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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE E AZIENDALI “M. FANNO” CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA E COMMERCIO PROVA FINALE L’INCIDENZA DELLE SOFFERENZE SULLA PRODUTTIVITA’ DELLE BANCHE: IL CASO “BCC DEL TREVIGIANO ” RELATORE: CH. MA PROF. SSA CINZIA BALDAN LAUREANDA: PAOLA CONTE MATRICOLA N. 556408-EC ANNO ACCADEMICO 2011 – 2012 Alla mia nonna INDICE pag. Introduzione 1. 7 LE SOFFERENZE BANCARIE 1.1 Definizione 2. 3. 4. 9 1.2 Alcune considerazioni riguardo il deterioramento degli impieghi bancari 11 1.3 Le differenze tra sofferenze e le altre partite anomale 13 1.4 Lo stato di insolvenza 14 1.5 Il rischio di insolvenza 16 L’AFFIDAMENTO DELLA CLIENTELA 2.1 I fidi bancari 18 2.2 Le fasi della concessione di credito 21 2.3 Relationship banking 24 2.4 Valutazione del merito di credito 27 2.5 La Centrale dei Rischi 29 2.6 I Rating 31 LA PRODUTTIVITÀ 3.1 La produttività in ambito bancario 33 3.2 Gli indicatori di produttività 37 CASE STUDY: LA BCC DEL TREVIGIANO 4.1 Introduzione: descrizione della banca 42 4.2 Politica degli affidamenti 43 4.3 La struttura e la composizione del portafoglio 45 4.4 La raccolta a breve da clientela 50 4.5 Dati di conto economico 51 4.6 Indicatori 54 Osservazioni Conclusive 56 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 58 5 6 Introduzione Negli ultimi anni i margini di profitto degli istituti di credito sono sensibilmente diminuiti a causa dell’accentuarsi del fenomeno delle sofferenze bancarie che ha avuto ripercussioni sull’attività bancaria di numerosi paesi industrializzati, tra cui l’Italia. L’obiettivo di questo lavoro è quello di fornire una panoramica per capire che impatto hanno la qualità del credito e nello specifico le sofferenze bancarie sulla produttività degli istituti di credito e nei bilanci della BCC del Trevigiano. Nel primo capitolo, si è cercato di dare una definizione del concetto di sofferenza bancaria, individuando anche i segnali premonitori interni ed esterni al rapporto banca-impresa, e di distinguere i diversi tipi di anomalia che si generano dallo stato di difficoltà in cui versa l’impresa affidata. Da quanto approfondito emerge che le sofferenze sono originate dallo stato di insolvenza in cui si trovano le aziende; ecco dunque l’importanza di valutare il rischio di insolvenza da parte degli istituti di credito. Dopo l’analisi descrittiva del fenomeno di sofferenza bancaria, nel secondo capitolo, vengono trattati gli strumenti e le procedure necessarie alla banca nell’affidamento alla clientela. Ad inizio capitolo è stato fatto un breve accenno sul fido bancario per poi passare agli aspetti tecnici delle fasi di concessione del credito. È utile l’acquisizione di informazioni qualitative (relationship banking) dell’azienda richiedente credito e in modo particolare nella valutazione del merito di credito che consiste nello stabilire la capacità di rimborso. La Centrale dei Rischi si propone come mezzo in grado di accrescere la capacità di valutazione e di controllo della clientela. Il rating fornisce un’informazione aggiornata sulla solvibilità dei soggetti beneficiari di un finanziamento e quindi un giudizio sulla capacità e sulla volontà di un soggetto economico di adempiere gli impegni assunti. Nel terzo capitolo si è cercato di dare una definizione di produttività in ambito bancario e quindi di input e output nel processo di produzione delle banche secondo diversi approcci. Si è ritenuto opportuno infine ricondurre l’analisi della produttività bancaria in analisi della redditività poiché concetti molto simili. Nell’ultima parte di questo capitolo sono esposti quattro indicatori di produttività opportunamente selezionati: ROE, ROA, contribuzione gestione denaro e cost income. 7 Il quarto capitolo si riferisce al caso di studio della BCC del Trevigiano ed inizia con una breve presentazione di questa banca di credito cooperativo con l’analisi della politica degli affidamenti e della struttura e composizione del portafoglio. Dopo alcune considerazioni sugli impieghi e sulla raccolta a breve da clientela, la parte finale del lavoro esamina i dati di conto economico che contribuiscono al calcolo degli indicatori individuati nel capitolo precedente e applicati al caso della BCC del Trevigiano per condurre l’analisi della produttività della banca. I dati mostrano un netto peggioramento della qualità dei crediti a causa anche di una sostenuta recessione del ciclo economico; l’incidenza delle sofferenze sugli impieghi bancari è aumentata in maniera rilevante. 8 1. LE SOFFERENZE BANCARIE 1.1 Definizione. Nella terminologia di vigilanza si definiscono sofferenze bancarie gli affidamenti (per cassa1 e di firma2) nei confronti di soggetti in stato di insolvenza (anche non accertato giudizialmente) o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita e dall’esistenza di eventuali garanzie (reali o personali), fornite dal prenditore, come presidio del credito ricevuto. Il termine “sofferenze” indica, pertanto, nel linguaggio bancario, i crediti, affidati al contenzioso, cioè agli uffici legali, di cui si teme il mancato buon fine oltre che crediti vantati nei confronti dei clienti che versano in gravi e non transitorie difficoltà economiche e finanziarie. La definizione precedentemente riportata fa riferimento alla nozione di sofferenze lorde. La Banca d’Italia ha inoltre individuato le sofferenze al valore di realizzo, o sofferenze bancarie nette in quanto esposizioni al netto delle svalutazioni contabilizzate. Le istruzioni per la compilazione delle segnalazioni obbligatorie enunciano dettagliatamente i criteri per il calcolo dell’importo da comunicare specificando che deve essere segnalato al netto di eventuali rimborsi e al lordo delle svalutazioni e dei passaggi a perdita eventualmente effettuati; detto importo include gli interessi e le spese per il recupero dei crediti. È rimandata alla prudente gestione delle singole banche, la scelta se un soggetto debba essere considerato o meno in sofferenza. Si tratta dunque di una stima soggettiva della reale esposizione al rischio di credito lasciata alla valutazione dell’intermediario. Da quanto esposto si può quindi rilevare che l’Organo di Vigilanza (d’ora in poi “OdV”) ha basato il posizionamento dei crediti a sofferenza sulla base di un giudizio che non dipende soltanto dall’inadempimento del singolo rapporto contrattuale, né dalla presenza o meno di garanzie, ma soprattutto dalla acquisita consapevolezza che il debitore è ormai incapace di assolvere con regolarità alle proprie obbligazioni, indipendentemente dalla circostanza che 1 ‘Fido per cassa’: si riferisce alla possibilità dell’affidato di utilizzare il credito per il tramite del conto corrente bancario, cioè di utilizzare il prestito ottenuto come mezzo ‘di pagamento’. Se nella gestione corrente un'azienda presenta esigenze di liquidità può ricorrere ad una soluzione del tipo ‘fido per cassa’ [P. BIFFIS, 2009]. 