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La perdita di efficacia del sequestro preventivo: un inesistente limbo

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La perdita di efficacia del sequestro preventivo: un inesistente limbo
Gazzetta Forense
Enrico Campoli
G.I.P. del Tribunale di Nola
La perdita di efficacia del sequestro preventivo: un inesistente limbo
processuale
Sempre più di frequente nella prassi applicativa ci
si pongono fondati interrogativi sull’esatta portata, in
caso di definizione di merito, delle disposizioni d’inefficacia emesse riguardo a beni sottoposti a sequestro.
All’esito del merito, difatti, il giudice ha l’onere,
in sede di dispositivo e di successiva motivazione, di
provvedere sui beni sottoposti a vincolo, sia esso di natura probatoria e/o preventiva.
Con l’allargamento dei poteri di sequestro in capo
all’autorità giudiziaria, – basti pensare allo strumento del c.d. sequestro per equivalente per non dire poi
dei sequestri in materia di criminalità organizzata, cui
fanno seguito ponderose e complesse amministrazioni
giudiziarie –, tale questione è divenuta tutt’altro che
marginale e semplice nelle sue risoluzioni.
Andiamo per ordine.
Alcun dubbio v’è sul fatto che allorquando il giudice definisce il procedimento in sede di merito in
presenza di un sequestro probatorio lo stesso debba
provvedere seguendo il chiaro canovaccio di cui agli
artt. 262 e 263 c.p.p.
Tale disposto normativo, – che ben può trovare
applicazione «prima della sentenza» –, per nulla casualmente, ricomprende al suo interno la possibilità di
conversione del sequestro probatorio sia nella forma
conservativa di cui all’art. 316 c.p.p. che in quella preventiva ex art. 321 c.p.p. rendendo così manifesta l’interstizialità delle procedure relative ai beni sottoposti a
sequestro, cioè sia in fase applicativa che di eventuale
restituzione e/o confisca dei beni.
A differenza di quanto sancito dal combinato disposto di cui agli artt. 262-263 c.p.p., che si occupa
sia delle procedure di restituzione nel corso delle indagini preliminari che di quelle a seguito di «sentenza
non più soggetta ad impugnazione», spingendosi (art.
262, comma 3-bis, c.p.p.) sino ad oltre i cinque anni
dalla irrevocabilità delle sentenze riguardo alle somme
di denaro, non confiscate né reclamate da terzi, devolvendole allo Stato, l’art. 323 c.p.p. perimetra il proprio
spazio d’intervento alle decisioni di merito.
Il giudice, difatti, nel decidere il procedimento, – a
prescindere dal fatto che si determini nei sensi del proscioglimento dell’imputato ovvero della condanna dello stesso deve, contestualmente, provvedere sui beni
sottoposti a sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p.
orientandosi tra le poliedriche opzioni possibili.
La guida normativa, come detto, è costituita
dall’art. 323 del codice di procedura penale, significativamente rubricato alla «perdita di efficacia del sequestro preventivo».
Nel primo comma dello stesso si stabilisce, in
modo articolato, che in caso di sentenza di proscioglimento, (artt. 129, 529, 530 c.p.p.) –, a prescindere da
quale sia stata la formula adottata dal giudice –, ovvero
di non luogo a procedere (425 c.p.p.), – «ancorché» la
stessa sia «soggetta ad impugnazione» –, i beni vanno
restituiti ai soggetti titolari dei beni sempre che non se
ne debba «disporre la confisca a norma dell’art. 240
c.p.p.».
Per tutti questi casi viene sancito, altresì, che “il
provvedimento è immediatamente esecutivo”, con la
conseguenza che la cancelleria, prim’ancora che siano
depositate le motivazioni, sulla base del mero dispositivo, deve immediatamente attivarsi e dare corso alle
disposizioni conseguenti alla restituzione dei beni in
sequestro.
Poiché la legge afferma che la restituzione va fatta
«a chi ne abbia diritto» il giudice deve porsi il problema dell’esatta individuazione del soggetto titolare ben
potendo lo stesso essere diverso da quello che ne aveva
il possesso al momento dell’applicazione del vincolo.
