la comunità cattolica di terra santa dalle crociate al crollo dell`impero
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la comunità cattolica di terra santa dalle crociate al crollo dell`impero
Paolo Pieraccini LA COMUNITÀ CATTOLICA DI TERRA SANTA DALLE CROCIATE AL CROLLO DELL’IMPERO OTTOMANO (1099-1917) LA COMUNITÀ CATTOLICA DI TERRA SANTA DALLE CROCIATE AL CROLLO DELL’IMPERO OTTOMANO (1099-1917) FONDAZIONE DEL PATRIARCATO LATINO DI GERUSALEMME I. L’istituzione del Patriarcato latino di Gerusalemme (1099) L’istituzione del Patriarcato latino di Gerusalemme, avvenuta nel corso della prima crociata (1099), non fu il frutto della politica di Urbano II (1088-1099), il papa che aveva promosso quell’impresa. Fu piuttosto il risultato delle idee e delle ambizioni dei crociati – molto più in sintonia con quelle del successivo pontefice, Pasquale II (1099-1118) –, della rottura dei loro rapporti con i bizantini, dei pregiudizi che nutrivano nei confronti del cristianesimo orientale e di una serie di fattori contingenti che dovettero fronteggiare nel corso dell’avanzata verso la Città Santa. Papa Urbano II considerava solo momentanea la frattura apertasi nel 1054 tra Chiesa occidentale e Chiesa orientale. Egli continuava a ritenere l’ortodossia parte integrante della Chiesa universale e nel predicare la crociata fu spinto soprattutto dal desiderio di “aiutare i fratelli d’Oriente” contro i turchi. Il pontefice non patrocinava una guerra di pura conquista, né desiderava la nascita di stati crociati o di una Chiesa latina in Oriente. Per neutralizzare le diffidenze degli ecclesiastici greci, che rifiutavano il primato papale, egli voleva che i crociati rispettassero le Chiese orientali e che restituissero ad esse, una volta tolte le città agli “infedeli”, “tutti i loro diritti e tutti i loro beni”1. Nell’aprile del 1099, dopo che i crociati avevano nominato un primo vescovo latino a capo della diocesi di Ramleh, l’imperatore bizantino Alessio Comneno manifestò la sua intenzione di guidare gli eserciti cristiani alla conquista di Gerusalemme. Tuttavia i crociati, essendo nel frattempo venuti a conoscenza degli accordi segreti stipulati da Alessio con i fatimidi d’Egitto, trassero dalla scoperta l’opportunità per ritenersi liberi da ogni obbligo verso l’imperatore. La fine della collaborazione politico-militare tra bizantini e crociati rese più difficile l’applicazione della politica di Urbano II. Ciò apparve in tutta evidenza dopo che l’esercito franco ebbe occupato la Città Santa (15 luglio 1099). A quel tempo la sede patriarcale di Gerusalemme era vacante, perché il patriarca Simeone era appena morto a Cipro. I crociati perciò ne approfittarono per nominare un prelato latino per quella sede. Secondo Runciman, l’elezione di un nuovo patriarca greco era impedita dall’assenza dell’alto clero ortodosso dalla Città Santa2. Fedalto avanza l’ipotesi che i crociati fossero spinti anche dalla “gravità del momento”, dalla “lontananza dall’Occidente” e dai “pericoli che si profilavano all’orizzonte per il mantenimento della conquista”. Ciò che occorreva allora era la difesa del territorio conquistato: “Quanto facilitava tale difesa – e l’elezione di un patriarca occidentale poteva essere vista in questa cornice di problemi – doveva essere agevolato”3. Il primo patriarca latino di Gerusalemme – vista la mancanza di un organo elettivo canonicamente legittimo – fu nominato da un Concilio formato dai membri più rappresentativi del clero latino al seguito della crociata (1° agosto 1099). Il patriarca, con l’approvazione di Goffredo di Buglione, formò un capitolo di venti canonici per servire nella cattedrale del Santo Sepolcro, scegliendoli tra 1 S. RUNCIMAN, Storia delle crociate, Torino, Einaudi, 1995, vol. I, 94-95. Ibid., 250. 3 G. FEDALTO, La Chiesa latina in Oriente, Verona, Mazziana, 92. 2 gli stessi sacerdoti che l’avevano investito. Il basso clero greco-ortodosso rimasto a Gerusalemme, mancando di proprie gerarchie ecclesiastiche e messo di fronte al fatto compiuto, non fu in grado di eleggere un patriarca da opporre a quello latino. Esso, benché a malincuore, fu costretto ad accettare la supremazia della Chiesa latina in Terra Santa. Il passo successivo fu la deposizione del patriarca greco di Antiochia e la sua sostituzione con un patriarca latino. Questa soluzione era coerente con la visione del nuovo pontefice Pasquale II, secondo il quale “il problema di fondo era il ricongiungimento delle Chiese d’Oriente con la sede pontificia”. Era, come afferma Fedalto, “la concezione gregoriana del papato ad emergere e ad essere applicata in tutta la sua estensione”4. Da questo momento la prassi seguita dai crociati, volta a creare una gerarchia latina in sostituzione della preesistente gerarchia greca – che culminò con l’istituzione di un Patriarcato latino anche alla sede di Costantinopoli (1204) – sancì la divisione definitiva tra la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente. II. L’organizzazione ecclesiastica del Patriarcato latino di Gerusalemme I crociati ristabilirono con lentezza e in maniera incompleta le antiche province ecclesiastiche del Patriarcato greco: Cesarea Marittima, Scythopolis, Petra e Bosra. Quest’ultima sede rimase sempre sotto controllo musulmano e la sua perdita fu parzialmente compensata con l’acquisizione di alcune sedi suffraganee di quella di Tiro, tolte al patriarca di Antiochia. I musulmani riconquistarono la Terra Santa nell’ottobre 1187 e solo quattro anni dopo i crociati recuperarono una parte del territorio (la fascia costiera da Giaffa a Tiro), che comprendeva solo quattro delle tredici sedi vescovili originarie: quelle di Acri e Beirut e quelle metropolitane di Cesarea e Tiro. Nella nuova sede patriarcale di S. Giovanni d’Acri – capitale del regno e suo principale centro economico – gli ecclesiastici latini riorganizzarono rapidamente la loro Chiesa, nella speranza che presto sarebbero state ripristinate le frontiere del 1187. Tuttavia, nel maggio 1291 i mamelucchi cairoti cancellarono definitivamente la presenza del regno crociato. Con la scomparsa del potere civile anche la Chiesa latina si dissolse. Essa non aveva saputo integrarsi con la cultura orientale: non si era mai preoccupata di formare un clero indigeno del suo rito e non aveva perseguito un’opera di latinizzazione su larga scala delle comunità cristiane locali per crearsi un consistente seguito di fedeli. Lo stesso patriarca latino sopravvisse ancora per qualche decennio nella sede di Cipro, ultimo residuo del regno crociato di Gerusalemme. L’ultimo patriarca residenziale fu il benedettino Guglielmo IV (1369-1374). Dopo quest’epoca e fino al 1847, data del suo ristabilimento, quella di patriarca di Gerusalemme rimase una semplice sede titolare. LA CUSTODIA DI TERRA SANTA III. Nascita e sviluppo della Custodia di Terra Santa Perduta l’egemonia sulla Terra Santa in seguito alla sconfitta crociata, i cattolici vi fecero cautamente ritorno nel secondo decennio del XIV secolo tramite uno sparuto numero di frati minori. La presenza di questi religiosi a Gerusalemme fu riconosciuta ufficialmente nel 1333, quando i reali di Napoli conclusero un trattato con il sultano mamelucco d’Egitto in seguito al quale acquistarono la proprietà dell’area sul monte Sion dove sorgeva il Cenacolo. A loro spese vi fecero costruire un convento, trasferendone l’intera proprietà ai francescani. Su esplicita richiesta dei sovrani angioini, il sultano permise ai frati minori di stabilirsi nella basilica del Santo Sepolcro e, in seguito, nella chiesa della Natività e nella tomba della Vergine. Nel 1342 papa Clemente VI, con le bolle Gratias agimus5 e Nuper charissimae6, confermò il trattato del 1333 e riconobbe ai francescani la legittimità della loro azione in Palestina. 4 5 Ibid., 107. Bullarium peculiare Terrae Sanctae, Romae, Typis Rev. Camerae Apostolicae, 1727, 12-13. I frati minori fondarono presto altri conventi, formando una sorta di nuova provincia che assunse il nome di “Custodia di Terra Santa”7. In seguito, numerose disposizioni pontificie concessero alla Custodia speciali diritti e prerogative. Il principale scopo di questa istituzione fu, fin dall’inizio, provvedere alla conservazione e all’ufficiatura dei luoghi santi, oltre che all’assistenza ai pellegrini. Ma il suo superiore (custode) – in mancanza di un vescovo diocesano e in considerazione della vacanza della sede patriarcale di Gerusalemme – acquisì progressivamente molti dei privilegi appartenuti al patriarca latino, come la facoltà di celebrare i pontificali, di occuparsi del ministero parrocchiale, di dirigere le scuole e di amministrare i sacramenti. La Custodia con il tempo assunse, sia riguardo ai suoi componenti come nei connotati del suo governo, un carattere sempre più internazionale, anche se in maggioranza i religiosi continuarono a provenire dalla penisola italiana e dalla Spagna. IV. L’attività pastorale dei frati minori I frati minori iniziarono ad esercitare una prima timida forma di attività pastorale solo dopo il 1516, quando al regime mamelucco si sostituì quello più tollerante degli ottomani. I religiosi realizzarono le prime conversioni tra i greco-ortodossi a partire dal 1555 e sette anni dopo riuscirono ad indurre la comunità nestoriana di Gerusalemme a passare al cattolicesimo latino. In questo stesso periodo sorsero anche le prime scuole – nella Città Santa, a Betlemme e a Nazareth –, che crebbero di pari passo con l’istituzione di nuovi conventi8. La Congregazione de Propaganda Fide considerò la Custodia di Terra Santa una vera e propria missione in partibus infidelium, dichiarandola direttamente soggetta alla sua giurisdizione nel 1627. Essa conferì al custode i poteri di prefetto apostolico per le missioni di Palestina, Siria, Egitto e Cipro e riconobbe ai frati minori i diritti parrocchiali nei luoghi in cui avevano fondato conventi od ospizi. In seguito all’impulso dato dalla Propaganda all’attività missionaria della Custodia, alle parrocchie francescane di Gerusalemme, Betlemme e Nazareth si aggiunsero quelle di Giaffa (1654) e di S. Giovanni in Montana (1674). Da quel momento le parrocchie dei frati minori si moltiplicarono e si intensificò l’aiuto ai fedeli, attraverso la fondazione di istituzioni scolastiche e caritative. Mediante questa attività, un buon numero di cristiani di rito orientale fu progressivamente convertito al cattolicesimo latino. A Gerusalemme e a Betlemme, a metà del XVII secolo, i francescani riuscirono a convertire alcune famiglie di confessione ortodossa. Nel 1678 esistevano circa 200 fedeli cattolici a Gerusalemme e oltre 300 a Betlemme9, mentre nel 1715 si era passati rispettivamente a 285 e 438, di cui 281 “discendenti da Greci riconciliati”10. A Nazareth i fedeli erano 83, a Ramleh 42 e ad Acri 4711. Negli ultimi decenni del XVII secolo, questa prima embrionale attività di latinizzazione incontrò la forte opposizione del patriarca maronita, dato che specialmente a Gerusalemme e in Galilea molti cattolici di cui avevano cura i francescani appartenevano alla sua Chiesa. L’ecclesiastico protestò con Propaganda Fide, che solo nel 1701 riuscì a patrocinare un accordo tra lui e il custode, che proibiva l’imposizione del rito latino ai maroniti12. Negli anni successivi l’attività missionaria dei francescani si dimostrò lo stesso piuttosto feconda, tanto da suscitare la reazione del primo patriarca 6 Ibid., 126-127. L’attività dei francescani si estese presto ad altri territori governati dai sultani mamelucchi, come la Siria e l’Egitto. 8 Cfr. B. TALATINIAN, “L’attività parrocchiale della Custodia di Terra Santa”, in Custodia di Terra Santa (1342-1942), Gerusalemme, Tip. dei PP. Francescani, 1951, 54. 9 Cfr. B. HEYBERGER, Les Chrétiens du Proche-Orient au temps de la Réforme (Syrie, Liban, Palestine XVII-XVIII siècles), Rome, École Française de Rome, 1994, 290. 10 La scuola parrocchiale di Betlemme aveva 35 allievi. 11 Cfr. lo “Stato della Missione Francescana di Terra Santa nell’anno 1715, quando il Lorenzo Cozza la lasciava...” (Gerusalemme, 6 aprile 1715), in S. MENCHERINI (a cura di), Antonio Cirelli: gli annali di Terra Santa, Quaracchi, Tip. Collegio S. Bonaventura, 1918, 306-308. 12 Cfr. Acta S. Congregationis de Propaganda Fide pro Terra Sancta (a cura di L. LEMMENS), Quaracchi, Tip. del Collegio di San Bonaventura, 1921, I (1622-1720), 290-302. 