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L`Aventino però non finì bene
PRIMO PIANO Sabato 28 Settembre 2013 5 Infatti, ben lungi dall’indebolire Mussolini, andò a rafforzare il regime fascista L’Aventino però non finì bene Quindi, per il Pdl, sarebbe molto meglio non evocarlo DI T CESARE MAFFI orna l’Aventino? È corrente, sia nel mondo giornalistico sia in quello politico, definire “Aventino” le dimissioni in blocco sottoscritte dai parlamentari berlusconiani. Qualche analogia, ma altresì alquante distinzioni, si possono operare raffrontando la manovra odierna con la secessione praticata nell’estate del 1924, dopo il delitto Matteotti, da un folto gruppo di deputati (nessuna reazione invece fra i senatori, di nomina regia) popolari, socialisti e di alcune correnti liberali, i quali rifiutarono la partecipazione ai lavori della Camera. Va subito detto che evocare l’Aventino non è di buon auspicio. La secessione finì col rafforzare, anziché indebolire, Benito Mussolini, il quale riuscì a risalire l’abisso arrivando infine, col discorso del 3 gennaio ’25, ad avviare l’instaurazione della dittatura. Quindi l’Aventino fu un colossale fallimento politico, che in luogo d’isolare Mussolini lo fortificò (al punto che ancora nei primi mesi del ’25 trovò sostegni in settori liberali). È presto per dire se le dimissioni in massa non siano altrettanto autolesionistiche. scritto la rinuncia, sollecitati dalla coppia Brunetta-Schifani. Invece all’Aventino, promosso soprattutto da Giovanni Amendola, non aderirono né i comunisti né i giolittiani, i quali si dimostrano ben più avveduti degli altri colleghi oppositori e secessionisti. Quanto al capo dello Stato, se oggi Giorgio Napolitano richiama al rispetto delle norme (dimissioni individuali, per esempio), Vittorio Emanuele III agli aventiniani rispose che egli aveva come occhi e orecchie la Camera e il Senato. Atto politico fu l’Aventino, ben prima che istituzionale: fra l’altro allora le Camere erano solite far trascorrere non già settimane, bensì mesi, fra una riunione e la successiva. Atto politico sono le Sembra che tutti o quasi i deputati e senatori abbiano sotto- Silvio Berlusconi TRE STRADE PER LA CRISI La tentazione di un Letta bis E intanto la decadenza slitta DI ALESSANDRA RICCIARDI U n voto di fiducia su un programma che impegni chi lo vota a starci almeno per un anno. E un Letta bis, se Silvio Berlusconi dovesse staccare la spina. Il reincarico circolava ieri sera in ambienti parlamentari come ipotesi estrema per un cambio della guardia, ma mica tanto, nel caso in cui Berlusconi dovesse decidere di chiudere definitivamente la partita delle larghe intese. Napolitano potrebbe reincaricare Enrico Letta per tentare una nuova maggioranza, che alla camera già c’è e che invece al senato va tutta conquistata spaziando dalla destra azzurra alla sinistra di Sel. Serve tempo, perché nel Pdl si consumi la spaccatura che è molto più consistente di quanto non dicano le dimissioni depositate nelle mani del capogruppo, Renato Schifani. In molti nel Pdl pensano dimissioni, una specie di minaccia o ricatto, dagli esiti ancor più dubbi di quelli ottenuti dagli aventiniani. Un’autentica similitudine, che non sembra però che la storia delle dimissioni di massa sia sfuggita di mano a chi l’aveva architettata, gettando i pidiellini in un angolo dal quale ongi ora che passa è sempre più difficile uscire dignitosamente. I parlamentari azzurri ora sono davanti a tre strade: dare la fiducia a Letta, con una inversione a U che va ammantata di un’ampia dose di senso di responsabilità; non presentarsi al voto di fiducia, ritenendosi politicamente dimissionari dal parlamento, oppure votare e togliere la fiducia. In questi ultimi due casi per Letta non cambia nulla. E pensare che c’era chi con le dimissioni credeva solo di far slittare il voto sulla decadenza di Berlusconi a dopo la sentenza della Corte di appello di Milano sull’interdizione, in calendario per il 19 ottobre. Obiettivo che, a questo punto, potrebbe anche essere stato centrato, ma a un prezzo molto più salato di quello preventivato. © Riproduzione riservata essere stata colta, riguarda invece le condizioni psicofisiche dei vertici politici. Mussolini fu abbattuto dal delitto Matteotti, al punto di non sapere assolutamente come muoversi: per mesi rimase