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Giustizia vaticana: una stagione di riforme
S anta Sede | Document� 8/2015 tribunale vaticano Giustizia vaticana: una stagione di riforme Il promotore di giustizia vaticano all’inaugurazione dell’anno giudiziario L’anno trascorso «si è caratterizzato per un diffuso impegno nell’attuazione delle riforme legislative emanate da papa Francesco nel corso del 2013, che hanno determinato un ampliamento della giurisdizione dei Tribunali dello Stato vaticano (...). Un processo che, come è noto, ha preso avvio (...) a partire dal pontificato di Benedetto XVI». Con queste parole, lo scorso 31 gennaio, il promotore di giustizia Gian Piero Milano ha aperto la sua relazione introduttiva all’anno giudiziario 2015 del Vaticano. La relazione ha offerto una panoramica dettagliata della riforma tuttora in corso del sistema giudiziario, evidenziandone in particolare i riflessi in materia economico-finanziaria, nella prevenzione e nel contrasto del riciclaggio. Il testo si sofferma anche sulla riforma del sistema penale e presenta i numeri dell’attività del 2013-2014 degli organi giudiziari, dai quali si evince «una tendenza incrementale che si preannuncia di particolare impatto soprattutto nel settore penale». Originale digitale in nostro possesso. Sottotitolazione redazionale. Documenti 8/2015 1. Premessa In apertura dell’anno giudiziario 2015, l’86° dalla istituzione del nostro Tribunale, desidero rivolgere il più devoto, filiale pensiero a sua santità Francesco, il cui altissimo magistero guida il nostro operare nell’esercizio della funzione giusdicente dello Stato della Città del Vaticano; un ordinamento di ridotta consistenza spaziale, ma all’interno del quale le dimensioni della sovranità hanno contenuti di singolare ampiezza, di cui è espressione anche l’attività degli organi giurisdizionali, impegnati, nell’anno appena trascorso, in materie di inconsueta ampiezza e complessità e dense di delicate implicazioni, oltre ogni previsione. 1 Aperto l’anno giudiziario Il promotore di giustizia Gian Piero Milano inaugura l’anno giudiziario presentando la riforma dell’ordinamento vaticano da Benedetto a Francesco. 19 Chiesa-Israele: la teshuvah Un documento del gruppo interconfessionale Teshuvah (Milano) riflette sui «punti fermi» e sugli «interrogativi aperti» nel rapporto cristiano-ebraico. Direttore responsabile: Gianfranco Brunelli Caporedattore per Documenti: p. Marco Bernardoni Segretaria di redazione: Valeria Roncarati Redazione: p. Marco Bernardoni, Gianfranco Brunelli, Alessandra Deoriti, p. Alfio Filippi, Maria Elisabetta Gandolfi, p. Marcello Matté, Guido Mocellin, Marcello Neri, p. Lorenzo Prezzi, Daniela Sala, Paolo Segatti, Piero Stefani, Francesco Strazzari, Antonio Torresin, Mariapia Veladiano Editore: Centro Editoriale Dehoniano, spa Progetto Grafico: Scoutdesign Srl Impaginazione: Omega Graphics Snc - Bologna Stampa: italia tipolitografia s.r.l. - Ferrara Registrazione del Tribunale di Bologna N. 2237 del 24.10.1957. 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Una copia e arretrati: € 5,00 (CCP 264408 intestato a Centro Editoriale Dehoniano) Anno LX - N. 1189 - 27 febbraio 2015 S anta Sede Del magistero di sua santità vorrei cogliere un riferimento al tema che più di ogni altro pare aggredire in ogni dove la trama delle relazioni sociali e interpersonali, e che si presenta con forme e modalità operative nuove, spesso di dimensioni internazionali o intercontinentali e che occupa, con inquietante incremento, i repertori della giurisprudenza: quello della criminalità finanziaria e della corruzione. Una vera e propria piaga, che al di là dei rilevanti danni al sistema economico, appare tanto più devastante e nociva in quanto opera anche nei confronti del singolo individuo, colpendolo in un bene inviolabile: quello della dignità umana che gli pertiene come una sua ontologica dimensione al di là e prima di qualunque riconoscimento giuridico o sociale. Come affermava il santo padre nel discorso al Parlamento europeo, il 25 novembre 2014, anche le istituzioni devono «guardare all’uomo non tanto in quanto cittadino, né in quanto soggetto economico, ma in quanto persona dotata di una dignità trascendente»; se così è, «promuovere la dignità della persona significa riconoscere che essa possiede diritti inalienabili di cui non può essere privata» (Regno-doc. 21,2014,676). Un richiamo che interpella e impegna concretamente, in primo luogo i titolari di potestà legislativa e quanti esercitano, nella quotidianità, l’attività giurisdizionale. Prima di affrontare nel concreto le conseguenze che derivano dall’applicazione di quei principi al contesto che più direttamente ci riguarda, vorrei esprimere la più sentita riconoscenza a quanti partecipano all’odierna cerimonia. Un deferente saluto porgo anzitutto a sua eminenza reverendissima il card. Pietro Parolin, segretario di stato, che ci onora della sua presenza e che ha presieduto il sacro rito di apertura; una tradizione risalente a oltre nove secoli fa e diffusa in tutta Europa, e celebrata con particolare solennità nel Regno di Francia, ove l’anno giudiziario era inaugurato in seduta del Parlamento, con la Messe du Saint Esprit, introdotta dal canto del «Veni Creator» e l’invocazione, a rimarcare i limiti dell’umana giustizia, dell’intervento illuminante dello Spirito. Quei cerimoniali offrivano, tra l’altro, l’opportunità – che permane tutt’oggi e costituisce un doveroso gesto istituzionale – di rendere conoscibili, con la relazione sullo stato della giustizia, i contenuti dell’attività giurisdizionale; un’attività che soprattutto nell’ora presente deve presentarsi, operare ed essere percepita, non già come espressione di uno dei poteri dell’organizzazione statuale, ma come un servizio, una missione volta anzitutto al mantenimento della dimensione etica della vita sociale, oltre che a Il Regno - documenti 8/2015 presidio della legalità e sicurezza degli individui, dei loro rapporti e dei beni che loro pertengono. Sempre in introduzione desidero esprimere un sentito ringraziamento alle alte autorità – della Santa Sede e dello Stato vaticano – qui presenti; con particolare ossequio saluto i rappresentanti delle più alte istanze giurisdizionali italiane, e le autorità dello Stato italiano, civili e militari, appartenenti a istituzioni che operano in contesti funzionalmente collegati alla giurisdizione; per tale ragione la loro partecipazione è per noi particolarmente significativa. Infine un sentito ringraziamento, in vincolo di comunanza, esprimo alle autorità accademiche, per la loro gradita presenza alla odierna cerimonia. 2. La legislazione precedente le riforme di papa Francesco nel sistema delle fonti L’anno appena trascorso si è caratterizzato per un diffuso impegno nell’attuazione delle riforme legislative emanate da papa Francesco nel corso del 2013, e che hanno determinato, tra l’altro, un ampliamento della giurisdizione dei Tribunali dello Stato vaticano soprattutto nell’ambito della legislazione penale, che ha conosciuto profondi, significativi aggiornamenti. Un processo che, come è noto, ha preso avvio con l’adesione dello Stato vaticano, nel dicembre 2009, alla Convenzione monetaria europea1 e dunque a 1 Aderendo il 17 dicembre 2009 alla Convenzione monetaria europea, lo Stato della Città del Vaticano (SCV), oltre ad adottare l’euro si è impegnato a introdurre, entro il 31 dicembre 2010, tutte le misure per uniformare la propria legislazione agli standard europei, soprattutto in materia di riciclaggio di denaro, nonché di frode e falsificazione dei mezzi di pagamento in contante e diversi dal contante. Per le attività di sorveglianza, in applicazione dell’art. 11, è stato istituito un apposito Comitato misto UE/SCV, incaricato di elaborare standard operativi e protocolli che hanno inserito lo Stato vaticano all’interno di un sistema di confronto e di trasparenza che impegna tutti gli organismi a valenza economico-finanziaria, a vari livelli, non solo operativi ma anche apicali di settore. La delegazione vaticana nel Comitato, in applicazione dell’art. 4 Legge fondamentale del 26 novembre 2000, ha lavorato anche all’esame e alla valutazione di misure legislative condivise. Questo lavoro ha offerto la base per la successiva emanazione, il 30 dicembre 2010, di quattro leggi: (A) Legge CXXVII sulla prevenzione e il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo, entrata in vigore il 1° aprile 2011; (B) Legge CXXVIII sulla frode e contraffazione di banconote e monete in euro, entrata in vigore il 1° marzo 2011; (C) Legge CXXIX riguardante la 2 S anta Sede partire dal pontificato di Benedetto XVI. E mi sia consentito rivolgere al pontefice emerito un pensiero di filiale devozione, nel ricordo di un magistero ricco di attenzione e apprezzamento della funzione giurisdizionale e, più in generale, dell’opera dei giuristi. All’adesione alla Convenzione monetaria ha fatto seguito l’impegno assunto con la legge n. CXXVII del 30 dicembre 2010 di introdurre «regole e presidi coerenti con i principi e gli standard concordati a livello internazionale e comunitario contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo»; presidi costituiti, in concreto, sia con l’introduzione di modifiche della legislazione penale in campo finanziario e monetario, sia con la creazione di nuovi organismi: in particolare l’Autorità di informazione finanziaria (AIF), modellata sull’archetipo di omologhe istituzioni attive negli altri ordinamenti della comunità europea, con funzioni, tra le altre, di vigilanza, prevenzione e contrasto del riciclaggio e di attività di finanziamento del terrorismo; funzioni che si sono progressivamente dilatate nel tempo, sulla scorta di sollecitazioni provenienti da organi di controllo internazionali. È interessante rilevare che contestualmente alla Legge n. CXVII, il motu proprio di papa Benedetto XVI (La Sede Apostolica, sempre del 30.12.2010) ha disposto che i principi contenuti in detta legge si applichino sia per lo stato che per i dicasteri della curia romana e per tutti gli enti e organismi attivi in detto settore; inoltre, ha attribuito agli organi giudiziari dello stato la delega a esercitare la giurisdizione penale nelle ipotesi delittuose previste e nei confronti dei soggetti indicati nella legge stessa. In tal modo la disciplina in materia finanziaria con le connesse figure di reato, è stata assoggettata alla competenza di una stessa autorità giurisdizionale. Interpretando, con il consueto acume, le conseguenze sul piano istituzionale di queste modifiche faccia, valori unitari e specificazioni tecniche nonché diritti di autore sulle facce nazionali delle monete in euro destinate alla circolazione, entrata in vigore il 15 gennaio 2011; (D) Legge CXXX relativa a tagli, specifiche, riproduzione, sostituzione e ritiro banconote in euro e sull’applicazione dei provvedimenti diretti a contrastare le riproduzioni irregolari di banconote in euro e alla sostituzione e al ritiro di banconote in euro, entrata in vigore il 15 gennaio 2011. (E) Il nuovo quadro normativo è stato completato con la emanazione (30.12.2010), del motu proprio di Benedetto XVI Per la prevenzione e il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario. Questo significativo corpo normativo costituisce un ulteriore tassello per predeterminare normativamente contenuto e limiti della azione dello SCV e della Santa Sede nel campo finanziario e monetario, e dunque per alimentare quel processo di trasformazione dello SCV da stato apparato, con funzioni strumentali e funzionali alla Santa Sede, a stato di diritto. Il Regno - documenti 8/2015 normative, il prof. Nicola Picardi, mio impareggiabile predecessore in questo ufficio, aveva segnalato la trasformazione del Tribunale vaticano, da organo di giustizia statuale in autorità giurisdizionale ultra statuale, con competenze anche nei confronti di enti che operano nell’ordinamento canonico,2 sia pure nello specifico settore del diritto penale dell’economia. La questione delle fonti, tra legislazione vaticana e internazionale Questo processo di rimodulazione di ambiti in precedenza autonomi, avviato da Benedetto XVI e intensificato nel pontificato di papa Francesco, oltre alla modifica di assetti interni, ha posto un ulteriore problema: mantenere le nuove disposizioni, introdotte in virtù di «conformazione» dell’ordinamento vaticano alla legislazione sovranazionale, coerenti con la cornice istituzionale che caratterizza il nostro ordinamento. A questo fine, svolge una funzione di limite e di garanzia la Legge sulle fonti del diritto n. LXXI, del 1° ottobre 2008, che pone l’ordinamento canonico come la «prima fonte» normativa e il «primo criterio di riferimento interpretativo» dell’ordinamento giuridico vaticano. Ciò significa che le nuove leggi, frutto del processo di integrazione e delle politiche di solidarietà e cooperazione internazionale, non possono sovvertire istituti ancorati alla specificità dell’istituzione ecclesiale e alla sua missione, desumibili in via assorbente e primaria dall’ordinamento canonico; di tali specificità occorre dunque tener conto anche in sede di adeguamento della normativa interna ai protocolli e standard operativi internazionali. Questo aspetto essenziale va rimarcato in questa sede, a evitare non infrequenti (e talora neppure innocenti) fraintendimenti sui criteri con cui lo Stato vaticano recepisce normative elaborate in contesti internazionali; ragioni che, come detto, discendono e non possono discostarsi dai suoi tratti essenziali e distintivi; tra i quali va ricordato anzitutto il sistema delle fonti, gerarchicamente strutturato e nel quale sono inserite, come fonti principali, la Legge fondamentale del 2000 e le leggi promulgate per lo Stato della Città del Vaticano dal sommo pontefice, dalla Pontificia commissione o da autorità cui egli abbia delegato l’esercizio della potestà legislativa. 2 Cf. N. Picardi, Relazione del promotore di giustizia per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2012, Città del Vaticano 2012, 125. 