Può ben accadere, difatti, ed accade, che un soggetto assolto si veda confiscati beni che al momento
del sequestro preventivo erano nella disponibilità di
un coimputato, in quella stessa sede condannato.
Ebbene, tutte le volte in cui il giudice non è in
grado di dar luogo alla precisa individuazione del
soggetto che «abbia diritto» alla restituzione del bene
sovviene, analogicamente, la procedura di cui all’art.
263, 3° comma, c.p.p. – «In caso di controversia sulla
proprietà delle cose sequestrate il giudice ne rimette
la risoluzione al giudice civile del luogo competente
in primo grado, mantenendo nel frattempo il sequestro», procedura che, però, non si innesta automaticamente a mezzo della trasmissione degli atti da parte
del giudice penale al giudice civile essendo il giudizio
dinanzi a quest’ultimo attivabile solo dalle parti interessate.
Gli unici casi in cui alle sentenze assolutorie e/o
di proscioglimento non fa seguito la restituzione, – lo
si ripete, immediata per legge –, dei beni sottoposti a
sequestro preventivo sono:
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PENALE
Dove nascono allora i problemi interpretativi?
Nascono dal raffronto (le differenze) tra il disposto
di cui al primo comma dell’art. 323 c.p.p. ed il terzo
comma dello stesso.
Il primo, difatti, – a differenza del secondo –, precisa sia che la restituzione va disposta «ancorché… la
sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere… sia soggetta ad impugnazione» e sia che il provvedimento declinato in tal senso «è immediatamente
esecutivo».
Proprio tali precisazioni sembrano indurre ad applicare il medesimo metodo interpretativo già utilizzato per comprendere la reale portata del disposto di cui
al terzo comma dell’art. 323 c.p.p.
Si è portati, pertanto, a ritenere che se nel caso sia
«pronunciata sentenza di condanna gli effetti del sequestro permangono quando è stata disposta la confisca delle cose sequestrate» qualora tale pronuncia di
applicazione della misura di sicurezza patrimoniale
non vi sia stata i beni vadano sì restituiti, – ed il giudice ha sempre l’obbligo in dispositivo di pronunciarsi
Si sarebbe, in sostanza, in presenza di una sorta di
limbo processuale, e cioè ad una sospensione dell’efficacia della restituzione in attesa che la sentenza diventi
irrevocabile.
È frequente, difatti, che il giudice di merito pur
avendo in sede di merito pronunciato condanna e contestualmente disposto la restituzione dei beni sottoposti a sequestro preventivo dichiarandone l’inefficacia,
allorché sollecitato, rigetti l’immediata esecutività del
provvedimento dando mandato alla propria cancelleria di soprassedere nella restituzione e ciò proprio in
forza di quanto sopra detto e cioè che la sentenza non
è ancora irrevocabile e che il proprio provvedimento
non è immediatamente esecutivo.
Diretta conseguenza di tale orientamento è che in
numerosi uffici giudiziari è invalsa la distorta prassi da
parte delle cancellerie, su palese indicazione dei giudici, di disporre, – in caso di condanna –, la restituzione
dei beni a seconda del fatto che in ordine alla stessa sia
stata aggiunta la specificazione della sua immediatezza
o meno così implicitamente richiamandosi il parametro dell’esecutività o meno di cui all’art. 323, 1° comma, c.p.p.
Come già sopra accennato ciò crea non solo confusione ma rischia di creare danni erariali di non irrilevante portata, danni di cui anche l’autorità giudiziaria
può essere direttamente chiamata a rispondere.
Si pensi, ad esempio, al caso in cui in un procedimento sia stato disposto il sequestro preventivo di
aziende e/o imprese appartenenti a soggetti che sia pur
(parzialmente) assolti ovvero condannati si siano visti
restituire dal giudice beni sui quali, a volte per anni,
è stata esercitata, beninteso legittimamente, l’amministrazione giudiziaria con scelte imprenditoriali direttamente riconnesse alla responsabilità indiretta dell’autorità giudiziaria.
È in questi casi plausibile che un soggetto cui il
giudice ha disposto siano restituiti i beni in sequestro
se li veda trattenuti in vinculis, in tal modo pretermettendolo da scelte imprenditoriali che potrebbero anche pregiudicare la sopravvivenza della stessa?
