Tecniche negoziali di intestazione di beni sotto nome altrui e
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Tecniche negoziali di intestazione di beni sotto nome altrui e
h:/LINOTIPO_H/06-wki/Utet_Riviste_cod_Civ/01_FPS_2012/0677_12_FPS_05_2012/impa_def/FPS_05_344_361.3d 24/4/2012 14:19 pagina 344 IL COMMENTO » Donazioni Tecniche negoziali di intestazione di beni sotto nome altrui e problemi successorı̂* Vincenzo Barba Professore straordinario di Istituzioni di diritto privato » SOMMARIO 1 Diritto ereditario e soluzioni alternative – 2. Tecniche di intestazione di beni sotto nome altrui – 3. Donazioni e liberalità diverse dalla donazione – 4. Sulle liberalità e donazioni cosı̀ dette indirette – 5. Intestazione di beni sotto nome altrui tra donazioni e liberalità diverse dalla donazione – 6. Segue: l’assunzione dell’obbligo di pagare il prezzo o il pagamento del prezzo da parte del disponente – 7. Conseguenze in tema di successioni mortis causa: la donazione diretta di danaro – 8. Segue: le liberalità diverse dalla donazione – 9. L’ultimo orientamento della giurisprudenza di legittimità 1 Diritto ereditario e soluzioni alternative T endenze della economia contemporanea, non sempre fedeli e attente al diritto ereditario municipale, inducono a considerare il fenomeno successorio un arduo e complesso meccanismo dal quale sarebbe preferibile rifuggire, indulgendo verso strumenti negoziali alternativi(1) che consentano, comunque, la regolamentazione degli interessi post mortem. Tali tendenze, in uno con gli importanti costi legati alla fiscalità nazionale e, talvolta, a esigenze imprenditoriali o professionali del disponente, persuadono e suggeriscono di privilegiare trasferimenti della ricchezza tra padri e figli, che, in luogo di svolgersi al tempo della morte del primo e secondo le consuete norme sulla successione ereditaria, vengono anticipati in un tempo largamente anteriore. Tra essi, esemplare, la cosı̀ detta «intestazione di beni sotto nome altrui»(2), soprattutto quando il nome altrui è proprio quello dei figli(3). Il consunto breviloquio chiama, infatti, a raccolta una pluralità di schemi negoziali, assai diversi tra loro quanto alla struttura giuridica, ma essenzialmente accomunati dal fatto che la tito- * Il contributo è destinato al Volume Temi e problemi di diritto delle successioni, a cura di V. Cuffaro e A. Fusaro. (1) Per tutti, lo studio di A. PALAZZO, Istituti alternativi al testamento, in Trattato di diritto civile del Consiglio nazionale del Notariato, dir. da P. Perlingieri, Napoli, 2003. (2) Almeno, U. CARNEVALI, voce Intestazione di beni sotto nome altrui, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1996, 1, al quale si deve una importante sistemazione e ricostruzione dogmatica delle ipotesi raccoglibili sotto questa etichetta. (3) Avverte A. ALBANESE, Due (antiche) questioni in tema di collazione: l’intestazione in nome altrui; i frutti del bene ereditario, in Famiglia, Persone e Successioni, 2008, 247, che in caso di figli minori, nell’atto di compravendita saranno parti formali, in rappresentanza del minore, i genitori o il genitore che esercita la potestà, previa autorizzazione del giudice tutelare ex art. 320 c.c. Esclude, invece, la necessità che sia chiesta la nomina di un curatore speciale, non essendo ravvisabile un conflitto di interessi «tra genitori esercenti la potestà sul minore». (4) Si preferisce l’espressione «titolarità» a «proprietà» non soltanto perché le tecniche di intestazione di beni sotto nome altrui servono per far acquistare al beneficato anche altri diritti reali minori, diversi dalla pro- maggio 2012 344 Famiglia, Persone e Successioni 5 larità(4) di un bene, generalmente immobile, viene acquistata da un soggetto diverso da quello che paga il prezzo. Il che profila, però, una messe di problemi. I quali intersecano non soltanto il tema delle donazioni dirette e delle liberalità diverse dalla donazione, e, per necessaria conseguenza, quello della forma di tali atti e della eventuale opposizione alla donazione da parte di altri contro-interessati, ma, soprattutto, l’intero diritto ereditario, imponendo difficili momenti di coordinamento con le discipline della collazione(5) e della divisione. E i problemi sono destinati ad amplificarsi enormemente se, come sovente accade, il bene intestato sotto nome altrui è, soltanto, la nuda proprietà. Quando, cioè, colui che paga l’intero prezzo riserva a sé, e per tutta la durata della sua vita, l’usufrutto sulla cosa, intestando la nuda proprietà ad altri, che non partecipa affatto alla spesa economica o al pagamento del corrispettivo, ma soltanto all’attività negoziale, sotto le mentite vesti di acquirente e le celate di donatario. prietà, ma anche perché sono, sovente, utilizzate per consentire al beneficato di acquistare partecipazioni societarie. (5) Sulla natura e il fondamento dell’istituto della collazione, almeno, P. FORCHIELLI, Il fondamento della collazione, in Riv. dir. civ., 1955, 45 e ss., il quale, contestate le tesi della volontà presunta, dell’interesse superiore familiare, della comproprietà familiare, spiega l’istituto, movendo dall’idea che la donazione è un’anticipazione di eredità. ID., La struttura della collazione, in Riv. dir. civ., 1956, 396 e ss., secondo il quale la collazione darebbe origine a una obbligazione ex lege in capo ai coeredi: obbligazione semplice o alternativa, a seconda che il coerede obbligato abbia, o meno, la possibilità di scegliere se attuarla per imputazione o conferimento. A. CICU, Successioni per causa di morte. Parte generale. Divisione ereditaria, in Trattato di diritto civile, diretto da Cicu e Messineo, XLII, 2, Milano, 1958, 499 e ss. e spec. 513 e s., secondo il quale l’effetto della collazione è di far ricadere automaticamente il bene donato nella massa ereditaria (rendendo comune alla massa il bene donato o il valore del bene), con la conseguenza che il conferimento, in natura o per imputazione, attiene al momento e al fatto della divisione e che la scelta del donatario, ove ammessa e possibile, non avrebbe forza di rendere comune il bene donato. Per una sintesi dei problemi, U. CARNEVALI, voce Collazione, in Dig. disc. priv. Sez. civ., II, Torino, 1988, 474 e ss. h:/LINOTIPO_H/06-wki/Utet_Riviste_cod_Civ/01_FPS_2012/0677_12_FPS_05_2012/impa_def/FPS_05_344_361.3d 24/4/2012 14:19 pagina 345 IL COMMENTO Ipotesi che, mentre garantisce al «reale» acquirente di conservare per la durata della sua vita un diritto reale di godimento e fruizione sulla cosa, elimina il problema successorio. Dacché alla morte del titolare dell’usufrutto, si consolida in capo al nudo proprietario la piena proprietà e non già per un effetto successorio, bensı̀ per una ordinaria vicenda di circolazione del bene e secondo il principio dell’elasticità del diritto di proprietà. Rimane fuori, e conviene che lo dica subito, il tema della simulazione(6). Perché questo gioco di intestazione sotto nome altrui né si risolve, né pone un reale problema di simulazione. Il quale, avrebbe ragione di essere se esistesse una apparenza negoziale difforme dalla realtà. Lo scollamento tra apparenza e verità, però, è, qui, più sociologico che giuridico. E, perciò, destinato alla irrilevanza, se non per il solo caso in cui la simulazione sia proprio lo strumento attraverso il quale si intende realizzare l’intestazione sotto nome altrui. Gli è, però, che in tale prospettiva l’istituto non dilagherebbe su tutte le ipotesi, ma ne costituirebbe soltanto una delle possibili. Nell’indagine, allora, si tratta di verificare se lo strumento giuridico prescelto dalle parti per realizzare il cosı̀ detto fenomeno dell’intestazione di beni sotto nome altrui metta capo a una donazione o una liberalità diversa dalla donazione e, soprattutto, se esso abbia a oggetto il bene o il danaro(7). nità di soluzione, verificare se mettano capo a donazioni dirette o liberalità diverse dalla donazione (10), e se esse abbiano per oggetto danaro o beni. Una traccia, la cui difficoltà è anche negli orientamenti giurisprudenziali. I quali, in questa materia, mi paiono troppo attenti agli interessi, ma poco alle categorie, vinti dalla dilagante prospettiva rimediale e dalla de-costruzione della fattispecie, secondo moderne tendenze che risalgono alla nobile e antica giurisprudenza degli interessi, ma che non hanno più riguardo alla giurisprudenza dei concetti. Alla quale l’ordine giuridico, e non solo, dovrebbe infinitamente essere grata. Un debito che, nella prospettiva di un formalista, difficilmente può essere rimesso o considerato estinto. Orientamenti giurisprudenziali difficilmente spiegabili, soprattutto quando si pensi al principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite della Cassazione: «l’atto con cui in vita il de cuius abbia procurato al discendente l’acquisto di un immobile mediante il suo pagamento costituisce donazione indiretta del bene, sı̀ che, ai fini della collazione, va conferito l’immobile e non il denaro»(11). Principio che, nella soluzione, potrebbe anche risultare condivisibile, purché ciò avvenga sulla base di una solida argomentazione, di una precisa osservanza ed esatta applicazione delle norme di legge e non già, come mi pare di leggere nella celebrata sentenza, in ragione di una astratta giustizia equitativa. 2. Tecniche di intestazione di beni sotto nome altrui 8 E risolte queste connesse e tra loro inseparabili questioni( ), valutare se e in che misura di tale donazione si debba aver riguardo nella vicenda successoria(9). Il difficile tema, ribelle all’ordine dogmatico, attende, dunque, una scomposizione. La quale vorrebbe essere non soltanto principio di soluzione, ma anche traccia con la quale condursi in questo cammino. Toccherà, allora, di indagare i più noti strumenti giuridici con i quali si realizza una intestazione di beni sotto nome altrui e, per ciascuno di essi, nella misura in cui non consentano un’u- ifficile se non impossibile ridurre in ordine la fantasia dei pratici: quali e quante siano le concrete tecniche negoziali capaci di attuare un’intestazione di bene sotto nome altrui è possibile stabilirlo soltanto per approssimazione. Limitandosi a selezionare, con volgare tecnica quantitativa, le ipotesi più frequentemente sperimentate. Nel fare ciò, a fini di semplificazione del linguaggio, chiamerò beneficato colui a cui viene intestato il bene, disponente colui che realmente paga il prezzo e venditore colui che aliena il bene(12). (6) Cosı̀, chiaramente, U. CARNEVALI, voce Intestazione di beni sotto nome altrui, cit., 2, il quale ha cura di precisare come l’ipotesi non solo sia distinta dalla interposizione fittizia di persona, ossia la simulazione, ma anche dalla interposizione reale di persona, ossia il pactum fiduciae. Già, A. TORRENTE, La donazione, Milano, 2006, 2a ed., 66 e s. (7) U. CARNEVALI, voce Intestazione di beni sotto nome altrui, cit., 2. (8) L’antico tema, è stato oggetto delle acute riflessioni di F. CARNELUTTI, Donazione di immobile o donazione di danaro?, in Foro it., 1956, IV, 185, il quale risolve il problema nel senso che si debba discorrere sempre di donazione indiretta dell’immobile. L’A. ne fa una questione di volontà. Movendo dal caso di un agricoltore che intesta la proprietà di un terreno a nome dei figli, scrive: «l’esperienza della sua vita gli ha insegnato che i risparmi di un agricoltore sono bene impiegati nella terra ed è con questa che egli vuole arricchirli. E i figli, prestandosi all’acquisto, sono concordi in questa intenzione. L’oggetto della donazione è, senza dubbio, l’oggetto dell’arricchimento, che donante e donatario vogliono reciprocamente procurare e procurarsi». In questo senso anche F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. VI, Diritto delle successioni per causa di morte, Milano, 1962, 9a ed., 627, il quale distingue a seconda che venga donato il danaro «come tale» o «quale mezzo per l’acquisto di beni». Il tema è sinteticamente svolto anche da A. CICU, Successioni per causa di morte. Parte generale. Divisione ereditaria, cit., 492 e s., il quale considera oggetto della liberalità il danaro e trova conforto in questa soluzione nell’assenza nel codice della disposizione presente, invece, nel progetto preliminare e nel rilievo che l’immobile non è mai entrato nel patrimonio del donante «che soltanto del danaro si è impoverito». (9) Il tema della intestazione di beni sotto nome altrui acquista straordinaria rilevanza, nel caso in cui disponente e beneficato siano coniugi, non soltanto a fini successorı̂, ma anche rispetto alla disciplina dei regimi patrimoniali della famiglia. Per un caso, si consideri la sentenza di Cass., 15.11.1997, n. 11327, in I contratti, 1998, II, 242. Per un’attenta analisi del caso G. BASINI, Donazione indiretta e applicabilità dell’art. 179, lett b), c.c., ivi, 246 e ss. (10) Sull’inidoneità del termine liberalità a comprendere anche le disposizioni testamentarie, U CARNEVALI, voce Liberalità (atti di), in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, 214 e s. (11) Cass., SS. UU., 5.8.1992, n. 9282, in Corriere Giur., 1992, 1344, con nota di M. MAIENZA, e in Giust. Civ., 1992, I, 2991, con nota di GIU. AZZARITI, Somma erogata per l’acquisto di un immobile a soggetto diverso dall’acquirente e collazione, in Foro It., 1993, I, 1544, con nota di F. DE LORENZO, in Resp. Civ. e Prev., 1993, 283, con nota di G. BASINI, L’oggetto della liberalità ai fini della collazione, dell’imputazione ex se e della riunione fittizia, in ipotesi «intestazione di beni a nome altrui», ivi, 292 e ss., e in Nuova Giur. Civ., 1993, I, 373, con nota di Regine, in Vita Notar., 1993, 261, in Riv. Notar., 1993, 144 e in Rass. Dir. Civ., 1994, 613, con nota di CESARO. (12) Ma, U. CARNEVALI, voce Intestazione di beni sotto nome altrui, cit., 1, distingue cinque categorie di atti: elargizione del danaro; adempimento del terzo o patto di accollo; strumento rappresentativo; contratto preliminare per sé o per persona da nominare e conclusione del definitivo da parte del beneficato; contratto a favore di terzo. Cosı̀, anche, G. BASINI, L’oggetto della liberalità ai fini della collazione, dell’imputazione ex se e della riunione fittizia, in ipotesi «intestazione di beni a nome altrui», cit., 295 A. TORRENTE, La donazione, cit., 67 e ss., distingue quattro schemi: elargizione di danaro; pagamento del prezzo al venditore direttamente dall’autore della liberalità; la rappresentanza; preliminare stipulato dal beneficiante e definitivo dal beneficato. N. DI MAURO, L’individuazione oggetto della liberalità ai fini della riunione fittizia, dell’imputazione ex se della collazione in alcune fattispecie particolari, in Giust. civ., 1993, II, 174 e s. distingue cinque ipotesi. D Famiglia, Persone e Successioni 5 345 maggio 2012 h:/LINOTIPO_H/06-wki/Utet_Riviste_cod_Civ/01_FPS_2012/0677_12_FPS_05_2012/impa_def/FPS_05_344_361.3d 24/4/2012 14:19 pagina 346 IL COMMENTO Tra tutte, certamente spicca la più comune e diffusa: quella realizzata attraverso la dazione di danaro dal disponente al beneficato. Il quale lo impiega per acquistare il bene. Qui con le possibili varianti a seconda che la dazione di danaro sia stata, o meno, espressamente e inequivocamente finalizzata all’acquisto del bene. Non meno frequente il caso in cui il disponente intervenga in un momento successivo alla stipulazione del contratto tra beneficato e venditore, mercé il compimento di un atto che, rispetto all’obbligo di pagare il prezzo, realizza una vicenda di modificazione soggettiva passiva del rapporto obbligatorio. Può accadere, infatti, che il beneficato assegni al venditore un nuovo debitore, il disponente, il quale si obbliga verso il creditore, oppure che il disponente senza delegazione del beneficato ne assuma verso il compratore il debito o, ancora, che il beneficato e il disponente convengano che questi assuma il debito dell’altro, o, infine, che il disponente provveda direttamente al pagamento del debito. Può, dunque, darsi una delegazione, un’espromissione(13), un accollo o, più semplicemente, l’adempimento del terzo(14). Di tanto in tanto utilizzato anche lo schema generale del contratto a favore del terzo. Il contratto di vendita, concluso tra venditore e disponente, reca una stipulazione a favore del beneficato, il quale acquista, salvo patto contrario e per effetto della stipulazione, il diritto contro il promittente(15). Più incerta mi parrebbe, invece, la fruibilità dello strumento del contratto per persona da nominare. Dal momento che il nominato acquisterebbe sı̀ i diritti, ma assumerebbe anche gli obblighi nascenti dal contratto e, tra essi, anche quello di pagare il prezzo. Quest’ultimo, però, altrimenti difettando l’ipotesi, dovrebbe essere pagato dal disponente prima o dopo la nomina. Nel primo caso, a dispetto del nome, si ricadrebbe sotto il tipo del contratto a favore di terzo, perché mancherebbe il tratto successorio passivo tipico e necessario del contratto per persona da nominare; nel secondo caso, invece, si avrebbe soltanto il pagamento del prezzo da parte del disponente, secondo una (13) Ma, U. CARNEVALI, Le donazioni, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, VI, Torino, 2006, 2a ed., 501 e s., esclude che accollo, espromissione e fideiussione possano essere considerate donazioni indirette. «In questo caso la donazione indiretta andrebbe eventualmente vista solo nella rinunzia all’azione di regresso». (14) Bene precisa A. ALBANESE, Due (antiche) questioni in tema di collazione: l’intestazione in nome altrui; i frutti del bene ereditario, cit., 250, che nell’ipotesi in cui il beneficante paghi con l’intenzione di pretendere il rimborso, saremmo in presenza di una surrogazione legale di pagamento a’ sensi dell’art. 1203, n. 5, c.c. Secondo l’A, però, se risultasse l’intenzione del genitore di pagare il debito del figlio, avremmo una donazione indiretta di danaro, alla quale sarebbe applicabile la disciplina di cui all’art. 741 c.c. Non spiega, però, sulla base di quale meccanismo egli possa assumere questo obbligo. Credo non si possa sfuggire all’alternativa: o un atto capace di generare una vicenda di