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a rincorrere il vento

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a rincorrere il vento
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ROBERTO PEIA
A RINCORRERE IL VENTO
Storia di pedali, pistole e puttane
Copyright © 2016 Tralerighe s.n.c.
via A. Tantardini, 7 - 20125 Milano
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sito www.tralerighe.biz
Prima edizione: maggio 2016
ISBN 978-88-99575-06-9
A Sabina.
Senza di lei tutto, ma proprio tutto,
sarebbe stato più difficile.
E molto meno bello.
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Non so quante volte mi è capitato di arrivare in un
portone, chiedere: «Scusi, è lei il portinaio?» e sentirmi
rispondere, spesso con un tono un po’ piccato: «No! Io
sono il custode!».
La società dove lavorava la regina delle receptionist
ha cambiato sede. Da un palazzo prestigioso, situato in
una via esclusiva, a uno ancora più chic.
Nel primo c’era un custode mite e simpatico che mi
teneva d’occhio anche la bici mentre salivo a consegnare. Nel nuovo palazzo c’è una portinaia che è una vera
megera. Non supera il metro in altezza, ma lo supera in
larghezza e profondità. Un seno prosperoso... se vista
capovolta. Una voce aggraziata... rispetto a quella di
una cornacchia. La classica portinaia che considera l’ingresso dell’edificio di sua proprietà e lo “controlla” al
pari del tinello di casa propria, dove è possibile passare
solo sulle pattine.
A Milano sono sempre più i custodi e i portinai
stranieri, che si alternano alla guardiola o che addirittura vi abitano. E spesso sono anche più famiglie.
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roberto peia
Generalmente i portinai/custodi stranieri sono più
gentili di quelli autoctoni. Forse perché non capiscono
bene la nostra lingua, forse perché nel loro paese d’origine il messaggero o lo straniero viene accolto con più
cordialità.
Molti sono comunque in soggezione, altri invece
cercano di instaurare un rapporto.
Il custode, credo peruviano, di corso Vercelli 81 la
prima volta che mi ha visto mi ha detto:
«Uau, corrieri in bici! Come a Londra!».
In effetti era a Londra che li avevo visti la prima
volta anch’io. E proprio a Londra avevo iniziato a fare
consegne in bicicletta: inizialmente con i Citysprinters,
poi con i Clockworkers.
Ero andato là per diversi motivi: ero stanco di Milano (come molti), volevo imparare bene l’inglese (come
tutti), ero sbalestrato perché era finito un amore (come
solo io avevo la presunzione di sentirmi sbalestrato), un
amore complicato, comunque inebriante.
Ma la bici aveva iniziato a esercitare su di me il suo
potere taumaturgico, prima con lunghe e tranquille pedalate solitarie in campagna, poi con quelle rabbiose e
sincopate nelle vie della città.
Ritirare una busta e consegnarla dall’altra parte della City, sbagliare strada per ritrovarmi nel sobborgo più
incasinato, ingurgitare pedalando snack improbabili,
caramelle e gelatine, kebab o falafel, qualsiasi cibo insomma che potesse spegnere il mio bisogno di zuccheri, era diventata la mia vita.
E mi piaceva un sacco.
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Anche se ero il più vecchio, già allora, amavo stare
con quei ragazzi, in strada tutto il giorno, la sera a bere
birra. Amavo la sensazione di assoluta libertà che mi
dava quel lavoro – senza dover timbrare cartellini, ogni
giorno diverso – che mi permetteva di scoprire nuove
case, nuove imprese, nuove situazioni.
La seconda volta che sono arrivato all’81 di corso
Vercelli il custode mi ha chiesto come fare per lavorare
con noi.
Anche questa domanda me l’ero sentita porre una
marea di volte: «Mi prendete a pedalare con voi? Vi
prego...».
Il lavoro del bike messenger affascina: se uno ha la
passione della bici – che abbia iniziato a saltare con
la bmx o a infangarsi con la mountain bike, o magari
sia solo un ciclista amatoriale – il pensiero di potersi
allenare essendo addirittura pagati per farlo è quanto di
più si possa chiedere alla vita!
Sì, è bellissimo, ma anche duro e usurante: ne ho
visti un sacco mollare dopo poco tempo, stroncati dalla
fatica fisica, dallo stress di stare tutto il giorno in mezzo
al traffico, ore e ore al freddo o fradici sotto la pioggia.
La terza volta che mi è capitato di tornare in corso
Vercelli, il peruviano si è allargato ancora di più: «Tu sei
molto furbo... bicicletta mezzo giusto per fare consegne in gran casino di Milano. Sì, tu furbo, non spendi
soldi di benzina e arrivi prima del motorino. Vuoi bere
qualcosa?».
Devo ancora capire bene con che termine chiamare chi lavora in una guardiola, se custode o portinaio.
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roberto peia
Soprattutto dopo che oggi uno mi ha detto: «Io sono
il portiere».
A me piace di più il termine custode, forse perché lo
associo anche a guida, o ad angelo custode... di cui noi
corrieri in bici abbiamo un gran bisogno!
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