...

La sobrietà - Suore Operaie

by user

on
Category: Documents
38

views

Report

Comments

Transcript

La sobrietà - Suore Operaie
Scrivo a voi
In principio
era un bimbo
Facciamoci prestare gli
occhi da un bambino:
Dio creò, l’uomo ha
distrutto. Cosa faranno
i bambini domani?
Con gli occhi della fede
Essere Vangelo
Correndo tra Parole
di cielo, ecco nascere
sogni da mangiare, sogni
da camminare.
Sogni che non vedono
l’ora di diventare realtà.
Periodico trimestrale
Suore Operaie S. Casa di Nazareth
Presto la Chiesa
avrà un nuovo Santo.
La quotidianità
salirà sugli altari.
La sobrietà
Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 DCB Brescia
4
2008
Cose di casa
Il beato Tadini
presto santo
Donne consacrate e innamorate
nel mondo del lavoro...
Sommario
Fondate nel 1900 dal sacerdore
diocesano Beato Arcangelo Tadini,
il nostro carisma è testimoniare
Cristo nel mondo del lavoro attraverso,
in primo luogo,
la condivisione del lavoro stesso.
Ti portiamo nel nostro cuore,
dove vive e lavora Gesù,
operaio nella bottega di Nazareth.
Scrivo a voi In principio era un bimbo
Antonio Giovannini
Dal vivo
Allarme rifiuti
Matteo Mascia
05
Sobrietà televisiva
Meglio sobri che male accompagnati
Filippo Borille
Dalla missione
Una virtù per i ricchi
Isidoro Apostoli
Virtù antica e... di moda
12
Essere Vangelo
12
Il Padre nostro per gustare un pezzo di pane...
14
Giochi ritrovati
15
Voglio sposarmi!
17
18
Con gli occhi della fede
don Marco Cagol
sr Alessandra Falco
sr Sabrina Pianta
Non fa rumore, ma...
Gianni Saonara
@
09
10
Alessandro Piergentili
06
08
Sobri nel tempo dei consumi
Dal mondo
04
Sentinelle del mattino
Mp3 e bastoni
Corry
19
La porta del Natale
Cose di casa
Pagine di storia
Camilla
20
Vorrei che ognuno di noi avesse quattro chiavi.
Le Suore Operaie a Sanpolino
Mettersi in Gioc
21
22
Raccontami di te
24
Lavorare con loro
Adueadue
Cinema e cultura
Un incontro sulla via di... Damasco
Fulgenzio Razio
sr Erika
Sobrietà, dallo spreco di pochi ai diritti per tutti 25
Un prete per te
sr Cristiana Crippa e sr Italina Parente
Io mi sono privato di tutto
26
28
Varie ed eventuali
Flash
LAVORO E VITA
Periodico trimestrale
Suore Operaie S. Casa di Nazareth
Direttore responsabile:
Don Antonio Fappani
Autorizzazione Tribunale di Brescia
n. 127 del 25/02/1957
Direzione, amministrazione e redazione:
Gabriella Cappellato
Raffaella Falco
Francesca Fiorese
Giorgio Maghella
Camilla Marcolini
Mario Sberna
Corrado Tregambe
Sede abbonamenti:
Casa Madre Suore Operaie
della Santa Casa di Nazareth
Via Beato Arcangelo Tadini, 19
25082 Botticino Sera (Bs)
tel. 030.2691138 - fax 030.2198609
e-mail [email protected]
www.suoreoperaie.it
A questo numero hanno collaborato:
Antonio Giovannini, Matteo Mascia,
Filippo Borille, Isidoro Apostoli,
Alessandro Piergentili,
don Marco Cagol,
sr Alessandra Falco,
sr Sabrina Pianta, Gianni Saonara,
Paola Rodella, Matteo Corbetta,
Fulgenzio Razio,
sr Erika Perini, Daniele Sottini,
sr Italina Parente,
sr Cristiana
Crippa, Piercarlo Fontana.
Grafica:
Maurizio Castrezzati
Realizzazione:
Cidiemme - Brescia
Stampa:
Tipografia Pagani Attilio
Lumezzane (Bs)
28
Una chiave per la porta che dà sul retro:
il Signore viene,
dove e come non lo sappiamo.
Viene in coloro
che non ardiscono accostarsi
alla grande porta maestra.
Una chiave per la porta che dà verso l’interno:
il Signore ci è più intimo del più profondo
dell’anima nostra.
Da lì egli entra nella casa della nostra vita.
Una chiave per la porta di comunicazione
che è stata murata, ricoperta con l’intonaco,
quella che dà su ciò che ci sta accanto:
in coloro che ci sono più prossimi,
che sono anche coloro che più ci sono estranei,
il Signore bussa alla nostra porta.
Una chiave per la porta principale, il portale:
su quella soglia Gesù, con Maria e Giuseppe
furono respinti.
Non esitiamo a lasciarlo decisamente
entrare nella nostra vita, nel nostro mondo!
Sapremo essere, oggi, la sua Betlemme?
(Klaus Hemmerle)
A tutti i nostri lettori
auguri così...
Le Suore Operaie
Editoriale
Mario Sberna
Dalla grotta di Betlemme
alla vetrina
di un centro commerciale.
Certo che il piccolo Gesù
ne ha fatta di strada.
Ma, viene da chiedersi, sono tutti
chilometri che si è scelto,
o siamo noi che ce lo siamo
trascinato dietro
come un bel souvenir,
lungo le rotte delle nostre
vite traballanti?
È difficile concepire Dio nell’immagine di un bimbo. Forse per questo riusciamo a vivere in festa anche questo
Avvento, nonostante i milioni di casi
di schiavitù infantile, di prostituzione
minorile, di compravendita di organi,
di botte e violenze sui bimbi.
Perché per noi l’Avvento non può essere un momento di tristezza: se fossimo tristi, non spenderemmo denaro.
E senza denaro, senza spese, che festa
sarebbe? Il tempo di Natale è tempo di
scambio di doni e messaggi di felicità
per eccellenza. Il mercato approfitta di
questa antica cultura del dono e provoca un’onda di consumismo.
Ma, all’origine di tutto questo, un fatto
determinante: nel giorno che abbiamo
dedicato al Natale, l’umanità ha ricevuto il suo dono migliore: Gesù Cristo.
Per noi che viviamo in un tempo di incertezze e di pensiero debole, la fede
non si oppone ai dubbi e nemmeno al
diritto di non credere. A maggior ragione, su argomenti come questi, nei quali la storia si mescola a leggende e miti.
Nessuno, se non Dio, sa in quale giorno
dell’anno avvenne questo straordinario
dono. Si decise, per convenzione, dopo
quattro secoli, che quel giorno sarebbe
stato il giorno del solstizio d’inverno
nell’emisfero nord.
Qualche secolo dopo si decise, ancora
per convenzione, che un bue e un asinello avrebbero riscaldato il corpicino
infreddolito di Gesù e, con la Madonna e San Giuseppe, abbiamo chiama-
Presepe o souvenir?
to questa convenzione presepe. Ma
queste, anche se poco verosimili, sono cose facili da credere; quel che mi
riesce, invece, più difficile credere, e
continua a stupirmi, non è tanto che
la verità si mescoli con la leggenda,
quanto piuttosto che i più bei simboli
di questa verità vengano letteralmente profanati.
Una grande stella cometa che simboleggia la nascita del Salvatore, il Signore della Pace e della giustizia, fa bella mostra di sé, oggi, in questa città,
all’ingresso di una fabbrica di armi.
Uno splendido presepio col Bambin
Gesù, con Sua Madre, madre dei dolori che ben conosce il soffrire, con
Suo padre adottivo, questa esemplare
e commovente figura di padre e sposo e lavoratore, questo presepio con
pastori, zoppi, storpi, poveri e umili
fa bella mostra di sé nel miglior shopping center della città e mille e mille
piccole imitazioni di questo presepio
appaiono come un marchio di fabbrica in mille e mille vetrine luccicanti e
invitanti allo spreco e all’indifferenza
verso la sofferenza altrui. Un albero di
Natale, pieno di luci multicolori, troneggia sullo slargo che porta all’acquitrino putrido e maleodorante del
campo nomadi, dove si passerà ben
altro Natale.
Il Natale non ci porta un nuovo Dio
bambino. Ci porta lo stesso Gesù che
amava giudei e israeliti, schiavi o liberi, pagani o greci. E ci chiede di fare lo
stesso, a partire dagli zingari, dagli immigrati, dai senza fissa dimora, dagli
alcolizzati, dai tossicodipendenti, dai
malati, dai carcerati, dai disperati.
Allora, anche per noi, sarà Natale.
Per continuare insieme…
Desideriamo ringraziare tutti gli abbonati che ci sostengono con il loro contributo,
in particolare quanti ci aiutano con la quota Sostenitore, che ci permette di inviare
la rivista anche a coloro che non hanno la possibilità di abbonarsi. Per chi non
avesse ancora effettuato il versamento, alleghiamo alla rivista il conto corrente
prestampato, nel quale sarà sufficiente inserire il proprio indirizzo di recapito.
Grazie di cuore per il vostro camminare con noi…
03
Scrivo a voi
Antonio Giovannini
In principio era un bimbo
Lunedì a scuola abbiamo parlato
di cielo e di terra.
Con la fantasia ho fatto il giro del
mondo. Il cielo era azzurrissimo,
la terra era un’esplosione di vita.
Mi sono affacciato alla realtà:
il cielo era sporco, l’aria puzzava.
Un pezzo di merendina mi è caduta a terra. L’ho buttata… La terra
era così sozza, contaminata, deturpata.
Martedì a scuola abbiamo parlato di sole e di luna.
Con la fantasia ero sdraiato in un
prato. Di giorno, i raggi del sole
mi scaldavano. Di notte la luna
illuminava delicatamente la vita
attorno a me.
Mi sono affacciato alla realtà:
il sole era troppo caldo, mi bruciava la pelle ed io avevo dimenticato
a casa la crema solare… E la luna…
La sua luce delicata era soffocata dalle luminarie della mia città.
Mi vergogno a dirtelo, ma l’avevo
scambiata per un lampione!
Mercoledì a scuola abbiamo parlato di piogge, di mari e di pesci.
Con la fantasia mi sono ritrovato
sotto una pioggerella. Saltavo e,
cantando, ringraziavo per sorella
acqua e mi sentivo puro, prezioso e casto.
Mi sono affacciato alla realtà:
piogge torrenziali, uragani, fiumi
in piena che correvano al mare…
E un pescatore rassegnato che, lavando le reti sul molo, mi parlava
di mari ormai vuoti di pesci.
Giovedì a scuola abbiamo parlato di alberi, di fiori, di frutti e di
sottosuolo.
Con la fantasia passeggiavo in un
giardino fiorito. Il profumo era
inebriante e passavo di albero in
albero, raccogliendo ed assaporando gustosissimi frutti.
Mi sono affacciato alla realtà:
interi boschi soffocati da overdose
di piogge acide, montagne svuotate dei minerali, foreste vive trasformate in distese inanimate, vaste pianure allagate e contaminate
da petrolio uscito da tubature fatiscenti. Sono rimasto confuso, ho
chiusi gli occhi e una lacrima è scivolata giù… Ma non era nera: forse
vale molto meno dell’oro nero.
Venerdì a scuola abbiamo parlato di animali.
Con la fantasia ho volato su ali
d’aquila e per ore ho ammirato
a bocca aperta migliaia di specie
di animali.
Mi sono affacciato alla realtà:
animali in gabbia, maltrattati,
usati, morti sulle rive di fiumi che
non hanno il colore del fiume, ansimanti sulle spiagge di mari che
non hanno il colore del mare.
Sono tornato a casa e ho liberato
l’uccellino che tenevo in gabbia.
Sabato a scuola abbiamo parlato
dell’uomo.
Con la fantasia ho stretto mani, ho
abbracciato, ho baciato, ho sorriso, ho comunicato, ho giocato,
ho amato.
Mi sono affacciato alla realtà:
soldi, soldi nelle mani, soldi nel
portafoglio, soldi nel cervello, in
banca, in borsa, nel cuore, in ogni
cassetto e in tutte le tasche dei vestiti. E chi i vestiti non li aveva era
lì, che moriva. Di fame!
Domenica, a casa, ho riposato, ho
pensato e ho pregato.
Una lacrima è scivolata giù.
Era trasparente.
Come il cuore di tutti i bambini.
Siamo così assuefatti da ciò che ci sta intorno, che non ci accorgiamo più
di niente. Abbiamo bisogno di sguardi più limpidi. Facciamoci prestare
gli occhi da un bambino: occhi di fantasia che guardano la terra e la ricreano,
occhi capaci di vedere fino a dove siamo stati capaci di arrivare.
Dio creò. l’uomo ha distrutto. Cosa faranno i bambini domani?
Matteo Mascia | Progetto Etica e Politiche Ambientali della Fondazione Lanza
Dal vivo
Allarme rifiuti
possano durare nel tempo, prevedendo di poter realizzare interventi di manutenzione e di sostituzione di singoli
componenti. È necessario attuare una
semplificazione e standardizzazione
del tipo e della composizione merceologica di un gran numero di prodotti e
oggetti, onde favorire i successivi processi di recupero e riciclo delle materie residue.
Si tratta di una vera e propria “rivoluzione culturale” per le nostre società
dei consumi: esse sono chiamate, sotto la spinta dell’emergenza ambientale,
a ripensare il loro rapporto con i beni,
che, come sappiamo, attualmente sono
destinati a trasformarsi in breve lasso
di tempo in rifiuti.
Un possibile strumento è l’introduzione di politiche volte alla sostituzione
dei beni con i servizi. Si pensi ad esempio al car sharing, dove il consumatore
non acquista il bene auto, ma un servizio che gli consente di utilizzare a seconda delle necessità uno o più mezzi. In prospettiva si può ipotizzare lo
sviluppo di servizi legati all’assistenza
domiciliare, al prelievo e alla consegna
a domicilio dei prodotti da lavare o rigenerare, alla progressiva sostituzione
di giornali e riviste con l’informazione
telematica.