7 della Chiesa greco-cattolica, Cirillo Tanas (1724-1759), la cui giurisdizione si esercitava su un territorio corrispondente in buona parte a quello su cui operavano i francescani13. Papa Benedetto XIV (1740-1758) rispose favorevolmente alle istanze del patriarca melchita, il quale era desideroso di rafforzare la sua posizione di fronte al rivale greco-ortodosso sostenuto dagli ottomani. Il 24 dicembre 1743, con la lettera apostolica Demandatam caelitus, il pontefice diede istruzione di ristabilire il rito bizantino in tutta la sua purezza nella Chiesa greco-cattolica e precisò che i missionari latini inviati in Levante avevano un mero ruolo ausiliario e di sostegno (“in adiuvamen orientalium”): essi avrebbero dovuto rispettare la giurisdizione dell’ordinario del luogo e non diminuirne il numero di fedeli14. I frati minori – come del resto gli altri missionari del Levante – non si curarono troppo di queste disposizioni. Negli anni successivi essi conseguirono nuovi successi, rendendo presto necessario un più deciso intervento di Benedetto XIV (costituzione Allatae sunt del 26 giugno 1755) 15 . I francescani obbedirono fedelmente agli ordini della Santa Sede. Nonostante ciò seppero registrare ulteriori progressi negli anni successivi. Nel 1761 a Gerusalemme c’erano 342 greco-cattolici, 144 maroniti, 86 “soriani”, 29 armeni, 18 caldei e 13 copti. Gli unici che osservavano il proprio rito erano i maroniti, mentre gli altri erano passati al rito latino. Cinque anni dopo i cattolici in città erano 961, “per la maggior parte di rito latino”. Il custode giustificava la preponderanza di latini tra i cattolici nella Città Santa e a Betlemme (1030) affermando che era “quasi impossibile l’osservanza di altro rito, per l’implacabile persecuzione degli eretici e scismatici”. Ad Acri, invece, le due chiese parrocchiali francescane avevano solo 168 fedeli, tra mercanti europei e orientali di rito latino. I cattolici più numerosi in questa città restavano quelli di rito orientale. Infatti i maroniti (circa 200) e i greco-cattolici (un migliaio) gestivano le loro parrocchie servendosi di religiosi del proprio rito. A Nazareth, invece, i cattolici erano 870, tutti “di rito latino ab immemorabili”16; c’erano però anche molti melchiti e greco ortodossi, 222 dei quali venticinque anni più tardi abbracciarono il rito latino e non il rito orientale corrispondente, come invece prevedevano le direttive di Propaganda Fide. A causa degli impedimenti frapposti dalle autorità civili ottomane e dalla Santa Sede, il bilancio dell’attività missionaria francescana nel terzo decennio dell’ottocento non risultò del tutto soddisfacente. Per discolparsi i religiosi affermarono che la Propaganda, oltre ad impedire ai francescani la conversione dei cattolici orientali, vietava loro di “predicare il Vangelo” tra i musulmani, per non esporli al manifesto pericolo di vita e per non causare la perdita dei santuari come reazione ad un atto profondamente avversato dall’islam17. Il sultano, da parte sua, nel 1818 aveva emanato un firmano che proibiva ai greco-ortodossi di “abbracciare la religione cattolica” e intimava a coloro “che non contavano due secoli di origine cattolica di ritornare allo scisma 13 All’inizio, i melchiti della Palestina – scarsamente presenti in Giudea ma particolarmente numerosi in Galilea – dipendevano dalla Custodia di Terra Santa. Solo nel 1773, in seguito ad un decreto della Congregazione di Propaganda Fide, essi furono trasferiti sotto l’autorità del patriarca melchita di Antiochia. Cfr. I. DICK, Les melkites, Turnhout, Éditions Brepols, 1994, 13-36. 14 Cfr. R. DE MARTINIS (a cura di), Iuris pontificii de Propaganda Fide, Roma, Ex Typographia Polyglotta, 1890, vol. III, 124-130. Cfr. anche due volumi di J. HAJJAR: Les Chrétiens uniates du Proche Orient, Paris, Seuil, 1962, 255 e L’apostolat des Missionnaires latins dans le Proche Orient selon les directives romaines, Jérusalem, Habesch, 13-14. 15 Cfr. Collectanea S. Congregationis de Propaganda Fide seu decreta instructiones rescripta pro apostolicis missionibus, Roma, Ex Typographia Polyglotta, 1907, vol. I, 234-254. Cfr. anche Bullarium Benedicti Papae XIV, Romae, Typis Sacrae Congregationis de Propaganda Fide, 1757, vol. IV, 286-316. Questo importante documento è stato interamente tradotto in italiano da U. BELLOCCHI, Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici emanati dal 1740, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1993, 1° vol., 323-356. Per alcuni interessanti commenti all’enciclica cfr. i volumi di J. HAJJAR, Les Chrétiens uniates du Proche Orient, 255-256 e L’apostolat des Missionnaires latins dans le Proche Orient selon les directives romaines, 15-16. 16 Cfr. Acta S. Congregationis de Propaganda Fide pro Terra Sancta (a cura di L. LEMMENS), Quaracchi, Tip. del Collegio di San Bonaventura, 1922, II (1721-1847), 46-49. Stime non molto diverse si trovano in C. PIANA, La Custodia di Terra Santa negli anni 1762-1767, Cairo, Centro di Studi Orientali, 1956, 23-26. 17 Fino al 1844, sia il musulmano convertito al cristianesimo sia coloro che lo avevano indotto a compiere quell’atto erano puniti con la pena di morte. professato dai loro antenati”18. Infine, un grave ostacolo era rappresentato dalle “guerre quasi continue” che avevano scosso la regione e dalle numerose epidemie che avevano decimato i missionari19. I francescani furono liberi di esercitare le loro attività solo con l’occupazione egiziana della Palestina (1832-1841). Mohamed Ali e il figlio Ibrahim, infatti, desiderosi di compiacere le grandi potenze per indurle ad accettare le loro fulminee conquiste a spese dell’impero ottomano, garantirono ai sudditi totale libertà religiosa. Anche il protettorato francese poté tornare ad esercitarsi in maniera efficace, dato che Parigi aveva stretti legami con i governanti del Cairo20. Fino a quel momento, tasse e avanie ottomane avevano assorbito i “tre quarti delle limosine”; ai cristiani era impedito “non solo di fabbricare” ma perfino di “restaurare i cadenti edifizi”, tanto che gli ospizi, i conventi e le chiese dei religiosi sembravano ormai delle “vere spelonche”21. Da quel momento, l’attività edilizia dei francescani divenne molto intensa e furono fondate diverse nuove parrocchie e scuole, anche perché quando il sultano ottomano ritornò in possesso della Palestina non rimise in discussione le riforme introdotte nel periodo dell’occupazione egiziana. V. Le istituzioni educative e caritative L’attività educativa della Custodia si mantenne su livelli piuttosto modesti fino all’occupazione egiziana della Palestina22 , nonostante nei decenni precedenti i religiosi avessero adottato due importanti provvedimenti: la fondazione di una “scuola di arti e mestieri” a Gerusalemme (1740) e l’apertura delle loro istituzioni scolastiche ai cristiani non cattolici (1809)23. Anche le riforme ottomane del novembre del 1839 – che garantirono maggiore libertà anche in materia d’insegnamento e furono applicate in Palestina a partire dal 1841 – permisero ai francescani di dare notevole impulso all’attività educativa. Nel 1841 i frati minori decisero di istituire una prima scuola femminile a Gerusalemme, alla quale seguirono quelle di Betlemme (1842), di Nazareth (1842), di Acri (1844) e di Giaffa (1846)24. La scuola elementare maschile di Gerusalemme, che nel 1841 contava solo una ventina di allievi, passò a 90 cinque anni dopo. La scuola femminile della Città 18 Quel firmano prevedeva la confisca dei beni e l’esilio per coloro che non avessero ottemperato all’intimazione. Cfr. S. DELACROIX (sous la direction de), Histoire des Missions catholiques, vol. III: Les missions contemporaines (18001957), Paris, Grund, 1958, 45. Esso sarebbe stato revocato una decina d’anni dopo grazie alle pressioni esercitate dalle potenze cattoliche sul sultano. Nel 1834, però, fu emanato un nuovo firmano dal medesimo tenore, che sarebbe stato revocato solo nel 1844. Cfr. E. ENGELHARDT, La Turquie et le Tanzimat, Paris, Pedone, 1896, vol. I, 129. 19 Cfr. Prospetto generale dello stato attuale della Custodia di Terra Santa (1768-1856) formato dal rev.mo Bernardino da Montefranco, per presentarlo al Capitolo Generale in Roma, Napoli, Tipografia dei Gemelli, 1856, 27. Tra il 1768 e il 1856 morirono di peste ben 117 francescani. Cfr. ibid., 21. In totale, tra il 1619 e il 1833, morirono di questo morbo 407 religiosi. Una trattazione e una completa statistica sull’argomento si trova in A. ARCE, “I francescani di Terra Santa e la peste”, in Custodia di Terra Santa (1342-1942), 67-72. 20 All’arrivo degli egiziani in Palestina i francescani avevano 22 tra conventi ed ospizi e la Custodia era composta soprattutto da religiosi italiani e spagnoli. Un frate spiegò a un diplomatico francese che la mancanza di cristiani indigeni dipendeva dalla “jalousie” che i maroniti e i melchiti provavano per i latini e dal fatto che, non potendo “jamais faire complètement fond sur un arabe”, la Santa Sede aveva deciso di non ammettere più a far parte della Custodia i cristiani indigeni. Cfr. AMAEF (Archivio del Ministero degli Esteri Francese), MD (Mémoires et Documents), Turquie, Vol. 20, memorandum anonimo intitolato : “De l’établissement de la domination Egyptienne en Syrie et des droits de protection que la France exerce dans cette province”, 21 luglio 1831. 21 Cfr. Prospetto generale dello stato attuale della Custodia di Terra Santa (1768-1856), 24-25. 22 Alla fine del XVII secolo la scuola di Betlemme – la più numerosa – aveva 35 allievi, mentre quelle di Gerusalemme e Nazareth ne avevano rispettivamente 30 e 10; più modesto ancora il numero di scolari delle altre tre scuole di Terra Santa, quelle di S. Giovanni in Montana (11), Ramleh (5) e S. Giovanni d’Acri (5). Nei vari territori della Custodia gli allievi erano in tutto 188. Cfr. G. INCELLI, “Le scuole di Terra Santa”, in Custodia di Terra Santa (1342-1942), 158. 23 Per il testo dell’atto discretoriale di quest’ultimo provvedimento cfr. G. INCELLI, “Le scuole di Terra Santa”, in Custodia di Terra Santa (1342-1942), 164. 24 Cfr. ACTSP (Archivio del Commissariato Francescano di Parigi), vol. D 20, Bonaventura da Solero (custode di Terra Santa) a Fulgence Rignon (commissario di Terra Santa a Parigi), Gerusalemme, 12 maggio 1858, 7. Santa e quelle di ambedue i sessi di Betlemme avevano un numero appena inferiore di allievi, mentre a Giaffa c’erano 52 allievi maschi e un centinaio di femmine25. Un notevole sviluppo conobbe anche l’attività caritativa della Custodia. I francescani procuravano gratuitamente le abitazioni ai cattolici di Terra Santa e pagavano loro le tasse richieste dagli ottomani in quanto dhimmi, “acciò non venghino bastonati ovvero cacciati”. Essi fornivano anche le doti alle ragazze della comunità latina, per evitare che esse “si maritassero con eretici e scismatici”26. I religiosi, inoltre, distribuivano gratuitamente medicine e cibo alla popolazione locale. Nel 1747 il convento di S. Salvatore passava giornalmente il pane a 78 vedove e faceva “limosina di pane alla porta del Convento sino anche ai Turchi [...] fino a 100 pani al giorno”27. I francescani avevano sempre offerto assistenza gratuita ai pellegrini che si recavano in visita ai luoghi santi. Essi esercitavano l’ospitalità “senz’alcuna eccezione e distinzione”, trattando “colla medesima carità” anche i “pellegrini calvinisti e luterani”28. Nel 1830 erano giunti in Palestina circa 4.000 ortodossi e 5.000 armeni, mentre i cattolici non superavano le 700 unità (600 di vari riti orientali e un centinaio di latini)29. I pellegrinaggi dall’Europa crebbero in maniera esponenziale con la liberalizzazione operata dagli egiziani, in seguito alla quale anche le esose tasse d’ingresso ai santuari e le altre esazioni a carico dei pellegrini furono abolite. VI. Gli statuti della Custodia (7 gennaio 1746) I conflitti tra le due componenti nazionali più importanti della Custodia, quella italiana e quella spagnola, divennero col tempo particolarmente accesi, soprattutto per motivi di ordine finanziario. Tali conflitti si aggravarono nei primi decenni del XVIII secolo, costringendo papa Benedetto XIV a porre fine agli “abusi” emanando dei nuovi statuti per la Custodia, nei quali badò soprattutto a rafforzare i poteri del custode e ad evitare ogni riferimento al patronato della corona di Spagna30. Gli statuti, approvati il 7 gennaio 1746 da papa Benedetto XIV con il breve In supremo militantis Ecclesiae31, prevedevano che il custode dovesse sempre essere italiano. Un vicario, un procuratore generale e altri quattro religiosi (discreti) lo assistevano, formando con lui un governo interno denominato Discretorio. Il padre vicario doveva essere francese, il procuratore spagnolo e gli altri quattro “discreti” di nazionalità italiana, francese, spagnola e germanica. Il custode non poteva adottare provvedimenti importanti senza prima essersi consultato con il Discretorio. Aveva però piena facoltà di correggere e punire tutti i religiosi a lui subordinati, compresi il vicario e il procuratore. Nominato dal Definitorio generale dell’Ordine e confermato dalla Congregazione de Propaganda Fide, egli rimaneva in carica tre anni, rivestito della doppia qualifica di prefetto delle missioni e di superiore regolare della famiglia religiosa. Il vicario diveniva superiore in caso di temporanea assenza del custode; ma in caso di assenza prolungata il Discretorio doveva nominare un presidente custodiale italiano. Al procuratore erano invece affidate funzioni economico-amministrative, dato che gran parte delle elemosine provenivano dai domini spagnoli. Egli doveva esercitare il suo ufficio “come semplice amministratore, in tutto e per tutto dipendente dal guardiano e dal Discretorio”. Egli poteva aprire la 25 Cfr. AOPF (Archivio dell’Œuvre de la Porpagation de la Foi di Lione), E 21, CTS (Custodia di Terra Santa), Lantivy al Conseil Central de Lyon de l’Œuvre de la Propagation de la Foi, Gerusalemme, 5 maggio 1844, doc. E08281. 26 Cfr. Acta S. Congregationis de Propaganda Fide pro Terra Sancta, II (1721-1847), 140. 27 S. Mencherini (a cura di), Antonio Cirelli: gli annali di Terra Santa, 378: “Relazione dello stato della Custodia e delle Missioni di Terra Santa...”, Gerusalemme, 1° giugno 1747. 28 Cfr. Acta S. Congregationis de Propaganda Fide pro Terra Sancta, II (1721-1847), “Relazione dello stato della santa Custodia” , redatta da padre Jacopo Lucensi (il custode Giacomo da Lucca) nell’aprile 1727, 140. 29 Cfr. AMAEF, MD, Turquie, vol. 20, “De l’établissement de la domination Egyptienne en Syrie et des droits de protection que la France exerce dans cette province”, 21 luglio 1831. 