentichiamoci la mente e l’anima. Entrambe hanno bisogno, come il corpo, di un nutrimento salutare per crescere. Ecco alcuni suggerimenti per evitare che il nostro cervello si atrofizzi, lasciandoci in balia di mezzi dei comunicazione di massa (grassa). corpo, e allo stesso tempo, recuperare anche la salute della mente. La dieta televisiva si può sviluppare mediante alcune fasi: • Spegnere la televisione durante i pasti, per saper dare priorità alle relazioni umane e familiari. • Ridurre le ore televisive ed educarci a guardarla con occhi critici. • Saper utilizzare bene il telecomando, scegliendo programmi che sono educativi e utili a migliorare la qualità della vita. • Fare digiuno televisivo per un periodo, in modo da comprendere che non è un bene essenziale del vivere, ma è solamente un bene di utilità, di cui si può fare a meno. • Guardare la realtà non più solamente mediante gli occhiali dei mass media, ma attraverso la nostra esperienza e la rete di relazioni interpersonali e sociali. La carovana missionaria della pace 2008 ha proposto dieci buone ragioni per consumare la televisione in modo critico e per spegnerla quando ostacola la vita di qualità: 1. Quante ne abbiamo? In un nucleo familiare composto da due genitori e tre figli, in media ci sono quattro apparecchi televisivi… 2. Guardare, Guardarla e essere Guardati! In passato la televisione era qualcosa di staccato dalla realtà di tutti giorni, la si guardava poco ed in famiglia. I personaggi che ci tenevano compagnia erano molto diversi dalle persone reali: c’erano super eroi con macchine fantastiche, ai quiz sape- vano rispondere alle domande solo dei geni. Invece oggi i super eroi guidano macchine che potremmo comprare anche noi, alle domande dei quiz sappiamo rispondere anche noi, e chi partecipa al grande fratello è come noi... È facile immaginarsi al loro posto. La televisione ci rispecchia, si è plasmata alla nostra immagine fino in fondo. 3. Che cosa guardo? Spesso ci si trova a scegliere il programma meno peggio, si fa zapping in continuazione tra i canali, per poi arrenderci a qualche programma senza contenuti. 4. Perdita della Ragione… Quando si accende la televisione, lo stacco è immediato, la mente si narcotizza e restiamo lì per ore, finisce per renderci passivi e creduloni: “Se l’hanno detto in tv, allora è vero”. 5. La perfezione. L’illusione di una vita perfetta: i personaggi di pubblicità o telefilm sono sempre perfetti, si finisce per credere che anche noi potremmo essere così... Basta così poco! 6. Pubblicità. Spesso, se non sempre, orienta e condiziona i nostri acquisti. Gli spot celano metodi di persuasione non sempre morali, per indurci a consumare e non si fanno scrupoli a dire e far vedere cose che non sempre sono vere. Durante la nostra vita in media perdiamo tre anni e mezzo a guardare la pubblicità. Un dato sconcertante. 7. Televisione pubblica di qualità? Manca una televisione pubblica che trasmetta informazione vera e dove si possa fruire di programmi di interesse culturale ed informativo, senza aspettare la seconda serata. 8. Intrattenimento EXTRA. Molto intrattenimento e poca informazione. Ormai anche i telegiornali sono diventati dei rotocalchi rosa. 9. Più tempo per te e per gli altri. Meno televisione significa più dialogo in famiglia, più tempo per gli amici, più tempo per incontri di gruppo, più tempo per partecipare alla vita sociale e, soprattutto, più tempo per stare con noi stessi. 10. Ma, fa davvero compagnia?? Da Una nuova sobrietà per abitare la terra, Diocesi di Padova e Fondazione Lanza 07 Dal vivo Una bizzarra intervista ai confini della realtà, per incontrare il volto della sobrietà non scelta, ma… vissuta! Meglio sobri che male accompagnati Cari lettori, ecco per voi un’intervista esclusiva! Alle porte del 2009, l’umanità intera si trova davanti a tre grandi problemi: le risorse sul pianeta sono sempre più scarse; l’economia è in affanno, perciò le famiglie faticano ad arrivare alla fine del mese; l’Isola dei Famosi continua a fare record di ascolti. In questo quadro preoccupante viene da chiedersi: “Cosa posso fare per migliorare la situazione?”. Esiste una parola che riassume efficacemente lo stile di vita da adottare per fornire il proprio contributo alla salvaguardia ecologica ed economica del mondo: sobrietà. Abbiamo intervistato per voi i signori Egidio e Mariella Brombin, due persone che hanno consapevolmente scelto di vivere senza eccessi e regolatamente. Due persone che, pur godendo di un’ottima situazione economica, hanno scelto di non ostentare la propria ricchezza ed occuparsi dei più poveri e dei senza lavoro. Il loro aspetto è molto semplice, al contrario della lussuosa villa in cui ci accolgono! Signora, cos’è per lei la sobrietà? Significa non esagerare. Non spendere oltre le proprie possibilità: chi ha poco, spenda poco, chi ha molto spenda comunque poco e ne dia ai più poveri, come noi, come fa il signor Robin Hood! Ehm… spiritosa. E per lei, signore, cos’è la sobrietà? Uno strappo alla regola. Nel senso che, frequentando ogni sera il Bar “Da Beppino” in piazza da noi, la sobrietà è molto 08 rara. Credo che andrò all’inferno, perché il parroco mi ha detto che solo gli uomini retti raggiungono il Regno dei Cieli. Provi lei con un litro di Bonarda in corpo a stare retta in piedi: impossibile. Ma ultimamente sto migliorando! Due coniugi divertenti. Ma mettiamo da parte gli scherzi. Da quando avete iniziato a “contenere” le spese superflue, scegliere solo investimenti etici e perseguire il risparmio energetico? Da quando mio marito ha perso il lavoro la prima volta. Era dipendente della cantina sociale, ma era come una Ritmo 1.8 Turbo diesel: consumava troppo! Faceva 2 ore di lavoro con un litro! L’hanno lasciato a casa… E il risparmio energetico? Sono rimasto a casa due anni prima di trovare un altro lavoro: più energie risparmiate di così! Mi scusi, signora, lei che lavoro ha svolto nella sua vita? Collaboratrice scolastica… Bidella. Ma allora da dove viene la vostra ricchezza? Come siete riusciti a risparmiare? Mai risparmiato in vita mia. Non è che prendo tanto, anzi! E mia moglie prende la pensione minima… Ricevete soldi dai figli? Mai fatto figli. Ereditato denaro? Magari! Siamo talmente poveri, che l’ultima volta che i ladri sono venuti a casa nostra ci hanno lasciato 50 euri di mancia! E questa villa?!? È dei nostri padroni, i signori Brombin! Noi siamo la badante e il giardiniere! Galdino e Onofria Badan, tanto piacere! I Signori sono fuori per affari! E voi avete anche risposto alle domande?! Sembrava educazione, signorina… Perché mi avete detto di aver scelto la sobrietà? Voi due siete costretti alla sobrietà! Eh no, l’abbiamo scelta! Quando il capo della cantina sociale mi disse: “Galdino, se vuoi rimanere qui e bere gratis, devi restituirmi tutti i soldi del vino che hai bevuto finora con gli interessi del 30%!”, io ho detto no a quel losco individuo usuraio! Me ne sono andato e ho scelto di non bere più! Se lo ricordi signorina: meglio sobri che male accompagnati! Filippo Borille Dalla missione Isidoro Apostoli missionario in etiopia Difficile parlare di stile di vita moderato e frugale da uno stato centrale dell’Africa. Difficile non pensare che è da pazzi preoccuparsi di essere sobri quando non si ha mangiare. Il punto è che non si tratta solo del pane quotidiano. Uno sguardo sottosopra, ironico, ma non troppo, per aiutare noi, “gente di lusso”, a rivedere e riscoprire le nostre priorità. Una virtù per i ricchi Parlare di sobrietà in queste lande di Africa subsahariana mi fa subito un effetto particolare. Rigetto è il termine ad hoc che userei per rendere l’idea. “Sobrietà?!... Bah! Virtù per i ricchi!”. È un lusso la sobrietà. Un lusso di chi avendo troppo può permettersi di essere o fare il sobrio. Un l-u-s-so. Come per il servizio gratuito, o il volontariato, mi viene da dire. L’ho pensato tante volte. Noi spesso, se non sempre, diamo del nostro tempo e della nostra vita quello che rimane dopo aver sistemato mezzogiorno e salario. Chi sopravvive, invece, e ha il problema quotidiano di riempirsi la pancia, hai voglia che serva gratuitamente qualche nobile causa! Per un po’ forse, ma poi immancabilmente arriva la domanda: “A sera il piatto chi me lo riempie?”. Non ho niente contro i volontari, anzi. Né contro gli impegnati in qualsiasi tipo di servizio gratuito. Sono miei amici. Cerco di somigliargli. Sono certo migliori di colui che, risolti i suoi problemi di sopravvivenza, non pensa che altri ci convivono quotidianamente. E quindi non si sente disturbato. “Sorella sobrietà”, comunque, ditelo voi. Qui sono sobri per natura in tanti. Più che sobri. Possono dire: “Sorella fame”. Ciononostante, anche da queste parti si è peccatori e, approfondendo il discorso o analizzandone gli annessi psicologici, scopri che la povertà ti disturba al punto da farti ubriacare. Alla lettera. Cercando di chiarire: se tu nullatenente vivi circondato da nullatenenti, quando hai qualcosina la stringi talmente forte per paura di perderla che reagisci in modo strano. Non è il risparmio o il centellinare che assumi come comportamento. Questi suppongono un po’ di speranza, che ci sarà un dopo simile, che questo simile potrà continuare, che quel che stringi durerà ancora. Questo non è propriamente l’orizzonte delle nostre latitudini. E allora? Allo- ra esageri. Approfitti per ubriacarti con quel poco che hai guadagnato; ingrassi se appena hai la fortuna di un po’ di sicurezza e regolarità nei pasti; negli inviti e nelle feste a cui sei invitato il tuo piatto lo riempi sino all’orlo, magari lasciando poi un bel po’ di roba alla fine. Come a dire che ti sei saziato, ma forse anche che non ne hai tanto bisogno. Se l’abbondanza non ti circonda, l’illusione di essa va messa in scena. È spreco comunque. E noi, di sensibilità perbene occidentale, ci scandalizziamo. Qui la paura scherza con la tua psicologia e tu pensi di esorcizzarla mangiando molto, perché hai paura di non averne più e bevendo tanto, perché hai paura di rimanere senza. O magari per dimenticare anticipatamente la penuria che ritroverai sulla porta di casa al ritorno. Un’altra contraddizione che si scopre è legata alla concezione del digiuno. Chi sa digiunare potrebbe essere considerato sobrio. Da voi sicuramente. 