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Le sanzioni conseguenti all`annullamento del titolo edilizio

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Le sanzioni conseguenti all`annullamento del titolo edilizio
Amministrativa
Giurisprudenza
Titoli abilitativi
Le sanzioni conseguenti
all’annullamento del titolo
edilizio, tra interpretazione
letterale e principi generali
T.A.R. LOMBARDIA, MILANO, sez. II, 6 dicembre 2012, n. 2944 - Pres. De Zotti - Est. Zucchini C.D. c. Comune di Milano ed altri
In caso di annullamento del permesso di costruire per vizi sostanziali, può essere irrogata sanzione pecuniaria
ai sensi dell’art. 38 del Testo Unico dell’Edilizia, nei casi in cui la demolizione (anche solo parziale) finirebbe
per nuocere agli interessi degli incolpevoli condomini dell’edificio abusivo, senza alcun sensibile beneficio per
gli altri interessi pubblici e privati coinvolti.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
In parte, Cons. Stato, sez. IV, 10 agosto 2011, n. 4770
Difforme
T.A.R. Toscana, sez. III, 27 agosto 2012, n. 1479; T.A.R. Milano, sez. II, 18 maggio 2011, n. 1279;
T.A.R. Liguria, sez. I, 5 febbraio 2011, n. 235; T.A.R. Napoli, sez. VIII, 10 settembre 2010, n. 17398;
Cons. Stato, sez. V, 22 maggio 2006, n. 2960
Diritto
1. La definizione della presente impugnativa implica
dapprima un esame dell’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001
(Testo Unico dell’edilizia), articolo posto dal Comune a
fondamento dei propri provvedimenti contestati dalla signora C.
La norma detta una specifica disciplina per il caso di costruzioni realizzate sulla base di un permesso di costruire
ritualmente rilasciato e successivamente annullato e ricalca, quanto al proprio contenuto, l’abrogato art. 11
della L. n. 47/1985, mentre il previgente art. 13, comma
3, della L. n. 765/1967 (c.d. legge ponte), dettava, per il
caso suindicato, una normativa diversa.
Ai sensi del citato art. 38, comma 1, in caso di annullamento del titolo edilizio, occorre in primo luogo procedere alla rimozione dei vizi delle procedure amministrative (se l’annullamento è dovuto a vizi procedimentali nel
rilascio), oppure alla riduzione in pristino, in caso di annullamento per vizi sostanziali.
In caso di impossibilità di rimozione dei vizi o di riduzione in pristino, è prevista l’applicazione di una sanzione
pecuniaria pari al valore venale delle opere o delle loro
parti eseguite abusivamente, valore valutato dall’Agenzia
del Territorio.
In tal caso, la corresponsione integrale della sanzione pe-
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cuniaria produce gli stessi effetti del permesso in sanatoria dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 (cosı̀ il comma 2
dell’art. 38).
Nessun dubbio, neppure in dottrina, che l’art. 38 abbia
introdotto, per i casi di annullamento del titolo edilizio,
una disciplina sanzionatoria complessivamente più mite
rispetto a quella prevista ad esempio per le ipotesi di
opere realizzate in assenza, in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto al titolo originario (cfr. art. 31
del Testo Unico dell’edilizia), per le quali è prevista la
sola sanzione della demolizione, potendosi applicare eccezionalmente la sanzione pecuniaria, in luogo di quella
demolitoria, per i soli interventi in difformità parziale ma non totale - rispetto al permesso di costruire (cfr. art.
34 del Testo Unico dell’edilizia).
La peculiarità dell’art. 38 è giustificata essenzialmente
dalla necessità di tutela dell’affidamento del soggetto
che ha edificato in conformità ad un titolo rivelatosi poi
illegittimo; nel caso di specie, come meglio sarà illustrato, la tutela dell’affidamento si pone con particolare forza nei riguardi dei soggetti che hanno acquistato l’immobile realizzato in base alla concessione edilizia del 2001 e
che hanno successivamente dato vita al Condominio di
via Porpora n. 145.
Certamente, atteso l’evidente interesse pubblico alla rimozione delle opere abusive, la demolizione può apparire, anche in caso di annullamento giurisdizionale di un
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Amministrativa
Giurisprudenza
titolo edilizio per vizi sostanziali, quale conseguenza per
cosı̀ dire ordinaria; tuttavia lo stesso art. 38 ammette
che, seppure con una «motivata valutazione», alla restituzione in pristino si sostituisca la sanzione pecuniaria.
Tale sostituzione presuppone, sempre secondo la norma
citata, che la demolizione «non sia possibile».
La corretta interpretazione della citata nozione legislativa di ‘‘impossibilità’’ ha dato luogo a dibattiti in giurisprudenza e dottrina; per parte di quest’ultima, peraltro,
l’individuazione dei casi di impossibilità non può arrestarsi alla mera impossibilità (o grave difficoltà), tecnica,
potendo anche trovare considerazione ragioni di equità
o al limite di opportunità.
La più recente giurisprudenza amministrativa non pare
in contrasto con tale orientamento; si vedano ad esempio sul punto:
– Cons. Stato, sez. IV, 17 maggio 2012, n. 2852, per il
quale: «Non vi è certamente dubbio che, sulla base del
disposto dell’art. 38, D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 ed in
relazione alla giurisprudenza dominante (da ultimo,
Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1535), nel caso
di opere realizzate sulla base di titolo annullato, la loro
demolizione deve essere considerata quale extrema ratio,
privilegiando, ogni volta che ciò sia possibile, la riedizione del permesso di costruire emendato dai vizi riscontrati»;
– T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 13 gennaio 2012, n. 187:
«(...) il citato art. 38 rappresenta ‘‘speciale norma di favore’’ (T.A.R. Campania Napoli sez II 14 febbraio 2011,
n. 932) che differenzia sensibilmente la posizione di colui che abbia realizzato l’opera abusiva sulla base di titolo
annullato rispetto a coloro che hanno realizzato opere
parimenti abusive senza alcun titolo (Cons. Stato, Ad.
Plen., 23 aprile 2008, n. 4, T.A.R. Campania, Napoli,
sez II, 14 febbraio 2011 n. 932), tutelando l’affidamento
del privato a poter conservare l’opera realizzata. In tale
ambito, a seguito di annullamento giurisdizionale di titolo abilitativo edilizio - secondo il prevalente indirizzo
giurisprudenziale da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi - l’Amministrazione non può dirsi vincolata ad
adottare misure ripristinatorie, dovendo anzi tale scelta
tipicamente discrezionale essere adeguatamente motivata
(T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez I, 11 marzo 2008, n. 157,
Cons. Stato, sez IV, 16 marzo 2010, n. 1535) quale ‘‘extrema ratio’’ (Cons. Stato, sez IV, 16 marzo 2010, n.
1535) privilegiando ogni volta che ciò sia possibile, la
riedizione del permesso di costruire emendato dai vizi riscontrati (Cons. Stato, sez IV, 10 aprile 2008, n.
1546)».
Il quadro normativo e giurisprudenziale sopra riportato
deve essere tenuto in considerazione ai fini della soluzione della presente controversia.
1.1 Nel primo motivo del ricorso principale, si lamenta
la violazione degli artt. 3 e 10 della L. n. 241/1990, in
quanto il Comune di Milano non avrebbe tenuto in
considerazione le memorie redatte dalla signora C. nel
procedimento poi sfociato nel provvedimento impugnato.
La censura deve respingersi, in quanto nell’atto finale
gravato - ed in quelli anteriori del procedimento - è data
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adeguata ragione della scelta dell’Amministrazione di
Milano di non procedere alla demolizione dell’edificio di
cui è causa, ma di applicare la sanzione pecuniaria di cui
al più volte citato art. 38; a questo punto la mancata
menzione nel provvedimento finale delle memorie presentata in sede procedimentale dalla ricorrente non assume rilievo dirimente, essendo comunque completa e sufficiente la motivazione del provvedimento, da desumersi
non solo dal testo dell’atto impugnato (doc. 2 della ricorrente), ma anche dai pregressi atti endoprocedimentali ed istruttori, versati in giudizio dalla difesa comunale
(sulla rilevanza, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo motivazione ex art. 3 L. n. 241/1990, di tutti gli atti del
procedimento, si veda, fra le più recenti, C.G.A. Regione Sicilia, 29 marzo 2012, n. 364).