Se non agiamo subito, i nostri figli abiteranno in case
fatte d’immondizia. La sobrietà ha anche qui voce in
capitolo: è necessario ripensare tutti i prodotti,
affinché diventino beni riciclabili e riutilizzabili.
Una responsabilità nostra e del sistema economico che
ci governa… Con grande dispiacere di S. Francesco.
Tra le molte problematiche ambientali che caratterizzano questo nostro periodo storico, il sussidio della CEI per
la Giornata per il creato 2008 ha posto
l’attenzione in particolare sul tema dei
rifiuti. La questione dei rifiuti è, infatti, una delle più importanti emergenze ecologiche a livello internazionale,
nazionale e locale. La questione dei rifiuti si inserisce pienamente all’interno dell’approccio alla sobrietà e, anzi, per certi aspetti, ne rappresenta un
modello esemplare, in quanto riflette,
a livello globale come a quello locale, la
necessità di un profondo ripensamento del modello di sviluppo economico
e sociale oggi prevalente.
Produciamo sempre più rifiuti
Benché da molti anni la prevenzione
sia un obiettivo fondamentale delle politiche comunitarie e nazionali, ciò che
si registra è un continuo e progressivo
aumento della quantità di rifiuti pro-
dotti. Se guardiamo all’intero ciclo di
vita dei prodotti, ogni cittadino europeo produce l’equivalente di tonnellate
di rifiuti l’anno, perché in ogni fase di
produzione di un bene o di un servizio
si generano rifiuti a volte anche molto
superiori alle materie che compongono
il bene stesso (materie prime estratte,
energia consumata, trasporti…).
Dematerializzare
la produzione e il consumo
La questione di fondo è che un’efficace
azione di prevenzione e riduzione della
produzione dei rifiuti deve intervenire
a monte, agendo sulla composizione
del prodotto e del servizio. Il processo
è quello della dematerializzazione, che
significa ridurre la quantità di materiali e di energia impiegati per soddisfare
una singola unità di consumo. Bisogna,
in altre parole, intervenire sui processi
e sui prodotti, fin dalla fase della loro
progettazione, per creare prodotti che
Promuovere nuovi stili di vita
Risulta dunque necessario sentirci tutti responsabili in quanto consumatori,
sia per l’influenza diretta che le nostre
scelte hanno sull’impatto ambientale
e sulla produzione di rifiuti, sia perché
05
Dal vivo
la scelta di acquisto o non acquisto di
un prodotto o un servizio può contribuire al suo successo sul mercato, influenzando in via indiretta le scelte
delle imprese.
È chiaro, dunque, che uno sforzo maggiore andrà rivolto alle attività di informazione, formazione e sensibilizzazione delle comunità nell’adozione di
comportamenti virtuosi, volti alla riduzione della produzione di rifiuti, ma
anche ad una maggiore predisposizione alla raccolta differenziata, al riuso e
riciclo dei beni e servizi utilizzati.
Come gestire la transizione:
il problema dello smaltimento
Oltre che con i temi e gli indirizzi prioritari che la politica è chiamata a sviluppare nel medio-lungo periodo, per poter
realizzare un efficace sistema economico e sociale in grado di minimizzare la
produzione dei rifiuti, non si può non
fare i conti con la realtà del “qui ed ora”
e cioè con l’attualissimo problema del
cosa fare dei rifiuti già prodotti. Non si
tratta di inventare niente, quanto piuttosto di dare rapida e concreta attuazione agli indirizzi politici e normativi già
previsti dall’Unione europea e recepiti
dall’ordinamento italiano. In particolare, l’Unione indica quattro ordini di
priorità: potenziare la raccolta differenziata e il riciclo, bruciare i rifiuti recuperando energia, bruciare i rifiuti tout
court e, infine, portarli in discarica.
Abitare il proprio ambiente
con affetto
Il pianeta Terra è la casa che ci è donata,
perché la abitiamo responsabilmente,
custodendone la vivibilità anche per le
prossime generazioni. È un dovere richiamato con forza da Benedetto XVI
nel Messaggio per la Giornata mondiale
per la pace 2008: “Dobbiamo avere cura dell’ambiente: esso è stato affidato
all’uomo perché lo custodisca e lo coltivi con libertà responsabile, avendo come criterio orientatore il bene di tutti”
(n. 7). È un impegno che ci rimanda a
San Francesco d’Assisi e alla lode da lui
rivolta al Creatore per “sora nostra madre terra, che tutti ci sostiene” dichiara
il documento della 3° giornata della salvaguardia del creato della CEI.
Facciamo nostro questo impegno di
abitare la terra con cura, di vivere nel
proprio ambiente, nel sentirlo vicino,
anche affettivamente, per far crescere il senso di responsabilità verso la
natura.
06
Viviamo in una realtà mediatica
e rischiamo di essere sempre più
dipendenti dalla televisione. Dobbiamo cogliere che il consumismo
utilizza i mass media per farci accumulare più cose possibili e per
farci diventare grandi consumatori e divoratori di cose.
È molto importante saper utilizzare, in maniera critica e giusta, questi strumenti di comunicazione di
massa, per non cascare nelle loro
braccia e diventarne totalmente
dipendenti, perdendo così la nostra libertà di pensare e di agire. I
mass media non ci educano a saper distinguere le cose necessarie
da quelle superflue, anzi producono in noi bisogni indotti e ci portano ad un consumismo sfrenato.
Per educarci ad usare in maniera
critica i mass media, sarebbe importante fare una dieta televisiva,
per disintossicarci da tutto quello
che ci hanno messo in testa. Dieta
significa recuperare la salute del
Sobrietà televisiva
Dieta a zone, dieta del minestrone, dieta arancio, gialla, verde blu…
Il nostro fisico ha le sue esigenze, ma non dimentichiamoci la mente e l’anima.
Entrambe hanno bisogno, come il corpo, di un nutrimento salutare per crescere.
Ecco alcuni suggerimenti per evitare che il nostro cervello si atrofizzi,
lasciandoci in balia di mezzi dei comunicazione di massa (grassa).
corpo, e allo stesso tempo, recuperare anche la salute della mente. La
dieta televisiva si può sviluppare mediante alcune fasi:
• Spegnere la televisione durante i
pasti, per saper dare priorità alle relazioni umane e familiari.
• Ridurre le ore televisive ed educarci a guardarla con occhi critici.
• Saper utilizzare bene il telecomando, scegliendo programmi che sono
educativi e utili a migliorare la qualità della vita.
• Fare digiuno televisivo per un periodo, in modo da comprendere che
non è un bene essenziale del vivere,
ma è solamente un bene di utilità,
di cui si può fare a meno.
• Guardare la realtà non più solamente mediante gli occhiali dei
mass media, ma attraverso la nostra esperienza e la rete di relazioni
interpersonali e sociali.
La carovana missionaria della pace
2008 ha proposto dieci buone ragioni per consumare la televisione in
modo critico e per spegnerla quando ostacola la vita di qualità:
1. Quante ne abbiamo?
In un nucleo familiare composto
da due genitori e tre figli, in media
ci sono quattro apparecchi televisivi…
2. Guardare, Guardarla e essere
Guardati!
In passato la televisione era qualcosa di staccato dalla realtà di tutti giorni, la si guardava poco ed in
famiglia.
I personaggi che ci tenevano compagnia erano molto diversi dalle
persone reali: c’erano super eroi con
macchine fantastiche, ai quiz sape-
vano rispondere alle domande solo dei geni. Invece oggi i super eroi
guidano macchine che potremmo
comprare anche noi, alle domande
dei quiz sappiamo rispondere anche
noi, e chi partecipa al grande fratello è come noi...
È facile immaginarsi al loro posto.
La televisione ci rispecchia, si è plasmata alla nostra immagine fino in
fondo.
3. Che cosa guardo?
Spesso ci si trova a scegliere il programma meno peggio, si fa zapping
in continuazione tra i canali, per poi
arrenderci a qualche programma
senza contenuti.
4. Perdita della Ragione…
Quando si accende la televisione, lo
stacco è immediato, la mente si narcotizza e restiamo lì per ore, finisce
per renderci passivi e creduloni: “Se
l’hanno detto in tv, allora è vero”.
5. La perfezione.
L’illusione di una vita perfetta: i personaggi di pubblicità o telefilm sono
sempre perfetti, si finisce per credere che anche noi potremmo essere
così... Basta così poco!
6. Pubblicità.
Spesso, se non sempre, orienta e
condiziona i nostri acquisti. Gli spot
celano metodi di persuasione non
sempre morali, per indurci a consumare e non si fanno scrupoli a dire
e far vedere cose che non sempre sono vere. Durante la nostra vita in media perdiamo
tre anni e mezzo a guardare la pubblicità. Un dato
sconcertante.
7. Televisione pubblica di qualità?
Manca una televisione pubblica che
trasmetta informazione vera e dove
si possa fruire di programmi di interesse culturale ed informativo, senza
aspettare la seconda serata.
8. Intrattenimento EXTRA.
Molto intrattenimento e poca informazione. Ormai anche i telegiornali
sono diventati dei rotocalchi rosa.
9. Più tempo per te e per gli altri.
Meno televisione significa più dialogo in famiglia, più tempo per gli
amici, più tempo per incontri di
gruppo, più tempo per partecipare
alla vita sociale e, soprattutto, più
tempo per stare con noi stessi.
10. Ma, fa davvero compagnia??
Da Una nuova sobrietà
per abitare la terra,
Diocesi di Padova e Fondazione Lanza
07
Dal vivo
Una bizzarra intervista
ai confini della realtà,
per incontrare
il volto della sobrietà
non scelta,
ma… vissuta!
Meglio sobri che male accompagnati
Cari lettori, ecco per voi un’intervista
esclusiva!
Alle porte del 2009, l’umanità intera
si trova davanti a tre grandi problemi:
le risorse sul pianeta sono sempre più
scarse; l’economia è in affanno, perciò
le famiglie faticano ad arrivare alla fine
del mese; l’Isola dei Famosi continua a
fare record di ascolti.
In questo quadro preoccupante viene
da chiedersi: “Cosa posso fare per migliorare la situazione?”. Esiste una parola che riassume efficacemente lo stile
di vita da adottare per fornire il proprio
contributo alla salvaguardia ecologica
ed economica del mondo: sobrietà.
Abbiamo intervistato per voi i signori
Egidio e Mariella Brombin, due persone che hanno consapevolmente scelto
di vivere senza eccessi e regolatamente. Due persone che, pur godendo di
un’ottima situazione economica, hanno scelto di non ostentare la propria
ricchezza ed occuparsi dei più poveri
e dei senza lavoro.
Il loro aspetto è molto semplice, al
contrario della lussuosa villa in cui ci
accolgono!
Signora, cos’è per lei la sobrietà?
Significa non esagerare. Non spendere
oltre le proprie possibilità: chi ha poco,
spenda poco, chi ha molto spenda comunque poco e ne dia ai più poveri, come noi, come fa il signor Robin Hood!
Ehm… spiritosa. E per lei, signore,
cos’è la sobrietà?
Uno strappo alla regola. Nel senso che,
frequentando ogni sera il Bar “Da Beppino” in piazza da noi, la sobrietà è molto
08
rara. Credo che andrò all’inferno, perché
il parroco mi ha detto che solo gli uomini retti raggiungono il Regno dei Cieli.
Provi lei con un litro di Bonarda in corpo a stare retta in piedi: impossibile. Ma
ultimamente sto migliorando!
Due coniugi divertenti. Ma mettiamo
da parte gli scherzi. Da quando avete
iniziato a “contenere” le spese superflue, scegliere solo investimenti etici e
perseguire il risparmio energetico?
Da quando mio marito ha perso il lavoro la prima volta. Era dipendente della
cantina sociale, ma era come una Ritmo
1.8 Turbo diesel: consumava troppo! Faceva 2 ore di lavoro con un litro! L’hanno
lasciato a casa…
E il risparmio energetico?
Sono rimasto a casa due anni prima di
trovare un altro lavoro: più energie risparmiate di così!
Mi scusi, signora, lei che lavoro ha svolto nella sua vita?
Collaboratrice scolastica… Bidella.
Ma allora da dove viene la vostra ricchezza? Come siete riusciti a risparmiare?
Mai risparmiato in vita mia. Non è che
prendo tanto, anzi! E mia moglie prende la pensione minima…
Ricevete soldi dai figli?
Mai fatto figli.
Ereditato denaro?
Magari! Siamo talmente poveri, che
l’ultima volta che i ladri sono venuti
a casa nostra ci hanno lasciato 50 euri di mancia!
E questa villa?!?
È dei nostri padroni, i signori Brombin!
Noi siamo la badante e il giardiniere!
Galdino e Onofria Badan, tanto piacere!
I Signori sono fuori per affari!
E voi avete anche risposto alle domande?!
Sembrava educazione, signorina…
Perché mi avete detto di aver scelto
la sobrietà? Voi due siete costretti alla sobrietà!
Eh no, l’abbiamo scelta! Quando il capo
della cantina sociale mi disse: “Galdino,
se vuoi rimanere qui e bere gratis, devi
restituirmi tutti i soldi del vino che hai
bevuto finora con gli interessi del 30%!”,
io ho detto no a quel losco individuo
usuraio! Me ne sono andato e ho scelto
di non bere più! Se lo ricordi signorina:
meglio sobri che male accompagnati!
Filippo Borille
Dalla missione
Isidoro Apostoli
missionario in etiopia
Difficile parlare di stile
di vita moderato e frugale
da uno stato centrale
dell’Africa. Difficile non
pensare che è da pazzi
preoccuparsi di essere
sobri quando non si ha
mangiare. Il punto è che
non si tratta solo del pane
quotidiano. Uno sguardo
sottosopra, ironico, ma
non troppo, per aiutare
noi, “gente di lusso”,
a rivedere e riscoprire
le nostre priorità.
Una virtù per i ricchi
Parlare di sobrietà in queste lande di
Africa subsahariana mi fa subito un
effetto particolare. Rigetto è il termine ad hoc che userei per rendere l’idea. “Sobrietà?!... Bah! Virtù per
i ricchi!”.