30 Cfr. ACPF (Archivio della Congregazione de Propaganda Fide), SC (Scritture Riferite nei Congressi) Misc. 2 (17191841), la memoria intitolata “Osservazioni d’un Religioso Min. Oss.te”, par. 31. 31 Cfr. Bullarium diplomatum et privilegiorum Sanctorum Romanorum Pontificum, Neapoli, Henrico Caporaso Editore, 1885, Serie Seconda, Tomus V, 286-301. cassa dove venivano versate le offerte del mondo cattolico solo in presenza del custode e del vicario, che come lui detenevano la chiave. Conventi e ospizi della Custodia dovevano essere comuni a tutti i frati e potevano essere presieduti da superiori di qualunque nazione. Esistevano due sole eccezioni a questa regola: nei conventi di Betlemme e del Santo Sepolcro il superiorato era riservato a turno ai religiosi italiani, francesi e spagnoli, mentre al convento di S. Giovanni di Montana e agli ospizi di Giaffa, Ramleh, Damasco, Nicosia e Costantinopoli potevano essere nominati solo superiori di nazionalità spagnola, ammesso che ne esistessero di idonei. VI. La Real cédula spagnola (17 dicembre 1772) La Corona di Spagna, ritenendo che gli statuti non rispettassero i suoi diritti di patronato, tentò invano di ottenerne la revoca. Il 17 dicembre 1772 Carlo III decise di emanare un decreto reale (Cédula)32 nel quale – in quanto successore dei sovrani angioini – rivendicava per la sua Corona il diritto esclusivo al patronato sui luoghi santi, sulle chiese e sui conventi di Terra Santa. Egli stabiliva che tutte le donazioni della Spagna fossero consegnate direttamente al procuratore. Tali ingenti somme – ben più cospicue rispetto a quelle provenienti da altri paesi – dovevano essere depositate in una cassa separata, per aprire la quale era necessario l’intervento simultaneo di tre religiosi spagnoli. Alla Cédula, che era in aperto contrasto con gli statuti della Custodia, si opposero invano i religiosi italiani. In seguito all’emanazione di quel documento, infatti, nella cassa comune di Terra Santa non affluivano più le elemosine della Spagna ma solo quelle, ben più esigue, delle altre nazioni cattoliche, mentre dai sei conventi retti da superiori spagnoli erano stati immediatamente estromessi i religiosi appartenenti ad altre nazionalità. Questo provvedimento provocò controversie ancora più accese tra la componente italiana e quella spagnola, che resero meno efficace l’attività della Custodia. La Santa Sede ebbe la forza di reagire solo diversi decenni dopo, quando si verificò una drastica diminuzione delle donazioni provenienti dalla Spagna in seguito alla politica di secolarizzazione attuata in quel paese. Il breve Romani Pontifices del 18 agosto 1846 ribadì la validità degli statuti del 1746; il che significava tra l’altro ripristinare integralmente l’autorità del custode ed eliminare la cassa spagnola, in modo che le elemosine provenienti dal mondo cattolico riprendessero ad affluire esclusivamente nella cassa comune33. PATRIARCATO LATINO DI GERUSALEMME E CUSTODIA DI TERRA SANTA (1847-1917) VIII. Progressiva sottrazione della giurisdizione ecclesiastica ai francescani Nel frattempo era iniziato un processo di sottrazione della giurisdizione ecclesiastica sui territori di Siria e d’Egitto al custode di Terra Santa. Il 19 maggio 1817 la Santa Sede decise di ricostituire il Vicariato apostolico di Aleppo, usando notevoli cautele riguardo alle prerogative dei frati minori. A differenza degli altri ordini religiosi della regione – che furono interamente posti alle dirette dipendenze del vicario – i francescani riuscirono a conservare intatta la giurisdizione sulle loro istituzioni. Diverso fu il caso dell’istituzione del Vicariato apostolico di Egitto, avvenuta il 17 maggio 1839 con il breve Ex munere pastoralis34. I frati minori in questo caso non riuscirono a salvaguardare i diritti di giurisdizione acquisiti nei secoli. Il provvedimento si inserì infatti all’interno di una più generale politica di riordinamento e ricostruzione delle missioni promossa da papa Gregorio XVI, consistente nel moltiplicare le circoscrizioni ecclesiastiche e nell’assegnare un ruolo di primo piano 32 Cfr. Acta S. Congregationis de Propaganda Fide pro Terra Sancta, II 1721-1847, 227-231. Cfr. R. DE MARTINIS, Iuris pontificii de Propaganda Fide, 1894, vol. VI, 9-12. 34 Cfr. Ibid., vol. V, 1893, 212-213. 33 ai Vicariati apostolici. Due anni dopo, questa nuova politica indusse la Santa Sede ad eliminare l’anomalia della doppia giurisdizione all’interno del Vicariato apostolico di Aleppo. Al vicario fu affidata piena giurisdizione anche sulle parrocchie e le altre istituzioni francescane della Siria. Il custode di Terra Santa fu confinato perciò al solo “ufficio di superiore regolare” e mantenne una giurisdizione “libera e indipendente” solo sulla Palestina e su Cipro35. IX. Il ristabilimento del Patriarcato latino di Gerusalemme (23 luglio 1847) L’istituzione di un vescovato protestante in Terra Santa (luglio 1841) accelerò il processo di progressiva sottrazione della giurisdizione ecclesiastica sulle missioni del Levante al custode di Terra Santa. Propaganda Fide discusse dell’istituzione di un Vicariato apostolico a Gerusalemme a partire dal febbraio 1842. Tuttavia, le forti incertezze ad adottare quel delicato provvedimento furono fugate solo dopo l’ascesa al pontificato di Pio IX. Da una parte il pontefice decise di tenere nel dovuto conto i rapporti che giungevano a Propaganda Fide sulla crisi dei francescani della Custodia i quali, a causa della scarsa conoscenza delle lingue orientali e delle dispute tra la componente italiana e spagnola, non riuscivano più ad esercitare con l’efficacia di un tempo la loro attività missionaria. Dall’altra egli fu spinto dal suo desiderio di condurre una serrata azione di apostolato nei confronti dei cristiani di fede ortodossa, che pensava fosse difficile perseguire mediante l’azione dei cattolici orientali, invisi agli “scismatici” ben più dei cattolici latini. Infine, un altro suo importante obiettivo era “stabilire relazioni dirette con la Porta, sottraendosi così alla mediazione francese”. Fin dall’autunno 1846 Pio IX volle intavolare trattative con il governo turco, per assumere la protezione diretta dei cattolici dell’impero ottomano. Il sultano rispose positivamente, inviando a Roma un suo rappresentante 36 . L’accoglienza cordiale che questi ricevette parve promettere favorevoli sviluppi. Le due parti, infatti, avevano interessi convergenti, dato che Abdul Medjid era stanco dell’ingerenza esercitata nell’impero ottomano dalle potenze occidentali con il pretesto del protettorato religioso sui cattolici. Il clima instaurato da queste trattative permise alla S. Sede di portare avanti la sua politica missionaria in Palestina. Le discussioni tra i cardinali di Propaganda Fide iniziarono già nel gennaio 1847, ma l’evento decisivo per il ristabilimento fu la ponenza del card. Carlo Acton del 3 maggio successivo37. Acton fece presente che nella Città Santa solo la Chiesa cattolica era rappresentata da un “semplice prete”. I fedeli cattolici della Palestina parlavano arabo ed era necessario provvedere ad essi “in un modo più regolare”. Purtroppo molti francescani non conoscevano abbastanza questo idioma “da poter con frutto esercitare il ministero parrocchiale”. Il custode, inoltre, era troppo occupato a governare il regime regolare e ad occuparsi dei luoghi santi per potersi dedicare ai fedeli e all’unione dei dissidenti alla cattolicità. Diverso sarebbe stato il caso di un vescovo, che sarebbe rimasto indefinitamente in carica ed avrebbe potuto occuparsi dello studio della lingua e degli usi del paese. Secondo Acton, il sultano ottomano non si sarebbe opposto al provvedimento. L’unico suo desiderio era che la cura dei fedeli sul suo territorio non fosse affidata a prelati europei; e la decisione che Propaganda Fide intendeva adottare non avrebbe contraddetto le sue aspettative, dato che uno dei compiti prioritari del nuovo vescovo sarebbe stato formare un clero locale di rito latino in Terra Santa. Il cardinale non pensava si dovessero distogliere i frati minori “dalla cura ed uffiziatura de’ santuarj e dalla questua per i medesimi”. Manifestava inoltre giudizi poco favorevoli 35 ACPF, Acta, vol. 204 (1841), Congregazione generale di Propaganda Fide del 15 febbraio 1841, 5. Gregorio XVI approvò queste decisioni emanando, il 23 marzo 1841, il breve In supremo episcopatus. Cfr. AGOFM (Archivio della Curia generalizia dei frati minori), Terra Santa (Terra Sancta), vol. 4, SK 598 (1836-1852), 20, AGOFM, TS, vol. 11, SK 605 (1803-1870), 140-142 e in Acta Gregorii Papae XVI, Romae, Ex Typographia Polyglotta, 1902, 115-117. 36 Cfr. R. AUBERT, Le pontificat de Pie IX (1846-1878), Paris, Bloud & Gay, 1952, 21. 37 Cfr. ACPF, Acta (1847), vol. 210, Ponenza card. Acton, “Ristretto con sommario e nota di archivio riprodotta sopra la esecuzione di quanto venne decretato nell’ultima generale adunanza per lo stabilimento di un Vescovo in Gerusalemme”, 3 maggio 1847, 149-166. sul modo in cui essi amministravano le elemosine e riteneva preferibile affidare ad un vescovo “l’alta sorveglianza della cassa”. Dato che la diocesi di Gerusalemme era la culla del cristianesimo e la sede dei più importanti luoghi santi, si sarebbe potuto riconoscere al nuovo prelato “il maggior aumento possibile d’onore” assegnandogli il titolo di patriarca, anche se bisognava valutare bene le implicazioni negative in termini di rapporti con le altre confessioni religiose e all’interno stesso del cattolicesimo orientale. Sull’opportunità di scegliere il prelato tra i francescani e di riunire in lui le attribuzioni di custode di Terra Santa e di ordinario del luogo, Acton riteneva si dovesse anteporre “l’utilità della missione” ai “riguardi e ai vantaggi” da riservare all’Ordine dei frati minori. I francescani avrebbero mantenuto i santuari e le loro parrocchie. Però si doveva concedere al vescovo l’opportunità di crearsi un clero suo proprio, “per avere dei ministri e provvedere all’opportunità secondo i bisogni”. Secondo il card. Acton, nel ristabilire un vescovo a Gerusalemme si sarebbe dovuto applicare subito il “diritto comune”, almeno per l’amministrazione delle parrocchie. Egli riteneva anche che quel prelato avrebbe dovuto “riunire le più rare qualità”. Il cardinale, qualora fosse stato deciso di non scegliere un francescano, aveva in mente “un solo ma eccellentissimo soggetto”: il missionario Giuseppe Valerga. La lunga esposizione del card. Acton convinse i cardinali a conferire al vescovo di Gerusalemme il titolo di patriarca latino e a decidere che esso non fosse tratto dall’Ordine dei frati minori. Il titolo era necessario anche perché il nuovo prelato avrebbe dovuto essere al tempo stesso “il rappresentante della S. Sede in Costantinopoli” e risiedere la maggior parte del tempo in quella città. Se questi fosse stato solo dichiarato arcivescovo in partibus e vicario patriarcale di Gerusalemme avrebbe avuto un grado uguale a quello del prelato cattolico che già vi risiedeva. Presso di lui inoltre – in quanto rappresentante della S. Sede – si sarebbero frequentemente recati i patriarchi orientali per trattare dei loro affari e perciò la sua dignità non avrebbe dovuto essere inferiore alla loro38. In una nuova congregazione dell’8 luglio successivo Propaganda si occupò della determinazione dei rapporti tra il patriarca e i francescani. Ne sortì un’istruzione, la Sanctissimus dominus, sul regime della Chiesa patriarcale gerosolimitana e sui rapporti del patriarca con la Custodia, che fu emanata il 10 dicembre 1847. Questo documento possiede un’importanza molto maggiore della lettera apostolica Nulla celebrior del 23 luglio 1847, mediante la quale il pontefice ristabilì il Patriarcato. Le uniche parti degne di nota della Nulla celebrior sono quelle che obbligano il patriarca “alla residenza”, gli affidano la giurisdizione su “tutte le regioni e tutte le parti di dette regioni” che erano sotto l’autorità del custode di Terra Santa39 e rinviano la questione della nomina dei vescovi suffraganei. I dodici articoli dell’istruzione, in ogni caso, erano del tutto insufficienti a chiarire le competenze rispettive del patriarca e del custode: l’amministrazione della Chiesa di Palestina e Cipro era di sola competenza del patriarca. Il custode aveva perduto le prerogative che gli spettavano nella sua qualità di superiore ecclesiastico delle missioni e gli rimanevano solo le funzioni di superiore regolare della Custodia (art. IV). Quando il patriarca risiedeva entro i limiti della sua giurisdizione, i diritti pontificali e la facoltà di amministrare la Cresima spettavano a lui (artt. V e VI). Per l’elezione e la conferma del custode si sarebbero continuati ad osservare gli statuti della Custodia (art. VII). La facoltà di nominare i Cavalieri del Santo Sepolcro sarebbe spettata al patriarca. I “subsidia” elargiti dai Cavalieri si sarebbero dovuti versare nella cassa comune delle elemosine della Custodia (art. VIII). Per le parrocchie amministrate dai regolari francescani e carmelitani, i rispettivi superiori generali avrebbero proposto “tres idoneos viros” all’Ordinario, il quale avrebbe scelto tra questi il parroco (art. XI)40. 38 Cfr. ACPF, CP (Congregazioni Particolari), ATS (Anglia, Terra Santa, Egitto), vol. 157 (1847-1851), “Udienza con il pontefice”, 16 maggio 1847, 19-20. 39 La giurisdizione ordinaria del ristabilito patriarca si sarebbe quindi esercitata sulla Palestina e su Cipro, dato che la S. Sede aveva già sottratto ai francescani la giurisdizione sulla Siria e sull’Egitto. 