modificazione soggettiva passiva o l’adempimento del terzo. L’A., infine, discrimina l’ipotesi dell’adempimento del terzo, dall’ipotesi dell’indebito, la quale ricorrerebbe soltanto nel caso in cui il genitore pagasse il debito del figlio credendolo proprio, per un errore scusabile. (15) Secondo N. DI MAURO, L’individuazione oggetto della liberalità ai fini della riunione fittizia, dell’imputazione ex se della collazione in alcune fattispecie particolari, cit., 175 e s. questa sarebbe l’unica ipotesi di intestazione sotto nome altrui in senso stretto. (16) U. CARNEVALI, voce Intestazione di beni sotto nome altrui, cit., 5 prende in esame il caso di sostituzione nel preliminare, ricordando che esso ha costituito l’occasione per rimeditare il precedente dominante orientamento (Cass.19.3.1980, n.1851, in Foro it., 1981, I, 1395; Cass., 15.12.1984, n. 6581, in Riv. not., 1985, 724, Cass., 28.2.1987, n. 2147, cit.). L’A., tuttavia, conclude nel senso che questo procedimento non sembra dotato di una propria autonomia, ma rientra nelle categorie procedimen- maggio 2012 346 Famiglia, Persone e Successioni 5 delle tecniche, già indicate, che generano la modificazione del soggetto passivo del rapporto obbligatorio. Da rifiutare, poi, che si possa utilizzare la cessione del contratto, perché la compravendita, tipico contratto consensuale a effetti reali, assai improbabilmente può costituire oggetto di cessione. Ove pure, poi, si immaginasse che il contratto di compravendita, perché sia differito effetto traslativo e obbligo di pagare il prezzo, possa costituire oggetto di cessione, esso lascerebbe aperto il problema del come e del perché il prezzo sia stato pagato dal disponente. Neppure particolarmente fruttuoso mi parrebbe a questo fine l’uso del contratto preliminare(16). Perché il suo impiego finirebbe con il porre i medesimi problemi già fissati nelle ipotesi precedentemente descritte; con l’ulteriore complicazione che l’effetto traslativo sarebbe scomposto in un più articolato e lungo procedimento, diviso al suo interno tra atto prodromico e conclusivo(17). Un’ultima variante potrebbe essere offerta dall’uso dello strumento rappresentativo: il disponente stipula il contratto direttamente con il venditore, ma in nome e per conto del beneficato. Gli è, però, che tale ipotesi non credo possa indossare la veste di autonomia. Dal momento che, la spendita del nome, rende presente il beneficato. Il quale è parte sostanziale, ancorché non formale, del contratto. Il che lascia spalancato il problema del pagamento del prezzo eseguito dal disponente. Pagamento che può giustificarsi soltanto mediante il compimento di un atto capace di generare, rispetto all’obbligo di pagare il prezzo, una vicenda di modificazione soggettiva, mercé la sostituzione o l’aggiunzione al debitore originario e principale, il beneficato, di altro soggetto, il disponente. La policroma fantasia degli interpreti, che pure può esplicarsi nelle forme e secondo le tecniche di negoziazione più polimor- tali già considerate e ne condivide le soluzioni. N. DI MAURO, L’individuazione oggetto della liberalità ai fini della riunione fittizia, dell’imputazione ex se della collazione in alcune fattispecie particolari, cit., 185, contrariamente a quanto sostenuto nel mio testo, dopo aver segnalato che la fattispecie è stata «oggetto di scarsa attenzione da parte della dottrina», afferma che essa rappresenta «uno strumento valido ed agile per perseguire lo scopo di liberalità tra genitori e figli». Secondo la tesi dell’A. la liberalità indiretta sarebbe realizzata mercé la disposizione del «diritto potestativo di concludere il contratto definitivo di compravendita: l’acquisto di tale diritto da parte del figlio (donatario), unitamente alla corresponsione del danaro per il pagamento del prezzo, importano il passaggio della disponibilità giuridica del bene dal padre al figlio». Di là delle perplessità sull’ammissibilità di un diritto potestativo alla conclusione del contratto, dal momento che il preliminare attribuisce alle parti il diritto soggettivo relativo alla conclusione e non un diritto potestativo e di là dal generico riferimento alla disponibilità giuridica del bene, che non risolve affatto il problema dell’effetto traslativo del diritto, mi pare che la tesi dell’A. finisca, alla fine per spostare l’attenzione dal preliminare al pagamento del prezzo, denunziando la difficoltà ad attribuire all’ipotesi una specifica autonomia. (17) Se nel preliminare il disponente si è riservato il potere di nominare un terzo, il beneficato diventa parte del contratto definitivo. Su quegli grava l’obbligo di pagare il prezzo. A meno che esso non sia stato pagato interamente dal disponente al tempo del preliminare. Ma, in questo caso, si pone la difficoltà di postulare un contratto preliminare a effetti anticipati, sui cui problemi e sulla cui ammissibilità non occorrerà in questa sede riflettere, ma solo evocarli. Diversamente se il preliminare accoglie una stipulazione a favore del terzo (beneficato), allora l’ipotesi, almeno da un punto di vista strutturale, attende di essere ricondotta al contratto a favore del terzo, di cui ho già detto. h:/LINOTIPO_H/06-wki/Utet_Riviste_cod_Civ/01_FPS_2012/0677_12_FPS_05_2012/impa_def/FPS_05_344_361.3d 24/4/2012 14:19 pagina 347 IL COMMENTO Il quale ha diritto di cittadinanza nel sistema giuridico muni- cipale soltanto nella misura in cui esso si svolga entro i confini delle due indicate figure. Divise dalla struttura, ma accomunate dall’essere unici strumenti negoziali tra vivi capaci di incarnare il fenomeno giuridico della liberalità; fenomeno che caratterizza l’essenza degli atti in parola, al punto da poter considerare il concetto di liberalità fondamento logico delle due stesse figure(21). Fondamento che, di là delle importanti dispute che traggono il concetto da una o altra parte, togliendovi spunti capaci di approssimarlo a una o altra tesi, sulle quali la disarticolazione di questi pensieri non consente di prendere posizione, credo si debba convenire consista, massime, nell’arricchimento di una parte(22). Arricchimento che trae fondamento nella deliberata intenzione di una parte di beneficare l’altra, quali che siano i motivi e le ragioni individuali che spingano a svolgere e realizzare questo arricchimento(23). Donazione e liberalità diverse dalla donazione, allora, poiché liberalità, sono accomunate dall’essere atti con i quali taluno arricchisce altro, ossia atti con i quali taluno modifica in termini economicamente migliorativi l’altrui sfera giuridico-patrimoniale. Il loro stringersi intorno al tema della liberalità e dell’arricchimento complica, però, il loro dividersi, il quale, non potendo trarre spunti dal fondamento causale, è, di necessità, costretto a rivolgersi alla mera struttura. La quale, nella donazione, pare esattamente definita non soltanto in ragione della struttura essenzialmente contrattuale dell’atto, ma anche in funzione delle prestazioni che consentono a una parte, per spirito di liberalità, di arricchire l’altra: «disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa una obbligazione». La struttura della donazione ha frontiere precise: è quella liberalità risultante da un contratto con il quale una parte dispone di un suo diritto a favore di un’altra o assume verso la stessa un’obbligazione. Ne emerge subito, per sottrazione, che le liberalità diverse dalla donazione occupano, immediatamente, tutti quegli atti liberali che non abbiano struttura contrattuale e tutti quegli atti liberali che, pur avendo struttura contrattuale, si realizzano mercé la disposizione non già di un diritto del donante, bensı̀, e nei limiti in cui ciò sia consentito, di un diritto alieno al donante ovvero mediante l’assunzione, non già di una obbligazione verso il donatario, bensı̀ di una obbligazione del donatario. Questa considerazione, che pur consente un primo risultato, non potrebbe, però, essere svolta in adeguata coerenza se non venisse (18) A. ALBANESE, Due (antiche) questioni in tema di collazione: l’intestazione in nome altrui; i frutti del bene ereditario, cit., p., discorre soltanto di contratto a favore del terzo e adempimento del terzo. (19) Si consideri che, tendenzialmente, la dottrina che si è occupata del tema tende a omologare tutte le ipotesi, sicché svolge considerazioni senza aver riguardo alle diverse modalità e tecniche di intestazione di beni sotto nome altrui. Cosı̀, a esempio, N. MASSELLA DUCCI TERI, Brevi note sulla intestazione altrui ai fini della collazione ereditaria, in Famiglia, persone e successioni, 2009, 412 e ss. e spec. 417 e s.. L’A., dopo aver diligentemente ordinato le posizioni di dottrina e giurisprudenza, aderisce all’orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione e aggiunge che tale risultato è conforme alla finalità della collazione. La quale non è recuperatoria, ma redistributiva. (20) L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Trattato di diritto civile e commerciale già diretto da Cicu e Messineo e continuato da Mengoni, XLIII, 2, Milano, 2000, 4a ed., 201, con consueta apertura d’orizzonti ed equilibrio delle soluzioni, cosı̀ risolve il problema: «quando, invece, all’arricchimento del donatario corrisponde un mancato acquisto del donante, il depauperamento di quest’ultimo è rappresentato dal valore di ciò che è entrato nel patrimonio del donatario». (21) Precisa U. CARNEVALI, voce Liberalità (atti di), cit., 215, «la liberalità va configurata tecnicamente come un effetto economico che discende direttamente o indirettamente dall’adozione di svariati strumenti, e non già invece come una causa». (22) Secondo U. CARNEVALI, Le donazioni, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, VI, cit., 498, bisogna riferire l’arricchimento all’intento del donante e non agli effetti della donazione. Il che serve soprattutto per spiegare il fenomeno di donazioni modali in cui l’onere assorbe, integralmente, il beneficio economico ricevuto dal donatario. (23) In tema, le considerazioni di A. PALAZZO, voce Donazione, in Dig. disc. priv. Sez. civ., III, Torino, 1991, 143 e ss., il quale bene osserva: «Mancanza di consistenza economica dello scambio e mancanza della forma pubblica si riscontra in pratica nei negozi a titolo gratuito diversi dalla donazione [...], e in donazioni indirette [...] ove l’individuazione della figura donativa dev’essere retta da criteri che prescindendo dalla forma e dalla consistenza dello scambio devono essere necessariamente ancorate allo spirito di liberalità e alla causa dell’attribuzione». fe, da un punto di vista rigorosamente giuridico e positivo e avendo tratto al problema investigato, consente di isolare tre verosimili varianti: la dazione di danaro, la modifica soggettiva passiva del rapporto obbligatorio, il contratto a favore di terzo(18). L’indagine, dunque, dovrà condursi, partitamente, rispetto a ciascuna di esse(19), verificando se sia possibile unità di soluzione o se si impongano, di necessità, separazioni inevitabili. Ossia se l’intervento del disponente attenda di essere qualificato come atto donativo o come liberalità e, ancora, se abbia riguardo al danaro o al bene. Pregiudiziali e doverose questioni, che sole consentono di correttamente fondare e sciogliere i principali problemi successorı̂ che le diverse figure pongono. 3. Donazioni e liberalità diverse dalla donazione S tabilire se l’atto, con il quale il disponente paga il prezzo, costituisca una donazione o una liberalità diversa dalla donazione e, successivamente, se esso abbia per oggetto il danaro o il bene, anche per i problemi di disciplina che da tale qualificazione, inevitabilmente, traggono origine, impone di fermare qualche provvisoria considerazione sul rapporto tra donazioni e liberalità diverse dalla donazione, che, per semplicità di linguaggio e senza implicazioni concettuali, stipulativamente, chiamerò donazioni indirette. Svolgerò, però, soltanto pensieri sparsi, variazionı̂ sul tema, privi di organicità e completezza. Ché la laboriosità dell’argomento e la densità e autorevolezza della letteratura suggerirebbero di evitare e allontanare, ma che l’ordinato cammino che mi pare necessario, e promesso in apertura, impone di fronteggiare e accostare(20). La norma sulle liberalità indirette, di cui all’art. 809 c.c., avverte subito il lettore del carattere residuale della figura. Essa, pur essendo una liberalità, occupa, infatti, lo spazio lasciato vuoto dalla donazione, ossia lo spazio di cui l’ultima non riesce a impossessarsi. Donazione e liberalità indiretta esauriscono nel nostro ordinamento giuridico, ordinamento di stampo germanico e ispirato al principio causale, il fenomeno delle liberalità inter vivos. Famiglia, Persone e Successioni 5 347 maggio 2012 h:/LINOTIPO_H/06-wki/Utet_Riviste_cod_Civ/01_FPS_2012/0677_12_FPS_05_2012/impa_def/FPS_05_344_361.3d 24/4/2012 14:19 pagina 348 IL COMMENTO Perché si abbia una donazione non basta che una parte assuma una obbligazione dell’altra, ma che assuma una obbligazione verso quella. Occorre cioè, e non potrebbe essere altrimenti, che il donatario sia parte del contratto e che il donante nei confronti di quello, e soltanto di quello, assuma un’obbligazione. Indipendentemente dal fatto che assuma una nuova obbligazione o una obbligazione già esistente(25). Ne consegue, quindi, che tutti gli atti con i quali una parte, per spirito di liberalità, assume una obbligazione dell’altra, ma non assume questa obbligazione nei confronti di quella, non potranno essere ricondotti al tipo della donazione e dovranno rifluire nelle liberalità diverse dalla donazione. La riflessione è una severa actio finium regundorum. Attende di essere qualificata donazione la liberalità risultante da un contratto con il quale una parte dispone di un suo diritto a favore di un’altra o assume verso la stessa un’obbligazione. Attendono, invece, di essere qualificati liberalità indiretta tutti quegli atti liberali che non abbiano struttura contrattuale e tutti quegli atti liberali che, pur avendo struttura contrattuale, si realizzano mercé la disposizione di un diritto alieno o l’assunzione di una obbligazione del beneficato, ma non verso quegli(26). Cosı̀ posto il confine strutturale tra le due figure, si impone una riflessione minima sugli atti rinunziativi(27). Non v’ha dubbio che l’atto con cui taluno rinunzia a un proprio diritto sia un atto di disposizione del diritto medesimo. Il che, però, non soltanto non esaurisce il tema delle liberalità, ma lo apre, di necessità, a incerti scenarı̂. La soluzione dei quali, credo che imponga di muovere da considerazioni preliminari sulla struttura e natura degli atti rinunziativi. La rinunzia, se si tratta di atto rinunziativo in senso proprio e non già di cosı̀ dette false rinunzie, ossia di quelle rinunzie che, dietro le contraffatte vesti dell’atto unilaterale, celano un atto di natura contrattuale o, più genericamente, pattizia(28), debbono, di necessità, essere atti a struttura unilaterale. (24) U. CARNEVALI, voce Liberalità (atti di), cit., 216. (25) Sembra, in aderenza alla dottrina dominante, restringere la donazione solo alle sole obbligazioni di dare, U. CARNEVALI, voce Liberalità (atti di), cit., 216. (26) Proprio in questa direzione, molto apprezzabile Cass., 28.2.1987, n. 2147, in Vita notarile, 1987, 747, nella quale si legge: «l’obbligo dell’erede di conferire l’immobile acquistato a suo nome può ravvisarsi soltanto allorché l’arricchimento del donatario abbia avuto luogo mediante la disposizione di un diritto o l’assunzione di una obbligazione nei suoi riguardi da parte del donante». (27) Molto problematico il tema delle liberalità attuate mediante atti materiali, ossia atti non negoziali o atti meramente omissivi. Sul punto le considerazioni, rilevanti proprio rispetto ai profili successorı̂, di U. CARNEVALI, Donazioni indirette e successione necessaria, in Famiglia, persone e successioni, 2010, 726. Ma, anche, V. CAREDDA, Le liberalità diverse dalla donazione, Torino, 1996, 195 e ss.; ID., Donazioni indirette, in I contratti gratuiti, Tratt. contratti, dir. da P. Rescigno ed E. Gabrielli, Torino, 2008, 265. (28) Il carattere della unilateralità, proprio delle rinunzia consente di escludere dal novero di esse tutti quegli atti che, pur apparentemente vicini o pur avendone impropriamente il nomen, ne sono distanti. Consente, quindi, di tagliar fuori quegli atti che, stipulativamente, denominerei false rinunzie. Si tratta di tutte quelle apparenti rinunzie che, per ragioni strutturali o effettuali, debbono considerarsi prive del carattere schiettamente unilaterale. Per ragioni strutturali, perché non sono unilaterali; per ragioni effettuali, perché prevedono un corrispettivo o una controprestazione. L’unilateralità consente, altresı̀, di risolvere il problema delle rinunzie sı̀ unilaterali, le quali si inseriscono in un più ampio e complesso programma negoziale, rispetto al quale le medesime costituiscono soltanto un frammento o la mera attuazione del più ampio assetto di interessi divisato. In tali casi, peraltro, accade sovente che nell’accordo di programma non è contenuto l’atto di rinunzia, ma, solamente l’impegno a rinunziare, mentre la rinunzia sta in un atto successivo. Il quale, soltanto apparentemente ed esteriormente, risulta slegato e svincolato dall’accordo di programma. In tali ipotesi l’atto di rinunzia presenta solo esteriormente, i tratti strutturali proprı̂ di una rinunzia. Il soggetto si è, in precedenza e per effetto dell’accordo di programma, obbligato a compierlo. Davvero problematico stabilire se l’atto possa annoverarsi al genere della rinunzia ovvero se debba fuoriuscire dal tipo e a essa debbano ricollegarsi effetti diversi da quelli suoi proprı̂. Ciò che ostacola la piana intelligenza del fenomeno è l’esistenza dell’obbligo a porlo in essere. Sicché bisognerebbe interrogarsi sul valore giuridico di tale obbligo e sul valore di un atto compiuto in esecuzione o in attuazione di tale obbligo, anche a prescindere dall’eventuale validità dell’atto che l’obbligo pone. Verificare, cioè, se l’esistenza di un tale obbligo debba indurre a escludere