È un lusso la sobrietà. Un lusso di
chi avendo troppo può permettersi
di essere o fare il sobrio. Un l-u-s-so. Come per il servizio gratuito, o il
volontariato, mi viene da dire. L’ho
pensato tante volte. Noi spesso, se
non sempre, diamo del nostro tempo
e della nostra vita quello che rimane
dopo aver sistemato mezzogiorno e
salario. Chi sopravvive, invece, e ha il
problema quotidiano di riempirsi la
pancia, hai voglia che serva gratuitamente qualche nobile causa! Per un
po’ forse, ma poi immancabilmente
arriva la domanda: “A sera il piatto
chi me lo riempie?”. Non ho niente
contro i volontari, anzi. Né contro gli
impegnati in qualsiasi tipo di servizio gratuito. Sono miei amici. Cerco
di somigliargli. Sono certo migliori
di colui che, risolti i suoi problemi di
sopravvivenza, non pensa che altri ci
convivono quotidianamente. E quindi non si sente disturbato.
“Sorella sobrietà”, comunque, ditelo voi. Qui sono sobri per natura in
tanti. Più che sobri. Possono dire:
“Sorella fame”.
Ciononostante, anche da queste parti si è peccatori e, approfondendo il
discorso o analizzandone gli annessi psicologici, scopri che la povertà
ti disturba al punto da farti ubriacare. Alla lettera. Cercando di chiarire:
se tu nullatenente vivi circondato da
nullatenenti, quando hai qualcosina
la stringi talmente forte per paura di
perderla che reagisci in modo strano.
Non è il risparmio o il centellinare
che assumi come comportamento.
Questi suppongono un po’ di speranza, che ci sarà un dopo simile, che
questo simile potrà continuare, che
quel che stringi durerà ancora. Questo non è propriamente l’orizzonte
delle nostre latitudini. E allora? Allo-
ra esageri. Approfitti per ubriacarti
con quel poco che hai guadagnato;
ingrassi se appena hai la fortuna di
un po’ di sicurezza e regolarità nei
pasti; negli inviti e nelle feste a cui
sei invitato il tuo piatto lo riempi sino
all’orlo, magari lasciando poi un bel
po’ di roba alla fine. Come a dire che
ti sei saziato, ma forse anche che non
ne hai tanto bisogno. Se l’abbondanza non ti circonda, l’illusione di essa
va messa in scena. È spreco comunque. E noi, di sensibilità perbene occidentale, ci scandalizziamo. Qui la
paura scherza con la tua psicologia
e tu pensi di esorcizzarla mangiando
molto, perché hai paura di non averne più e bevendo tanto, perché hai
paura di rimanere senza. O magari
per dimenticare anticipatamente la
penuria che ritroverai sulla porta di
casa al ritorno.
Un’altra contraddizione che si scopre
è legata alla concezione del digiuno.
Chi sa digiunare potrebbe essere considerato sobrio. Da voi sicuramente.
09
Dal vivo
Ma qui non si è sobri nel digiunare.
Chissà come, la tradizione e la Chiesa (quella ortodossa) inventano i digiuni. Te li trovi a ogni piè sospinto.
Osservatissimi.
Tanto osservati, che è normale digiunare nel giorno della festa a cui il digiuno ti prepara, se questa festa cade
nel giorno della settimana dedicato
al digiuno. Un assurdo per noi occidentali, bravissimi a fare eccezioni
quando è... giusto farle. Senza contare che, sobriamente, il digiuno si
fa “solo” due volte alla settimana. E
via discorrendo.
Un’altra sobrietà che noi incorreggibili occidentali vorremmo è quella
del predicare con discrezione, senza
alzare troppo la voce. Qui, invece, il
predicare sopra i tetti è uno sport praticatissimo da musulmani e ortodossi. Di più da questi ultimi. Alle ore più
indicate per riposare, ti verrebbe da
dire. Prima dell’alba o a notte fonda.
L’inquinamento acustico è religioso,
e quindi non inquina. Come potrebbe? Forse è sobrio. Eccetto che per noi
che riteniamo sobrietà ciò che è invece timidissimo rispetto umano.
Un’altra sobrietà interessante è quella del tono di voce e della calma. Se
ti arrabbi, ti chiedono educatamente
il perché, quasi umiliandoti nel farti
capire che non ti sai controllare. Loro invece ne sono maestri. Questa è
una sobrietà esagerata per la nostra
impazienza.
Anche a cantare in chiesa non sono
tanto sobri: “Non vediamo perché se
un canto ha diciotto strofe se ne debbano cantare solo tre!”.
Ancora. Non avete mai sentito parlare
di quel club molto “in” il cui obiettivo è indossare vestiti costosissimi ed
elegantissimi? Di stile occidentale,
ovviamente. Non è in Etiopia, ma da
qualche altra parte nell’Africa centrale. Qui siamo più sobri. Abbiamo
i nostri vestiti. E, a seconda delle occasioni (funerali, feste religiose, nozze...), la massa veste elegantemente
senza cercare di distinguersi. Con
sobrietà, appunto.
Si potrebbe continuare, ma fermarsi
è segno di sobrietà. E svegliarsi, pure... per chi avesse dormito troppo tra
le righe di queste argomentazioni semiserie africane.
10
Dal mondo
Sobri nel tempo
dei consumi
Viviamo in un mondo le cui risorse
energetiche e vitali sono esauribili
e spesso saccheggiate e nel quale la
giustizia sociale ancora non risiede, quasi è clandestina anch’essa,
non riconosciuta e poco praticata
com’è. Quattro quinti dell’umanità sono esclusi dalla dignità del vivere, migliaia sono le vittime giornaliere di fame e sfruttamento e
nella stessa Italia i poveri, come
fotografa il rapporto 2008 della Caritas, rappresentano “un’emergenza sociale che riguarda 15 milioni
di persone”.
Un mondo anche contraddittorio,
in cui le stesse vie proposte per
uscire dalla povertà confliggono a
seconda delle scuole economiche
di pensiero e delle matrici culturali e politiche, in cui a fronte del
dramma globale che viviamo c’è
una responsabilità morale che ci
investe tutti, perché nessuno è singolarmente colpevole.
A guida di una Chiesa “maestra di
umanità”, Benedetto XVI si è recentemente rivolto all’Onu, cui ha
rivolto un accorato appello affinché “si applichino con coraggio le
misure necessarie per sradicare la
povertà estrema, la fame, l’ignoranza ed il flagello delle pandemie,
che colpiscono soprattutto i più
vulnerabili”.
Una via auspicata con una lettura profetica della storia, anche se
scientificamente controversa, è
quella della decrescita, intesa come capacità di consumare meno,
specie nei Paesi ricchi del Nord
del mondo, per un diverso equilibrio nella gestione delle risorse, a
vantaggio specialmente dei Paesi
più poveri.
Lo stesso Gandhi, testimone della
non violenza attiva in ogni campo
del vivere sociale, affermava del
resto che «dobbiamo vivere semplicemente, perché altri possano
semplicemente vivere».
C’è chi non si dice d’accordo, come
il prof. Arthur Brooks, docente di
Economia e politiche governative
alla Syracuse University, rappresentante della nuova destra Usa,
che intende porre al centro delle
sue riflessioni l’uomo. Egli nega
che uno stile sobrio occidentale
consentirebbe una migliore vita
all’umanità povera. A suo parere
si cade facilmente nell’errore di
Alessandro Piergentili
Giornalista, presidente
consulta per la pace, comune di brescia
membro commissione giustizia e pace,
diocesi di brescia
Di fronte alle tante
proposte per uscire
dalla povertà,
noi scegliamo temperanza
e moderazione: crediamo,
alla luce del Vangelo,
che uno stile di sobrietà
solidale debba investire
ogni aspetto della nostra
vita, perché riusciamo
ad esprimere la nostra
autentica dignità.
considerare il contesto mondiale a
“somma zero”, nel quale, se io possiedo di più, significa che qualcuno,
da qualche parte, deve possedere di
meno. Dopo aver ricordato che ogni
prodotto tecnologico attuale è oggi il
risultato di produzioni complesse interconnesse su scala planetaria, Brooks fa notare come la vendita di beni e la loro commercializzazione, nei
Paesi acquirenti, sia alla base degli
straordinari risultati di nuove economie emergenti, come quella cinese,
indiana ed in parte latino americana,
capaci di crescite reali quasi “miracolose”, che nessuna rinuncia preconcetta ai consumi avrebbe reso possibili. Auspica piuttosto sforzi adeguati
per produrre e commercializzare con
sistemi in sintonia con l’ambiente e
con i propri valori di fondo.
È molto diverso il pensiero del sociologo Serge Latouche, professore emerito di Scienze economiche all’Università di Parigi XI, tra gli avversari
più noti dell’occidentalizzazione del
pianeta e sostenitore della “decrescita conviviale”, che afferma invece
che il nostro mondo occidentale è
affetto da “tossicodipendenza da PIL
(prodotto interno lordo)”, un indice
artificioso utilizzato per misurare in
maniera impropria la ricchezza prodotta, ed è malato di un consumismo
“folle”, perché coesiste con milioni di
persone che muoiono di fame. Le risorse del mondo non sono infinite e
nessuno ha il diritto di permettersi il
futile, quando molti non hanno neppure l’indispensabile: è questione di
solidarietà e di equa distribuzione.
Anche secondo il ricercatore americano Alan Durning, fondatore
dell’osservatorio economico “Sightline Institute”, va superato il cosiddetto “mito del consumo o del declino”.
Egli ritiene, infatti, iniquo e falsato lo
stesso mercato, poiché il prezzo dei
prodotti, basso per incentivarne il
consumo, non tiene conto della finitezza delle energie consumate e non
include i costi ambientali reali causati per ottenerli. Pure Durning contesta quindi il mito del PIL, affermando
che la ricchezza ed il benessere collettivo non sono un dato quantitativo,
peraltro malamente distribuito, ma
prima di tutto qualitativo e distribuito secondo criteri di giustizia.
Ed è stato proprio partendo da un
esame critico dell’economia del benessere ed analizzando la qualità di
vita della fasce sociali più deboli, che
l’economista indiano Amartya Sen ha
vinto nel 1998 il premio Nobel, grazie
all’elaborazione dell’HDI, Human Development Index, il coefficiente di misurazione del grado di sviluppo che ha
introdotto nuovi parametri per valutare la reale ricchezza di un Paese: aspettativa di vita, alfabetizzazione degli
adulti, distribuzione del reddito.
Alla luce del Vangelo noi crediamo,
sull’esempio della vita di Cristo, nostro modello reale, che uno stile di
sobrietà, solidale, investa compiutamente ogni aspetto della nostra vita:
come utilizziamo il nostro tempo, come ci rapportiamo con gli altri, come
utilizziamo il nostro potere umano, le
risorse di cui disponiamo, le nostre
stesse capacità. Essere realmente sobri significa non esagerare, evitando
sprechi ed eccessi. Vuole anche dire
essere vigili e giustamente critici rispetto i pensieri omologanti. Vivere
con sobrietà diventa allora un modo
concreto attraverso il quale esprimiamo la consapevolezza della nostra autentica dignità che l’avvento di
Gesù nella nostra storia ci comunica
trasformandoci per sempre, con risultati per noi inimmaginabili.
11
Con gli occhi della fede
Marco Cagol
delegato diocesano per la pastorale sociale - padova
Virtù antica e… di moda
La virtù è qualcosa che non passa, è qualcosa che si radica nell’uomo,
nella sua intelligenza, nella sua volontà, una disposizione stabile del cuore.
La virtù è, soprattutto, un dono di Dio, da invocare continuamente,
da accogliere, da radicare continuamente dentro di noi, con l’intelligenza,
la volontà, il cuore. La sobrietà è una virtù.
Oggi va di moda questa parola. Sobrietà.
La invochiamo come una sorta di liberazione da ciò che sembra stare all’origine del nostro affanno, della nostra
fretta, della nostra insoddisfazione,
della nostra paura, del nostro non accontentarci mai, della nostra tristezza,
del nostro non saper più dove mettere
le cose, dell’aria inquinata, del traffico
insopportabile, della miseria che ci circonda, del mal di pancia, dei chili che
non sappiamo smaltire, della frenesia
di apparire, della televisione che urla notizie e che mette in piazza la vita
intima, della spazzatura che invade le
nostre strade, della paura che abbiamo degli altri.
Ci sembra di intuire che una vita più
sobria ed essenziale possa restituirci
qualcosa che abbiamo perso. In questo mondo contraddittorio che abbiamo costruito ci pare che forse una via
di uscita potrebbe stare nell’essere più
moderati e controllati. Una volta si sarebbe detto “più temperanti”. Sì, perché sobrietà significa temperanza. Se
sobrietà significa temperanza, allora
ci accorgiamo che la sobrietà, più che
una moda, o una via di fuga imboccata per disperazione, è in realtà una
virtù. La sapienza biblica e cristiana
ci insegna che le virtù cardinali sono
la giustizia, la temperanza, la fortezza e la prudenza. La virtù è qualcosa
che non passa, è qualcosa che si radica
nell’uomo, nella sua intelligenza, nella sua volontà, una disposizione stabile del cuore. L’intelligenza comprende
che quel modo di essere è buono, porta alla gioia e alla serenità. La volontà
lo desidera costantemente. Il cuore fa
percepire interiormente che quella è la
strada migliore, che più risponde all’essere profondo di sé, alla dignità inscritta fin nelle fibre più profonde. È nelle
possibilità dell’uomo di essere virtuoso.
Ma nell’esercizio della virtù l’uomo ha
bisogno dello Spirito, che facilità l’essere costantemente rivolti verso il bene.
La virtù è un dono di Dio, da invocare
continuamente, da accogliere, da radicare continuamente dentro di noi, con
l’intelligenza, la volontà, il cuore.