2 ‘Fido di firma’: comprende le accettazioni, gli impegni di pagamento, i crediti documentari, gli avvalli, le fideiussioni e le altre garanzie rilasciate dagli intermediari, con le quali essi si impegnano a far fronte ad eventuali inadempimenti di obbligazioni assunte dalla clientela nei confronti di terzi. Essi sono ripartiti in due categorie a seconda che le garanzie assistano operazioni di natura commerciale o di natura finanziaria. Non consentono la movimentazione di conti correnti da parte della clientela, se non in casi particolari. Essi non possono, cioè, venire utilizzati come mezzi di pagamento da parte dei clienti che li hanno ottenuti [P. BIFFIS, 2009]. 9 siano o meno iniziate azioni mirate, giudiziali e non, nei suoi confronti. Il passaggio allo status “a sofferenza” implica una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un solo ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito. A questo stadio, giungono le partite incagliate che evolvono negativamente e che si accompagnano anche a fatti amministrativi che denotano difficoltà finanziarie irreversibili come azioni esecutive promosse da terzi o cessazione dell’attività. Si tratta di un passaggio amministrativo nel senso che esso deve produrre l’effetto contabile della svalutazione dei crediti relativi in base alle previsioni di perdita connesse con la situazione di solvibilità dei singoli debitori [BIFFIS, 2009]. L’importo di tali svalutazioni va segnalato fino al momento in cui intervenga un evento estintivo dei crediti, quali: • il venir meno del corrispondente diritto della banca (nell’ipotesi di rimborso o di cessione pro-soluto del credito); • quando i competenti organi aziendali abbiano, con specifica delibera, preso definitivamente atto dell’irrecuperabilità del credito, o di quota parte dello stesso, oppure abbiano rinunciato agli atti di recupero per motivi di convenienza economica; • quando sono in atto procedure concorsuali anche se non ancora chiuse o terminate e sia stata assunta la delibera anzidetta. La pressante esigenza di avere criteri valutativi più precisi e oggettivi ha indotto la Banca d’Italia a pensare e disporre una disciplina più idonea, introducendo tra l’altro la nozione di sofferenza «rettificata», per tener conto di discordanze di giudizio o di possibili sviste da parte delle banche segnalanti, intesa come l’esposizione complessiva di un affidato qualora sia segnalata: a) in sofferenza dall’unica banca che ha erogato il credito; b) in sofferenza da una banca e tra gli sconfinamenti dell’unica altra banca esposta; c) in sofferenza da una banca e l’importo della sofferenza sia almeno il 70 per cento dell’esposizione complessiva ovvero vi siano sconfinamenti pari o superiori al 10 per cento; d) in sofferenza da almeno due banche per importi pari o superiori al 10 per cento dell’utilizzato complessivo per cassa. Attraverso l’utilizzo di questo aggregato, il debitore che viene qualificato come debitore in sofferenza rettificata, è tale rispetto all’intero sistema creditizio. 10 In questo modo si giunge ad una classificazione dei prenditori di fondi oggettiva e univoca, che permette di compiere una stima più precisa del grado di rischio associato all’attività di prestito. Questo aggregato mette in evidenza, rispetto all’intero sistema creditizio, una situazione di difficoltà finanziaria e reddituale da cui discende l’incapacità del prenditore a far fronte agli impegni assunti. La segnalazione di una posizione di rischio tra le sofferenze non è più dovuta quando: • viene a cessare lo stato di insolvenza o la situazione ad esso equiparabile; • il credito viene rimborsato dal debitore o da terzi anche a seguito di accordo transattivo liberatorio, di concordato preventivo o di concordato fallimentare remissorio; rimborsi parziali del credito comportano una corrispondente riduzione dell’importo segnalato; • il credito viene ceduto a terzi; • i componenti organi aziendali con specifica delibera hanno preso definitivamente atto della irrecuperabilità dell’intero credito oppure hanno rinunciato ad avviare o proseguire gli atti di recupero. Il pagamento del debito e/o la cessazione dello stato di insolvenza o della situazione ad esso equiparabile non comportano la cancellazione delle segnalazioni a sofferenza relative alle rilevazioni pregresse. 1.2 Alcune considerazioni riguardo il deterioramento degli impieghi bancari. È parere concorde degli esperti che l’aggravarsi delle condizioni di realizzabilità dei crediti debba essere ascrivibile, in primo luogo, all’andamento dell’economia. In altri termini, la fase di recessione economica globale sarebbe la causa principale dell’incremento delle sofferenze. In realtà, attribuire quest’ultimo fenomeno esclusivamente al degrado della generale situazione economica può essere considerato fin troppo scontato. Se è indubbio, infatti, che il deterioramento della qualità degli attivi bancari costituisce una caratteristica fisiologica della recente fase recessiva internazionale, comune ai diversi sistemi bancari, è possibile rilevare come il fenomeno delle sofferenze bancarie in Italia sia ricollegabile ad un insieme di elementi strutturali peculiari del nostro sistema produttivo, finanziario e creditizio. In sostanza, tra gli elementi distintivi propri del nostro sistema che hanno contribuito alla notevole crescita delle sofferenze possiamo annoverare: l’insufficienza di capitali di rischio da parte delle imprese, un comportamento generalizzato di accondiscendenza finanziaria (caso 11 molto frequente nelle banche di credito cooperativo) che ha permesso o addirittura favorito il sovra indebitamento delle aziende, nonché la prassi del frazionamento dei rischi mediante affidamenti multipli. È nota la scarsità di capitali delle nostre imprese, la quale ha portato il sistema creditizio a concedere una sorta di anticipazione di liquidità, proprio sottoforma di prestiti e quindi di indebitamento delle aziende stesse, al fine di colmare dette carenze. È risaputo che nel nostro paese c’è un mercato dei capitali poco sviluppato, che può essere classificato come mercato inefficiente, perciò il sistema produttivo si deve rivolgere agli istituti di credito per recuperare risorse finanziarie, diversamente da quanto accade nei paesi, dove il numero di società di capitali, in cui i fondi vengono reperiti