che l’atto posto in sua esecuzione o attuazione possa valere quale mero atto di rinunzia, ossia se l’esistenza dell’obbligo a compierla disturbi l’elemento strutturale della unilateralità. In linea puramente astratta la risposta sembrerebbe dover essere di segno negativo. Se è vero che esiste un obbligo a rinunziare, è pur vero che l’atto di rinunzia, nella misura in cui non faccia espresso riferimento a quest’obbligo, riferimento che risolverebbe in termini negativi la questione proposta, rimane un atto libero. Non potrebbe, cioè, escludersi che pur in presenza di quest’obbligo il soggetto, egualmente, avrebbe compiuto l’atto di rinunzia. L’esistenza di un tale obbligo non rende ineluttabile o ineludibile il compimento della rinunzia. Considerando, infatti, che l’obbligo ha a oggetto il compimento di un atto e dovendosi escludere in modo certo la possibilità di una esecuzione forzata in forma specifica, a’sensi dell’art. 2932 c.c., non v’ha dubbio, che, salva l’applicazione della disciplina della responsabilità del debitore, colui che si sia obbligato a compiere la rinunzia è, comunque, libero di non adempiere e, quindi, di non rinunziare. Sarebbe a dire che il soggetto, pur essendosi obbligato nell’accordo di programma a rinunziare, salvo dover risarcire il danno all’altra parte per il proprio inadempimento, è, sino all’ultimo, nella libertà di rinunziare o no. Ciò è l’essenza stessa dell’obbligo: la doverosità deontologica di una condotta, la quale, perché tale lascia al suo titolare sempre la libertà di tradurre o non tradurre in realtà il comportamento doveroso. Per quanto questo ragionamento abbia una sua tenuta, non può, tuttavia, sottacersi che, ove il soggetto rinunzi in esecuzione dell’obbligo assunto, compie un atto, pur apparentemente unilaterale, che potrebbe meritare di essere considerato, nella dinamica complessa del rapporto negoziale intrattenuto con la parte o le parti rispetto alle quali si sia obbligato, l’esecuzione di un atto dovuto o considerato dovuto. Il quale po- precisato il confine strutturale della disposizione di un proprio diritto e della assunzione di un’obbligazione verso il donatario, essendo, quelli, i tratti prestazionali che fungono da displuvio tra donazione e liberalità diverse dalla donazione(24). La parola disposizione, derivando dal verbo disporre, non può che richiamare l’attività di colui che colloca o pone un ordine determinato. Ne deriva che la formula linguistica «disposizione di un diritto» non evoca una precisa fattispecie, ma ordina tutte quelle che, quale che ne sia la struttura o composizione, producono, siccome conseguenza, una qualunque vicenda del rapporto giuridico. L’atto di disposizione, in altri termini, non sembra potersi caratterizzare in ragione della struttura dell’atto o della natura del diritto, ma in funzione della vicenda del rapporto giuridico. Abbracciandole, tutte: dalla costituzione, alla modificazione, oggettiva e soggettiva, e fino all’estinzione. La situazione giuridica soggettiva che patisce una qualunque vicenda viene collocata in un ordine diverso da quello precedente. L’atto giuridico che realizza un tale risultato è, perciò, dispositivo. Il concetto di «disposizione» acquista, dunque, una straordinaria capacità attrattiva: trascina a sé qualunque vicenda di rapporto giuridico. Ciò, però, mentre restringe, drammaticamente, lo spazio delle liberalità diverse dalla donazione, accresce, di necessità, quello delle donazioni. Perché non può immaginarsi un contratto con il quale una parte arricchisca l’altra, senza disporre di un proprio diritto. Perché nella disposizione del diritto si confina qualunque vicenda del diritto. Veniamo alla seconda: assunzione di una obbligazione verso la stessa. maggio 2012 348 Famiglia, Persone e Successioni 5 h:/LINOTIPO_H/06-wki/Utet_Riviste_cod_Civ/01_FPS_2012/0677_12_FPS_05_2012/impa_def/FPS_05_344_361.3d 24/4/2012 14:19 pagina 349 IL COMMENTO Ciò solo, mentre vale a escludere che essi, ove pure possano considerarsi compiuti per spirito di liberalità e con lo specifico intento del rinunziante di beneficare e arricchire altri, possano essere considerati donazioni, induce a farli rifluire all’interno delle liberalità diverse dalla donazione. Ciò posto, però, si tratta di verificare se una tale riconducibilità possa essere effettivamente compiuta e svolta o se essa debba essere negata e riprovata. Il tema, certamente più semplice per le rinunzie negoziali è, invece, molto più articolato ed eterogeneo per le rinunzie non negoziali. Nelle prime, infatti, trattandosi di atti a efficacia corrispondente al contenuto dell’atto(29), la presenza e rilevanza dell’intento è capace di colorare l’atto e consente di verificare, se vi sia lo spirito liberale di arricchire altri, o meglio se tale intento abbia pervaso di sé l’intero atto, connotandone lo statuto giuridico(30). La riconducibilità di una rinunzia negoziale al genere della liberalità indiretta è tema che si riduce, dunque, all’interno della valutazione giuridica dell’intento negoziale, da condurre a compimento secondo le consuete norme sull’interpretazione dell’atto giuridico. Diversamente, negli atti giuridici in senso stretto, nei quali l’intento non è rilevante, né capace di orientare la produzione degli effetti in alcuna direzione diversa da quella posta e imposta dal legislatore, la valutazione dell’intento non può assumere un tratto di rilevanza ordinante o qualificatoria. Ne consegue che, in linea di massima e sul presupposto che si tratti di atti rinunziativi in senso proprio e non di false rinunzie, si tratta di rinunzie e basta. Le quali, tendenzialmente, non pare possano essere ricondotte nel genere delle liberalità diverse dalla donazione. Ciò, tuttavia, non credo che possa e debba sempre valere. Perché, in tutti i casi nei quali si riuscisse a dimostrare che l’autore dell’atto rinunzia al proprio diritto non già per rinunziare, bensı̀ per arricchire, seppur mediatamente e indirettamente, altri, allora parrebbe possibile individuare gli estremi di una liberalità indiretta(31). Si tratterebbe, in altri termini, di fare applicazione del principio di eccedenza dello strumento rispetto al fine, secondo il consueto ritmo fattispecie-effetto. Con l’avvertenza che la fattispecie idonea a valere quale liberalità indiretta non sarebbe, in questo caso, il solo atto di rinunzia, bensı̀ l’atto volitivo di rinunzia avente lo specifico intento liberale(32). Il che, però, mi pare che finisca, inevitabilmente, per trascinare, volontariamente o involontariamente, l’atto nelle maglie della fattispecie negoziale. Non già, per una sorta di metamorfosi dell’atto, che certamente non tollera queste vicende di kafkiana memoria, ma soltanto, perché proprio la presenza rilevante di un tale intento liberale, capace di colorare causa e attribuzione della rinunzia, finisce per rendere quella rinunzia un atto diverso da ciò che esso essenzialmente era in origine e sarebbe continuato a essere in assenza di quell’intento liberale, capace di orientarne direzione ed effetti verso altri risultati. trebbe essere, a sua vòlta, il corrispettivo di altra e diversa prestazione. Capovolgendo la prospettiva la rinunzia stessa sembrerebbe fatta verso corrispettivo. Questa ambivalente capacità della rinunzia, parte di un più ampio programma negoziale, di atteggiarsi ora a atto libero ora a atto vincolato, ne rende seriamente complessa la valutazione in termini di struttura. Nonostante le difficoltà, mi sembra, tuttavia, opportuno approdare a una soluzione di segno negativo, ossia a una soluzione che denunci il difetto della unilateralità della rinunzia posta in esecuzione di un programma negoziale. L’argomento che mi sembra essere dirimente è quello che si fonda sulla drammatizzazione dell’esito epistemologico. Ammettiamo pure che il soggetto, pur obbligato a rinunziare, decida liberamente e, quindi, nella piena consapevolezza della incoercibilità specifica del proprio obbligo a prestare il consenso, di rinunziare. L’atto di rinunzia sarebbe esteriormente un atto unilaterale. Tuttavia, per quanto il soggetto abbia deciso in piena autonomia e libertà, non v’ha dubbio che, una vólta compiuta la rinunzia, indipendentemente da quale sia stato il movente soggettivo che lo abbia indotto a rinunziare, ha portato a compimento il programma negoziale. Ha portato a compimento un programma più complesso rispetto al quale la propria rinunzia è soltanto un frammento delle prestazioni. Ciò significa che, indipendentemente dallo spirito con cui il soggetto ha rinunziato, il programma ha avuto attuazione concreta. Il programma negoziale, se di un vero e proprio programma si trattava, non poteva che profilare la rinunzia o, meglio sarebbe dire, l’obbligo di rinunziare quale corrispettivo o contropartita di un’altra prestazione. In difetto, infatti, non sarebbe stato neppure possibile, in tesi, ipotizzare l’esistenza di un vero programma negoziale. L’obbligo di rinunzia si pone in relazione ad altre prestazioni. Se è vero che formalmente non esiste una rinunzia verso corrispettivo, ma, più esattamente, un obbligo di rinunzia verso corrispettivo, non mi pare che la rinunzia effettivamente compiuta possa predicarsi come atto puramente unilaterale. Nel senso che la sua unilateralità sarebbe sostanzialmente smarrita nel suo porsi siccome adempimento di una prestazione. Mi sembra, allora, plausibile concludere che una rinunzia, allorquando il suo compimento costituisca oggetto di un più ampio programma negoziale, rispetto al quale l’obbligo di compierla abbia una controprestazione, ancorché non si possa dire che, in via immediata e diretta, la rinunzia sia compiuta verso corrispettivo, tale conclusione debba togliersi, almeno, in via mediata e indiretta. E, quindi, escludersi, ove pure vi sia la libertà di compierla, che essa valga quale mero atto unilaterale. (29) M. ALLARA, Vicende del rapporto giuridico, fattispecie, fatti giuridici, rist. con prefazione di N. Irti, Torino, 1999, 119 s., distingue i fatti giuridici a efficacia corrispondente al contenuto del fatto stesso e a efficacia non corrispondente. Se c’è corrispondenza dell’elemento oggettivo e tale corrispondenza è cospicua si discorre di negozio. «È ovvio che sia il tipo di vicenda del rapporto che il contenuto di quest’ultimo sono in funzione del contenuto del negozio; da ciò consegue come l’indagine diretta ad accertare, nei casi concreti, la fattispecie negoziale si presenti più delicata dell’indagine diretta all’accertamento delle altre fattispecie». «Fuori del campo negoziale il fenomeno della corrispondenza dell’elemento oggettivo può presentarsi in maniera meno accentuata, riguardando tale corrispondenza non già il tipo di mutamento del rapporto, ma soltanto il contenuto di quest’ultimo.» (30) Secondo N. DISTASO, Donazione indiretta, negozio indiretto e acquisto di immobile fatto dal figlio, a nome proprio, con danaro fornito dal padre, in Giur. Completa della Corte Suprema di Cassazione, 1949, 207, la rinunzia al diritto fatta con lo scopo di avvantaggiare altri vale come donazione indiretta «se il vantaggio effettivamente si consegua». (31) Chiara, sullo specifico problema della rinunzia all’azione di riduzione, la pagina di G. BONILINI, Se la rinunzia all’azione di riduzione possa valere quale donazione indiretta, in Famiglia, persone e successioni, 2010, 806 e ss. e spec. 808. (32) Cosı̀, G. BONILINI, Se la rinunzia all’azione di riduzione possa valere quale donazione indiretta, cit., 808. (33) Per una completa ed efficace ricostruzione, anche in rapporto al tema della donazione indiretta, V. CAREDDA, Le liberalità diverse dalla donazione, cit., 77 e ss.; ID., Donazioni indirette, cit., 187 e ss. 4. Sulle liberalità e donazioni cosı̀ dette indirette L e liberalità diverse dalla donazione sono, spesso, dette e descritte siccome liberalità indirette o donazioni indirette. L’uso dell’aggettivo indirette, però, non mi pare innocuo e, poiché inevitabilmente evoca una precisa categoria dogmatica, impone, pur con la sommarietà e la brevità che in tale scritto è consentita, qualche notazione minima. I termini entro i quali si è svolto il dibattito intorno al negozio indiretto sono noti e non occorrerà qui ripeterne l’evoluzione o segnarne le pur importanti differenze di sfumature e respiri o le diverse atmosfere nell’ambito delle quali il dibattito ha trovato ora occasione e spunti, ora fondamento e forza(33). Basterà ricordare, con sacrificio di precisione e completezza, che si considera generalmente negozio indiretto quel negozio che le parti pongono in essere non tanto e non soltanto per realizzare l’effetto caratteristico di cui il negozio è capace, quanto soprattutto per conseguire un risultato ulteriore e di- Famiglia, Persone e Successioni 5 349 maggio 2012 h:/LINOTIPO_H/06-wki/Utet_Riviste_cod_Civ/01_FPS_2012/0677_12_FPS_05_2012/impa_def/FPS_05_344_361.3d 24/4/2012 14:19 pagina 350 IL COMMENTO verso(34). Quando, cioè, un tipo contrattuale viene utilizzato per una finalità che va oltre il tipo medesimo(35). Né può considerarsi un caso che nelle numerose pronunce della giurisprudenza di legittimità e di merito la categoria del negozio indiretta è spesso, impropriamente, predicata a ipotesi che trascendono il negozio stesso, e, per l’esattezza, al cosı̀ detto collegamento negoziale. Denunciandosi la presenza della categoria, quando le parti pongano in essere una pluralità di contratti, tra loro funzionalmente connessi, allo scopo di realizzare una finalità che vada al di là di quella propria di ciascuno e tutti i contratti collegati. Questa approssimativa definizione del negozio indiretto spiega anche i momenti di stretto collegamento che, inevitabilmente, si instaurano tra quello e il negozio in frode alla legge e, oggi, alla discussa figura dell’abuso del diritto(36). Al punto che, considerata questa definizione, potrebbe anche affermarsi che il negozio in frode alla legge costituisce un sottoinsieme del negozio indiretto. Con il quale condivide l’essere un negozio utilizzato per realizzare un risultato ulteriore e diverso rispetto a quello di cui esso è «naturalmente» capace, ma dal quale si divide, perché non costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa. Posta questa distinzione, Tenderei subito a escludere che si possa parlare di donazioni indirette(37). Perché nelle liberalità diverse dalla donazione, non siamo in presenza di una donazione che vuole realizzare un risultato diverso da quello tipico della donazione, ma, all’esatto contrario, in presenza di atti diversi dalla donazione che vogliono realizzare una liberalità(38). Il presupposto sarebbe, dunque, esattamente rovesciato(39). Tenderei a escludere, anche, che si possa tecnicamente discorrere di liberalità indirette. Sfugge, infatti, quale sia l’ulteriore fine o scopo che tali atti tendono a realizzare. Nelle liberalità diverse dalla donazione siamo in presenza di un atto che vuole realizzare un risultato esattamente liberale. Nelle liberalità diverse dalla donazione, l’aggettivo indiretto andrebbe coniugato e predicato non tanto alla liberalità in sé, quanto al singolo e concreto atto giuridico impiegato per realizzarla e attuarla nell’ordine giuridico(40). Un esempio può chiarire. Se le parti pongono in essere un contratto a favore di terzo, allo scopo di realizzare una liberalità a favore del terzo, non possiamo dire che questo atto è una liberalità indiretta o una donazione indiretta, ma che questo atto è una liberalità diversa dalla donazione. Potremmo, al più, affermare che le parti abbiano usato, per cosı̀ dire, lo strumento del contratto a favore del terzo in modo indiretto, al fine di realizzare un risultato ulteriore e diverso da quello suo tipico. Indiretto sarebbe, al più, il contratto a favore del terzo(41). La formula linguistica liberalità indirette, allora, risulterebbe giustificata se, con essa, si volessero considerare vinti dal tratto indiretto non le liberalità in sé, ma i singoli atti e gli individui contratti, vólta a vólta, utilizzati per realizzare la finalità liberale(42). Siamo, dunque, in presenza di una autentica metonimia, in cui (34) Per tutti, F. CARNELUTTI, Donazione di immobile o donazione di danaro?, cit., 185, «Il negozio indiretto, come ormai tutti sanno, si ha nel caso in cui si ricorra al negozio per conseguire un risultato, che non è proprio del negozio medesimo, ma di un negozio diverso». (35) A proposito della collazione GIU. AZZARITI, La divisione, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, VI, cit., 449, scrive «si ha donazione indiretta quando la liberalità non costituisce che un ulteriore motivo dell’atto che si pone in essere e che produce una conseguenza necessaria attraverso la quale la parte consegue indirettamente lo scopo di liberalità che colui che compie l’atto si è prefisso». Alla nota 10, l’A. indica proprio il caso di intestazione di bene sotto nome altrui, aderendo all’orientamento giurisprudenziale che considera oggetto della donazione il bene e non il danaro. Ma, G. BASINI, L’oggetto della liberalità ai fini della collazione, dell’imputazione ex se e della riunione fittizia, in ipotesi «intestazione di beni a nome altrui», cit., 293, aderendo all’orientamento di Torrente, sembra prescindere dal risultato ulteriore e concentrarsi sulla conseguenza. L’A. precisa che è donazione indiretta «ogni liberalità che non costituisca lo scopo unico dell’atto giuridico posto in essere, ma solo una conseguenza o circostanza concomitante di esso». (36) Sul tema, per consonanza di opinione, dovuto il riferimento a M. Orlandi, Contro l’abuso del diritto (in margine a Cass., 18.9.2009, n. 2016), in Riv. dir. civ., 2010, I, 147 e ss. e in Nuova Giur. Civ., 2010, 129 e ss. Si vedano, però, P. RESCIGNO, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, 205 ss.; A. GENTILI, Abuso del diritto, giurisprudenza tributaria e categorie civilistiche, in Ianus, 1, 2009, 2, e in Riv. dir. comm., 2009, 403 ss.; G. TARELLO, Orientamenti della magistratura e della dottrina sulla funzione politica del giurista-interprete, in Politica del Diritto, 1972, 475 e ss., ora anche in Metodologia nello studio della