1.2 Nel secondo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001, in quanto il Comune
avrebbe irrogato la sanzione pecuniaria, anziché ordinare
la demolizione dell’intero edificio, dopo l’annullamento
della concessione edilizia del 2001 ad opera del decreto
di accoglimento del ricorso straordinario.
Sulla questione, occorre in primo luogo richiamare
quanto sopra esposto al punto 1 in merito all’interpretazione da darsi all’art. 38 del Testo Unico dell’edilizia.
Nel caso di specie, poi, la scelta del Comune di Milano
di non procedere alla demolizione della costruzione, pur
a fronte dell’intervenuto annullamento del titolo in sede
di ricorso straordinario, non appare né illogica né sfornita di motivazione, per le seguenti ragioni.
In primo luogo, deve rilevarsi che il parere della Sezione
II del Consiglio di Stato del 30 giugno 2004 (al quale
era conseguito l’annullamento della concessione edilizia
del 2001), aveva ravvisato fondata in primo luogo la
censura attinente al mancato rispetto, in sede di rilascio
della concessione, dell’indice di fabbricabilità fondiaria,
fissato in 3 mc/mq, per cui era stata autorizzata una costruzione di circa 2.906 metri cubi in luogo di una cubatura massima assentibile sull’area di 2.706 metri cubi
(cfr. doc. 12 del Comune, pag. 3 del parere).
Da tale eccedenza volumetrica - di circa 200 metri cubi
- discendevano, sempre secondo il Consiglio di Stato, la
qualificazione dell’intervento oggetto della concessione
come ‘‘nuova costruzione’’ e non ‘‘ristrutturazione’’, il difetto di istruttoria e di motivazione in cui era incorsa
l’Amministrazione, oltre all’illegittima inosservanza, da
parte degli Uffici comunali, del parere negativo al rilascio della concessione, dato del Consiglio di Zona 3 (cfr.
ancora il doc. 12 del Comune oppure il doc. 16 della ricorrente).
A fronte dell’intervenuto annullamento del titolo edilizio originario, il Comune di Milano ha chiesto nuovamente il parere del competente Consiglio di Zona sulla
legittimità dell’adozione di una sanzione pecuniaria ai
sensi dell’art. 38 in luogo della demolizione ed ha ottenuto un nuovo parere, questa volta favorevole alla proposta degli Uffici.
Nella seduta del 23 ottobre 2008, il Consiglio di Zona 3
ha espresso - infatti - parere positivo (cfr. doc. 1 della ricorrente), non ritenendo opportuno, dopo l’annullamento della concessione edilizia originaria, dare adito a con-
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seguenze che possano arrivare sino all’abbattimento dell’edificio, chiedendo soltanto che gli oneri di urbanizzazione ancora da versare siano destinati alla costruzione
del parcheggio di piazza Monte Titano (cfr. ancora il citato doc. 1 dell’esponente).
Il carattere positivo del parere non viene meno per il
fatto che il Consiglio di Zona ha espresso un giudizio
estetico negativo sui balconi del nuovo edificio; ciò che
rileva - infatti - è la valutazione finale, per la quale le ragioni ostative alla demolizione (quali ad esempio l’adeguato numero di box nella nuova costruzione), superano
di gran lunga quelle di segno contrario.
Attraverso il nuovo parere positivo del Consiglio di Zona 3 è stato rimosso il vizio di carattere procedimentale
che inficiava la concessione del 2001 (e cioè la violazione del parere allora negativo del medesimo Consiglio di
Zona); quanto al problema dell’eccedenza volumetrica
effettivamente riscontrata nel nuovo edificio, l’Amministrazione comunale ha necessariamente tenuto conto
delle seguenti circostanze:
– l’edificio realizzato è ormai costituito da un Condominio, appunto quello di via Porpora 145/147, quindi un
nuovo soggetto giuridico che non è stato parte del giudizio derivante dalla proposizione del ricorso straordinario
e che deve ovviamente ritenersi estraneo ai vizi costruttivi rilevati dal Consiglio di Stato (da imputarsi semmai
alla società dante causa del Condominio); non pare dubbio che la tutela dell’affidamento del privato incolpevole
valga nei riguardi del Condominio e dei singoli condomini, il cui interesse al mantenimento dell’edificio non
può essere totalmente disconosciuto dall’Amministrazione.
– La zona ove è collocato l’edificio ha destinazione B 1
R residenziale (cfr. doc. 5 della ricorrente e doc. 21 del
Comune), al pari dell’edificio stesso, avente una superficie per la maggior parte residenziale e per la restante terziaria (cfr. docc. 21 e 21 a del Comune), sicché la nuova
costruzione si inserisce senz’altro in una zona residenziale
e densamente urbanizzata, non parendo quindi in contrasto con quest’ultima.
– Il Consiglio di Stato, nel proprio parere, ha rilevato
una eccedenza volumetrica, rispetto alla cubatura massima assentibile di 2.706 metri cubi, di circa 200 metri cubi.
– L’attuale situazione del Condominio (cfr. doc. 15 del
Comune, con l’annessa documentazione fotografica), è
quella di un edificio con 64 unità immobiliari, di cui 47
autorimesse, destinate a soddisfare le esigenze di parcheggio non solo dei soggetti ivi residenti (dieci nuclei
familiari oltre agli occupanti di due uffici e cinque magazzini), ma anche di altri abitanti della zona, non dimoranti nel Condominio, sicché le autorimesse in esso collocate finiscono per coprire il fabbisogno di ‘‘standard’’
anche di residenti negli stabili vicini.
In questa situazione, la demolizione, anche solo parziale
(laddove tecnicamente realizzabile, visto che non appare
chiaro quale porzione dovrebbe essere demolita e con
quali modalità ed accorgimenti per non arrecare danno
alle parti rimanenti), finirebbe per nuocere non solo all’interesse degli incolpevoli condomini, ma anche al
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pubblico interesse alla realizzazione ed al reperimento
del sufficiente numero di parcheggi; tutto ciò a fronte
dell’interesse della ricorrente, che lamenta una diminuzione del valore del proprio immobile fiancheggiante
quello di cui è causa, per la presunta mancanza di luce
ed aria che deriverebbe dalla nuova costruzione.
Gli eventuali danni cagionati dal nuovo edificio potranno in ogni caso trovare ristoro in sede di giurisdizione
ordinaria, peraltro già adita dalla ricorrente, essendo
pendente un contenzioso davanti al Tribunale ordinario
di Milano (cfr. doc. 4 della società Solaria, vale a dire la
relazione depositata dal Consulente Tecnico d’Ufficio
nel giudizio civile davanti al Tribunale di Milano, relazione che peraltro esclude la configurabilità di un danno
risarcibile in capo all’esponente per effetto dell’intervenuta edificazione).
In sede amministrativa, la scelta comunale di dare applicazione all’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001, con esclusione della sanzione demolitoria, appare quella maggiormente rispettosa di tutti gli interessi coinvolti nella presente controversia ed anche del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, di diretta derivazione
dal diritto dell’Unione Europea, principio che impone
all’Amministrazione il perseguimento del pubblico interesse col minor sacrificio possibile dell’interesse privato
(su tale principio, si veda, fra le più recenti, Cons. Stato,
sez. V, 6 settembre 2012, n. 4733).
Ciò premesso, deve rigettarsi il secondo motivo del ricorso principale.
1.3 Nel terzo motivo, si evidenzia come non vi sarebbe
alcuna ragione di pubblico interesse per non effettuare
la demolizione, ma anche tale censura appare infondata,
alla luce di quanto già sopra esposto al punto 1.2, al quale ci si permette di rinviare.
1.4 Nel quarto motivo, si lamentano ancora la presunta
violazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001 e la carenza motivazionale del provvedimento comunale, seppure
sotto differenti profili, che appaiono però tutti infondati.
In particolare, la mancata demolizione, nel caso di specie, non appare rivolta alla tutela esclusiva di una parte
privata, come sostiene invece la ricorrente: sulla questione si consenta ancora di rinviare al punto 1.2, rimarcando ancora che la determinazione del Comune appare
ispirata al contemperamento degli interessi - pubblici e
privati - coinvolti nella vicenda.