per il tramite degli azionisti è maggiore. Relativamente all’atteggiamento generalizzato di accondiscendenza finanziaria, occorre sottolineare come esso abbia permesso e addirittura favorito il sovra indebitamento delle imprese che, facendo insistentemente leva sul sistema bancario, sono riuscite ad ottenere dallo stesso risorse aggiuntive sempre meno commisurate alle rispettive potenzialità economicopatrimoniali. Si è, in pratica, giunti a concedere credito in misura sproporzionata alle capacità espresse dai prenditori dei fondi, con un conseguente rapporto banca-impresa non fisiologico ed una sempre più evidente difficoltà per le imprese di rimborsare i prestiti ottenuti. Se invece prendiamo in esame le cause delle sofferenze bancarie legate al credito concesso ai privati, possiamo ricondurle ad una crisi del mercato del lavoro, determinata a sua volta da una crisi pressoché generalizzata del sistema produttivo. Infatti, come una “famiglia” che ha poche disponibilità liquide non immette nel mercato “moneta” mediante i suoi consumi, a maggior ragione se il lavoro scarseggia e di conseguenza il reddito si abbassa, il consumatore “tipo” fatica ad assolvere ai propri impegni verso la banca. L’andamento delle sofferenze è sicuramente subordinato alle caratteristiche dei prenditori, che naturalmente possono divenire più problematiche per oscillazioni del ciclo economico, per carenze strutturali, di territorio o di settore. Il problema delle sofferenze, quindi, condiziona la redditività bancaria e può essere affrontato solo con efficienti sistemi di valutazione dei fidi sia nel momento della loro concessione sia nei successivi momenti periodici di controllo degli affidamenti accordati. 12 1.3 Le differenze tra sofferenze e altre partite anomale. I crediti in sofferenza non sono altro che una tipologia delle partite anomale, si possono infatti identificare tre categorie di prestiti che devono essere distinti dalle partite che includono al loro interno gli impieghi cosiddetti «vivi»: i crediti incagliati, i crediti in sofferenza e i dubbi esiti. Nel linguaggio corrente spesso si utilizza la locuzione «impieghi vivi» per indicare i prestiti in essere con andamento «normale», nel senso di «non preoccupante»; si usa la locuzione partite anomale per indicare i prestiti che, invece, hanno un andamento «anormale», nel senso che presenta non trascurabili elementi e profili di preoccupazione [BIFFIS, 2005]. Le esposizioni iniziano ad essere anomale quando non vengono adempiuti gli obblighi contrattuali, il che accade dopo 30 giorni dalla scadenza contrattuale del prestito cioè «quando si supera il normale periodo di grazia previsto per le operazioni della specie dalla prassi bancaria (30 giorni)».3 Volendo effettuare una graduatoria della qualità dei crediti, si possono individuare al primo posto i crediti giudicati completamente recuperabili, poi i crediti verso i clienti che si trovano in momentanea difficoltà (crediti incagliati), successivamente i crediti verso clienti in stato di insolvenza per cause non transitorie (le sofferenze) e infine i crediti che si stimano in tutto o in parte persi (dubbi esiti). I prestiti vivi sono quelli che non presentano alcuna anomalia nel momento in cui ne viene fatta la valutazione, sono prestiti in regolare ammortamento o affidamenti con un corretto utilizzo. Si ritiene che le imprese affidate si trovino in una situazione finanziaria ed economica tale da permettere loro il rispetto degli impegni assunti, senza rischi legati alla liquidità e redditività aziendale. Le posizioni incagliate, secondo la Circolare B.I. 217/1996, sono rappresentate dalle esposizioni nei confronti di soggetti in temporanea situazione di obiettiva difficoltà, che si prevede possa essere rimossa in un ragionevole periodo di tempo. Nel momento in cui questa situazione di temporanea difficoltà diviene permanente si ha il passaggio del credito da una posizione incagliata ad una posizione in sofferenza. Le sofferenze, come già detto, sono affidamenti che hanno come contropartita clienti in stato di insolvenza o in situazioni equiparabili. Si tratta di crediti la cui riscossione non è certa e il relativo importo è soggetto all’invio di una segnalazione alla Centrale dei Rischi entro tre giorni lavorativi dalla data in cui si è registrato l’evento significativo che ne ha determinato il cambio di status. 3 Banca d’Italia, Manuale per la compilazione della matrice dei conti. 13 Alla fine di questa scala qualitativa del credito, si trovano i dubbi esiti che rappresentano l’ultimo stadio di deterioramento del credito. Questi sono costituiti dalle esposizioni nei confronti di soggetti che non sono più in grado di rimborsare il proprio credito e si ritiene che il recupero degli stessi preveda perdite future. L’insieme di queste posizioni patologiche di credito va a formare l’aggregato delle partite anomale. Le banche e le autorità di vigilanza mostrano una crescente attenzione verso i crediti anomali al fine di migliorare la “bontà” del credito e di conseguenza cercare di ridurre i rischi del proprio portafoglio prestiti. L’insorgenza di anomalie nella qualità del credito bancario viene disciplinata soprattutto in funzione delle valutazioni ai fini di bilancio e di vigilanza. Le anomalie costituiscono, infatti, un grave problema dal momento che è obbligatorio assoggettare i crediti a svalutazioni analitiche e sono necessarie disponibilità di utili lordi da accantonare con conseguente riduzione degli stessi. I costi di svalutazione hanno un riflesso peggiorativo a conto economico nel bilancio compromettendo la redditività delle banche. Le partite anomale inoltre comprimono il valore dell’attivo e incidono sulla consistenza dei coefficienti minimi patrimoniali di cui le banche devono disporre. 1.4 Lo stato di insolvenza Dalla definizione di sofferenze bancarie precedentemente riportata, emerge che l’elemento qualificante di una posizione “a sofferenza” va individuato nella presenza di uno stato di insolvenza (default) del cliente affidato. Per stato di insolvenza, in giurisprudenza, si intende la situazione di oggettiva incapacità non transitoria ad adempiere regolarmente le proprie obbligazioni, determinata dalla mancanza dei mezzi necessari per effettuare i pagamenti dovuti e dall’impossibilità di procurarsi tali mezzi altrove. La situazione di insolvenza è, dunque, una situazione del patrimonio dell’imprenditore che non gli permette di soddisfare regolarmente i propri debiti. La forma principale di manifestazione dello stato di insolvenza è data da reiterati inadempimenti, che oggettivamente costituiscono un grave e serio indizio di difficoltà finanziarie. È insolvente l’imprenditore che può pagare solo parzialmente i suoi debiti e anche l’imprenditore che può adempiere a tutti i suoi debiti, ma solo in un momento successivo alla scadenza degli stessi. 