giurisprudenza civile e commerciale. Antologia di saggi, a cura di G. Visintini, Milano 1999, 17-57. (37) Discorrono di donazione indiretta, U. CARNEVALI, Donazioni indirette e successione necessaria, cit., 725 ss.; A. ALBANESE, Due (antiche) questioni in tema di collazione: l’intestazione in nome altrui; i frutti del bene ereditario, cit., 246, il quale identifica le liberalità diverse dalle donazioni con le donazioni indirette; G. BASINI, Donazione indiretta e applicabilità dell’art. 179, lett b), c.c., cit., 247, «donazione indiretta, invece, è da reputare ogni liberalità che non costituisca lo scopo unico dell’atto giuridico posto in essere, ma solo una conseguenza o circostanza concomitante con esso». V. CAREDDA, Donazioni indirette, cit., 175 e ss.; ID., Le liberalità diverse dalla donazione, cit., 115 e ss.. (38) N. DISTASO, Donazione indiretta, negozio indiretto e acquisto di immobile fatto dal figlio, a nome proprio, con danaro fornito dal padre, cit., 207, definisce le liberalità indirette come «quelle liberalità che costituiscono non già lo scopo unico, ma soltanto una conseguenza o circostanza concomitante di un atto giuridico, il quale per se stesso ha tutt’altro scopo e tutt’altra natura che di donazione». (39) Per tutti, L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit., 199, il quale scrive che le donazioni diverse dalle liberalità sono «comunemente denominate, con terminologia non rigorosa, ma comoda, ‘‘donazioni indirette’’». Cosı̀, anche U CARNEVALI, voce Liberalità (atti di), cit., 218. (40) In questo senso, chiaro, G. STOLFI, Sulla collazione del danaro donato per l’acquisto d’un immobile, in Giur. Completa della Corte Suprema di Cassazione, 1946, I, 483, il quale, proprio in tema di intestazione sotto nome altrui, scrive: «la donazione indiretta differisce dall’altra, non perché il donatario sia messo in grado di conchiudere per conto suo un negozio col terzo o di eseguire l’atto stipulato con quest’ultimo e concernente i beni di lui, ma perché il donatario consegue un qualche vantaggio da un negozio di indole diversa dalla donazione, al quale però abbia partecipato il donante, e limitatamente ai beni di costui: se l’atto incide per avventura anche sul patrimonio del terzo, per questa parte non è mai considerato donazione». (41) Si consideri, a conferma di quanto sostenuto nel testo, che di là del largo uso e della straordinaria fortuna dell’espressione, esistono da parte della migliore dottrina serie perplessità per elevare a categoria la figura della cosı̀ detta donazione indiretta. In tal senso, B. BIONDI, Le donazioni, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da F. Vassalli, Milano, 1964, 897; ID., voce Donazione (dir. civ.), in Noviss. Dig. it., VI, Torino, 1960, 237; G. BALBI, La donazione, in Trattato di diritto civile, diretto da G. Grosso e F. Santoro-Passarelli, Milano, 1964, 107; L. CARRARO, Il mandato ad alienare, Padova, 1947, 132 e ss.; N. DISTASO, Donazione indiretta, negozio indiretto e acquisto di immobile fatto dal figlio, a nome proprio, con danaro fornito dal padre, cit., 208 e spec. 213; U. CARNEVALI, Le donazioni, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, VI, cit., 498; G. BASINI, L’oggetto della liberalità ai fini della collazione, dell’imputazione ex se e della riunione fittizia, in ipotesi «intestazione di beni a nome altrui», cit., 294. (42) Spiega molto bene V. CAREDDA, Donazioni indirette, cit., 213 e ss. e spec. 219, che nelle liberalità diverse dalla donazione si assiste a un fenomeno particolare: la compresenza di molteplici profili casuali. Il negozio tipico non perde la propria causa, o meglio, il proprio peculiare profilo causale e nondimeno il tratto di liberalità contribuisce a costituire la funzione concreta del negozio stesso. «Si tratta, dunque, di atti dotati di propria natura, che conservano anche quando si atteggiano ad atti liberali, si tratta di verificare se le liberalità diverse dalla donazione possano essere definite in termini di donazione indiretta o di liberalità indiretta. maggio 2012 350 Famiglia, Persone e Successioni 5 h:/LINOTIPO_H/06-wki/Utet_Riviste_cod_Civ/01_FPS_2012/0677_12_FPS_05_2012/impa_def/FPS_05_344_361.3d 24/4/2012 14:19 pagina 351 IL COMMENTO l’aggettivo indiretto predicato alla liberalità, dovrebbe, piuttosto, essere predicato all’atto utilizzato per realizzare l’effetto liberale(43). 5. Intestazione di beni sotto nome altrui tra donazioni e liberalità diverse dalla donazione L e minime riflessioni svolte in tema di apposizione di confini tra donazione e liberalità indiretta possono guidare il cammino verso la riconducibilità, nell’una o nell’altra categoria, delle principali tecniche idonee a realizzare, nel nostro sistema giuridico, un’intestazione di beni sotto nome altrui. Ho già indicato quali possono essere gli strumenti giuridici, i quali ho creduto che debbano, massimamente, ordinarsi all’interno di tre macro-ipotesi: la dazione di una somma di danaro; il contratto a favore del terzo; l’assunzione dell’obbligo di pagare il prezzo o il pagamento del prezzo da parte del disponente(44). Muovo dalla più comune e semplice: la dazione di una somma di danaro. Non credo che si possa seriamente porre in discussione che l’atto giuridico, con il quale il disponente consegna al beneficato una somma di danaro, perché costui acquisti un certo bene, debba considerarsi una donazione. Si tratterà di un contratto di donazione che ha per oggetto una determinata quantità di danaro(45). Un contratto con il quale il disponente, per spirito di liberalità, arricchisce il beneficato disponendo a favore di questi di un suo diritto. Non credo, infatti, che si possa seriamente revocare in dubbio che il trasferimento di una determinata quantità di danaro, avvenga essa attraverso la consegna materiale di banconote o di un assegno, bancario o circolare, o attraverso un bonifico bancario o, infine, attraverso un diverso mezzo di pagamento, costituisca una disposizione di un proprio diritto. Sotto un diverso profilo, non mi pare che possa incidere significativamente, rispetto a una tale qualificazione, l’eventuale circostanza che il donante si sia determinato al compimento dell’atto di liberalità al solo scopo di consentire al donatario l’acquisto di un determinato bene(46). Tale circostanza, infatti, qualora non venisse estrinsecata nel contratto e salva la possibilità che essa valga quale presupposizione della donazione, rimarrebbe confinata nell’area dei motivi. Ossia in una area che, anche nel contratto di donazione, rimane, tendenzialmente, irrilevante da un punto di vista giu- con la precisazione che in quest’ultimo caso, vi è un arricchimento dello schema causale minimo eventualmente predisposti dal legislatore, arricchimento da intendersi non come giustapposizione di un «pezzo», ma come possibilità di emersione di un nuovo profilo di una causa comunque unitaria». Cosı̀, già nel lavoro monografico, Le liberalità diverse dalla donazione, cit., 186 e ss. e spec. 190. (43) Sui problemi di disciplina della liberalità diversa dalla donazione, V. CAREDDA, Donazioni indirette, cit., 226 e ss.; ID., Le liberalità diverse dalla donazione, cit., pp. e ss.; (44) Per una ragionata e completa sintesi degli argomenti a sostegno dell’una e dell’altra tesi G. BASINI, L’oggetto della liberalità ai fini della collazione, dell’imputazione ex se e della riunione fittizia, in ipotesi «intestazione di beni a nome altrui», cit., 295 e ss. (45) In questo senso, U. CARNEVALI, voce Intestazione di beni sotto nome altrui, cit., 4, il quale osserva che «per pervenire all’opposta soluzione sarebbe necessario un intervento del legislatore che introducesse una norma apposita, come è avvenuto in Francia», con la novella del 1971 che ha modificato il testo dell’art. 869 code civil; U. CARNEVALI, Donazioni indirette e successione necessaria, cit., 726, nota 10. In senso parzialmente difforme, ridico. Ove, invece, tale finalità venisse espressamente estrinsecata nel contratto, essa determinerebbe conseguenze del tutto simili a quelle che la dottrina ha ampiamente discusse rispetto al mutuo di scopo(47). Non v’ha dubbio, infatti, che una tale destinazione non potrebbe valere quale onere della donazione, dal momento che non sarebbe un vero e proprio peso capace di ridurre il vantaggio del beneficato, ma integrerebbe, al massimo, gli estremi di un obbligo posto a carico del donatario. Né, infine, può essere rilevante, ai fini della qualificazione del contratto, il rilievo che esso ha per oggetto una determinata quantità di danaro, dacché non v’ha dubbio che ipotesi del genere sono conosciute dal nostro Codice civile e, per tutte, basti rammentare il contratto di mutuo. Piuttosto, si tratterà, di eseguire un coordinamento della disciplina generale del contratto con quella della circolazione dei titoli di credito, tra essi essendo ricomprese sia le banconote sia gli assegni. Si tratta, quindi, di un vero e proprio contratto di donazione che, in quanto tale, è assoggettato ai requisiti di forma e sostanza previsti, in genere, per il contratto di donazione. Escludendo, poi, che si possa, tendenzialmente, trattare di una donazione di modico valore, il contratto sarà soggetto al requisito di forma prescritto all’art. 782 c.c., il quale reclama l’atto pubblico, e alle formalità imposte dalla legge notarile, che reclamano la presenza di due testimoni(48). Con l’ovvio corollario che, nei casi in cui la donazione di danaro non rispetti il requisito di forma prescritto, il contratto sarà nullo, con tutte le conseguenze che la nullità determina e che mi riprometto di meglio analizzare in uno con le interferenze che tale donazione comporta rispetto alla successione mortis causa del donante. Vengo, quindi, alla seconda macro-ipotesi: il contratto a favore del terzo. Ossia il caso in cui l’intestazione di un bene sotto nome altrui venga realizzata attraverso la conclusione di un contratto di vendita contenente una stipulazione a favore del terzo. La qualificazione della ipotesi in termini di donazione o liberalità indiretta presenta non poche difficoltà, dal momento che bisogna stabilire se la stipulazione a favore del terzo possa essere considerata la disposizione di un diritto del disponente-donante e, soprattutto, se si possano individuare gli estremi di un contratto tra beneficante e beneficato, in difetto del quale la stessa qualificazione in termini di donazione risulterebbe, almeno secondo la linea che ho tracciata, compromessa. A. TORRENTE, La donazione, cit., 67 e s., secondo il quale l’elargizione di danaro per consentire l’acquisto di un bene è tendenzialmente qualificabile siccome donazione diretta di danaro. Tuttavia, qualora esista un collegamento molto stretto tra elargizione e acquisto, vi sarebbe donazione indiretta del bene. N. DI MAURO, L’individuazione oggetto della liberalità ai fini della riunione fittizia, dell’imputazione ex se della collazione in alcune fattispecie particolari, cit., 176. (46) Nel 1946, con lontane parole che possono essere rivolte oggi anche alla sentenza delle Sezioni Unite del 1992, G. STOLFI, Sulla collazione del danaro donato per l’acquisto d’un immobile, cit., 484, scrive: «anche a voler dimenticare che da secoli i diritti vengono trasmessi ed acquistati da chi manifesta legittimamente il consenso (art. 1376) e non da chi fornisce il danaro, semplice mezzo di pagamento (art. 1277) epperò di estinzione delle obbligazioni già sorte, non si può disconoscere che nella specie il venditore è stato pagato non dal donante ma dal compratore, sicché ha riscosso una somma che già apparteneva a quest’ultimo in base alla donazione». (47) Per tutti, A. ZIMATORE, Il mutuo di scopo: problemi generali, Padova, 1985. (48) U. CARNEVALI, voce Intestazione di beni sotto nome altrui, cit., 4. Famiglia, Persone e Successioni 5 351 maggio 2012 h:/LINOTIPO_H/06-wki/Utet_Riviste_cod_Civ/01_FPS_2012/0677_12_FPS_05_2012/impa_def/FPS_05_344_361.3d 24/4/2012 14:19 pagina 352 IL COMMENTO Di là della difficile questione sul se la stipulazione a favore del terzo possa essere considerata disposizione di un diritto del disponente, questione a favore della quale sembrano militare il potere dello stipulante di revocarla o modificarla, almeno finché il terzo non abbia dichiarato, anche in confronto del promittente, di volerne profittare e avverso la quale sembra militare l’argomento che la stipulazione a favore del terzo costituisce, piuttosto, l’esercizio di un potere dello stipulante, che non la disposizione di un proprio diritto, credo che l’esclusione di tale figura dal campo della donazione debba, essenzialmente, legarsi all’impossibilità di scorgere un contratto tra beneficante e beneficato. Il contratto a favore del terzo è, infatti, contratto bilaterale che corre tra promittente e stipulante; il terzo è solo beneficiario della prestazione, che acquista, salvo patto contrario, per effetto della stipulazione e contro il promittente. La dichiarazione del terzo di volerne profittare, lungi dall’essere un costituente del contratto, è estranea a quello e il suo unico effetto è di rendere irrevocabile la stipulazione in suo favore. L’esclusione dell’ipotesi dal campo della donazione si lega, allora, all’impossibilità di considerare esistente tra beneficante e beneficato un contratto per effetto del quale il primo, per spirito di liberalità, arricchisce il secondo. Ne consegue, pertanto, che, se lo stipulante volesse arricchire il terzo, per spirito di liberalità, l’atto attenderebbe di essere ricondotto alle liberalità indirette, ma non alla donazione. Si consideri, inoltre, che nel contratto a favore del terzo manca la perfetta contiguità, altrimenti necessaria nella donazione, tra depauperamento del patrimonio del beneficante e arricchimento del patrimonio del beneficato(49), perché il diritto del quale si arricchisce l’ultimo è un diritto esistente nel patrimonio del promittente. Il quale si è impegnato nei confronti dello stipulante a eseguire la prestazione a vantaggio del terzo indicato dallo stipulante. Il beneficato (terzo) si arricchisce di un diritto non già del beneficante (stipulante), ma di un diritto altrui (promittente). Sicché, ai fini della qualificazione del contratto a favore di terzo come donazione o liberalità, anche a voler prescindere dal problema relativo alla configurazione di un contratto tra beneficante e beneficato, non sarebbe possibile neppure ipotizzare che l’arricchimento del beneficato avvenga, nel caso in parola, attraverso la disposizione di un diritto proprio del beneficante. Attratta l’ipotesi nell’orbita delle liberalità indirette, rimane problematico stabilire quale sia l’oggetto di tale liberalità: se la prestazione eseguita dal promittente a favore del terzo o la prestazione che lo stipulante esegue nei confronti del promittente. Credo che debba preferirsi la prima ipotesi(50). A favore di tale tesi possono addursi almeno due argomenti: uno sistematicopositivo e uno apagogico. Muovo dal primo. (49) In senso parzialmente difforme, F. CARNELUTTI, Donazione di immobile o donazione di danaro?, cit., 185, il quale scrive: «ma non è detto che a procurare l’arricchimento serva solamente il trasferimento fatto dal donante al donatario, mentre il donante può procurarlo ottenendo a favore del donatario il trasferimento da parte di un terzo». (50) Cosı̀, U. CARNEVALI, Donazioni indirette e successione necessaria, cit., 726. maggio 2012 352 Famiglia, Persone e Successioni 5 Pur essendo inequivoco che la prestazione che arricchisce il beneficato è eseguita dal terzo e che essa non transita nel patrimonio del beneficante-stipulante, nondimeno non può sottacersi che lo stipulante ha il potere di revocare o modificare la stipulazione e che, in caso di revoca della stipulazione o di rifiuto del terzo di profittarne, la prestazione rimane a beneficio dello stipulante, salvo che diversamente risulti dalla volontà delle parti o dalla natura del contratto. Se, dunque, è pur vero che il terzo acquista il diritto per effetto della stipulazione e direttamente contro il promittente, non è men vero che tale diritto è, comunque, nella disponibilità dello stipulante e costituisce il bene o la prestazione che quegli avrebbe, altrimenti, conseguito e che decide di non conseguire allo scopo di beneficare il terzo(51). Di essa deve, dunque, aversi riguardo e non della eventuale e ipotetica prestazione che lo stipulante esegua a favore del promittente. Non credo meno efficace un argomento apagogico. Qualora si affermasse che la liberalità indiretta ha per oggetto la prestazione che lo stipulante esegue nei confronti del promittente, nel caso in cui lo stipulante si fosse impegnato nei confronti del promittente per mero spirito di liberalità e al solo scopo di arricchirlo, ossia nel caso in cui il contratto a favore del terzo tra promittente e stipulante fosse, esso stesso, un contratto di donazione, mercé il quale il primo, per spirito di liberalità, arricchisce il secondo, dovremmo, paradossalmente, concludere nel senso che, in tal caso, difetta un vantaggio per il terzo-beneficato e che la liberalità non avrebbe alcun oggetto o contenuto. Il che, conferma, dunque, che il contratto a favore di terzo, rispetto al rapporto tra stipulante e beneficato, debba costruirsi in termini di liberalità indiretta, avente per oggetto la prestazione che il promittente esegue nei confronti del terzo. Avverso la conclusione raggiunta o contro la conclusione tolta rispetto all’ipotesi di intestazione sotto nome altrui realizzata attraverso la dazione di una determinata quantità di danaro, non mi pare decisivo o efficace l’argomento che volesse far leva sulla diversità del risultato qualificatorio. Il rilievo che, nell’un caso, si dia una donazione di danaro e, nell’altro, una liberalità avente per oggetto il bene (ossia il diritto che il terzo acquista contro il promittente), non credo che debba o possa suggerire soluzioni uniformanti nell’uno o nell’altro senso. Perché alla diversità dello strumento giuridico utilizzato debbono, di necessità, corrispondere anche differenze sul piano effettuale. Poco o punto importa che le due tecniche siano orientate al medesimo risultato pratico, ossia una intestazione di bene sotto nome altrui. Importa, invece, che si tratta di strumenti giuridici diversi, aventi statuti disciplinari diversi e, soprattutto, conseguenze diverse. Perché non è detto che il donatario della determinata somma di danaro compri con quel danaro il bene o esattamente il bene che il donante avrebbe voluto, perché la donazione del danaro, nel momento in cui è conclusa vincola le parti, perché nel contratto a favore del terzo lo stipulante, anche successivamente alla conclusione del contratto e fino a che il terzo non abbia (51) U CARNEVALI, voce Liberalità (atti di), cit., 223, «posto che la clausola a favore del terzo rappresenta nei confronti di costui un vero e proprio atto di disposizione dello stipulante, bisogna dedurne che, al di fuori dell’assicurazione sulla vita, il terzo beneficiario dovrà conferire o restituire quanto gli è stato attribuito e non quanto lo stipulante abbia dato al promittente in corrispettivo della prestazione attribuita al terzo». h:/LINOTIPO_H/06-wki/Utet_Riviste_cod_Civ/01_FPS_2012/0677_12_FPS_05_2012/impa_def/FPS_05_344_361.3d 24/4/2012 14:19 pagina 353 IL COMMENTO dichiarato di volerne profittare, potrebbe revocare o modificare la stipulazione a favore del terzo, perché la donazione di danaro difficilmente potrebbe essere rinviata o eseguita dopo la morte del donante(52), perché la prestazione a favore del terzo può essere, senz’altro, eseguita dopo la morte dello stipulante. Perché i due atti hanno statuti giuridici assai diversi. 