09 Dal vivo Ma qui non si è sobri nel digiunare. Chissà come, la tradizione e la Chiesa (quella ortodossa) inventano i digiuni. Te li trovi a ogni piè sospinto. Osservatissimi. Tanto osservati, che è normale digiunare nel giorno della festa a cui il digiuno ti prepara, se questa festa cade nel giorno della settimana dedicato al digiuno. Un assurdo per noi occidentali, bravissimi a fare eccezioni quando è... giusto farle. Senza contare che, sobriamente, il digiuno si fa “solo” due volte alla settimana. E via discorrendo. Un’altra sobrietà che noi incorreggibili occidentali vorremmo è quella del predicare con discrezione, senza alzare troppo la voce. Qui, invece, il predicare sopra i tetti è uno sport praticatissimo da musulmani e ortodossi. Di più da questi ultimi. Alle ore più indicate per riposare, ti verrebbe da dire. Prima dell’alba o a notte fonda. L’inquinamento acustico è religioso, e quindi non inquina. Come potrebbe? Forse è sobrio. Eccetto che per noi che riteniamo sobrietà ciò che è invece timidissimo rispetto umano. Un’altra sobrietà interessante è quella del tono di voce e della calma. Se ti arrabbi, ti chiedono educatamente il perché, quasi umiliandoti nel farti capire che non ti sai controllare. Loro invece ne sono maestri. Questa è una sobrietà esagerata per la nostra impazienza. Anche a cantare in chiesa non sono tanto sobri: “Non vediamo perché se un canto ha diciotto strofe se ne debbano cantare solo tre!”. Ancora. Non avete mai sentito parlare di quel club molto “in” il cui obiettivo è indossare vestiti costosissimi ed elegantissimi? Di stile occidentale, ovviamente. Non è in Etiopia, ma da qualche altra parte nell’Africa centrale. Qui siamo più sobri. Abbiamo i nostri vestiti. E, a seconda delle occasioni (funerali, feste religiose, nozze...), la massa veste elegantemente senza cercare di distinguersi. Con sobrietà, appunto. Si potrebbe continuare, ma fermarsi è segno di sobrietà. E svegliarsi, pure... per chi avesse dormito troppo tra le righe di queste argomentazioni semiserie africane. 10 Dal mondo Sobri nel tempo dei consumi Viviamo in un mondo le cui risorse energetiche e vitali sono esauribili e spesso saccheggiate e nel quale la giustizia sociale ancora non risiede, quasi è clandestina anch’essa, non riconosciuta e poco praticata com’è. Quattro quinti dell’umanità sono esclusi dalla dignità del vivere, migliaia sono le vittime giornaliere di fame e sfruttamento e nella stessa Italia i poveri, come fotografa il rapporto 2008 della Caritas, rappresentano “un’emergenza sociale che riguarda 15 milioni di persone”. Un mondo anche contraddittorio, in cui le stesse vie proposte per uscire dalla povertà confliggono a seconda delle scuole economiche di pensiero e delle matrici culturali e politiche, in cui a fronte del dramma globale che viviamo c’è una responsabilità morale che ci investe tutti, perché nessuno è singolarmente colpevole. A guida di una Chiesa “maestra di umanità”, Benedetto XVI si è recentemente rivolto all’Onu, cui ha rivolto un accorato appello affinché “si applichino con coraggio le misure necessarie per sradicare la povertà estrema, la fame, l’ignoranza ed il flagello delle pandemie, che colpiscono soprattutto i più vulnerabili”. Una via auspicata con una lettura profetica della storia, anche se scientificamente controversa, è quella della decrescita, intesa come capacità di consumare meno, specie nei Paesi ricchi del Nord del mondo, per un diverso equilibrio nella gestione delle risorse, a vantaggio specialmente dei Paesi più poveri. Lo stesso Gandhi, testimone della non violenza attiva in ogni campo del vivere sociale, affermava del resto che «dobbiamo vivere semplicemente, perché altri possano semplicemente vivere». C’è chi non si dice d’accordo, come il prof. Arthur Brooks, docente di Economia e politiche governative alla Syracuse University, rappresentante della nuova destra Usa, che intende porre al centro delle sue riflessioni l’uomo. Egli nega che uno stile sobrio occidentale consentirebbe una migliore vita all’umanità povera. A suo parere si cade facilmente nell’errore di Alessandro Piergentili Giornalista, presidente consulta per la pace, comune di brescia membro commissione giustizia e pace, diocesi di brescia Di fronte alle tante proposte per uscire dalla povertà, noi scegliamo temperanza e moderazione: crediamo, alla luce del Vangelo, che uno stile di sobrietà solidale debba investire ogni aspetto della nostra vita, perché riusciamo ad esprimere la nostra autentica dignità. considerare il contesto mondiale a “somma zero”, nel quale, se io possiedo di più, significa che qualcuno, da qualche parte, deve possedere di meno. Dopo aver ricordato che ogni prodotto tecnologico attuale è oggi il risultato di produzioni complesse interconnesse su scala planetaria, Brooks fa notare come la vendita di beni e la loro commercializzazione, nei Paesi acquirenti, sia alla base degli straordinari risultati di nuove economie emergenti, come quella cinese, indiana ed in parte latino americana, capaci di crescite reali quasi “miracolose”, che nessuna rinuncia preconcetta ai consumi avrebbe reso possibili. Auspica piuttosto sforzi adeguati per produrre e commercializzare con sistemi in sintonia con l’ambiente e con i propri valori di fondo. È molto diverso il pensiero del sociologo Serge Latouche, professore emerito di Scienze economiche all’Università di Parigi XI, tra gli avversari più noti dell’occidentalizzazione del pianeta e sostenitore della “decrescita conviviale”, che afferma invece che il nostro mondo occidentale è affetto da “tossicodipendenza da PIL (prodotto interno lordo)”, un indice artificioso utilizzato per misurare in maniera impropria la ricchezza prodotta, ed è malato di un consumismo “folle”, perché coesiste con milioni di persone che muoiono di fame. Le risorse del mondo non sono infinite e nessuno ha il diritto di permettersi il futile, quando molti non hanno neppure l’indispensabile: è questione di solidarietà e di equa distribuzione. Anche secondo il ricercatore americano Alan Durning, fondatore dell’osservatorio economico “Sightline Institute”, va superato il cosiddetto “mito del consumo o del declino”. Egli ritiene, infatti, iniquo e falsato lo stesso mercato, poiché il prezzo dei prodotti, basso per incentivarne il consumo, non tiene conto della finitezza delle energie consumate e non include i costi ambientali reali causati per ottenerli. Pure Durning contesta quindi il mito del PIL, affermando che la ricchezza ed il benessere collettivo non sono un dato quantitativo, peraltro malamente distribuito, ma prima di tutto qualitativo e distribuito secondo criteri di giustizia. Ed è stato proprio partendo da un esame critico dell’economia del benessere ed analizzando la qualità di vita della fasce sociali più deboli, che l’economista indiano Amartya Sen ha vinto nel 1998 il premio Nobel, grazie all’elaborazione dell’HDI, Human Development Index, il coefficiente di misurazione del grado di sviluppo che ha introdotto nuovi parametri per valutare la reale ricchezza di un Paese: aspettativa di vita, alfabetizzazione degli adulti, distribuzione del reddito. Alla luce del Vangelo noi crediamo, sull’esempio della vita di Cristo, nostro modello reale, che uno stile di sobrietà, solidale, investa compiutamente ogni aspetto della nostra vita: come utilizziamo il nostro tempo, come ci rapportiamo con gli altri, come utilizziamo il nostro potere umano, le risorse di cui disponiamo, le nostre stesse capacità. Essere realmente sobri significa non esagerare, evitando sprechi ed eccessi. Vuole anche dire essere vigili e giustamente critici rispetto i pensieri omologanti. Vivere con sobrietà diventa allora un modo concreto attraverso il quale esprimiamo la consapevolezza della nostra autentica dignità che l’avvento di Gesù nella nostra storia ci comunica trasformandoci per sempre, con risultati per noi inimmaginabili. 11 Con gli occhi della fede Marco Cagol delegato diocesano per la pastorale sociale - padova Virtù antica e… di moda La virtù è qualcosa che non passa, è qualcosa che si radica nell’uomo, nella sua intelligenza, nella sua volontà, una disposizione stabile del cuore. La virtù è, soprattutto, un dono di Dio, da invocare continuamente, da accogliere, da radicare continuamente dentro di noi, con l’intelligenza, la volontà, il cuore. La sobrietà è una virtù. Oggi va di moda questa parola. Sobrietà. La invochiamo come una sorta di liberazione da ciò che sembra stare all’origine del nostro affanno, della nostra fretta, della nostra insoddisfazione, della nostra paura, del nostro non accontentarci mai, della nostra tristezza, del nostro non saper più dove mettere le cose, dell’aria inquinata, del traffico insopportabile, della miseria che ci circonda, del mal di pancia, dei chili che non sappiamo smaltire, della frenesia di apparire, della televisione che urla notizie e che mette in piazza la vita intima, della spazzatura che invade le nostre strade, della paura che abbiamo degli altri. Ci sembra di intuire che una vita più sobria ed essenziale possa restituirci qualcosa che abbiamo perso. In questo mondo contraddittorio che abbiamo costruito ci pare che forse una via di uscita potrebbe stare nell’essere più moderati e controllati. Una volta si sarebbe detto “più temperanti”. Sì, perché sobrietà significa temperanza. Se sobrietà significa temperanza, allora ci accorgiamo che la sobrietà, più che una moda, o una via di fuga imboccata per disperazione, è in realtà una virtù. La sapienza biblica e cristiana ci insegna che le virtù cardinali sono la giustizia, la temperanza, la fortezza e la prudenza. La virtù è qualcosa che non passa, è qualcosa che si radica nell’uomo, nella sua intelligenza, nella sua volontà, una disposizione stabile del cuore. L’intelligenza comprende che quel modo di essere è buono, porta alla gioia e alla serenità. La volontà lo desidera costantemente. Il cuore fa percepire interiormente che quella è la strada migliore, che più risponde all’essere profondo di sé, alla dignità inscritta fin nelle fibre più profonde. È nelle possibilità dell’uomo di essere virtuoso. Ma nell’esercizio della virtù l’uomo ha bisogno dello Spirito, che facilità l’essere costantemente rivolti verso il bene. La virtù è un dono di Dio, da invocare continuamente, da accogliere, da radicare continuamente dentro di noi, con l’intelligenza, la volontà, il cuore. La virtù della temperanza è quella «che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati. Essa assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza, assecondando i desideri del proprio cuore » (Catechismo della Chiesa cattolica, 1809). Dunque la sobrietà non è semplicemente un comportamento, un’idea: è una virtù cardinale, che fa da cardine per la vita buona dell’uomo. La