3 S anta Sede Questo corpo normativo «proprio» è poi integrato, in base all’art. 1 n. 4 della citata Legge sulle fonti, da un processo di adattamento «conformativo» della legislazione vaticana alle norme di diritto internazionale generale e a quelle derivanti da accordi e trattati di cui la Santa Sede sia parte contraente. Un adattamento che tuttavia opera entro i limiti della compatibilità con il diritto canonico, in cui si esprime l’essenza e al tempo stesso si salvaguardano le note distintive della ecclesialità dell’ordinamento: la sua origine, i suoi fini e le sue caratteristiche irrinunciabili. Nelle materie nelle quali non provvedano le fonti principali, si osservano, in via suppletiva, le leggi emanate dallo Stato italiano, sempre che siano applicabili in concreto nell’ordinamento vaticano e come tali vengano recepite dalle competenti autorità interne. Per queste norme suppletive operano limiti ancor più stringenti, che l’art. 3, n. 2 della Legge sulle fonti indica nella non contrarietà: – ai precetti del diritto divino; – ai principi generali del diritto canonico; – alle disposizioni dei Patti lateranensi e accordi successivi. Questo articolato sistema di fonti – principali e suppletive – evidenzia le due dimensioni costitutive dell’ordinamento vaticano: quelle di origine ecclesiale e quelle di impronta statuale; e al tempo stesso ribadisce in modo inequivocabile il primato dell’ordinamento canonico3 che si riverbera dunque anche nel processo di adeguamento della normativa interna agli standard internazionali. Se così è, anche la più recente stagione legislativa, indirizzata alla prevenzione della criminalità finanziaria e degli attentati alla sicurezza pubblica e, più in generale del riciclaggio, se costituisce un adeguamento alla normativa internazionale, non va letta come una svolta in senso statualistico dell’ordi3 A conferma di questa struttura, possono citarsi due luoghi normativi, che risolvono in modo paradigmatico i casi di lacune normative individuando i poteri del giudice in materia civile e penale. Così, per quanto riguarda la materia civile, l’art. 6 della Legge sulle fonti sancisce che laddove manchi una disposizione normativa volta a definire una specifica fattispecie, il giudice decide «tenendo presenti i precetti di diritto divino e naturale, nonché i principi generali dell’ordinamento giuridico vaticano». Nelle materie ricadenti nell’ambito penale, il successivo art. 9 stabilisce che quando sia commesso un fatto che offenda i principi della religione o della morale, l’ordine pubblico o la sicurezza delle persone o delle cose, e manchi una specifica disposizione di legge penale, il giudice può richiamarsi ai principi generali della legislazione (che come abbiamo appena osservato sono costituiti essenzialmente da un compendio canonistico) e comminare pene pecuniarie o pene detentive sino a sei mesi. Il Regno - documenti 8/2015 namento ecclesiale, ma piuttosto come espressione, tra le molte, della sollecitudine della Santa Sede, anche a livello normativo, di partecipare in coerenza con la propria indole e specifica missione, a tutte le iniziative che valgano a rimuovere le molte ingiustizie e gli squilibri di carattere economico, giuridico, sociale o culturale. Perché dove sussistono diseguaglianze, dove vi è sfruttamento o prevaricazione anche di ordine economico, si lede la eguale dignità degli uomini, si depriva la persona di una delle sue irrinunciabili prerogative e del suo primato tra le creature. E si rende indispensabile la presenza attiva della Chiesa anche nelle sue espressioni istituzionali. 3. Il processo di riforma di papa Francesco Sulla base di quei presupposti si sviluppa il processo riformatore di papa Francesco, avviato sin dai primi atti del suo pontificato. Anzitutto, con il motu proprio dell’11 luglio 2013 Ai nostri tempi, sulla giurisdizione degli organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano, con il quale si sanzionano alcuni reati commessi contro la sicurezza, gli interessi fondamentali o il patrimonio della Santa Sede. Con tale provvedimento, che sviluppa ulteriormente quel fenomeno di progressivo ampliamento della giurisdizione degli organi vaticani già evidenziato sopra, si è introdotta un’importante innovazione sul piano processuale, attribuendo agli organi giudiziari dello stato una competenza generale in ordine: a. ai reati commessi contro la sicurezza, gli interessi fondamentali o il patrimonio della Santa Sede; b. ai reati indicati nelle Leggi n. VIII e IX del 2013 (approvate contestualmente al motu proprio) commessi, in occasione dell’esercizio delle rispettive funzioni, da una serie di soggetti equiparati ai «pubblici ufficiali» ai fini della legge penale, vale a dire: – i dipendenti di vario livello e grado, degli organismi della curia romana e delle istituzioni a essa collegate; – i legati pontifici e il personale diplomatico di ruolo della Santa Sede; – le persone titolari di funzioni di rappresentanza, amministrazione o dirigenza, o di prerogative gestorie degli enti con personalità giuridica canonica direttamente dipendenti dalla Santa Sede e registrati presso il Governatorato; 4 S anta Sede – altri soggetti con mandato amministrativo o giudiziario di qualunque grado e tipo nella Santa Sede. Ratione materiae, il motu proprio in questione ha attribuito, alla giurisdizione vaticana, di giudicare altresì i reati previsti da accordi internazionali sottoscritti dalla Santa Sede, se l’autore «si trovi» in territorio vaticano e non sia estradato all’estero. Infine, sempre alla giurisdizione vaticana viene demandata la cognizione dei casi di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche derivante da reato. Quest’ampia giurisdizione si estende a una serie di reati di particolare rilevanza collegati a beni primari degli individui: delitti contro la persona (discriminazione razziale in tutte le molteplici forme di realizzazione, la tratta di persone, la tortura); delitti contro i minori (vendita di minori, induzione o gestione della prostituzione minorile, violenza sessuale, pedopornografia o detenzione di materiali a essa riferibili, arruolamento di minori); delitti contro l’umanità (genocidio, e altri delitti commessi contro la popolazione civile); crimini di guerra nelle molteplici condotte in cui si sostanziano. Il caso Wesołowski Sul piano formale non è poi di secondario rilievo che questa significativa innovazione riguardante l’ambito della giurisdizione dei Tribunali vaticani, sia disposta con un provvedimento «canonico» del sommo pontefice (un motu proprio), a sottolineare la funzione strumentale assegnata agli organi giurisdizionali dello stato rispetto a organi e competenze della Santa Sede; una funzione destinata a esercitarsi in un contesto normativo che origina da convenzioni esterne, di carattere internazionale, e per leggi che hanno attinenza con l’ordine pubblico internazionale, o la tutela di beni riguardanti la convivenza tra popoli e la cooperazione per la salvaguardia di valori comunemente accolti e tutelati dalla comunità delle nazioni. In questo quadro normativo si inserisce l’iniziativa – assunta dall’Ufficio del promotore di giustizia nel mese di settembre dello scorso anno – in materia di delitti in danno di minori, già previsti nel codice Zanardelli e ulteriormente sanzionati – e precisati – dalla Legge n. VIII del 2013, che sarebbero stati perpetrati all’estero, da un pubblico ufficiale della Santa Sede, investito di funzioni diplomatiche e rivestito della dignità arcivescovile. Una delicata, inedita fattispecie, coinvolgente una molteplicità di profili soggettivi e istituzionali, Il Regno - documenti 8/2015 sulla quale sono in corso atti istruttori – in particolare complessi accertamenti informatici che richiedono di procedere con la massima cautela, e nella conveniente riservatezza. Quel che si può dire, allo stato, è che l’opera degli inquirenti si svolge in piena autonomia e al riparo da qualsiasi interferenza, ed è tesa al più rigoroso accertamento dei fatti nella loro effettiva consistenza, e delle risultanze probatorie. In questo senso è anche operante un’interlocuzione con omologhi organi inquirenti del paese in cui sarebbero stati compiuti i fatti reato, nell’ipotesi di attivare sollecitamente strumenti di cooperazione giudiziaria internazionale, volti ad acquisire, al di là di ogni ragionevole dubbio, elementi di colpevolezza. Un ulteriore profilo di complessità che caratterizza la fattispecie in esame deriva dal rapporto tra la delega attribuita in materia penale ai Tribunali vaticani con il motu proprio di papa Francesco di cui si è detto, e la giurisdizione spettante ad altri organi canonici (segnatamente la Congregazione per la dottrina della fede) quale individuata dalla normativa canonica (il motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela) in materia di «delicta graviora» commessi da soggetti rivestiti dello status sacerdotale: delitti di cui è incolpato, anche in sede penale canonica, il prelato. Tra competenza penale e canonica Ci si è posti inizialmente il dubbio se l’esistenza di una concorrente giurisdizione di organi statuali vaticani (il nostro Tribunale, competente in ragione del motu proprio di papa Francesco) e di organi canonici (la Congregazione per la dottrina della fede, competente per questi delitti in base al diritto canonico) su una medesima fattispecie penale, potesse costituire violazione del principio generale «ne bis in idem». Il dubbio è stato risolto, in modo pienamente condivisibile, rilevando che la novella del luglio 2013 attributiva di giurisdizione al Tribunale vaticano per siffatti delitti commessi da pubblici ufficiali della Santa Sede, non abbia in alcun modo creato una sovrapposizione o addirittura duplicazione di giudizi su identiche fattispecie criminose (atti punibili sia come reati che come delicta graviora); infatti, altro sono le sanzioni previste dalle leggi penali vaticane (derivanti nel caso di specie da trattati internazionali); altro le sanzioni canoniche attribuite iure nativo alla competenza della Congregazione per la dottrina della fede nei confronti dei chierici. Nelle prime si realizza la giurisdizione dello stato; per le seconde opera la giurisdizione sullo status. 5 S anta Sede Le due giurisdizioni sono altresì distinte sia per le fonti normative da cui traggono origine, sia per la natura e tipologia del sistema sanzionatorio proprio; sia infine per gli organi legittimati all’esercizio della potestà punitiva. In tali casi, purtroppo statisticamente in crescita, non può certo parlarsi di assoggettamento a un duplice giudizio per la medesima fattispecie di reato. A ben guardare, non accade diversamente allorquando un chierico venga penalmente perseguito in relazione a fatti qualificati come reati sia dalla giurisdizione canonica cui è assoggettato in ragione del suo status clericale sia da quella statuale cui è assoggettato in ragione dello status civitatis. In base a queste considerazioni, il giudizio della Congregazione si è potuto avviare e concludere in prima istanza con la condanna del prelato alla pena canonica della riduzione allo stato laicale. Avverso la condanna è stato presentato appello dall’interessato. Come detto, sono in corso attività istruttorie presso l’Ufficio del promotore di giustizia del Tribunale dello stato. 4. Riflessi delle riforme di papa Francesco nei rapporti tra organi giudiziari e altri soggetti con competenze in materia finanziaria L’adeguamento conformativo al diritto internazionale e comunitario attuato con il pontificato di papa Francesco, ha significativamente ampliato l’opera di riforma avviata con la Legge n. CLXVI dell’aprile 2012, che merita di essere ricordata sia per le modifiche nell’articolazione degli organi amministrativi con competenze in materia finanziaria, sia per le nuove fattispecie penali introdotte, con l’individuazione dei reati «presupposto» del riciclaggio di cui all’art. 1, n. 5, e soprattutto con la previsione del reato di auto-riciclaggio. Tale legge ha inoltre creato un «sistema» di elaborazione delle misure di prevenzione e gestione del riciclaggio dei proventi di attività criminose, individuando le autorità titolari di competenze in materia, e delineando forme di cooperazione a carattere stabile; in questo ambito ha anche assegnato all’AIF importanti compiti di vigilanza con poteri sanzionatori sui soggetti obbligati agli adempimenti antiriciclaggio. Il processo di trasformazione avviato con quella legge è stato ulteriormente ampliato e precisato con le leggi del 2013; si sono così delineate con maggior Il Regno - documenti 8/2015 precisione nuove geometrie nella complessiva architettura dell’ordinamento vaticano e nuove modalità operative interne. Si tratta di trasformazioni che hanno determinato, per la parte che riguarda gli organi giudiziari dello stato, in particolare l’Ufficio del promotore di giustizia, l’attivazione di nuove dinamiche di concertazione con altri organi della Santa Sede e dello Stato vaticano, e più strette relazioni a livello internazionale, soprattutto con lo Stato italiano. Prevenzione e contrasto del riciclaggio In questo senso, la recente Legge n. XVIII dell’8 ottobre 2013, (Norme in materia di trasparenza, vigilanza e informazione finanziaria) emanata in ulteriore attuazione di «raccomandazioni» provenienti dal Gruppo di azione finanziaria internazionale (GAFI)4 ha rafforzato il sistema interno di prevenzione e contrasto del riciclaggio, ampliando e precisando le categorie di soggetti tenuti agli obblighi di legge: in questo ambito, viene agevolato (artt. 6 e 7) l’accesso all’informazione da parte delle autorità competenti e, specularmente, ridotto l’ambito di operatività del diritto alla riservatezza degli operatori e utenti, sancendo il principio generale che il segreto d’ufficio e il segreto in materia finanziaria non impediscono né limitano: – l’osservanza degli obblighi imposti dalla legge; – l’accesso all’informazione da parte delle autorità competenti; – le esigenze di collaborazione e di scambio di informazioni a livello internazionale. Per quanto riguarda i soggetti istituzionali coinvolti nelle politiche in materia, la legge conferma il ruolo centrale della Segreteria di stato cui, a norma dell’art. 8, compete di definire politiche e strategie di prevenzione e contrasto e deliberare l’adesione ai trattati e accordi internazionali e relativa attuazione; al presidente del Governatorato compete l’irrogazione delle sanzioni amministrative, mentre il Comitato di sicurezza finanziaria (CoSiFi), istituito con il motu proprio di papa Francesco dell’agosto 2013, provvede all’elaborazione di criteri generali in materia di rischi di riciclaggio, e delle correlate misure 4 Istituito nel luglio 1989 nel vertice di Parigi tra i sette paesi più industrializzati, ha elaborato nel tempo una serie di «raccomandazioni» finalizzate a disciplinare i vari aspetti della lotta al fenomeno del riciclaggio. Nel corso della riunione del G7 nell’ottobre del 2001, è stato attribuito alla competenza del GAFI anche il contrasto al finanziamento del terrorismo. Le raccomandazioni del GAFI costituiscono la base di riferimento per le legislazioni nazionali dei 34 paesi membri, e vengono adottate da altri 130 stati (c.d. paesi cooperativi). 