6. Segue: l’assunzione dell’obbligo di pagare il prezzo o il pagamento del prezzo da parte del disponente D ecisamente più complessa si profila la qualificazione in termini di donazione o liberalità indiretta della tecnica negoziale di intestazione di beni sotto nome altrui quando essa sia realizzata attraverso l’assunzione dell’obbligo di pagare il prezzo o attraverso il pagamento del prezzo da parte del disponente. Ho già precisato che, all’interno di questa macro-ipotesi, possono isolarsi almeno quattro distinti casi. Differenziando il caso in cui il disponente, come terzo, adempia immediatamente e direttamente l’obbligazione del beneficato, dal caso in cui assuma l’obbligo di adempiere l’obbligazione. E, in quest’ultima ipotesi, sub-differenziando a seconda che la modificazione soggettiva passiva del rapporto obbligatorio, avente per oggetto il pagamento del prezzo per l’acquisto del bene, venga realizzata per mezzo di una delegazione, di un’espromissione o di un accollo(53). Nel convincimento che ciascuna di queste ipotesi meriti un apprezzamento specifico, svolgerò alcune considerazioni, seguendo questo ordine: delegazione, espromissione, accollo, adempimento del terzo. Prima, però, di tentare l’analisi sulle singole figure, credo opportuno svolgere una considerazione che, per il suo tratto di generalità, può reputarsi comune a tutte le ipotesi prese in considerazione. Secondo le linee d’assieme che ho tracciate, nel tentativo di differenziare donazione da liberalità diversa dalla donazione, l’ultima occupa gli spazı̂ lasciati vuoti dalla prima, la quale è ridotta nei casi di contratto in cui l’arricchimento del donatario avvenga o per il tramite della disposizione di un diritto del donante o per il tramite della assunzione da parte del donante, e nei confronti del donatario, di una obbligazione. Non si tarda ad avvertire che la seconda delle tipiche prestazioni della donazione acquista una particolare importanza nei casi in cui la tecnica di intestazione di beni sotto nome altrui si svolga mercé una modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio. (52) In altro luogo (La donazione a termine, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, diretto da G. Bonilini, VI, Le donazioni, Milano, 2009, 873-902), pur avendo sostenuta, in linea di massima, la validità della donazione la cui efficacia sia rinviata al dies mortis del donante, non ho mancato di rilevare che non può escludersi la possibilità che l’interpretazione di tale contratto possa far desumere, in taluni casi, un’intenzione dei contraenti vólta a eludere la norma che fa divieto di stipulare patti successorı̂. Ho concluso che, in tale caso, l’interprete sarebbe chiamato a concludere per la nullità della donazione, non già per violazione diretta della norma di cui all’art. 458 c.c., bensı̀ per violazione della norma di cui all’art. 1344 c.c. Si potrebbe, infatti, subito pensare che, in tutti questi casi, vi sia, senz’altro, un contratto di donazione, dal momento che il beneficante assume su di sé un obbligo del beneficato. Gli è, però, che una tale conclusione sarebbe imprecisa, perché ometterebbe di considerare quale sia l’esatta e precisa prestazione che il legislatore chiede nella donazione. Nella quale non basta che il donante assuma un obbligo del donatario, occorrendo, invece, che il donante assuma un obbligo verso il donatario. Non basta, allora, che il beneficante assuma su di sé un qualunque obbligo del beneficato, ma che assuma verso costui un obbligo. Il quale, quindi, non può essere un obbligo preesistente, ma un obbligo nuovo, che impegni il beneficante nei confronti del beneficato, indifferentemente dalla circostanza che il contenuto di questo obbligo abbia per oggetto l’esecuzione di una nuova prestazione o l’adempimento di un preesistente obbligo del beneficato stesso. Ne consegue che per stabilire, nei casi presi in esame, se v’ha donazione o liberalità diversa dalla donazione occorre, almeno nell’orizzonte abbozzato, verificare se sia possibile individuare un contratto tra beneficante e beneficato per effetto del quale il primo assuma verso il secondo un’obbligazione. Nel caso di delegazione accade che il beneficato acquista il bene direttamente dal venditore e, successivamente, assegna al venditore un nuovo debitore (il disponente), il quale si obbliga verso il creditore. L’esito di questa tecnica negoziale è semplice: il beneficato acquista il diritto sul bene, ma non sopporta il costo del corrispettivo, che viene pagato, direttamente, dal terzo(54). La difficoltà della soluzione al tema indagato dipende, principalmente, dalle questioni che si agitano intorno alla struttura della delegazione. Di là, però, delle note dispute che la caratterizzano e della mia inclinazione a considerarla un contratto trilaterale tra delegante, delegato e delegatario, gli è che, secondo il disegno tracciato all’art. 1268 c.c., il nuovo debitore (beneficante), pur assegnato dal debitore (beneficato), si obbliga verso il creditore (venditore) e non anche nei confronti del beneficante. Questo rilievo induce a escludere, pur nelle ipotesi in cui il nuovo debitore si obblighi verso il creditore (venditore) per spirito di liberalità e allo scopo di arricchirlo, che la delegazione possa essere ricondotta all’interno della donazione e suggerisce di ricondurre l’ipotesi nell’area della liberalità indiretta. Dire, però, che una tale delegazione realizza una liberalità indiretta non risolve integralmente il problema, ma lo apre a quello inerente la determinazione del suo oggetto. Dovendosi stabilire se essa riguardi il bene effettivamente acquistato dal beneficato ovvero la determinata quantità di danaro che il delegante paga al delegatario. (53) U. CARNEVALI, voce Intestazione di beni sotto nome altrui, cit., 5 discorre soltanto di adempimento del terzo e accollo. (54) Sulla delegazione quale liberalità diversa dalla donazione, A. PALAZZO, voce Donazione, in Dig. disc. priv. Sez. civ., III, Torino, 1991, 143 e ss.: «La situazione peraltro è diversa ove il delegato intende realizzare una liberalità a favore del delegante e intervenga la liberazione di quest’ultimo da parte del delegatario. Può del resto ipotizzarsi il caso in cui il delegato voglia attuare una liberalità a favore del delegante, e questi, a favore del delegatario. In tali ipotesi il meccanismo sarà idoneo a determinare due liberalità attraverso l’assunzione di un’unica obbligazione». Famiglia, Persone e Successioni 5 353 maggio 2012 h:/LINOTIPO_H/06-wki/Utet_Riviste_cod_Civ/01_FPS_2012/0677_12_FPS_05_2012/impa_def/FPS_05_344_361.3d 24/4/2012 14:19 pagina 354 IL COMMENTO Sul punto credo che si debba preferire la seconda ipotesi. Non soltanto perché l’arricchimento che l’atto del beneficante determina nel patrimonio del beneficato consiste nell’estinzione dell’obbligazione di pagare il corrispettivo dovuto per la compravendita(55), ma soprattutto perché il delegato interviene in un momento successivo all’acquisto del bene e quando il delegante-beneficato ha già acquistato il diritto sul bene medesimo, ossia quando quel diritto è già nel di lui patrimonio. Una soluzione di segno contrario non credo, poi, si possa immaginare, vagheggiando l’esistenza di un accordo tra beneficante e beneficato anteriore alla vendita del bene. Ove cosı̀ fosse, infatti, non sarebbe neppure possibile discorrere di delegazione, la cui ammissibilità presuppone non soltanto l’esistenza dell’obbligo che il delegante assume, ma anche la natura trilaterale del rapporto. Diventerebbe preferibile discorrere di un mero adempimento del terzo. Se preesistesse un accordo tra beneficante e beneficato, per effetto del quale il primo si obbliga a pagare il debito del secondo verso il venditore, l’atto di liberalità dovrebbe essere rinvenuto proprio in questo accordo tra beneficante e beneficato. Il quale potrebbe, certamente, essere considerato un contratto di donazione, ma non una delegazione. Al più, con qualche forzatura, potrebbe trattarsi di un accollo, ipotizzando che si possa dare un accollo anteriore alla esistenza dell’obbligo o di un accollo condizionato al sorgere dell’obbligo medesimo. Delle due l’una: o si è in presenza di una delegazione in senso proprio e, allora, essa è successiva rispetto alla vendita e, ricorrendone i presupposti, deve considerarsi una liberalità indiretta avente per oggetto il pagamento della determinata quantità di danaro, oppure si è in presenza di un accordo bilaterale, del quale l’eventuale delegazione è soltanto lo strumento attuativo ed esecutivo del primo e rispetto alla quale non sarebbe possibile togliere la qualifica di donazione o liberalità indiretta, che, di necessità, dovrebbe svolgersi sull’atto programmatico e causale in esecuzione e forza del quale essa è stata compiuta(56). Nella espromissione accade che il beneficato acquista il bene direttamente dal venditore e, successivamente, il disponente, senza (55) Pur non avendo tratto alle specifiche vicende di modificazione soggettive passive del rapporto obbligatorio, osserva, efficacemente, G. BASINI, L’oggetto della liberalità ai fini della collazione, dell’imputazione ex se e della riunione fittizia, in ipotesi «intestazione di beni a nome altrui», cit., 299, «in realtà mi pare che, da un punto di vista giuridico-formale, il patrimonio dell’uno si impoverisca del danaro, mentre quello dell’altro, corrispondentemente, si arricchisca grazie al venire meno del debito al pagamento del prezzo derivante dalla compravendita dell’immobile; da un punto di vista esclusivamente economico-sostanziale, invece, mi pare che il patrimonio del beneficiario si arricchisca dell’immobile, e, corrispondentemente, il patrimonio del disponente si impoverisca per il mancato acquisto dell’immobile stesso [...] sono ravvisabili, cioè, due differenti oggetti d’arricchimento, e due, corrispondenti, possibili oggetti d’impoverimento, a seconda che si consideri il procedimento per i suoi aspetti formali o per il suo risultato sostanziale». Mi viene da aggiungere che la soluzione di questo caso, apparentemente collocato in un determinato microsettore dell’economia, finisce con il denunciare approvazione o riprovazione di un metodo giuridico; di scelte molto più importanti della concreta disputa. Ovvia la mia preferenza per il metodo formale, anche in ragione delle denunziate perplessità sulla efficacia e il valore giuridico di un metodo che insegue istanze di giustizia sostanziale, approdando a soluzioni o usi alternativi del diritto. (56) Deve segnalarsi che la dottrina maggioritaria esclude che la delegazione possa essere considerata una vera e propria liberalità. Ciò perché il delegato che esegue il pagamento, potrebbe sempre ripetere quanto pagato o surrogarsi nei diritti del delegatario verso il delegante. Per codesta ragione, si afferma che l’eventuale atto avente natura liberale, starebbe nella rinunzia alla surrogazione nel pagamento o nella rinunzia alla resti- maggio 2012 354 Famiglia, Persone e Successioni 5 delegazione del beneficato, assume verso il compratore il debito(57). Anche in questa ipotesi, le dispute sulla struttura della figura incidono in misura non irrilevante rispetto alla soluzione del tema indagato. Non v’ha dubbio, infatti, che, per quanti considerano l’espromissione un negozio unilaterale, la negazione della sua riconducibilità al tipo della donazione, ove pure compiuta per spirito di liberalità, dovrebbe essere affermata in radice. Non potrebbero, infatti, darsi donazioni che non siano contratti. Sarebbe, di necessità, attratta alla più generale figura della liberalità indiretta. La soluzione, peraltro, non potrebbe essere diversa neppure per chi volesse considerare l’espromissione un contratto bilaterale tra terzo (beneficante) e creditore (venditore). La circostanza che nell’espromissione il debitore-beneficato è, per definizione, estraneo alla struttura dell’atto, esclude che si possa scorgere anche un simulacro di donazione. La quale postula l’esistenza di un contratto tra beneficante (terzo-disponente) e beneficato (debitore). Rimarrebbe sempre una liberalità diversa dalla donazione. Neppure utile il riferimento alla categoria del negozio unilaterale a rilievo bilaterale(58). Intanto, deve osservarsi che tale categoria non potrebbe assorbire o comprendere tutte le ipotesi di espromissione. Servirebbe, piuttosto, a spiegare il diverso procedimento di formazione del negozio nel caso in cui la proposta di espromissione venisse formulata dal terzo o dal creditore. Nel primo caso, poiché vi sarebbe la proposta diretta a concludere un contratto con obbligazioni a carico del solo proponente, allora si potrebbe affermare che il procedimento di formazione mette capo a un negozio unilaterale a rilievo bilaterale. Nel secondo caso, invece, il risultato non potrebbe essere attinto e, necessariamente, l’ipotesi dovrebbe rifluire nella categoria del contratto. Con il singolare risultato di considerare un medesimo negozio ora unilaterale ora contrattuale a seconda del soggetto che si faccia promotore della iniziativa negoziale. Non v’ha dubbio, allora, quale la soluzione che si voglia preferire, che l’espromissione, ove pure posta in essere per spirito di tuzione. Non credo, però, di là di questi importanti rilievi, che si possa escludere la delegazione dal novero degli atti aventi natura liberale. Sol se si consideri che la surrogazione o la restituzione non costituiscono momenti essenziali dell’atto delegatorio, ma soltanto eventuali e soprattutto ove si abbia riguardo alla circostanza che in questo qual caso sarebbe proprio la delegazione lo strumento indirettamente utilizzato dalle parti per attuare e realizzare la liberalità. Considera l’ipotesi N. DI MAURO, L’individuazione oggetto della liberalità ai fini della riunione fittizia, dell’imputazione ex se della collazione in alcune fattispecie particolari, cit., 177, secondo il quale una espromissione mette capo a una donazione indiretta di danaro. (57) Sulla espromissione, quale liberalità diversa dalla donazione, si considerino le osservazioni di A. PALAZZO, voce Donazione, cit., 143 e ss., il quale scrive «Nel caso di espromissione, qualora il creditore non abbia liberato il debitore (ed il discorso è analogo in caso di fideiussione), seppure in presenza di uno spirito liberale dell’espromittente, è da escludersi la esistenza immediata di una liberalità sia nei confronti del debitore espromesso che nei confronti del creditore. Difetta infatti il requisito dell’arricchimento. Non può parlarsi del resto, di liberalità al momento del pagamento, ricorrendo l’obbligo giuridico di effettuarlo. L’effetto liberale, nei confronti dell’espromesso – che tuttavia sussiste – deriva dalla fattispecie complessa costituita dall’assunzione dell’obbligo e dal pagamento. Ove intervenga la liberazione del debitore, la liberalità a favore di questi è evidente, qualora il negozio comporta la estinzione del suo debito a causa dell’assunzione dell’obbligazione da parte dell’espromittente, con rinuncia alla rivalsa». (58) La cui elaborazione si deve a G. BENEDETTI, Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969. h:/LINOTIPO_H/06-wki/Utet_Riviste_cod_Civ/01_FPS_2012/0677_12_FPS_05_2012/impa_def/FPS_05_344_361.3d 24/4/2012 14:19 pagina 355 IL COMMENTO liberalità, debba considerarsi una liberalità indiretta. Soltanto da precisare se essa abbia per oggetto il bene effettivamente acquistato dal beneficato ovvero la determinata quantità di danaro che l’espromittente paga all’espromissario. Anche in questo caso e per ragioni non dissimili da quelle indicate per il caso precedente, credo si debba preferire la seconda soluzione. Non soltanto perché l’arricchimento che l’espromissione determina nel patrimonio del beneficato consiste nell’estinzione dell’obbligazione di pagare il corrispettivo dovuto per la compravendita, ma soprattutto perché l’espromittente interviene in un momento successivo all’acquisto del bene e quando l’espromesso-beneficato ha già acquistato il diritto sul bene medesimo. Nell’accollo accade che il beneficato acquista il bene direttamente dal venditore e, successivamente, il beneficato e il disponente convengono che l’ultimo assuma il debito del primo. La natura contrattuale dell’accollo, chiaramente delineata e posta nell’art. 1273 c.c., semplifica l’indagine. Si tratta di un contratto tra terzo (beneficante) e debitore (beneficato), per effetto del quale il primo assume il debito del secondo. Non v’ha dubbio che il contratto finisca con il beneficare, economicamente, il creditore (venditore), dal momento che un