14 Al contrario, non è causa di insolvenza il riscadenziamento dei crediti e la concessione di proroghe, dilazioni, rinnovi o ampliamenti di linee di credito. Tali modifiche non devono dipendere dal deterioramento delle condizioni economico-finanziarie del debitore, ovvero non devono dare luogo ad una perdita.4 Lo stato di insolvenza va tenuto distinto dall’inadempimento, che consiste nella mancata esatta prestazione di quanto dovuto e si riferisce sempre e soltanto ad una singola e ben individuata obbligazione. L’insolvenza invece ha una portata generale, relativa a tutti i creditori. Secondo l’agenzia di rating Standard & Poor’s, si ha default quando vengono meno la capacità o la volontà del debitore di tener fede agli impegni finanziari relativi ad un’obbligazione rispettandone i termini originari, più precisamente: • quando un pagamento di interessi e/o capitale è dovuto ma non viene effettuato; • in caso di richiesta spontanea di accesso a una procedura concorsuale; • a seguito di un’offerta di ristrutturazione del debito che ne riduce chiaramente il valore. La definizione appena riportata, per quanto autorevole, ha un valore meramente esemplificativo. In realtà, ogni istituzione finanziaria è libera di adottare dei criteri propri. Una definizione di default ampia e prudenziale consente di intercettare per tempo le possibili patologie creditizie, ma si presta a interpretazioni soggettive che possono pregiudicarne l’applicazione in tutte le divisioni e dipendenze della banca. D’altra parte, una definizione più ristretta rischia di fotografare con ritardo, o di non cogliere per niente, eventuali fenomeni di dissesto e di crisi finanziaria; ad esempio, una caratterizzazione basata esclusivamente sull’esistenza di una procedura concorsuale in atto finirebbe per classificare come sane anche imprese manifestamente incapaci di fronteggiare i pagamenti correnti, o che hanno già avanzato alla banca un’espressa richiesta di ristrutturazione del debito. In ogni caso è utile esplicitare con chiarezza e portare a conoscenza di tutti gli analisti della banca, la definizione di default, onde evitare il pericolo che strutture diverse, all’interno dello stesso intermediario, applichino criteri differenti per valutare se una controparte vada considerata o meno insolvente. In termini generici, possiamo affermare che lo stato di insolvenza segnala una particolare situazione di disequilibrio finanziario e patrimoniale dell’affidato: situazione che non 4 Banca d’Italia, Manuale per la compilazione della matrice dei conti. 15 permette al debitore il corretto rispetto e prosecuzione del rapporto creditizio instaurato con la banca finanziatrice. Si intende una delle seguenti situazioni: alta probabilità che il debitore non adempia per intero l’obbligazione (unlikeliness to pay); contabilizzazione di una perdita, anche parziale e anche sul servizio del debito; presenza di procedure concorsuali; ritardo nel pagamento di qualsiasi debito dopo 180 giorni (solo per l’Italia) dalla sua scadenza originaria. Lo stato di insolvenza così definito, cioè alla scadenza contrattuale, non consente di determinare l’effettiva perdita a carico dell’intermediario che ha concesso il finanziamento. Occorre evidentemente attendere il risultato delle azioni di recupero del credito e del realizzo di eventuali garanzie reali (pegno, ipoteca) o personali (fideiussione) che assistono il contratto. Pertanto la perdita definitiva può essere determinata soltanto dopo tempi non brevi dal momento in cui è stata inizialmente accertata la condizione di insolvenza. Secondo le attuali normative regolanti la redazione del bilancio di esercizio degli intermediari creditizi (B.I., Circolare 262/2005), gli amministratori sono tenuti ad accertare al termine dell’esercizio il presumibile valore di realizzo dei crediti in essere e a detrarre dal valore di carico di ognuno di essi la perdita presunta, ancor prima che essa possa essere considerata definitiva. Questa perdita in quanto prevedibile e ragionevolmente prevista, viene definita perdita attesa. Le perdite così computate confluiscono nel conto economico come componente negativo del reddito di esercizio, sotto la voce rettifiche di valore. Infine, indipendentemente dall’effetto economico, il mancato pagamento totale o parziale, di capitale e interessi alla scadenza prevista determina il venir meno di un’entrata di cassa attesa e si configura quindi come elemento di rischio finanziario di durata e di identità ignote ex ante, poiché queste dipendono dalle menzionate azioni di recupero. Il rimborso del capitale e il pagamento degli interessi dipendono sia dalla volontà soggettiva del soggetto contrattualmente obbligato (profilo di «correttezza commerciale»), sia dalla sua capacità oggettiva di pagare, che a evidenza dipende dalla consistenza del flusso di cassa netto disponibile (free cash flow) e/o dalla possibilità di sostituire il finanziamento in scadenza con altre fonti di risorse finanziarie. 1.5 Il rischio d’insolvenza Il rischio di controparte o, più precisamente, rischio di insolvenza si configura nella possibilità che la controparte contrattuale, obbligata a dare una certa prestazione (rimborso di un capitale e pagamento di interessi), si riveli di fatto insolvente, cioè si riveli alternativamente non 16 disposta a pagare (volontà) o incapace di pagare (impossibilità, eventualmente determinata da fatti esogeni). Il rischio di insolvenza connaturato alle varie tipologie di affidamenti è abbastanza disomogeneo, nel senso che il rischio aumenta o diminuisce in base al tipo di prestito che viene erogato. In primo luogo è opinione comune considerare i crediti di firma a meno elevata rischiosità rispetto a quelli per cassa, in quanto la banca nell’immediato non subisce alcun esborso numerario. Nonostante ciò, anche i crediti di firma possono comportare conseguenze negative per la banca; se la controparte per cui ha prestato garanzia risulta inadempiente sorge il rischio di insolvenza per la banca. Specularmente, se il cliente affidato risulta insolvente, l’istituto di credito subisce nuovamente gli effetti legati a tale tipologia di rischio. In ogni caso la crescente rischiosità dell’attivo dello stato patrimoniale delle banche, le porta nella concessione di un fido ad effettuare accurate valutazioni. Le banche, di conseguenza, prestano particolare attenzione, non solo al processo di erogazione del fido e di scelta della forma tecnica adeguata, ma anche al monitoraggio dell’evoluzione del rapporto che l’affidato ha con l’ente erogante. 