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a rincorrere il vento
Times ROBERTO PEIA A RINCORRERE IL VENTO Storia di pedali, pistole e puttane Copyright © 2016 Tralerighe s.n.c. via A. Tantardini, 7 - 20125 Milano Tel. 02/36577292 - Fax 02/92877149 [email protected] - www.tralerighe.biz Tutti i diritti sono riservati, compresi la traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione, la comunicazione al pubblico e la messa a disposizione con qualsiasi mezzo e/o su qualunque supporto (ivi compresi i microfilm, i film, le fotocopie, i supporti elettronici o digitali) nonché la memorizzazione elettronica e qualsiasi sistema di immagazzinamento e recupero di informazioni. Per altre informazioni o richieste di riproduzione si veda la sezione “Note legali” sul sito www.tralerighe.biz Prima edizione: maggio 2016 ISBN 978-88-99575-06-9 A Sabina. Senza di lei tutto, ma proprio tutto, sarebbe stato più difficile. E molto meno bello. 1 Non so quante volte mi è capitato di arrivare in un portone, chiedere: «Scusi, è lei il portinaio?» e sentirmi rispondere, spesso con un tono un po’ piccato: «No! Io sono il custode!». La società dove lavorava la regina delle receptionist ha cambiato sede. Da un palazzo prestigioso, situato in una via esclusiva, a uno ancora più chic. Nel primo c’era un custode mite e simpatico che mi teneva d’occhio anche la bici mentre salivo a consegnare. Nel nuovo palazzo c’è una portinaia che è una vera megera. Non supera il metro in altezza, ma lo supera in larghezza e profondità. Un seno prosperoso... se vista capovolta. Una voce aggraziata... rispetto a quella di una cornacchia. La classica portinaia che considera l’ingresso dell’edificio di sua proprietà e lo “controlla” al pari del tinello di casa propria, dove è possibile passare solo sulle pattine. A Milano sono sempre più i custodi e i portinai stranieri, che si alternano alla guardiola o che addirittura vi abitano. E spesso sono anche più famiglie. 8 roberto peia Generalmente i portinai/custodi stranieri sono più gentili di quelli autoctoni. Forse perché non capiscono bene la nostra lingua, forse perché nel loro paese d’origine il messaggero o lo straniero viene accolto con più cordialità. Molti sono comunque in soggezione, altri invece cercano di instaurare un rapporto. Il custode, credo peruviano, di corso Vercelli 81 la prima volta che mi ha visto mi ha detto: «Uau, corrieri in bici! Come a Londra!». In effetti era a Londra che li avevo visti la prima volta anch’io. E proprio a Londra avevo iniziato a fare consegne in bicicletta: inizialmente con i Citysprinters, poi con i Clockworkers. Ero andato là per diversi motivi: ero stanco di Milano (come molti), volevo imparare bene l’inglese (come tutti), ero sbalestrato perché era finito un amore (come solo io avevo la presunzione di sentirmi sbalestrato), un amore complicato, comunque inebriante. Ma la bici aveva iniziato a esercitare su di me il suo potere taumaturgico, prima con lunghe e tranquille pedalate solitarie in campagna, poi con quelle rabbiose e sincopate nelle vie della città. Ritirare una busta e consegnarla dall’altra parte della City, sbagliare strada per ritrovarmi nel sobborgo più incasinato, ingurgitare pedalando snack improbabili, caramelle e gelatine, kebab o falafel, qualsiasi cibo insomma che potesse spegnere il mio bisogno di zuccheri, era diventata la mia vita. E mi piaceva un sacco. a rincorrere il vento 9 Anche se ero il più vecchio, già allora, amavo stare con quei ragazzi, in strada tutto il giorno, la sera a bere birra. Amavo la sensazione di assoluta libertà che mi dava quel lavoro – senza dover timbrare cartellini, ogni giorno diverso – che mi permetteva di scoprire nuove case, nuove imprese, nuove situazioni. La seconda volta che sono arrivato all’81 di corso Vercelli il custode mi ha chiesto come fare per lavorare con noi. Anche questa domanda me l’ero sentita porre una marea di volte: «Mi prendete a pedalare con voi? Vi prego...». Il lavoro del bike messenger affascina: se uno ha la passione della bici – che abbia iniziato a saltare con la bmx o a infangarsi con la mountain bike, o magari sia solo un ciclista amatoriale – il pensiero di potersi allenare essendo addirittura pagati per farlo è quanto di più si possa chiedere alla vita! Sì, è bellissimo, ma anche duro e usurante: ne ho visti un sacco mollare dopo poco tempo, stroncati dalla fatica fisica, dallo stress di stare tutto il giorno in mezzo al traffico, ore e ore al freddo o fradici sotto la pioggia. La terza volta che mi è capitato di tornare in corso Vercelli, il peruviano si è allargato ancora di più: «Tu sei molto furbo... bicicletta mezzo giusto per fare consegne in gran casino di Milano. Sì, tu furbo, non spendi soldi di benzina e arrivi prima del motorino. Vuoi bere qualcosa?». Devo ancora capire bene con che termine chiamare chi lavora in una guardiola, se custode o portinaio. 10 roberto peia Soprattutto dopo che oggi uno mi ha detto: «Io sono il portiere». A me piace di più il termine custode, forse perché lo associo anche a guida, o ad angelo custode... di cui noi corrieri in bici abbiamo un gran bisogno!