Neppure può sostenersi la mancanza di idonea istruttoria, visto che l’Amministrazione ha valutato l’attuale situazione dell’edificio e della zona (cfr. i documenti del
Comune già sopra indicati al punto 1.2).
Da ultimo, si ribadisce che, quanto meno nel caso di
specie, non è stata data alcuna interpretazione ‘‘abrogante’’ dell’art. 38 citato, vista anche la corretta interpretazione di quest’ultimo, come riportata al pregresso punto
1.
In conclusione, deve rigettarsi l’intero quarto motivo.
1.5 Nel quinto motivo, si sostiene in primo luogo l’illogicità della scelta del Comune di qualificare l’intervento
edilizio di cui è causa, ai fini dell’applicazione dell’art.
38 del D.P.R. n. 380/2001, come intervento in parte di
ristrutturazione ed in parte di nuova costruzione, doven-
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Giurisprudenza
do invece la qualificazione essere unitaria; secondariamente si denuncia la presunta erroneità dell’affermazione
contenuta nel parere del Consiglio di Zona 3, secondo
cui la costruzione di cui è causa eccederebbe la superficie
fondiaria di zona di metri quadrati 64,95.
A detta dell’esponente, infatti, occorrerebbe ricomprendere in detta superficie altre aree dell’edificio, oltre all’appartamento ricavato dal piano sottotetto nel corso
dei lavori.
Il problema della corretta qualificazione dell’intervento
edilizio, poi oggetto dell’impugnato provvedimento ex
art. 38 del D.P.R. n. 380/2001, deve ovviamente prendere le mosse dal parere del Consiglio di Stato, favorevole all’accoglimento del ricorso straordinario, che ha
qualificato l’intervento stesso, attesa la più volte ricordata eccedenza volumetrica, come ‘‘nuova costruzione’’
(cfr. doc. 16 della ricorrente).
L’Amministrazione comunale, al termine del più volte
richiamato procedimento per l’applicazione dell’art. 38
del Testo Unico, ha in effetti, nel provvedimento finale
impugnato con i motivi aggiunti (cfr. doc. 3 della ricorrente), scisso - per cosı̀ dire - l’intervento edilizio ai fini
della sua definizione, qualificando parte di esso come ‘‘ristrutturazione edilizia ed ampliamento’’ ai sensi degli
artt. 66.3.2 e 67.1.1 del regolamento edilizio comunale.
Orbene, non appare questa la sede per ricordare dettagliatamente il complesso dibattito apertosi nella Regione
Lombardia sulla nozione di ‘‘ristrutturazione edilizia’’ e
sulla sua differenza con quella di ‘‘nuova costruzione’’,
vista la particolarità della legislazione regionale lombarda (in particolare, l’art. 27 della legge regionale sul governo del territorio 12/2005); preme peraltro ricordare
che la questione è stata definitivamente risolta dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 309/2011 (successiva alla vicenda di cui è causa, nella quale l’atto da ultimo impugnato coi motivi aggiunti è del 9 febbraio
2010), che ha distinto con chiarezza le due figure, escludendo che la demolizione con successiva ricostruzione
senza il rispetto del vincolo di sagoma o di volume possa
qualificarsi correttamente come ‘‘ristrutturazione’’.
Nel caso di specie, tuttavia, non appare in discussione la
circostanza che l’opera realizzata presenti una eccedenza
volumetrica rispetto agli indici urbanistici, il che ha indotto il Comune alla scelta dell’applicazione dell’art. 38
citato (in caso di conformità dell’opera agli strumenti urbanistici, infatti, sarebbe stato presumibilmente applicato l’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 sulla sanatoria edilizia
per la cd. doppia conformità dell’intervento costruttivo);
a questo punto, la determinazione comunale di applicare
la sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria pare prescindere dalla qualificazione dell’intervento, che finisce per assumere una importanza tutto sommato secondaria.
Quand’anche, infatti, il Comune dovesse qualificare l’intervento interamente come ‘‘nuova costruzione’’, ciò
non vanificherebbe le ragioni di pubblico interesse e di
equo contemperamento degli interessi coinvolti che
hanno indotto l’Amministrazione di Milano a non disporre la demolizione del manufatto.
Ovviamente, la qualificazione di un intervento come
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‘‘nuova costruzione’’ oppure ‘‘ristrutturazione’’ assume rilevanza fondamentale nei casi di rilascio di un nuovo titolo edilizio oppure di impugnazione del medesimo da
parte di terzi; nel caso però di annullamento di un titolo
edilizio a fronte di un’opera già completata - come nella
presente fattispecie - l’accertata abusività di tutto o parte
dell’opera realizzata può giustificare l’applicazione della
sanzione pecuniaria ex art. 38 citato, a prescindere dalla
qualificazione di cui sopra (qualificazione resa problematica, nel caso di specie, dal complesso svolgersi della legislazione regionale sull’argomento).
Per quanto riguarda, poi, la quantificazione della superficie fondiaria in eccedenza, devono certamente escludersi
dalla stessa le superfici irrilevanti ai fini urbanistici secondo il vigente regolamento edilizio, fra le quali quelle
dei piani interrati o seminterrati privi di agibilità, secondo la previsione dell’art. 10 del regolamento edilizio (cfr.
doc. 36 della ricorrente).
In ordine poi al recupero del sottotetto ed in genere alle
opere in variante della concessione edilizia poi annullata
in sede di ricorso straordinario, non può essere accolta
l’asserzione difensiva di parte ricorrente, secondo cui tutte le varianti sarebbero state per cosı̀ dire automaticamente travolte dall’annullamento del titolo originario.
Infatti, talune di queste varianti sono espressamente qualificate come ‘‘essenziali’’, mentre altre, pur se qualificate
come ordinarie, sono state però realizzate dopo il completamento di variazioni edilizie essenziali ed è assodato
in giurisprudenza che il titolo abilitativo inerente ad una
variante essenziale deve essere oggetto di autonoma impugnazione (cfr. fra le più recenti, T.A.R. Abruzzo, Pescara, 7 maggio 2012, n. 200).
In particolare, costituisce variante essenziale quella di
cui alla denuncia di inizio attività (DIA) del 20 dicembre 2001, prot. 47151.176, comportante aumento della
superficie coperta, mai impugnata dalla ricorrente (cfr.
doc. 7 del Comune) ed anche la variante di cui alla
DIA n. 1218/2002 per il recupero del sottotetto di cui è
fatto cenno nel quinto mezzo di gravame è stata qualificata, nonostante un primo diverso avviso, come ‘‘essenziale’’, perché avente un oggetto non compreso nelle
opere precedenti (cfr. doc. 10 del Comune ed in particolare la nota manoscritta in calce del modello).
Orbene, tenuto conto che tali varianti essenziali non sono state ritualmente contestate dalla ricorrente, attraverso tempestivo ricorso giurisdizionale, non appaiono ammissibili doglianze attuali nei loro riguardi, né può sostenersi che i titoli ad esse relativi abbiano perso efficacia
per effetto dell’intervenuto annullamento della concessione edilizia del 2001.
In conclusione, deve rigettarsi anche il quinto motivo
del ricorso principale.
2.1 Nel primo motivo aggiunto (rubricato al n. 6), è denunciato l’eccesso di potere per illegittimità derivata dagli atti impugnati col ricorso principale; attesa però l’infondatezza di quest’ultimo, per le ragioni suesposte, neppure il primo motivo aggiunto merita accoglimento.
2.2 Il secondo motivo aggiunto (rubricato al n. 7), ricalca sostanzialmente il primo mezzo del ricorso principale,
visto che nello stesso si lamenta la presunta violazione
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del combinato disposto degli artt. 3 e 10 della L. n. 241/
1990.
Anche tale censura deve però respingersi, per quanto già
sopra esposto al punto 1.1 della presente narrativa in diritto, al quale il Collegio si permette di rinviare per ragioni di economia espositiva.
2.3 Il terzo motivo aggiunto (rubricato al n. 8), è assai
articolato ed è rivolto contro il provvedimento finale
del procedimento amministrativo ex art. 38 citato, adottato dal Direttore di Settore il 9 febbraio 2010 (cfr. doc.
4 della ricorrente).