sobrietà è una virtù per la bontà, la bellezza e la verità dell’uomo. Anche S. Paolo conosceva la virtù Essere Vangelo Correndo tra Parole di cielo, volando tra i respiri del Suo cuore, danzando nello sguardo dell’Altissimo, ecco nascere sogni di terra e di acqua, di fuoco e di vento. Sogni da mangiare, sogni da camminare. Sogni che non vedono l’ora di diventare realtà. Questa notte ho appoggiato i piedi sulle pagine del Vangelo e ho iniziato a correre. Come quando corri sulla spiaggia del mare e assapori libertà. E ad un tratto non sei più tu. Sei il mare. Se corri su quelle pagine di luce, non sei più tu. Sei Vangelo. Calpestai la pagina della povertà. Mi ritrovai a Betlem. In ginocchio davan- ti all’Altissimo con gli occhi di Bimbo. In quella grotta non c’era nulla degno di un Re. Sorella povertà si era posata dolcemente su ogni cosa. Ma a Betlem c’era tutto in quella notte santa. Io contemplavo. I piedi sporchi dei pastori in quella grotta erano piedi di principi. I vestiti umili di Maria e Giuseppe in quella stalla erano mantelli d’oro. Lo sguardo dolce del Bambino in quel- della sobrietà: nella sua lettera a Tito esortava a «vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo» (Tt, 2,12). È interessante notare che la sobrietà è intimamente connessa, in questa esortazione paolina, con la giustizia e con la pietà. La giustizia rimanda al rapporto con gli altri; la pietà al rapporto con Dio. Allora, dunque, in questo trittico, la sobrietà è quella che indica il rapporto con se stessi, accanto a quello con gli altri e a quello con Dio, dei quali è fatta originariamente la vita umana. Questa preziosa indicazione di Paolo ci fa intuire che la sobrietà ha a che fare con il rapporto che noi abbiamo con noi stessi, con i nostri bisogni, con ciò che sentiamo, con i nostri pensieri. Con ciò che pensiamo di noi, e con quanto ci amiamo. Se ci amiamo, se ci sentiamo amati da Dio, se siamo consapevoli che la nostra vita non ha nulla da temere, che siamo custoditi dalla provvidenza di Dio, ci verrà facile avere equilibrio nell’uso dei beni che ci sono offerti e nel modo di vivere gli affetti, perché non avremo bisogno di accumulare e consumare freneticamente per paura di rimanere vuoti, e non avremo bisogno di possedere gli altri per paura di restare soli. Non siamo sobri quando abbiamo paura, quando ciò che siamo (non tanto ciò che abbiamo) sembra non bastarci. Se ci basta ciò che siamo, se siamo grati per ciò che siamo, non abbiamo bisogno di nulla di più di ciò che ci è donato. Paolo, mettendo insieme sobrietà, giustizia e pietà, ci suggerisce anche che esse sono intimamente legate. Non può esserci giustizia se non c’è sobrietà, perché qualcuno si accaparrerà ciò che spetta agli altri, per seguire il proprio contraddittorio desiderio. E non c’è sobrietà se non c’è giustizia, perché ci saranno molti che, vivendo nella miseria, saranno vinti dalla paura e diverranno voraci divoratori di beni, nel tentativo disperato di poter sopravvivere e non saranno sobri nei loro desideri e nelle loro giuste rivendicazioni. Saranno arrabbiati e mossi dalla propria rabbia: la rabbia dei poveri. Non c’è pietà se non c’è sobrietà, perché non c’è spazio per Dio in un cuore ingombro di cose, di passioni frenetiche, di desideri ciechi, di affetti possessivi; non c’è possibilità di cogliere la bellezza delle cose semplici, delle cose donate: non c’è stupore, che è all’origine della fede in un Dio creatore che ogni giorno ci sorprende con il suo amore. E non c’è sobrietà se non c’è pietà, perché senza amicizia con Dio la vita rischia sempre di cadere nella paura della solitudine e della morte, e una vita che cade nella paura si piegherà a cercare senza tregua sulla terra ciò che possa arginare questa paura. È una virtù antica la sobrietà. Ma è via carica di futuro, di luce, di bellezza. Di liberazione. Di pace. la mangiatoia era il Dio con noi. Vicino vicino. E io imparai. Povertà! Tu mi porti l’Altissimo in cuore… Tu mi porti i fratelli in cuore… Tu mi annodi l’anima a ciò che resta. Mentre tutto passa. di iniziò a sgridare quei piccoli angeli. Ma Gesù disse: “Lasciate che i bambini vengano a me. A chi è come loro appartengono i Cieli”. E io imparai. Preghiera di bambini! “Gesù, prendi in braccio il mio cuore? Ti racconto quello che ho combinato oggi. I miei passi di luce e i miei passi di peccato. E poi, nella culla della tua misericordia, lascio riposare la mia vita all’ombra del tuo sguardo. Tranquilla”. vita dei passeri. Gesù disse: “Guardate gli uccelli del cielo… Non seminano e non mietono e il Padre vostro li nutre. Ma voi valete molto di più… Quel Dio che distende i cieli per fare da sfondo ai voli dei passeri, non stenderà per voi le sue braccia per fare da sfondo ai voli delle vostre anime?”. E io imparai. È mio Padre che custodisce nelle mani questa piccola vita. A me chiede soltanto abbandono. Io parlo, grido, canto, piango, ma sullo sfondo… c’è il Suo abbraccio! E mi veste di tenerezza. Ora sogno povertà, semplicità e abbandono. Calpestai la pagina della semplicità. Avevo un gran desiderio di giocare e di pregare. Vidi un gruppo di bambini. Saltellavano felici intorno a Gesù. Uno gli chiese: “Mi prendi in braccio?”. Un altro gli raccontò di come aveva fatto a salvare la vita a un uccellino caduto dal nido. Una bambina dormiva con la testa sulle sue ginocchia. Tranquilla. All’improvviso qualcuno dei gran- Calpestai la pagina dell’abbandono. Guardai il cielo. Azzurro e trasparente. E sentii un battito d’ali. Leggero e dolcissimo. Quando apri il sipario degli occhi, il cielo blu fa sempre da sfondo alla Alessandra Falco Con gli occhi della fede Il Padre nostro per gustare un pezzo di pane… Il Padre nostro ha sei richieste che ci aiutano a mettere ordine nei nostri desideri e ad educare i nostri bisogni. Questo e molto altro nella preghiera che ogni giorno ci salva la vita. Girando per le vie delle nostre città siamo assaliti da luci, vetrine luccicanti, regali inutili. Il Natale ci fa toccare con mano quante cose non necessarie ci circondano, cose superflue che pure ci assorbono tempo, energie, desideri, ci distolgono dal coltivare ciò che veramente è essenziale, ci rubano vita da dedicare a Dio e agli altri. Nel nostro cuore a volte c’è un guazzabuglio di desideri. Che cosa vogliamo veramente? Qual è il desiderio che abita il profondo del mio cuore? Il Figlio di Dio, incarnandosi, ci mostra con la sua vita che cosa vale la pena desiderare. Ce lo insegna anche con la sua predicazione e in modo chiaro con la preghiera che preghiamo ogni giorno: il Padre nostro, una preghiera sobria, semplice, essenziale, che si contrappone allo spreco di parole dei pagani. Il Padre nostro ha, nella versione di Matteo, sei richieste che ci aiutano a mettere ordine nei nostri desideri. Le prime tre esprimono desideri che riguardano Dio: che venga santificato il suo nome, che si realizzi il suo Regno, che avvenga ciò che Lui vuole. Le altre tre richieste esprimono desideri che riguardano l’uomo: che l’uomo abbia il pane quotidiano, che i suoi debiti siano condonati, che l’uomo non si trovi in una tentazione superiore alle proprie forze. Comprendiamo subito la gerarchia dei desideri: prima viene ciò che si riferisce a Dio, poi ciò che si riferisce a noi. Non ci sono desideri di serie A e desideri di serie B, sono tutti importanti per una vita dignitosa, ma il primo posto nel cuore di chi crede è occupato da ciò che riguarda Dio, un po’ come nel cuore di una madre il primo posto è tenuto dai desideri che riguardano il figlio. 14 Ci può stupire che Gesù ci insegni a chiedere al Padre solo tre cose che riguardano noi. Se dovessimo elencare i nostri bisogni la lista sarebbe lunga. Il Padre nostro, però, ne sottolinea solo tre: il pane, il perdono, la forza di non soccombere nella tentazione. Perché questi tre e non altri? Evidentemente perché sono ritenuti i bisogni davvero essenziali. Il Padre nostro ci educa alla sobrietà dei bisogni: ci invita a chiedere al Padre quelli veri e a lasciar perdere gli altri perché inutili, indotti, fuorvianti. Il primo bisogno nel Padre nostro è il pane: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Dicono gli esegeti che la parola che noi traduciamo con “quotidiano” può voler dire anche “essenziale”, il pane cioè di cui abbiamo bisogno ogni giorno per vivere. Chiediamo al Padre il pane sufficiente per un giorno: non di meno, ma neanche di più, senza l’angoscia della miseria, ma anche senza l’ansia dell’accumulo. Già nel deserto gli ebrei dovevano raccogliere solo la manna che bastava a quel giorno. “Ma essi non ascoltarono Mosè e alcuni ne presero di più per l’indomani: sorsero vermi e si corruppe”. Il Signore, che è Padre, pensa ai bisogni essenziali dei suoi figli, ma i suoi figli non devono accumulare: l’accumulo fa imputridire. A volte accumuliamo per timore che il pane per gli altri faccia diminuire quello per noi. Tutti abbiamo bisogno di pane e allora lottiamo per arrivare prima degli altri, per avere di più degli altri. Il Padre nostro ci insegna a cambiare logica, ci invita a chiedere il nostro pane, non il mio, ma il pane per tutti, a scoprire che la bellezza delle cose non sta nel possederle, ma nel goderle insieme, “Pregando non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venir ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, usandole con sobrietà, trasformando le cose in relazioni. Chiediamo al Padre il necessario e non il superfluo, per poter vivere serenamente in sobrietà. Il contrario della sobrietà è l’affanno, come spiega Gesù: “Per la vostra vita non affannatevi per quello che mangerete o berrete; per il vostro corpo di come vestirete… Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in più… A ciascun giorno basta il proprio affanno” (Mt 6,25-34). Preoccuparsi per accumulare toglie la gioia della vita, ci rende schiavi di ciò che abbiamo accumulato e perennemente insoddi- Sabrina Pianta Non fa rumore ma... Gianni Saonara presidente lega consumatori veneto sia santificato il tuo nome, venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra, Dacci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male”. Mt 6,7-13 Giochi ritrovati Novantotto, novantanove… cento! Chi è fuori è fuori, chi è sotto è sotto! Nell’era dei tele-dipendenti, ecco alcune iniziative che possono spingere bambini, ragazzi, adulti e nonni a tornare in piazza, per riappropriarsi della libertà di giocare come gli pare, dove gli pare e con chi gli pare. sfatti: più accumuliamo, più vogliamo accumulare. Cadiamo nell’illusione