40 Cfr. R. DE MARTINIS, Iuris pontificii de Propaganda Fide, vol. VI, 1894, 9-10. X. Controversie tra Custodia di Terra Santa e Patriarcato latino (1848-1863) Tra le numerose raccomandazioni ricevute da Valerga al momento della partenza per la Terra Santa, figurava anche quella di applicare l’istruzione Neminem profecto sulla creazione di un clero locale41. L’originario progetto di fargli fare scalo a Costantinopoli per presentarlo al sultano in qualità di rappresentante della Santa Sede fu invece abbandonato. Dopo l’arrivo a Gerusalemme di mons. Valerga (17 gennaio 1848) iniziarono le prime controversie con i francescani. Il patriarca trovò in diocesi 4.141 fedeli di rito latino. La città che ne accoglieva di più era Betlemme (1.672), seguita da Gerusalemme (961) e da Nazaret (600). Piccole comunità latine erano presenti a Giaffa (319), Larnaca (310), S. Giovanni d’Acri (119), S. Giovanni in Montana (92), Haifa (58), Nicosia (45) e Ramleh (20). Disseminati in alcune di queste parrocchie c’erano anche 339 cattolici appartenenti a vari riti orientali, che per mancanza di parroci del loro rito seguivano “la cura latina”. Le scuole – considerate l’elemento più importante per rigenerare una popolazione cattolica troppo a lungo lasciata nell’ignoranza e mantenuta nella fede solo a prezzo di ingenti elargizioni di denaro – erano ridotte in uno stato penoso. Inoltre, i frati minori continuavano a detenere un enorme potere economico e molti degli strumenti di governo della diocesi, mediante i quali potevano paralizzare l’azione del vescovo chiamato a dirigerla42. Valerga trascorse molto del suo tempo a cercare di scalfire il potere dei francescani e a vincere la strenua resistenza che i religiosi gli opponevano. Ma di fronte ai suoi insuccessi e all’escalation delle controversie, nel 1851 Propaganda Fide ritenne necessario precisare meglio i poteri del Patriarcato rispetto a quelli dei frati minori. Per deliberare si valse soprattutto dei suggerimenti che il patriarca espresse in una lunga relazione del luglio 1850. Valerga considerava i francescani un grave ostacolo allo sviluppo del cattolicesimo in Terra Santa. I religiosi gli negavano regolarmente i sussidi. Secondo il patriarca, non avere alcuna parte nella distribuzione delle elemosine causava due inconvenienti: la diminuzione del suo prestigio davanti ai fedeli e la mancanza dei mezzi necessari per esercitare la responsabilità di governo. Egli faceva notare che i bisogni più urgenti della sua Chiesa erano la formazione di un clero locale – che godendo della necessaria influenza sulla popolazione avrebbe potuto operare “una reale riforma” dei costumi – e l’esigenza che la popolazione prendesse parte più attivamente alla difesa dei propri interessi religiosi di fronte alle autorità civili. A detta di Valerga, le ragioni per le quali i frati minori avevano fallito nella loro opera missionaria dipendevano dalla scelta dei mezzi e dal fatto che essi consideravano come scopo principale della loro presenza in Terra Santa la conservazione dei luoghi santi, piuttosto che la propagazione della fede. Valerga riteneva che i privilegi dei regolari non fossero più né utili né necessari come un tempo e chiedeva alla Propaganda che conventi ed ospizi con un numero di religiosi inferiore a quanto previsto dal diritto canonico per godere delle esenzioni fossero sottoposti alla giurisdizione patriarcale. Infine, egli non riteneva corretta la tesi dei francescani secondo la quale la Santa Sede aveva affidato solo a loro i santuari. Siccome nel 1847 Propaganda Fide non aveva adottato alcuna decisione in proposito, egli chiedeva che anche il patriarca latino vi potesse esercitare la giurisdizione. Sentite anche le puntuali repliche dei frati minori, il 9 settembre 1851 Propaganda Fide emanò nuove e più accurate disposizioni sul governo della diocesi gerosolimitana. Mentre l’istruzione del 10 dicembre 1847 constava di soli tredici articoli, il nuovo decreto – denominato Licet ex eo tempore ed emanato il 9 settembre 1851 – ne comprendeva ventotto, frutto di infinite riunioni e di approfondite discussioni tra i cardinali di Propaganda Fide. Buona parte delle decisioni adottate erano conformi alle richieste del patriarca. Ma alcune sembravano emanate col proposito di 41 L’istruzione Neminem Profecto era stata emanata da Gregorio XVI nel 23 novembre 1845. Cfr. Collectanea S. Congregationis de Propaganda Fide seu decreta instructiones rescripta pro apostolicis missionibus, Romae, Ex Typographia Polyglotta, 1907, vol. I, 541-544. 42 Cfr. AGOFM, TS, vol. 4, SK 598 (1836-1852), “Relazione sullo stato della Diocesi Patriarcale di Gerusalemme di rito latino”, 24 maggio 1848, 56-63. accendere ulteriori controversie, non ultima quella di affidare la giurisdizione sui santuari sia ai religiosi sia al patriarca. In ogni caso, negli anni successivi buona parte dei problemi di giurisdizione che fino a quel momento avevano avvelenato i rapporti tra le due istituzioni non furono più sollevati. Si fecero invece progressivamente più aspre le controversie sulle questioni economiche, dato che con il decreto Licet la Santa Sede aveva affidato al patriarca la presidenza dell’amministrazione finanziaria della diocesi. Propaganda Fide mostrò gravi incertezze nel gestire la situazione. Visto che le controversie si facevano sempre più accese, il pontefice decise di inviare un visitatore apostolico in Palestina per acquisire gli elementi necessari a dirimerle. Si trattava della prima iniziativa del genere, che però non diede i frutti sperati (autunno 1855). Avvolta in un groviglio inestricabile di opposte rivendicazioni – tutte apparentemente plausibili –, la Congregazione continuò per anni ad annaspare. I contrasti, infatti, continuarono anche dopo l’arrivo a Gerusalemme di una nuova e più agguerrita missione russa (febbraio 1858) e nonostante la nomina di Valerga a vicario e delegato apostolico di Siria (gennaio 1858); una carica di grande responsabilità, che teneva il patriarca lontano da Gerusalemme per sei mesi l’anno. Un secondo visitatore apostolico inviato dal pontefice in Terra Santa (1859-1860), mons. Vincenzo Spaccapietra – un prelato dalla lunga esperienza missionaria – giunse come il precedente a conclusioni sfavorevoli per mons. Valerga. Tuttavia, delle numerose proposte del visitatore, Propaganda Fide finì per accettare soltanto quella di togliere al patriarca la responsabilità sull’amministrazione finanziaria. Il seminario per la formazione di un clero locale – che era stato una delle direttive principali impartite quattordici anni prima a Valerga all’atto della sua partenza per Gerusalemme – non fu invece abolito. Il patriarca stesso, contrariamente a quanto raccomandato dal visitatore, fu lasciato al suo posto; ai francescani fu invece intimato di rimettere annualmente i conti a Propaganda Fide e di non edificare nuovi edifici religiosi, né ingrandire i vecchi senza il permesso dell’autorità ordinaria. Queste decisioni non impedirono la ripresa delle controversie. A dispetto delle nuove decisioni sull’amministrazione finanziaria, i francescani trovarono mille pretesti per non pagare le quote annuali al patriarca. Si accentuarono inoltre i contrasti per l’esercizio della giurisdizione su alcuni antichi santuari in mano ai frati minori. I religiosi, infatti, continuarono a restaurare i loro luoghi santi senza il consenso del patriarca, incuranti dei ricorsi di quest’ultimo a Propaganda Fide e delle intimazioni rivolte loro dalla Congregazione affinché si sottomettessero all’autorità ordinaria. XI. Miglioramento dei rapporti tra Patriarcato e Custodia (1863-1872) Tra la metà del 1862 e l’inizio del 1863 si verificò una svolta repentina nei rapporti tra le due istituzioni. Nel 1862 decaddero dalla carica sia il ministro generale dei frati minori (Bernardino da Montefranco) sia il custode di Terra Santa (Bonaventura da Solero). Il primo, al tempo in cui era stato custode (1847-1856), si era dimostrato un efficace e strenuo oppositore del patriarca e aveva continuato ad esercitare attivamente tale opposizione da Roma, una volta assurto alla guida dell’Ordine dei frati minori. Il secondo aveva proseguito in loco, in molti casi accentuandola, la sistematica contrapposizione al Patriarcato iniziata dal suo predecessore. Il nuovo ministro generale dei frati minori, padre Raffaele da Pontecchio, fu scelto personalmente da Pio IX tra i due candidati più votati dal Definitorio generale dell’Ordine, ambedue molto moderati e ben disposti a risolvere le gravi controversie di Terra Santa. Sei mesi dopo il Definitorio – verosimilmente su pressione del pontefice, di Propaganda Fide e dello stesso ministro generale – nominò nuovo custode un religioso di grande tatto e di non comuni capacità, padre Serafino Milani, a cui fu impartito il preciso ordine di porre fine agli eterni dissidi con il Patriarcato. Padre Milani incontrò infinite opposizioni tra i religiosi, tanto che il suo stesso consiglio di governo (Discretorio) lo sfiduciò pochi mesi dopo il suo arrivo considerandolo eccessivamente prono ai voleri del patriarca. Propaganda Fide intervenne prontamente esautorando il Discretorio e concedendo pieni poteri al custode, che fu così in grado di portare più agevolmente a termine il suo compito. In ciò egli fu sostenuto da un gruppo di suoi religiosi, ormai convinti che contrapporsi frontalmente al Patriarcato fosse inutile e deleterio per il bene della Custodia e dell’intero Ordine. Durante gli ultimi anni del governo di mons. Valerga si verificarono solo contese minori tra francescani e Patriarcato. Esse però non degenerarono più in aperti contrasti, soprattutto per quattro ragioni: la più abile e attenta gestione del conflitto da parte della Santa Sede, la ferma volontà del custode di mantener fede agli ordini ricevuti all’atto della sua nomina, le lunghe assenze di Valerga da Gerusalemme e l’arrivo in diocesi di un più accondiscendente ecclesiastico in qualità di vescovo coadiutore, il futuro patriarca Vincenzo Bracco. Il 1° dicembre 1872 il patriarca scomparve non ancora sessantenne, lasciando un’eredità spirituale di tutto rispetto: i missionari del Patriarcato erano divenuti 25 (16 europei e 9 indigeni). Il seminario aveva già formato nove tra sacerdoti e diaconi e in esso vi studiavano altri 31 allievi. Le parrocchie patriarcali erano divenute dieci: Beit Jala, Beit Sahur, Ramallah, Lydda, Gifneh, Birzeit, Taibeh, Nablus, Giaffa di Galilea e Salt. Esse erano formate da una “casa pel missionario, [una] chiesa, [un] oratorio” e una scuola e andavano ad aggiungersi alle sette gestite direttamente dai francescani e a quella di Haifa di cui dal XVII secolo avevano cura i carmelitani. Il numero di fedeli della diocesi era più che duplicato rispetto al 1847, raggiungendo la quota di 8.170, 2.379 dei quali erano “il risultato delle nuove missioni fondate [dal Patriarcato] nei villaggi greco-scismatici”43. XII. La comunità cattolica di rito latino durante il governo di mons. Vincenzo Bracco (1873-1889) Durante il governo di mons. Bracco (1873-1889) non si verificarono contrasti significativi tra Patriarcato e Custodia. La diocesi poté svilupparsi ulteriormente, con la fondazione di altre tredici parrocchie. Sei di esse sorsero al di là del Giordano, dove i protestanti si erano da tempo insediati e dove il cattolicesimo – che vi era praticamente scomparso con la cacciata dei crociati44 – conobbe una vera e propria rinascita a spese dei cristiani locali di altre denominazioni. Un altro fenomeno importante fu l’arrivo di ben tredici congregazioni religiose in Terra Santa, sei femminili e sette maschili45. All’inizio degli anni Settanta divennero ancor più forti i timori della Santa Sede per la penetrazione degli ortodossi russi e dei protestanti in Terra Santa. Il patriarca Bracco, tuttavia, nutriva qualche timore solo per i secondi, che superavano la Chiesa cattolica nella quantità degli “stabilimenti filantropici”. Di essi, “più di ogni altra cosa”, c’era da temere il “sistema di immigrazione e di colonizzazione”. Il “progresso” di protestanti e ortodossi era comunque “più materiale che formale”. Quello della Chiesa cattolica, invece, dopo il ristabilimento del Patriarcato era molto più sostanziale: a Gerusalemme esistevano già “cinque belle chiese”, erano state aperte numerose missioni e un seminario per la formazione del clero indigeno, “che funzionava egregiamente”. Quest’ultima istituzione doveva essere ulteriormente sviluppata, garantendo ai sacerdoti secolari da essa formati “i mezzi per poter adempiere alla loro missione”. Un massiccio invio di religiosi di altri Ordini, adombrato dalla Santa Sede su pressione della Francia, era del tutto superfluo. Casomai, per contrapporsi validamente alle iniziative dei protestanti si sarebbe dovuta promuovere “l’immigrazione e la colonizzazione di cattolici buoni” e la creazione di “imprese agricole e commerciali” tra i fedeli “indigeni” della diocesi46. Due anni dopo mons. Bracco ritornò sulla questione, inducendo ad affidare le scuole maschili della Custodia all’Ordine religioso insegnante dei frères des écoles chrétiennes 47 . L’idea dell’immigrazione e della colonizzazione cattolica, invece, suscitò numerose perplessità tra i cardinali della Congregazione, stante la difficoltà di reperire adeguati finanziamenti per metterla in pratica. Negli anni successivi la Santa Sede permise l’invio di altri ordini religiosi in Terra Santa, nell’intento di contrastare la “propaganda” protestante, l’”invadenza” degli ortodossi russi e locali e 43 ACPF, SC, TSC (Terra Santa e Cipro) (1866-1874), vol. 24, Valerga a Simeoni, 24 aprile 1869, 403-405. Esisteva solo la parrocchia di Salt, che Valerga aveva fondato pochi anni prima (1866) e che all’epoca era costituita da un esiguo numero di fedeli. 