Con tale atto, il Comune, oltre a confermare quanto già
disposto sull’applicazione dell’art. 38 alla presente fattispecie (cfr. il provvedimento gravato col ricorso principale), ha irrogato alla società Solaria s.r.l. la sanzione cosı̀ come quantificata dall’Agenzia del Territorio (pari ad
euro 160.888,00) ed ha contestualmente rideterminato,
vista l’effettiva consistenza dell’edificio, gli importi dovuti a titolo di contributo di costruzione (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, ex art. 43 della L.R. n.
12/2005).
Attraverso il provvedimento finale oggetto dei motivi
aggiunti si sono prodotti, come del resto previsto espressamente dall’art. 38, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001,
gli effetti del permesso in sanatoria di cui all’art. 36 del
medesimo D.P.R., nel senso che la costruzione di cui alla
concessione edilizia del 2001, poi annullata in sede di ricorso straordinario, deve reputarsi ad oggi ‘‘sanata’’, il
che equivale ad affermare che nessuna misura sanzionatoria può ormai più essere adottata pur a fronte dell’annullamento della concessione del 2011, essendo intervenuto l’integrale pagamento della sanzione pecuniaria.
L’edificio, quindi, nonostante l’accertata eccedenza volumetrica di circa 200 metri cubi di cui è stato fatto cenno
più volte precedentemente, deve reputarsi ormai come
legittimamente esistente.
Ciò premesso, al primo punto dell’ottavo motivo
(8.a.1), si sostiene che il parere del Consiglio di Zona
del 23 ottobre 2008 (cfr. doc. 1 della ricorrente), sarebbe stato travisato dal Comune, al momento dell’adozione del provvedimento finale del procedimento ex art. 38
citato.
Il mezzo è palesemente infondato, visto che il Consiglio
di Zona si è in realtà espresso nel senso di escludere la
demolizione dell’edificio e di conseguenza di doversi applicare l’art. 38 citato: del resto la stessa ricorrente ha
espressamente impugnato tale parere con il gravame
principale, censurando la scelta del Consiglio di Zona di
avallare la scelta dell’applicazione dell’art. 38 come effettuata dal Comune di Milano.
Parimenti infondato è il punto 8.a.2), nel quale si sostiene che il Comune avrebbe addirittura disatteso il parere
del Consiglio di Zona, il che appare assurdo, visto che si
tratta di un parere positivo.
Non si comprende poi il richiamo al parere della Commissione per il paesaggio, visto che non risulta alcun
vincolo paesaggistico sull’area.
Al punto 8.b.1), si sostiene che il provvedimento comunale oggetto dei motivi aggiunti violerebbe il principio
di tipicità dei provvedimenti amministrativi.
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È stato però già sopra evidenziato come il provvedimento comunale del 9 febbraio 2010 (al di là del nomen iuris
utilizzato dagli uffici comunali, non vincolante in ogni
caso per il giudice e di eventuali imprecisioni terminologiche), costituisce quello finale del procedimento ex art.
38 D.P.R. n. 380/2001 avviato dal Comune dopo l’annullamento dell’originaria concessione edilizia: in esso si
conferma la scelta dell’Amministrazione di non procedere alla demolizione, neppure parziale, del fabbricato, si
irroga la sanzione pecuniaria nella misura prevista dall’Agenzia del Territorio, si ridetermina il contributo di
costruzione, con l’effetto finale di ‘‘sanatoria’’ dell’edificio, cosı̀ come previsto dall’art. 38, comma 2 già sopra
ricordato.
Anche il punto 8.b.1) è quindi infondato.
Nel punto 8.b.2) si sostiene che l’istanza del 14 marzo
2008 con la quale la società Solaria s.r.l. ha chiesto l’applicazione dell’art. 38 (cfr. doc. 16 del Comune), non sarebbe stata sottoscritta dal legale rappresentante della società.
La censura è palesemente infondata, visto che il procedimento ex art. 38 può essere avviato anche d’ufficio, come del resto pare essere stato fatto nella presente fattispecie dal Comune di Milano (cfr. doc. 13 di quest’ultimo).
Al punto 8.b.3), viene denunciata ancora la presunta erroneità della doppia qualificazione (nuova costruzione e
ristrutturazione), dell’intervento edilizio di cui è causa,
effettuata dal Comune nei propri atti.
Sulla questione, a conferma del rigetto di tale censura,
preme al Collegio richiamare, per economia espositiva,
quanto già sopra esposto nella presente narrativa al punto 1.5.
Nel punto 8.b.4), si ricalca la doglianza di cui al motivo
n. 5 del ricorso principale, circa la presunta violazione di
talune norme del regolamento edilizio, vista l’eccedenza
del volume dell’edificio rispetto all’indice di zona.
Anche su tale problematica, si consenta però al Collegio
di richiamare il punto 1.5 della presente pronuncia, circa
l’infondatezza di tale doglianza.
Al punto 8.c.1), l’esponente ripropone sostanzialmente
le censure già svolte nel ricorso principale, circa l’erronea interpretazione che sarebbe stata data dal Comune
di Milano all’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001, che a detta
dell’esponente imporrebbe, perlomeno nel caso di specie, la demolizione dell’edificio realizzato in base alla
concessione edilizia del 2001, oggetto di annullamento
in sede di ricorso straordinario.
Anche a fronte di tale doglianza, che ricalca quanto già
esposto, il Collegio si permette di rinviare ai passaggi
pregressi della presente narrativa in diritto ed in particolare al punto 1 (sull’interpretazione dell’art. 38 citato)
ed al punto 1.2 (sulla corretta applicazione al caso di
specie del medesimo art. 38).
Di conseguenza, vanno rigettate anche le censure del
punto 8.c.1).
Nel punto 8.c.2), si denuncia il presunto carattere irrisorio della sanzione pecuniaria irrogata, determinata dall’Agenzia del Territorio di Milano in euro 160.888,00
(cfr. il doc. 3 della ricorrente, vale a dire la relazione di
723
Amministrativa
Giurisprudenza
stima del 12 maggio 2009 a cura della medesima Agenzia).
Tale mezzo deve essere trattato unitamente ai successivi
punti 8.c.3) ed 8.c.4), volti a censurare specificamente
l’ammontare della sanzione.
L’Agenzia del Territorio ha tenuto conto di una superficie in eccedenza rispetto a quanto assentibile in base agli
indici di zona, di 61,88 metri quadrati, cifra moltiplicata
per un valore unitario di euro 2.600 al metro quadrato,
per cui 2.600 x 61,88 = 160.888 (cfr. ancora il doc. 3
della ricorrente).
La superficie sopra indicata (61,88 mq), corrisponde ad
una volumetria di 185,64 metri cubi, visto che l’indice
fondiario di zona è fissato dagli strumenti urbanistici in
3 mc/mq (cfr. il doc. 5 della ricorrente, vale a dire l’art.
19 delle NTA del PRG per le zone B 1 come quella di
cui è causa); si ricordi che il Consiglio di Stato, nel proprio parere favorevole all’accoglimento del ricorso al Capo dello Stato, aveva rilevato un eccedenza volumetrica
di circa 200 metri cubi (cfr. doc. 16 della ricorrente,
pag. 3).
Ciò premesso, non può accogliersi la tesi difensiva della
ricorrente, che vorrebbe commisurare l’entità della sanzione all’intera volumetria dell’edificio; si tratta di una
conclusione non solo contraria alla lettera della legge
(l’art. 38 impone che la sanzione pecuniaria sia pari al
valore venale «... delle opere o loro parti abusivamente
eseguite», ammettendo cosı̀ anche che la sanzione possa
commisurarsi ad un porzione di una intera costruzione),
ma anche alla ‘‘ratio’’ della medesima.
Nel caso di specie, non è certo fuori discussione l’edificabilità dell’area ove sorge l’edificio e la sua vocazione
residenziale: ciò che viene in rilievo è un aumento del
volume rispetto a quello massimo determinabile sulla base dell’indice edificatorio di zona.
Ad avviso contrario non induce la circostanza che, in
accoglimento del ricorso straordinario, la concessione
edilizia del 2001 sia stata interamente annullata.