La virtù della temperanza è quella «che
modera l’attrattiva dei piaceri e rende
capaci di equilibrio nell’uso dei beni
creati. Essa assicura il dominio della
volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri
appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto
e la propria forza, assecondando i desideri del proprio cuore » (Catechismo
della Chiesa cattolica, 1809). Dunque la
sobrietà non è semplicemente un comportamento, un’idea: è una virtù cardinale, che fa da cardine per la vita buona
dell’uomo. La sobrietà è una virtù per
la bontà, la bellezza e la verità dell’uomo. Anche S. Paolo conosceva la virtù
Essere Vangelo
Correndo tra Parole di cielo, volando tra i respiri del Suo cuore,
danzando nello sguardo dell’Altissimo,
ecco nascere sogni di terra e di acqua, di fuoco e di vento.
Sogni da mangiare, sogni da camminare.
Sogni che non vedono l’ora di diventare realtà.
Questa notte ho appoggiato i piedi sulle
pagine del Vangelo e ho iniziato a correre. Come quando corri sulla spiaggia
del mare e assapori libertà. E ad un tratto non sei più tu. Sei il mare.
Se corri su quelle pagine di luce, non
sei più tu. Sei Vangelo.
Calpestai la pagina della povertà. Mi
ritrovai a Betlem. In ginocchio davan-
ti all’Altissimo con gli occhi di Bimbo.
In quella grotta non c’era nulla degno
di un Re. Sorella povertà si era posata
dolcemente su ogni cosa. Ma a Betlem
c’era tutto in quella notte santa. Io contemplavo. I piedi sporchi dei pastori in
quella grotta erano piedi di principi.
I vestiti umili di Maria e Giuseppe in
quella stalla erano mantelli d’oro. Lo
sguardo dolce del Bambino in quel-
della sobrietà: nella sua lettera a Tito
esortava a «vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo» (Tt, 2,12).
È interessante notare che la sobrietà è
intimamente connessa, in questa esortazione paolina, con la giustizia e con
la pietà. La giustizia rimanda al rapporto con gli altri; la pietà al rapporto con
Dio. Allora, dunque, in questo trittico,
la sobrietà è quella che indica il rapporto con se stessi, accanto a quello con gli
altri e a quello con Dio, dei quali è fatta
originariamente la vita umana.
Questa preziosa indicazione di Paolo ci
fa intuire che la sobrietà ha a che fare
con il rapporto che noi abbiamo con
noi stessi, con i nostri bisogni, con ciò
che sentiamo, con i nostri pensieri. Con
ciò che pensiamo di noi, e con quanto
ci amiamo. Se ci amiamo, se ci sentiamo amati da Dio, se siamo consapevoli
che la nostra vita non ha nulla da temere, che siamo custoditi dalla provvidenza di Dio, ci verrà facile avere equilibrio
nell’uso dei beni che ci sono offerti e
nel modo di vivere gli affetti, perché
non avremo bisogno di accumulare e
consumare freneticamente per paura
di rimanere vuoti, e non avremo bisogno di possedere gli altri per paura di
restare soli. Non siamo sobri quando
abbiamo paura, quando ciò che siamo
(non tanto ciò che abbiamo) sembra
non bastarci. Se ci basta ciò che siamo,
se siamo grati per ciò che siamo, non
abbiamo bisogno di nulla di più di ciò
che ci è donato.
Paolo, mettendo insieme sobrietà, giustizia e pietà, ci suggerisce anche che
esse sono intimamente legate. Non
può esserci giustizia se non c’è sobrietà,
perché qualcuno si accaparrerà ciò che
spetta agli altri, per seguire il proprio
contraddittorio desiderio. E non c’è sobrietà se non c’è giustizia, perché ci saranno molti che, vivendo nella miseria,
saranno vinti dalla paura e diverranno
voraci divoratori di beni, nel tentativo
disperato di poter sopravvivere e non
saranno sobri nei loro desideri e nelle
loro giuste rivendicazioni. Saranno arrabbiati e mossi dalla propria rabbia: la
rabbia dei poveri.
Non c’è pietà se non c’è sobrietà, perché non c’è spazio per Dio in un cuore
ingombro di cose, di passioni frenetiche, di desideri ciechi, di affetti possessivi; non c’è possibilità di cogliere
la bellezza delle cose semplici, delle
cose donate: non c’è stupore, che è
all’origine della fede in un Dio creatore che ogni giorno ci sorprende con il
suo amore. E non c’è sobrietà se non c’è
pietà, perché senza amicizia con Dio la
vita rischia sempre di cadere nella paura della solitudine e della morte, e una
vita che cade nella paura si piegherà a
cercare senza tregua sulla terra ciò che
possa arginare questa paura.
È una virtù antica la sobrietà. Ma è via
carica di futuro, di luce, di bellezza. Di
liberazione. Di pace.
la mangiatoia era il Dio con noi. Vicino vicino.
E io imparai. Povertà! Tu mi porti l’Altissimo in cuore… Tu mi porti i fratelli
in cuore… Tu mi annodi l’anima a ciò
che resta. Mentre tutto passa.
di iniziò a sgridare quei piccoli angeli.
Ma Gesù disse: “Lasciate che i bambini
vengano a me. A chi è come loro appartengono i Cieli”.
E io imparai. Preghiera di bambini!
“Gesù, prendi in braccio il mio cuore?
Ti racconto quello che ho combinato
oggi. I miei passi di luce e i miei passi
di peccato. E poi, nella culla della tua
misericordia, lascio riposare la mia vita
all’ombra del tuo sguardo. Tranquilla”.
vita dei passeri. Gesù disse: “Guardate
gli uccelli del cielo… Non seminano e
non mietono e il Padre vostro li nutre.
Ma voi valete molto di più… Quel Dio
che distende i cieli per fare da sfondo
ai voli dei passeri, non stenderà per voi
le sue braccia per fare da sfondo ai voli
delle vostre anime?”.
E io imparai. È mio Padre che custodisce nelle mani questa piccola vita. A
me chiede soltanto abbandono. Io parlo, grido, canto, piango, ma sullo sfondo… c’è il Suo abbraccio! E mi veste di
tenerezza.
Ora sogno povertà, semplicità e abbandono.
Calpestai la pagina della semplicità.
Avevo un gran desiderio di giocare e
di pregare. Vidi un gruppo di bambini.
Saltellavano felici intorno a Gesù. Uno
gli chiese: “Mi prendi in braccio?”. Un
altro gli raccontò di come aveva fatto
a salvare la vita a un uccellino caduto
dal nido. Una bambina dormiva con
la testa sulle sue ginocchia. Tranquilla. All’improvviso qualcuno dei gran-
Calpestai la pagina dell’abbandono.
Guardai il cielo. Azzurro e trasparente.
E sentii un battito d’ali. Leggero e dolcissimo. Quando apri il sipario degli occhi, il cielo blu fa sempre da sfondo alla
Alessandra Falco
Con gli occhi della fede
Il Padre nostro
per gustare un pezzo
di pane…
Il Padre nostro ha sei richieste che ci aiutano a mettere
ordine nei nostri desideri e ad educare i nostri bisogni.
Questo e molto altro nella preghiera
che ogni giorno ci salva la vita.
Girando per le vie delle nostre città siamo assaliti da luci, vetrine luccicanti,
regali inutili. Il Natale ci fa toccare con
mano quante cose non necessarie ci
circondano, cose superflue che pure ci
assorbono tempo, energie, desideri, ci
distolgono dal coltivare ciò che veramente è essenziale, ci rubano vita da
dedicare a Dio e agli altri. Nel nostro
cuore a volte c’è un guazzabuglio di
desideri. Che cosa vogliamo veramente? Qual è il desiderio che abita il profondo del mio cuore? Il Figlio di Dio,
incarnandosi, ci mostra con la sua vita
che cosa vale la pena desiderare. Ce lo
insegna anche con la sua predicazione
e in modo chiaro con la preghiera che
preghiamo ogni giorno: il Padre nostro,
una preghiera sobria, semplice, essenziale, che si contrappone allo spreco di
parole dei pagani.
Il Padre nostro ha, nella versione di
Matteo, sei richieste che ci aiutano a
mettere ordine nei nostri desideri. Le
prime tre esprimono desideri che riguardano Dio: che venga santificato il
suo nome, che si realizzi il suo Regno,
che avvenga ciò che Lui vuole.
Le altre tre richieste esprimono desideri
che riguardano l’uomo: che l’uomo abbia il pane quotidiano, che i suoi debiti
siano condonati, che l’uomo non si trovi
in una tentazione superiore alle proprie
forze. Comprendiamo subito la gerarchia dei desideri: prima viene ciò che
si riferisce a Dio, poi ciò che si riferisce
a noi. Non ci sono desideri di serie A e
desideri di serie B, sono tutti importanti
per una vita dignitosa, ma il primo posto
nel cuore di chi crede è occupato da ciò
che riguarda Dio, un po’ come nel cuore
di una madre il primo posto è tenuto dai
desideri che riguardano il figlio.
14
Ci può stupire che Gesù ci insegni a
chiedere al Padre solo tre cose che riguardano noi. Se dovessimo elencare i
nostri bisogni la lista sarebbe lunga. Il
Padre nostro, però, ne sottolinea solo
tre: il pane, il perdono, la forza di non
soccombere nella tentazione. Perché
questi tre e non altri? Evidentemente
perché sono ritenuti i bisogni davvero essenziali. Il Padre nostro ci educa
alla sobrietà dei bisogni: ci invita a
chiedere al Padre quelli veri e a lasciar
perdere gli altri perché inutili, indotti,
fuorvianti.
Il primo bisogno nel Padre nostro è il
pane: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Dicono gli esegeti che la parola
che noi traduciamo con “quotidiano”
può voler dire anche “essenziale”, il pane cioè di cui abbiamo bisogno ogni
giorno per vivere. Chiediamo al Padre
il pane sufficiente per un giorno: non di
meno, ma neanche di più, senza l’angoscia della miseria, ma anche senza
l’ansia dell’accumulo. Già nel deserto
gli ebrei dovevano raccogliere solo la
manna che bastava a quel giorno. “Ma
essi non ascoltarono Mosè e alcuni ne
presero di più per l’indomani: sorsero
vermi e si corruppe”. Il Signore, che è
Padre, pensa ai bisogni essenziali dei
suoi figli, ma i suoi figli non devono
accumulare: l’accumulo fa imputridire.
A volte accumuliamo per timore che il
pane per gli altri faccia diminuire quello per noi. Tutti abbiamo bisogno di pane e allora lottiamo per arrivare prima
degli altri, per avere di più degli altri. Il
Padre nostro ci insegna a cambiare logica, ci invita a chiedere il nostro pane,
non il mio, ma il pane per tutti, a scoprire che la bellezza delle cose non sta
nel possederle, ma nel goderle insieme,
“Pregando non
sprecate parole come i
pagani, i quali credono
di venir ascoltati a
forza di parole.
Non siate dunque
come loro perché
il Padre vostro sa
di quali cose avete
bisogno ancor prima
che gliele chiediate.
Voi dunque pregate
così:
Padre nostro che sei
nei cieli,
usandole con sobrietà, trasformando le
cose in relazioni.
Chiediamo al Padre il necessario e non
il superfluo, per poter vivere serenamente in sobrietà. Il contrario della
sobrietà è l’affanno, come spiega Gesù: “Per la vostra vita non affannatevi
per quello che mangerete o berrete;
per il vostro corpo di come vestirete…
Cercate prima il regno di Dio e la sua
giustizia, e tutte queste cose vi saranno
date in più… A ciascun giorno basta il
proprio affanno” (Mt 6,25-34). Preoccuparsi per accumulare toglie la gioia della
vita, ci rende schiavi di ciò che abbiamo
accumulato e perennemente insoddi-
Sabrina Pianta
Non fa rumore ma...
Gianni Saonara
presidente lega consumatori veneto
sia santificato
il tuo nome,
venga il tuo Regno,
sia fatta la tua volontà,
come in cielo
così in terra,
Dacci oggi il nostro
pane quotidiano,
rimetti a noi i nostri
debiti come noi
li rimettiamo ai nostri
debitori e non ci
indurre in tentazione,
ma liberaci dal male”.
Mt 6,7-13
Giochi ritrovati
Novantotto, novantanove…
cento! Chi è fuori è fuori, chi è sotto è sotto!
Nell’era dei tele-dipendenti, ecco alcune
iniziative che possono spingere bambini, ragazzi,
adulti e nonni a tornare in piazza,
per riappropriarsi della libertà di giocare
come gli pare, dove gli pare e con chi gli pare.
sfatti: più accumuliamo, più vogliamo
accumulare. Cadiamo nell’illusione che
nell’accumulare si trovi la sicurezza che
stiamo cercando, dimenticando che solo il saperci figli di un Padre che ha cura di noi ci può far vivere senza paura.
Con un antico saggio, anche noi vogliamo dire al Signore: “Due cose ti chiedo,
non negarmele prima che io muoia: allontana da me falsità e menzogna, non
darmi povertà o ricchezza, ma fammi
gustare il mio pezzo di pane, perché,
saziato, non abbia a insuperbire e dica:
chi è il Signore? Oppure, trovandomi in
povertà, non rubi e bestemmi il nome
del mio Dio” (Pr 30,7-9).
Il 17 novembre 2008, alla vigilia della Giornata mondiale per i diritti
dell’infanzia, citata anche da Avvenire del 21 novembre, l’ISTAT ci ha
donato una serie di numeri sulla vita quotidiana di bambini e ragazzi
in Italia nell’ultimo anno. Una ricerca molto utile, basata su interviste
a 5462 famiglie.
Concentriamo la nostra attenzione
solo sui… giochi. O, meglio, sugli
spazi di gioco.
Scrivono i ricercatori: “Nei giorni feriali i bambini giocano soprattutto
in casa propria, anche se, al crescere dell’età, gli spazi al di fuori delle
mura domestiche tendono ad assumere maggiore rilevanza. Al primo
posto troviamo le mura domestiche, indicate come luogo di gioco
dal 97,1% dei bambini tra i 3 e i 10
anni. Al secondo posto si colloca
la casa di altri, segnalata dal 44,8%
dei bambini.
Dopo l’abitazione, sono il cortile e i
giardini ad essere più spesso segnalati come spazi di gioco (frequentati
dal 29,7% e dal 35,6% dei bambini),
seguono l’oratorio (16,7%), i campi e i prati (13,8%) e le strade poco
trafficate (7,4%). È stato verificato
che, rispetto al 2005, è aumentata
la quota di bambini che gioca in
casa di altri, ai giardini pubblici e
in oratorio.