Se il sacrificio della libertà dell’iniziativa economica, – costituzionalmente garantita –, può essere, in
presenza di determinati presupposti di legge, giustificato appare ben difficile sostenere che, in attesa degli
esiti dei successivi gradi di giudizio, la stessa debba
continuare a soccombere dinanzi ad una pronuncia
con la quale l’A.G. ne ha dichiarato l’inefficacia.
Ancor più risibile appare poi far conseguire la restituzione (materiale) dei beni dal fatto che il giudice ab-
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Tutte le volte in cui il giudice abbia omesso di
provvedere sui beni in sequestro, in un senso o nell’altro, ovvero nel provvedervi non sia stato chiaro nell’espressione della sua volontà, sia su richiesta delle parti
che d’ufficio, – laddove la difficoltà nell’esecuzione gli
venga, ad esempio, palesata dalla propria cancelleria –,
potrà provvedervi con autonoma ordinanza oppure, in
caso di successiva irrevocabilità, con apposito incidente d’esecuzione, da svolgersi nelle forme semplificate
di cui agli artt. 676 e 667, 4° comma, c.p.p.
Se per le suddette decisioni proscioglitive o assolutorie non paiono sussistere problemi applicativi, se
non quelli meramente materiali, gli stessi subentrano
in caso di sentenza di condanna.
In seguito a tali decisioni, difatti, la legge dispone
che «gli effetti del sequestro (preventivo) permangono
quando è stata disposta la confisca delle cose sequestrate».
Tale semplice disposto normativo ha quali diretti
corollari che :
t JONBODBO[BEFMMBQQMJDB[JPOFEFMMBTVEEFUUBNJTVra di sicurezza patrimoniale i beni vanno restituiti;
t MVOJDBFDDF[JPOFBUBMFSFHPMBDJPÒBMMBSFTUJUV[JPne, è che, su richiesta di parte, (e solo per le sentenze di condanna), il vincolo reale può permanere
laddove si disponga il sequestro conservativo di cui
all’art. 316 c.p.p.
in un senso ovvero nell’altro –, ma tale restituzione è
subordinata a due condizioni, e cioè che :
t MB TFOUFO[B EJ DPOEBOOB OPO TJB QJá TPHHFUUB BE
impugnazione (sia irrevocabile);
t JMQSPWWFEJNFOUPOPOjÒJNNFEJBUBNFOUFFTFDVUJvo».
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1. quello in cui sugli stessi è stata disposta la misura
di sicurezza patrimoniale della confisca, – per la cui
applicazione in concreto occorrerà, poi, attendere
l’irrevocabilità della sentenza –;
2. quello in cui, a fini di prova, il giudice, con espressa
statuizione, ha disposto il mantenimento in sequestro di un solo esemplare, restituendo gli altri.
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bia aggiunto, o meno, l’avverbio “immediatamente”.
Purtroppo, proprio a dispetto di quanto in questa
sede sostenuto, la Suprema Corte sulla scia dell’interpretazione restrittiva sopra raffigurata, ha, anche di recente, affermato che «in tema di misure cautelari reali
quando sia intervenuta una sentenza non irrevocabile
di condanna deve escludersi l’esecutività immediata dei provvedimenti restitutori dei beni sottoposti a
sequestro preventivo anche nell’ipotesi in cui non ne
sia stata disposta la confisca potendo quest’ultima intervenire nel successivo grado di merito» – (sez. I, n.
8533/2013).
Il ragionamento dei giudici di legittimità è fondato esclusivamente sul fatto che si è in presenza di una
sentenza di condanna ed il provvedimento restitutorio
di cui all’art. 323 c.p.p. adottato dal giudice, che ha dichiarato l’inefficacia del sequestro preventivo, ben può
trovare riforma nella fase successiva di merito ovvero
in quella esecutiva, laddove si tratti di c.d. confisca obbligatoria.
Tali conclusioni non paiono avallabili per le seguenti ragioni.
Va, in primo luogo, evidenziato che può ben accadere, – e nella prassi applicativa accade spesso –, che le
decisioni siano di natura parziale, e cioè di contestuale
condanna ed assoluzione, con la conseguenza che se
il giudice dispone l’inefficacia della misura cautelare
reale è da ritenere che la stessa sia direttamente ragguagliabile alle ipotesi di reato contestate nel provvedimento cautelare reale per le quali è subentrata la
pronuncia di proscioglimento.