17 2. L’AFFIDAMENTO DELLA CLIENTELA 2.1 I fidi bancari. Il “fido bancario”, o affidamento, è definito come l'impegno assunto da una banca a mettere una somma a disposizione del cliente, o di assumere per suo conto un'obbligazione nei confronti di un terzo. Dal punto di vista del cliente, il “fido bancario” è la somma di tutti i prestiti ottenuti dalle banche con le quali s’intrattengono relazioni: un’impresa può contrarre affidamenti, indipendenti gli uni dagli altri con più banche e, in questo caso, si parla di fidi multipli; nel caso in cui l’impresa ottenga un unico fido da più banche si parla di fidi in pool [BIFFIS, 2009]. In questo modo l’azienda moltiplica la sua capacità di indebitamento. Certo è che in un ambiente economico evoluto il ruolo del credito bancario assume un rilievo tale che la maggior parte dei soggetti economici fruisce di una linea di credito: non solo le aziende, ma sempre più spesso anche singoli individui hanno la facoltà di avvalersi di prestiti e trasformarsi in soggetti affidati. Un fido bancario perciò può essere concesso sia ad un privato che ad un'azienda, ma è solitamente quest'ultima la categoria che ricorre maggiormente al credito bancario. L’Italia, infatti, è storicamente un Paese nel quale il sistema finanziario è “bancocentrico”, ossia orientato alle banche piuttosto che al mercato. Nel contesto italiano svolge un ruolo cruciale la particolare struttura delle imprese e quindi: • la struttura familiare della proprietà, con conseguente desiderio da parte dell’imprenditore di non condividere con altri soci il governo aziendale e i frutti economici che ne derivano; • la proprietà e il controllo molto spesso coincidenti; • l’elevato livello di leva finanziaria (leverage) e la concentrazione del debito sul breve termine, incentivati dall’alto livello di tassazione sui redditi d’impresa, che determina un costo dopo le imposte del capitale di debito estremamente competitivo rispetto al capitale di rischio; • la vicinanza geografica dell’impresa alla banca, con rapporti gestiti prevalentemente in filiale. Questi aspetti mettono in evidenza la profonda commistione tra banche e imprese nel sistema finanziario italiano, in cui il risparmio giunge alle imprese attraverso il sistema bancario e le altre istituzioni finanziarie. 18 In relazione al rapporto banca-impresa, da un lato gli imprenditori lamentano la bassa qualità dei servizi bancari e l’elevato costo del credito; dall’altro, i responsabili delle banche evidenziano la difficoltà di ottenere informazioni attendibili e segnalano come l’intento principale degli imprenditori sia quello di indebitarsi con un gran numero di banche per stabilizzare la disponibilità complessiva di fondi e minimizzarne il costo. In letteratura è stato ampiamente evidenziato che la tendenza al pluriaffidamento aumenta al crescere della dimensione dell’impresa [FOGLIA ET AL., 1998], e conseguentemente al diminuire delle dimensioni aziendali si riduce il numero di banche con cui gli imprenditori interagiscono, aumentando così la possibilità che la banca di riferimento sia un intermediario locale; le piccole imprese hanno dunque maggiori possibilità di non disperdere i rapporti finanziari con il sistema bancario. Quanto appena detto fa emergere il problema che in Italia la banca sembra troppo “piccola” rispetto all’impresa che affida e per questo l’impresa è costretta a ricorrere a più banche. L’effetto positivo più evidente del multibanking svolto sulla gestione degli intermediari è la spinta alla diversificazione del portafoglio prestiti e quindi alla riduzione del rischio di credito. In effetti, suddividendo quest’ultimo fra più banche in ragione alla quota parte dei finanziamenti che ciascuno concede, si crea una vera e propria collettivizzazione del rischio; soprattutto, si evita di incorrere in perdite rilevanti nel caso di difficoltà dell’impresa affidata. Tuttavia, il ricorso alla pratica dei fidi multipli presenta anche degli aspetti negativi da non sottovalutare, soprattutto quando gli enti creditizi non sono in grado di svolgere un ruolo di interlocutori efficienti nei confronti delle aziende. Quando le aziende si rivolgono al sistema bancario, è perché esiste un fabbisogno di mezzi finanziari generato dal fatto che le entrate monetarie derivanti dalla riscossione dei ricavi di vendita non riescono, di solito, a finanziare interamente le uscite connesse al sostenimento dei costi, queste ultime, infatti, precedono in genere il conseguimento dei ricavi, dato che i cicli di produzione iniziano prima che giungano a compimento quelli in precedenza avviati. Il soggetto poi ha la capacità di utilizzare il credito concesso dalle banche, ossia l’insieme dei finanziamenti che la banca mette a disposizione del cliente, sotto qualunque forma tecnica: 1. Fidi di cassa ed assimilati: si tratta principalmente del classico scoperto di conto corrente, la linea di credito più utilizzata, e anche la più costosa per il cliente. Il tasso di interesse applicato al finanziamento in conto corrente è elevato, ma gli interessi vengono corrisposti dall’azienda finanziata solo sulle somme effettivamente utilizzate. Essa consente di avere un'apertura di credito sul proprio conto corrente, che si manifesta nella possibilità per il cliente di utilizzare in qualsiasi momento e in qualsiasi modo le somme messe a disposizione da parte dell'istituto di credito 19 affidante, di norma senza preavviso e senza particolari obblighi di restituzione in termini temporali. I finanziamenti in conto corrente sono dotati di un elevato grado di elasticità; poiché la banca che concede tali finanziamenti, consente all’impresa che si avvale di essi, di procedere ad utilizzi nelle fasi ascendenti del fabbisogno, quando l’impresa acquisisce i fattori produttivi, e di ridurre o eliminare gli utilizzi attraverso rimborsi realizzati con versamenti in conto corrente nelle fasi discendenti, in cui l’impresa riscuote le vendite dei prodotti realizzati. Si tratta di una linea di credito funzionale per l'impresa o il privato che ne beneficia; tuttavia le banche affidanti preferiscono un utilizzo elastico di detta linea di credito e tendono a ridurre o a revocare gli affidamenti caratterizzati da utilizzi pieni e statici. 2. Smobilizzo crediti, definito anche come castelletto bancario: è una categoria piuttosto ampia che riguarda quelle linee di credito che consentono lo smobilizzo di crediti che il soggetto richiedente vanta nei confronti di soggetti terzi. In tale categoria si ravvisano principalmente le seguenti tipologie di affidamento: • i fidi c.d. di portafoglio composti da anticipo, sconto e credito effetti, dove si intendono per effetti le ricevute bancarie e le classiche cambiali; • l'anticipo fatture, a sua volta articolato in anticipo fatture con cessione e senza cessione del credito. 