45 Cfr. Le Patriarcat Latin de Jérusalem: statistique générale, Jérusalem, Typ. Franciscan T.S., 1928, 8. 46 Cfr. ACPF, Acta, vol. 259 (1889), Bracco a Barnabò, 10 luglio 1873, Gerusalemme, 853-855. 47 Cfr. ACPF, Acta, vol. 259 (1889), Bracco a Franchi, 8 ottobre 1875, Gerusalemme, 857. 44 l’attività di certi coloni ebraici pre-sionisti. Tutti e tre questi “nemici della Chiesa” tendevano “a conquistare più diritti e più influenza possibile in Palestina, aumentando continuamente “il numero delle loro proprietà immobiliari e terriere”. I templari tedeschi possedevano ben cinque colonie agricole molto fiorenti ed erano in procinto di impiantarne altre sotto gli auspici del governo germanico. Queste colonie erano dei veri e propri “focolai di protestantesimo”, perché di esse facevano parte anche un buon numero di “predicatori”. Gli ebrei, dal canto loro, non potendo contare “sulla potenza delle armi per conquistare la loro antica patria”, avevano pensato di servirsi del denaro: “i loro grandi capitalisti” sovvenzionavano lautamente l’Alliance Israélite Universelle e ogni anno nascevano “nuove colonie ebraiche su qualche parte della Palestina”, dotate di “una meravigliosa organizzazione48. A Propaganda Fide, tuttavia, preoccupava soprattutto l’attività della Chiesa russa. Mons. Piavi49, mons. Corbelli 50 e il custode di Terra Santa, padre Giacomo da Castelmadama (1888-1894), manifestavano forti timori per l’estendersi dell’attività russa e ritenevano che per opporsi ad essa non esistesse “altro argine che l’azione del governo francese” nel suo ruolo di protettore degli interessi cattolici nell’impero ottomano. Il custode riteneva che per contrastare la Società russa di Palestina si dovesse fondare un’analoga società con sede a Roma, mediante la quale coadiuvare i cattolici latini nella “rivendicazione e nel mantenimento dei santuari, nella fondazione di colonie agricole e nella promozione del pellegrinaggio cattolico per la visita ai Luoghi Santi”51. Mons. Bracco riteneva invece che si dovesse solo suscitare nel governo francese un maggior impegno nell’esercitare il protettorato. La Chiesa russa nell’ultimo ventennio aveva acquistato qualche proprietà nei pressi del Santo Sepolcro e nella parte ovest di Gerusalemme, ma solo per ospitare i numerosissimi pellegrini che il governo di Mosca inviava annualmente in Terra Santa. Non era entrata in possesso di alcun santuario, non aveva fatto opera di proselitismo né fondato colonie. Perciò, non era conveniente “un impulso da parte dei cattolici per moltiplicare gli stabilimenti” educativi e caritativi. Ad avviso del patriarca, non era nemmeno necessario “promuovere colonie agricole” per opporsi all’attività protestante, dato che le “grandi difficoltà” incontrate da quelle tedesche facevano “perdere la voglia ad altri di imitarne l’esempio”52. Propaganda Fide, riunitasi in Congregazione generale tra la fine del 1889 e l’inizio del 1890, ritenne più saggi i consigli del custode e dei due vicari apostolici. Essa reputò necessario “promuovere lo stabilimento di colonie” agricole cattoliche in Terra Santa inviando nella regione dei religiosi della trappa, finanziando l’Opera della Sacra Famiglia del canonico patriarcale don A. Belloni dedita da tempo a quel tipo di attività e inducendo i francescani a cooperare in vista del conseguimento di quell’obiettivo. Decise anche di favorire “l’introduzione” in Palestina di altri istituti religiosi e di “provvedere all’aumento del Clero secolare del Patriarcato Gerosolimitano” attraverso un “extraordinarium subsidium pro Seminario Patriarcali”53. XIII. Situazione della diocesi al momento dell’elezione del patriarca Ludovico Piavi (1889-1905) All’atto della sua elezione (20 novembre 1889), il patriarca Piavi trovò una diocesi in piena espansione. Al tempo, su una popolazione totale di 850.000 persone, gli abitanti cristiani di Palestina e Transgiordania54 erano circa 70.00055. I greco-ortodossi erano intorno alle 40.000 unità, 48 Cfr. ACPF, Acta, vol. 259 (1889), patriarca armeno cattolico Azarian all’incaricato d’affari francese presso il sultano, Costantinopoli, 1° dicembre 1888, 864-865. 49 Un religioso francescano che all’epoca esercitava la carica di vicario e delegato apostolico per la Siria ed era in procinto di essere nominato patriarca latino di Gerusalemme. 50 Vicario apostolico d’Egitto. 51 Cfr. ACPF, Acta, vol. 259 (1889), Giacomo da Castelmadama a Jacobini, 22 maggio 1889, 876-880. 52 Cfr. ACPF, Acta, vol. 259 (1889), Bracco a Jacobini, Gerusalemme, 15 maggio 1889, 871. Questo fu uno degli ultimi documenti redatti da mons. Bracco prima della sua morte. 53 Cfr. ACPF, vol. 259 (1889), “Relazione con sommario sullo stato della missione di Terra Santa e sui provvedimenti che credonsi necessari per il maggior vantaggio della medesima”, 20 dicembre 1889-5 gennaio 1890, 825-826. 54 Gli abitanti della Transgiordania erano appena 100.000. i protestanti 2.800, gli armeni 750, mentre copti e abissini non superavano assieme le 300 unità. I cattolici erano 27.250 (tra questi, oltre ai latini, figuravano 12.000 melchiti, 1.050 maroniti e poche decine di armeni e di siriani). I fedeli della diocesi patriarcale latina di Gerusalemme erano 13.820, 4.483 dei quali amministrati dai sacerdoti secolari del Patriarcato56, 8.895 dai francescani e 442 dai carmelitani di Haifa. Le missioni patriarcali più importanti erano quelle di Salt (638 fedeli), Beit Jalah (480), Ramallah (290), Hosson (267), Gifneh (240), Giaffa di Galilea (238), Rene (226), Madama (223), Zababde (222) e Bir Zeit (218). Le parrocchie francescane più numerose erano invece quele di Betlemme (3612 fedeli), Gerusalemme (2.105), Nazaret (1.229), Giaffa (640) e Larnaca (432)57. I due predecessori di Piavi avevano già fondato 25 missioni (sette delle quali Oltregiordano). Dal Patriarcato dipendevano anche 40 scuole parrocchiali e un ospedale con 40 posti letto, retto dalle suore di S. Giuseppe dell’Apparizione. Il clero patriarcale si componeva di 46 sacerdoti, 33 dei quali servivano nelle missioni, otto erano adibiti “alla Curia e al servizio della Chiesa” e cinque al seminario (altri otto preti maroniti operavano nelle missioni patriarcali a fianco di quelli di rito latino). I francescani erano 414, 171 dei quali sacerdoti, 151 laici, 28 chierici e 13 novizi58. Di essi, 60 erano missionari e 40 addetti all’ufficiatura dei santuari, i più importanti dei quali erano il Santo Sepolcro, il giardino del Getsemani, la chiesa della Flagellazione e la grotta dell’Agonia a Gerusalemme, il luogo della Visitazione di S. Elisabetta e della Natività del Battista a Ein Karem, la grotta della Natività e quella dei Pastori a Betlemme, la basilica dell’Annunciazione a Nazaret, il luogo della Trasfigurazione sul monte Tabor (Galilea) e il sepolcro di Lazzaro a Betania. Il Patriarcato versava in una difficile situazione finanziaria. Le spese per il gran numero di missioni e di scuole istituite da mons. Bracco avevano esaurito le risorse finanziarie. Nel seminario studiavano 26 alunni. Esso fino a quel momento aveva formato 22 sacerdoti di origine locale (un’altra quarantina di allievi avevano abbandonato gli studi). Il risultato era ancor più “modesto” di quanto poteva apparire da queste cifre. Nel complesso il “valore morale e intellettuale” dei “preti” era “sotto il mediocre”. Ciò dipendeva soprattutto dalla speciale condizione dei cattolici palestinesi. Essi erano poveri e “abituati a vivere colle elemosine dei Conventi delle varie Comunità religiose” e si avvicinavano al seminario solo “per [s]campare dalla miseria e per fare del sacerdozio un mestiere”59. Secondo Piavi, ferma restando la necessità di “avere una parte del clero formata da indigeni”, era necessario che nel seminario “l’elemento europeo” fosse numericamente superiore a quello locale, dato che quest’ultimo aveva “grande bisogno di essere diretto e sostenuto” e raramente forniva ecclesiastici di cui fosse possibile fidarsi completamente. Una delle più importanti Congregazioni religiose giunte in Terra Santa al tempo di mons. Bracco era quella dei fratelli delle scuole cristiane (22 religiosi in totale, tutti dediti all’insegnamento)60. I frères si erano stabiliti a Gerusalemme nel 1878, dove gestivano una scuola con 120 allievi61, e un noviziato per il reclutamento di giovanetti orientali; a Giaffa i frères erano arrivati nel 1882 (vi dirigevano una scuola con 180 allievi) e a Haifa l’anno successivo (avevano una scuola con 150 allievi). Altra presenza rilevante erano i missionari d’Africa (padri bianchi), che dal 1882 62 gestivano l’importante seminario melchita attiguo alla chiesa crociata di S. Anna (o chiesa della Natività della Vergine) e alla piscina probatica. Il complesso era stato donato alla Francia dagli 55 I musulmani erano 688.000 e gli ebrei 92.000. Questi 4.483 fedeli erano tutti greco-ortodossi passati al cattolicesimo in seguito all’opera costante di proselitismo dei missionari del Patriarcato latino. 57 ACPF, Acta, vol. 260 (1890), “Relazione sullo stato del Patriarcato latino”, 337-339. 58 Il dato ufficiale della Custodia era leggermente diverso: 431 religiosi, 171 dei quali sacerdoti, 38 chierici, 153 laici, 52 terziari e 17 postulanti. Cfr. Famiglie religiose del 28 giugno 1890, Gerusalemme, Tipografia dei Francescani, 1890, 54. 59 ACPF, Acta, vol. 260 (1890), “Relazione sullo stato del Patriarcato latino”, Gerusalemme, s.d., 331-334. 60 Essi erano coadiuvati da tre sacerdoti maroniti per l’insegnamento della lingua araba. 61 L’insegnamento era quasi esclusivamente in lingua francese. 62 Erano giunti appena quattro anni prima. 56 ottomani nel 1856, come riconoscimento per l’aiuto ricevuto in occasione della guerra di Crimea. Il seminario era gestito da dodici religiosi sacerdoti e da un prete melchita ed era sostentato dal governo di Parigi con 12.000 franchi annui. Gli ottanta allievi che lo frequentavano ricevevano l’insegnamento in lingua francese, ma vi si studiava anche il greco, l’arabo e nozioni di latino. Notevole anche l’attività delle suore di S. Giuseppe, chiamate nel 1848 per gestire le scuole femminili francescane. Si trattava di 40 religiose, divise tra Gerusalemme (dove gestivano una scuola, un ospedale e un orfanotrofio)63, Giaffa (scuola, ospedale e orfanotrofio), Betlemme (scuola e orfanotrofio), Ramleh (scuola, orfanotrofio e farmacia) e Ramallah (scuola). Anche le suore del Rosario, istituite nel 1880 dal sacerdote del Patriarcato latino don Giuseppe Tannus, si occupavano dell’insegnamento. Esse erano 2664, dipendevano interamente dal Patriarcato stesso ed operavano in sette missioni, soprattutto Oltregiordano65. Le suore di Sion, giunte nel 1856 per dedicarsi alla conversione degli ebrei, si erano stabilite all’Ecce Homo sulla via Dolorosa ed erano in tutto una trentina. A Gerusalemme esse dirigevano un orfanotrofio con un’ottantina di orfane maronite e una decina di ebree e a Ein Karem un altro orfanotrofio e una scuola. I loro tentativi di conversione si erano però rivelati altrettanto fallimentari di quelli della ben più sperimentata e organizzata missione anglicano-luterana aperta a Gerusalemme nel 184166. Affrontando la questione dei Luoghi Santi, mons. Piavi precisava che la Santa Sede non li aveva tolti ai francescani al momento del ristabilimento del Patriarcato, e nemmeno attraverso l’emanazione della copiosa legislazione canonica degli anni seguenti. Ciò però non significava che il patriarca gerosolimitano – nella sua qualità di ordinario della diocesi – non avesse il diritto di esercitarvi qualche influenza. Tuttavia, “siccome di fatto il Patriarca non è tenuto al corrente di tutte le questioni suddette, [...] nelle eventuali contingenze dei grandi affari” la questione era trattata dal custode di Terra Santa e dal console di Francia a Gerusalemme e per mezzo di quest’ultimo fra la Santa Sede e la Francia67. Piavi considerava il protettorato religioso ancora necessario, nonostante le radicali riforme attuate dalla Porta a partire dal 1856. Il patriarca avrebbe però desiderato che la Francia lo esercitasse per il “bene della religione”, e non per l’utile che poteva “cavarne” in termini di “prestigio e d’influenza”. Lo “zelo eccessivo” che negli ultimi decenni il governo di Parigi aveva manifestato introducendo a quello scopo in tutto l’impero numerose Congregazioni francesi aveva fatto sì che il sultano considerasse ormai i missionari come “semplici istrumenti di politica, [...] inviati per preparare il terreno ad una potenza estera sospetta”. Il risultato era che adesso il sultano faceva di tutto per rendere la vita difficile ai missionari cattolici che operavano nei suoi territori. In Terra Santa la Francia usava le sue Congregazioni nazionali contro la Custodia, che considerava un’istituzione italiana e che non aveva mai potuto “ridurre alla condizione di comunità nazionale francese”68. A questo generale movimento verso la Palestina la Santa Sede non aveva potuto opporre eccessive resistenze. Tuttavia, aveva saggiamente posto la condizione che le nuove Congregazioni non dovessero avere alcun diritto sulle donazioni che annualmente giungevano in Terra Santa a beneficio delle attività della diocesi, le quali venivano versate nella cassa della Custodia e in parte ridistribuite al Patriarcato. Il problema era che adesso le nuove comunità avanzavano pretese in tal senso con il pretesto di aver scoperto anch’esse importanti santuari (dodici in totale, tra i quali quello l’Ecce Homo, del Credo e del Pater), sull’autenticità dei quali il patriarca avanzava seri dubbi69. Un altro effetto estremamente pernicioso della presenza di numerose comunità latine nella 63 L’ospedale che gestivano a Gerusalemme era quello patriarcale. Più alcune novizie. 