Il parere del Consiglio di Stato, infatti, deve essere letto
integralmente, non limitandosi alla sola parte dispositiva
(‘‘PQM’’), ma anche - se non soprattutto - alla ampia
parte motivazionale, dalla quale si desume con estrema
chiarezza che l’illegittimità del titolo edilizio del 2001 si
collega non certo all’inedificabilità assoluta della zona,
bensı̀ ad una eccedenza del volume rispetto a quello assentibile.
Ancora sulla determinazione della volumetria, non possono che richiamarsi le considerazioni già sopra svolte al
punto 1.5 circa l’irrilevanza della superficie (e dei connessi volumi) dei locali sotterranei ai sensi dell’art. 10
del regolamento edilizio comunale (cfr. doc. 36 della ricorrente) e circa l’impossibilità di contestazioni delle varianti essenziali al progetto originario (tra cui quella del
2002 per il recupero del sottotetto, cfr. doc. 10 del Comune), mai ritualmente impugnate dall’esponente; senza
contare che, sempre ai fini della quantificazione del volume nel caso di recupero dei sottotetti, la disciplina regionale (L.R. n. 15/1996 e successive modifiche), prevedeva che il recupero potesse avvenire anche in deroga
agli indici e parametri urbanistici ed edilizi, per cui sarebbe assurdo quantificare la sanzione pecuniaria ex art.
38 citato computando la maggiore volumetria di un intervento ammesso dalla legge e mai contestato ritualmente dalla ricorrente.
Ciò premesso, anche i suddetti punti dell’ottavo motivo
non meritano condivisione.
L’ultima parte (8.c.5), del mezzo è volta a denunciare
come nel provvedimento impugnato mancherebbe il termine per il versamento della sanzione pecuniaria.
La censura è però smentita per tabulas, visto che il Comune (cfr. suo documento 23/A), ha espressamente indicato alla società Solaria s.r.l. il termine e le modalità
per il versamento sia della sanzione pecuniaria sia del
supplemento di contributo di costruzione.
In conclusione, deve respingersi interamente anche il ricorso per motivi aggiunti.
3. La peculiarità e la complessità delle questioni sottese
alla presente controversia inducono il Collegio a compensare interamente fra le parti le spese di lite.
IL COMMENTO
di Raffaele Micalizzi *
La pronuncia in commento offre interessanti spunti per una sintetica disamina sull’art. 38, D.P.R. 6 giugno
2001, n. 380 e sulla sua concreta applicazione. La sentenza, che solo apparentemente segue un filone giurisprudenziale già radicato, propone una lettura della norma estremamente avanzata ed innovativa, che si
può riconnettere ai noti principi della discrezionalità tecnica ed amministrativa, della ragionevolezza, della
proporzionalità.
La vicenda: annullamento del permesso
di costruire per vizi sostanziali
ed irrogazione della sanzione sanante
La vicenda nasce da una concessione edilizia
rilasciata nel 2001, riguardante la ristrutturazione
724
‘‘fuori sagoma’’ di tre edifici di cospicue dimensioNota:
* Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione di un referee.
Urbanistica e appalti 6/2013
Amministrativa
Giurisprudenza
ne (due di ben sette piani fuori terra; il terzo, da
adibirsi ad autorimessa, di due piani) (1). A seguito del ricorso straordinario presentato da
un’inquilina dello stabile a fianco, il Capo dello
Stato decretava l’annullamento del titolo edilizio,
rilevando un’eccedenza di circa 200 mc. rispetto
alla volumetria massima assentibile sul compendio. L’annullamento, pertanto, non era disposto
per illegittimità meramente formali o procedurali,
ma per obiettivo contrasto tra la normativa urbanistica vigente e gli edifici realizzati. In altri termini, l’Amministrazione aveva erroneamente assentito un intervento che, comportando un aumento della cubatura, avrebbe dovuto essere qualificato come nuova costruzione e, come tale, respinto. In base alle disposizioni di piano, infatti,
sul lotto non residuava alcuna capacità edificatoria.
Il provvedimento del Capo dello Stato interveniva nel maggio del 2005, a circa 4 anni dal rilascio
del titolo e - come si intuisce dalla ricostruzione in
fatto - ad opere ormai concluse, con alcune unità
immobiliari già alienate a terzi.
Ponderati gli interessi in gioco, il Comune ha reputato sproporzionato il ricorso alla sanzione rispristinatoria e, in applicazione dell’art. 38, D.P.R. 6
giugno 2001, n. 380 (T.U. edilizia), ha proceduto
ad irrogare la sola sanzione pecuniaria sanante. Il
TAR di Milano, con l’interessante sentenza che ci
si appresta ad analizzare, ha respinto le doglianze
della ricorrente ed ha affermato la legittimità del
provvedimento.
La normativa di riferimento
L’art. 38, D.P.R. n. 380/2001 disciplina le conseguenze dell’annullamento del permesso di costruire,
o della DIA (2).
Per quanto concerne l’ambito di applicabilità
della disposizione, la stessa non distingue tra i casi
di annullamento a seguito di esercizio del generale
potere di autotutela dell’Amministrazione (ex art.
21-nonies, L. 7 agosto 1990, n. 241) ed i casi di annullamento ad opera del Giudice Amministrativo o
del Capo dello Stato. La giurisprudenza ormai pacifica ne ha confermato l’applicabilità ad ambedue le
fattispecie (3).
Neppure sembra dare adito a particolari incertezze il coordinamento dell’art. 38 con le altre disposizioni del Testo Unico inerenti i procedimenti sanzionatori degli abusi edilizi.
Nel caso di costruzione eseguita in assenza di titolo abilitativo, o in totale difformità dallo stesso, si
Urbanistica e appalti 6/2013
applicano, a seconda della natura dell’intervento,
gli artt. 31 e 33. Qualora l’intervento sia comunque
conforme alla normativa urbanistico-edilizia al momento della realizzazione dello stesso e della presentazione della domanda di sanatoria, il privato può
ottenere un titolo ex post ai sensi degli artt. 36 e
37 (4). Nel diverso caso di intervento realizzato in
parziale difformità dal titolo trova invece applicazione l’art. 34, che consente l’irrogazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria,
ma solo qualora quest’ultima risulti impossibile
«senza pregiudizio della parte eseguita in conformità».
Interrogativi interpretativi di non poco momento riguardano, invece, la corretta individuazione
della sanzione applicabile, nel caso di annullamento del permesso di costruire. L’annullamento del titolo comporta la sua preesistenza, e, di conseguenza, la necessità di considerare la posizione del privato che su tale titolo (seppur viziato) ha riposto affidamento (5).
In breve, i rimedi offerti dall’art. 38 sono tre.
In primo luogo, se l’annullamento è stato disposto per meri «vizi delle procedure amministrative»,
l’Amministrazione dovrà procedere senz’altro alla
Note:
(1) La ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione del manufatto senza vincolo di sagoma - con il solo rispetto, cioè, della volumetria preesistente - era consentita, in Lombardia, dal controverso art. 27, comma 1, lett. d), L.R. 11 marzo
2005, n. 12, e prima ancora da alcuni regolamenti edilizi comunali. La disposizione citata è stata dichiarata incostituzionale da
Corte cost., 23 novembre 2011, n. 309, in questa Rivista, 2012,
3, 299 con commento di A. Mandarano.
(2) Il comma 2-bis dell’art. 38 (aggiunto dall’art. 1, comma 1,
lett. o), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 301) estende anche alla
DIA la disciplina originariamente prevista solo per il permesso di
costruire. Detto articolo, per il resto, ricalca sostanzialmente il
dettato del previgente art. 11, L. 28 febbraio 1985, n. 47.
(3) Ex multis, T.A.R. Sardegna, 26 luglio 2004, n. 1169.
(4) Sulla questione della ‘‘doppia conformità’’ cfr. G.C. Mengoli,
Manuale di diritto urbanistico, Milano, 2009, 1155 ss., e giurisprudenza e dottrina ivi citate.