3. Fidi di firma: si tratta di garanzie prestate dall'istituto di credito a favore di terzi per conto del soggetto richiedente, la forma tecnica più diffusa è sicuramente la fideiussione bancaria. 4. Fidi estero: rientrano in questa categoria tutte quelle linee di credito che consentono di supportare un'azienda nella sua attività commerciale con l'estero. Si evidenziano in tale categoria gli anticipi di fatture all'esportazione, le lettere di credito, i finanziamenti all'importazione. 5. Fidi per derivati: è una categoria che riguarda tutte quelle linee di credito necessarie per supportare l'operatività in derivati (ad es. futures, options, swap). 6. Finanziamenti: si tratta di tutte quelle operazioni di finanziamento a breve, medio o lungo termine caratterizzate dall'erogazione di una somma capitale e dal rimborso effettuato mediante un piano di ammortamento prefissato. I più diffusi in tale categoria sono i mutui ipotecari e chirografari. È necessario poi distinguere fra “fido accordato” e “fido utilizzato”: il primo sta a indicare la facoltà del cliente di utilizzare, secondo varie modalità, i fidi ottenuti; il secondo indica invece l’esercizio della facoltà [BIFFIS, 2005]. 20 Quando poi si vogliono distinguere i fidi secondo la loro scadenza originaria, si usano locuzioni del tipo: “fidi a breve”, con scadenza originaria entro i dodici mesi; “fidi a medio termine” entro cinque anni e “fidi a lungo termine” oltre i cinque anni. Le aziende, infine, richiedono e utilizzano le diverse linee di credito secondo la particolare esigenza da finanziare e secondo la struttura della strategia finanziaria pianificata. 2.2 Le fasi della concessione di credito. La concessione di fido rappresenta la fase terminale di un processo che, partendo dalla richiesta avanzata dal cliente, passa attraverso la raccolta e l’analisi di una serie di informazioni. La procedura disposta dall’OdV inizia con la richiesta di concessione fido, presentata e sottoscritta da una persona fisica o giuridica (dotata di capacità giuridica) contenente: • l’ammontare dell’affidamento richiesto; • la durata dello stesso; • le garanzie eventualmente offerte. Prosegue poi con l’istruttoria della pratica di fido, che è il complesso delle indagini, analisi ed elaborazioni con le quali gli organi competenti della banca giungono alla formulazione di un giudizio motivato sulla richiesta di credito del cliente e con il fine ultimo di salvaguardare gli interessi della banca. Le concessioni di credito conseguono, infatti, all’attivazione di processi estimativi attraverso il procedimento istruttorio compiuto dalla banca che intrattiene la relazione con il cliente secondo modalità operative proprie di ogni banca. Le Istruzioni di Vigilanza emanate dalla Banca d’Italia5 prescrivono che la banca è tenuta ad acquisire ogni utile elemento di informazione o ad assumere ogni iniziativa idonea a rendere il livello di approfondimento dell’istruttoria dei fidi adeguato all’ammontare ed al grado di rischio del credito da concedere. Essa contempla la raccolta della documentazione contabile e amministrativa, accertamenti, individuazione e analisi del rischio da assumere, la rilevazione delle caratteristiche andamentali dei rapporti in essere e la determinazione dell’entità del fabbisogno finanziario. Al fine dell’identificazione della persona fisica sono necessari: il documento d’identità in corso di validità, codice fiscale, certificato di stato civile o estratto dell’atto di matrimonio con annotazioni riguardanti il regime patrimoniale, certificato di residenza e certificato di iscrizione al Registro delle Imprese per le ditte individuali, ecc. 5 Cfr. Circ. 263/2006 e successivi aggiornamenti (Nuove disposizioni di vigilanza per le banche) e Circ. 229/1999 e successivi aggiornamenti (Istruzioni di vigilanza per le banche). 21 Nel caso di persone giuridiche sono richiesti solitamente: certificato storico del Registro delle Imprese, copia dell’atto costitutivo e dello statuto o eventuali patti sociali, certificazione attestante la responsabilità della società e la regolare costituzione. L’identificazione è il primo momento importante dell’istruttoria bancaria. La banca deve contemporaneamente svolgere indagini esterne e interne alle aziende richiedenti: quelle esterne sono utili soprattutto per i clienti nuovi e hanno lo scopo di raccogliere informazioni sul richiedente presso i suoi clienti, fornitori, professionisti, ecc., quelle interne consistono in visite di funzionari della banca presso l’azienda da finanziare allo scopo di conoscere e valutare la struttura organizzativa dell’impresa richiedente, con riferimento sia alla struttura finanziaria, sia a quella tecnico-produttiva e commerciale. Le notizie assunte sono opportunamente selezionate e approfondite con un sistema logico e spersonalizzato. La documentazione di carattere reddituale usualmente richiesta per la valutazione del merito creditizio è costituita: • per le persone fisiche da modello 730 o Unico e ultime buste paga; • per le società od enti in genere da bilanci ufficiali relativi almeno agli ultimi due anni, un bilancio provvisorio del periodo corrente e un bilancio previsionale per l’esercizio successivo a quello della richiesta. Uno degli strumenti di analisi più utilizzati nella prassi operativa di concessione di fido bancario è rappresentato dall’analisi per indici che si fonda sull’elaborazione di quozienti di bilancio ottenuti come rapporti tra le varie classi dello Stato Patrimoniale e del Conto Economico, opportunamente riclassificato. Gli indici rappresentano sinteticamente la struttura finanziaria e patrimoniale dell’impresa richiedente fido. Un eccessivo indebitamento comporta una pericolosa alterazione del rapporto tra capitale proprio e capitale di terzi, portando ad un’incapacità della stessa a far fronte agli impegni futuri di rimborso. Inoltre il pesante carico degli oneri finanziari che ne deriva può pregiudicarne la sua redditività. Altri criteri consentono di valutare la capacità di rimborso e l’attitudine dell’impresa affidata a produrre redditi adeguati rispetto alle situazioni di rischio caratteristiche dei settori di attività di appartenenza. La capacità di rimborso viene quindi collegata alla redditività futura dell’impresa. Uno degli indicatori in base al quale viene decisa l’operazione e l’ammontare del credito a fronte del rischio di perdita, è rappresentato da diverse configurazioni del reddito: il risultato operativo, il cash flow o il reddito netto. 