nuovo debitore si aggiunge a quello precedente. Ragione per la quale, di là delle difficili considerazioni sulla possibilità di considerare l’accollo un vero e proprio contratto a favore di terzo o un mero contratto a vantaggio del terzo, il legislatore prevede che quest’ultimo possa, comunque, aderire alla convenzione, al solo scopo di rendere irrevocabile la stipulazione a suo favore. Per quanto qui interessa, ai fini della qualificazione in termini di donazione o liberalità diversa dalla donazione, non rileva o importa la posizione del creditore, bensı̀ il rapporto tra debitore e terzo, ossia il rapporto corrente tra le parti del contratto di accollo. Diversamente dalle ipotesi precedentemente analizzate, la riconducibilità dell’accollo sotto il tipo della donazione, mi sembra possibile. L’accollo stesso, nella sua configurazione tipica, sembra poter inverare il modello della donazione: un contratto con il quale una parte (terzo), per spirito di liberalità, arricchisce l’altra (debitore), assumendo verso questa una obbligazione. Né si può revocare in dubbio che, con l’accollo, il terzo (59) Ma, secondo N. DI MAURO, L’individuazione oggetto della liberalità ai fini della riunione fittizia, dell’imputazione ex se della collazione in alcune fattispecie particolari, cit., p. 184, l’accollo interno metterebbe capo a una donazione indiretta del danaro. (60) Segnala A. TORRENTE, La donazione, cit., 68 e s., che sul punto v’ha un mutamento dell’orientamento della giurisprudenza. La quale considera, adesso, oggetto della liberalità l’immobile e non il danaro pagato come prezzo. (61) Già N. DISTASO, Donazione indiretta, negozio indiretto e acquisto di immobile fatto dal figlio, a nome proprio, con danaro fornito dal padre, cit., 217. In senso contrario, U. CARNEVALI, voce Intestazione di beni sotto nome altrui, cit., p. 5, secondo il quale non potrebbe trattarsi questa ipotesi alla stregua di una donazione diretta di danaro. Secondo l’A. l’unico criterio «razionale può esser quello di rinunziare a stabilire a priori una determinata nozione di oggetto della liberalità indiretta e poi applicarla a tutti i casi in cui essa diventa rilevante, e invece di focalizzare l’attenzione sulla ratio delle singole norme in relazione alle quali diventa rilevante definire l’oggetto della liberalità». L’A. conclude, quindi, che nei casi di revocazione per sopravvenienza dei figli o revocatoria, oggetto della liberalità deve essere considerata la somma di danaro, mentre nei casi di revocazione per ingratitudine e collazione, oggetto della liberalità deve essere considerato l’immobile. Si consideri, però, che lo stesso U. CARNE- (beneficante) si limiti ad assumere su di sé un obbligo del beneficato, senza obbligarsi verso di lui. La struttura contrattuale della figura, in uno con il rilievo che l’adesione del creditore è soltanto eventuale, rende palese che il rapporto giuridico sorto per effetto dell’accollo corra tra le sue parti, ossia tra terzo e debitore: il primo si obbliga verso il secondo. Trattandosi di una donazione, non v’ha dubbio che essa abbia a oggetto la determinata quantità di danaro e non di certo il bene che con quella viene acquistato dal beneficato. Non soltanto perché l’accollo è successivo alla vendita, ma soprattutto perché il contenuto della donazione sta nell’arricchimento che il terzo (donante) procura al debitore (donatario) assumendo verso lo stesso una obbligazione. Ossia il «bene» donato è proprio l’assunzione della obbligazione(59). Rimane, in ultimo, il caso dell’adempimento del terzo, ossia il caso in cui il terzo (beneficante) interviene spontaneamente e in difetto di un qualunque accordo con debitore (beneficato) o creditore (venditore). La necessaria struttura unilaterale dell’adempimento del terzo e l’assenza di un qualunque rapporto negoziale tra le parti, impone la conclusione che, esso, ove posto in essere per spirito di liberalità, debba considerarsi una liberalità indiretta(60). Il cui oggetto non potrà che essere il pagamento della determinata quantità di danaro(61). Va da sé, però, che, se l’adempimento del terzo fosse non già l’atto di adempimento spontaneo e libero del terzo, ma l’esecuzione di un programma più complesso, la qualificazione in termini di donazione o di liberalità diversa dalla donazione dovrebbe svolgersi rispetto all’accordo sottostante, del quale l’adempimento del terzo costituirebbe mera e pura esecuzione(62). L’indagine svolta consente, dunque, una considerazione unitaria delle tecniche di intestazione di bene sotto nome altrui realizzate attraverso l’assunzione dell’obbligo di pagare il prezzo o attraverso il pagamento del prezzo da parte del disponente. Di là del solo caso dell’accollo, il quale è riducibile al tipo della donazione, tutte le altre ipotesi sono riducibili nel genere delle liberalità indirette. Il tratto che, però, di là della struttura, le accomuna tutte è che l’oggetto della donazione o della liberalità diversa dalla donazione non è il bene acquistato dal beneficato, ma la determinata quantità di danaro che il beneficante eroga a vantaggio del beneficato(63). VALI, Donazioni indirette e successione necessaria, cit., p. 726, rispetto al mero pagamento del debito altrui e indipendentemente dal problema connesso all’acquisto di un bene, scrive: «il pagamento di un debito altrui, se fatto donandi causa, costituisce una liberalità per il debitore liberato che rientra nella categoria delle donazioni indirette in quanto il danaro viene dato dal donante al creditore: la somma pagata è soggetta a riunione fittizia». (62) Osserva A. TORRENTE, In tema di acquisto di immobile a favore dell’erede con denaro del testatore, in Foro It., 1944-1946, I, 716, proprio a commento di una sentenza in tema di intestazione sotto nome altrui, attuata mediante il pagamento eseguito dal beneficante: «A me pare che tutto si riduca a questo: prescindendo dalla questione circa la sussistenza del potere di rappresentanza, che qui non interessa, il donante, che ha stipulato nel nome e nell’interesse del figlio l’acquisto, adempie l’obbligo di costui di pagare il prezzo (art. 1180 c.c.). Qui siamo veramente in tema di donazione indiretta: l’atto ha come sua causa l’estinzione dell’obbligazione, ma produce come effetto indiretto l’arricchimento dell’acquirente. Ma qual è l’oggetto dell’arricchimento? Questo mi pare il punto decisivo. Non l’immobile, il cui acquisto deriva dal ben distinto negozio di compravendita, bensı̀ il denaro dovuto dall’acquirente e pagato dal donante». (63) Secondo N. DI MAURO, L’individuazione oggetto della liberalità ai fini della riunione fittizia, dell’imputazione ex se della collazione in alcune Famiglia, Persone e Successioni 5 355 maggio 2012 h:/LINOTIPO_H/06-wki/Utet_Riviste_cod_Civ/01_FPS_2012/0677_12_FPS_05_2012/impa_def/FPS_05_344_361.3d 24/4/2012 14:19 pagina 356 IL COMMENTO 7. Conseguenze in tema di successioni mortis causa: la donazione diretta di danaro Con l’ovvia precisazione che il primo caso finisce per assorbire le tecniche consistenti nella dazione di danaro e nell’accollo, il secondo attrae a sé le tecniche consistenti nella delegazione, nella espromissione e nell’adempimento del terzo, mentre l’ultimo riguarda l’ipotesi in cui l’intestazione sotto nome altrui avvenga per il tramite di un contratto a favore di terzo. Occorrerà svolgere il discorso differenziando per ciascuna ipotesi. Seguendo l’ordine appena tracciato, muovo dal caso della donazione diretta di danaro. È ovvio che di questa donazione si deve tener conto ai fini della determinazione della quota disponibile e si deve tener conto ai fini della collazione. Non credo occorra premettere, stante il richiamo, contenuto nell’art. 556 c.c., alla disciplina della collazione, che il criterio per determinare il valore della liberalità sia comune all’una e all’altra disciplina(64). Gli è, però, che le norme sulla collazione, differentemente da quanto accade per i beni mobili, per i beni immobili, per titoli di Stato, per titoli di credito quotati in borsa, per le derrate e le merci il cui prezzo sia stabilito dalle mercuriali, non stabiliscono, rispetto al danaro, quale debba essere il criterio per determinarne il valore. Non giova, infatti, in tale senso, la norma contenuta all’art. 751 c.c., la quale, pur rubricata collazione del danaro, lungi dallo stabilire criterı̂ e regole per determinare il valore della liberalità avente per oggetto danaro(65), si occupa, più limitatamente, delle modalità con le quali la collazione deve attuarsi e realizzarsi(66). V’ha, dunque, necessità di stabilire, ai fini della determinazione della quota disponibile e della collazione, se, rispetto alla donazione della somma di danaro, si debba tener conto del valore nominale del danaro al tempo della donazione, ovvero del valore reale del danaro al tempo dell’apertura della successione(67), secondo le ordinarie leggi e funzioni di matematica finanziaria. Problema straordinariamente importante soprattutto nei casi in cui la donazione risulti assai risalente nel tempo rispetto all’apertura della successione(68). Non credo, nonostante questa apparente assenza di regola(69), che si possa seriamente revocar in dubbio che occorra aver riguardo, tanto per la determinazione della quota di legittima, quanto per la collazione, al valore del danaro al tempo della apertura della successione(70). fattispecie particolari, cit., 187, al fine di stabilire se l’oggetto della liberalità sia il danaro o il bene deve sempre aversi riguardo al bene che è definitivamente uscito dal patrimonio del donante. (64) Secondo L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit., 195, sono applicabili alla riunione fittizia non solo le norme di cui agli artt. 747-750 c.c., ma anche quelle di cui agli artt. 741-745 c.c. «Il rinvio dell’art. 556 alle norme sulla valutazione dei beni da conferire è integrato dal rinvio alla disciplina della collazione disposto nell’art. 564 in ordine all’oggetto dell’imputazione ex se». (65) Cosı̀, anche L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit., 203, il quale, però, all’esito, conclude nel senso che la regola fissa il criterio nominalistico. (66) Si consideri che la dottrina dominante, in senso contrario, reputa che dall’art. 751 c.c. debba trarsi la regola che impone di valutare le donazioni di danaro, nella determinazione della quota disponibile e nella collazione, secondo il loro valore nominale. Proprio in ragione di tale convincimento, il cui fondamento è avvalorato dalle stesse decisioni dei giudici della legge, è stata, più volte, sollevata questione di legittimità costituzionale della predetta norma. In tutte le occasioni, però, la Corte costituzionale ha rigettato la questione, reputandola talvolta inammissibile (C. Cost., 17.10.1985, n. 230, in Giur. It., 1986, I, 1, 1, in Giur. Costit., 1985, I, 1873, in Giust. Civ., 1986, I, 14, in Arch. Civ., 1986, 19, in Vita Notar., 1986, 204, in Amm. It., 1986, 303, in Rass. Dir. Civ., 1986, 473, con nota di C. LICINI, Reintegrazione della quota di legittima, collazione del danaro donato e principio di razionalità, e in Foro It., 1986, I, 22, con nota di FELICETTI; C. Cost. (Ord.), 27.7.1989, n. 463, in Giur. Costit., 1989, I, 2145, con nota di GIUSTINIANI) talvolta manifestamente infondata (C. Cost. (Ord.), 21.1.1988, n. 64, in Giur. Costit., 1988, I, 181) e talaltra infondata nel merito (C. Cost., 25.6.1981, n. 107, in Giur. It., 1982, I, 1, 186, in Foro It., 1981, I, 2108, con nota di R. PARDOLESI, in Giur. Costit., 1981, I, 902, in Giust. Civ., 1981, I, 2161; C. Cost. (Ord.), 11.2.1982, n. 35, in Giur. Costit., 1982, I, 290). Si segnala, però, che la sentenza di Cass., 28.2.1987, n. 2147, cit., p. 747, non esclude che la questione possa essere «riesaminata sotto altra forma». E, in dot- trina per una valutazione di apertura V. CUFFARO, La collazione e il principio nominalistico, in I rapporti civilistici nell’interpretazione della corte costituzionale, a cura di P. Perlingieri, I, Napoli, 2007, 573. (67) C. LICINI, Reintegrazione della quota di legittima, collazione del danaro donato e principio di razionalità, cit., 480, movendo dal presupposto che l’art. 751 c.c. pone una scelta a vantaggio del principio nominalistico, contesta la razionalità della medesima, sicché crede che vadano «riconosciute l’irrazionalità e l’incostituzionalità della norma in relazione all’art. 3 Cost. L’eliminazione del principio nominalistico non creerebbe mancanza di regolamentazione delle operazioni di computo del denaro ai fini che qui interessano. Dal momento che la sua identificazione si deve fare in base al rapporto del quale è oggetto, e che nella riunione fittizia, nella imputazione ex se e nella collazione i beni già usciti dal patrimonio ereditario si considerano anticipazioni sulla massa, l’applicazione del coefficiente valoristico verrebbe de plano, del resto in coerenza col sistema adottato per gli altri beni». (68) U. CARNEVALI, Donazioni indirette e successione necessaria, cit., 726. (69) Va osservato che secondo la dottrina maggioritaria la norma in parola recherebbe una precisa indicazione del modo e del criterio con il quale debba essere collazionata la liberalità avente per oggetto di danaro: al valore nominale. Mi pare, però, per le ragioni indicate nel testo che la soluzione non debba essere condivisa. Per altro, non credo che si possa affermare senza dubbı̂ che il riferimento al valore legale equivale a un riferimento al valore nominale. Il valore legale, infatti, sembra piuttosto riferirsi al valere che non al valore di una certa moneta. In tal senso, anche la norma di cui all’art. 1277 c.c., la quale parrebbe distinguere, da un lato, il valore legale della moneta e, dall’altro, il valore nominale. Il primo per indicare la valuta che vale all’interno di uno Stato, il secondo per fissare il criterio per misurare quella valuta. (70) In senso contrario, la dottrina maggioritaria. A. ALBANESE, Due (antiche) questioni in tema di collazione: l’intestazione in nome altrui; i frutti del bene ereditario, cit., 249, secondo il quale il danaro dovrebbe collazionarsi avendo riguardo al suo valore nominale. L’A. toglie questa conclu- L e conclusioni attinte sulla qualificazione delle varie tecniche di intestazione di beni sotto nome altrui, ben lungi dal costituire una mera speculazione concettuale, servono per impostare e risolvere i principali problemi che l’impiego delle medesime importa rispetto alla successione mortis causa del disponente. I profili di maggior rilevanza attengono, come è ovvio, alla disciplina della tutela dei legittimarı̂ e alla disciplina della collazione, dal momento che l’esistenza di donazioni o di liberalità diverse dalla donazione rileva, rispetto al primo profilo, ai fini della cosı̀ detta riunione fittizia, dell’imputazione alla propria quota e dell’eventuale azione di riduzione e, rispetto al secondo profilo, ai fini dell’obbligo in capo al coniuge e ai figli di conferire ai coeredi tutto ciò che abbiano ricevuto dal defunto per donazioni, direttamente e indirettamente. Considerando che, rispetto ai temi indicati, non importa, però, quale sia la precisa e concreta tecnica di intestazione di beni sotto nome altrui, ma soltanto se essa si debba qualificare siccome donazione o liberalità diversa dalla donazione, credo che il discorso possa semplificarsi differenziando il caso di donazione diretta di danaro, dal caso di liberalità diversa dalla donazione avente per oggetto il danaro, dal caso di liberalità diversa dalla donazione avente per oggetto il bene. maggio 2012 356 Famiglia, Persone e Successioni 5 h:/LINOTIPO_H/06-wki/Utet_Riviste_cod_Civ/01_FPS_2012/0677_12_FPS_05_2012/impa_def/FPS_05_344_361.3d 24/4/2012 14:19 pagina 357 IL COMMENTO In tal senso militano, almeno, due argomenti. Uno letterale: il danaro è un bene mobile, sicché a esso potrebbe trovare applicazione la regola posta nell’art. 750, 1º co., c.c.; l’altro sistematico: il sistema è tutto costruito nella prospettiva che si debba aver riguardo al valore che i beni, quali che siano, avevano al tempo della apertura della successione(71). In altri termini, non sarebbe possibile applicare la regola cosı̀ detta nominalistica, ma si rende necessario valorizzare quella somma(72), secondo le normali e consuete leggi e funzioni di matematica finanziaria. Occorrerà, dunque, prendendo a parametro di riferimento un ipotetico paniere di beni, valorizzare la determinata quantità di danaro donata al tempo di apertura della successione. Con la sola precisazione e avvertenza che, in questo processo di valorizzazione, diversamente da quanto, altrimenti, accadrebbe secondo le leggi di matematica finanziaria, non si può e non si deve tener conto dell’utilizzazione, dell’eventuale rendimento e delle utilità, in genere, che la determinata quantità di danaro possa aver procurato al beneficato. La generale norma di cui all’art. 745 c.c., ancorché dettata soltanto in tema di collazione e ancorché non espressamente richiamata in tema di riunione fittizia, stante il suo carattere generale, ha vocazione a esprimere una regola, senz’altro, valevole anche in tema di determinazione della quota disponibile(73). Essa espressamente stabilisce che i frutti delle cose e gli interessi(74) sulle somme di danaro non sono dovuti che dal giorno in cui si è aperta la successione, escludendo, cosı̀, che siano dovuti per il tempo precedente, ossia per il tempo intercorrente tra la donazione e l’apertura della successione. Il vero tema che la donazione diretta di una somma di danaro propone all’interprete è, però, ben più grave di quello appena individuato. Trattandosi, infatti, di una donazione e dovendosi escludere che essa possa considerarsi di modico valore, la sua validità è, tra l’altro, soggetta al rispetto degli stringenti oneri formali stabiliti dalla norma di cui all’art. 782 c.c. e dalla legge notarile. Occorre, cioè, l’atto pubblico e la presenza di due testimoni. Il che significa che, se, nel caso concreto, il contratto di donazione della determinata quantità di danaro, come nella quasi totalità dei casi accade, sia stato concluso senza il rispetto del requisito formale, esso