che nell’accumulare si trovi la sicurezza che stiamo cercando, dimenticando che solo il saperci figli di un Padre che ha cura di noi ci può far vivere senza paura. Con un antico saggio, anche noi vogliamo dire al Signore: “Due cose ti chiedo, non negarmele prima che io muoia: allontana da me falsità e menzogna, non darmi povertà o ricchezza, ma fammi gustare il mio pezzo di pane, perché, saziato, non abbia a insuperbire e dica: chi è il Signore? Oppure, trovandomi in povertà, non rubi e bestemmi il nome del mio Dio” (Pr 30,7-9). Il 17 novembre 2008, alla vigilia della Giornata mondiale per i diritti dell’infanzia, citata anche da Avvenire del 21 novembre, l’ISTAT ci ha donato una serie di numeri sulla vita quotidiana di bambini e ragazzi in Italia nell’ultimo anno. Una ricerca molto utile, basata su interviste a 5462 famiglie. Concentriamo la nostra attenzione solo sui… giochi. O, meglio, sugli spazi di gioco. Scrivono i ricercatori: “Nei giorni feriali i bambini giocano soprattutto in casa propria, anche se, al crescere dell’età, gli spazi al di fuori delle mura domestiche tendono ad assumere maggiore rilevanza. Al primo posto troviamo le mura domestiche, indicate come luogo di gioco dal 97,1% dei bambini tra i 3 e i 10 anni. Al secondo posto si colloca la casa di altri, segnalata dal 44,8% dei bambini. Dopo l’abitazione, sono il cortile e i giardini ad essere più spesso segnalati come spazi di gioco (frequentati dal 29,7% e dal 35,6% dei bambini), seguono l’oratorio (16,7%), i campi e i prati (13,8%) e le strade poco trafficate (7,4%). È stato verificato che, rispetto al 2005, è aumentata la quota di bambini che gioca in casa di altri, ai giardini pubblici e in oratorio. Al crescere dell’età, si riscontra una diminuzione dei bambini che giocano a casa propria e un parallelo aumento della quota di bambini che gioca in casa di altri e in spazi all’aperto. Mentre i giardini pubblici rimangono un luogo di gioco per i 15 urbane o rurali - nelle quali vivono dei bambini. La finalità è migliorare la vita dei bambini, riconoscendo e realizzando i loro diritti, trasformandola per costruire comunità migliori da oggi e per il futuro. Dentro questa stessa logica, ben venga anche il simpatico “rischio” di ritrovare tempi e modi e giochi di altre generazioni. Giochi poveri? Meglio parlare di giochi “altri”, sobri nei materiali, nelle regole, negli stili. Nell’edizione 2007 di Tocatì, Festival Internazionale dei Giochi in Strada, nel centro storico di Verona, sono arrivate 200.000 persone, nel 2008 forse di più, per ri-giocare a barandello, bocce quadre, brigghja, carrettini, ciclo tappo, fiolet, fionda, gioco delle noci, lancio del maiorchino, lippa, morra, pizzicanto, tella, tiro alla fune, trottole… Non solo: chi organizza ha pensato di invitare altri paesi europei (Croazia, Scozia), trovare tempi e spazi per un centro di documentazione e progettazione, rilanciare idee “giocose” che consentono di pensare agli spazi urbani in modo diverso e alle relazioni tra persone in modo di “reciprocità ritrovata”. Plastica in armadio, cortili preziosi, elettronica utile, ma non più un totem. Passato e nostalgia? E se fosse futuro? Toca ti (Tocca a te). Appunto. [email protected] più piccoli, sia maschi che femmine, tra i 6 e i 10 anni i bambini giocano di più in cortile, in campi o prati e in strade poco trafficate. In questa fascia d’età anche la parrocchia diventa un luogo di gioco molto frequentato, soprattutto per i bambini residenti nell’Italia nord occidentale. Credo sia necessario fermarsi per riflettere sugli spazi: che idea di città ne viene fuori? Anche questo è un aspetto essenziale della coesione sociale nei nostri territori. Vivere ed abitare in luoghi “inospitali” per i giochi dei bambini non è una casualità affidata al mercato immobiliare; si tratta, semplicemente, di una scelta “involontaria” e “subita”, decisa da chi pensa una società in cui bambini e ragazzi passeranno il tempo davanti a video accesi. Ieri la Tv, oggi YouTube o Facebook; non è lo stesso, certo, ma il virtuale non sempre è virtuoso e gli amici in rete sono spesso smagliature autentiche… Altro che “second life”! Per nostra buona sorte (ma non siamo solo noi al mondo, basta esserne consapevoli…), esistono la sussidiarietà creativa di oratori e parrocchie, oltre ad iniziative come quelle di “Camina”, ovvero enti locali che accolgono l’idea di essere cittadinanze amiche dei bambini. Infatti, il concetto di “Città amica delle bambine e dei bambini” è applicabile al governo di tutte le comunità - grandi o piccole, Anche tu, giovane sentinella del mattino, se vuoi, puoi scrivere all’AmicoTuo. Aspettiamo la tua posta! Voglio sposarmi! Se dici di non aver trovato nessuno sulla tua strada, prova magari a cambiarla, anche se questo richiede sforzo! A volte le nostre sono autostrade, dritte, comode, veloci, a senso unico, efficienti, ma che in realtà si intersecano raramente con altre strade… Ciao Amico! Sono una giovane come tante. Ho finito di frequentare l’università e, a settembre, ho iniziato a lavorare. Il mondo del lavoro mi piace, anche se non è facile muovere i primi passi in un ambiente così diverso da quello scolastico! Ho un bel gruppo di amici con cui mi diverto, mi confronto, talvolta molto animatamente, e con cui condivido la passione per l’oratorio e l’educazione dei più piccoli. Sono una ragazza serena e non ti scrivo per un problema in particolare, ma semplicemente per condividere con te un pensiero, o piuttosto una preoccupazione, che credo mi accomuni con molti giovani. Fin da piccola, come quasi tutte le bambine, sognavo di sposarmi, Cara Stefania, come dici tu, è una situazione comune a tante persone... Tutti, in realtà, cerchiamo una persona con cui condividere l’Amore in maniera “unica”. E dico tutti, perché sono sempre più convinto che questa “unicità” sia cercata anche da chi dice di non cercarla. È solo che l’unicità è una conquista e non una rinuncia. Non credo tu sia troppo esigente, anche se a volte ci fissiamo sul fatto che le persone che troveranno, per così dire, il nostro “favore” dovranno rispondere a certi canoni, a certi parametri. A volte, se una persona è fuori dalla nostra “idea”, non la prendiamo neppure in considerazione, quando invece potremmo scoprire un’altra “idea”, un’idea da fondere con la nostra, anche se apparentemente diversa. Non cominciare a chiederti solo se mai lo troverai, ma prova a cambiare i parametri di valutazione sugli altri. I parametri spesso nascondono le nostre paure: dentro di noi siamo consapevoli che tutto ciò che rifuggiamo negli altri non è altro che quella parte di noi che vorremmo amare e far amare. Dai spazio ad altro... Dai spazio ad un altro... In fondo, se si chiama “altro”... Attenzione, non ti sto dicendo di rinunciare alla tua idea d’Amore, di famiglia ecc., solo magari prova ad “incontrare” ciò che a prima vista ti sembra “altro”. diventare mamma ed essere, come nelle favole, sempre felice e contenta. Crescendo mi sono resa conto che non è così facile, e con il passare del tempo mi domando se forse sono io ad essere troppo esigente. Sognare da sola è bello, ma vorrei condividere questo sogno con qualcuno e, fino ad ora, non ho trovato nessuno sulla mia strada con cui poterlo fare. Comincio a chiedermi se mai lo troverò. Mi sembra un desiderio così naturale, e non credo di essere l’unica persona al mondo a coltivare sogni come questo. Forse ho un’idea troppo alta dell’amore, della famiglia? Forse oggi l’amore e la famiglia in cui credo fanno troppa paura? Stefania Se dici di non aver trovato nessuno sulla tua strada, prova magari a cambiarla, anche se questo richiede sforzo! A volte le nostre sono autostrade, dritte, comode, veloci, a senso unico, efficienti, ma che in realtà si intersecano raramente con altre strade (e sempre e comunque solo con altre autostrade)… È vero, magari su una statale o su una strada di montagna sei più soggetta al rischio di perderti e a volte di non sapere più dove sei, ma che paesaggi, che avventura e che incontri! Basta avere in mano la cartina (hai già capito chi è la Guida). La vita andrà come andrà, ma, per lo meno, avrai fatto un bel Viaggio! UnAmicoTuo Sentinelle del mattino Corry Mp3 e bastoni Il bus procede barcollando. All’interno una cinquantina di persone sobbalzano come pezzi di domino in una scatola. L’atmosfera si fa calda, al giovane manca l’aria; si volta verso Franco, un suo compagno di classe, e domanda: «Li hai portati?». «Certo, amico!» risponde l’altro, cominciando a trafficare con il suo zaino, per estrarne una scatola grigia ed un’altra bianca più piccola. «Perfetto! Sei il mio salvatore» commenta Andrea, sorridendo a sua volta. «Lo so!» risponde Franco. I due amici accendono l’mp3, si appoggiano la PSP sulle gambe ed attendono che si accenda. Eccola che arriva, pensa, cupo, Andrea. Ansia. Non saprebbe come meglio definire quell’emozione che è solita prenderlo quando si trova accanto a Franco, e lui comincia ad estrarre oggetti ipertecnologici dalle tasche. Il giovane sente come un’onda di qualcosa che sale a stringergli la gola; il fatto è che, invece di sottrarsi, ci si immerge. Con la musica che gli rimbomba nelle orecchie e gli occhi nel videogioco, il giovane dimentica qualsiasi ripensamento. All’improvviso una fitta di dolore gli percorre la gamba. Andrea salta sul posto, stordito, e cerca di focalizzare l’attenzione sul mondo 18 Andrea, con la musica che gli rimbomba nelle orecchie e gli occhi persi nel videogioco, perde ogni contatto con la realtà… reale: un vecchio arrabbiato lo sta colpendo con il bastone, mentre una giovane donna incinta cerca di reggersi in piedi. Sconvolto, il giovane si strappa gli auricolari dalle orecchie, chiude la PSP e si dissolve nella calca trascinandosi dietro Franco, tra il disappunto dell’amico, le invettive dell’anziano signore ed i mormorii di ringraziamento della giovane donna. Raggiunto un angolo dell’autobus, Andrea si ferma. Il giovane si sente osservato da tutti i passeggeri e, rosso come un pomodoro, si trova a desiderare di sprofondare nel nero pavimento di linoleum. La sua testa lo sta già rimproverando: stupido, stupido, stupido! Franco, sdegnato, commenta: «Bah, che modi incivili!». Andrea fissa furibondo l’amico ed esplode: «Cosa?! Noi abbiamo appena fatto la figura degli incivili e tu vuoi anche avere ragione?!». «Ma, Andrea, stavamo solo facendo una partita, bastava che…». «Zitto!» sibila Andrea, «Non capisci? Quel signore deve averci chiesto di lasciare il posto alla ragazza una marea di volte! Può