Il problema interpretativo si pone nel caso in cui
nonostante per le ipotesi di cui al provvedimento cautelare reale sia subentrata condanna il giudice abbia,
comunque, disposto la perdita di efficacia del vincolo
e la restituzione dei beni.
In questi casi, ed in tutti quelli in cui si è in presenza di una sentenza di (esclusiva) condanna volere disattendere la pronuncia del giudice in merito all’inefficacia del vincolo reale e della conseguente restituzione
sulla base del fatto che la stessa può essere riformata
«nel successivo grado di merito» appare davvero arbitrario, e ciò per alcune semplici osservazioni.
La prima è che ciò, impropriamente, riguarderebbe
le decisioni di primo grado e non anche quelle di secondo, ben potendo quest’ultime essere annullate con
rinvio dai giudici di legittimità.
La seconda è che tutte le volte in cui il legislatore si
è richiamato alla categoria dell’inefficacia, – categoria
peculiarmente utilizzata nel libro delle misure cautelari (artt. 306, 308, 309, u.c., etc. c.p.p.) –, ha inteso
attribuire alla stessa un’immediata cogenza, pur essendo tali decisioni tutte riformabili: non si comprende
per quali ragioni laddove tali decisioni siano assunte
non più nella fase delle indagini bensì in quella di merito, senz’altro assai più penetrante rispetto all’ipotesi
delittuosa contestata, debbano rimanere depotenziate,
per di più mantenendo in vinculis beni per i quali il
giudice ha disposto che lo stesso non abbia più motivo
di essere.
L’art. 300 c.p.p., – qui citato non casualmente bensì come esatto contraltare dell’art. 323 c.p.p. –, stabilisce tutta una serie di casi in cui le misure cautelari
personali, in presenza di determinate decisioni, anche
in questo caso di assoluzione o non doversi procedere ovvero di condanna, perdono efficacia ed, anche in
questi casi, sebbene le decisioni siano riformabili e,
soprattutto, laddove siano state adottate come conseguenza di sentenze di condanna «ancorché soggette ad
impugnazione» le stesse hanno immediata esecutività.
È di tutta evidenza che l’inefficacia è una categoria
giuridica cui direttamente conseguono degli effetti caducatorii che nessuna norma consente di mantenere in
un inesistente limbo processuale in forza di una possibile riformabilità tenuto conto che, ai sensi dell’art.
579 c.p.p., è prevista anche un’autonoma impugnabilità delle sentenze – siano esse di condanna e/o di
proscioglimento – che dispongono o meno misure di
sicurezza, cui, però, ed in modo assolutamente significativo, non sono riconnessi effetti sospensivi (art. 680
c.p.p.)
Nel momento in cui il giudice di merito pur condannando l’imputato ritiene che il sequestro preventivo perda efficacia non può che prendere in considerazione sia la non confiscabilità dei beni che l’assenza
delle esigenze di cui all’art. 321 c.p.p. con la conseguenza che la restituzione non può che essere immediata.
Se il giudice, pertanto, in sede di dispositivo nel
condannare l’imputato dichiara la cessazione del sequestro preventivo sui beni e ne ordina la restituzione
ha ovviamente valutato, in primis, la non confiscabilità
degli stessi ed, in seconda battuta, la cessazione delle
ragioni poste geneticamente a fondamento del vincolo
per cui ogni mantenimento dello stesso determinerebbe il perpetuarsi di un’illegittima situazione giuridica
– quella del possesso in capo all’autorità giudiziaria
ovvero quella della riconducibilità in capo all’amministrazione giudiziaria – sine titulo.
Occorre, difatti, retoricamente chiedersi se in seguito alla decisione d’inefficacia del sequestro preventivo e contestuale restituzione all’avente diritto i beni
restano nel possesso dell’amministrazione giudiziaria,
e quest’ultima, con l’avallo del giudice, assume decisioni imprenditoriali non solo nefaste ma anche sine
titulo chi ne risponde delle conseguenze in caso di conferma ed irrevocabilità della pronuncia di restituzione
«nel successivo grado di merito»?
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