(5) L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza
n. 4 del 23 aprile 2009, ha chiarito che «la situazione di affidamento si configura solamente nei confronti dell’annullamento in
sede amministrativa e non in sede giurisdizionale». Qualora l’annullamento in autotutela riguardi una DIA, peraltro, l’effettiva
sussistenza di un affidamento da parte del privato andrebbe vagliata con maggiore attenzione. Si consideri, ad esempio, che,
ai sensi dell’art. 23 del T.U. edilizia, gli uffici comunali hanno a
disposizione solo 30 giorni per visionare e valutare gli elaborati
di cui alla denuncia, prima che la stessa si consolidi definitivamente. Inoltre, mediante la SCIA, che ha ormai sostituito la DIA
anche in edilizia, i lavori possono essere avviati contestualmente alla segnalazione (art. 19, L. n. 241/90). Da ultimo si segnala
che nella Regione Lombardia è stabilito il principio della piena
fungibilità tra DIA e permesso di costruire (art. 41, L.R. Lombardia n. 12/2005).
725
Amministrativa
Giurisprudenza
rimozione degli stessi (6), al fine di conformare la
situazione esistente in fatto con la fattispecie astratta. In tali ipotesi, a ben vedere, la norma non prevede alcuna sanzione per il privato, neppure nel caso in cui il vizio sia derivato da sua negligenza.
La seconda possibilità è quella di ordinare «la restituzione in pristino». Sebbene la lettera della legge possa apparire ambigua, è pacifico che tale rimedio non rappresenti una semplice alternativa alla
regolarizzazione formale, rimessa alla valutazione discrezionale dell’Amministrazione. La sanzione reale
si pone cioè nei confronti della rimozione dei vizi
procedurali in un rapporto di extrema ratio, intervenendo solo laddove questa non sia possibile (sul
punto si tornerà infra).
Infine, se anche la restituzione in pristino dovesse risultare impossibile, l’Amministrazione dovrà irrogare «una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite,
valutato dall’agenzia del territorio», l’integrale corresponsione della quale «produce i medesimi effetti
del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36» (7).
Tornando al caso di specie, la rimozione dei vizi
delle procedure amministrative non era in alcun
modo plausibile, atteso che la concessione edilizia è
stata annullata per vizi sostanziali, consistenti nel
contrasto dell’edificio con le previsioni di piano.
L’Amministrazione ha perciò vagliato la possibilità
di irrogare una sanzione reale.
Per determinare se la stessa fosse ‘‘possibile’’ o
meno, tuttavia, il Comune è dovuto ricorrere ad
un’attività interpretativa connotata da una certa discrezionalità. In altri termini, l’impossibilità si può
intendere in senso più concreto e materiale, riferendosi, ad esempio, al rischio di arrecare gravi danni
agli edifici adiacenti (o, nel caso di demolizioni
parziali, alla porzione di edificio sanabile, analogamente a quanto disposto dall’art. 34). Ma si può altresı̀ ritenere che detta impossibilità possa scaturire
da fattori di ordine economico-sociale, che rendano
la restituzione in pristino, de facto, del tutto irragionevole e sproporzionata. Il TAR Milano ha aderito,
con la sentenza in commento, a quest’ultima lettura.
di situazioni concrete nel quale lo stesso può trovare applicazione. In altri termini, le singole massime
non possono essere decontestualizzate, se non a rischio di stravolgerne il senso.
La sentenza in commento cita una recente massima del Consiglio di Stato: «in materia edilizia,
nel caso di opere realizzate sulla base di titolo annullato, la demolizione deve essere considerata quale extrema ratio, privilegiando, ogni volta che ciò
sia possibile, la riedizione del permesso di costruire
emendato dai vizi riscontrati» (8). Tale principio
di diritto, cosı̀ prospettato, non pare del tutto esente da censure; o quantomeno - come poc’anzi si avvertiva - necessita di una corretta contestualizzazione all’interno del caso di specie. Non si può in alcun modo aderire alla prospettazione della sanzione
ripristinatoria, tout court, quale extrema ratio. Un’interpretazione siffatta si porrebbe in evidente contrasto con il dettato dell’art. 38, il quale, come già accennato, subordina l’irrogazione della sanzione ‘‘sanante’’ all’impossibilità di rimuovere i vizi delle
procedure amministrative, e di demolire i manufatti
(«in caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino»). Di conseguenza, l’extrema ratio - nell’accezione di ‘‘provvedimento da prendere in considerazione per ultimo’’
- non è rappresentata dalla sanzione reale, ma da
quella pecuniaria, pena un’inaccettabile interpretazione contra legem (9).
A ben vedere, tuttavia, nella pronuncia testé
Note:
(6) La giurisprudenza ha annoverato tra i ‘‘vizi delle procedure
amministrative’’, ad esempio, il mancato rilascio del nulla-osta
dei Vigili del Fuoco (Cons. Stato, sez. V, 8 ottobre 1992, n. 977)
e dei pareri in materia ambientale (T.A.R. Valle d’Aosta, 22 maggio 2002, n. 47), la mancata predisposizione dello studio planivolumetrico (Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1535) e l’assenza di comunicazione di avvio del procedimento ai controinteressati (ibidem). Al contrario, è stata esclusa la natura meramente formale della carenza di consenso dei comproprietari dell’immobile (T.A.R. Toscana, sez. III, 27 agosto 2012, n. 1479).
(7) Sulla graduazione delle sanzioni, cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 10 settembre 2010, n. 17398.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato
e dei Tribunali Amministrativi Regionali
(8) Cons. Stato, sez. IV, 17 maggio 2012, n. 2852. Cfr. anche
T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 13 gennaio 2012, n. 187; T.A.R.
Campania, Napoli, sez. II, 14 febbraio 2011, n. 932; Cons. Stato,
sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1535; T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I,
11 marzo 2008, n. 157.
Gli approdi giurisprudenziali in materia debbono
essere studiati senza sottovalutare la complessità
dell’art. 38 - strutturato, come si è visto, sulla graduazione di tre possibili rimedi - nonché la varietà
(9) M. Occhiena (in M.A. Sandulli (a cura di), Testo Unico dell’Edilizia, Milano, 2009, 674) nel commentare l’art. 38, T.U. edilizia
nota correttamente che «come traspare dallo stesso tenore letterale dell’articolo in commento, la sanzione pecuniaria presenta
il carattere della residualità, ossia può essere comminata quando la restituzione in pristino non sia possibile».
726
Urbanistica e appalti 6/2013
Amministrativa
Giurisprudenza
massimata il Consiglio di Stato non afferma che la
sanzione reale debba necessariamente seguire ad un
vaglio negativo della possibilità di irrogare una sanzione pecuniaria, ma sostiene, invece, che la demolizione può essere disposta solo se risulti impossibile
la rimozione dei vizi delle procedure amministrative. Al punto 5.1 della sent. n. 2852/2012, infatti, si
legge: «nel caso in specie, ciò che appare assente è
l’oggetto stesso del titolo abilitativo, come ben evidenziato dal primo giudice in relazione all’impossibilità di identificare un elemento progettuale conforme nelle diverse rappresentazioni. Appare quindi
inapplicabile l’ipotesi di una rimozione dei vizi procedimentali, atteso che il profilo di illegittimità attiene all’essenza stessa del manufatto in relazione
alla sua concreta dislocazione».
Tale piana e condivisibile interpretazione è riscontrabile anche nella precedente sentenza n.
1535/2010 della medesima Sezione. In tal caso il
Supremo Consesso Amministrativo cassò la pronuncia con la quale il giudice di prime cure aveva
reputato legittimo l’ordine di restituzione in pristino, non in ragione di una necessaria applicazione
della sanzione pecuniaria, ma semplicemente perché «la richiamata pronuncia di annullamento era
stata motivata non già da una impossibilità assoluta
di realizzazione dell’intervento, bensı̀ dalla constatazione di meri vizi procedimentali, quali sono la
mancata comunicazione dell’avvio del procedimento agli odierni appellati e l’omessa previa predisposizione dello studio planivolumetrico prescritto dalle NTA innanzi richiamate».
Pare quindi potersi affermare che le massime citate nella pronuncia in commento, se opportunamente contestualizzate, non risultino risolutive.