6 S anta Sede di contrasto; a tal fine il Comitato è chiamato altresì a promuovere l’attiva collaborazione e lo scambio di informazioni tra le autorità competenti della Santa Sede e dello stato. Il che giustifica l’articolata composizione del Comitato, nel quale siedono, accanto ad autorità della Santa Sede (l’assessore per gli Affari generali della Segreteria di stato, che ne è il presidente; il sottosegretario per i Rapporti con gli stati, il segretario per la Prefettura degli affari economici; il presidente dell’AIF) anche esponenti delle istituzioni dello stato, impegnate nel settore della sicurezza finanziaria o titolari ex lege di competenze in materia: il vicesegretario generale del Governatorato; il promotore di giustizia, il direttore dei servizi di sicurezza e della Gendarmeria. Come si può constatare, alla base di questa attribuzione di competenze,5 e di questa articolata composizione, vi è una nuova visione e metodologia di costruzione e di espletamento dell’azione amministrativa, alla quale concorrono le varie autorità, della Santa Sede e dello Stato del Vaticano; ne deriva una dimensione operativa che sta dando significativi risultati, soprattutto in materie di ambito penalistico. È una nuova frontiera, aperta a interessanti sviluppi cui la riforma della curia romana, in fase di elaborazione, darà un ulteriore, definitivo assetto. Forme di controllo coordinato in una rete di relazioni operative Per quel che interessa in questa sede, è indubbio che proprio dall’azione concertata tra i vari organi possono derivare metodologie di controllo a tutela degli interessi superiori della legalità. A titolo di esempio, proprio applicando queste dinamiche di cooperazione interna è stato possibile avviare nello scorso anno un’azione giudiziaria in sede penale a carico di un soggetto investito di poteri di gestione di beni ecclesiastici (un capitolo cattedrale). Il procedimento, attivato su denuncia di eminente autorità ecclesiastica e supportato da prove documentali prodotte a seguito dell’attività ispettiva condotta dagli organi centrali della Santa Sede, ha portato alla condanna dell’imputato per truffa aggravata, sanzionata in prima istanza con la pena di anni quattro di reclusione oltre al risarcimento dei danni e al rifacimento delle spese processuali. Occorre ora attendere gli esiti dell’appello. 5 Dalle quali si confermano le linee della cennata «politica» sottesa ai più recenti interventi normativi in materia, che trae origine dalla Legge CLXVI del 24 aprile 2012. Il Regno - documenti 8/2015 Sempre per quanto attiene alle attività di contrasto al riciclaggio, le ampie prerogative attribuite dalla Legge n. XVIII del 2013 all’AIF6 trovano un potenziamento nella rete di relazioni operative che possono essere attivate, con il coinvolgimento di tutte le autorità competenti della Santa Sede e dello stato, per collaborare e scambiare vicendevolmente e con analoghe autorità di altri stati, informazioni in materia (Legge XVIII, art. 8 n. 6). Inoltre, sia pure entro un ambito operativo più circoscritto, è prevista la possibilità di un diretto concerto tra le autorità con poteri di indagine in materia finanziaria (l’AIF, il corpo della Gendarmeria e l’Ufficio del promotore di giustizia) attraverso la stipula di appositi protocolli di intesa recanti procedure e misure volte a garantire la sicurezza e integrità sia dei documenti che delle informazioni sulle attività sospette di riciclaggio (cf. Legge XVIII, art. 51). Nei fatti non si è ancora avuta una formalizzazione di tali procedimenti; e questo non per inerzia dei soggetti interessati, ma per consapevole scelta in favore di una diversa, più agile e concreta metodologia di lavoro, costruita attraverso correnti rapporti informali di scambio di informazioni e valutazioni sempre ispirati al più rigoroso rispetto della sicurezza e riservatezza dei dati trattati. Per quanto riguarda le attività di più diretto interesse degli uffici giudiziari, va rammentato che l’art. 48 della Legge n. XVIII, ampliando la previsione normativa già contenuta negli artt. 2 septies (c) e art. 36 bis (d) della Legge n. CLXVI, stabilisce che, qua6 Le leggi emanate nel corso del 2013 valorizzano il ruolo centrale dell’AIF come organismo autonomo e indipendente cui compete la vigilanza, il controllo e la verifica di tutti gli enti esercenti attività di rilevanza finanziaria e ha per tale ragione il potere di emanare linee guida, istruzioni e regolamenti e disposizioni attuative; può emanare altresì sanzioni amministrative pecuniarie sia in danno di persone fisiche che giuridiche per violazione degli obblighi statuiti dalla Legge n. CLXVI (art. 42); avverso le sanzioni è previsto il ricorso dinanzi al giudice unico: una fattispecie che a oggi non si è ancora verificata. Un significativo ambito affidato dalla Legge XVIII all’AIF, riguarda la «vigilanza e regolamentazione prudenziale degli enti che svolgono professionalmente un’attività di natura finanziaria»; è una «nuova frontiera» delle competenze dell’AIF che trae origine da specifica raccomandazione del Comitato Moneyval, e abbraccia compiti che vanno dall’autorizzazione all’esercizio di attività di natura finanziaria anche in forme partecipate o raggruppate (artt. 54-57), alla formulazione di criteri organizzativi e gestionali (artt. 58-60) soprattutto correlati alla gestione dei vari rischi d’impresa (art. 60); nonché alla verifica della sussistenza di requisiti patrimoniali e professionali (artt. 59 e 61). Anche queste prerogative dell’AIF di vigilanza e regolamentazione prudenziale (art. 65) esercitate al di fuori di sospetti di riciclaggio, sono assistite da un sistema di sanzioni amministrative. 7 S anta Sede lora vi sia fondato motivo di sospettare un’attività di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, l’AIF trasmette al promotore di giustizia «rapporti, documenti, dati e informazioni».7 In applicazione di questa disposizione, nell’anno trascorso sono state trasmesse dall’AIF al promotore di giustizia cinque segnalazioni di operazioni sospette; tre sono al vaglio dell’Ufficio, e per due di esse è stato disposto il sequestro di rapporti bancari attivi presso l’Istituto per le opere di religione (IOR), e si sta procedendo celermente nella verifica dei presupposti per l’eventuale rinvio a giudizio degli autori, con l’imputazione del reato di riciclaggio (o auto-riciclaggio). Per completezza, va detto che nell’anno 2014 erano all’esame dell’AIF un totale di circa 200 posizioni sottoposte a verifica; parte delle quali potrebbe pervenire all’attenzione degli organi inquirenti, per ulteriori indagini sul piano della liceità delle condotte. L’impegno della Gendarmeria Il riferimento ai profili investigativi consente, a completamento del quadro dei soggetti chiamati a cooperare in materia di illeciti finanziari, di accennare all’attività espletata dal corpo della Gendarmeria cui, per quanto riguarda l’ambito di interesse 7 A completamento delle forme di contrasto alla criminalità a carattere transnazionale, la Legge n. XVIII ha introdotto «Misure contro i soggetti che minacciano la pace e la sicurezza internazionali»; tra tali misure spicca la periodica compilazione con ordinanza del presidente del Governatorato (art. 7), sentita la Segreteria di stato – che coopera costantemente con i competenti organi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea e degli altri stati (art. 74) nell’individuazione dei soggetti sospettati e nell’aggiornamento dei relativi dati – di una lista nominativa di soggetti persone fisiche o enti che si possano fondatamente ritenere coinvolti in atti di terrorismo o favoreggiamento, e siano dunque in condizione di recare minaccia alla pace e alla sicurezza; nella compilazione il presidente del Governatorato può richiedere o ricevere notizie dal promotore di giustizia, dalla Gendarmeria o dall’AIF. L’inserimento nella lista determina, automaticamente, l’adozione di una serie di misure finanziarie a carico dei soggetti coinvolti (art. 75) quali il divieto di fornitura di servizi e risorse economiche, nonché il blocco preventivo dei beni e risorse di proprietà o comunque posseduti. Contro i provvedimenti di blocco preventivo e di misure finanziarie in danno, gli interessati possono presentare ricorso al Tribunale in sede di volontaria giurisdizione, nei termini di cui agli artt. 776ss. del Codice di procedura civile, con l’intervento necessario del promotore di giustizia e in contraddittorio tra il ricorrente e l’AIF. Analoga procedura è prevista per i ricorsi avverso il diniego di rimozione dalla lista; in tal caso è necessario l’intervento del promotore di giustizia, ma il contraddittorio si instaura tra ricorrente e Governatorato, in quanto autorità competente per i provvedimenti impugnati. Il Regno - documenti 8/2015 di questa relazione, competono attività di indagine investigativa (cf. Legge CLXVI, art. 2 octies) oltre che di prevenzione e contrasto in materia di riciclaggio, e attività di controllo doganale. A quest’ultimo riguardo, la Legge n. XVIII ha introdotto rigorose prescrizioni sul trasporto transfrontaliero di denaro contante da e per lo stato, con i relativi obblighi di dichiarazione valutaria (art. 81) e le sanzioni per dichiarazioni false o incomplete (art. 85). Particolare attenzione è dedicata ai controlli su mezzi, bagagli e persone e alle sanzioni in caso di scoperta di inusuali movimentazioni di preziosi. Per offrire un dato quantitativo dell’impegno profuso si può ricordare che nell’anno trascorso sono state eseguite in entrata/uscita dallo stato 4.750 verifiche su persone e 7.763 su veicoli, dei quali circa 2.000 controlli eseguiti in virtù della normativa relativa alla trasparenza, al trasporto di denaro contante, al contrasto dei reati di riciclaggio e finanziamento del terrorismo. In questa materia, è strategica la cooperazione sia a livello interno sia soprattutto in ambito internazionale, tra omologhe istituzioni operanti nei vari stati. In questo senso, la vigente normativa (cf. Legge CLXVI, art. 2 octies) consente alla Gendarmeria, con il nulla osta della Segreteria di stato, di stipulare protocolli di intesa con analoghe autorità di altri stati non solo a fini di repressione del riciclaggio e finanziamento del terrorismo, ma, su un piano più generale, ai fini della prevenzione e del contrasto dell’attività criminosa tout-court. Tali accordi, in particolare quello con l’Italia (ormai da anni se ne chiede l’approvazione), potrebbero riguardare molteplici profili: organizzativi, operativi e formativi, quali: – lo scambio sistematico e capillare di informazioni; – il costante confronto di esperienze e tecnologie in materia di sicurezza, allo scopo di migliorare gli standard di prevenzione e di contrasto, soprattutto alla minaccia terroristica; – lo scambio di informazioni operative in ordine alle attività illecite gestite dalla criminalità; e tante altre analoghe misure. Un importante punto di forza, in grado di assicurare la più ampia e incisiva cooperazione a livello internazionale tra organi di polizia, è costituito dalla presenza della Gendarmeria in seno a Interpol, con la conseguente partecipazione a tutta una serie di iniziative di formazione operativa e di scambio di esperienze e competenze; è un modello che vale la pena di adottare stabilmente, anche in altre direzioni. 8 S anta Sede Valutazione complessiva Come valutazione di insieme, il dato che emerge dalle riforme avviate negli ultimi anni, e soprattutto nell’attuale pontificato, è costituito dal nuovo scenario e dalle nuove modalità con cui operano tanto gli organi titolari di competenze in materia finanziaria, quanto gli organi giurisdizionali e amministrativi. Uno scenario caratterizzato da un’identica dinamica che si può così riassumere: per un verso organi della Santa Sede con competenze nel settore finanziario (l’AIF e il CoSiFi) sono chiamati a esercitare – ratione materiae – la propria attività e attribuzioni in settori e su soggetti dell’ordinamento dello stato;8 è emblematica al riguardo, da ultimo (febbraio 2014), l’istituzione, con il motu proprio Fidelis dispensator et prudens, del Consiglio per l’economia e della Segretaria per l’economia: il primo, con il compito di vigilare sulle strutture e sulle attività amministrative e finanziarie dei dicasteri della curia romana, delle istituzioni collegate con la Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano; la seconda, costituita in dicastero della curia romana presieduta da un cardinale prefetto, con il compito di attuare il controllo economico e la vigilanza sui medesimi enti e istituzioni in materia di procedure di acquisti e adeguata allocazione delle risorse. Per altro verso, e specularmente, sempre nella stessa dinamica istituzionale, organi giudiziari dello stato sono chiamati a esercitare la giurisdizione penale, in relazione a rilevanti e diffuse ipotesi delittuose – specificate da ultimo nelle Leggi n. VIII, IX e X del 2013 – nei confronti dei dicasteri della curia romana e di organismi ed enti dipendenti dalla Santa Sede, ovvero nei confronti di soggetti funzionalmente qualificati come pubblici ufficiali, o comunque a essi equiparati, appartenenti sia alla Santa Sede che alla curia romana. Questa nuova architettura organizzativa merita di essere sottolineata con apprezzamento, perché consente di realizzare, all’interno dell’ordinamento, una uniformità di interventi e di pratiche di controllo e sorveglianza in ambito finanziario, a tutto vantaggio della coesione sia di impianto che di modus operandi del sistema complessivo. 8 In base al motu proprio istitutivo (8.8.2013), il CoSiFi ha il fine di coordinare le autorità competenti della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio, del finanziamento del terrorismo e della proliferazione di armi di distruzione di massa (cf. art. 4); lo Statuto gli affida altresì di promuovere, tra l’altro, «l’attiva collaborazione e lo scambio di informazioni» tra i predetti soggetti e nella materie di sua competenza (cf. art. 2, [e]). Il Regno - documenti 8/2015 Inoltre, i nuovi assetti che ne derivano appaiono in grado, almeno nei settori in cui più evidente è la rimodulazione – quello finanziario e quello della repressione penale dei delitti ricompresi nelle recenti leggi di papa Francesco – di assicurare un’interlocuzione e rapporti di cooperazione con altri ordinamenti, nell’ottica della più efficace adozione di tutti gli strumenti giuridici e di prevenzione e contrasto sviluppati dalla comunità internazionale, a presidio del bene comune e della pacifica convivenza. 