incerto, stanco, soprattutto apatico, venendo infine fuori dell’angoscia mercé l’inabilità dei propri avversari. Pagò questa totale confusione personale con le crisi di ulcera. Berlusconi continua a mutare linea, nella più totale incapacità di trovare una salda prospettiva politica. E paga la sua totale confusione personale con l’insonnia e la perdita di peso: almeno, stando alle sue confessioni. Disperato era allora Mussolini, ma ce la fece a riprendersi, eccome; disperato, ottantanove anni dopo, è Berlusconi, il quale dalla situazione odierna non potrà che peggiorare. © Riproduzione riservata IN CONTROLUCE L’Aventino, per i falchi della rinata Forza Italia, è una necessità oppure è, piuttosto, una baggianata, come ne pensano le colombe e i piccioni? DI È DIEGO GABUTTI tempo di martiri. Scoperchiata la tomba di Forza Italia, si desta anche un altro morto illustre della storia nazionale: l’Aventino. Fu ritirandosi sull’Aventino, cioè lasciando le aule parlamentari per riunirsi altrove, che una parte dei deputati antifascisti protestò contro l’assassinio del socialista Giacomo Matteotti, pestato a morte da sicari mussoliniani. Oggi minacciano di fare lo stesso i parlamentari del partito di plastica per protestare contro il voto (ancora non c’è stato, ma arriverà) che decreterà la decadenza di Silvio Berlusconi dal seggio senatoriale. Forse è per questo, e non soltanto per finire agli arresti domiciliari a Roma anziché a Milano, dove sarebbe in balia d’un tribunale a lui avverso, che il Cav. ha preso la residenza nella capitale: per assistere, dopo le dimissioni di massa, alle sedute dell’Aventino di plastica, e magari pure presiederle, sempre che un tribunale di manica larga gli permetta d’ospitarne le sessioni in casa sua, dove lo spazio non manca (e anche di tempo, tra adesso e il fine pena, ce n’è a iosa). Non è affatto sicuro, naturalmente, che la minaccia venga attuata: le minacce, in politica, somigliano alle promesse elettorali, e vengono raramente mantenute. Ma minacciare l’Aventino non è come minacciare una crisi di governo. Se cade un governo, se ne fa un altro: la legislatura continua, e nessuno ne mette in dubbio la legittimità. Se però un terzo dei parlamentari o giù di lì esce dall’aula, secondo le intenzioni dichiarate dall’assemblea di tutti i berlusconiani, falchi e colombe, o si va alle elezioni o, zombismo supremo, si continua a governare con le due camere morte e sepolte, in assenza dell’opposizione. Non sono minacce da ridere, come i normali «ades- so t’aggiusto io», sia tra avversari politici che tra alleati di governo. Ci vuole minimo l’assassinio d’un deputato d’opposizione per giustificare l’uscita definitiva dall’aula d’un terzo degli eletti. Ammettiamo che sia grave far fuori per via giudiziaria il capo dell’opposizione, com’è successo da noi. Ma non è la stessa cosa che uccidere a bastonate un deputato. Un morto non si può difendere, cosa che invece il Cavaliere può fare, se non più in tribunale, almeno nelle urne, dove potrà «contare i suoi», come Dio dopo la strage degli albigesi. Enrico Letta — che entra (giustamente) il meno possibile nell’affare del voto sulla decadenza del Cavaliere — non è Benito Mussolini. Non minaccia il bivacco dei suoi manipoli nelle aule sorde e grige del parlamento. Non è lui il mandante della condanna in via definitiva del Cavaliere. È un leader, questo sì, del partito che si propone, e non da oggi, di cancel- lare Berlusconi dalla vita politica, ma le truppe del partito democratico non accettano ordini loro dirigenti, tanto meno da Letta. Non sono più i tempi d’Enrico Berlinguer. Per quanto ex comunista, già devoto al centralismo democratico e al culto della personalità, il Pd è un partito anarchico, fondato sulle emozioni prima che sui programmi. Anche se lo volessero, e non lo vogliono, dubito che i leader democratici potrebbero convincere tutti i loro commissari e parlamentari a votare contro la decadenza di Berlusconi, e Berlusconi lo sa. Resta dunque il mistero dell’Aventino. Perché minacciare l’uscita dall’aula e le dimissioni di massa se non si fa sul serio? E fare sul serio, dal punto di vista anche soltanto elettorale, non diciamo politico, ha senso, come pensano i falchi della rinata Forza Italia, o non è piuttosto una baggianata, come pensano le colombe e i piccioni? © Riproduzione riservata