anche avere cercato di farsi notare in mille modi, ma noi non l’abbiamo visto per la nostra stupida partita!». «Bah, succede! Insomma non è che uno non deve più ascoltare la musica o giocare alla PSP per guardarsi in giro, no?» ribatte Franco, deciso. «Però potevamo accontentarci di fare una cosa o l’altra! Eravamo talmente presi, che abbiamo totalmente ignorato il mondo esterno. Franco, tu mi sei simpatico, ma ora ho capito cos’è l’ondata che mi assale quando ostenti la tua ricchezza: è disagio! Stai perdendo te stesso e il contatto con il mondo reale! Non ho voglia di essere come te: vado a scusarmi!». L’autobus frena lentamente. Andrea raggiunge il posto lasciato poco prima, ma lo trova vuoto. Si guarda in giro, confuso. Oltre il finestrino vede una mano pallida che lo saluta. Gio, una mano posata sulla spalla della ragazza incinta, si volta a fargli l’occhiolino, quindi l’autobus riparte e le due donne scompaiono dalla sua vista. Fulgenzio Razio Lavorare con loro Un incontro sulla via di... Damasco In sette risposte a sette domande, Manuel,giovane lavoratore di Roncadelle (Brescia), ci racconta la sua vita, che definisce semplice, ma ricca di potenzialità. Scopriamo quali attese e problemi gli fanno compagnia… Un vecchio e famoso giornalista sosteneva che un’intervista fosse un articolo rubato. In effetti intervistare Manuel è un po’ così. Perché ascoltarlo mentre risponde alle domande, osservarlo mentre sorride e manifesta il suo imbarazzo iniziale, è un preziosa occasione per fermarsi un attimo a riflettere: chi sono, in cosa sperano, cosa pensano i giovani lavoratori di oggi, gli adulti di domani? Abbiamo rubato un po’ di tempo ad un giovane lavoratore per comprendere, ancora una volta, chi ogni giorno si sveglia per andare al lavoro. Problemi e attese si incrociano nei luoghi dove queste persone prestano la loro opera. Ascoltiamo, allora, quali attese e quali problemi fanno compagnia ad alcuni giovani. Incontriamo Manuel, lavoratore a tempo determinato della società Brescia Trasporti. Ha 27 anni e abita a Roncadelle con la madre. Dopo la terza media si iscrive all’Istituto per geometri di Brescia, che lascia durante il primo anno. Come tanti suoi coetanei, una volta abbandonata la scuola, trova lavoro come apprendista in un’officina meccanica per la riparazione di camion. Gli anni passano velocemente: gli amici, la prima paga, il motorino, la macchina, il servizio militare prestato nel corpo degli alpini… E poi incontra delle persone e decide di impegnarsi in oratorio dove, anche adesso, è uno dei tanti protagonisti. Ha raccolto volentieri, seppur timoroso, la proposta di raccontare la sua esperienza, regalandoci uno sguardo concreto sull’esperienza di un giovane lavoratore. Cosa ti ricordi dei primi giorni di lavoro? Mi ricordo la novità e l’entusiasmo di iniziare una nuova avventura. Ricordo anche la vergogna nell’affrontare i primi lavori o il dialogo con le persone più adulte e lo spaesamento nel trovarmi in un mondo sconosciuto. Mi ricordo, però, anche l’atteggiamento di un lavoratore anziano che, nonostante il suo modo burbero di fare, mi proteggeva e mi trasmetteva le conoscenze del lavoro, i trucchi del mestiere. Cosa ti ha spinto, recentemente, a cambiare lavoro? Mi ha spinto il desiderio di cambiare in meglio. Ha pesato anche il fatto che non andavo più d’accordo con il mio datore di lavoro che, secondo me, non apprezzava più il mio impegno e la mia professionalità. Inoltre il nuovo lavoro mi offre anche un miglioramento economico e la possibilità di avanzare dal punto di vista della carriera. Ti è mai capitato di lavorare con lavoratori stranieri e, se sì, come è andata? Sì. Ho avuto due colleghi, uno di origine cingalese e uno ucraino. Con l’ucraino, sarà stato per il suo Cose di casa temperamento un po’ freddo o sarà stata la mia diffidenza iniziale, ma alla fine non siamo andati molto d’accordo. Mentre invece con il lavoratore cingalese, con cui inizialmente pensavo di avere maggiore difficoltà di rapporto, in realtà ho avuto un buon rapporto di lavoro e anche di amicizia; una cosa che di lui mi ha colpito, e di cui sono rimasto stupito, era il suo buon animo. Vuoi raccontarci come è stata per te la riscoperta della fede con i primi impegni in oratorio? I primi impegni in oratorio mi sono stati affidati dal curato che, nonostante il mio passato un po’ travagliato, si è fidato di me ed io ho risposto con impegno. Questo mi ha dato modo di capire che Dio non è racchiuso solo nelle mura della chiesa, ma è in ogni sorriso e lacrima di ogni ragazzo che ho accompagnato in questi anni. Come ti immagini tra qualche anno? Immagino più maturo, più posato e con un buon bagaglio di esperienza da poter tramandare ai più giovani, sia nella vita privata che nel lavoro, come altri hanno fatto con me. Cosa significa sperare in un mondo migliore? Immagino un mondo migliore che sia più sicuro, con meno delinquenza e meno guerre. Per migliorare, invece, il mondo nel piccolo - il che è alla nostra portata - si potrebbe incominciare, cosa molto difficile, ad ascoltarsi reciprocamente e non parlare solo di belle cose, ma tirarsi su le maniche, nel vero senso della parola, e darsi da fare nel concreto, evitando di lamentarsi sempre. C’è una domanda che ti aspettavi e che non ti ho fatto? No, nessun’altra domanda perché con queste hai già scavato nel mio profondo e mi hai messo un po’ in imbarazzo, perché mi ritengo un persona semplice. Comunque sono sicuro di avere molte potenzialità e sono convinto che volere è potere. 20 Pagine di storia Racconto di una scoperta sorprendente. Una giovane incontra la bellezza della storia. E chi l’ha detto che i ragazzi di oggi non hanno più voglia di imparare? Forse dipende dal libro… “Allora vai dalle suore? Ma sono tutte vecchie!”. Quante volte, da quando sono entrata in convento, mi è stato chiesto se per caso non fossi impazzita. L’idea che c’è in giro delle suore è piuttosto deprimente. La parola stessa “suora” fa emergere nella mente delle persone l’immagine di una figura nera, cattiva, bisbetica e che puzza di vecchio. Ok, lo ammetto. Anche nella mia mente, fino qualche anno fa, que- sta parola non evocava pensieri particolarmente positivi. Questi ultimi mesi mi hanno aiutato a cambiare la mia prospettiva. Una svolta decisiva è avvenuta durante due giorni molto speciali: la presentazione degli atti capitolari nella Casa Madre delle Suore Operaie, a Botticino sera. Ero stata altre volte in Casa Madre, conoscevo quei volti rugosi, sereni, a volte stanchi, felici… Ma condividere con questi volti e questi occhi un minuscolo pezzo Cose di casa di strada mi ha aiutato ad andare oltre le rughe, a scorgere la vita e l’amore che vi palpitano dentro. La Casa Madre è l’origine, la culla delle Suore Operaie, il luogo che ha accolto le prime sognanti ragazze, rapite dal nuovo ideale di don Arcangelo, profeta del secolo scorso. Oggi questa casa è la comunità più numerosa della famiglia delle Suore Operaie e ospita un guazzabuglio di suore tutte diverse: le anziane, le malate, le infermiere, le suore impegnate in parrocchia. Non è un ospizio, non è un luogo dove attendere la morte. Qui la vita viene vissuta in ogni sua sfaccettatura; non si tratta semplicemente di far passare il tempo, quanto piuttosto di amarlo e gustarlo fino in fondo. Quasi tutte le sorelle sono a servizio: anche le più acciaccate, le più stanche, quelle che hanno lavorato tutta la vita e avrebbero tutto il diritto di sedersi e godersela, si mettono ai piedi le une delle altre. Tutte, dalle sorelle infermiere, alla addette alla cucina, a quelle che ogni giorno trascorrono molte ore e molti rosari in portineria. Ogni volta che incontro gli occhi di queste sorelle maggiori, mi viene in mente una sola parola: esempio. Ovunque mi porterà questa vita, sarò mai capace di amare così? Di servire così? Opinione diffusa è che la vecchiaia e la malattia tolgano la voglia di vivere e di divertirsi. Le mie sorelle maggiori, invece, sanno servire bene quanto sanno fare festa. C’è chi ha più di novant’anni, ma davanti a una cantata o una scenetta non si tirerebbe mai indietro; è stato commovente sentire i canti e i racconti della giovinezza delle più anziane. È stato come aprire un libro. La vita delle mie sorelle maggiori ha tessuto la storia che sto vivendo io ora. Sono qui anche grazie a loro, al loro lavoro, alla loro gioia, che non passa mai di moda. Sentire e vedere il loro entusiasmo, così vivo e contagioso, ha acceso anche in me il desiderio di scrivere qui il mio pezzo di storia. Le Suore Operaie a Sanpolino A Sanpolino, nuovo quartiere di Brescia, sta nascendo una Chiesa missionaria, che non attende sul sagrato che le persone arrivino, ma che va a trovarle e a visitarle, una Chiesa dove la Parola di Dio è proclamata nella Messa, ma anche ascoltata e condivisa nelle case. Sichem, la nuova comunità delle suore operaie, desidera essere lievito di comunione di questa nuova Chiesa. Il desiderio di vivere a stretto contatto con la gente, in mezzo a loro, come voleva il beato Tadini, e il bisogno della Diocesi di Brescia di mettere nel cuore di un quartiere appena sorto una presenza religiosa, si sono incontrati per volontà di Dio e il 7 giugno 2008, aiutate da alcuni nostri papà e da alcuni giovani del quartiere, abbiamo aperto la nuova casa della comunità Sichem. Chi siamo? Siamo Suore Operaie che hanno nel cuore il desiderio di condividere la vita e il lavoro con le persone che il Signore ci pone accanto. La comunità ha un numero variabile di sorelle, che può arrivare a otto, il numero dei letti disponi- bili in casa… Attualmente siamo in sette. Sichem è una comunità di juniorato, ossia la casa delle suore con i voti temporanei. Qui le sorelle giovani sperimentano l’essere Suore Operaie, qui le sorelle vicine ai voti perpetui trascorrono alcuni mesi per prepararsi al sì definitivo. Dove siamo? Viviamo in un appartamento che la Diocesi di Brescia ci ha messo a disposizione, in via Ugo Aldrighi 25. È uno dei 900 appartamenti che costituiscono il nostro nuovo quartiere di Sanpolino, in gran parte già abitati, per lo più da famiglie o coppie giovani, anche se non mancano gli anziani. Camminando per strada, si Camilla 21 Mettersi in gioc Sr Erika e sr Cristiana al Campo della Gioc incontrano molte mamma e papà col passeggino e molti bambini che girano per le vie con la loro bicicletta. Che cosa facciamo? Alcune di noi lavorano con un lavoro dipendente, altre studiano, tutte desideriamo essere presenza dell’amore di Dio qui, a Sanpolino. Il nostro