5. Rapporti con altri ordinamenti La cooperazione internazionale riferita all’attività giurisdizionale, impone una riflessione sugli strumenti attraverso i quali realizzare le iniziative, sia in fase preventiva che repressiva, per contrastare una criminalità che, come detto, presenta sempre più i connotati della globalizzazione. Un fenomeno al quale, purtroppo, non è estraneo lo Stato vaticano che, nonostante la assai ridotta consistenza territoriale, è comunque il crocevia di rapporti e attività di dimensioni intercontinentali. Di qui l’esigenza che gli organi amministrativi, inquirenti o giudiziali interni intervengano – attivamente o passivamente – attraverso le forme della cooperazione internazionale, nella repressione delle condotte illecite e criminose. Gli strumenti a disposizione si collocano a diversi livelli di operatività e complessità formale. Sul piano concreto la via più feconda di risultati è costituita dal ricorso a «modus operandi» o a buone pratiche in materia di prevenzione e contrasto elaborate in seno agli organismi internazionali. Si tratta di procedure più snelle rispetto alle rogatorie per via diplomatica, che restano comunque lo strumento principale e tuzioristico in materia di cooperazione giudiziaria, e che sono state completamente ridisegnate dagli artt. da 37 a 41 dalla Legge n. IX del 2013. Al riguardo, ferma restando l’osservanza delle convenzioni internazionali ratificate, la nuova normativa vaticana prevede per ciò che riguarda le rogatorie, l’estradizione e più in generale i rapporti relativi all’amministrazione della giustizia, la concessione dell’assistenza giudiziaria per un’ampia serie di motivi: acquisire prove o dichiarazioni di persone; eseguire sopralluoghi, perquisizioni o sequestri, anche conservativi; fornire prove documentali e perizie tecniche; fornire documenti 9 S anta Sede (compresi i verbali di autorità pubbliche, bancari, finanziari, societari o aziendali); identificare o rintracciare proventi di reato, proprietà, strumenti o altro, a fini probatori o di confisca. Ancora, per agevolare la comparsa volontaria di persone nello stato richiedente, o trasferire a fini di prova, e con le modalità e alle condizioni previste dall’art. 39, allo stato richiedente, persona che si trovi in stato detentivo o stia scontando una condanna nel territorio dello Stato vaticano. Necessità di protocolli comuni e uniformi parametri «informativi» Modifiche radicali sono introdotte con riferimento al rifiuto di assistenza giudiziaria, che deve essere sempre motivato, e può essere opposto laddove l’esecuzione della richiesta sia tale da arrecare pregiudizio alla sovranità, sicurezza, ordine pubblico o altri interessi fondamentali dello stato; o più semplicemente alle indagini o a procedimenti penali pendenti nello stato; o infine, quando i fatti per i quali si procede nello stato richiedente non sono previsti come reato dalla legge vaticana. In ogni caso, l’art. 40 (d) della Legge n. IX si premura di specificare che «nei casi espressamente previsti dalle convenzioni internazionali ratificate, non potrà essere invocato il segreto bancario per respingere una domanda di assistenza giudiziaria». Possono poi darsi casi di mero differimento di assistenza giudiziaria quando la sua esecuzione venga a interferire con una indagine o procedimento giudiziario in corso nello stato. Per quanto riguarda la concreta incidenza di questa forma di cooperazione, nell’anno trascorso il nostro Tribunale ha ricevuto dieci richieste di rogatoria da autorità giudiziarie straniere, otto delle quali provenienti dall’Italia. È stata data esecuzione a sette richieste, e negata a tre, una delle quali italiana: si trattava di una richiesta di confisca di depositi bancari sui quali preesisteva, e dunque rivestiva carattere pregiudiziale, analogo provvedimento cautelare adottato dall’Ufficio del promotore di giustizia. Gli altri due casi di diniego – peraltro in relazione a uno stesso imputato – sono stati motivati dalla prevenzione a favore della giurisdizione vaticana, che al momento della ricezione delle richieste di rogatoria aveva già avviato il procedimento penale. Al di là di questi casi, motivati da ragioni formali, resta ferma la convinzione della necessità di Il Regno - documenti 8/2015 collaborare attivamente e lealmente soprattutto per fronteggiare la criminalità nel settore finanziario. A questi fini, sarebbe auspicabile che in sede di esecuzione delle rogatorie venissero adottati – in spirito di leale collaborazione – protocolli comuni e uniformi parametri «informativi». Non sembra in linea con questo spirito una recente vicenda nata dalla richiesta avanzata (aprile 2013) per le vie diplomatiche dal promotore di giustizia vaticano a organi giudiziari italiani di ricevere informazioni di natura finanziaria su conti intestati a un ecclesiastico imputato in Italia per una serie di reati (truffa, riciclaggio, corruzione), e indagato anche da questo Ufficio, nonché informazioni sulle risultanze delle indagini e interrogatori effettuati nello Stato italiano. I materiali trasmessi non solo sono risultati lacunosi, mancando di elementi essenziali – che risultano dall’istruttoria condotta in Italia (i verbali di interrogatori dell’imputato principale, di correi e di persone informate sui fatti) – ma hanno anche evidenziato modalità di acquisizione di alcune prove, che si possono definire improprie e non in linea con i vigenti protocolli internazionali. 6. Spunti di riflessione per modifiche normative Lo sforzo, che è alla base della più recente stagione di riforme, di rimodellare la disciplina penale e la morfologia di istituti già esistenti, ovvero di introdurre nuovi organi con i quali rendere più agevole il processo di ammodernamento, non può non interessare anche il settore giurisdizionale, che oggi deve interpretare le spinte riformatrici descritte utilizzando strumenti che risultano parzialmente obsoleti; donde anche in questo ambito la necessità di interventi riformatori. Indubbiamente il codice penale Zanardelli, ormai ultracentenario, necessita di alcuni correttivi per adeguarlo a una «esperienza giuridica» che si è sensibilmente trasformata: lo Stato della Città del Vaticano da piccola «enclave» dell’Italia è diventato partecipe di una comunità internazionale sempre più caratterizzata da una «globalizzazione» non solo dei costumi, ma purtroppo anche di pratiche delittuose che, come anche sua santità Francesco ha messo in evidenza in occasione della sua visita ad Assisi nel 2013, costituiscono il cancro della società. 10 S anta Sede Un sistema penale tra i più completi del mondo La Santa Sede, in conformità con la sua natura e missione, partecipa agli sforzi della comunità internazionale volti alla protezione e alla promozione della legalità in genere, e in modo particolare della integrità, stabilità e trasparenza dei settori economico e finanziario e alla prevenzione e al contrasto delle attività criminali; e a tali fini ha adeguato il proprio ordinamento. Ne è derivata una incisiva opera di ammodernamento del tessuto normativo condotta senza abdicare al principio del primato del diritto canonico, e il sistema penale dello Stato della Città del Vaticano può essere considerato tra i più completi sistemi contemporanei. In tal senso, può vantare – ormai da diversi anni – una fattispecie di auto-riciclaggio assai più dettagliata di quella di cui, ad esempio, si è dotato recentemente l’ordinamento italiano; così come può contare su un regime della confisca per equivalente che può operare in relazione a ogni fattispecie e, dunque, è in grado di fungere, oltre che da efficace strumento di repressione, anche quale mezzo di prevenzione della criminalità interessata a nascondere oltre confine i proventi dei traffici illeciti. Sempre grazie alla dinamica di integrazione a livello di ordinamenti nazionali, le forze di polizia dello Stato della Città del Vaticano hanno potuto e possono operare con corpi di polizia di altri stati nella repressione di gravi reati, come quello del traffico internazionale delle sostanze stupefacenti che, purtroppo, non ha lasciato indenne il nostro piccolo stato, teatro di isolati tentativi – neutralizzati sul nascere – posti in essere, con modalità insolite, da trafficanti senza scrupoli. Residuano comunque settori che, sempre nell’ottica di una più marcata dialettica internazionale, sembra opportuno rimeditare. A titolo esemplificativo, il Codice del 1889, sulla spinta dei venti del liberalismo economico coevi alla sua promulgazione, non contiene alcuna previsione che punisca l’usura; reato pressoché «impossibile» nell’ordinamento vaticano, che non prevede un libero mercato e attività di natura finanziaria riguardanti la concessione di prestiti. Pur con questa giustificazione, la rilevata lacuna non solo non appare in linea con la dottrina della Chiesa, sempre contraria al fenomeno feneratizio – sulla scorta del brano evangelico di Luca «Mutuum date nihil inde sperantes» (Lc 6,35) –, ma nell’ottica della repressione penale incide sensibilmente sull’effettiva Il Regno - documenti 8/2015 operatività degli strumenti di cooperazione internazionale ancorati al principio della doppia punibilità. Si pensi al reato di auto-riciclaggio mediante reimpiego di capitali illecitamente prodotti all’estero come frutto di usura. Tale non infrequente fattispecie, non solo non è perseguibile penalmente all’interno dell’ordinamento vaticano per mancanza di specifica previsione normativa, ma potrebbe non essere perseguibile neppure indirettamente, nel caso di pretese punitive provenienti dall’estero e oggetto di richiesta di assistenza; in tal caso infatti, il principio generale di cui all’art. 40 (c) della Legge n. IX del 2013 potrebbe rendere ineseguibile la richiesta in quanto il fatto per il quale si procede nello stato estero, e per il quale appunto si chiede la cooperazione giudiziaria, non è previsto come reato dalla legge vaticana. Per evitare siffatta evenienza, certamente frutto di una stortura sul piano tecnico ma con evidenti ricadute negative, si potrebbe introdurre una specifica norma che preveda il reato di usura; in tal modo si verrebbe a fondare una ipotesi delittuosa che funga da reato presupposto del reato di riciclaggio, e renderlo perseguibile nell’ambito della cooperazione internazionale. Il sistema processuale Lo sforzo di innovazione deve anche riguardare il settore processuale, in cui maggiormente si avverte la spinta «conformativa» agli impulsi di riforma sollecitati dalla comunità internazionale. Al riguardo, il codice Finocchiaro-Aprile del 1913 ha conosciuto un’ampia opera di ammodernamento, culminata con le novelle del 2013 (soprattutto la Legge n. IX) che hanno modificato il sistema processuale, nella consapevolezza che lo Stato vaticano fa parte di una comunità internazionale che, ormai, sul piano delle garanzie e degli strumenti della cooperazione, parla un unico linguaggio, di cui sono espressione esecutiva e tangibile gli strumenti di cooperazione e assistenza giudiziaria, di cui si è già detto. Tuttavia oggi il bene comune può essere gravemente esposto ad aggressioni che richiedono, più che strumenti di cooperazione repressiva, l’adozione di tecniche di investigazione più sofisticate e più al passo con i tempi. Molte condotte delittuose, oggi, si «consumano» attraverso le vie telematiche; di qui l’importanza delle intercettazioni di comunicazioni come strumento di indagine imprescindibile. 11 S anta Sede Si tratta di un settore quasi inesplorato dalla vigente legislazione processuale che, tuttavia, dovrà essere preso in considerazione non solo per dotare le previsioni contenute nel codice penale di adeguati strumenti investigativi, ma anche per consentire ai componenti della polizia giudiziaria, rappresentata dal corpo della Gendarmeria e composta da persone di elevata professionalità e capacità, di interagire alla pari con i loro omologhi delle forze di polizia degli altri stati. Nell’ottica di aumentare l’efficacia del sistema complessivo, appare necessario approntare una risposta pronta e dinamica sin dal momento dell’avvio delle investigazioni. È un aspetto sul quale l’ordinamento, in una visione di sintesi, necessita di integrazioni. Il Codice del 1913 aveva concepito un sistema processuale nel quale l’organo centrale era costituito dalle corti d’assise, composte dalla giuria popolare e nel quale l’attività di indagine era compiuta, con le forme dell’istruttoria formale, dal giudice istruttore. L’art. 27, comma 1, della Legge n. L del 21 giugno 1969 ha sostituito – alla competenza della corte d’assise – quella del Tribunale di prima istanza, lasciando però invariate le norme sulla istruttoria che, salvo casi marginali nei quali può essere svolta dal promotore di giustizia con le forme della istruzione sommaria, è demandata al giudice istruttore. Tali forme, nelle quali si realizzano le fasi dell’istruzione, non solo non rispondono più al mutato assetto dell’ordinamento giudiziario, ma potrebbero interferire con le esigenze di attuazione delle norme sul giusto processo proclamate dalle carte internazionali adottate dal Consiglio d’Europa e dall’ONU. Per il vero, norme sul giusto processo sono state recepite nel 2013 con l’introduzione dell’art. 350 bis del Codice di procedura penale; ma l’opera va completata. Sfuggono, infatti, gran parte delle garanzie previste dai testi comunitari e la cui adozione esige una rimeditazione del sistema processuale e, soprattutto, dei rapporti tra fase istruttoria e fase dibattimentale; un rapporto che oggi appare sbilanciato a favore della prima, il che potrebbe influire sulla piena garanzia di imparzialità e terzietà della giurisdizione e del contraddittorio nella formazione della prova. È vero che la concreta gestione delle attività istruttorie è sempre stata ispirata e condotta attingendo al patrimonio ideale e concettuale dell’ordinamento canonico e ai suoi principi, in particolare nella più scrupolosa attenzione alla salvaguardia dei diritti e delle prerogative delle parti in giudizio; tuttavia, appare opportuno che anche nel diritto processuale penale emerga e risulti comprovata l’incesIl Regno - documenti 8/2015 sante tensione dell’ordinamento vaticano a recepire valori condivisi soprattutto se ciò coinvolga interessi primari dell’individuo. In tal senso, un grande contributo è stato dato dalle lettere apostoliche in forma di motu proprio date da sua santità Francesco l’11 luglio 2013 e l’8 agosto 2013 nei termini che abbiamo sommariamente riassunto in queste considerazioni generali, e trova costante alimento dal magistero di sua santità che più volte si è soffermato sulle problematiche della giustizia e la funzione della pena con esemplari richiami. 