sarà nullo. Ciò modifica, drammaticamente, i termini del problema successorio. Non si farà più questione di determinazione della quota disponibile, né di collazione, ma soltanto di restituzioni. La nullità del contratto null’altro significa che sua totale incapacità di produrre un qualunque effetto. Con la conseguenza che, di là della reale e concreta consegna della determinata sione dalla norma di cui all’art. 751 c.c. Ho già scritto che l’art. 751 c.c. si limita a dettare i modi attraverso i quali la collazione deve essere attuata e non il criterio al quale valorizzare il danaro. (71) Bene osserva C. LICINI, Reintegrazione della quota di legittima, collazione del danaro donato e principio di razionalità, cit., 478, «deve essere inoltre rilevato che il criterio nominalistico enunciato nell’art. 1277 c.c. è testualmente riferito all’estinzione dei debiti pecuniari, cosicché la moneta è considerata come mezzo di adempimento, mentre svolge nel campo in esame la diversa funzione di rappresentare una parte del patrimonio ereditario, in un rapporto di proporzionalità». (72) L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit., 206 e s., suggerisce la necessità di una valorizzazione quando la determinata quantità di danaro donata non è fine a se stessa, somma di danaro dal beneficante al beneficato, il contratto è, secondo l’ordine giuridico, incapace di produrre effetti. La determinata quantità di danaro si considera mai fuoriuscita dal patrimonio del donante. Alla di lui morte, rileverà, ai fini della determinazione della porzione disponibile, non già quale donatum, bensı̀ quale relictum. Né rispetto alla medesima si potrà porre un problema di collazione, dal momento che, in tanto è possibile postulare l’obbligo di collazione, in quanto esista una liberalità valida ed efficace. Tocca, allora, di verificare cosa in concreto i chiamati, gli eredi o gli interessati, possano fare per «recuperare» quella determinata quantità di danaro, concretamente uscita dal patrimonio del de cuius, ma giuridicamente no. Occorre, senz’altro, che gli interessati denunzino la nullità del contratto. Di qui, però, si apre una importante alternativa, dipendente dal tempo che sia effettivamente trascorso dalla donazione all’apertura della successione. Benché sia innegabile che l’azione, vólta a far dichiarare la nullità del contratto, sia imprescrittibile, sicché, chiamati, eredi o interessati, in qualunque tempo, potrebbero far valere la nullità del contratto, non si deve tralasciare di considerare che proprio la norma di cui all’art. 1422 c.c., che pone la imprescrittibilità dell’azione di nullità del contratto, fa salvi gli effetti della usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione. Salvezza che, mentre è facilmente giustificabile nei contratti onerosi e in quelli a prestazioni corrispettive, rischia, nel caso di donazione e liberalità in genere, di penalizzare in misura macroscopica il donante o i suoi aventi causa. Diventa dirimente, che siano trascorsi, dalla donazione alla apertura della successione, meno di dieci anni o più di dieci anni. Nella prima ipotesi, gli eredi dovrebbero chiedere, contestualmente all’accertamento della nullità, la condanna alla restituzione del bene donato, ossia la determinata quantità di danaro, secondo le norme sulla ripetizione dell’indebito. Con la conseguenza che potrebbero ripetere la somma ricevuta dal donatario in uno con i frutti e gli interessi. I quali credo che dovrebbero considerarsi dovuti, non già dal giorno della domanda, bensı̀ dal giorno del pagamento. Essendo difficilmente argomentabile che le parti di un contratto nullo, come nel caso di nullità della donazione, possano considerarsi in buona fede. Nella seconda ipotesi, invece, l’impossibilità di domandare la restituzione, secondo le norme sulla ripetizione dell’indebito, parrebbe lasciare i chiamati o gli eredi privi di tutela. Credo, però, che potrebbe ipotizzarsi l’uso dello strumento residuale dell’azione generale di arricchimento. Unico e possibile strumento fruibile. Si potrebbe, infatti, ipotizzare che questa azione non si sia prescritta, in quanto, diversamente dall’azione di nullità e di ripetizione, che sarebbe spettata al donante, e nella quale gli ma è considerata dalle parti quale portatrice «di un potere di acquisto concretamente finalizzato a un investimento (di solito immobiliare) qualificabile come scopo della liberalità». Precisa, però, che tale distinzione oggi sembra non abbia più ragione della nota sentenza, a Sezioni Unite, della Cassazione. (73) Taluni interessanti svolgimenti sulla funzione e l’applicazione della predetta regola in A. ALBANESE, Due (antiche) questioni in tema di collazione: l’intestazione in nome altrui; i frutti del bene ereditario, cit., 251 e s. (74) La negazione degli interessi non è in contrasto con l’affermazione secondo la quale la somma di danaro deve essere valorizzata. La valorizzazione evoca, infatti, non tanto il mero profilo della decorrenza degli interessi, ossia dei frutti della cosa, ma la rivalutazione. Famiglia, Persone e Successioni 5 357 maggio 2012 h:/LINOTIPO_H/06-wki/Utet_Riviste_cod_Civ/01_FPS_2012/0677_12_FPS_05_2012/impa_def/FPS_05_344_361.3d 24/4/2012 14:19 pagina 358 IL COMMENTO eredi sarebbero soltanto succeduti, si tratta di un’azione propria degli eredi. Con la quale costoro farebbero valere non già un diritto del loro dante causa, bensı̀ un diritto proprio, ossia il diritto alla ricostruzione della massa ereditaria(75). Un diritto, dunque, che costoro possono esercitare, a muovere dalla apertura della successione. V’ha, però, che, ove pure si ammettesse l’esperibilità di tale azione, gli eredi potrebbero chiedere al beneficato della donazione, non già una restituzione o un risarcimento, ma soltanto un indennizzo, il cui valore, nei limiti dell’arricchimento, sarebbe limitato alla sola correlativa diminuzione patrimoniale patita. Diversamente dal caso di restituzione secondo le norme sulla ripetizione dell’indebito, in questa ipotesi il doppio confine costituito, per un verso, dal limite dell’arricchimento di colui che è tenuto a indennizzare e, per altro verso, dalla sola correlativa diminuzione patrimoniale subita, funge da importante calmiere della pretesa. Non tanto con riguardo al secondo, il quale consentirebbe aperture di valore prossime o contigue rispetto a quelle conseguibili mediante l’ordinaria azione restitutoria, secondo le norme sulla ripetizione dell’indebito, quanto, e soprattutto, rispetto al primo. Il quale finisce con il congelare, al più, la pretesa indennizzatoria alla somma effettivamente e concretamente ricevuta da colui il quale si sia ingiustificatamente arricchito. Anche se, a voler tentare un’apertura sistematica, non potrebbe negarsi che, il riferimento al limite dell’arricchimento, potrebbe consentire di estendere la restituzione non già al valore nominale della somma ricevuta in donazione, bensı̀ al valore reale della medesima. Innegabile essendo che l’arricchimento non ha riguardo alla utilità concretamente ricevuta, bensı̀ all’utilità tratta dalla cosa ricevuta. Ove si convenisse in questa ulteriore apertura e si dovesse reputare, davvero, ammissibile il ricorso alla azione generale di arricchimento, ipotizzando che la medesima costituisce l’esercizio di un’azione propria dell’erede e non già del donante e nella quale i primi sarebbero succeduti, si finirebbe con il consentire e rendere possibile, nel caso in cui fossero decorsi, tra la donazione nulla e l’apertura della successione, più di dieci anni, un risultato economico prossimo a quello che, altrimenti, risulterebbe conseguibile nell’ipotesi in cui fosse possibile agire con l’azione di nullità e l’azione di restituzione, secondo la disciplina generale dell’arricchimento. Dimostrando, dunque, che il sistema giuridico effettivamente prevede diversi strumenti di tutela a seconda del tempo, degli atti e dei fatti che determinano la situazione finale. 8. Segue: le liberalità diverse dalla donazione P iù complesso il tema delle liberalità diverse dalle donazioni. Rispetto alle quali bisogna distinguere a seconda che esse abbiano per oggetto una determinata quantità di danaro o il bene. (75) In questo senso, benché in una prospettiva diversa, le pagine di L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Tratt. dir. civ. e comm. già dir. da Cicu e Messineo e continuato da Mengoni, XLIII, 2, Milano, 2000, 4a ed., 178 e ss. e spec. 182, nt. n. 20. (76) G. VECCHIO, In tema di donazione indiretta e di liberalità atipiche, in Dir e giur., 1998, I, 394 e ss., il quale esclude che le liberalità diverse dalla donazione debbano essere soggette a collazione, dal momento che a esse non può riferirsi l’art. 737 c.c., nella parte in cui stabilisce che è soggetto a maggio 2012 358 Famiglia, Persone e Successioni 5 Preliminare, però, stabilire se, ai fini della determinazione della quota disponibile, si debba anche tener conto delle liberalità diverse dalla donazione, dal momento che esse, a’ sensi dell’art. 809 c.c., sono soggette a riduzione, e se le liberalità diverse dalla donazione siano soggette a collazione, dal momento che, a’ sensi dell’art. 737 c.c., v’è l’obbligo della collazione di ciò che si sia ricevuto dal defunto per donazioni, direttamente o indirettamente, e che l’art. 809 c.c., nell’assoggettare quegli atti all’azione di riduzione non richiama anche la disciplina della collazione. Benché il tema meriti ben più ampio respiro di quello consentito in queste riflessioni, non ignorando il dibattito svoltosi nella letteratura e non trascurando una certa dottrina che ammonisce sulla non assoggettabilità a collazione delle liberalità diverse dalla donazione(76), credo che si possa e debba rispondere affermativamente a entrambe le domande elevate. Alla prima, perché l’assoggettamento ad azione di riduzione delle liberalità diverse dalla donazione non potrebbe, razionalmente, giustificarsi, se di esse non dovesse tenersi conto ai fini della determinazione della quota disponibile. La quale è operazione matematico-contabile disposta al principale e fondamentale scopo di consentire ai legittimarı̂, pretermessi o lesi nella legittima, di essere reintegrati nella quota di riserva. Parrebbe, davvero, irrazionale consentire ai legittimarı̂ di agire in riduzione ed eventualmente in restituzione avverso le liberalità diverse dalle donazioni, se poi di esse non potesse o dovesse tener conto nella riunione fittizia(77). Alla seconda, perché l’espressione custodita nell’art. 737 c.c., nella parte in cui assoggetta a collazione quanto ricevuto dal defunto «per donazione direttamente o indirettamente», credo che debba riguardare tanto le donazioni, quanto le liberalità diverse dalla donazione. In questo senso militano non soltanto l’uso dei due avverbi, ma anche l’impiego della parola donazione, preceduta dalla preposizione semplice «per», che le conferisce il ruolo di complemento di mezzo, non già nel significato definitorio di cui all’art. 769 c.c., ma in senso effettuale. Per quanto abbia, infatti, dogmaticamente contestato che le liberalità diverse dalla donazione possano essere qualificate siccome liberalità indirette o donazioni indirette, non può sottacersi che la parola donazione nel corpo del richiamato articolo sembra evocare più il risultato che non la fonte. In ogni caso, poi, ove pure si volesse attribuire alla parola «donazione» il significato tecnico, il risultato non sarebbe, affatto, modificato. Perché l’aver ricevuto per donazione indirettamente, null’altro significa che aver ricevuta una utilità a titolo liberale attraverso un atto, diverso dalla donazione, che, pure, realizza un risultato analogo a quello. L’espressione abbraccia, allora, tanto le donazioni quanto le liberalità diverse dalla donazione. Né può considerarsi decisivo, in senso contrario, il mancato richiamo alla disciplina della collazione ciò che sia stato ricevuto per donazione, direttamente e indirettamente, e dal momento che nell’art. 809 c.c. non è recato un preciso riferimento alla disciplina della collazione. In conseguenza, secondo l’A. rispetto alle liberalità diverse dalle donazioni sarebbe ammissibile soltanto, a tutela dei legittimarı̂, l’azione di riduzione. La quale risulterebbe ammessa proprio a’ sensi dell’art. 809 c.c. che a essa fa esplicito richiamo. (77) U. CARNEVALI, voce Liberalità (atti di), cit., 221 e s. h:/LINOTIPO_H/06-wki/Utet_Riviste_cod_Civ/01_FPS_2012/0677_12_FPS_05_2012/impa_def/FPS_05_344_361.3d 24/4/2012 14:19 pagina 359 IL COMMENTO collazione nell’art. 809 c.c., anche perché il secondo comma del predetto articolo, nella parte in cui precisa che la disposizione non si applica alle liberalità «che a norma dell’art. 742 non sono soggette a collazione», implicitamente lascia inferire che siano soggette a collazione le liberalità diverse dalla donazione(78), con la sola esclusione di quelle di cui all’art. 742 c.c. Tutto ciò, senza tralasciare di considerare, anche per la evidente rilevanza che l’ipotesi assume rispetto ai casi indagati, che la norma di cui all’art. 741 c.c., prescindendo dal tipo di atto con il quale il risultato è conseguito, assoggetta a collazione anche ciò che il defunto abbia speso a favore dei discendenti «per pagare i loro debiti». Svolte queste preliminari considerazioni, mi stringo a osservare il primo caso: ossia le liberalità diverse dalla donazione, aventi per oggetto una determinata quantità di danaro. minata quantità di danaro, si debba aver riguardo, tanto per la determinazione della quota di legittima, quanto per la collazione, al valore del danaro al tempo della apertura della successione. Occorre, cioè, con le precisazioni svolte, valorizzare quella somma, secondo le normali e consuete leggi e funzioni di matematica finanziaria. Più semplice, infine, il caso di liberalità diversa dalla donazione che ha per oggetto il bene. Non v’ha dubbio che si debba tenerne conto, tanto ai fini della determinazione della quota disponibile, che ai fini della collazione del bene, al pari di come non v’ha dubbio, stante la norma di cui all’art. 747 c.c. e il richiamo a esso fatto dall’art. 556 c.c., che si debba aver riguardo al valore del bene al tempo dell’apertura della successione. Va da sé che, nell’ipotesi in cui il bene acquistato sotto nome altrui, utilizzando una delle tecniche di negoziazione che mette capo a una liberalità diversa dalla donazione avente per oggetto il bene stesso, sia un bene mobile, anche in tale caso dovrà aversi riguardo al valore del bene al tempo dell’apertura della successione, in ragione della norma di cui all’art. 750 c.c. e del richiamo a esso fatto dall’art. 556 c.c. Acquisito che tali liberalità debbano reputarsi rilevanti ai fini della determinazione della quota disponibile e che le medesime siano soggette a collazione, non v’ha dubbio che esse, avendo per oggetto una determinata quantità di danaro, pongano quale principale e determinante problema quello inerente il criterio valutativo alla stregua del quale debba tenersi conto di esse nella riunione fittizia e nella collazione. Trattandosi, infatti, di liberalità, aventi per oggetto una somma di danaro, si pone, ancòra una vólta, il delicato problema di appurare se si debba considerare il solo valore nominale del danaro o se esso debba essere valorizzato. E il problema palesa la sua straordinaria rilevanza soprattutto quando si consideri che, sovente, tra il compimento della liberalità diversa dalla donazione e l’apertura della successione potrebbe essere trascorso un considerevole lasso di tempo e, soprattutto, che quel danaro può esser servito al beneficato per acquistare un bene, il quale potrebbe essersi considerevolmente apprezzato sul mercato nel corso del tempo o il quale potrebbe aver reso al proprietario importanti frutti. Non credo occorra ripetere che, anche in questo caso e per gli stessi argomenti già svolti rispetto alla donazione di una deter- e considerazioni svolte, nel loro discernere e mantenere separate le diverse tecniche di intestazione di beni sotto nome altrui, in ragione della loro riconducibilità a donazioni o liberalità diverse dalla donazione e in ragione del loro avere per oggetto una determinata quantità di danaro o il bene, palesano chiaramente il dissenso avverso l’orientamento giurisprudenziale(79) inaugurato con la decisione delle Sezioni Unite della Cassazione n. 9282/1992. La quale, rovesciando l’orientamento dominante(80), che considerava l’elargizione di danaro per l’acquisto di un bene una donazione diretta di danaro, conclude nel senso che si ha sempre una donazione indiretta del bene, quando vi è un collegamento tra l’elargizione e l’acquisto(81). (78) Cosı̀, A. CICU, Successioni per causa di morte. Parte generale. Divisione ereditaria, cit., 492. (79) Per un efficace e completo quadro degli orientamenti giurisprudenziali, U. CARNEVALI, voce Intestazione di beni sotto nome altrui, cit., 2-4. (80) Seguito dalla giurisprudenza prevalente già da Cass., 19.4.1949, n. 943, in Giur. Completa della Corte Suprema di Cassazione, 1949, 203 e ss., con nota di N. DISTASO, Donazione indiretta, negozio indiretto e acquisto di immobile fatto dal figlio, a nome proprio, con danaro fornito dal padre, cit. Si erano discostate, però, già Cass., 29.3.1946, n. 335, in Foro it., 1944-1946, I, 714, con nota critica di A. TORRENTE, In tema di acquisto di immobile a favore dell’erede con denaro del testatore, cit., 714 e ss. e in Giur. Completa della Corte Suprema di Cassazione, 1946, I, 480 e ss., con severa nota critica di G. STOLFI, Sulla collazione del danaro donato per l’acquisto d’un immobile, cit., 483 e ss., il quale auspica che «meritatamente rimanga isolata l’erronea sentenza qui confutata». Più di recente, Cass., 19.3.1980, n. 1851, in Foro it., 1981, I, 1395; Cass. 15.12.1984, n. 6581, in Riv. Notar., 1985, 724; Cass., 31.1.1989, n. 596, in Giust. Civ., 1989, I, 1098, in Riv. Notar., 1988, 1310, in Giur. It., 1989, I, 1, 1726, in Giur. It., 1989, I, 1, 1882, con nota di TASSONI e di BELLELLI e in Nuova Giur. Civ., 1989, I, 752, con nota di UGLIETTI; Cass. 6.5.1991, n. 4986, in Giust. Civ., 1991, I, 2981, con