65 Le suore del Rosario conobbero un notevole sviluppo negli anni successivi. Alla fine del secolo esse operavano in dodici scuole patriarcali, le più importanti delle quali erano Salt (161 allievi in due scuole), Bir Zeit (49), Bait Sahur (43), Zababdeh (67), Nablus (57), Giaffa di Galilea (64) e Gifne (47). Cfr. AMAEF, CPC (Correspondance Politique et Commerciale), Turquie, NS (Nouvelle Série), vol. 129, dis. n. 585, Ledoulx a Hanotaux, 8 gennaio 1896. 66 ACPF, Acta, vol. 260 (1890), “Relazione sullo stato del Patriarcato latino”, 340-342. 67 Ibid., 345. 68 Ibid., 354-355. 69 Ibid., 346-347. 64 diocesi era la “moltitudine delle cappelle [da esse] aperte al pubblico culto”; un fenomeno che aveva sottratto molti fedeli alla chiesa parrocchiale di Gerusalemme e alla concattedrale patriarcale, dove ormai francescani e clero secolare erano “ridotti a funzionare a chiesa vuota”. Piavi si rendeva conto di non essere in grado di rimettere in discussione la situazione politicoreligiosa esistente e si rassegnava a doverne subire gli effetti. Tuttavia, per il “bene della religione”, in quanto ordinario del luogo avrebbe desiderato coordinare e “mantenere nei loro limiti secondo il diritto comune” tutta questa pletora di istituti religiosi. In ogni caso, egli avvertiva che per il bene della Chiesa il pontefice non avrebbe dovuto più “in alcun modo cedere [...] con permettere l’accesso a nuove Congregazioni in un terreno anche troppo disputato”70. XIV. Crescita della diocesi e sviluppi diplomatici durante il governo dei patriarchi Piavi (18891905) e Camassei (1906-1919) Durante i trent’anni compresi tra il 1889 e il 1919 la diocesi patriarcale latina di Gerusalemme progredì più lentamente rispetto ai quarant’anni in cui avevano governato i patriarchi Valerga e Bracco (1848-1889). Furono aperte solo quattro nuove parrocchie, tutte al tempo del patriarca Camassei. Molto maggiore fu invece l’afflusso di congregazioni religiose latine (quindici in totale): quelle maschili che giunsero al tempo di Piavi – tutte molto importanti – furono sette (quattro francesi, una italiana e una tedesca) e quelle femminili tre (due italiane e una francese). La congregazione italiana fu quella dei salesiani (1891) – molto dinamica e dedita soprattutto ad attività scolastiche e assistenziali 71 – mentre tra quelle francesi si segnalarono soprattutto i lazzaristi, i trappisti e i benedettini (1899)72. Questi ultimi, in particolare, nel 1903 aprirono sul monte degli Ulivi un seminario per i siriani cattolici che – assieme a quello inaugurato diversi anni prima dai padri bianchi73 – ebbe la funzione di istruire sacerdoti mediante metodi più consoni alla 70 Ibid., 349-351. Sorprendentemente, negli anni novanta dell’ottocento la Francia prese a finanziare con 3.000 franchi annui anche le scuole agricole e gli orfanotrofi gestiti dai salesiani a Betlemme, Cremisan e Beit Jamal (250 allievi e 35 maestri in totale), che avevano “complètement modifié leur esprit et leur attitude “, tanto che il console li assimilava ormai a dei veri e propri “établissements nationaux” francesi: “la langue française a été substitué à la langue italienne et l’enseignement qu’y reçoivent les enfants contribue aujourd’hui au développement de notre influence”. AMAEF, CPC, Turquie, NS, vol. 129, dis. n. 585, Ledoulx a Hanotaux, 8 gennaio 1896. A dimostrazione del fatto che le convinzioni del console erano del tutto errate, dopo che fu siglato l’accordo italo-francese sul protettorato religioso (1905), i salesiani chiesero immediatamente di passare sotto la protezione dell’Italia. Betlemme, all’epoca, continuava ad essere il centro della loro attività. Essi vi gestivano un orfanotrofio con 94 fanciulli, un collegio-convitto con 35 alunni e una scuola di arti e mestieri con 196 alunni. Questi istituti erano diretti da 37 religiosi e 20 suore salesiane, dette di Maria Ausiliatrice. A Beit Jamal i salesiani avevano una scuola agricola frequentata da 44 allievi e gestita da 12 religiosi. A Cremisan, invece, c’era il noviziato salesiano, frequentato da 32 novizi e gestito da 7 religiosi. Nelle scuole dei salesiani, in seguito ad un espresso accordo con l’Associazione Nazionale per i Missionari Italiani che li finanziava, doveva essere insegnato l’italiano, anche se le famiglie degli allievi spingevano i religiosi a prediligere l’insegnamento del francese. Cfr. ASMEI (Archivio del Ministero degli Affari Esteri Italiano), Ambasciata Italiana in Turchia, dis. N.640/63, Gavotti a Imperiali, Gerusalemme, 10 dicembre 1904. 72 Come si vede, l’auspicio di Piavi limitare l’arrivo delle Congregazioni religiose in Terra Santa non fu per nulla soddisfatto. 73 Le autorità francesi continuarono sempre a considerare il seminario melchita dei padri bianchi uno dei migliori strumenti di penetrazione nel Levante di cui disponessero. Come scrisse nel 1896 il console francese a Gerusalemme Charles Ledoulx, lo scopo di questa istituzione era di impartire ai giovani seminaristi di rito greco-cattolico “une éducation conforme à nos principes, de leur apprendre notre langue et, par suite, d’en faire des précieux auxiliaires pour le développement de notre influence en Orient. Ce but a été entièrement atteint: aujourd’hui ces jeunes gens, dont le nombre augmente chaque année, fournissent des prêtres instruits, dévoués à notre cause, capables en un mot de rendre les plus grandes services, en Syrie, en Palestine et dans les autres contrées d’Orient où leur ministère peut être employé”. L’istituzione si divideva in un “Piccolo seminario” – che nel 1896 comprendeva 88 allievi – e in un “Grande seminario” formato da 30 allievi. Nel primo si insegnavano materie letterarie, le lingue francese, greca e araba, le scienze e la musica vocale e strumentale e nel secondo si aggiungevano la lingua latina, le scienze naturali, la filosofia e la teologia. Gli insegnanti all’epoca erano 25 (19 francesi e 6 indigeni). Il successo dell’istituzione era tale che i padri bianchi, servendosi di allocazioni straordinarie del governo francese – che andavano ad aggiungersi a quelle ordinarie che giungevano copiose ogni anno da Parigi (25.000 franchi) – intrapresero in quegli anni notevoli opere di 71 peculiare situazione del paese. Tra le cinque congregazioni giunte al tempo Camassei – tutte femminili (tre italiane e due francesi)- figuravano le suore d’Ivrea e quelle del Cottolengo, giunte però dopo la fine della prima guerra mondiale74. All’inizio del novecento la Francia conseguì un importante successo diplomatico stipulando con la Porta il trattato di Mitilene (12 novembre 1901). Con questo documento il sultano confermava i privilegi e le esenzioni doganali e fondiarie godute da tutte le istituzioni cattoliche che fruivano della protezione del governo di Parigi; riconosceva ufficialmente quegli istituti religiosi, caritativi e scolastici che fino a quel momento si trovavano senza autorizzazione e, infine, autorizzava la costruzione, l’ingrandimento o il restauro di tutte queste istituzioni – specificamente indicate in una lunga lista annessa al trattato –, riconoscendone l’esistenza legale nelle loro future dimensioni75. Tuttavia, in questo periodo l’influenza del governo di Parigi in Terra Santa iniziò a declinare, soprattutto a causa di tre fattori: innanzitutto l’alleanza stipulata da esso con la Russia, che gli impedì di esercitare il protettorato religioso nella maniera efficace di un tempo; la caparbia opera di penetrazione intrapresa nel Levante dall’Italia e dalla Germania – che assieme all’Austria-Ungheria dal 1882 facevano parte della Triplice Alleanza –, le quali attaccarono frontalmente e con un certo successo il protettorato francese; infine, la legislazione separatista adottata dal parlamento subalpino76, che portò alla rottura delle relazioni diplomatiche tra Francia e Santa Sede. Particolarmente esiziale per la politica francese in oriente si rivelò la legge del 1905 sulla separazione tra stato e chiesa, della quale gli ecclesiastici italiani degli istituti francesi e le congregazioni italiane approfittarono per invocare la protezione delle autorità diplomatiche e consolari della propria nazione. Di fronte a questa situazione, la Francia si trovò senza nessun rappresentante presso la Santa Sede che tutelasse i propri interessi religiosi. Perciò, per arginare l’attacco al suo protettorato esclusivo dovette risolversi a stipulare un accordo con l’Italia. I negoziati iniziarono nel febbraio 1905 e si conclusero l’agosto successivo. L’intesa prevedeva che l’Italia avrebbe potuto assumere direttamente la protezione dei religiosi e degli istituti italiani che ne facessero esplicita richiesta. Il passaggio delle collettività religiose italiane dal protettorato francese a quello italiano diventava, così, un diritto acquisito e riconosciuto da un accordo internazionale. Solo la Custodia di Terra Santa, nella sua qualità di provincia religiosa a carattere internazionale, fu esclusa dall’accordo e rimase sotto la protezione francese77. Questo trattato mise fine – ufficialmente e giuridicamente – al monopolio del protettorato cattolico francese. Esso fu riconosciuto anche dal sultano e si tradusse praticamente “in una spartizione tra Francia e Italia della rappresentanza internazionale della Santa Sede presso l’impero ottomano “78. Da questo momento, anche il governo italiano cominciò a incrementare notevolmente le sue attività in Terra Santa per affermarvi la propria presenza, usando i metodi usuali già sperimentati dalle altre ingrandimento delle aule e dei locali per alloggiare gli studenti. Un’altra attività per la quale i padri bianchi ricevevano finanziamenti (3.000 franchi annui) erano gli speciali corsi di lingua francese gratuiti, ai quali partecipavano membri delle classi più elevate della società palestinese e funzionari ottomani che ne necessitavano per motivi professionali. AMAEF, CPC, Turquie, NS, vol. 129, dis. n. 585, Ledoulx a Hanotaux, 8 gennaio 1896. 74 Le Patriarcat Latin de Jérusalem: statistique générale, Jérusalem, Typ. Franciscan T. S., 1928, 8. 75 Cfr. J. THOBIE, Intérêts et impérialisme français dans l’empire ottoman, Paris, Publ. de la Sorbonne, 1977, 562-583. 76 In seguito alla legge sulle associazioni religiose approvata in Francia nel 1903, non fu possibile garantire l’arrivo massiccio di nuovi religiosi in Terra Santa poiché – scrisse il console francese a Gerusalemme – “les communautés qui subsistent en Palestine ne peuvent plus se recruter au moyen des noviciats”. Le varie congregazioni religiose si procacciavano risorse per le loro attività presso le loro case madri in Francia o mediante la carità privata; ma le varie case madri erano state costrette a lasciare il territorio francese e ciò aveva assorbito molte delle loro risorse ed attirato a sé gran parte delle elemosine private. L’invio di denaro in Palestina era perciò cessato. Il console prevedeva che sarebbe presto stata dichiarata una guerra ai religiosi francesi, che si erano stabiliti in Terra Santa a dispetto della Custodia e del Patriarcato latino. Essi non avrebbero avuto più in Vaticano gli appoggi per resistere agli intrighi dei francescani e sarebbero stati presto costretti a lasciare il posto ai missionari italiani e tedeschi, che la Santa Sede non avrebbe avuto più remore a sostenere. Cfr. AMAEF (Nantes), NS, SS (Sainte Siège), vol. 80, dis. N.78, Boppe al Quay d’Orsay, Gerusalemme, 6 luglio 1903. 77 Cfr. J. HAJJAR, Le Vatican, la France et le catholicisme oriental (1878-1914), Paris, Beauchesne, 1979, 275-277. Per l’abbondante documentazione archivistica italiana in merito cfr. ASMEI, Serie Politica “P”, vol. 558. 78 L.A. MISSIR, Eglises et état en Turquie et au Proche Orient, Bruxelles, Dembla, 1973, 155. potenze: fondazione di scuole, ospedali, istituti di educazione e di carità, nei quali prestavano la loro opera religiosi italiani di varie congregazioni, tra i quali si distinsero i salesiani e i carmelitani. Nel contempo i padri assunzionisti – che avevano costruito un grande ospizio per i pellegrini francesi immediatamente fuori dalle mura di Gerusalemme, di fronte alla porta Nuova – non riuscivano a portare in Terra Santa più di 500 persone l’anno, laddove nello stesso periodo giungevano nella regione non meno di 12.000 russi79. Un altro parziale fallimento per la politica di penetrazione della Francia in Terra Santa risultò la scuola di studi biblici dei domenicani. Il suo ambizioso programma, infatti, non riscosse il successo sperato, dato che ai corsi da essa istituiti non partecipavano più di una dozzina di allievi l’anno80. Come portabandiera della Francia in Terra Santa tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX rimasero soprattutto i padri bianchi, i frères des écoles chrétiennes81, le suore di S. Giuseppe dell’Apparizione82, le suore di S. Vincenzo di Paola83 e, in misura minore, i padri e le suore di Ratisbonne84. XV. Effetti del primo conflitto mondiale sulla comunità cattolica di Terra Santa (1914-1917) Il 2 agosto 1914 la Turchia strinse un’alleanza militare con la Germania e l’8 settembre successivo decise di abolire unilateralmente le capitolazioni. Tutte le prerogative godute per secoli dagli occidentali in territorio ottomano erano cancellate. La “convenzione di Mytilene” non era più riconosciuta e con essa i privilegi di extraterritorialità garantiti ai cittadini stranieri e alle istituzioni religiose cattoliche. 