impegno principale sul territorio è conoscere le famiglie per creare una rete di amicizia, di solidarietà, perché il nostro quartiere non sia un agglomerato di case, ma una comunità viva di persone. Siamo inserite in una realtà di Chiesa particolare. Nel nuovo quartiere non sorgerà una parrocchia, ma le tre parrocchie vicine lavorano insieme in una Diaconia. A Sanpolino non vorrebbe esserci una Chiesa di strutture, ma una Chiesa di persone, una Chiesa missionaria che non attende sul sagrato che le persone arrivino, ma che va a trovarle, a visitarle, una Chiesa dove la Parola di Dio è proclamata nella Messa, ma anche ascoltata e condivisa nelle case. Noi facciamo parte di questa nuova Chiesa missionaria e di questa nuova Unità Pastorale e vorremmo essere in questa realtà lievito di comunione. Perché Sichem? Il nome richiama il pozzo della Samaritana, una donna che convive dopo aver avuto sette mariti, una donna che al 22 pozzo incontra Gesù e si lascia affascinare da Lui, scopre in Lui la sorgente dell’acqua viva che dà senso alla vita. La nostra comunità, Sichem, vuole essere il luogo dove noi e la gente del nostro quartiere possiamo incontrare Gesù e dissetarci all’acqua viva. E in più! Accanto a noi vive fratel Giorgio, che fa parte della nostra comunità arricchendola con la sua fede e la sua sensibilità maschile. Con lui ci occupiamo dei giovani lavoratori. Il volto della Provvidenza. Nel bisogno di sistemare casa sperimentiamo la presenza efficace e puntuale della Provvidenza, che ha il volto della gente che ci vuole bene o che ci conosce appena. Se possiamo dire oggi che la nostra casa è una casa accogliente, è perché un amico è venuto a sistemarci la dispensa, un altro il giardino, altri hanno appeso i lampadari, un’amica ha portato i fiori… C’è chi un giorno ci dona le brioches, chi la pizza, chi un vasetto di conserva, chi un pollo, chi i frutti del proprio orto. Con stupore ringraziamo il Signore per tanti amici e a Lui li affidiamo perché sappia ricompensare la loro generosità e perché possano sempre trovare nella nostra comunità una casa accogliente dove si può fare esperienza del Signore. Le sorelle della Comunità Sichem Giovani e lavoro. Un’accoppiata perdente in questo periodo. Eppure c’è chi ancora scommette su questo binomio indivisibile. C’è chi ha ancora la voglia e il coraggio di alzare la testa dalla massa per volare alto, per sognare, rimboccandosi le maniche. Utopia, o forse profezia? Cose di casa Prendi un sogno da realizzare, impastalo con la voglia di vivere volando alto, aggiungi i passi di giovani uomini e giovani donne di ieri che ci hanno creduto, mescola con i cuori di ragazze e di ragazzi di oggi che proseguono il cammino. Insaporisci poi con il desiderio di qualcosa di grande da costruire insieme, condisci con occhi aperti sul mondo giovane che bussa alle porte delle fabbriche e degli uffici. Completa con la speranza in un presente e in un futuro migliori, illuminati dalla presenza di un Dio sempre all’opera e inforna tutto tra le montagne della Val di Susa, in Piemonte, all’ombra dell’imponente forte di Exilles… Il risultato è il campo nazionale della Gioc (Gioventù Operaia Cristiana), tenutosi in provincia di Torino lo scorso agosto. È passato un po’ di tempo, ma il sapore di quei cinque giorni è ancora vivo nel mio cuore e in quello di sr Cristiana. Insieme abbiamo avuto l’occasione e la gioia di condividere momenti di riflessione, di preghiera, di semplice fraternità con tanti giovani appartenenti a questo movimento, che dagli anni ’70 è presente nel Bel Paese, ma che vanta un cammino iniziato negli anni venti in Belgio ad opera del Cardinale Joseph Cardijn. L’associazione, oggi diffusa in oltre 60 paesi del mondo, ha lo scopo di proporre percorsi educativi e formativi, per imparare a comprendere la realtà a partire dalla propria vita, per annunciare e presentare Gesù ai giovani lavoratori e per fare esperienze di impegno sul lavoro, nella società e nella Chiesa. Attraverso il metodo della Revisione di Vita, sperimentato in gruppo, la Gioc aiuta a fare un’analisi della propria vita in un confronto aperto con gli altri, per arrivare a proporre un cambiamento di sé e della realtà, alla luce della Parola di Dio. Il movimento è completamente formato da giovani, che ne ricoprono tutti i ruoli di responsabilità. A Exilles sr Cristiana ed io ne abbiamo incontrati tanti di questi giovani. Abbiamo attraversato le storie di vita di ragazzi e ragazze che con coraggio e semplicità hanno preso in mano la propria esistenza per viverla fino in fondo, in maniera sensata; per ridarle il gusto della speranza cristiana, che nasce dall’incontro con un Dio che si fa compagno di viaggio e non disdegna di sporcarsi le mani. Storie di vita di “sentinelle del mattino”, come Demetrio, di Reggio Calabria, che non scappa dalla propria terra a corto di lavoro, ma, insieme ad un gruppo di amici, crea una cooperativa che accompagna i giovani in percorsi educativi volti alla formazione delle coscienze, alla legalità e all’amore per il proprio territorio. O Carla, 22 anni, della provincia di Torino, che, finita la scuola, si butta nel mondo del lavoro con paura, ma con tanta voglia di crescere. Per questo, non resta muta davanti alle ingiustizie e ai diritti negati, ma con pazienza e a denti stretti ottiene per sé e per i suoi giovani colleghi un buon contratto di lavoro. Storie coraggiose, nascoste dietro ad uno sguardo, raccontate con un sorriso, animate dalla passione per il lavoro e per i giovani, che in esso vedono un trampolino di lancio per la propria realizzazione. Sia esso un lavoro specializzato oppure molto semplice. Sì, perché dentro i giovani “invisibili” che ci tagliano la strada ogni giorno, si nascondono tanti sogni che fanno volare alto. Sarà per questo che noi Suore Operaie da sempre abbiamo feeling con la Gioc. Ci accomuna la certezza che il lavoro è scuola di umanità, strada che conduce direttamente tra le braccia di Dio, perché l’uomo e la donna che lavorano “valgono più di tutto l’oro del mondo” (curiosa coincidenza: sia Tadini che Cardijn hanno usato queste stesse parole!). L’importante è aver voglia di mettersi in… Gioco! Sr Erika Adueadue Intervista doppia a due ragazzini che non si sono mai incontrati e probabilmente non si incontreranno mai. I sogni, le speranze, la vita di ogni giorno… Viene da chiedersi se davvero non c’è niente che possiamo o vogliamo fare. Raccontami di te Come ti chiami? Andrea Castelli Bosko Oto Quanti anni hai? Dodici Undici Dove abiti? A Brescia, in Italia A Pajule, un paese dell’Uganda Ti piace vivere nella tua città? Sì, ci sono tanti negozi. Qui c’è la guerra. Viaggi spesso? Un po’. Quest’estate con i miei genitori siamo stati a Parigi e un mese in Sardegna. Quando avevo otto anni sono stato obbligato a combattere in Sudan. Da poco l’UNICEF mi ha riportato a casa. Sei cristiano? Ehm, sì. La domenica vado a messa. Sì, appartengo al popolo Acioli, una popolazione di fede cristiana di circa 350 mila persone. Vuoi bene a Gesù? Quasi sempre. A volte mi arrabbio se non mi aiuta quando glielo chiedo. Sì. È normale. A due piani con il giardino. La mia stanza è al secondo piano. È una capanna di fango con il tetto di paglia; c’è una stanza sola dove dormiamo noi e a volte gli animali più piccoli, perché c’è il rischio che ce li rubino. Sono figlio unico. Ho sei fratelli e tre sorelle e l’anno scorso la mia famiglia ha adottato un bambino che è rimasto orfano dopo la guerra. Ti piace andare a scuola? No, non mi piace leggere. Non vado più a scuola perché sono troppo grande. Io lavoro nei campi. Da casa mia vedo sempre il posto dove i piccoli vanno a scuola. Il maestro non ha nemmeno un libro o dei fogli per insegnare. Cosa ti piace fare? Guardare la televisione, giocare a calcio e alla Playstation. Chiacchierare all’ombra con gli amici e giocare a calcio. Qual è il tuo gioco preferito? World of Warcraft, è un videogioco. Il calcio. Di solito con tutti i ragazzi del villaggio organizziamo dei tornei. Qual è il tuo cartone animato preferito? Dragonball. Cos’è un cartone animato? Cose desideri di più al mondo? La nuova Playstation 3 Desidero che il mio paese possa vivere finalmente in pace. Cosa sogni per il futuro? Diventare un calciatore professionista o un attore famoso. Non vedo l’ora di crescere, così non potranno più obbligarmi ad andare a combattere e potrò crearmi una famiglia. Vuoi dire qualcosa all’altro? Se vuoi, ti presto Playstation. Vuoi venire a trovarmi? Com’è la tua casa? Hai fratelli o sorelle? Cinema e cultura Sobrietà, dallo spreco di pochi ai diritti per tutti Intervista a Francesco Gesualdi, a proposito del suo libro, che tratta delle prospettive concrete su cui lavorare per pensare diversamente e cambiare i nostri stili di vita. Qual è stato lo spunto di partenza di questo libro? Lo spunto riguarda due ragioni, di carattere sociale e ambientale. Se vogliamo iniziare a fare un serio discorso di sollevamento dei popoli del Sud del mondo, bisogna inevitabilmente fare i conti con la distribuzione delle risorse e il rispetto dell’ambiente. È fondamentale interrogarci sul nostro modello di sviluppo, per organizzare in modo migliore la nostra economia e la nostra società occidentale, in un’ottica di sobrietà, intesa come minore utilizzo di risorse e minore produzione di rifiuti. Parliamo del lavoro, che oggi viene visto dalle imprese anzitutto come un costo. Nella logica capitalista il lavoro è sganciato dalla persona umana. La domanda che ci dobbiamo fare è: “Lavoro per chi e per che cosa?”