nota di N. DI MAURO e in Vita Notar., 1991, 987. Dominante l’orientamento che ricostruiva il caso come donazione di danaro, si derogava, nel caso in cui beneficante e beneficato fossero coniugi. Accertata la nullità della donazione tra coniugi, si chiedeva al beneficato di restituire non già il danaro utilizzato per l’acquisto, bensı̀ l’immobile. La dottrina dominante (per tutti, U. CARNEVALI, voce Liberalità (atti di), cit., 223 e s.) era contraria a questo orientamento, con l’autorevole eccezione di A. TRABUCCHI, Sull’oggetto della liberalità nella intestazione al coniuge del bene acquistato, in Giur. It., 1966, I, 1, 1495 e ss. Il quale, pur aderendo alla soluzione giurisprudenziale, dal momento che «sarebbe fuori luogo fermarsi a una valutazione atomistica dell’esborso del danaro, quando invece il denaro versato non è che il pagamento del prezzo di un acquisto che il donante ha curato come acquisto a vantaggio del coniuge», precisa che bisogna distinguere il caso in cui si dimostri che «prevalente, cioè significativa, è la donazione diretta del danaro, sia pure fatta in funzione di un acquisto». In tale ultima ipotesi anche l’A. conviene che «il motivo finale della donazione di denaro resta irrilevante, e il denaro versato e donato sarà l’oggetto sottoposto alla regola della restituzione». (81) La giurisprudenza della Cassazione, successivamente alla decisione delle Sezioni Unite, è del tutto conforme al nuovo orientamento. Ex multis, Cass., 12.5.2010, n. 11496, in Notariato, 2010, 508, con nota di IACCARINO e in Fallimento, 2010, 1331 e in Nuova Giur. Civ., 2010, 1238, con nota di TODESCHINI PREMUDA e in Famiglia e Diritto, 2011, 348, con nota di MARI e RIDELLA; Cass., 25.10.2005, n. 20638, in Mass. Giur. It., 2005; Cass., 22.9.2000, n. 12563, in Mass. Giur. It., 2000; Cass., 29.5.1998, n. 5310, in Mass. Giur. It., 1998. Ma, in senso difforme, la coraggiosa sentenza di Trib. Milano, 21.4.2011, la cui massima può leggersi, in uno con un breve commento di G. SCHIAVONE, in Obbligazioni e contratti, 2011, 624 e s. Anche in dottrina si registra qualche segnale di apertura verso la nuova prospettiva. Ma va segnalato che, prima dell’intervento delle Sezioni Unite, avevano aderito all’idea che nella intestazione di bene sotto nome altrui, l’oggetto della donazione fosse l’immobile e non il danaro: F. CARNELUTTI, Donazione di immobile o donazione di danaro?, cit., 185 e s.; A. GIORDANO, Donazione di danaro per l’acquisto di un immobile, in Giur. Completa della Corte Suprema di Cassazione, 1945, II, 86; L. CARRARO, Il mandato ad alienare, cit., 139 e ss.; P. CARUSI, Dazione di danaro a titolo di liberalità per acquisto di immobile, in Riv. notar., 1948, II, 346 e ss.; F. CARRESI, Alcune questioni in tema di collazione, in Giur. Completa della Corte Suprema di Cassazione, 1954, I, 125 e ss.; V.R. CASULLI, voce Collazione nelle donazioni, in Noviss. dig. it., III, Torino, 1959, 464 e ss. Più di 9. L’ultimo orientamento della giurisprudenza di legittimità L Famiglia, Persone e Successioni 5 359 maggio 2012 h:/LINOTIPO_H/06-wki/Utet_Riviste_cod_Civ/01_FPS_2012/0677_12_FPS_05_2012/impa_def/FPS_05_344_361.3d 24/4/2012 14:19 pagina 360 IL COMMENTO Il Supremo Collegio toglie questa conclusione, assumendo che non siano «insuperabili» le obiezioni mosse contro la tesi contraria, le quali seguono «un criterio formalistico e si risolvono nel semplice rilievo che, in effetti l’acquisto è stato reso possibile solo dall’esborso del denaro, in concreto uscito dal patrimonio del donante, nel quale l’immobile non è mai entrato, essendo la compravendita intercorsa direttamente tra donatario e venditore». Questa dirimente – a dire della Corte – considerazione, in uno con i rilievi che, nella donazione indiretta, non sarebbe necessaria una corrispondenza tra bene uscito dal patrimonio del donante e bene di cui il beneficiario si è arricchito, che l’arricchimento non deve essere confuso con il trasferimento(82), che i Lavori preparatorı̂(83) non sono assorbenti e che l’art. 1923, 2º co., c.c. (84), non è decisivo, consentono di comporre il contrasto sorto, fermando questo principio di diritto: «Nella ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente e di intestazione dello stesso bene ad un altro soggetto, che il disponente ha inteso in tal modo beneficare, costituendo la vendita mero strumento formale di trasferimento della proprietà del bene per l’attuazione di un complesso procedimento di arricchimento del destinatario del detto trasferimento, si ha donazione indiretta non già del denaro ma dell’immobile, poiché, secondo la volontà del disponente, alla quale aderisce il donatario, di quest’ultimo bene viene arricchito il patrimonio del beneficiario»(85). Il dissenso è fermo(86). Non è certo il luogo per discutere dell’utilità e il danno del criterio formale, che preferisco a formalistico, espressione avvezza ai detrattori del metodo, o per discutere e valutare l’opportunità e il rigore di decisioni che tendano, di là e sopra di tutto, alla cosı̀ detta giustizia sostanziale, ma non posso nascondere che quest’ultima mi sembra assai precaria e volubile, anche perché finisce ineluttabilmente per richiamare criterı̂ e parametri di valutazione extra-positivi, difficilmente assoggettabili a controllo e fatalmente legati alle valutazioni personalistiche di ciascuno(87). Nella sentenza in parola, stupisce che i Supremi giudici, pur misurandosi con i numerosi argomenti che sono stati tratti a favore e contro la tesi sostenuta e non trascurando neppure orientamenti dottrinali rimasti minoritari(88), non si siano presi cura della qualificazione dell’atto, dell’ammissibilità di una donazione indiretta e del discrimine tra donazione e liberalità diversa dalla donazione. Ossia dei temi istituzionali sulla base dei quali sarebbe stato necessario offrire risposta ai problemi che il caso aveva sollevato. Le Sezioni Unite, tacciati questi argomenti e ragionamenti siccome formalistici, hanno ritenuto che recente, si era cosı̀ espresso anche F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, IV, Padova, 1990, 215 e ss. (82) L’espressione e il concetto sono di F. CARNELUTTI, Donazione di immobile o donazione di danaro?, cit., 185. (83) La sentenza intende riferirsi alla soppressione di una disposizione di legge presente nel progetto preliminare (art. 357), ma non inserita nel codice, la quale, cosı̀, prescriveva «se però consta che il donatario ha dato al danaro uno stabile investimento, esso deve imputare alla propria quota il valore della cosa nella quale il danaro è stato convertito [...] se consta che l’ascendente ha con danaro proprio acquistato un immobile al nome del discendente, questi è tenuto a conferirlo agli altri coeredi». (84) La norma prevede che oggetto della riduzione e della collazione siano i premi pagati e non già le somme dovute dall’assicuratore al beneficiario. Sul punto le importanti considerazioni di L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit., 200 e s. Anche U. CARNEVALI, Donazioni indirette e successione necessaria, cit., 725. (85) Commentando la decisione, bene scrive G. BASINI, L’oggetto della liberalità ai fini della collazione, dell’imputazione ex se e della riunione fittizia, in ipotesi «intestazione di beni a nome altrui», cit., 301, «pare si ritenga, in altri termini, che, per l’applicazione delle norme materiali, sia possibile superare non solo il negozio-mezzo, vale a dire l’oggetto dell’arricchimento ricollegabile al trasferimento disponente-beneficiario, per risalire all’«oggetto indiretto» della donazione indiretta». (86) Critico, A. CIATTI, La collazione, in Diritto delle successioni, a cura di R. Calvo e G. Perlingieri, Napoli, 2008, 2, 1226, il quale osserva che «in entrambe le ipotesi infatti ciò che esce dal patrimonio del donante è il danaro e non sufficienti a superare il dato testuale sono le ragioni ‘‘equitative’’ che dovrebbero giustificare l’opposta ricostruzione». Critico, anche, N. DI MAURO, L’individuazione oggetto della liberalità ai fini della riunione fittizia, dell’imputazione ex se della collazione in alcune fattispecie particolari, cit., 173. Secondo U. CARNEVALI, voce Intestazione di beni sotto nome altrui, cit., 4, non vi sarebbero dirimenti argomenti a favore o contro la tesi, mentre sarebbe opportuno tener presente «ad un tempo, sia il tipo di procedimento usato per la ‘‘intestazione’’, sia la ratio delle norme ai fini della cui applicazione si pone la questione di individuare l’oggetto della liberalità». U. CARNEVALI, Donazioni indirette e successione necessaria, cit., 726, manifesta serie perplessità a considerare, nel caso di elargizione di danaro per l’acquisto del bene, oggetto della liberalità il bene. L’A., a conferma della necessità di operare quella distinzione, nella nota n. 10 scrive: «invero, quando viene in primo piano l’arricchimento conseguito dal donatario indiretto, come nel caso dell’imputazione ex se o nel caso della collazione, appare del tutto giustificato dare rilevanza al bene che quest’ultimo ha potuto conseguire grazie al pagamento del prezzo fatto dal donante; quando invece viene in considerazione il danno subito dal legittimario per effetto del depauperamento del patrimonio del donante, parrebbe logico dare rilevanza a tale depauperamento e dunque al prezzo pagato al venditore e non già al bene conseguito dal donatario indiretto e mai uscito dal patrimonio del donante. In altre parole, dovrebbe darsi rilevanza alla ratio dei singoli istituti». Nel 1974, U. CARNEVALI, voce Liberalità (atti di), cit., 223 e s., concludeva: «Appare quindi, poste queste premesse, assai opinabile dal punto di vista dogmatico quell’indirizzo giurisprudenziale, oggi del tutto prevalente, che, quando si tratta di colpire liberalità vietate dagli art. 780 e 781 c.c., considera invece come oggetto della liberalità il bene acquistato con danaro versato dal donante». (87) Sulla consapevolezza che il declino di tutti i fondamentali ha privato il diritto di una verità e reso, dunque, possibile ogni diritto, consegnandolo alla decisione individuale; a ogni decisione individuale, N. IRTI, Diritto senza verità, Bari, 2011. (88) Il riferimento corre all’opinione che ricostruisce l’ipotesi esaminata come mandato ad acquistare il bene nel nome del mandatario (la quale è di A. GIORDANO, Donazione di danaro per l’acquisto di un immobile, cit., 86, la cui critica più importante è di A. TORRENTE, La donazione, cit., 61 e ss., ma anche U. CARNEVALI, voce Intestazione di beni sotto nome altrui, cit., 2) o a quella che dice esserci una doppia donazione: del danaro e del supervalore dell’immobile acquistato con quel danaro. (89) Sul rapporto tra oggetto e bene del negozio lo studio di N. IRTI, voce Oggetto del negozio giuridico, in Noviss. Dig. It., XI, Torino, 1963, 798 ss., ora anche in ID., Norme e fatti. Saggi di teoria generale del diritto, Milano, 1984, 191 ss., da cui le citazioni, spec. 204, «la designazione del termine, sul quale dovrà svolgersi l’effetto, si palesa come una parte di ciò che i singoli dichiarano: in breve, del contenuto del negozio giuridico». Più ampiamente anche ID., Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, Milano, 1967, 111 ss. e spec. 128-151 maggio 2012 360 Famiglia, Persone e Successioni 5 la donazione diretta di danaro, quando vi sia un collegamento con l’acquisto del bene, deve considerarsi una donazione indiretta del bene. Cosı̀ operando, per un verso, la trasformazione del bene oggetto del contratto e traslando, per altro verso, l’aggettivo indiretto dal negozio al suo oggetto o, più tecnicamente, al termine esterno destinato a ricevere la vicenda di rapporto giuridico(89). Credo, inoltre, che la soluzione, che avesse considerato il caso riducibile a una donazione di una determinata quantità di danaro, avrebbe prodotto un risultato pratico niente affatto aberrante, e, anzi, assolutamente condivisibile e, con tutte le riserve necessarie, equo. Nella consapevolezza che la donazione di una certa quantità di danaro è rilevante sia ai fini della determinazione della quota h:/LINOTIPO_H/06-wki/Utet_Riviste_cod_Civ/01_FPS_2012/0677_12_FPS_05_2012/impa_def/FPS_05_344_361.3d 24/4/2012 14:19 pagina 361 IL COMMENTO disponibile sia della collazione e nella coscienza, anche sulla base degli argomenti che ho svolti nei paragrafi precedenti, che potrebbe aversi riguardo non alla somma nominale, ma a una misura pari alla somma donata valorizzata, secondo leggi e funzioni di matematica finanziaria, al tempo dell’apertura della successione, credo che il collazionare il danaro o il bene avrebbe potuto menare a risultati pratico-economici affatto simili ed equiparabili tra loro. L’unica vera e importante differenza dell’adottare l’una o l’altra soluzione interpretativa mi pare attenga, più che ai coeredi che chiedono il beneficio della collazione e al loro diritto a non vedere minimizzata la donazione del de cuius, al coerede che subisce e sopporta l’obbligo della collazione. Perché mentre la collazione di beni immobili si fa con il rendere il bene in natura o con l’imputarne il valore alla propria porzione, a scelta di chi conferisce, la collazione del danaro si realizza prelevando una minor quantità di danaro o, quando esso non basti e il donatario non voglia conferire altro danaro o titoli dello Stato, consentendo agli altri coeredi di prelevare mobili o immobili ereditari in proporzione delle rispettive quote. Inoltre, mentre la collazione del danaro risulterebbe sempre necessaria, la collazione del bene sarebbe esclusa nel caso in cui il bene fosse perito per causa non imputabile al donatario(90). Infine, non si può tralasciare di considerare che, in caso di collazione dell’immobile, sono dovute al donatario le spese per i miglioramenti e, in taluni casi, quelle straordinarie per la conservazione della cosa, mentre il donatario è obbligato verso i coeredi soltanto per i deterioramenti che, per sua colpa, hanno diminuito il valore dell’immobile; invece, in caso di collazione di danaro, gli interessi sulle somme soggette a collazione sono dovuti soltanto dal giorno in cui si è aperta la successione. Una conclusione, dunque, che, nel dimostrare la difficoltà della tenuta dogmatica della soluzione scelta dalle Sezioni unite del Supremo Collegio, quando essa debba misurarsi con gli altri temi successorı̂, finisce anche con il denunciare la debolezza logica di un principio di diritto, il quale, pur faticosamente scelto e sposato con sacrificio dell’altro, lasciato sull’altare del formalismo, è stato, alla prima occasione utile, sostanzialmente tradito. Tocca, allora, sperare che questo tradimento sia solo il principio della crisi di un matrimonio, che conduca a un celere divorzio. & (90) Precisa L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit., 197, che la norma in parola, quella di cui all’art. 744 c.c., sarebbe applicabile alla disciplina della riunione fittizia, limitatamente al caso di perimento fortuito del bene anteriore all’apertura della successione. «Il rischio del perimento posteriore è sopportato dal legittimario se e nella misura in cui, in seguito alla riunione fittizia, la cosa donata risulti appartenere alla quota riservata». Secondo A. CIATTI, La collazione, cit., 1232, la disposizione, anche in tema di collazione, dovrebbe coprire il solo caso del perimento anteriore alla apertura della successione. Secondo, U. CARNEVALI, voce Collazione, cit., 476, bisogna limitare l’applicazione della norma ai casi in cui il perimento della cosa avvenga presso il donatario. (91) Più in generale, sui problemi che solleva l’azione di riduzione, quando essa abbia a oggetto le donazioni indirette, U. CARNEVALI, Donazioni indirette e successione necessaria, cit., 728 e s. e S. DELLE MONACHE, Successione necessaria e sistema di tutele del legittimario, Milano, 2008, 110 e ss. (92) Il riferimento è alla sentenza di Cass., 12.5.2010, n. 11496, cit., la cui massima suona cosı̀: «Nell’ipotesi di donazione indiretta di un immobile, realizzata mediante l’acquisto del bene con denaro proprio del disponente e intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficare, la compravendita costituisce lo strumento formale per il trasferimento del bene e il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario, che ha quindi a oggetto il bene e non già il denaro. Tuttavia, alla riduzione di siffatta liberalità indiretta non si applica il principio della quota legittima in natura (connaturata all’azione nell’ipotesi di donazione ordinaria di immobile ex art. 560 c.c.), poiché l’azione non mette in discussione la titolarità dei beni donati e l’acquisizione riguarda il loro controvalore, mediante il metodo dell’imputazione; pertanto mancando il meccanismo di recupero reale della titolarità del bene, il valore dell’investimento finanziato con la donazione indiretta deve essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito, con la conseguenza che, nell’ipotesi di fallimento del beneficiario, la domanda è sottoposta al rito concorsuale dell’accertamento del passivo ex artt. 52 e 93 l. fall.». A riprova della miglior tenuta dogmatica della soluzione proposta, oltre a tutte le considerazioni svolte a suo sostegno nel testo, si consideri che la stessa Cassazione, pur dopo essere approdata all’idea che l’elargizione di danaro, collegata all’acquisto di un bene, debba essere qualificata siccome donazione indiretta del bene, non toglie, poi, tutti i necessarı̂ corolları̂ della tesi. Non ha argomenti e forza per poterlo fare; si trova, di fatto, costretta a trattare il caso, di là della petizione di principio, come se esso incarnasse una donazione di danaro. In una recente sentenza, in cui si questionava intorno alla riducibilità della donazione indiretta del bene(91), la Corte ha escluso l’applicabilità del principio della quota legittima in natura, di cui all’art. 560 c.c., e affermato che il legittimario leso ha soltanto un diritto di credito, ma non anche il potere di recuperare il bene(92), trattando, cosı̀, la donazione indiretta del bene come se essa fosse una semplice donazione di danaro. Famiglia, Persone e Successioni 5 361 maggio 2012