Al crescere dell’età, si riscontra una
diminuzione dei bambini che giocano a casa propria e un parallelo
aumento della quota di bambini
che gioca in casa di altri e in spazi
all’aperto. Mentre i giardini pubblici
rimangono un luogo di gioco per i
15
urbane o rurali - nelle quali vivono
dei bambini. La finalità è migliorare
la vita dei bambini, riconoscendo e
realizzando i loro diritti, trasformandola per costruire comunità migliori
da oggi e per il futuro.
Dentro questa stessa logica, ben venga
anche il simpatico “rischio” di ritrovare tempi e modi e giochi di altre generazioni. Giochi poveri? Meglio parlare di giochi “altri”, sobri nei materiali,
nelle regole, negli stili.
Nell’edizione 2007 di Tocatì, Festival
Internazionale dei Giochi in Strada,
nel centro storico di Verona, sono arrivate 200.000 persone, nel 2008 forse di più, per ri-giocare a barandello,
bocce quadre, brigghja, carrettini, ciclo tappo, fiolet, fionda, gioco delle
noci, lancio del maiorchino, lippa,
morra, pizzicanto, tella, tiro alla fune, trottole…
Non solo: chi organizza ha pensato
di invitare altri paesi europei (Croazia, Scozia), trovare tempi e spazi per
un centro di documentazione e progettazione, rilanciare idee “giocose”
che consentono di pensare agli spazi
urbani in modo diverso e alle relazioni tra persone in modo di “reciprocità ritrovata”.
Plastica in armadio, cortili preziosi,
elettronica utile, ma non più un totem. Passato e nostalgia? E se fosse
futuro?
Toca ti (Tocca a te).
Appunto.
[email protected]
più piccoli, sia maschi che femmine,
tra i 6 e i 10 anni i bambini giocano
di più in cortile, in campi o prati e in
strade poco trafficate. In questa fascia d’età anche la parrocchia diventa
un luogo di gioco molto frequentato,
soprattutto per i bambini residenti
nell’Italia nord occidentale.
Credo sia necessario fermarsi per riflettere sugli spazi: che idea di città ne
viene fuori? Anche questo è un aspetto
essenziale della coesione sociale nei
nostri territori.
Vivere ed abitare in luoghi “inospitali” per i giochi dei bambini non è una
casualità affidata al mercato immobiliare; si tratta, semplicemente, di una
scelta “involontaria” e “subita”, decisa
da chi pensa una società in cui bambini e ragazzi passeranno il tempo davanti a video accesi.
Ieri la Tv, oggi YouTube o Facebook;
non è lo stesso, certo, ma il virtuale
non sempre è virtuoso e gli amici in
rete sono spesso smagliature autentiche… Altro che “second life”!
Per nostra buona sorte (ma non siamo solo noi al mondo, basta esserne
consapevoli…), esistono la sussidiarietà creativa di oratori e parrocchie,
oltre ad iniziative come quelle di “Camina”, ovvero enti locali che accolgono l’idea di essere cittadinanze amiche dei bambini. Infatti, il concetto
di “Città amica delle bambine e dei
bambini” è applicabile al governo di
tutte le comunità - grandi o piccole,
Anche tu,
giovane
sentinella
del mattino,
se vuoi,
puoi scrivere
all’AmicoTuo.
Aspettiamo
la tua posta!
Voglio sposarmi!
Se dici di non aver trovato nessuno sulla tua strada,
prova magari a cambiarla,
anche se questo richiede sforzo!
A volte le nostre sono autostrade, dritte, comode,
veloci, a senso unico, efficienti, ma che in realtà si
intersecano raramente con altre strade…
Ciao Amico!
Sono una giovane come tante.
Ho finito di frequentare l’università
e, a settembre, ho iniziato a lavorare.
Il mondo del lavoro mi piace, anche
se non è facile muovere i primi passi
in un ambiente così diverso da
quello scolastico!
Ho un bel gruppo di amici con cui
mi diverto, mi confronto,
talvolta molto animatamente,
e con cui condivido la passione
per l’oratorio e l’educazione
dei più piccoli.
Sono una ragazza serena e non
ti scrivo per un problema in
particolare, ma semplicemente
per condividere con te un pensiero,
o piuttosto una preoccupazione, che
credo mi accomuni
con molti giovani.
Fin da piccola, come quasi tutte
le bambine, sognavo di sposarmi,
Cara Stefania,
come dici tu, è una situazione
comune a tante persone...
Tutti, in realtà, cerchiamo una
persona con cui condividere l’Amore
in maniera “unica”.
E dico tutti, perché sono sempre più
convinto che questa “unicità” sia
cercata anche da chi dice di non
cercarla. È solo che l’unicità è una
conquista e non una rinuncia.
Non credo tu sia troppo esigente,
anche se a volte ci fissiamo sul fatto
che le persone che troveranno, per
così dire, il nostro “favore” dovranno
rispondere a certi canoni, a certi
parametri.
A volte, se una persona è fuori dalla
nostra “idea”, non la prendiamo
neppure in considerazione, quando
invece potremmo scoprire un’altra
“idea”, un’idea da fondere con la
nostra, anche se apparentemente
diversa.
Non cominciare a chiederti solo se
mai lo troverai, ma prova a cambiare
i parametri di valutazione sugli
altri. I parametri spesso nascondono
le nostre paure: dentro di noi
siamo consapevoli che tutto ciò che
rifuggiamo negli altri non è altro che
quella parte di noi che vorremmo
amare e far amare. Dai spazio ad
altro... Dai spazio ad un altro... In
fondo, se si chiama “altro”...
Attenzione, non ti sto dicendo di
rinunciare alla tua idea d’Amore, di
famiglia ecc., solo magari prova ad
“incontrare” ciò che a prima vista ti
sembra “altro”.
diventare mamma ed essere,
come nelle favole,
sempre felice e contenta.
Crescendo mi sono resa conto che
non è così facile, e con il passare
del tempo mi domando se forse sono
io ad essere troppo esigente.
Sognare da sola è bello,
ma vorrei condividere questo sogno
con qualcuno e, fino ad ora,
non ho trovato nessuno sulla mia
strada con cui poterlo fare.
Comincio a chiedermi
se mai lo troverò.
Mi sembra un desiderio così
naturale, e non credo di essere
l’unica persona al mondo a coltivare
sogni come questo.
Forse ho un’idea troppo alta
dell’amore, della famiglia?
Forse oggi l’amore e la famiglia
in cui credo fanno troppa paura?
Stefania
Se dici di non aver trovato nessuno
sulla tua strada, prova magari a
cambiarla, anche se questo richiede
sforzo! A volte le nostre sono
autostrade, dritte, comode, veloci,
a senso unico, efficienti, ma che in
realtà si intersecano raramente con
altre strade (e sempre e comunque
solo con altre autostrade)…
È vero, magari su una statale o su
una strada di montagna sei più
soggetta al rischio di perderti e a
volte di non sapere più dove sei, ma
che paesaggi, che avventura e che
incontri!
Basta avere in mano la cartina (hai
già capito chi è la Guida). La vita
andrà come andrà, ma, per lo meno,
avrai fatto un bel Viaggio!
UnAmicoTuo
Sentinelle del mattino
Corry
Mp3 e bastoni
Il bus procede barcollando. All’interno una cinquantina di persone
sobbalzano come pezzi di domino
in una scatola. L’atmosfera si fa calda, al giovane manca l’aria; si volta
verso Franco, un suo compagno di
classe, e domanda: «Li hai portati?». «Certo, amico!» risponde l’altro, cominciando a trafficare con il
suo zaino, per estrarne una scatola
grigia ed un’altra bianca più piccola.
«Perfetto! Sei il mio salvatore» commenta Andrea, sorridendo a sua
volta. «Lo so!» risponde Franco.
I due amici accendono l’mp3, si
appoggiano la PSP sulle gambe ed
attendono che si accenda. Eccola
che arriva, pensa, cupo, Andrea.
Ansia. Non saprebbe come meglio definire quell’emozione che
è solita prenderlo quando si trova
accanto a Franco, e lui comincia
ad estrarre oggetti ipertecnologici
dalle tasche. Il giovane sente come un’onda di qualcosa che sale a
stringergli la gola; il fatto è che, invece di sottrarsi, ci si immerge. Con
la musica che gli rimbomba nelle
orecchie e gli occhi nel videogioco, il giovane dimentica qualsiasi
ripensamento.
All’improvviso una fitta di dolore
gli percorre la gamba. Andrea salta sul posto, stordito, e cerca di focalizzare l’attenzione sul mondo
18
Andrea, con la musica
che gli rimbomba
nelle orecchie e gli occhi
persi nel videogioco,
perde ogni contatto
con la realtà…
reale: un vecchio arrabbiato lo sta
colpendo con il bastone, mentre
una giovane donna incinta cerca di
reggersi in piedi. Sconvolto, il giovane si strappa gli auricolari dalle
orecchie, chiude la PSP e si dissolve nella calca trascinandosi dietro
Franco, tra il disappunto dell’amico, le invettive dell’anziano signore ed i mormorii di ringraziamento
della giovane donna.
Raggiunto un angolo dell’autobus,
Andrea si ferma. Il giovane si sente osservato da tutti i passeggeri e,
rosso come un pomodoro, si trova a desiderare di sprofondare nel
nero pavimento di linoleum. La
sua testa lo sta già rimproverando:
stupido, stupido, stupido! Franco,
sdegnato, commenta: «Bah, che
modi incivili!». Andrea fissa furibondo l’amico ed esplode: «Cosa?!
Noi abbiamo appena fatto la figura
degli incivili e tu vuoi anche avere
ragione?!».
«Ma, Andrea, stavamo solo facendo una partita, bastava che…».
«Zitto!» sibila Andrea, «Non capisci? Quel signore deve averci chiesto di lasciare il posto alla ragazza
una marea di volte! Può anche avere cercato di farsi notare in mille
modi, ma noi non l’abbiamo visto
per la nostra stupida partita!».
«Bah, succede! Insomma non è che
uno non deve più ascoltare la musica o giocare alla PSP per guardarsi in giro, no?» ribatte Franco, deciso. «Però potevamo accontentarci
di fare una cosa o l’altra! Eravamo
talmente presi, che abbiamo totalmente ignorato il mondo esterno.
Franco, tu mi sei simpatico, ma ora
ho capito cos’è l’ondata che mi assale quando ostenti la tua ricchezza: è disagio! Stai perdendo te stesso e il contatto con il mondo reale!
Non ho voglia di essere come te:
vado a scusarmi!».
L’autobus frena lentamente. Andrea raggiunge il posto lasciato
poco prima, ma lo trova vuoto. Si
guarda in giro, confuso. Oltre il finestrino vede una mano pallida
che lo saluta.
Gio, una mano posata sulla spalla
della ragazza incinta, si volta a fargli l’occhiolino, quindi l’autobus riparte e le due donne scompaiono
dalla sua vista.
Fulgenzio Razio
Lavorare con loro
Un incontro sulla via di... Damasco
In sette risposte a sette domande, Manuel,giovane lavoratore
di Roncadelle (Brescia), ci racconta la sua vita, che definisce semplice,
ma ricca di potenzialità. Scopriamo quali attese e problemi gli fanno compagnia…
Un vecchio e famoso giornalista
sosteneva che un’intervista fosse
un articolo rubato.
In effetti intervistare Manuel è un
po’ così.
Perché ascoltarlo mentre risponde
alle domande, osservarlo mentre
sorride e manifesta il suo imbarazzo iniziale, è un preziosa occasione
per fermarsi un attimo a riflettere: chi sono, in cosa sperano, cosa
pensano i giovani lavoratori di oggi, gli adulti di domani?
Abbiamo rubato un po’ di tempo ad un giovane lavoratore per
comprendere, ancora una volta,
chi ogni giorno si sveglia per andare al lavoro. Problemi e attese
si incrociano nei luoghi dove queste persone prestano la loro opera. Ascoltiamo, allora, quali attese
e quali problemi fanno compagnia
ad alcuni giovani.
Incontriamo Manuel, lavoratore a
tempo determinato della società
Brescia Trasporti. Ha 27 anni e abita a Roncadelle con la madre. Dopo
la terza media si iscrive all’Istituto
per geometri di Brescia, che lascia
durante il primo anno.
Come tanti suoi coetanei, una volta abbandonata la scuola, trova lavoro come apprendista in un’officina meccanica per la riparazione
di camion. Gli anni passano velocemente: gli amici, la prima paga,
il motorino, la macchina, il servizio militare prestato nel corpo degli alpini…
E poi incontra delle persone e decide di impegnarsi in oratorio dove, anche adesso, è uno dei tanti
protagonisti. Ha raccolto volentieri, seppur timoroso, la proposta
di raccontare la sua esperienza,
regalandoci uno sguardo concreto sull’esperienza di un giovane
lavoratore.
Cosa ti ricordi dei primi giorni di
lavoro?
Mi ricordo la novità e l’entusiasmo
di iniziare una nuova avventura.
Ricordo anche la vergogna nell’affrontare i primi lavori o il dialogo
con le persone più adulte e lo spaesamento nel trovarmi in un mondo
sconosciuto.
Mi ricordo, però, anche l’atteggiamento di un lavoratore anziano
che, nonostante il suo modo burbero di fare, mi proteggeva e mi trasmetteva le conoscenze del lavoro, i
trucchi del mestiere.
Cosa ti ha spinto, recentemente, a
cambiare lavoro?
Mi ha spinto il desiderio di cambiare in meglio.
Ha pesato anche il fatto che non andavo più d’accordo con il mio datore di lavoro che, secondo me, non
apprezzava più il mio impegno e la
mia professionalità. Inoltre il nuovo lavoro mi offre anche un miglioramento economico e la possibilità
di avanzare dal punto di vista della carriera.
Ti è mai capitato di lavorare con
lavoratori stranieri e, se sì, come
è andata?
Sì. Ho avuto due colleghi, uno di
origine cingalese e uno ucraino.