79 Cfr. M. PERNOT, Rapport sur un voyage d’étude à Constantinople en Egypte, et en Turquie d’Asie (Janvier-Août 1912), Paris, Firmin-Didot, 1913, 124; R. TRITONJ, Come va risolta la questione dei Luoghi Santi, Roma, Rassegna Italiana, 1925, 222 e S. COLBY, A History of the Christian Presence in the Holy Land, New York, University Press of America, 1988, 108. 80 L’istituzione, comunque, era molto reputata per l’elevata qualità dei docenti, delle pubblicazioni e degli studi impartiti. Vi si insegnavano materie come introduzione ed esegesi dell’Antico e Nuovo Testamento, archeologia biblica e orientale, geografia della Palestina, topografia di Gerusalemme e lingue come l’ebraico, il greco, l’arabo, il copto, il siriaco e l’assiro. 81 Il numero di allievi che alla fine del XIX secolo frequentavano le scuole dei frères era ulteriormente aumentato, nonostante la strenua concorrenza di nuovi istituti d’insegnamento fondati dai protestanti, dai russi e dalle altre Congregazioni cattoliche. La Francia – che li finanziava generosamente (6.500 franchi per ognuna delle loro tre importanti istituzioni) – aveva imposto loro “la gratuité la plus absolue” del loro insegnamento. L’istruzione era ovviamente impartita in lingua francese e comprendeva lo stesso programma delle scuole primarie di Francia. A Gerusalemme, 242 allievi “de toutes religions et nationalités” frequentavano le loro scuole (gli insegnanti erano dieci, cinque dei quali indigeni). Anche la scuola di Giaffa, nella quale insegnavano 38 professori e studiavano 306 allievi, era completamente gratuita ed in continua espansione, per la “réelle superiorité de la méthode [...] et par l’esprit large et liberal” dei religiosi, che aveva conquistato la stima e la considerazione dei cristiani di tutte le denominazioni. La Congregazione dei frères aveva anche iniziato a gestire una “École normale” a Betlemme, alla quale si erano già iscritti 33 allievi. La sua importanza risiedeva nel fatto che essa avrebbe formato degli istitutori indigeni per varie scuole disseminate in tutto il Levante e, quindi, come nel caso del seminario melchita, il suo ruolo per il prestigio della Francia nella regione travalicava i ristretti limiti della Palestina. AMAEF, CPC, Turquie, NS, vol. 129, dis. n. 585, Ledoulx a Hanotaux, 8 gennaio 1896. 82 Le suore di S. Giuseppe dell’Apparizione alla fine del secolo XIX erano diffuse non solo a Gerusalemme, Betlemme, Giaffa, Ramallah, Beit Jalah e Ramleh (scuole parrocchiali), ma anche nelle località “les plus ingrates et les moins productives de la Palestine” . Le religiose gestivano anche un orfanotrofio con 50 bambini e l’ospedale patriarcale di Saint Louis – uno dei migliori della Palestina –, dove nel 1896 erano stati curati 63.062 malati. AMAEF, CPC, Turquie, NS, vol. 129, dis. n. 585, Ledoulx a Hanotaux, 8 gennaio 1896. 83 Le suore di S. Vincenzo di Paola gestivano un efficiente ospedale a Betlemme – 23.965 ricoveri e 1.498 visite a domicilio nel 1895 –, e un ospizio a Gerusalemme frequentato da 112.464. malati, che dava anche “ricetto” a 82 bambini abbandonati e a 36 anziani affetti da malattie incurabili. AMAEF, CPC, Turquie, NS, vol. 129, dis. n. 585, Ledoulx a Hanotaux, 8 gennaio 1896. 84 I padri di Ratisbonne gestivano un orfanotrofio a Gerusalemme con 68 orfani (8 dei quali ebrei), mentre le suore di Sion ne avevano uno nella Città Santa e uno a Ein Karem, per un totale di 134 orfane. Oltre all’istruzione primaria, in questi istituti si insegnavano varie “arti e mestieri”, per permettere ai fanciulli di poter più facilmente trovare un lavoro una volta divenuti adulti. A Ein Karem le suore gestivano anche un dispensario che somministrava cure a una settantina di cristiani e musulmani locali. AMAEF, CPC, Turquie, NS, vol. 129, dis. n. 585, Ledoulx a Hanotaux, 8 gennaio 1896. L’8 novembre – immediatamente dopo l’entrata in guerra della Turchia a fianco di Austria e Germania – iniziò la requisizione degli stabilimenti francesi, che le autorità di Istanbul adibirono a vari usi civili, religiosi o militari; seguirono a ruota diverse chiese parrocchiali, cappelle, scuole e orfanotrofi francescani in Oriente che, in quanto “figuranti nella lista degli istituti [...] annessa all’accordo di Mitilene”, furono anch’essi considerati “come istituti francesi”. Già il 3 novembre il governatore civile di Gerusalemme aveva suggerito a mons. Camassei e al custode di Terra Santa Serafino Cimino di radunare all’interno delle mura tutte le comunità religiose della città e dei dintorni, “onde poterle proteggere in caso di sollevazione del popolo o di violenze da parte delle truppe” in arrivo. Il patriarca, su suggerimento del custode, decise di far rifugiare nella Casanova e nel convento di S. Salvatore buona parte dei religiosi degli istituti maschili e femminili di Gerusalemme. Nell’ospizio dei frati della Custodia trovarono rifugio tra l’altro le suore di S. Giuseppe dell’Apparizione85, le carmelitane del Pater86, le benedettine del Calvario87, le francescane missionarie d’Egitto e le clarisse88. A S. Salvatore vennero invece ospitati solo i padri bianchi e i benedettini del monte degli Olivi con gli allievi del loro seminario sirocattolico 89 , mentre i padri di Sion ripararono a Notre Dame de France, dagli agostiniani dell’Assunzione90. Il 27 novembre 1914 le autorità ottomane si impadronirono di molti conventi, scuole e orfanotrofi, con l’esclusione di quelli appartenenti a congregazioni austriache e tedesche. Furono soprattutto razziate la mobilia e le forniture scolastiche, con il pretesto che si trattasse di materiale necessario alle truppe. In particolare, i fratelli delle scuole cristiane dovettero chiudere le loro prestigiose scuole, alcune delle quali furono riconvertite in istituti d’insegnamento islamici. Gli assunzionisti di Notre Dame de France dovettero ritirarsi in alcune stanze del loro grande ospizio, che venne trasformato in stato maggiore dell’esercito in preparazione della progettata campagna verso l’Egitto. Il seminario melchita di S. Anna fu invece convertito in madrasa91. L’attigua chiesa crociata – nonostante notabili e religiosi musulmani locali (arabi) ne avessero chiesto a gran voce la trasformazione in moschea92 – per volere del ministro della marina e comandate in capo dell’armata turca di Siria e Palestina Jamal Pasha, fu momentaneamente chiusa ma non sottratta al culto cattolico93. 85 Si trattava di 66 suore in totale, in gran parte francesi, dedite alla gestione di scuole e ospedali. Il santuario del Pater era situato sul monte degli Ulivi. Le religiose erano 20 in totale, quasi tutte francesi. 87 Esse erano una quindicina e dirigevano un piccolo orfanotrofio greco-cattolico con una ventina di piccoli ospiti. 88 Le clarisse (22 francesi e 2 indigene) avevano un importante convento non lontano dalla stazione ferroviaria di Gerusalemme, sulla strada Gerusalemme-Betlemme. 89 I padri bianchi erano 15 e i benedettini 12, cinque dei quali sacerdoti. 90 Cfr. AMAEF (Parigi), Guerre 1914-1918, Turquie, vol. 927 : “Relation sur les actes de l’autorité ottomane à Jérusalem du 3 Novembre au 14 Décembre 1914”, redatto il 9 gennaio 1915 dal superiore di Notre Dame de France, Athanase van Hove, 144r. 91 I padri bianchi addetti al complesso furono costretti a lasciare la Palestina il 14 dicembre 1914 (nove di essi erano partiti per il servizio militare in Europa immediatamente dopo lo scoppio del conflitto). In una dependance del complesso rimasero un padre olandese e tre “frères coadjuteurs également neutres”. Cfr. AMAEF (Parigi), Guerre 1914-1918, Turquie, vol. 926, Féderlin a Delcassé, 2 febbraio 1915, 188. La madrasa – evocativamente denominata alKulliyya al-Salahiyya – iniziò a funzionare il 28 gennaio 1915, in coincidenza con l’attacco al canale di Suez da parte dell’esercito ottomano. La chiesa e il grande seminario furono fisicamente separati dal piccolo seminario (l’edificio civile più vasto del complesso), attraverso la costruzione di un doppio muro. Cfr. Sylvia AULD & Robert HILLENBRAND (eds.), Ottoman Jerusalem: The Living City (1517-1917), London, Al Tajir-World of Islam Trust, 2000, 57-62. 92 Il 18 novembre si tenne una dimostrazione anti-cristiana all’interno stesso del complesso di S. Anna. L’episodio fece seguito a una manifestazione sulla spianata delle moschee in favore della guerra, alla quale avevano assistito come di consueto anche i consoli austriaco e tedesco. Quest’ultima dimostrazione, però, sembra non abbia sollevato grande entusiasmo tra la popolazione locale di Gerusalemme. Cfr. G. HINTLIAN, “The First War in Palestine and Msgr. Franz Fellinger”, 183. 93 I soldati ottomani si trasferirono nel complesso di S. Anna il 9 novembre 1914 e il giorno successivo furono posti i sigilli alla chiesa. Questa fu in seguito affidata al patriarca melchita, cioè a un dignitario religioso suddito della Sublime Porta. Essa fu adibita al culto greco-cattolico, sotto la giurisdizione immediata del vicario patriarcale gerosolimitano di quel rito, Alexios Aquel, antico allievo del seminario di S. Anna. 86 Tra il 13 e il 15 dicembre 1914 ebbe luogo l’allontanamento dei sudditi delle potenze in guerra con la Porta, ritenuti tutti potenziali informatori dei rispettivi governi94. Il provvedimento interessò anche i frati francesi, polacchi, belgi e britannici della Custodia. Il 10 dicembre era stata data ad essi l’inquietante notizia della loro prossima deportazione a Urfa95. Qualche giorno dopo fu però deciso di limitare il loro calvario alla città di Damasco, da dove essi ottennero in seguito il permesso di raggiungere la costa e imbarcarsi per l’Europa. Tra il 23 e il 25 dicembre toccò alle suore96. I consoli italiano e spagnolo – d’accordo con il patriarca Camassei – per motivi di ragionevole prudenza, decisero di far partire dalla Palestina anche le religiose dei rispettivi paesi97. Anche la situazione delle istituzioni del Patriarcato latino di Gerusalemme divenne subito molto difficile. All’inizio della guerra il Patriarcato gestiva direttamente 28 parrocchie (missioni) e un seminario. Oltre al patriarca e al vescovo ausiliare (ambedue italiani) esso era composto da 44 sacerdoti. Ventotto erano di origine locale, sei erano francesi, tre italiani, due austriaci e cinque provenienti da altri paesi europei, più una decina di preti maroniti per la cura delle parrocchie del loro rito. Le scuole e le abitazioni dei curati furono in gran parte requisite, mentre alcune chiese vennero lasciate aperte al culto. Anche il seminario subì gravi danni e spoliazioni, in seguito all’acquartieramento delle truppe al suo interno. I diciannove allievi che vi studiavano si dispersero (quasi tutti quelli del grande seminario, in particolare, furono mobilitati nell’esercito ottomano98) e l’insegnamento dovette essere interrotto. Le suore del Rosario vennero sovente cacciate dalle scuole che gestivano nelle singole parrocchie; tuttavia, in quanto religiose indigene, non furono espulse dalla Palestina ma costrette a prestare la loro opera negli ospedali militari99. Il patriarca Camassei provò a spiegare alle autorità locali che le istituzioni patriarcali “non erano francesi, ma tutto al più protette dalla Francia, ed essendo stato abolito tale protettorato”, esse “tornavano sotto il regime applicato alle [...] altre comunità religiose” cristiane. Le scuole, in particolare, erano state aperte con “permesso regolare governativo”, mentre i maestri e i “gerenti responsabili” erano di nazionalità ottomana. Le religiose del Rosario, inoltre, erano in possesso di un firmano che le autorizzava all’insegnamento e all’apertura di scuole in tutta la regione. Infine, che istituti scolastici e parrocchie non fossero francesi lo provava il fatto che i fondi necessari per la loro istituzione e il loro sostentamento provenivano da ogni parte del mondo e soprattutto “dai cattolici tedeschi e austro-ungarici” alleati dei turchi. Inoltre, tali istituzioni non avevano alcuno “scopo politico, come forse si potrebbe attribuire agli Istituti Francesi”, i quali facevano del “bene contribuendo indirettamente ma efficacemente a far conoscere ed amare la Francia”. Nelle scuole del Patriarcato, invece, si insegnavano solo “le cose elementari” e ciò non avrebbe dovuto “destare i sospetti del governo ottomano; tanto più che essendo queste scuole aperte con permesso regolare governativo, esse [venivano] sottoposte all’ispezione dell’Istruzione pubblica, la quale [poteva] in ogni momento fare l’esame agli allievi”100. 94 Una cinquantina di persone, tra francescani, fratelli delle scuole cristiane, padri bianchi, assunzionisti e missionari protestanti inglesi. Cfr. Eduardo MANZANO MORENO (a cura di), Conde de Ballobar: Diario de Jerusalén (1914-1918), Madrid, Nerea, 1996, 75. 95 La città anatolico-mesopotamica era lontana molte centinaia di chilometri da Gerusalemme e decisamente difficile da raggiungere, anche per il freddo della stagione e l’impraticabilità delle strade. Ma, soprattutto, si trattava di una destinazione poco rassicurante, dato che era già stata teatro di massacri cristiani (armeni) e altri ancor più spaventosi ne avrebbe testimoniati di lì a poco (maggio 1915). 