22 Dal punto di vista tecnico gli strumenti utilizzati sono i bilanci prospettici, attraverso i quali si cerca di costruire il conto economico e lo stato patrimoniale dai quali si ricavano, appunto, i redditi previsti e i fabbisogni finanziari futuri. Per valutare la situazione di liquidità dell’impresa viene di solito preso in considerazione l’ammontare del cosiddetto capitale circolante netto (differenza tra attività correnti e passività correnti). La dinamica dei redditi futuri assieme ad un’analisi dell’evoluzione della liquidità aziendale permettono una miglior valutazione sulla puntualità del rimborso. L’analisi per indici ovviamente risente del grado di attendibilità e trasparenza del bilancio ma consente di studiare le performance presenti e passate dell’azienda ed è quindi sicuramente di aiuto per la determinazione del giudizio di affidabilità. Nella prassi è contemplato anche l’esame di eventuali garanzie offerte che, comunque, non aumentano la capacità di credito del cliente, ma valgono a rendere più sicura la riscossione del finanziamento concesso, nell’ipotesi estrema di insolvenza dell’azienda affidata. L’istruttoria ha quindi lo scopo di identificare il soggetto richiedente, di verificare la veridicità delle informazioni raccolte, di esaminare la fattibilità dell’operazione, la capacità di produrre reddito, di indebitamento, di rimborso e di valutare quindi il merito creditizio del cliente sulla base della documentazione prodotta, delle analisi attivate e della consultazione di banche dati: Centrale dei Rischi, CRIF, ASSILEA E ASSIFACT. Altri dati sono desumibili da visure ipotecarie o catastali presso la conservatoria dei registri immobiliari. Per l’istruttoria ogni Banca fa riferimento a delle proprie politiche di credito, cioè delle regole aziendali che, oltre a quelle fissate dalle leggi, sono utilizzate per misurare la capacità di rimborso del richiedente. Lo sportello è il punto di contatto con la clientela e qui dopo aver istruito le pratiche, qualora sia espresso un parere favorevole e non vincolante con evidenza di tutti gli aspetti positivi e negativi, si procede alla trasmissione di queste ultime ai soggetti con poteri deliberanti. Sulla base della relazione, detta di sintesi, con la quale il funzionario che istruisce la pratica giunge a delle conclusioni sulla capacità di credito e di merito del richiedente, gli organi preposti alle decisioni in materia di affidamento possono richiedere un supplemento di istruttoria e delibereranno la concessione totale o parziale dell’affidamento, o nel caso più sfavorevole respingeranno la proposta. Data la diversa organizzazione degli istituti di credito, soggetto proponente e soggetto deliberante possono coincidere, oppure essere diversi secondo un meccanismo composto di deleghe che tende a distinguere le responsabilità fra i diversi soggetti. 23 Per le operazioni che eccedono un determinato plafond o che sono entro certi parametri di rischiosità la filiale può essere tenuta a richiedere l’assenso di una struttura superiore (capo area per quelle dipendenze ubicate in un determinato territorio), questa a sua volta, per importi oltre un dato ammontare dovrà rivolgersi alla direzione centrale (servizio crediti, comitato esecutivo o consiglio di amministrazione, sempre in funzione della dimensione del prestito). In seguito alla delibera inizia la cosiddetta fase esecutiva, durante la quale la banca attiva l’operazione, perfeziona il contratto, concede l’utilizzo di quanto deliberato e controlla la regolarità della relazione. Scopo di tali indagini è appurare se sono intervenuti elementi di rilevanza a modificare l’originaria posizione dell’impresa, tali da ripercuotersi negativamente sul puntuale rimborso del debito contratto. La revisione del fido ha la funzione di adeguare le condizioni praticate sul rapporto in esame alle mutate condizioni di mercato o alla variata solvibilità dell’impresa. Qualora invece il monitoraggio evidenziasse l’insorgere di qualche patologia aziendale, la banca può decidere di: • revocare il fido, per i finanziamenti validi “salvo revoca”, qualora le difficoltà siano gravi e non temporanee; • richiedere garanzie supplementari, se l’azienda presenta difficoltà non gravi e per ottenere una maggiore possibilità di rientro del finanziamento concesso. L’attività di monitoraggio può evidenziare il mancato utilizzo della linea di credito favorendo così uno smobilizzo finanziario di somme che prima la banca teneva a disposizione di un’impresa e di cui quest’ultima non aveva bisogno. 2.3 Relationship banking. Innanzitutto, il concetto di relazione bancaria identifica un generico rapporto banca-cliente, o più spesso, banca-impresa quale metodo opposto al rapporto mercato-impresa. L’impresa ha, infatti, la necessità di recuperare un determinato fabbisogno finanziario per acquistare e utilizzare i fattori produttivi destinati ai processi di produzione e gestione dell’impresa. Questo fabbisogno può essere coperto da capitale proprio o facendo ricorso a capitale di terzi. Nel sistema economico italiano raramente l’azienda fa ricorso al mercato per recuperare mezzi finanziari e quindi non rimane che l’autofinanziamento o rivolgersi ad uno sportello bancario. Ecco dunque la necessità di instaurare una relazione banca-cliente per soddisfare un bisogno ed è chiaro che questa nasce nel momento in cui accadono una serie d’interazioni ripetute tali 24 da consentire alla banca l’accumulazione di informazioni e la possibilità di ripartire il costo del loro reperimento nei diversi anni. Inoltre l’instaurarsi di relazioni intense e durature comporta benefici per le imprese in termini di una maggiore quantità di credito offerto e migliori condizioni di accesso al credito, rappresentate dal tasso praticato e dalle garanzie richieste. La tipologia di informazioni raccolte deve avere un carattere maggiormente qualitativo e difficilmente quantificabile. Le informazioni quantitative, infatti, si possono facilmente estrapolare dai libri contabili e sono tipiche del transactions banking; nel relationship banking è invece importante conoscere il profilo e le capacità dell’imprenditore. Dallo studio di Berger e Black (2007) l’implementazione dell’istruttoria di fido avverrebbe per fasi seguendo una sequenza di informazioni che va da quelle di tipo hard a quelle di tipo soft basate sul relationship banking. Nella prima fase la banca tende a valutare le attività fisse dell’impresa che possono essere utilizzate quale garanzia dell’operazione. Nella seconda fase si identificano altre informazioni hard