Con l’ucraino, sarà stato per il suo
Cose di casa
temperamento un po’ freddo o sarà
stata la mia diffidenza iniziale, ma
alla fine non siamo andati molto
d’accordo.
Mentre invece con il lavoratore cingalese, con cui inizialmente pensavo di
avere maggiore difficoltà di rapporto, in realtà ho avuto un buon rapporto di lavoro e anche di amicizia;
una cosa che di lui mi ha colpito, e
di cui sono rimasto stupito, era il suo
buon animo.
Vuoi raccontarci come è stata per te
la riscoperta della fede con i primi
impegni in oratorio?
I primi impegni in oratorio mi sono
stati affidati dal curato che, nonostante il mio passato un po’ travagliato, si è fidato di me ed io ho risposto
con impegno. Questo mi ha dato modo di capire che Dio non è racchiuso solo nelle mura della chiesa, ma è
in ogni sorriso e lacrima di ogni ragazzo che ho accompagnato in questi anni.
Come ti immagini tra qualche anno?
Immagino più maturo, più posato e
con un buon bagaglio di esperienza
da poter tramandare ai più giovani,
sia nella vita privata che nel lavoro,
come altri hanno fatto con me.
Cosa significa sperare in un mondo
migliore?
Immagino un mondo migliore che sia
più sicuro, con meno delinquenza e
meno guerre. Per migliorare, invece,
il mondo nel piccolo - il che è alla nostra portata - si potrebbe incominciare, cosa molto difficile, ad ascoltarsi
reciprocamente e non parlare solo di
belle cose, ma tirarsi su le maniche,
nel vero senso della parola, e darsi da
fare nel concreto, evitando di lamentarsi sempre.
C’è una domanda che ti aspettavi e
che non ti ho fatto?
No, nessun’altra domanda perché con
queste hai già scavato nel mio profondo e mi hai messo un po’ in imbarazzo, perché mi ritengo un persona semplice. Comunque sono sicuro di avere
molte potenzialità e sono convinto che
volere è potere.
20
Pagine di storia
Racconto di una scoperta sorprendente.
Una giovane incontra la bellezza della storia.
E chi l’ha detto che i ragazzi di oggi
non hanno più voglia di imparare?
Forse dipende dal libro…
“Allora vai dalle suore? Ma sono
tutte vecchie!”.
Quante volte, da quando sono entrata in convento, mi è stato chiesto se per caso non fossi impazzita. L’idea che c’è in giro delle suore
è piuttosto deprimente.
La parola stessa “suora” fa emergere nella mente delle persone
l’immagine di una figura nera,
cattiva, bisbetica e che puzza di
vecchio.
Ok, lo ammetto. Anche nella mia
mente, fino qualche anno fa, que-
sta parola non evocava pensieri
particolarmente positivi. Questi
ultimi mesi mi hanno aiutato a
cambiare la mia prospettiva. Una
svolta decisiva è avvenuta durante due giorni molto speciali: la
presentazione degli atti capitolari nella Casa Madre delle Suore
Operaie, a Botticino sera.
Ero stata altre volte in Casa Madre, conoscevo quei volti rugosi, sereni, a volte stanchi, felici…
Ma condividere con questi volti e
questi occhi un minuscolo pezzo
Cose di casa
di strada mi ha aiutato ad andare oltre le rughe, a scorgere la vita e l’amore che vi palpitano dentro.
La Casa Madre è l’origine, la culla
delle Suore Operaie, il luogo che ha
accolto le prime sognanti ragazze,
rapite dal nuovo ideale di don Arcangelo, profeta del secolo scorso.
Oggi questa casa è la comunità più
numerosa della famiglia delle Suore
Operaie e ospita un guazzabuglio di
suore tutte diverse: le anziane, le malate, le infermiere, le suore impegnate
in parrocchia.
Non è un ospizio, non è un luogo dove attendere la morte. Qui la vita viene vissuta in ogni sua sfaccettatura;
non si tratta semplicemente di far
passare il tempo, quanto piuttosto di
amarlo e gustarlo fino in fondo.
Quasi tutte le sorelle sono a servizio:
anche le più acciaccate, le più stanche, quelle che hanno lavorato tutta la vita e avrebbero tutto il diritto
di sedersi e godersela, si mettono ai
piedi le une delle altre. Tutte, dalle
sorelle infermiere, alla addette alla
cucina, a quelle che ogni giorno trascorrono molte ore e molti rosari in
portineria.
Ogni volta che incontro gli occhi di
queste sorelle maggiori, mi viene
in mente una sola parola: esempio.
Ovunque mi porterà questa vita, sarò mai capace di amare così? Di servire così?
Opinione diffusa è che la vecchiaia e
la malattia tolgano la voglia di vivere
e di divertirsi. Le mie sorelle maggiori, invece, sanno servire bene quanto
sanno fare festa.
C’è chi ha più di novant’anni, ma
davanti a una cantata o una scenetta non si tirerebbe mai indietro; è
stato commovente sentire i canti e
i racconti della giovinezza delle più
anziane.
È stato come aprire un libro. La vita
delle mie sorelle maggiori ha tessuto
la storia che sto vivendo io ora. Sono
qui anche grazie a loro, al loro lavoro, alla loro gioia, che non passa mai
di moda.
Sentire e vedere il loro entusiasmo,
così vivo e contagioso, ha acceso anche in me il desiderio di scrivere qui
il mio pezzo di storia.
Le Suore Operaie
a Sanpolino
A Sanpolino, nuovo quartiere di Brescia,
sta nascendo una Chiesa missionaria, che non
attende sul sagrato che le persone arrivino,
ma che va a trovarle e a visitarle, una Chiesa
dove la Parola di Dio è proclamata nella Messa,
ma anche ascoltata e condivisa nelle case.
Sichem, la nuova comunità delle suore operaie,
desidera essere lievito di comunione
di questa nuova Chiesa.
Il desiderio di vivere a stretto contatto con la gente, in mezzo a loro, come voleva il beato Tadini, e
il bisogno della Diocesi di Brescia
di mettere nel cuore di un quartiere appena sorto una presenza
religiosa, si sono incontrati per
volontà di Dio e il 7 giugno 2008,
aiutate da alcuni nostri papà e da
alcuni giovani del quartiere, abbiamo aperto la nuova casa della
comunità Sichem.
Chi siamo? Siamo Suore Operaie
che hanno nel cuore il desiderio di
condividere la vita e il lavoro con
le persone che il Signore ci pone
accanto.
La comunità ha un numero variabile di sorelle, che può arrivare a
otto, il numero dei letti disponi-
bili in casa… Attualmente siamo
in sette.
Sichem è una comunità di juniorato, ossia la casa delle suore con
i voti temporanei. Qui le sorelle giovani sperimentano l’essere
Suore Operaie, qui le sorelle vicine ai voti perpetui trascorrono
alcuni mesi per prepararsi al sì
definitivo.
Dove siamo? Viviamo in un appartamento che la Diocesi di Brescia ci ha messo a disposizione, in
via Ugo Aldrighi 25. È uno dei 900
appartamenti che costituiscono il
nostro nuovo quartiere di Sanpolino, in gran parte già abitati, per
lo più da famiglie o coppie giovani, anche se non mancano gli anziani. Camminando per strada, si
Camilla
21
Mettersi
in gioc
Sr Erika e sr Cristiana al Campo della Gioc
incontrano molte mamma e papà
col passeggino e molti bambini
che girano per le vie con la loro
bicicletta.
Che cosa facciamo? Alcune di noi
lavorano con un lavoro dipendente, altre studiano, tutte desideriamo essere presenza dell’amore
di Dio qui, a Sanpolino. Il nostro
impegno principale sul territorio
è conoscere le famiglie per creare
una rete di amicizia, di solidarietà,
perché il nostro quartiere non sia
un agglomerato di case, ma una
comunità viva di persone.
Siamo inserite in una realtà di
Chiesa particolare. Nel nuovo
quartiere non sorgerà una parrocchia, ma le tre parrocchie vicine lavorano insieme in una Diaconia.
A Sanpolino non vorrebbe esserci una Chiesa di strutture, ma una
Chiesa di persone, una Chiesa
missionaria che non attende sul
sagrato che le persone arrivino,
ma che va a trovarle, a visitarle,
una Chiesa dove la Parola di Dio
è proclamata nella Messa, ma
anche ascoltata e condivisa nelle
case. Noi facciamo parte di questa nuova Chiesa missionaria e di
questa nuova Unità Pastorale e
vorremmo essere in questa realtà
lievito di comunione.
Perché Sichem? Il nome richiama il pozzo della Samaritana, una
donna che convive dopo aver avuto sette mariti, una donna che al
22
pozzo incontra Gesù e si lascia affascinare da Lui, scopre in Lui la
sorgente dell’acqua viva che dà
senso alla vita. La nostra comunità, Sichem, vuole essere il luogo dove noi e la gente del nostro
quartiere possiamo incontrare Gesù e dissetarci all’acqua viva.
E in più! Accanto a noi vive fratel
Giorgio, che fa parte della nostra
comunità arricchendola con la
sua fede e la sua sensibilità maschile. Con lui ci occupiamo dei
giovani lavoratori.
Il volto della Provvidenza. Nel
bisogno di sistemare casa sperimentiamo la presenza efficace e
puntuale della Provvidenza, che
ha il volto della gente che ci vuole
bene o che ci conosce appena. Se
possiamo dire oggi che la nostra
casa è una casa accogliente, è perché un amico è venuto a sistemarci la dispensa, un altro il giardino,
altri hanno appeso i lampadari,
un’amica ha portato i fiori… C’è
chi un giorno ci dona le brioches,
chi la pizza, chi un vasetto di conserva, chi un pollo, chi i frutti del
proprio orto. Con stupore ringraziamo il Signore per tanti amici e
a Lui li affidiamo perché sappia
ricompensare la loro generosità
e perché possano sempre trovare
nella nostra comunità una casa
accogliente dove si può fare esperienza del Signore.
Le sorelle della Comunità Sichem
Giovani e lavoro.
Un’accoppiata
perdente
in questo periodo.
Eppure c’è chi
ancora scommette
su questo
binomio
indivisibile.
C’è chi ha ancora
la voglia
e il coraggio
di alzare la testa
dalla massa
per volare alto,
per sognare,
rimboccandosi
le maniche.
Utopia, o forse profezia?
Cose di casa
Prendi un sogno da realizzare, impastalo con la voglia di vivere volando
alto, aggiungi i passi di giovani uomini e giovani donne di ieri che ci
hanno creduto, mescola con i cuori di ragazze e di ragazzi di oggi che
proseguono il cammino. Insaporisci
poi con il desiderio di qualcosa di
grande da costruire insieme, condisci
con occhi aperti sul mondo giovane
che bussa alle porte delle fabbriche e
degli uffici. Completa con la speranza in un presente e in un futuro migliori, illuminati dalla presenza di un
Dio sempre all’opera e inforna tutto
tra le montagne della Val di Susa, in
Piemonte, all’ombra dell’imponente
forte di Exilles… Il risultato è il campo
nazionale della Gioc (Gioventù Operaia Cristiana), tenutosi in provincia
di Torino lo scorso agosto.
È passato un po’ di tempo, ma il sapore di quei cinque giorni è ancora vivo
nel mio cuore e in quello di sr Cristiana. Insieme abbiamo avuto l’occasione e la gioia di condividere momenti
di riflessione, di preghiera, di semplice fraternità con tanti giovani appartenenti a questo movimento, che
dagli anni ’70 è presente nel Bel Paese, ma che vanta un cammino iniziato negli anni venti in Belgio ad opera
del Cardinale Joseph Cardijn.
L’associazione, oggi diffusa in oltre 60
paesi del mondo, ha lo scopo di proporre percorsi educativi e formativi,
per imparare a comprendere la realtà a partire dalla propria vita, per annunciare e presentare Gesù ai giovani
lavoratori e per fare esperienze di impegno sul lavoro, nella società e nella
Chiesa. Attraverso il metodo della Revisione di Vita, sperimentato in gruppo, la Gioc aiuta a fare un’analisi della propria vita in un confronto aperto
con gli altri, per arrivare a proporre
un cambiamento di sé e della realtà,
alla luce della Parola di Dio.
Il movimento è completamente formato da giovani, che ne ricoprono
tutti i ruoli di responsabilità. A Exilles
sr Cristiana ed io ne abbiamo incontrati tanti di questi giovani. Abbiamo
attraversato le storie di vita di ragazzi
e ragazze che con coraggio e semplicità hanno preso in mano la propria
esistenza per viverla fino in fondo,
in maniera sensata; per ridarle il gusto della speranza cristiana, che nasce dall’incontro con un Dio che si fa
compagno di viaggio e non disdegna
di sporcarsi le mani.
Storie di vita di “sentinelle del mattino”, come Demetrio, di Reggio Calabria, che non scappa dalla propria terra a corto di lavoro, ma, insieme ad un
gruppo di amici, crea una cooperativa
che accompagna i giovani in percorsi
educativi volti alla formazione delle
coscienze, alla legalità e all’amore per
il proprio territorio. O Carla, 22 anni,
della provincia di Torino, che, finita la
scuola, si butta nel mondo del lavoro
con paura, ma con tanta voglia di crescere. Per questo, non resta muta davanti alle ingiustizie e ai diritti negati,
ma con pazienza e a denti stretti ottiene per sé e per i suoi giovani colleghi
un buon contratto di lavoro.
Storie coraggiose, nascoste dietro
ad uno sguardo, raccontate con un
sorriso, animate dalla passione per
il lavoro e per i giovani, che in esso
vedono un trampolino di lancio per
la propria realizzazione. Sia esso un
lavoro specializzato oppure molto
semplice. Sì, perché dentro i giovani
“invisibili” che ci tagliano la strada
ogni giorno, si nascondono tanti sogni che fanno volare alto.
Sarà per questo che noi Suore Operaie da sempre abbiamo feeling con la
Gioc. Ci accomuna la certezza che il
lavoro è scuola di umanità, strada che
conduce direttamente tra le braccia
di Dio, perché l’uomo e la donna che
lavorano “valgono più di tutto l’oro
del mondo” (curiosa coincidenza:
sia Tadini che Cardijn hanno usato
queste stesse parole!). L’importante è
aver voglia di mettersi in… Gioco!