. Il lavoro è fatica, ma è anche crea- tività e realizzazione. Per costruire una società dal volto umano dobbiamo ricreare le condizioni affinché il lavoro ritorni ad offrire sicurezze, ad essere un lavoro di qualità per la realizzazione della persona che lo compie. Quindi la politica può agire come freno contro questa deriva capitalistica se noi, come società civile, riusciamo a farci sentire presso i nostri rappresentanti politici. La politica deve assumere un predominio sull’economia. Ma oggi sta succedendo l’esatto contrario; c’è una sudditanza paurosa da parte del mondo politico verso gli interessi economici. In Italia assistiamo a una coincidenza tra interessi politici ed economici, al punto che è perfino ovvio che la politica si diriga nella direzione opposta. Al contrario, essa deve riacquistare la chiarezza del suo ruolo tornando ad essere quel luogo dove si scrivono le regole per dare un volto umano alla società e all’economia. Sviluppo e progresso. Dalle pagine del suo libro emerge una limitata fiducia nella tecnologia e nella scienza. Oggi si farnetica rispetto al creare il sole sulla terra come fonte d’energia, ma allo stato attuale è solamente un vaneggiamento; stiamo superando l’era dei combustibili fossili, però non abbiamo ancora 25 Un prete per te una soluzione futura in tasca. A conti fatti, questo sistema sta creando tutte le premesse per scavare la propria fossa, perché senza energia esso non può esistere. Purtroppo oggi viviamo in una società terribilmente irresponsabile. In questa sbornia dell’essere i dominatori del mondo, non ci preoccupiamo assolutamente di ciò che succederà nel lungo periodo, ma puntiamo soltanto a fare le scorpacciate del momento, senza nessuna prospettiva storica. Siamo ormai giunti ad un punto di non ritorno per quanto riguarda il surriscaldamento terrestre, con conseguenze catastrofiche per il clima. Non è in gioco il futuro del pianeta terra, che continuerà a girare attorno al sole generando nuove forme di vita adattabili alle nuove condizioni. Il problema è il genere umano che probabilmente non possiede la capacità di adattarsi velocemente ai cambiamenti climatici mondiali. Cosa pensa della diffusione e dell’accettazione delle idee di cui parla? Potrebbero essere inserite in altre forme di comunicazione? Questa è la grande sfida che abbiamo di fronte a noi: riuscire a capire che tipo di prospettiva ci vogliamo costruire. È questo lo sforzo più grande che faccio nel libro: capire quali potrebbero essere dei meccanismi nuovi di funzionamento di una società che fa i conti con il senso del limite, invece che con la crescita infinita. Per questo è importante che certi temi inizino a circolare proprio creando il consenso tra la gente. Gli strumenti sono tanti e vanno usati tutti, ma soprattutto è importante iniziare a sperimentare nei fatti, perché la sperimentazione ha anche una connotazione di comunicazione che diventa testimonianza visibile. La gente vede e inizia a interrogarsi su questo sistema e su come sia possibile superarlo con delle alternative. Queste devono essere le nuove frontiere della comunicazione: la sperimentazione e la testimonianza. (Intervista a cura di Simone Deri www.ztl.eu) 26 “Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri” (Fil 4,8). La sobrietà è una virtù, una disposizione abituale e ferma a fare il bene, che consente alla persona non soltanto di compiere atti buoni, ma di dare il meglio di sé; è una delle virtù cardinali, quella della temperanza, quella che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati. “Virtù” è una parola che non rientra nel nostro vocabolario quotidiano, una parola che sembra di altri tempi, del tempo lontano in cui è stata scritta la Bibbia o del tempo un po’ meno lontano in cui è vissuto don Arcangelo! E, forse, proprio per questo è una parola attraverso cui guardare per riscoprire le radici e la verità del nostro essere cristiani, infatti è principio comune a tutti che chi incomincia ad allontanarsi con il suo intelletto dalla verità anche se per poco, in breve tempo se ne allontana di molto. Così chi comincia ad allontanarsi con la sua volontà dal bene anche se per poco, in poco tempo se ne allontana di molto; poiché come le virtù sono unite l’una all’altra, così lo sono anche i difetti, di modo che essi, come anelli calamitati, formano una certa catena, per cui prendendo il primo anello si tira tutta. È bello cercare e sapere l’origine delle parole, perché così si può comunicare il loro significato più profondo e vero e, attraverso di esso, riavvicinarsi alla Verità e al Bene. Le due possibili etimologie del termine sobrietà dicono l’essere senza ubriacatura e l’essere sano di mente, saggio (o, in senso morale, moderato): saggio è colui che gusta il sapore delle cose, mentre l’ubriaco non è in grado di farlo perché è dominato da un bisogno che non riesce più a controllare. Ed io come mi pongo di fronte alle cose: da ubriaco o da saggio? Osservare i comportamenti delle persone che girano tra gli scaffali di un centro commerciale è interessante e andarci Italina Parente e Cristiana Crippa Io mi sono privato di tutto Alla faccia di chi pensa che la sobrietà sia un tema moderno. Don Arcangelo in persona da sempre parla alle sue figlie di vita equilibrata, moderata, povera. Privarsi di tutto, per mettere le ali al cuore e volare più leggere, dritte nel cuore e nella Verità di Dio, maestro di saggezza e sobrietà. con un bambino lo è ancora di più: ti prende per mano e ti porta nel reparto dei giocattoli, dove velocemente ti indica quello che vuole dicendoti: “Mi piace, lo voglio” e, se provi a dire che quel giocattolo ce l’ha già, è subito pronto a descriverne le caratteristiche diverse, magari solo il colore, e a ribadire che gli serve. ma verso chi gli cede; e anche se il demonio compare per lo più sotto forma di leone, egli però è sempre una formica con chi gli resiste; e sebbene vada sempre girando dentro di noi cercando di divorarci, tuttavia egli non può girare che quanto Dio gli permette e non può addentare se non chi, come incauto bambino, scherzando, gli si avvicina. La via da percorrere per abbandonare i ritornelli condivisi, e raggiungere l’equilibrio nell’uso delle cose è quella della fedeltà alla Verità: è la fedeltà animata dall’amore che don Arcangelo continuamente ricordava alle sue suore: Amate l’astinenza; questo modo di vivere fa rinascere, vi fa vincere certi demoni, riduce i vizi, eleva la mente, vi è largo di virtù e di premi e vi fa imitare Gesù. Potrete aiutare i poveri e, liberate da tanti fittizi bisogni, potrete attendere meglio a conoscere le verità della fede, a meditare, a pregare, in una parola a coltivare lo spirito. Io mi sono privato di tutto e l’ho fatto unicamente per compiere il bene, per la maggior gloria di Dio e per aiutare specialmente le operaie. A volte ci si può chiedere che cosa c’entri Dio con il nostro modo di rapportarci alle cose, con le nostre scelte quotidiane, con l’esteriorità delle cose: a Dio non basta il cuore? Sì, a Dio basta il cuore, ma un cuore che ama, un cuore vero, un cuore giusto, un cuore sobrio. “Mi piace, è bello, non ce l’ho, è un modello nuovo…” è il ritornello anche delle persone grandi, dei professionisti, delle casalinghe, delle operaie! La Verità mi dice che è bene usare le cose nella giusta misura, ma per l’uomo ferito dal peccato non è facile conservare l’equilibrio, non è facile abbandonare i ritornelli condivisi e chiedersi “posso farne a meno?”. Eppure Dio contro le tentazioni ci accorda due tipi di grazia: una di fuga e l’altra di combattimento. La prima ci preserva dalla tentazione, la seconda ci sostiene e ci salva. Contro le tentazioni che possiamo prevedere noi, dobbiamo mettere in opera la prima, cioè fuggire, contro quelle tentazioni da cui non abbiamo potuto fuggire il Signore ci dà la grazia di poter combattere. Ma questa grazia il Signore non ce la darà se avremo trascurato la prima, e, se potendo, abbiamo trascurato il fuggire, dal momento che non alla nostra imprudenza, ma alla nostra fedeltà egli ha promesso il suo potente soccorso. Se restiamo vinti, diciamolo, è perché lo vogliamo: poiché il demonio è potentissimo, anzi formidabile, 27 Varie ed eventuali Il decalogo della sobrietà Può uno stile di vita più sobrio renderci più liberi e felici? Siamo convinti che la sobrietà sia diventata una scelta necessaria? Le risorse della terra si esauriscono, le disuguaglianze aumentano, costringendo miliardi di persone a vivere nella povertà più assoluta. Qualcosa deve cambiare! Ci rivolgiamo a coloro che hanno responsabilità, ai politici, agli educatori, a tutte le persone, bambini e bambine, donne e uomini “semplici”, che vivono vicino o lontano da noi. Quando prepariamo una valigia, mettiamo dentro mille e mille cose che si pensa possano servire. Un gruppo di cittadini in cerca di un nuovo stile di vita, dopo essersi confrontati con alcuni allievi della Scuola di Barbiana, a 40 anni dalla morte di don Lorenzo Milani, stilano un decalogo per aiutarci ad alleggerire il nostro bagaglio e vivere in sobrietà. Ci incamminiamo, ma durante il percorso siamo affaticati dal carico e ciascuno di noi si chiede: “Cosa posso lasciare per rendere il mio cammino più leggero?”. 1. Piccolo è bello Per risolvere bisogni di ognuno di noi, non servono grandi strutture e grandi numeri. E.F. Schumacher Flash “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch’essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dài un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti”. (Lc 14,12-14) Pranzo di Natale con i poveri nella Basilica di Santa Maria in Trastevere - Roma (Tradizione della Comunità di Sant’Egidio dal 1982) 2. Produzione locale Utilizzare prodotti locali vuol dire salvaguardare i mestieri e l’economia del luogo in cui viviamo. Quando ci riferiamo al cibo, abbiamo la garanzia di maggior freschezza, più gusto, minor spostamento di merci e quindi minor inquinamento. Coltiviamo semi antichi che si sono adattati al clima e al suolo di ogni singolo territorio. 3. Meglio e meno Abbiamo bisogno di strumenti e beni che durino a lungo. È meglio privilegiare la qualità e non la quantità, in contrapposizione alla logica dell’usa e getta. 4. Vivere i tempi naturali C’è una stagione per seminare e una stagione per raccogliere. Ritorniamo a rispettare i luoghi e i tempi della natura. 5. Mani abili Le mani sono uno strumento importante dell’uomo. La mano è l’arto che caratterizza gli esseri umani da tutti gli altri esseri viventi. Riteniamo che, soprattutto nella scuola, lavorare con le mani significa recuperare il rapporto con un rito, con una manualità, che contribuisce allo sviluppo armonico della persona. 6. Convivialità Siamo parte di comunità: abbiamo a cuore il ben-vivere dell’essere piuttosto che il benessere dell’avere. La sobrietà è per noi strettamente legata allo “star bene”, all’autorealizzazione, alla consapevolezza, all’apertura agli altri, alla pienezza delle relazioni interpersonali. 7. Economia della solidarietà L’economia, per noi, è la via per favorire l’aiuto reciproco fra le persone. Oggi abbiamo esempi concreti di economia di mutuo sostegno: gruppi collettivi di acquisto, banche del tempo, distretti di economia solidale, finanza critica, mercatini locali, forme di scambio e di baratto di beni autoprodotti. Maria di Nazareth Il Verbo si fece carne Esiste quindi l’economia privata, l’economia pubblica, ma anche l’economia del “far da sé”. 