7. L’attività giudiziaria nel settore civile L’attenzione dedicata sinora alla materia del diritto penale potrebbe dare l’impressione che l’eccesso di «penalizzazione» si sia verificato oltre che nella produzione legislativa, anche in quella giurisprudenziale. Al di là delle contingenze che hanno determinato un eventuale squilibrio in tal senso, dettate dalle cennate esigenze di adeguamento a discipline sovranazionali, siffatta conclusione sarebbe certamente impropria, se non altro sotto il profilo della qualità e complessità delle problematiche trattate nel settore civile, tra le quali merita menzione una questione in materia di lavoro, in riferimento a un provvedimento con cui è stata disposta la cessazione dal servizio di un professionista titolare di incarico dirigenziale quinquennale, già prorogato nel servizio con la clausola «donec aliter provideatur», che caratterizza l’adozione di provvedimenti temporanei. La vicenda, conclusasi con la reiezione del ricorso (confermata in sede di appello, che ha dichiarato l’originaria inammissibilità del ricorso stesso, per carenza di giurisdizione in quanto il provvedimento impugnato era direttamente riferibile all’autorità sovrana, e dunque sottratto al sindacato di qualsivoglia autorità giurisdizionale) merita di essere menzionata in quanto ha riproposto all’attenzione un tema già sollevato in passato, riguardante l’esigenza di armonizzare la disciplina dei ricorsi in materia di lavoro. Una materia che ha subito profonda trasformazione a seguito dell’istituzione, nel 1989, dell’Ufficio del lavoro della Sede Apostolica (ULSA), retto dallo statuto emanato con il motu proprio di Benedetto XVI Venti anni or sono, entrato in vigore il 1° gennaio 2010. 12 S anta Sede Per norma statutaria, l’attività dell’ULSA si estende ai rapporti di pubblico impiego, in tutte le loro forme ed espressioni, prestati dal personale alle dipendenze della curia romana, del Governatorato dello stato e degli organismi ed enti gestiti direttamente dalla Sede Apostolica (Statuto, art. 2 §§ 1,2). Orbene, il dipendente che si ritenga leso da un provvedimento dell’amministrazione può utilizzare, ai sensi dell’art. 11 dello Statuto, l’alternativa fra la via giurisdizionale «ordinaria» davanti al Tribunale civile, e la via conciliativa-arbitrale, affidata appunto all’ULSA . Egli quindi, può: – adire l’autorità giudiziaria vaticana, la cui sentenza sarà successivamente impugnabile nei modi consueti; oppure – proporre istanza all’Ufficio del lavoro per ottenere la soluzione della controversia (art. 11, c. 1) attraverso una procedura conciliativa-arbitrale previa. In caso di esito negativo dell’istanza, è ammesso ricorso, sempre all’interno dell’ULSA (art. 16), al Collegio di conciliazione e arbitrato; si apre in tal modo una vera e propria procedura alternativa arbitrale le cui decisioni sono inappellabili (art. 19), salvo nei casi di revocazione o querela di nullità. Quest’ultimo profilo della inappellabilità, unitamente ai diversi termini temporali per presentare ricorso – ridotti a trenta giorni – costituiscono elementi dissuasivi per l’attivazione della procedura alternativa davanti all’ULSA rispetto al ricorso alla giurisdizione ordinaria del Tribunale vaticano; questi elementi fanno agevolmente prevedere che la più gran parte del contenzioso sul pubblico impiego venga avviata davanti al giudice ordinario, con un sensibile aggravio del carico complessivo di lavoro nelle materie civilistiche. A evitare questi inconvenienti era già stata ipotizzata dal mio predecessore, come utile soluzione alternativa: – di rendere obbligatorio, quale condizione di ammissibilità della via giurisdizionale, il tentativo di conciliazione davanti al direttore dell’ULSA; – di trasferire la competenza sulle controversie di pubblico impiego dal Tribunale collegiale a un giudice monocratico (come avviene in Italia) che sia particolarmente esperto in materia giuslavoristica. Peraltro, è fondatamente ipotizzabile, ad avviso di questo Ufficio, che in subiecta materia – formalmente qualificata come giurisdizione sul pubblico impiego – non sia necessario, e anzi rivesta carattere di residualità, l’intervento in giudizio del promotore di giustizia. È ben vero che tali controversie Il Regno - documenti 8/2015 riguardano rapporti di pubblico impiego, ma non v’è dubbio alcuno che per la più gran parte si tratta di diritti fatti valere iure privatorum. Se così è, non si vede ragione per l’intervento del promotore di giustizia, che in base all’art. 11 § 2 del Codice di procedura civile è richiesto quando si tratti di far valere «diritti nell’interesse pubblico», vale a dire specificamente previsti e qualificati come tali da norme; che è altro rispetto a un generico interesse pubblico sempre correlabile, in materia di lavoro, all’esercizio di funzioni pubbliche. A conferma di questa conclusione può invocarsi il luogo processuale «parallelo» costituito dal procedimento arbitrale davanti all’ULSA – strumento alternativo al giudizio ordinario davanti al Tribunale vaticano – nel quale, pur trattando di pubblico impiego ed esercizio di pubbliche funzioni, non è in alcun modo previsto l’obbligo di partecipazione del promotore di giustizia. È del tutto evidente che accogliendo tale ipotesi – che peraltro ha un significativo precedente nella giurisprudenza del nostro Tribunale – si manterrebbero le risorse dell’Ufficio del promotore disponibili per altri incombenti che, soprattutto in materia penale, sembrano accrescersi in misura esponenziale alla luce delle più recenti riforme legislative di papa Francesco. Sempre tra le problematiche trattate nell’arco di tempo in considerazione, occorre rammentare la definizione di un procedimento in materia di volontaria giurisdizione, con il quale è stata chiesta al Tribunale la nomina di un curatore dello scomparso, relativamente a una cittadina vaticana: un caso delicato, dai tratti in larga parte irrisolti, che ha suscitato negli anni l’attenzione dei mass media e dell’opinione pubblica per le sconcertanti modalità con cui è avvenuto, e le toccanti ripercussioni determinate nella comunità di affetti e legami della vittima. 8. L’attività degli organi giudiziari nell’anno giudiziario 2013-2014 Nel corso dell’anno giudiziario 2013-2014 (dal 1° ottobre 2013 al 30 settembre 2014) l’attività degli organi giudiziari si è svolta nei termini generali desumibili dai grafici e tabelle allegati alla relazione, ai quali si fa rinvio [qui omessi; ndr] e dai quali possono desumersi anche indicazioni sull’andamento statistico. Nel dettaglio va comunque rilevato che: 13 S anta Sede Fare giustizia non è punire, ma riabilitare L o scorso 7 giugno 2014, papa Francesco ha inviato una lunga lettera ai partecipanti a due congressi di associazioni di diritto penale nella quale ha affrontato il tema della giustizia, ricordando come non sia in gioco tanto l’esigenza di trovare mezzi in grado di «sopprimere, scoraggiare e isolare» gli autori del male, quanto quella di aiutarli a «camminare per i sentieri del bene». È per questo, scrive il papa, che la Chiesa invoca una «giustizia che sia umanizzante» e «realmente capace di riconciliare» (www.vatican.va). Signor presidente, signor segretario esecutivo, con questo messaggio, desidero far giungere il mio saluto a tutti i partecipanti al XIX Congresso internazionale dell’Associazione internazionale di diritto penale e al III Congresso dell’Associazione latinoamericana di diritto penale e criminologia, due importanti fori che permettono a professionisti della giustizia penale di riunirsi, scambiare punti di vista, condividere preoccupazioni, approfondire temi comuni e trattare problematiche regionali, con le loro particolarità sociali, politiche ed economiche. Insieme ai migliori auspici affinché i vostri lavori rechino abbondanti frutti, desidero esprimervi il mio ringraziamento personale, e anche quello di tutti gli uomini di buona volontà, per il vostro servizio alla società e il vostro contributo allo sviluppo di una giustizia che rispetti la dignità e i diritti della persona umana, senza discriminazioni, e tuteli dovutamente le minoranze. Sapete bene che il diritto penale richiede una messa a fuoco multidisciplinare, che cerchi di integrare e di armonizzare tutti gli aspetti che confluiscono nella realizzazione di un atto pienamente umano, libero, consapevole e responsabile. Anche la Chiesa vorrebbe dire una parola come parte della sua missione evangelizzatrice, e in fedeltà a Cristo, che è venuto per «proclamare ai prigionieri la liberazione» (Lc 4,18). Perciò, desidero condividere con voi alcune idee che serbo nell’animo e che fanno parte del tesoro della Scrittura e dell’esperienza millenaria del popolo di Dio. Fin dai primi tempi cristiani, i discepoli di Gesù hanno cercato di far fronte alla fragilità del cuore umano, tante volte debole. In modi diversi e con svariate iniziative, hanno accompagnato e sostenuto quanti soccombono sotto il peso del peccato e del male. Nonostante i cambiamenti storici, tre elementi sono stati costanti: la soddisfazione o riparazione del danno causato; la confessione, attraverso la quale l’uomo esprime la propria conversione interiore; e la contrizione Il Regno - documenti 8/2015 per giungere all’incontro con l’amore misericordioso e risanante di Dio. 1. La riparazione Il Signore ha poco a poco insegnato al suo popolo che esiste un’asimmetria necessaria tra il delitto e la pena, che non si pone rimedio a un occhio o un dente rotto rompendone un altro. Si tratta di rendere giustizia alla vittima, non di giustiziare l’aggressore. Un modello biblico di riparazione può essere il buon samaritano. Senza pensare a perseguitare il colpevole perché si assuma le conseguenze del suo atto, assiste colui che è rimasto ferito gravemente sul ciglio della strada e si fa carico dei suoi bisogni (cf. Lc 10,25-37). Nelle nostre società tendiamo a pensare che i delitti si risolvano quando si cattura e condanna il delinquente, tirando dritto dinanzi ai danni provocati o senza prestare sufficiente attenzione alla situazione in cui restano le vittime. Ma sarebbe un errore identificare la riparazione solo con il castigo, confondere la giustizia con la vendetta, il che contribuirebbe solo ad accrescere la violenza, pur se istituzionalizzata. L’esperienza ci dice che l’aumento e l’inasprimento delle pene spesso non risolvono i problemi sociali, e non riescono neppure a far diminuire i tassi di criminalità. E inoltre si possono generare gravi problemi per la società, come sono le carceri sovrappopolate e le persone detenute senza condanna... In quante occasioni si è visto il reo espiare la sua pena oggettivamente, scontando la condanna senza però cambiare interiormente né ristabilirsi dalle ferite del cuore. A tale proposito, i mezzi di comunicazione, nel loro legittimo esercizio della libertà di stampa, svolgono un ruolo molto importante e hanno una grande responsabilità: sta a loro informare correttamente e non contribuire a creare allarme o panico sociale quando si danno notizie su fatti delittuosi. A essere in gioco sono la vita e la dignità delle persone, che non possono diventare casi pubblicitari, spesso addirittura morbosi, condannando i presunti colpevoli al disprezzo sociale prima che vengano giudicati, o forzando le vittime, per fini sensazionalistici, a rivivere pubblicamente il dolore provato. 2. La confessione È l’atteggiamento di chi riconosce e si rammarica della propria colpa. Se il delinquente non viene sufficientemente aiutato, se non gli viene offerta un’opportunità perché possa convertirsi, finisce con l’essere vitsegue a pag. 15 > 14 S anta Sede > continua da pag. 14 tima del sistema. È necessario fare giustizia, ma la vera giustizia non si accontenta di castigare semplicemente il colpevole. Bisogna andare oltre e fare il possibile per correggere, migliorare ed educare l’uomo affinché maturi da ogni punto di vista, di modo che non si scoraggi, affronti il danno causato e riesca a reimpostare la sua vita senza restare schiacciato dal peso delle sue miserie. Un modello biblico di confessione è quello del buon ladrone, al quale Gesù promette il paradiso perché è stato capace di riconoscere il suo errore: «Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male» (Lc 23,41). Siamo tutti peccatori; Cristo è l’unico giusto. Anche noi qualche volta corriamo il rischio di farci trascinare dal peccato, dal male, dalla tentazione. In tutte le persone la capacità di fare molto bene convive con la possibilità di causare tanto male, anche se lo si vuole evitare (cf. Rm 7,18-19). E dobbiamo domandarci perché alcuni cadono e altri no, essendo della stessa condizione umana. Non poche volte la delinquenza affonda le sue radici nelle disuguaglianze economiche e sociali, nelle reti della corruzione e nel crimine organizzato, che cercano complici tra i più potenti e vittime tra i più vulnerabili. Per prevenire questo flagello, non basta avere leggi giuste, è necessario formare persone responsabili e capaci di metterle in pratica. Una società retta solamente dalle regole del mercato e che crea false aspettative e bisogni superflui, scarta quanti non sono all’altezza e impedisce ai lenti, ai deboli e ai meno dotati di farsi strada nella vita (cf. Evangelii gaudium, n. 209). 3. La contrizione È il portico del pentimento, è quel sentiero privilegiato che porta al cuore di Dio, che ci accoglie e ci dà un’altra opportunità, sempre che ci apriamo alla verità della penitenza e ci lasciamo trasformare dalla sua misericordia. Di essa ci parla la sacra Scrittura quando descrive l’atteggiamento del buon Pastore, che lascia le novantanove pecore che non hanno bisogno delle sue cure e va a cercare quella errante e sperduta (cf. Gv 10,1-15; Lc 15,4-7), o quella del Padre buono, che accoglie il figlio minore senza recriminazioni e con il perdono (cf. Lc 15,11-32). Significativo è anche l’episodio della donna adultera, alla quale Gesù dice: «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8, 11). E allude al contempo al Padre comune, che fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e piovere sui giusti e sugli ingiusti (cf. Mt 5,45). Gesù invita i suoi discepoli a essere misericordiosi, a fare il bene a chi fa loro del male, a pregare per i nemici, a porgere l’altra guancia, e a non serbare rancore... Il Regno - documenti 8/2015 L’atteggiamento di Dio, che primerea l’uomo peccatore offrendogli il suo perdono, si presenta così come una giustizia superiore, allo stesso tempo equanime e compassionevole, senza che ci sia contraddizione tra questi due aspetti. Il perdono, di fatto, non elimina né sminuisce l’esigenza della correzione, propria della giustizia, e non prescinde neppure dal bisogno di conversione personale, ma va oltre, cercando di ristabilire i rapporti e di reintegrare le persone nella società. Procedete in questa direzione Mi sembra che sia qui la grande sfida, che tutti insieme dobbiamo affrontare, affinché le misure adottate contro il male non si accontentino di reprimere, dissuadere e isolare quanti lo hanno causato, ma li aiutino anche a riflettere, a percorrere i sentieri del bene, a essere persone autentiche che, lontane dalle proprie miserie, diventino esse stesse misericordiose. Pertanto, la Chiesa propone una giustizia che sia umanizzatrice, genuinamente riconciliatrice, una giustizia che porti il delinquente, attraverso un cammino educativo e di coraggiosa penitenza, alla riabilitazione e al totale reinserimento nella comunità. Quanto sarebbe