96 Le suore di S. Giuseppe, le carmelitane, le clarisse, le benedettine, le francescane missionarie di Maria e quelle della carità di S. Vincenzo di Paola lasciarono la Città Santa il giorno di Natale del 1914. 97 Partirono perfino le salesiane, che dal 1905 godevano della protezione religiosa del governo italiano. 98 In diversi documenti posteriori si parla di trenta seminaristi in totale prima della guerra. La cifra di diciannove l’abbiamo invece tratta da un documento manoscritto redatto a uso interno da un anonimo sacerdote del Patriarcato stesso, conservato in APLG (Archivio del Patriarcato latino di Gerusalemme), CTS (Custodia di Terra Santa): Relazioni col Patriarcato: “Modus Vivendi” e “l’Antico Patriarcato” (1918-1923) (fogli non numerati, né rilegati). Da questo documento risulta anche che i seminaristi richiamati alle armi furono undici, nove arabi, un tedesco e un francese. 99 Compito al quale furono adibite anche le suore tedesche di S. Carlo Borromeo. 100 Cfr. APLG, Storia del Patriarcato, doc. vari, vol. 3, “Relazione sul Patriarcato nel 1915”, redatta dal cancelliere patriarcale Adriano Smets, pp. 16-23. Queste perorazioni – ripetute più volte alle autorità ottomane di Beirut e di Damasco e fatte infine pervenire a Costantinopoli – non sortirono alcun effetto. All’espulsione dal paese dei parroci cittadini di paesi nemici della Porta seguirono l’allontanamento dalle missioni di coloro che appartenevano a paesi neutri o alleati con i turchi e, perfino, di quelli di origine locale. Una decina di loro persero la vita, soprattutto a causa di malattie contagiose contratte nell’assistere e nell’amministrare l’estrema unzione ai fedeli101. Il seminario fu trasformato in ospedale militare nel febbraio 1915 e tale rimase fino alla fine della guerra102. Le spoliazioni e i saccheggi delle chiese e delle scuole patriarcali continuarono incessanti anche nei mesi successivi, per mano delle truppe e della popolazione locale. Se gli appelli del patriarca latino non suscitarono risposta alcuna, miglior sorte ebbero le rivendicazioni dei religiosi della Custodia. A fine febbraio il custode Serafino Cimino, di fronte alla prospettiva della chiusura di tutte le istituzioni della Custodia103 – “considerate come francesi a causa del Protettorato”104 – decise di partire per Costantinopoli. Egli sperava di provocare la revoca dei provvedimenti adottati facendo valere la tesi dell’internazionalità della Custodia. In quei giorni la Sublime Porta stava cercando di indurre il pontefice a “compiere un primo deciso passo per svincolarsi dalla tutela francese e stabilire relazioni diplomatiche dirette con l’Impero Ottomano”105. Nei Sacri Palazzi si resero perfettamente conto che il sultano mirava a “dare un colpo decisivo alle capitolazioni e al protettorato”106. All’inizio di marzo 1915 la Congregazione per gli Affari Straordinari decise di accedere alla richiesta turca. Però quella decisione non si materializzò, dato il timore del pontefice “di incrinare ulteriormente i rapporti con il governo francese, [vista] l’incertezza del momento storico, la non chiara prevedibilità degli sviluppi postbellici e il dubbio [della Santa Sede] di non essere in grado di proteggere da sola le comunità cattoliche e gli interessi religiosi in Oriente”107. La reazione turca si concretizzò nella minaccia di confiscare tutte le istituzioni cattoliche dell’impero e nel “tentativo di trasformare la comunità latina in rappresentante del Vaticano” presso il sultano108. Il governo ottomano scelse dieci personalità cattoliche di nazionalità ottomana a cui affidare l’incarico di eleggere un patriarca latino per la sede di Costantinopoli con giurisdizione su tutti i cattolici dell’impero, esclusi ovviamente quelli che ricadevano entro i limiti della diocesi patriarcale gerosolimitana. Questo disegno, però, non ebbe modo di concretizzarsi, anche perché il delegato apostolico a Costantinopoli mons. Angelo Maria Dolci minacciò di scomunica i dieci rajas, nel caso avessero deciso di favorire i disegni della Porta109. Questo stato di tensione non facilitava certo il compito di padre Cimino, che fu reso ancor più difficile dai decisi interventi degli ambasciatori italiano e spagnolo a Costantinopoli in favore della causa cattolica. L’incauta iniziativa di quei diplomatici presso le autorità turche indusse in queste il sospetto che fosse intenzione dell’Italia e della Spagna “sostituire o confermare il protettorato” 101 Secondo il parroco di Nablus Giorgio Golubovich, i sacerdoti del Patriarcato latino di Gerusalemme morti nel corso del conflitto furono nove. Cfr. AFCCOS, AGG, box 79, lettera di Giorgio Golubovich al fratello Girolamo, Nablus, 30 maggio 1919. Da un documento manoscritto redatto a uso interno all’inizio degli anni Venti da un anonimo sacerdote del Patriarcato stesso, conservato in APLG, CTS: Relazioni col Patriarcato: “Modus Vivendi” e “l’Antico Patriarcato”, risulterebbe invece la morte di 14 sacerdoti. Stessa cifra fornisce il patriarca Barlassina in una relazione del 15 novembre 1927 al governo francese. Cfr. AMAEF (Nantes), SBPI, Turquie, Série “A”, vol. 27, “Courte notice sur les missions du Patriarcat Latin de Jérusalem qui souffrirent le plus pendant la Guerre 1914-1918”. 102 Per dettagliate informazioni sulle vicissitudini di alcune delle più importanti parrocchie del Patriarcato, cfr. AMAEF (Nantes), SBPI, Turquie, Série “A”, vol. 27, “Courte notice sur les missions du Patriarcat Latin de Jérusalem qui souffrirent le plus pendant la Guerre 1914-1918, redatta dal patriarca Barlassina il 15 novembre 1927. 103 I frati nella prima metà di febbraio erano stati cacciati da tutti i conventi della Galilea. 104 ACTS, Cronaca di Terra Santa (1906-1931) di Eutimio Castellani, vol. III, 188. 105 D. FABRIZIO, “Il protettorato religioso sui cattolici in Oriente e la questione delle relazioni diplomatiche dirette tra la Santa Sede e l’Impero ottomano”, in Nuova Rivista Storica, LXXXII (1998), 598. 106 Ibid., 602. 107 Ibid., 605. 108 Ibid. 109 Ibid., 605-606. francese. In Terra Santa il governo ottomano intimò l’ordine di chiusura di tutti i conventi e l’invio al confino dei restanti frati minori, anche di coloro che non appartenevano alle nazioni in conflitto con la Turchia. I religiosi ne furono oltremodo preoccupati. Questo provvedimento li avrebbe costretti ad abbandonare le loro istituzioni. Ma, soprattutto, essi avrebbero finito per perdere i loro secolari diritti nei Luoghi Santi dello status quo, dopo quasi sette secoli di custodia ininterrotta. Recatosi a colloquio con Jamal Pasha, il console italiano a Gerusalemme Carlo Senni110 si sentì rispondere che il governo ottomano intendeva “sopprimere per quanto possibile gli stabilimenti stranieri in generale, quali potenti e pericolosi fattori d’influenze nazionali estere”. A Istanbul avevano unanimemente deciso di “non ammettere, a guerra finita, la retrocessione dei beni alle comunità espulse né il loro ritorno, come pure di non permettere in avvenire l’istituzione di altri stabilimenti esteri”. A niente valsero le obiezioni di Senni secondo le quali la Custodia, “per la stessa sua struttura internazionale, dovesse considerarsi [...] aliena da ogni intendimento nazionale e solo intenta a scopo di culto e di beneficenza”111. Per sbloccare la situazione, mons. Dolci pregò l’ambasciatore tedesco di far presente al gran visir che “ostacolare la Religione Cattolica” era una strategia politicamente sbagliata. Il governo ottomano avrebbe dovuto piuttosto proteggere il cattolicesimo. In tal modo sarebbe riuscito a “diminuire l’influenza della religione ortodossa, ch’era un istrumento nelle mani dei nemici dell’Impero”112. Il gran visir portò la questione in consiglio dei ministri il 27 marzo 1915, riuscendo a convincere la maggioranza dei suoi componenti sulla necessità di far riaprire tutti i conventi della Custodia. Fu anche deciso di far rimanere “provvisoriamente” i religiosi “sudditi di nazioni amiche” nei loro conventi, la cui proprietà sarebbe però stata acquisita dal governo ottomano. Questa “grazia” fu accordata solo a condizione che fossero “salvaguardati i diritti del governo su questi conventi” e che al loro interno non vi fossero stati “stabilimenti scolastici od ospedalieri”113. Il 5 aprile il custode Serafino Cimino e il delegato apostolico Angelo Maria Dolci furono ricevuti dal sultano, il quale riconfermò le sue “auguste benevolenze” verso la Custodia. Quattro giorni dopo il governatore di Gerusalemme ricevette un telegramma “che dichiarava non doversi evacuare le case francescane”114. Per i cristiani di Terra Santa la situazione peggiorò rapidamente nella seconda metà del 1917, con l’avvicinarsi a Gerusalemme delle truppe alleate. Il 19 novembre del 1917, poco prima di abbandonare la Palestina, i turchi deportarono le massime autorità religiose cristiane. Al presidente custodiale Eutimio Castellani e al suo Discretorio quel calvario fu risparmiato, grazie soprattutto all’intervento del console spagnolo115. Anche agli altri religiosi della Custodia fu evitato un simile trattamento perché, come affermò lo stesso governatore di Gerusalemme, si trattava di “persone innocue” e non dedite alla politica116 . Il vescovo ausiliare del Patriarcato latino mons. Luigi Piccardo (1902-1917) e diversi sacerdoti furono invece deportati a Damasco. Anche Filippo Camassei avrebbe dovuto seguire il medesimo destino. Il console spagnolo conte di Ballobar e il suo collega austriaco si riunirono per cercare di evitare al patriarca un trattamento giudicato inumano. Ballobar non comprendeva quali ragioni di sicurezza potessero spingere le autorità ottomane a deportare un religioso anziano che esercitava le funzioni di capo spirituale di tutti i 110 Il conte Carlo Senni fu vice-console a Gerusalemme dal 1906 al 1910 e console dal 1912 al 1915. Cfr. ASMEI, Ambasciata Italiana in Turchia, vol. 202 e Archivio di Gabinetto, Casella 43bis, rapp. n 276/17 Senni a Garroni, Gerusalemme, 16 marzo 1915. 112 I russi già alla fine del settecento erano riusciti a strappare al sultano il diritto di proteggere i greco-ortodossi dell’impero ottomano e a divenire perciò l’ennesimo elemento di influenza e di penetrazione negli affari interni della Sublime Porta. 113 AES (Archivio della Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari)), Africa, Asia, Oceania, fasc. 5, disp. n. 26, Dolci a Gasparri, Cos.poli, 28 marzo 1915. Della buona riuscita delle trattative Cimino telegrafò in Custodia solo il 19 aprile successivo: “Sublime Porta decise rispettare tutte nostre case”. ACTS, Cronaca di Terra Santa (1906-1931) di Eutimio Castellani, vol. III, p. 198. Il custode, invece di ritornare a Gerusalemme, decise di recarsi a Roma per assistere al capitolo generale dell’Ordine dei frati minori, che a metà maggio 1915 lo elesse ministro generale. 114 ACTS, Cronaca di Terra Santa (1906-1931) di Eutimio Castellani, III, 194-195. 115 Cfr. ACTS, Cronaca di Terra Santa (1906-1931) di Eutimio Castellani, III, 271-273. 116 Cfr. ACTS, Cronaca di Terra Santa (1906-1931) di Eutimio Castellani, III, 276. 111 cattolici della Palestina, senza distinzione di nazionalità. Camassei era l’unico responsabile di una comunità religiosa cristiana residente a Gerusalemme che non avesse la qualifica di funzionario ottomano117. Egli non era stato nominato mediante un berat di investitura della Sublime Porta. Era il rappresentante diretto e immediato della Chiesa di Roma e come tale aveva un carattere internazionale. Nelle autorità diplomatiche e militari tedesche la decisione di deportare Camassei cagionò una “malísima impresión”118. Il loro intervento e le pressioni della diplomazia austriaca produssero infine qualche risultato. Camassei fu infatti l’unico alto prelato cristiano al quale fu risparmiato il duro viaggio fino in Siria. A Ramallah un rappresentante militare tedesco lo sottrasse alla carovana di auto dirette verso Damasco, permettendogli di rifugiarsi nel convento francescano di Nazareth. A reggere le sorti del Patriarcato latino di Gerusalemme rimase il presidente dell’ospizio austriaco Franz Fellinger, che lo stesso Camassei ebbe appena il tempo di investire della carica di pro-vicario generale Una volta informato dell’accaduto, il segretario di stato card. Pietro Gasparri telegrafò al delegato apostolico mons. Dolci, perché facesse “energici passi presso [la] competente autorità” affinché il patriarca fosse “prontamente restituito [alla] sua sede”. Alla fine di dicembre Dolci rispose che il governo ottomano non aveva “avuto parte alcuna nelle misure prese per mons. Camassei”; si era trattato di un’iniziativa del “comandante della Siria Gemal Pacha”. Secondo Dolci, tanta ostilità dipendeva dalle “dimostrazioni religiose e dal discorso tenuto dal S. Padre sulla presa di Gerusalemme”, dato che il ministro degli esteri ottomano gli aveva detto, rammaricandosene: “Le pape est devenu notre ennemi”119. Anche il governo italiano – nella persona del ministro degli esteri Sidney Sonnino – si interessò della sorte di Camassei120. Ma nemmeno questa protesta ottenne gli effetti desiderati. Il patriarca latino di Gerusalemme rimase confinato a Nazareth per un anno intero. Fu in grado di fare ritorno a Gerusalemme soltanto il 3 novembre 1918. 117 Cfr. il Diario de Jerusalén (1914-1918) del Conde de Ballobar, 223. Ibid., 222. 119 AES, Asia, fasc. 33, dispacci da Costantinopoli di Dolci a Gasparri, n. 661, 30 dicembre 1917 e n. 704, 28 gennaio 1918. 120 ASMEI, Ambasciata italiana in Egitto, tg. n. 5059, Sonnino alla “Regia agenzia diplomatica” al Cairo, Roma, 12 aprile 1918. 118