8. Semplicità ed essenzialità Un modello di sviluppo orientato esclusivamente alla “crescita quantitativa” e al “consumismo sfrenato” crea un conflitto mondiale permanente. Lo squilibrio fra Nord e Sud del mondo si può ridurre solo se ci impegniamo a soddisfare i “bisogni essenziali” di tutti. 9. Uso e non possesso Gli oggetti sono oggi usati quasi esclusivamente per “mostrare” e per creare immagine. Diamo valore a beni e prodotti, quando vengono usati e non posseduti. Molti strumenti di uso quotidiano (energia, auto, lavatrice…) li possiamo condividere o acquistare collettivamente. 10. Bio-diversità La biodiversità non si improvvisa. È il lavoro costante e incessante della natura e di generazioni di uomini e donne che, giorno dopo giorno, per “prove ed errori” sono arrivati a produrre la vita. Salvaguardiamo “colture” e “culture” diverse. Una bella ecografia! ci ricorda che “L’uomo è piccolo, e perciò piccolo è bello. Procedere verso il gigantismo significa procedere verso l’autodistruzione”. Varie ed eventuali Lo zaino L’operazione zaino consiste nel saper distinguere le cose necessarie da quelle superflue, in modo da alleggerire i nostri cammini e liberarci dall’oppressione del consumismo. L’operazione zaino si sviluppa in 4 momenti: 1. Svuotare lo zaino che abbiamo portato sulle spalle in questi anni, pieno di tanti beni, soprattutto materiali, imposti dal consumismo. Questo ci aiuta a percepire fino a che punto siamo condizionati dal sistema, che ci induce ad accumulare sempre più mediante il consumo sfrenato e ci porta a trascurare le relazioni, beni fondamentali della vita. 2. Discernere quali sono i beni necessari per la vita da quelli superflui, per capire quali sono i beni fondamentali a cui non possiamo rinunciare per dare qualità alla vita. 3. Riporre nello zaino solamente le cose necessarie che hanno un valore di utilità e, soprattutto, ripensare i rapporti interpersonali essenziali per la vita. 4. Gettare nel cestino le cose superflue che promuovono solamente la quantità della vita, ma non la rendono felice, anzi generano disagio e malessere perché ci rendono dipendenti dalle cose. Sassi e sabbia È necessario imparare a far funzionare il cervello e il cuore all’unisono, per essere capaci di riempire la vita di cose davvero importanti. Un giorno un anziano professore fu contattato per una sessione sulla gestione efficace del tempo, da tenere a un gruppo di una quindicina di dirigenti di grosse società americane. Questa sessione si sarebbe svolta nell’ambito di un corso intensivo di formazione e il professore aveva a disposizione solo un’ora per trattare il suo argomento. In piedi, davanti a questo gruppo scelto (uomini attenti, pronti a prendere appunti per non perdere nulla di quello che l’esperto avrebbe loro insegnato), il vecchio prof guardò questi uomini uno per uno, lentamente, poi disse loro: “Faremo un esperimento”. Da sotto il tavolo che lo separava dagli allievi, il vecchio prof tirò fuori un grosso vaso di vetro (della capacità di circa 25 litri) e lo mise delicatamente davanti a sé. Quindi, sempre da sotto il tavolo, tirò fuori circa una quindicina di sassi, grossi all’incirca come palle da tennis e li mise delicatamente, uno per uno, nel vaso. Quando il vaso fu pieno fino all’orlo, alzò lo sguardo verso gli allievi e domandò: “È pieno il vaso?”. Tutti risposero: “Sì”. Aspettò qualche secondo e disse: “Davvero?”. Allora si chinò di nuovo e tirò fuori da sotto il tavolo un recipiente pieno di ghiaia. Con attenzione versò la ghiaia sopra i sassi e poi agitò leggermente il vaso. La ghiaia si infiltrò fra i sassi fino a raggiungere il fondo del vaso. Il vecchio prof alzò ancora lo sguardo verso l’uditorio e chiese di nuovo: “È pieno il vaso?”. Questa volta i suoi allievi iniziarono a comprendere l’inghippo. Uno rispose: “Probabilmente no!”. “Bene!”, rispose il vecchio prof. Si chinò di nuovo e questa volta tirò fuori da sotto il tavolo una ciotola piena di sabbia. Con molta attenzione versò la sabbia nel vaso. La sabbia riempì gli spazi fra la ghiaia e i sassi. Di nuovo domandò: “È pieno il vaso?”. Questa volta senza esitazione, gli allievi risposero in coro: “No!”. “Bene!” rispose il vecchio prof e, come prevedevano i suoi allievi prestigiosi, prese un bricco d’acqua che era sotto il tavolo e riempì il vaso fino all’orlo. Il vecchio prof alzò allora lo sguardo verso il gruppo e domandò: “Che grande verità ci mostra questo esperimento?”. Il più audace degli allievi pensando al tema della sessione rispose: “Anche quando si crede che la nostra agenda sia completamente piena, se si vuole, si può aggiungere ancora qualche appuntamento, è possibile cioè aggiungere sempre qualche cosa”. “NO!”, rispose il vecchio prof, “non è questo. La grande verità che questo esperimento vuole mostrarci è la seguente: se non si mettono per primi nel vaso i grossi sassi, in seguito non sarà mai più possibile farli entrare tutti”. Ci fu un silenzio profondo durante il quale ognuno prese coscienza della cosa. L’anziano professore, quindi, aggiunse: “Quali sono i grossi sassi nella vostra vita? La salute? La famiglia? Gli amici? Realizzare dei sogni? Fare ciò che vi piace? Conoscere? Difendere una causa? Rilassarvi? Sostare? O altro? Se si dà la priorità ai dettagli, alle bazzecole (ghiaia, sabbia…), si riempirà la vita di cose trascurabili e non ci sarà tempo abbastanza da dedicare alle cose importanti. Quali sono i grossi sassi nella vostra vita? Metteteli per primi nel vostro vaso”. Con un cenno della mano l’anziano professore salutò gli allievi e lentamente lasciò la sala. [email protected] www.amicisuoreoperaie.it La realizzazione a Mugutu, presso Gitega, seconda città del Burundi, di una nuova missione, con un centro per bambini malnutriti, scuole professionali e laboratori artigianali, vede impegnata la nuova associazione Amici delle Suore Operaie e tutti gli amici che desiderano contribuire. Un progetto ambizioso Veramente una grande festa, quella dello scorso sabato 22 novembre 2008 a Fantecolo! Il motivo è stato la presentazione ufficiale della neonata Associazione “Amici delle Suore Operaie - Onlus”, creata da laici vicini alla congregazione, allo scopo di sostenerne in particolare le missioni. Nella suggestiva cornice di Villa S. Giuseppe, avvolta dai canti gospel del coro Effatà, la serata ha preso avvio con le parole del Presidente dell’Associazione, Piercarlo Fontana, e con il saluto della madre generale, sr Emma. Successivamente si sono alternate al microfono, davanti ad un folto pubblico, attento e caloroso, sr Vittoria e sr Ignazia, entrambe da decenni in Burundi, sr Adela, originaria del Paese africano e a lungo missionaria in Brasile, e Maddalena, giovane medico di ritorno da un’esperienza di volontariato proprio in Africa. Le loro parole hanno testimoniato di povertà e bisogni, ma anche di audacia e volontà: dalle necessità estreme nasce infatti un sogno, la realizzazione a Mugutu, presso Gitega, seconda città del Burundi, di una nuova missione, con un centro per bambini malnutriti, scuole professionali e laboratori artigianali. Un progetto ambizioso, sulla cui realizzazione la neonata Associazione intende concentrare fin dall’inizio i propri sforzi, devolvendovi tutti i contributi che perverranno. A questo proposito, vale la pena di ricordare che il riconoscimento dell’Associazione come “onlus” consente di detrarre nella dichiarazione dei redditi le donazioni effettuate tramite bollettino di c/c postale o bonifico bancario, nonché di destinarle il 5 per mille delle imposte. Sognare insieme può essere l’inizio di una nuova realtà: aiutaci ad aiutare anche con il tuo contributo! Associazione “Amici delle Suore Operaie - Onlus”: - c/c bancario presso la BCC di Pompiano e Franciacorta, IBAN: IT22 R087 3555 1000 0100 0102 293 - c/c postale: 92617513 - destinazione 5 per mille: codice fiscale 98141550172 Il Beato Tadini presto Santo La quotidianità salirà sugli altari. Circa dieci anni fa, in occasione della sua Beatificazione, parlavamo di lui come di “uno di noi”. Oggi ci ritroviamo ancora insieme, noi, gente innamorata di normalità, a raccontarci e condividere i sentimenti che portiamo in cuore. Presto la Chiesa avrà un nuovo Santo: don Arcangelo Tadini, sacerdote diocesano di Brescia e fondatore della Congregazione delle Suore Operaie della S. Casa di Nazareth. La notizia è stata comunicata sabato 6 dicembre, in seguito all’avvenuta autorizzazione alla promulgazione del decreto da parte del Santo Padre Benedetto XVI. La quotidianità salirà sugli altari. Circa dieci anni fa, in occasione della sua Beatificazione, parlavamo di lui come di uno di noi. Oggi ci ritroviamo ancora insieme, noi, gente innamorata di normalità, a raccontarci e condividere i sentimenti che portiamo in cuore in questo momento di grande gioia e commozione. “Se uno di noi ce l’ha fatta”, commenta un collega di lavoro che ci legge la notizia sul volto, “un semplice prete, che viveva accanto alla sua gente, allora sono davvero le cose di tutti giorni che ci fanno santi!”. Ci raggiunge la telefonata di congratulazioni di don Raffaele Licini, parroco di Botticino Sera. Ci contagia con il suo entusiasmo, tanto da farci sentire in diretta le campane della parrocchia che suonano a festa: “Vivo nella casa di un Santo, sono il successore di un Santo! Sento di esserne indegno, ma ringrazio Dio di questo onore e ne invoco la protezione”. Madre Emma Arrighini, Superiora Generale della Congregazione, commenta così: “Non so cosa dire per la grande emozione, ma vi comunico alcuni sentimenti e sensazioni: una gioia grande, attesa da molto tempo, ora finalmente vera per noi, per la nostra Chiesa bresciana, per la Chiesa universale; poi la consapevolezza che i passi di un santo continuano ad intrecciare i nostri piccoli e incerti passi e ci ripropongono un impegno serio di santità; infine penso alle splendide occasioni di evangelizzazione, di formazione e di preghiera che ci attendono, nella condivisione di un carisma che rivelerà un nuovo volto della Chiesa”. Sr Virginia, che ha appena festeggiato il settantesimo anniversario di professione religiosa e i cui genitori sono stati sposati proprio da don Arcangelo, non riesce a esprimersi con le parole, ma il suo sorriso e le sue lacrime parlano di attesa, di preghiera, di anni di lavoro e di sogni che si avverano. E potremmo continuare a raccontarci, a ricordare e a sognare, ma preferiamo ritornare alle origini, alla vita di uno di noi, che si commenta da sé. Dal 1999, anno in cui Giovanni Paolo II, l’ha proclamato beato, la Diocesi di Brescia ne fa memoria il 21 maggio. Sr Raffaella Falco