Sr Erika
Adueadue
Intervista doppia a due
ragazzini che non si sono mai
incontrati e probabilmente
non si incontreranno mai.
I sogni, le speranze,
la vita di ogni giorno…
Viene da chiedersi se davvero
non c’è niente che possiamo
o vogliamo fare.
Raccontami di te
Come ti chiami?
Andrea Castelli
Bosko Oto
Quanti anni hai?
Dodici
Undici
Dove abiti?
A Brescia, in Italia
A Pajule, un paese dell’Uganda
Ti piace vivere nella tua città?
Sì, ci sono tanti negozi.
Qui c’è la guerra.
Viaggi spesso?
Un po’. Quest’estate con i
miei genitori siamo stati a Parigi
e un mese in Sardegna.
Quando avevo otto anni sono stato
obbligato a combattere in Sudan.
Da poco l’UNICEF mi ha riportato a casa.
Sei cristiano?
Ehm, sì. La domenica vado a messa.
Sì, appartengo al popolo Acioli,
una popolazione di fede cristiana
di circa 350 mila persone.
Vuoi bene a Gesù?
Quasi sempre. A volte mi arrabbio se
non mi aiuta quando glielo chiedo.
Sì.
È normale. A due piani con il giardino.
La mia stanza è al secondo piano.
È una capanna di fango con il tetto
di paglia; c’è una stanza sola dove
dormiamo noi e a volte gli animali più
piccoli, perché c’è il rischio
che ce li rubino.
Sono figlio unico.
Ho sei fratelli e tre sorelle e l’anno
scorso la mia famiglia ha adottato
un bambino che è rimasto orfano
dopo la guerra.
Ti piace andare a scuola?
No, non mi piace leggere.
Non vado più a scuola perché sono
troppo grande. Io lavoro nei campi.
Da casa mia vedo sempre il posto dove
i piccoli vanno a scuola.
Il maestro non ha nemmeno
un libro o dei fogli per insegnare.
Cosa ti piace fare?
Guardare la televisione, giocare a calcio
e alla Playstation.
Chiacchierare all’ombra
con gli amici e giocare a calcio.
Qual è il tuo gioco preferito?
World of Warcraft, è un videogioco.
Il calcio. Di solito con tutti i ragazzi
del villaggio organizziamo dei tornei.
Qual è il tuo cartone animato
preferito?
Dragonball.
Cos’è un cartone animato?
Cose desideri di più al mondo?
La nuova Playstation 3
Desidero che il mio paese possa vivere
finalmente in pace.
Cosa sogni per il futuro?
Diventare un calciatore professionista
o un attore famoso.
Non vedo l’ora di crescere,
così non potranno più obbligarmi
ad andare a combattere
e potrò crearmi una famiglia.
Vuoi dire qualcosa all’altro?
Se vuoi, ti presto Playstation.
Vuoi venire a trovarmi?
Com’è la tua casa?
Hai fratelli o sorelle?
Cinema e cultura
Sobrietà,
dallo spreco di pochi
ai diritti per tutti
Intervista a Francesco Gesualdi,
a proposito del suo libro,
che tratta delle prospettive concrete
su cui lavorare per pensare diversamente
e cambiare i nostri stili di vita.
Qual è stato lo spunto di partenza
di questo libro?
Lo spunto riguarda due ragioni, di
carattere sociale e ambientale. Se
vogliamo iniziare a fare un serio
discorso di sollevamento dei popoli del Sud del mondo, bisogna
inevitabilmente fare i conti con la
distribuzione delle risorse e il rispetto dell’ambiente. È fondamentale interrogarci sul nostro modello di sviluppo, per organizzare in
modo migliore la nostra economia
e la nostra società occidentale, in
un’ottica di sobrietà, intesa come
minore utilizzo di risorse e minore
produzione di rifiuti.
Parliamo del lavoro, che oggi viene visto dalle imprese anzitutto
come un costo.
Nella logica capitalista il lavoro è
sganciato dalla persona umana.
La domanda che ci dobbiamo fare
è: “Lavoro per chi e per che cosa?”.
Il lavoro è fatica, ma è anche crea-
tività e realizzazione. Per costruire
una società dal volto umano dobbiamo ricreare le condizioni affinché il lavoro ritorni ad offrire sicurezze, ad essere un lavoro di qualità
per la realizzazione della persona
che lo compie.
Quindi la politica può agire come
freno contro questa deriva capitalistica se noi, come società civile,
riusciamo a farci sentire presso i
nostri rappresentanti politici.
La politica deve assumere un predominio sull’economia. Ma oggi
sta succedendo l’esatto contrario;
c’è una sudditanza paurosa da parte del mondo politico verso gli interessi economici. In Italia assistiamo a una coincidenza tra interessi politici ed economici, al punto
che è perfino ovvio che la politica
si diriga nella direzione opposta. Al
contrario, essa deve riacquistare la
chiarezza del suo ruolo tornando
ad essere quel luogo dove si scrivono le regole per dare un volto umano alla società e all’economia.
Sviluppo e progresso. Dalle pagine del suo libro emerge una limitata fiducia nella tecnologia e
nella scienza.
Oggi si farnetica rispetto al creare il
sole sulla terra come fonte d’energia, ma allo stato attuale è solamente un vaneggiamento; stiamo
superando l’era dei combustibili
fossili, però non abbiamo ancora
25
Un prete per te
una soluzione futura in tasca. A conti
fatti, questo sistema sta creando tutte le premesse per scavare la propria
fossa, perché senza energia esso non
può esistere.
Purtroppo oggi viviamo in una società terribilmente irresponsabile. In
questa sbornia dell’essere i dominatori del mondo, non ci preoccupiamo
assolutamente di ciò che succederà nel lungo periodo, ma puntiamo
soltanto a fare le scorpacciate del
momento, senza nessuna prospettiva storica.
Siamo ormai giunti ad un punto di
non ritorno per quanto riguarda il
surriscaldamento terrestre, con conseguenze catastrofiche per il clima.
Non è in gioco il futuro del pianeta
terra, che continuerà a girare attorno
al sole generando nuove forme di vita adattabili alle nuove condizioni. Il
problema è il genere umano che probabilmente non possiede la capacità
di adattarsi velocemente ai cambiamenti climatici mondiali.
Cosa pensa della diffusione e dell’accettazione delle idee di cui parla? Potrebbero essere inserite in altre forme
di comunicazione?
Questa è la grande sfida che abbiamo
di fronte a noi: riuscire a capire che tipo di prospettiva ci vogliamo costruire. È questo lo sforzo più grande che
faccio nel libro: capire quali potrebbero essere dei meccanismi nuovi di
funzionamento di una società che fa
i conti con il senso del limite, invece
che con la crescita infinita. Per questo
è importante che certi temi inizino a
circolare proprio creando il consenso
tra la gente. Gli strumenti sono tanti
e vanno usati tutti, ma soprattutto è
importante iniziare a sperimentare
nei fatti, perché la sperimentazione
ha anche una connotazione di comunicazione che diventa testimonianza visibile. La gente vede e inizia
a interrogarsi su questo sistema e su
come sia possibile superarlo con delle alternative. Queste devono essere
le nuove frontiere della comunicazione: la sperimentazione e la testimonianza.
(Intervista a cura di Simone Deri
www.ztl.eu)
26
“Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri” (Fil 4,8).
La sobrietà è una virtù, una disposizione abituale e ferma a fare il bene, che consente alla persona non soltanto
di compiere atti buoni, ma di dare il meglio di sé; è una
delle virtù cardinali, quella della temperanza, quella che
modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio
nell’uso dei beni creati. “Virtù” è una parola che non rientra nel nostro vocabolario quotidiano, una parola che
sembra di altri tempi, del tempo lontano in cui è stata
scritta la Bibbia o del tempo un po’ meno lontano in cui
è vissuto don Arcangelo!
E, forse, proprio per questo è una parola attraverso cui
guardare per riscoprire le radici e la verità del nostro essere cristiani, infatti è
principio comune a tutti che chi incomincia ad allontanarsi con il suo intelletto dalla verità anche se per poco, in
breve tempo se ne allontana di molto. Così chi comincia ad
allontanarsi con la sua volontà dal bene anche se per poco,
in poco tempo se ne allontana di molto; poiché come le virtù sono unite l’una all’altra, così lo sono anche i difetti, di
modo che essi, come anelli calamitati, formano una certa
catena, per cui prendendo il primo anello si tira tutta.
È bello cercare e sapere l’origine delle parole, perché così
si può comunicare il loro significato più profondo e vero e, attraverso di esso, riavvicinarsi alla Verità e al Bene.
Le due possibili etimologie del termine sobrietà dicono
l’essere senza ubriacatura e l’essere sano di mente, saggio (o, in senso morale, moderato): saggio è colui che gusta il sapore delle cose, mentre l’ubriaco non è in grado
di farlo perché è dominato da un bisogno che non riesce
più a controllare.
Ed io come mi pongo di fronte alle cose: da ubriaco o da
saggio?
Osservare i comportamenti delle persone che girano tra gli
scaffali di un centro commerciale è interessante e andarci
Italina Parente
e Cristiana Crippa
Io mi sono privato di tutto
Alla faccia di chi pensa che la sobrietà sia un tema moderno.
Don Arcangelo in persona da sempre parla alle sue figlie di vita equilibrata,
moderata, povera. Privarsi di tutto, per mettere le ali al cuore e volare più leggere,
dritte nel cuore e nella Verità di Dio, maestro di saggezza e sobrietà.
con un bambino lo è ancora di più: ti prende per mano e
ti porta nel reparto dei giocattoli, dove velocemente ti indica quello che vuole dicendoti: “Mi piace, lo voglio” e, se
provi a dire che quel giocattolo ce l’ha già, è subito pronto a descriverne le caratteristiche diverse, magari solo il
colore, e a ribadire che gli serve.
ma verso chi gli cede; e anche se il demonio compare per
lo più sotto forma di leone, egli però è sempre una formica
con chi gli resiste; e sebbene vada sempre girando dentro di
noi cercando di divorarci, tuttavia egli non può girare che
quanto Dio gli permette e non può addentare se non chi,
come incauto bambino, scherzando, gli si avvicina.
La via da percorrere per abbandonare i ritornelli condivisi,
e raggiungere l’equilibrio nell’uso delle cose è quella della
fedeltà alla Verità: è la fedeltà animata dall’amore che don
Arcangelo continuamente ricordava alle sue suore:
Amate l’astinenza; questo modo di vivere fa rinascere, vi fa
vincere certi demoni, riduce i vizi, eleva la mente, vi è largo
di virtù e di premi e vi fa imitare Gesù. Potrete aiutare i poveri e, liberate da tanti fittizi bisogni, potrete attendere meglio a conoscere le verità della fede, a meditare, a pregare, in
una parola a coltivare lo spirito. Io mi sono privato di tutto
e l’ho fatto unicamente per compiere il bene, per la maggior
gloria di Dio e per aiutare specialmente le operaie.
A volte ci si può chiedere che cosa c’entri Dio con il nostro modo di rapportarci alle cose, con le nostre scelte
quotidiane, con l’esteriorità delle cose: a Dio non basta
il cuore? Sì,
a Dio basta il cuore, ma un cuore che ama, un cuore vero,
un cuore giusto,
un cuore sobrio.
“Mi piace, è bello, non ce l’ho, è un modello nuovo…” è il
ritornello anche delle persone grandi, dei professionisti,
delle casalinghe, delle operaie!
La Verità mi dice che è bene usare le cose nella giusta misura, ma per l’uomo ferito dal peccato non è facile conservare l’equilibrio, non è facile abbandonare i ritornelli
condivisi e chiedersi “posso farne a meno?”. Eppure
Dio contro le tentazioni ci accorda due tipi di grazia: una
di fuga e l’altra di combattimento. La prima ci preserva
dalla tentazione, la seconda ci sostiene e ci salva. Contro le
tentazioni che possiamo prevedere noi, dobbiamo mettere
in opera la prima, cioè fuggire, contro quelle tentazioni da
cui non abbiamo potuto fuggire il Signore ci dà la grazia
di poter combattere. Ma questa grazia il Signore non ce la
darà se avremo trascurato la prima, e, se potendo, abbiamo
trascurato il fuggire, dal momento che non alla nostra imprudenza, ma alla nostra fedeltà egli ha promesso il suo potente soccorso. Se restiamo vinti, diciamolo, è perché lo vogliamo: poiché il demonio è potentissimo, anzi formidabile,
27
Varie ed eventuali
Il decalogo
della sobrietà
Può uno stile di vita più sobrio
renderci più liberi e felici?
Siamo convinti che la sobrietà sia
diventata una scelta necessaria?
Le risorse della terra
si esauriscono,
le disuguaglianze aumentano,
costringendo miliardi di persone
a vivere nella povertà più
assoluta.
Qualcosa deve cambiare!
Ci rivolgiamo a coloro che hanno
responsabilità, ai politici, agli
educatori, a tutte le persone,
bambini e bambine, donne e
uomini “semplici”, che vivono
vicino o lontano da noi.
Quando prepariamo una valigia,
mettiamo dentro mille e mille
cose che si pensa possano servire.
Un gruppo di cittadini
in cerca di un nuovo
stile di vita,
dopo essersi confrontati
con alcuni allievi
della Scuola di Barbiana,
a 40 anni dalla morte
di don Lorenzo Milani,
stilano un decalogo
per aiutarci ad alleggerire
il nostro bagaglio e vivere
in sobrietà.
Ci incamminiamo, ma durante
il percorso siamo affaticati dal
carico e ciascuno di noi si chiede:
“Cosa posso lasciare per rendere
il mio cammino più leggero?”.
1. Piccolo è bello
Per risolvere bisogni di ognuno di
noi, non servono grandi strutture
e grandi numeri. E.F. Schumacher
Flash
“Quando
offri un pranzo
o una cena,
non invitare
i tuoi amici,
né i tuoi fratelli,
né i tuoi parenti,
né i ricchi vicini,
perché anch’essi
non ti invitino
a loro volta
e tu abbia
il contraccambio.