importante e bello accogliere questa sfida, perché non cadesse nell’oblio. Che bello sarebbe se si compissero i passi necessari affinché il perdono non restasse unicamente nella sfera privata, ma raggiungesse una vera dimensione politica e istituzionale per creare così rapporti di convivenza armoniosa. Quanto bene si otterrebbe se ci fosse un cambiamento di mentalità per evitare sofferenze inutili, soprattutto tra i più indifesi. Cari amici, procedete in questa direzione, poiché comprendo che in ciò sta la differenza tra una società includente e una escludente, che non mette al centro la persona umana e prescinde dagli avanzi che non le servono più. Mi congedo da voi affidandovi al Signore Gesù, che nei giorni della sua vita terrena, fu arrestato e condannato ingiustamente a morte e s’identificò con tutti i detenuti, colpevoli e non («carcerato e siete venuti a trovarmi»; Mt 25,36). Discese anche su quelle oscurità create dal male e dal peccato dell’uomo per portarvi la luce di una giustizia che nobilita ed esalta, al fine di annunciare la buona novella della salvezza e della conversione. Egli, che fu ingiustamente spogliato di tutto, vi conceda il dono della saggezza, affinché i vostri dialoghi e le vostre considerazioni si vedano ricompensati dal successo. Vi chiedo di pregare per me, perché ne ho tanto bisogno. Cordialmente, Francesco 15 S anta Sede Il giudice unico In materia civile ha effettuato due procedure per constatazione e prelievo di documenti. Ha apposto 170 vidimazioni sui registri matrimoniali, 94 sui registri di cittadinanza, 8 sui registri di residenza e 16 sui registri dei decessi. In materia penale ha esaminato una segnalazione di infortunio avvenuto nella Città del Vaticano, per la quale ha disposto la trasmissione, per competenza, al promotore di giustizia. Ha ricevuto 2 rapporti di reato dal corpo della Gendarmeria che ha trasmesso, per competenza, al promotore di giustizia unitamente a 1 rapporto dell’anno precedente. Ha esaminato 62 rapporti relativi a contravvenzioni stradali estinte per oblazione. Il Tribunale In materia civile, in 2 cause pendenti ha tenuto 1 udienza e pronunciato 1 sentenza. Ha ricevuto 2 nuove cause per le quali ha tenuto 2 udienze e ha pronunciato 3 ordinanze. In sede di volontaria giurisdizione ha ricevuto ricorso per la nomina di 1 curatore dello scomparso a seguito del quale ha tenuto una camera di consiglio e ha emesso un’ordinanza. In sede penale, in 6 procedimenti, ha tenuto 6 udienze dibattimentali, pronunciato 2 sentenze e 2 ordinanze. Ha ricevuto 10 rogatorie da autorità giudiziarie straniere compiendo gli atti processuali relativi. Il presidente del Tribunale In materia civile, nelle cause di cui sopra, ha emesso 8 decreti e una ordinanza. Inoltre, ha emesso 101 autorizzazioni di notifiche richieste per via diplomatica, restituendone 21 per incompetenza. In sede penale, ha emesso 15 decreti nei procedimenti in corso e 30 decreti nell’esecutorietà delle rogatorie pervenute dall’estero. Su richiesta del promotore di giustizia del Tribunale ha emesso 3 decreti di citazione per il rinvio a giudizio di 3 imputati. Il giudice istruttore del Tribunale In materia penale ha ricevuto dal promotore di giustizia 32 richieste, pronunciando 32 decreti di archiviazione, 10 dei quali relativi a richieste di anni precedenti. Il promotore di giustizia del Tribunale In materia civile ha disposto 281 notifiche da procure della Repubblica italiana, restituendone 2 per incompetenza. È intervenuto in 2 procedimenti civili davanti al Tribunale partecipando a un’udienza ed esprimendo un parere. In materia penale ha ricevuto: 48 rapporti dal corpo della Gendarmeria e 3 per competenza, dal Il Regno - documenti 8/2015 giudice unico. Ha ricevuto: 2 denunce da autorità vaticane; una sentenza del Tribunale per ulteriori accertamenti in merito all’eventuale consumazione di altri reati; 2 denunce da privati. Ha trasmesso 32 rapporti, di cui 10 riferiti ad anni precedenti, con le sue richieste al giudice istruttore. Inoltre, ha disposto l’archiviazione di un rapporto non ravvisando estremi di reato. Ha in corso 7 istruttorie sommarie alcune indagini preliminari. Il promotore di giustizia in 3 procedimenti, espletata l’istruttoria sommaria, ha richiesto al presidente del Tribunale l’emissione dei decreti di citazione per il rinvio a giudizio degli imputati. A seguito di sentenza del Tribunale di condanna a pena restrittiva della libertà personale ha emesso un ordine di cattura. Inoltre, ha partecipato alle udienze penali del Tribunale. Ha anche richiesto al presidente del Tribunale l’esecuzione di 7 rogatorie inviate da autorità giudiziarie straniere mentre ha espresso parere sfavorevole per l’esecuzione di 3 rogatorie. Ha ricevuto dall’AIF 5 rapporti per i quali sta svolgendo indagini. Il notaro attuario Oltre all’attività di assistenza all’autorità giudiziaria e di disbrigo della corrispondenza, al di fuori delle udienze e degli atti istruttori, ha redatto 2 verbali di constatazione e prelievo di documenti. Ha vidimato le iscrizioni nell’Albo di due avvocati ammessi a difendere le cause dinanzi all’autorità giudiziaria; ha scritto i biglietti di cancelleria e le note spese nei procedimenti civili e penali; ha certificato il deposito e la pubblicazione delle sentenze, ordinanze e decreti pronunciati dagli organi giudiziari. Inoltre, ha autenticato 242 atti per le notifiche. Gli ufficiali giudiziari Oltre all’attività ausiliaria, hanno effettuato 275 notifiche di atti all’interno della Città del Vaticano, e 349 in immobili pontifici fruenti delle immunità diplomatiche. Sei arresti: un forte, preoccupante incremento statistico Al di là dei dati quantitativi, questo Ufficio ritiene di esprimere un particolare apprezzamento per l’attività svolta, con dedizione, estrema professionalità e competenza, da tutti gli ausiliari del Tribunale. A queste doti professionali raramente riscontrabili si accompagna, nello svolgimento delle quotidiane incombenze, una consapevolezza della parti- 16 S anta Sede colarità del contesto di riferimento e un impegno vissuto con assoluta lealtà e discrezione; atteggiamenti che non solo sono garanzia del migliore svolgimento delle funzioni assegnate, ma attestano nel modo più pieno la condivisione dei valori ideali che connotano in misura del tutto particolare il servizio alla Chiesa e alle sue istituzioni. A conclusione delle attività correlate alla giurisdizione, in particolare all’attività istruttoria e di polizia giudiziaria nello Stato vaticano, occorre citare l’apprezzato impegno del corpo della Gendarmeria, che nell’anno 2014 ha compiuto operazioni degne di nota, riguardanti: – monitoraggio del traffico di droga da stati esteri verso lo Stato della Città del Vaticano, in particolare tre spedizioni. In un caso specifico è stata effettuata una consegna controllata della sostanza stupefacente, che transitava attraverso uno stato comunitario; l’improvvida divulgazione della notizia da parte di un quotidiano straniero, ha reso vana l’operazione congiunta tra forze di polizia di diverse nazionalità, non essendosi presentato alcuno per il ritiro del plico contenente la sostanza stupefacente; – la tentata truffa ai danni dello IOR a opera di un cittadino comunitario, sventata grazie a un’attività congiunta con la Guardia di Finanza; – attività di analisi forense e info-investigativa soprattutto di carattere informatico, per due delicati casi – di differente gravità – di detenzione di materiale pedopornografico. Nel corso dell’anno sono state altresì condotte diverse attività riguardanti l’oscuramento di siti web contenenti aspetti diffamatori dello stato e/o della Santa Sede, e alla chiusura di account di posta elettronica per attività correlate al reato di truffa ovvero furto di identità virtuale; – sequestro di documentazione relativa a rapporti attivi o estinti, presso lo IOR. Nell’ambito delle altre attività di interesse in questa sede si segnalano poi indagini, verifiche e accertamenti, talora con pedissequa denuncia/rapporto all’autorità giudiziaria, effettuati in materia infortunistica, stradale, penale (furti, danneggiamenti, fermi, tentativi di truffa, verifica plichi sospetti). Sono stati altresì disposti sei arresti: un dato che segna un forte, preoccupante incremento statistico rispetto agli anni passati. Attenzione e lavoro in aumento La mole delle attività svolte dagli organi giudiziari nell’anno trascorso, e qui sinteticamente quantificate e classificate, evidenzia una tendenza increIl Regno - documenti 8/2015 mentale che si preannuncia di particolare impatto soprattutto nel settore penale; la significativa estensione del novero dei reati riconducibili alle recenti riforme nei termini evidenziati nella relazione, soprattutto per le fattispecie collegate al settore finanziario, l’intensificarsi di reati contro il patrimonio, anche se per lo più di modesta entità, il crescente impegno della Gendarmeria nella gestione dell’ordine pubblico e della sicurezza di luoghi e persone, anche per il forte incremento dei flussi di accesso di turisti nelle zone assoggettate a sorveglianza del Vaticano, sono tutti elementi che, sia pur in diversa misura, contribuiscono ad alimentare l’impegno complessivo del sistema, soprattutto in prospettiva di immediato futuro. Un’evenienza che tuttavia non coglie impreparato l’Ufficio del promotore di giustizia, che grazie alla sensibile, tempestiva attenzione e intervento delle superiori autorità di governo è stato significativamente implementato dalla presenza qualificata e operosa di due promotori aggiunti, nelle persone dei proff. Alessandro Diddi e Roberto Zannotti, entrambi di estrazione universitaria, in particolare nel settore del diritto penale sostanziale e processuale, e con significative competenze soprattutto in materia di reati finanziari e di diritto penale dell’economia; un settore tra i più delicati e statisticamente attivi. La loro presenza viene a sostituire il prof. Piero Grossi, di recente collocato in quiescenza per raggiunti limiti di età, e al quale va il più affettuoso e grato pensiero dell’intero corpo giudiziario dello stato, nel ricordo delle sue eminenti doti intellettuali e della rara sensibilità umana e professionale che lo hanno sempre contraddistinto nella lunga e apprezzata carriera di docente universitario e di magistrato; doti che hanno arricchito in modo ineguagliabile il nostro comune impegno nella responsabilità di operatori di giustizia. 9. Considerazioni conclusive Cogliendo spunto da queste riflessioni, e in coerenza con il loro più profondo significato, sia consentito formulare alcune considerazioni conclusive, che vanno al di là di quanto sin qui esposto nella relazione e dunque trascendono i contenuti sia dell’attività legislativa – che offre gli strumenti di lavoro dell’attività giusdicente – sia quelli della casistica giudiziaria – che fornisce le materie prime per tale attività – e che intendono soffermarsi sulla figura e il ruolo del giudice e soprattutto sulle qualità che si 17 S anta Sede richiedono in quanti esercitano questa alta, delicatissima funzione. E vorrei richiamare a tal fine le espressioni rivolte da papa Francesco ai rappresentanti del Consiglio superiore della magistratura italiana nell’udienza del 17 giugno 2014. Soffermandosi sull’aspetto etico che l’ufficio del magistrato presuppone il santo padre, dopo aver ricordato che «dal giudice dipendono decisioni che non soltanto incidono sui diritti e sui beni dei cittadini, ma che attengono alla loro stessa esistenza», ne deriva che «il soggetto giudicante, a ogni livello, deve possedere qualità intellettuali, psicologiche e morali che diano garanzia di affidabilità per una funzione tanto rilevante. Fra tutte le qualità quella dominante, specifica del giudice è la prudenza, che è una virtù di governo, una virtù per portare avanti le cose, la virtù che inclina a ponderare le ragioni di diritto e di fatto che debbono stare alla base del giudizio. Si avrà più prudenza se si possiederà un elevato equilibrio interiore, capace di domina- R1f_Bondolfi:Layout 1 10-11-2014 11:49 R1f_Petrini:Layout 1 Pagina 1 A CURA DI ALBERTO BONDOLFI - MILENA re le spinte provenienti dal proprio carattere, dalle proprie vedute personali, dai propri convincimenti ideologici». Infine, sul piano dei comportamenti, il santo padre esorta il giudice a essere, in modo esemplare, «leale alle istituzioni, aperto al dialogo fermo e coraggioso nel difendere la giustizia e la dignità umana». Sono richiami che interpellano, in modo particolarmente stringente nell’ora presente, la nostra coscienza; auguriamoci vicendevolmente di saperli interpretare e trasfondere in modo pieno e convincente nell’esercizio delle nostre responsabilità. Con tali auspici e intendimenti questo ufficio le chiede, signor presidente, di dichiarare aperto in nome di sua santità papa Francesco l’anno giudiziario 2015. Città del Vaticano, 31 gennaio 2015. avv. prof. Gian Piero Milano, promotore di giustizia I S Edizioni Dehoniane Bologna «RICERCHE PASTORALI» IN LIBRERIA L’ECCESSO CARLO MARIA MARTINI E L’AMORE PER GERUSALEMME Lineamenti storici, teologici e pastorali l cimitero è un luogo fisico costruito per i defunti, ma anche un luogo simbolico costruito per i viventi. Oggi relegato quasi esclusivamente alla competenza civile e amministrativa, questo spazio richiede una particolare attenzione pastorale capace di rievocare quella tomba vuota che si trova al principio della narrazione cristiana. tudiosi e testimoni introducono alla scoperta delle «radici» e delle «aperture» che hanno reso inconfondibile la figura del card. Carlo Maria Martini. La ricerca intorno alla sua eredità di studioso della Bibbia, vescovo, credente in dialogo coi non credenti è solo agli inizi. 