L’orientamento maggioritario - recentemente accolto, peraltro, dal medesimo TAR lombardo (10)
- sembra propendere, in realtà, per un’interpretazione rigorosa dell’art. 38. Si rinvengono molte pronunce, infatti, che limitano l’applicabilità della disposizione ai soli casi di annullamento per vizi di
forma e di procedura, circoscrivendo l’operatività
della sanzione ripristinatoria alle situazioni di impossibilità tecnica di una demolizione (11). In tempi recenti spicca, in tal senso, la sentenza del TAR
per la Toscana n. 1479/2012. Ivi si afferma l’illegittimità del provvedimento comunale di irrogazione
della mera sanzione pecuniaria, in ragione della radicale abusività dell’intervento (‘‘finti’’ volumi tecnici’’) realizzato sulla base di permesso di costruire
annullato (12). Tali sentenze si basano sull’idea
che la sanzione reale rappresenti «effetto primario e
naturale dell’annullamento del permesso di costrui-
Urbanistica e appalti 6/2013
re» (13), che, come tale, trova il suo fondamento
in re ipsa nella legalità violata.
Tanto premesso, la pronuncia in commento non
pare presentare affinità né con i più recenti orientamenti del Consiglio di Stato, in ragione delle differenze dei casi concreti, né con il filone interpretativo testé descritto, che riduce notevolmente l’ambito applicativo della sanzione pecuniaria (14).
La soluzione del TAR di Milano
I giudici milanesi, più che sulla natura di extrema
ratio della sanzione demolitoria, hanno motivato la
loro decisione ragionando sul caso concreto.
Il primo motivo a sostegno dell’inapplicabilità
della sanzione demolitoria è rinvenibile, a giudizio
del TAR, nella necessità di tutela dell’affidamento,
non tanto del costruttore (15), quanto degli abitanti dei nuovi stabili, che hanno acquistato legittimamente i propri immobili e si sono costituiti in condominio. La dottrina più attenta, in tema di ponderazione degli interessi prodromici all’annullamento
del provvedimento amministrativo, distingue tra
‘‘affidamento’’ e ‘‘consolidamento’’ (16). Nel caso
Note:
(10) Cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 18 maggio 2011, n.
1279; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 2 novembre 2010, n.
4522.
(11) Cfr., ad es., T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 21 marzo
2006, n. 3124: «solo in presenza di circostanze peculiari ed eccezionali, idonee ad accreditare l’oggettiva impossibilità di attuare la misura ordinaria della riduzione in pristino, sarà possibile
accedere alla misura residuale della sanzione pecuniaria».
(12) T.A.R. Toscana, sez. III, 27 agosto 2012, n. 1479: «la giurisprudenza, pacificamente, ha da sempre circoscritto i confini dell’applicazione della norma de qua alle sole ipotesi in cui il permesso di
costruire sia stato annullato per vizi formali o procedurali, ritenendola inapplicabile ove invece l’annullamento del medesimo venga
pronunciato per l’acclarata sussistenza di un vizio sostanziale [...] di
fronte ad un annullamento del permesso di costruire determinato
dall’accertamento di un vizio sostanziale, al Dirigente è preclusa
qualunque valutazione, tranne quella se la riduzione in pristino sia
possibile o meno». Nello stesso senso T.A.R. Liguria, sez. I, 5 febbraio 2011, n. 235; T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 19 novembre 2010,
n. 3924; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 10 settembre 2010, n.
17398; Cons. Stato, sez. V, 22 maggio 2006, n. 2960.
(13) T.A.R. Liguria, sent. n. 235/2011.
(14) Qualche analogia può forse rilevarsi con la soluzione proposta in Cons. Stato, sez. IV, 10 agosto 2011, n. 4770. Tale pronuncia, tuttavia, sembra fondata più che altro su di un’interpretazione letterale dell’art. 138, L.R. Toscana 3 gennaio 2005, n.
1, che difficilmente si concilia con l’art. 38 del T.U. edilizia, come avranno ad osservare i Giudici fiorentini nella citata T.A.R.
Toscana, n. 1479/2012.
(15) V. nota n. 5.
(16) G. Barone, Autotutela amministrativa e decorso del tempo,
in Diritto Amministrativo, 2002, 689 ss. Cfr. M. Occhiena, in
M.A. Sandulli (a cura di), Testo Unico dell’Edilizia, Milano, 2009,
664. Cfr. M. Occhiena, in M.A. Sandulli (a cura di), Testo Unico
dell’Edilizia, Milano, 2009, 664.
727
Amministrativa
Giurisprudenza
di specie, il cospicuo lasso di tempo trascorso tra il
rilascio del titolo e l’annullamento giudiziale dello
stesso, nonché l’assenza di malafede da parte dei
privati coinvolti, fa senz’altro ritenere che la posizione giuridica di tali soggetti si sia consolidata.
Il secondo motivo attiene alla completa urbanizzazione dell’area su cui insistono gli edifici. Detto
stato di fatto, a giudizio del TAR, consentirebbe un
adeguato assorbimento del carico urbanistico derivante dall’abuso, anche in considerazione della ridotta consistenza della volumetria in eccesso (circa
200 mc, pari a 70 mq). Neppure sarebbero rinvenibili contrasti tra le destinazione funzionali dell’edificio e quelle già presenti nell’area circostante, che,
al contrario, risultano identiche (residenziale e terziario). Secondo il Giudice Amministrativo, in altri
termini, è rispettato anche l’interesse pubblico all’ordinato sviluppo del territorio. Come noto, la tutela di tale interesse fonda e sorregge l’attività amministrativa di repressione degli abusi edilizi (17).
La terza considerazione riguarda la presenza, nel
complesso immobiliare, di una grande autorimessa,
indispensabile a coprire il fabbisogno di parcheggi
non solo dei residenti degli edifici contestati, ma
anche degli abitanti degli stabili finitimi. Per conseguenza vi sarebbe un vero e proprio interesse pubblico al mantenimento di tali opere.
In definitiva, il TAR ritiene: «in questa situazione, la demolizione, anche solo parziale [...] finirebbe
per nuocere non solo all’interesse degli incolpevoli
condomini, ma anche al pubblico interesse alla realizzazione ed al reperimento del sufficiente numero
di parcheggi: tutto ciò a fronte dell’interesse della
ricorrente, che lamenta una diminuzione del valore
del proprio immobile».
Insomma, da una parte vi è - in aggiunta all’interesse pubblico alla rimozione degli immobili abusivi
- l’interesse del singolo cittadino, che lamenta un
vulnus ad una sua posizione giuridica soggettiva in
conseguenza dell’edificazione illegittima; dall’altra,
l’opposto interesse al mantenimento dell’immobile
dei molti incolpevoli acquirenti di appartamenti
privi di titolo edilizio, e perciò abusivi, nonché
quello degli abitanti del vicinato a disporre di una
congrua dotazione di aree a parcheggio. Si intuisce
che, all’esito di una ponderazione, l’interesse del
terzo controinteressato è destinato a recedere.
L’applicazione del principio suesposto comporta
il rischio di restringere notevolmente le possibilità
per il soggetto leso dall’edificazione abusiva di ottenere - mediante l’irrogazione di una sanzione reale una piena tutela del proprio interesse legittimo. In
tutti i casi di annullamento del titolo edilizio per
728
vizi sostanziali, qualora medio tempore si siano consolidati gli interessi di qualche condomino del nuovo stabile (o financo di terzi difficilmente individuabili, come i vicini che parcheggiano il proprio
mezzo nell’autorimessa dell’edificio), il privato si
dovrebbe rassegnare all’esistenza del manufatto abusivo, potendo ricorrere, tutt’al più, ai rimedi di matrice civilistica (18). A tal proposito, occorrerà fare
riferimento, in particolare, alle azioni di nuova opera e di danno temuto, di cui agli artt. 1171 e 1172
c.c.
Possibili sviluppi della tesi del TAR Milano
Tutto ciò premesso, le argomentazioni del TAR
sembrano condivisibili. Si può peraltro affermare
che, con tale sentenza, il concetto di ‘‘impossibilità’’ della sanzione reale venga manifestamente declinato in funzione del caso concreto; lo stesso, come si è accennato nel paragrafo introduttivo, perde
l’accezione legata al dato fisico, prettamente edilizio, per acquisirne una più affine alle categorie della
sproporzione e dell’irragionevolezza.
E, in effetti, il Tribunale espressamente asserisce
che «la scelta comunale di dare applicazione all’art.