Al contrario,
quando dài
un banchetto,
invita poveri,
storpi, zoppi, ciechi;
e sarai beato
perché non hanno
da ricambiarti.
Riceverai infatti
la tua ricompensa
alla risurrezione
dei giusti”.
(Lc 14,12-14)
Pranzo di Natale con i poveri nella Basilica di Santa Maria in Trastevere - Roma (Tradizione della Comunità di Sant’Egidio dal 1982)
2. Produzione locale
Utilizzare prodotti locali vuol
dire salvaguardare i mestieri e
l’economia del luogo in cui viviamo.
Quando ci riferiamo al cibo,
abbiamo la garanzia di maggior
freschezza, più gusto, minor
spostamento di merci e quindi
minor inquinamento. Coltiviamo
semi antichi che si sono adattati
al clima e al suolo di ogni singolo
territorio.
3. Meglio e meno
Abbiamo bisogno di strumenti e
beni che durino a lungo. È meglio
privilegiare la qualità e non la
quantità, in contrapposizione alla
logica dell’usa e getta.
4. Vivere i tempi naturali
C’è una stagione per seminare
e una stagione per raccogliere.
Ritorniamo a rispettare i luoghi
e i tempi della natura.
5. Mani abili
Le mani sono uno strumento
importante dell’uomo.
La mano è l’arto che caratterizza
gli esseri umani da tutti gli altri
esseri viventi.
Riteniamo che, soprattutto nella
scuola, lavorare con le mani
significa recuperare il rapporto
con un rito, con una manualità,
che contribuisce allo sviluppo
armonico della persona.
6. Convivialità
Siamo parte di comunità: abbiamo
a cuore il ben-vivere dell’essere
piuttosto che il benessere
dell’avere.
La sobrietà è per noi strettamente
legata allo “star bene”,
all’autorealizzazione,
alla consapevolezza, all’apertura
agli altri, alla pienezza delle
relazioni interpersonali.
7. Economia della solidarietà
L’economia, per noi,
è la via per favorire l’aiuto reciproco
fra le persone.
Oggi abbiamo esempi concreti
di economia di mutuo sostegno:
gruppi collettivi di acquisto,
banche del tempo,
distretti di economia solidale,
finanza critica, mercatini locali,
forme di scambio e di baratto
di beni autoprodotti.
Maria di Nazareth
Il Verbo si fece carne
Esiste quindi l’economia privata,
l’economia pubblica, ma anche
l’economia del “far da sé”.
8. Semplicità ed essenzialità
Un modello di sviluppo orientato
esclusivamente alla “crescita
quantitativa” e al “consumismo
sfrenato” crea un conflitto mondiale
permanente. Lo squilibrio fra Nord
e Sud del mondo si può ridurre
solo se ci impegniamo a soddisfare
i “bisogni essenziali” di tutti.
9. Uso e non possesso
Gli oggetti sono oggi usati quasi
esclusivamente per “mostrare”
e per creare immagine. Diamo
valore a beni e prodotti, quando
vengono usati e non posseduti.
Molti strumenti di uso quotidiano
(energia, auto, lavatrice…)
li possiamo condividere o
acquistare collettivamente.
10. Bio-diversità
La biodiversità non si improvvisa.
È il lavoro costante e incessante
della natura e di generazioni
di uomini e donne che, giorno
dopo giorno, per “prove ed errori”
sono arrivati a produrre la vita.
Salvaguardiamo “colture” e
“culture” diverse.
Una bella ecografia!
ci ricorda che “L’uomo è piccolo,
e perciò piccolo è bello. Procedere
verso il
gigantismo significa
procedere verso l’autodistruzione”.
Varie ed eventuali
Lo zaino
L’operazione zaino consiste
nel saper distinguere
le cose necessarie da quelle
superflue, in modo da
alleggerire i nostri cammini
e liberarci dall’oppressione
del consumismo.
L’operazione zaino si sviluppa in 4
momenti:
1. Svuotare lo zaino che abbiamo portato sulle spalle in questi anni, pieno
di tanti beni, soprattutto materiali,
imposti dal consumismo. Questo ci
aiuta a percepire fino a che punto
siamo condizionati dal sistema, che
ci induce ad accumulare sempre più
mediante il consumo sfrenato e ci
porta a trascurare le relazioni, beni
fondamentali della vita.
2. Discernere quali sono i beni necessari per la vita da quelli superflui,
per capire quali sono i beni fondamentali a cui non possiamo rinunciare per dare qualità alla vita.
3. Riporre nello zaino solamente le
cose necessarie che hanno un valore di utilità e, soprattutto, ripensare
i rapporti interpersonali essenziali
per la vita.
4. Gettare nel cestino le cose superflue che promuovono solamente la
quantità della vita, ma non la rendono felice, anzi generano disagio e
malessere perché ci rendono dipendenti dalle cose.
Sassi e sabbia
È necessario imparare a far funzionare
il cervello e il cuore all’unisono,
per essere capaci di riempire la vita
di cose davvero importanti.
Un giorno un anziano professore fu contattato per una sessione sulla gestione efficace del tempo, da tenere a un gruppo di
una quindicina di dirigenti di grosse società americane. Questa sessione si sarebbe svolta nell’ambito di un corso intensivo
di formazione e il professore aveva a disposizione solo un’ora
per trattare il suo argomento.
In piedi, davanti a questo gruppo scelto (uomini attenti, pronti
a prendere appunti per non perdere nulla di quello che l’esperto
avrebbe loro insegnato), il vecchio prof guardò questi uomini
uno per uno, lentamente, poi disse loro: “Faremo un esperimento”. Da sotto il tavolo che lo separava dagli allievi, il vecchio prof
tirò fuori un grosso vaso di vetro (della capacità di circa 25 litri)
e lo mise delicatamente davanti a sé. Quindi, sempre da sotto il
tavolo, tirò fuori circa una quindicina di sassi, grossi all’incirca
come palle da tennis e li mise delicatamente, uno per uno, nel
vaso. Quando il vaso fu pieno fino all’orlo, alzò lo sguardo verso
gli allievi e domandò: “È pieno il vaso?”. Tutti risposero: “Sì”.
Aspettò qualche secondo e disse: “Davvero?”. Allora si chinò di
nuovo e tirò fuori da sotto il tavolo un recipiente pieno di ghiaia.
Con attenzione versò la ghiaia sopra i sassi e poi agitò leggermente il vaso. La ghiaia si infiltrò fra i sassi fino a raggiungere
il fondo del vaso.
Il vecchio prof alzò ancora lo sguardo verso l’uditorio e chiese
di nuovo: “È pieno il vaso?”. Questa volta i suoi allievi iniziarono
a comprendere l’inghippo. Uno rispose: “Probabilmente no!”.
“Bene!”, rispose il vecchio prof. Si chinò di nuovo e questa volta tirò fuori da sotto il tavolo una ciotola piena di sabbia. Con
molta attenzione versò la sabbia nel vaso. La sabbia riempì gli
spazi fra la ghiaia e i sassi. Di nuovo domandò: “È pieno il vaso?”. Questa volta senza esitazione, gli allievi risposero in coro: “No!”. “Bene!” rispose il vecchio prof e, come prevedevano i
suoi allievi prestigiosi, prese un bricco d’acqua che era sotto il
tavolo e riempì il vaso fino all’orlo.
Il vecchio prof alzò allora lo sguardo verso il gruppo e domandò:
“Che grande verità ci mostra questo esperimento?”. Il più audace degli allievi pensando al tema della sessione rispose: “Anche
quando si crede che la nostra agenda sia completamente piena,
se si vuole, si può aggiungere ancora qualche appuntamento, è
possibile cioè aggiungere sempre qualche cosa”.
“NO!”, rispose il vecchio prof, “non è questo. La grande verità
che questo esperimento vuole mostrarci è la seguente: se non
si mettono per primi nel vaso i grossi sassi, in seguito non sarà
mai più possibile farli entrare tutti”.
Ci fu un silenzio profondo durante il quale ognuno prese coscienza della cosa.
L’anziano professore, quindi, aggiunse: “Quali sono i grossi sassi nella vostra vita? La salute? La famiglia? Gli amici? Realizzare dei sogni? Fare ciò che vi piace? Conoscere? Difendere una
causa? Rilassarvi? Sostare? O altro? Se si dà la priorità ai dettagli,
alle bazzecole (ghiaia, sabbia…), si riempirà la vita di cose trascurabili e non ci sarà tempo abbastanza da dedicare alle cose
importanti. Quali sono i grossi sassi nella vostra vita? Metteteli
per primi nel vostro vaso”.
Con un cenno della mano l’anziano professore salutò gli allievi
e lentamente lasciò la sala.
[email protected]
www.amicisuoreoperaie.it
La realizzazione a Mugutu, presso
Gitega, seconda città del Burundi,
di una nuova missione,
con un centro per bambini
malnutriti, scuole professionali
e laboratori artigianali, vede
impegnata la nuova associazione
Amici delle Suore Operaie e tutti
gli amici che desiderano contribuire.
Un progetto ambizioso
Veramente una grande festa, quella dello scorso sabato 22 novembre 2008
a Fantecolo! Il motivo è stato la presentazione ufficiale della neonata Associazione “Amici delle Suore Operaie - Onlus”, creata da laici vicini alla congregazione, allo scopo di sostenerne in particolare le missioni.
Nella suggestiva cornice di Villa S. Giuseppe, avvolta dai canti gospel del coro
Effatà, la serata ha preso avvio con le parole del Presidente dell’Associazione,
Piercarlo Fontana, e con il saluto della madre generale, sr Emma.
Successivamente si sono alternate al microfono, davanti ad un folto pubblico, attento e caloroso, sr Vittoria e sr Ignazia, entrambe da decenni in Burundi, sr Adela, originaria del Paese africano e a lungo missionaria in Brasile, e Maddalena, giovane medico di ritorno da un’esperienza di volontariato proprio in Africa.
Le loro parole hanno testimoniato di povertà e bisogni, ma anche di audacia
e volontà: dalle necessità estreme nasce infatti un sogno, la realizzazione a
Mugutu, presso Gitega, seconda città del Burundi, di una nuova missione,
con un centro per bambini malnutriti, scuole professionali e laboratori artigianali. Un progetto ambizioso, sulla cui realizzazione la neonata Associazione intende concentrare fin dall’inizio i propri sforzi,
devolvendovi tutti i contributi che perverranno.
A questo proposito, vale la pena di ricordare che il
riconoscimento dell’Associazione come “onlus”
consente di detrarre nella dichiarazione dei redditi le donazioni effettuate tramite bollettino di
c/c postale o bonifico bancario, nonché di destinarle il 5 per mille delle imposte.
Sognare insieme può essere l’inizio di una nuova
realtà: aiutaci ad aiutare anche
con il tuo contributo!
Associazione “Amici delle Suore
Operaie - Onlus”:
- c/c bancario presso
la BCC di Pompiano e
Franciacorta, IBAN:
IT22 R087 3555 1000
0100 0102 293
- c/c postale:
92617513
- destinazione
5 per mille:
codice fiscale
98141550172
Il Beato Tadini presto Santo
La quotidianità salirà sugli altari. Circa dieci anni fa, in occasione
della sua Beatificazione, parlavamo di lui come di “uno di noi”.
Oggi ci ritroviamo ancora insieme, noi, gente innamorata di normalità,
a raccontarci e condividere i sentimenti che portiamo in cuore.
Presto la Chiesa avrà un nuovo Santo: don Arcangelo
Tadini, sacerdote diocesano di Brescia e fondatore della
Congregazione delle Suore Operaie della S. Casa di Nazareth.
La notizia è stata comunicata
sabato 6 dicembre, in seguito all’avvenuta autorizzazione alla
promulgazione del decreto
da parte del Santo Padre Benedetto XVI.
La quotidianità salirà sugli altari. Circa dieci anni fa, in
occasione della sua Beatificazione, parlavamo di lui come
di uno di noi. Oggi ci ritroviamo ancora insieme, noi, gente
innamorata di normalità, a raccontarci
e condividere i sentimenti che portiamo in cuore
in questo momento di grande gioia e commozione.
“Se uno di noi ce l’ha fatta”, commenta un collega
di lavoro che ci legge la notizia sul volto, “un semplice prete,
che viveva accanto alla sua gente, allora sono davvero le cose
di tutti giorni che ci fanno santi!”.
Ci raggiunge la telefonata di congratulazioni di don Raffaele
Licini, parroco di Botticino Sera. Ci contagia con il suo
entusiasmo, tanto da farci sentire in diretta le campane della
parrocchia che suonano a festa: “Vivo nella casa di un Santo,
sono il successore di un Santo! Sento di esserne indegno,
ma ringrazio Dio di questo onore e ne invoco la protezione”.
Madre Emma Arrighini, Superiora Generale della
Congregazione, commenta così: “Non so cosa dire per la
grande emozione, ma vi comunico alcuni sentimenti e
sensazioni: una gioia grande,
attesa da molto tempo, ora finalmente vera per noi,
per la nostra Chiesa bresciana, per la Chiesa universale; poi
la consapevolezza che i passi di un santo continuano ad
intrecciare i nostri piccoli
e incerti passi e ci ripropongono un impegno serio
di santità; infine penso alle splendide occasioni
di evangelizzazione, di formazione e di preghiera che ci
attendono, nella condivisione di un carisma
che rivelerà un nuovo volto della Chiesa”.
Sr Virginia, che ha appena festeggiato il settantesimo
anniversario di professione religiosa e i cui genitori sono stati
sposati proprio da don Arcangelo,
non riesce a esprimersi con le parole, ma il suo sorriso
e le sue lacrime parlano di attesa, di preghiera,
di anni di lavoro e di sogni che si avverano.
E potremmo continuare a raccontarci, a ricordare
e a sognare, ma preferiamo ritornare alle origini,
alla vita di uno di noi, che si commenta da sé.
Dal 1999, anno in cui Giovanni Paolo II, l’ha proclamato beato,
la Diocesi di Brescia ne fa memoria il 21 maggio.
Sr Raffaella Falco
Fly UP