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Il testo qui pubblicato, Chiesa e Israele. Punti fermi e interrogativi aperti, è frutto della «riflessione compiuta all’interno del gruppo e della sua specifica prospettiva. È pertanto destinato ai cristiani che cercano di meglio comprendere la relazione cristiano-ebraica». I suoi quattordici punti vorrebbero suscitare una libera discussione nelle comunità cristiane al fine di «verificare se le affermazioni ivi contenute possono o meno essere considerate condivise e, pertanto, acquisite», almeno da parte di coloro che hanno approfondito il rapporto Chiesa-Israele. È auspicio dei redattori – vi si legge – far nascere un dibattito su che cosa può essere considerato «punto fermo» e su come proseguire la ricerca («interrogativi aperti»). Il documento viene pubblicato come «bozza», in attesa e «nella speranza che possa provocare osservazioni e proposte di migliorie o di integrazioni». Originale digitale in nostro possesso. Il Regno - documenti 8/2015 A Milano il gruppo interconfessionale Teshuvah, nella propria attività di incontri e proposte alle comunità ecclesiali, ha inteso privilegiare l’attenzione alla necessaria e urgente revisione della autocoscienza cristiana nei confronti dell’ebraismo. La sua stessa denominazione prospetta, accanto all’ascolto della tradizione ebraica, l’esigenza di un cammino di conversione inteso come «ritorno» a Dio, alle fonti bibliche e alle origini della tradizione cristiana. Questa prospettiva ha una propria peculiarità che caratterizza gli obiettivi del gruppo in modo differente da quelli delle esperienze di amicizia o di dialogo tra ebrei e cristiani. Il testo Chiesa e Israele. Punti fermi e interrogativi aperti è frutto della riflessione compiuta all’interno del gruppo Teshuvah e della sua specifica prospettiva. È pertanto destinato ai cristiani che cercano di meglio comprendere la relazione cristiano-ebraica. Intende interpellarli e invitarli a un confronto. Non si rivolge dunque in modo diretto a ebrei, né si prospetta in primo luogo come contributo al dialogo con essi. Nasce invece dalla convinzione che l’istanza di una teshuvah cristiana nei confronti del popolo ebraico sia e debba diventare previa allo stesso dialogo bilaterale. Nasce, inoltre, dall’esigenza di puntualizzare i risultati a cui attualmente è giunto il cammino iniziato nel 1947 con il documento di Seelisberg. I quattordici punti del testo che segue sono stati redatti con il semplice scopo di suscitare una libera discussione intracristiana, tesa a verificare se le affermazioni ivi contenute possono o meno essere considerate condivise e, pertanto, acquisite almeno da parte di coloro che hanno messo a tema e approfondito il rapporto Chiesa-Israele. È dunque auspicio dei redattori di questo documento che, su tale rapporto, nasca un dibattito riguardo a che cosa può essere considerato «punto fermo» e a come proseguire 19 D ialogo la ricerca su «interrogativi aperti». Pertanto questo testo, in una prima fase, viene pubblicizzato come «bozza», nella speranza che possa provocare osservazioni e proposte di migliorie o di integrazioni. Prezioso risulterà anche l’eventuale contributo di correzioni e suggerimenti da parte di ebrei sensibili al cammino che alcuni cristiani cercano di compiere per rettificare la coscienza della propria relazione con la realtà storica del popolo ebraico. La redazione finale di questo documento, che potrà dunque avvalersi anche di apporti esterni al gruppo Teshuvah, dovrà risultare espressione di collaborazione ecumenica. Proprio a questo titolo, il testo Chiesa e Israele potrà essere utile per la formazione cristiana nelle diverse confessioni. 1. L’elezione di Israele è irrevocabile L’idea di popolo eletto (o scelto, come preferisce esprimersi la tradizione ebraica) si riferisce all’insieme dei doni profusi da Dio a Israele. Essi rendono gli ebrei una comunità distinta dagli altri popoli (i gojim, cioè le genti). Al riguardo la Lettera ai Romani enumera queste peculiarità: gli ebrei «sono israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene il messia secondo la carne» (Rm 9,4-5). A questa elencazione va aggiunta, almeno, la terra d’Israele. Fa parte dei contenuti della fede cristiana affermare con Paolo che «i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili» (Rm 11,29). La tradizione ebraica per individuare le peculiarità del popolo scelto si rifà, di preferenza, alle tre caratteristiche presenti nel libro dell’Esodo (cf. Es 19,5-6): gli ebrei sono «proprietà particolare» (segullah) del Signore (JHWH), «regno di sacerdoti» (mamlekhet kohanim) e «popolo santo» (goj qadosh). Va posto in evidenza che l’espressione «regno di sacerdoti» (o popolo sacerdotale) è da intendersi come una chiamata diretta a svolgere un compito a favore delle genti. Non si deve dimenticare che il discorso è introdotto da una clausola ipotetica: «Se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza» (Es 19,5); essa attribuisce un ruolo fondamentale all’accettazione da parte del popolo della proposta di alleanza giuntagli dal Signore. In questo contesto, l’ebraismo sottolinea la particolarità della risposta data dal popolo al Sinai; essa, tradotta alla lettera, suona così: «Tutto quanto il Signore ha detto faremo e ascolteremo» (cf. Es 24,7). Il Regno - documenti 8/2015 – A quale fine Israele è eletto? – Che cosa significa, per la fede cristiana, che l’elezione di Israele è irrevocabile? 2. Gesù è ebreo e lo è per sempre Assunto nella sua veste canonica, il Nuovo Testamento si apre con una genealogia volta a stabilire la discendenza abramica e davidica di Gesù Cristo (cf. Mt 1,1-17). È, quindi, proprio della fede cristiana affermare che Gesù Cristo è il messia d’Israele. L’appartenenza ebraica di Gesù è componente costitutiva della sua messianicità. La fede della Chiesa proclama Gesù Cristo vero uomo. Recepita in modo integrale, questa affermazione comporta che Gesù abbia assunto tutte le caratteristiche di una vita umana collocata in un determinato tempo e in un determinato luogo. Fa parte dell’umanità di Gesù il fatto che egli abbia condiviso la fede d’Israele. L’appartenenza ebraica di Gesù è componente costitutiva della sua umanità. L’ebraicità di Gesù è confermata dalla ricerca storica su Gesù. L’indagine va condotta secondo i parametri propri della storiografia e, pertanto, prescinde da ogni precomprensione dogmatica. Appartiene eventualmente all’ermeneutica dei credenti far interagire tra loro alcuni esiti della ricerca storica con la comprensione di fede, stando alla quale Gesù è messia d’Israele e vero uomo. L’ebraicità di Gesù è ulteriormente confermata dal fatto che il suo magistero si è volontariamente limitato «alle pecore perdute della casa di Israele» (Mt 15,24). – Come va intesa oggi l’affermazione che Gesù è ebreo «per sempre»? – Come si è posto l’ebreo Gesù di fronte alla Torah? 3. I primi seguaci di Gesù erano ebrei e il loro movimento nasce intraebraico È dato storico incontrovertibile che nel I secolo e.v. l’ebraismo fosse una realtà molteplice contraddistinta da vari movimenti con orientamenti diversi in ambito sia pratico sia ideale. La fede in un messia personale e la fiducia nella resurrezione dei morti sono convinzioni tipiche di alcune correnti giudaiche (cf. At 23,6-9). Affermare che Gesù è messia e che è risorto dai morti non significò perciò rompere con l’ebraismo. Anzi, 20 D ialogo le prime comunità di ebrei credenti in Gesù Cristo dichiararono la loro fede in lui proprio in base a credenze interne alla loro tradizione. Di conseguenza esse mantennero le prassi che contraddistinguevano, allora, la totalità degli ebrei, prima fra tutte l’osservanza della Torah e la centralità del tempio di Gerusalemme. Alla «Chiesa madre» di Gerusalemme, radunata attorno a Giacomo, fratello del Signore, venne riconosciuto un ruolo centrale anche da parte delle comunità «miste» di ascendenza paolina (cf. Rm 15,25-27). È pertanto anacronistico riproiettare all’indietro una visione, propria di epoche successive, secondo cui accogliere Gesù come messia comportava uscire o essere allontanati dalla comunità ebraica. – Quali problemi le origini ebraiche del cristianesimo pongono ai cristiani e agli ebrei di oggi? 4. I credenti in Gesù Cristo: un movimento specifico e distinto dalle altre correnti giudaiche Il movimento nato dalla fede in Gesù Cristo si presentò all’origine contraddistinto da vari orientamenti. Più che di cristianesimo delle origini sarebbe quindi opportuno parlare, al plurale, di cristianesimi. Meglio ancora, di varie e diverse comunità cristiane delle origini. Ciò non significa che le comunità di credenti in Gesù Cristo, pur nella loro molteplicità, non avessero, in vari modi, consapevolezza delle diversità che le distinguevano dalle altre correnti giudaiche. La differenza emerge in particolare attorno a due snodi, entrambi espressione della fede nel messia venuto, morto, risorto e prossimo a venire come Figlio dell’uomo (cf. Mt 24,27; Mc 13,26) o Signore (cf. 1Ts 4,15-17). Il primo snodo è rappresentato sia dalla precoce comparsa di formulazioni cultuali rivolte verso il Signore risorto (cf. ad esempio Maràna tha, 1Cor 16,22), sia dalla ricca elaborazione di titoli cristologici. Il secondo è incentrato sulla presenza di gentili all’interno di comunità cristiane. Le modalità della partecipazione delle genti alle comunità dei credenti in Gesù Cristo suscitarono aspri dibattiti. Da un lato, prevalse il modello secondo cui l’ammissione doveva conformarsi al procedimento riservato ai proseliti d’Israele, che comportava l’obbligo di osservare i precetti della Torah. Dall’altro, vi fu la posizione, elaborata con particolare vigore da Paolo, Il Regno - documenti 8/2015 secondo la quale l’ingresso nella comunità dei credenti in Gesù Cristo dipendeva tanto per i «giudei» quanto per i «greci» solo dalla fede; in relazione a quest’ultimo aspetto non sussisteva, dunque, alcuna differenza tra giudei e gentili. – In che modo la varietà di orientamenti cristologici presenti nelle comunità delle origini si collega alla pluralità delle correnti giudaiche coeve? 5. Gli scritti neotestamentari sono incomprensibili senza riferimento alle Scritture d’Israele Quando furono redatti i testi, in seguito confluiti nel Nuovo Testamento, ebbero come loro riferimento costante le Scritture d’Israele. Gli eventi fondamentali della fede sono avvenuti «secondo le Scritture» (cf. 1Cor 15,3-4). I Vangeli presentano Gesù come colui che vive, interpreta con autorità e adempie le Scritture. La vita di Gesù (Vangeli) e quella della comunità dei credenti (Atti, Lettere, Apocalisse) sono lette e interpretate attraverso un richiamo costante alle Scritture d’Israele. Questo genere di commento è, per lo più, compiuto a partire dalla consapevolezza di trovarsi nella «pienezza del tempo» (cf. Gal 4,4) o in un tempo fattosi «breve» (cf. 1Cor 7,29). A proposito degli scritti neotestamentari risulta, quindi, più proprio evocare la forma letteraria del pesher (commento alla Scrittura dotato della pretesa di essere definitivo), che quella del midrash (commento aperto a una pluralità di sensi). Specie negli ultimi decenni, si è fatta sempre più netta la convinzione stando alla quale molti degli scritti neotestamentari sono stati influenzati da apporti provenienti dalla cosiddetta letteratura giudaica extracanonica. Una solida comprensione degli scritti neotestamentari presuppone la conoscenza di questi tre ambiti ora elencati: Scritture d’Israele, letteratura giudaica extracanonica, fonti della storia ebraica. Nella storia cristiana si è progressivamente formata un’unità canonica costituita dalla Bibbia composta da Antico e Nuovo Testamento. Sorse quindi il problema di come leggere il rapporto fra le due parti della Bibbia cristiana. Alcune delle soluzioni adottate, ad esempio un certo modo di intendere la tipologia o il ricorso sistematico all’allegoria, vanno giudicate improprie in quanto depotenziano lo statuto di parola di Dio proprio dell’Antico Testamento e strumentalizzano in modo indebito la storia ebraica. 21 D ialogo – Qual è il senso secondo cui Gesù adempie le Scritture? – Quale senso attribuiscono i cristiani all’ininterrotta lettura delle Scritture e al loro continuo commento compiuti dal popolo ebraico? 6. Il legame permanente della Chiesa con il popolo d’Israele La varietà di orientamenti teologici presenti negli scritti neotestamentari si riflette anche nella molteplicità di prassi e di visioni ecclesiologiche in essi contenute. Le Chiese residenti nelle varie città («La Chiesa di Dio che è in…») erano consapevoli di costituire una forma di comunità profondamente nuova e diversa rispetto al modo di essere di Israele come popolo, ma non per questo estranea o alternativa a Israele. Ciò può essere detto sia per le comunità composte da ebrei, a iniziare dalla «Chiesa madre» di Gerusalemme, sia per le comunità «miste» (prima fra tutte quella di Antiochia), vale a dire costituite sia da ebrei sia da gentili. In alcune comunità si registrò un’aspra divergenza tra le tendenze che volevano imporre anche ai gentili l’osservanza integrale dei precetti della Torah e l’orientamento di Paolo, che rifiutava radicalmente questa opzione, la quale avrebbe reso ebrei tutti i credenti in Gesù Cristo. Grazie alla fede in Cristo i gentili credenti venivano, comunque, inseriti nell’economia della promessa: «Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa» (Gal 3,29). La presenza a un tempo di questa differenza e di questo legame nei confronti di Israele è un presupposto per comprendere i capitoli 9-11 della Lettera ai Romani, la più articolata riflessione neotestamentaria dedicata al rapporto tra le comunità formate dai credenti in Gesù Cristo e il popolo ebraico. Anche in strati più recenti del Nuovo Testamento, dove si iniziò a impiegare la parola «Chiesa» al singolare, sarebbe restata ferma la prospettiva che attesta l’esistenza di un insostituibile rapporto di ogni credente con Israele. In questa luce un particolare rilievo va assegnato al brano della lettera agli Efesini in cui, rivolgendosi ai credenti di origine gentilica, l’autore afferma che quando essi erano senza Cristo erano estranei alla cittadinanza d’Israele, mentre ora in Cristo chi un tempo era lontano è diventato vicino (cf. Ef 2,11-13). Il Regno - documenti 8/2015 L’annuncio dell’Evangelo alle genti implica perciò di comunicare a esse le peculiarità proprie e inimitabili del popolo ebraico, frutto della scelta e delle opere compiute da Dio. – Come interpretare il permanere di questo legame con Israele dei credenti in Cristo, evitando il rischio di appropriazioni indebite delle peculiarità del popolo d’Israele? – Che cosa comporta, per una Chiesa costituita da gentili, fare memoria delle proprie origini ebraiche? – Come promuovere una presa di coscienza sia della novità dell’Evangelo, sia del legame tra Chiesa e Israele? 