38 del D.P.R. n. 380/2001, con esclusione della sanzione demolitoria, appare quella maggiormente rispettosa di tutti gli interessi coinvolti nella presente
controversia ed anche del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, di diretta derivazione
dal diritto dell’Unione Europea, principio che impone all’Amministrazione il perseguimento del pubblico interesse col minor sacrificio possibile dell’interesse privato». Appare più che mai significativo il
riferimento, seppur piuttosto laconico, al principio
di proporzionalità. Tale principio, di derivazione
germanistica, consiste nella necessità di una proporzione tra il fine che l’Amministrazione si propone di
raggiungere, ed il mezzo perseguito. L’agire dell’Amministrazione, a tale proposito, deve essere sottoposto ad un triplice vaglio: di idoneità, come possibilità di raggiungere il risultato desiderato; di necessarietà, come insussistenza di azioni che conducano al
medesimo risultato con un minore sacrificio degli
altri interessi; infine di proporzionalità in senso
Note:
(17) Ex multis: T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 15 gennaio
2013, n. 288; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 18 giugno 2012, n.
1252; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 26 aprile 2011, n. 3585; Cons.
Stato, sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2529.
(18) T.A.R. Puglia, Bari, 5 maggio 1995, n. 329 ha tuttavia ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, L. n. 47/1985 nella parte in cui prevede l’irrogazione della sanzione pecuniaria ‘‘sanante’’.
Urbanistica e appalti 6/2013
Amministrativa
Giurisprudenza
stretto, come inaccettabilità di un’azione che gravi
in maniera intollerabile sull’interessato (19).
Ma l’esegesi del percorso argomentativo seguito
dal TAR di Milano consente, altresı̀, di allargare il
discorso alle categorie generali del diritto amministrativo. In ultima analisi, infatti, la qualificazione,
in un senso o nell’altro, del concetto di ‘‘impossibilità’’ comporta la sussunzione dell’agire dell’Amministrazione nei tradizionali parametri della discrezionalità amministrativa e della discrezionalità tecnica. Se l’Amministrazione considera necessaria per
l’irrogazione della sanzione pecuniaria una mera verifica sulle conseguenze di una restituzione in pristino (ad es., staticità delle eventuali opere in aderenza, danni arrecati alla porzione conforme), la stessa
agirà in esercizio di discrezionalità tecnica, ovvero
scegliendo la soluzione ottimale sulla base di criteri
tecnico-scientifici (20).
Quando invece, come nel caso di specie, la soluzione sarà prescelta a seguito di una ponderazione
dei vari interessi in gioco, pare potersi affermare
che si ricadrà in un tipico caso di esercizio di discrezionalità amministrativa. Secondo la più eminente dottrina (21), detta forma di discrezionalità
consiste precisamente nella ponderazione comparativa dell’interesse pubblico primario perseguito dall’Amministrazione - nel caso di specie, l’ordinato
assetto del territorio e la repressione degli abusi edilizi - con gli interessi secondari (ad es., il tempo trascorso tra il rilascio del titolo e l’annullamento; lo
stato di avanzamento dei lavori; la presenza di terzi
portatori di interessi consolidati; la dimensione dell’abuso; il contesto urbanistico e cosı̀ via).
Una simile operazione valutativa, seppur discrezionale, non può però trascendere il dato normativo.
Invero, occorre considerare che l’art. 38 del Testo
Unico cita espressamente l’impossibilità della demolizione, senza alcuna specificazione ulteriore, quale
condicio sine qua non per l’irrogazione della sanzione
pecuniaria sanante. Si è già osservato che, ad esempio, l’art. 34 del Testo Unico parla espressamente di
impossibilità in senso tecnico. Ma il legislatore
avrebbe anche potuto proporre una formula più
aperta, quale quella dell’art. 31: «L’opera acquisita è
demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione
consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti
con rilevanti interessi urbanistici o ambientali».
Ai sensi dell’art. 38, pertanto, la restituzione in
pristino non può non rappresentare il rimedio primario all’annullamento del permesso di costruire, a
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maggior ragione quando lo stesso sia stato disposto
a causa di un contrasto sostanziale con la disciplina
urbanistico-edilizia vigente.
Conclusioni
La pronuncia in commento ha un portato innovativo. Non si condivide, infatti, la collocazione di
tale sentenza nella scia dei più recenti approdi del
Consiglio di Stato, i quali, come si è cercato di dimostrare, attengono a casi molto differenti, e presuppongono un’interpretazione del tutto piana dell’art. 38 T.U. edilizia.
Per la prima volta si afferma chiaramente che
l’applicazione della sanzione pecuniaria può rappresentare un rimedio anche nel caso di titolo edilizio
annullato per motivi sostanziali, e, soprattutto, anche se l’impossibilità tecnica della restituzione in
pristino non sia analiticamente dimostrata.
L’accoglimento di una nozione ‘‘debole’’ del concetto di impossibilità, da un lato, può suscitare
qualche perplessità, specie in relazione alla terminologia utilizzata in altri articoli del T.U. edilizia.
Sotto diverso profilo, tuttavia, la riconduzione della
scelta della sanzione nell’alveo della discrezionalità
amministrativa sembra percorribile senza incorrere
in palesi contraddizioni sistematiche, e senza ledere
la ratio della disposizione. Si ritiene che l’applicazione del principio di proporzionalità (correttamente coordinato con quello di ragionevolezza) (22)
Note:
(19) Per un’attenta ed approfondita analisi del principio di proporzionalità si rimanda a D.U. Galetta, La proporzionalità quale
principio generale dell’ordinamento, in Giorn. Dir. Amm., 2006,
10, 1106; della medesima Autrice, anche Principio di proporzionalità e giudice amministrativo nazionale, in Foro. Amm. TAR,
Milano, 2007, 2, 603; S. Cognetti, Clausole generali nel diritto
amministrativo. Principi di ragionevolezza e di proporzionalità, in
Giur. It., Milano, 2012, 5. Come ricorda F. Caringella (Corso di diritto amministrativo, Milano, 2008, 1591), il principio può essere
efficacemente sintetizzato dal vecchio detto tedesco: ‘‘darf die
polizei mit kanonen auf spatzen schiessen?’’ (‘‘può la Polizia
sparare ai passeri con un cannone?’’). Per le applicazioni del
principio in urbanistica, invero non particolarmente approfondite,
cfr. ad es. Cons. Stato, sez. VI, 7 maggio 2009, n. 2835 in materia di permesso in sanatoria in assenza di ‘‘doppia conformità’’;
Cons. Stato, sez. V, 19 marzo 2009, n. 1615 e Cons. Stato, sez.
VI, 20 dicembre 2011, n. 6756 in materia di demolizione di manufatti abusivi; Cons. Stato, sez. IV, 5 marzo 2010, n. 1274, in
materia di realizzazione di un’opera pubblica.
(20) Cfr. D. Sorace, Diritto delle amministrazioni pubbliche, Bologna, 2012. Più diffusamente, F. Caringella, Corso cit., 1337 ss.
(21) M.S. Giannini, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, 1939; del medesimo autore, Diritto amministrativo, 1988; F. Caringella, Corso, cit., 1309 ss.
(22) Sulle differenze tra principio di ragionevolezza e principio di
proporzionalità, si segnala il contributo di S. Cognetti, Clausole
generali, cit.
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rappresenti un’interessante intuizione, meritevole,
forse, di maggiore approfondimento da parte dei
Giudici che saranno chiamati a pronunciarsi su situazioni analoghe.
Occorre da ultimo evidenziare, come già accennato, che l’art. 38 è passibile di applicazione ad un
ventaglio di fattispecie concrete davvero ampio e
variegato. Si pensi alla differente posizione soggettiva del titolare del permesso di costruire/DIA nel caso di annullamento in autotutela, ovvero di annullamento giurisdizionale; al lasso di tempo, assai varia-
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bile, che può intercorrere tra rilascio del titolo ed
annullamento; alla natura ed alla mole dell’intervento edilizio; non ultimo, al consolidamento delle
posizioni soggettive di terzi (ad es., i condomini) direttamente interessati da un’eventuale demolizione.
In un quadro simile, un mero vaglio tecnico-edilizio
sull’attuabilità della restituzione in pristino potrebbe
essere foriero di palesi iniquità. La ponderazione proposta nella sentenza in commento, per contro, sembra garantire la flessibilità necessaria a rispondere efficacemente alle complesse problematiche esposte.
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