7. La teologia della sostituzione non è conforme al Nuovo Testamento La cosiddetta «teologia della sostituzione» è fondata su tre convincimenti di base: a) fino alla venuta di Gesù Cristo, il popolo d’Israele è stato titolare dell’elezione; b) questo popolo ha perduto l’elezione a causa del suo rifiuto di Gesù Cristo; c) l’elezione è passata alla Chiesa la quale si presenta, quindi, come nuovo (o vero) Israele. Questa visione, predominante nelle tradizioni cristiane già a partire dal II secolo, ha influito in maniera massiccia soprattutto nell’elaborazione delle visioni tipiche del «regime di cristianità». La teologia della sostituzione ha trovato, infatti, la sua piena realizzazione quando il cristianesimo è stato soggetto a processi di risacralizzazione (evidenti specie nel modo di concepire il sacerdozio) e di territorializzazione (non ci sono più Chiese «pellegrine» nelle varie città, ma territori cristiani). Il suo influsso fa sì che, fino a oggi, con «genti» s’intendono per lo più i non cristiani (e non già i non ebrei), specie se nei loro confronti si stanno attuando forme di azioni missionarie (cf. l’espressione missio ad gentes). Nel Nuovo Testamento è assente la teologia della sostituzione in quanto vi si afferma tanto l’irrevocabilità della chiamata di Dio rivolta al popolo d’Israele, quanto la peculiarità della novità evangelica. La visione teologica sostituzionista, oltre ad alimentare l’antigiudaismo cristiano, ha infatti influito in modo globale sulla costruzione di una ecclesiologia incapace di salvaguardare appieno la novità dell’Evangelo. Letta in chiave teologica, la distinzione Israele-genti consegue dall’elezione. L’alleanza non revocata comporta, quindi, la 22 D ialogo permanente validità teologica ed ecclesiologica di questa distinzione. Secondo il Nuovo Testamento, il proprium della Chiesa è di essere costituita dai chiamati provenienti sia da Israele sia dalle genti (cf. Rm 9,24). Questa caratteristica, legata alla chiamata alla fede, fa sì che la Chiesa non sostituisca né Israele né le genti. – Quali conseguenze ha, per la vita della Chiesa, la teologia della sostituzione in ambito liturgico, esegetico e catechetico? – Quali conseguenze hanno, per la missione della Chiesa, i processi di inculturazione determinati dalla religione cristiana anziché ispirati all’Evangelo? 8. L’ebraismo, realtà viva e multiforme È convinzione ormai largamente diffusa che anche nel periodo successivo al I secolo e.v. la tradizione ebraica si sia sviluppata in modo spiritualmente e culturalmente molto ricco. Il giudaismo rabbinico, nel cui seno si sono affermati la Mishnah, il Talmud e la lettura midrashica, ha fornito un contributo culturale di grande rilievo e ciò costituisce un apporto imprescindibile per conseguire un’intelligenza più completa delle Scritture. Altrettanto certo è il fatto che questo tipo di giudaismo formi un riferimento indispensabile per comprendere tutti gli ulteriori sviluppi dell’ebraismo. Meno consolidata fra i cristiani è la convinzione secondo la quale tutta la multiforme vita del popolo ebraico è contraddistinta da componenti storiche e culturali di grande significato che si collocano anche al di là della dimensione religiosa. Invece, per comprendere la storia e la cultura ebraiche occorre convincersi sia del fatto che l’ebraismo non si è mai ristretto alla sola sfera religiosa sia del fatto che, al giorno d’oggi, quest’ultima, a seguito dell’incontro degli ebrei con la modernità, si presenta in modo pluralista. In conclusione, la conoscenza della storia ebraica nel suo complesso è un presupposto fondamentale per lo svolgimento del dialogo cristiano-ebraico. Alcuni pregiudizi e fraintendimenti da parte cristiana sono imputabili alla fragilità delle conoscenze storiche relative, in particolare, al lungo periodo che va dall’inizio dell’era volgare al XX secolo. – Quali pregiudizi sono derivati dall’aver considerato l’ebraismo una religione legata solo al passato e non una realtà viva e multiforme? Il Regno - documenti 8/2015 9. Definizioni ostili e autoreferenziali L’espressione che meglio sintetizza la posizione qui indicata si ebbe quando ci si riferì collettivamente agli ebrei qualificandoli come popolo testimone sia della propria perfidia sia della verità cristiana. In senso proprio, per perfidia si intende «mancanza di fede» in Gesù Cristo. L’antigiudaismo cristiano ha giudicato quel rifiuto frutto della natura «carnale» del popolo ebraico incapace di vedere, a differenza di quanto compiuto dalla lettura cristiana, il senso «spirituale» presente nelle sue stesse Scritture. Inoltre, l’antigiudaismo ha valutato la condizione ebraica umiliata e dispersa come una prova storica della verità cristiana (cf. l’iconografia della Sinagoga bendata accanto alla Chiesa regale). Discorso analogo vale per le visioni escatologiche, stando alle quali la «fine dei tempi» era ritenuta strettamente connessa alla conversione di massa degli ebrei. Anche quando, a partire dalla seconda metà del XX secolo, si sono voltate le spalle all’antigiudaismo, non sono del tutto scomparsi i modi strumentali di valutare gli ebrei in funzione della verità cristiana. Per esempio, certi usi dell’espressione «fratelli maggiori» o della più elaborata formulazione di «testimoni viventi della fede biblica» rischiano di muoversi appunto in questa direzione. Per contrastare simili tendenze è fondamentale per i cristiani prestare un ascolto attento ai modi in cui gli ebrei si autodefiniscono. – Come l’ascolto delle autodefinizioni ebraiche interagisce con i modi in cui i cristiani si definiscono a partire dall’esperienza del dialogo cristianoebraico? 10. Inammissibile la missione cristiana verso gli ebrei La missione finalizzata alla conversione dagli idoli all’unico Dio non ha senso nei confronti del popolo scelto dal Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. La ragione ultima dell’improponibilità della missione cristiana nei confronti del popolo ebraico si trova nella dimensione del mistero: ciò significa che, per la fede neotestamentaria, fa parte dell’opera di Dio sia aver eletto Israele sia aver costituito Gesù Cristo e Signore. All’origine della Chiesa vi sono stati ebrei che hanno annunciato Gesù Cristo ad altri ebrei. Que- 23 D ialogo sto annuncio e questa testimonianza continuano ad avere per le Chiese una funzione fondativa. Inoltre nessuno scritto neotestamentario attesta che un gentile credente in Gesù Cristo abbia annunciato l’Evangelo agli ebrei. Solo una Chiesa che si pensa, indebitamente, come nuovo Israele si sente titolata a compiere un’azione missionaria nei confronti degli ebrei. Una speciale attenzione va rivolta alle ambiguità contenute in alcune visioni escatologiche cristiane concernenti il popolo ebraico. In effetti all’interno delle Chiese è sempre rimasto vivo il convincimento relativo alla natura escatologica dell’affermazione paolina stando alla quale «tutto Israele sarà salvato» (Rm 11,26). Tuttavia essa è stata interpretata in modo improprio, come se l’entrata storica e generale degli ebrei nella Chiesa fosse un indispensabile preludio all’eschaton o come se la missione nei loro confronti rappresentasse un momento costitutivo della realizzazione escatologica. Occorre invece ribadire che la salvezza di tutto Israele è, nella prospettiva neotestamentaria, un «mistero» (cf. Rm 11,25), frutto della diretta azione salvifica di Dio. – A quali condizioni il cristiano può testimoniare che la sua fede in Gesù Cristo si compie nella fedeltà al Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe? – Per quali vie i cristiani possono valorizzare la testimonianza ebraica come feconda e pertinente alla missione volta alla conversione dagli idoli? 11. Il dialogo cristiano-ebraico: necessario all’ecumenismo e al rapporto corretto con le religioni Toccando in modo diretto la natura e il compito della Chiesa, risulta evidente che la relazione con il popolo ebraico costituisce un fondamento per ogni discorso ecumenico intracristiano. Oltre a essere accomunate dal legame con il popolo di Israele, che riguarda da un lato l’origine e dall’altro l’eschaton, le Chiese cristiane si trovano tutte ugualmente di fronte alla necessità di ripensare alla loro storia contraddistinta da avversione o almeno da profonde ambiguità nei confronti degli ebrei. Una comune confessione di peccato nei confronti del popolo d’Israele e il riconoscimento del permanere dell’alleanza di Dio con Israele sono passaggi fondamentali per il conseguimento di una piena riconciliazione intracristiana. Il riconoscimento della specificità del dialogo cristiano-ebraico è anche premessa comune a tutte le Il Regno - documenti 8/2015 Chiese per il dialogo interreligioso. Per la teologia cristiana il rapporto con le altre religioni non deve, contrariamente alla prassi consueta, prescindere dalla relazione tra Israele e le genti. In virtù di questa fondamentale relazione il dialogo cristiano-ebraico non va assunto come paradigma del dialogo interreligioso. – In che modo la scarsa centralità finora attribuita alla riflessione sul rapporto Chiesa-Israele si ripercuote nelle attuali difficoltà del dialogo ecumenico? – In che modo la teologia cristiana, alla luce della distinzione tra Israele e le genti, può pensare il dialogo interreligioso come incontro tra la fede biblica e le religioni? 12. Il popolo ebraico e la sua terra Nel consueto modo di parlare di ‘Erez Israel (terra d’Israele) ricorrono due espressioni: una è «terra promessa», l’altra è «terra santa». Esse valgono, con forti varianti, sia nell’ambito ebraico sia in quello cristiano. Nell’orizzonte biblico la terra è un dono, frutto del giuramento del Signore conforme alla promessa fatta ai patriarchi. Gerusalemme inoltre è un riferimento costante delle profezie rivolte al futuro shalom che si dovrà instaurare tra tutti i popoli. Il ricordo degli eventi della storia della salvezza costituisce il riferimento principale in ambito cristiano per giudicare santa quella terra; nell’ebraismo invece la santità della terra dipende in massima parte dai peculiari precetti che vi si compiono. Ciò comporta la necessità di una presenza ebraica al fine di attuare la «triangolazione»: Torah, popolo, terra. Il sorgere e lo svilupparsi a partire dal XIX secolo di una serie di movimenti sionisti – diversificati tra loro per intenti e modi di procedere – ha comportato una profonda revisione (cf. il cosiddetto sionismo religioso) dei modi tradizionali di concepire il futuro rapporto messianico tra popolo ebraico e terra d’Israele. La presenza di un’accentuata dialettica intraebraica rispetto al modo di rapportarsi con la terra conferma l’irrinunciabilità di questo riferimento sia per confrontarsi, su un piano più generale, con la effettiva realtà storica (passata e presente) del popolo ebraico, sia per valutare, in maniera teologica, i significati connessi all’alleanza perenne che lega il Signore al suo popolo. 24 D ialogo Ai cristiani, rispetto al tema della terra, è richiesta un’effettiva conoscenza dell’intera storia ebraica estesa fino ai nostri giorni. Solo un’approfondita e articolata competenza è, infatti, in grado di evitare di formulare giudizi impropri basati su inadeguate precomprensioni teologiche. In ogni caso l’attuale consistente presenza ebraica in Israele risulta già di per sé confutazione definitiva del pregiudizio, tuttora diffuso, secondo cui l’esistenza diasporica del popolo ebraico dopo il 70 e.v. sarebbe punizione causata dal rifiuto di accogliere Gesù Cristo come messia. – Quale ruolo ha la visione ebraica della terra d’Israele per la concezione cristiana della storia della salvezza? – Per quali vie Gerusalemme può essere simbolo riconoscibile dello shalom tra i popoli? 13. La riflessione sull’evento Shoah Con il trascorrere dei decenni la Shoah è stata sempre più considerata svolta decisiva nella storia del mondo occidentale. In molti campi, l’espressione «dopo Auschwitz» contraddistingue l’esistenza di un vero e proprio spartiacque. Colto nell’orizzonte del dialogo cristiano-ebraico questo convincimento si manifesta soprattutto in tre direzioni. La Shoah esige di prestare ascolto, con inedita intensità, a una testimonianza ebraica contraddistinta dall’essere soprattutto voce imperativa volta a sostenere tanto il ricordo, quanto modi di agire conformi al rispetto integrale della dignità umana. In secondo luogo la Shoah impone una profonda e coraggiosa riflessione sull’incidenza avuta dal cristianesimo nella storia e, in particolare, sul ruolo svoltovi dall’antigiudaismo. I nessi tra antisemitismo razzista e ideologia antigiudaica cristiana sono argomenti da affrontare attraverso rigorose ricerche storico-culturali; in ogni caso la riflessione sulla Shoah da parte cristiana va sostenuta da un profondo spirito penitenziale e da un conseguente cambiamento di mentalità che coinvolga il pensare teologico e il linguaggio sia liturgico sia catechetico. La riflessione, da parte dei cristiani, va allargata anche ai decenni precedenti, specie in relazione alle modalità in cui si affermò il potere nazista. Il terzo principale compito imposto ai cristiani da Auschwitz è di elaborare una riflessione teologica relativa al tradimento dell’Evangelo connesso alle immagini «imperiali» di Dio affermatesi nel corso dei secoli cristiani. Questo compito esige l’elaborazione di una teologia fedele al lascito evangelico e Il Regno - documenti 8/2015 attenta a non trasmettere contraddittorie pretese di egemonia spirituale spesso caratterizzate, loro malgrado, da residui antigiudaici. – In quali modi la memoria della Shoah può continuare a essere luogo di interrogazione autentica e non retorica per la coscienza e la fede cristiane? 14. L’attesa delle «cose ultime» accomuna e distingue nella speranza La rivelazione biblica, di cui il popolo ebraico è il primo testimone, ha diffuso nel mondo la convinzione secondo cui la storia si conclude con il pieno avvento della redenzione. Per questa via la speranza è diventata una caratteristica propria tanto di Israele quanto della Chiesa, entrambe chiamate a rivolgere il loro sguardo all’avvenire di Dio. A motivo dell’annuncio del Regno, della Pasqua di Gesù Cristo e dell’effusione dello Spirito, l’attesa cristiana è contraddistinta da una peculiare tensione tra il «già» e il «non ancora»: l’attesa cristiana si fonda infatti sull’evento della morte e resurrezione di Gesù Cristo. In ambito ebraico un’analoga tensione è presente tra la promessa e l’attesa del suo compimento. Un detto ebraico afferma che il messia non è ancora venuto: per questo si può ancora sperare. Un altro detto sostiene che il vero messia è sempre quello ancora da venire, mentre quello venuto è sempre falso. Le due frasi ribadiscono il primato che, secondo la prevalente visione ebraica, l’età messianica ha rispetto alla persona stessa del messia. Colta da parte ebraica, la fede cristiana in Gesù appare rivolta verso un re privo di regno messianico. Resta, però, ugualmente vero che le vicende storiche degli ultimi secoli hanno reso spesso arduo da parte ebraica vivere un’attesa messianica perennemente dilazionata. La ricerca di come vivere fedelmente, nel mondo attuale, l’attesa messianica è un compito che si prospetta a un popolo ebraico che voglia assumere su di sé la missione affidatagli da Dio. Dal canto suo, la testimonianza ebraica relativa alla natura non redenta della storia si presenta ai cristiani come un pungolo perenne tanto in relazione a una comprensione più profonda della missione e dell’opera di Gesù Cristo, quanto rispetto alla necessità di porre, di nuovo, al centro della fede l’attesa della seconda venuta. – Di fronte ai drammi del mondo, come possono ebrei e cristiani, pur nella diversità delle loro rispettive attese, testimoniare la speranza nell’avvento definitivo della redenzione? 25