basate sulla valutazione delle attività presenti in bilancio e sull’informativa di tipo contabile. Infine, la banca prenderebbe in considerazione le informazioni di tipo soft o relationship-based. Il modello vincente è quello che utilizza sia informazioni soft sia hard. Il relationship banking quindi è fondato sull’interazione quotidiana e non su un’analisi di indicatori finanziari e patrimoniali proprie del transactions banking. Le caratteristiche del relationship banking sono: 1. durata della relazione banca-cliente; 2. intensità, ampiezza e profondità della relazione; 3. modalità con cui si realizza la relazione banca-cliente. Per quanto concerne la durata è importante che la relazione sia stabile e duratura per permettere una più puntuale conoscenza del prenditore e del rischio connesso. Il concetto di intensità si può esprimere come numero di banche finanziatrici, l’ampiezza della relazione è intesa come utilizzo dei diversi servizi offerti dalla banca e profondità della relazione è rappresentato dall’utilizzo di credito su quello concesso dalla banca [BONGINI ET AL., 2009]. Accanto alle caratteristiche di durata e intensità della relazione banca-cliente, il relationship banking presuppone che la banca operi in modo tale da acquisire effettivamente un vantaggio legato all’acquisizione di informazioni private per poter valutare l’affidabilità di ogni singolo cliente. Il modo in cui si realizza la relazione non deve basarsi su un riscontro di dati oggettivi, impersonali e standardizzati ma deve constare su un confronto diretto con il cliente. 25 Dall’incontro con il cliente è interessante capire quali siano i progetti futuri dell’impresa e il piano di sostenibilità, raccogliere più informazioni possibili riguardo clienti e fornitori di un’impresa, le idee e se esse siano o meno realizzabili nel breve o medio/lungo termine, soprattutto individuare la qualità del management e della proprietà e il loro profilo. Chiaramente un ruolo fondamentale è svolto dall’esperienza di chi osserva, dalla capacità di discernere le informazioni e assumersi la responsabilità di fronte ad una nuova concessione e ad un rinnovo. Un altro elemento considerevole circa le modalità della relazione è la prossimità della banca al cliente, sia in termini di distanza spaziale, sia in termini di cliente e soggetto che prende le decisioni creditizie. Sembra utile porre l’accento pure sul fatto che le banche di piccole dimensioni sono più vicine al relationship banking poiché hanno una struttura organizzativa meno complessa, la quale consente un più agevole ed efficace utilizzo di informazioni qualitative. Il relationship banking quindi è una relazione banca-impresa che si basa sull’informazione inizialmente fornita dall’imprenditore e in seguito prodotta e accumulata dalla banca, a partire da una varietà di fonti. Essa tende a manifestarsi in rapporti creditizi di lunga durata, nell’ambito dei quali, la gamma di servizi finanziari prestati dalla banca è tendenzialmente ampia, non solo credito ma anche servizi transattivi, di investimento e di carattere fiduciario offerti all’impresa e all’imprenditore. Da uno studio recente è emerso che il relationship banking rappresenta l’elemento caratterizzante delle banche che hanno risentito meno della crisi diffusasi nel sistema bancario nel corso del 2008 [BECALLI ET AL., 2009]. 26 2.4 Valutazione del merito di credito. Nel contesto delineato lo strumento per favorire una logica di efficiente allocazione delle risorse finanziarie finalizzata a coniugare la qualità del credito con la produttività è una corretta valutazione del merito di credito.6 L’analisi del merito di credito o di affidabilità della clientela, oltre che essere preliminare a qualsiasi nuova concessione di affidamento, assume in via permanente la decisiva funzione di controllo del comportamento della clientela. Gli istituti di credito concedono gli affidamenti a seguito di una complessa istruttoria che di norma ha ad oggetto sia i profili reddituali che quelli patrimoniali del soggetto richiedente al fine di stabilire la capacità prospettica di restituzione del credito concesso e la solidità finanziaria. La valutazione del merito di credito della clientela richiede anche una notevole quantità di informazioni che di solito sono riservate, e solo l’instaurazione di un reciproco rapporto di fiducia tra impresa e banca può consentire a quest’ultima l’accesso a dati necessari alla valutazione, superando, di fatto, i problemi legati all’esistenza di asimmetrie informative. I benefici derivanti da questo rapporto si estendono a entrambi i contraenti: per l’impresa c’è la possibilità di ottenere una stabilizzazione del costo del finanziamento, in altre parole di avere finanziamenti a tassi inferiori, mentre per la banca si pensa ad un migliore sfruttamento delle informazioni riservate. Lo scopo di tale procedura è prevedere il grado di rischio connesso al successivo utilizzo da parte dell’affidato del fido accordato. Il rischio è di perdere, in tutto o in parte, il capitale messo a disposizione del finanziato, oltre ovviamente agli interessi maturati sullo stesso. Poiché la perdita si concreta in caso di insolvenza, il rischio è correlato alle probabilità di decesso dell’impresa finanziata. Con la valutazione del merito di credito si cerca quindi di studiare la capacità del debitore di essere in condizione, nel momento prestabilito e dopo aver fatto fronte alle scadenze intermedie, di: • restituire il prestito ed estinguere l’obbligazione; • ottenere un rinnovo del prestito; 6 Le Istruzioni di Vigilanza dispongono testualmente (Circ. 229/1999, Titolo IV, Cap.11) che l’intero processo del credito (istruttoria, erogazione, monitoraggio, revisione delle linee di credito e interventi in caso di anomalia) deve risultare dal regolamento interno della banca e che nella fase di istruttoria la banca acquisisce tutta la documentazione necessaria per effettuare una adeguata valutazione del merito creditizio del prenditore sotto il profilo patrimoniale e reddituale anche al fine di determinare una corretta remunerazione del rischio assunto, ed idonea per consentire di valutare la coerenza tra importo, forma tecnica e progetto finanziato e permettere l’individuazione delle caratteristiche e della qualità del prenditore anche alla luce del complesso delle relazioni intrattenute con lo stesso. 27 • restituire il prestito tramite il prestito di un finanziatore diverso. È evidente come, per la banca non vi possa essere convenienza economica nell’instaurare relazioni di clientela che contemplino impieghi con scarse prospettive di adempimento dell’obbligazione, indice di scarsissima affidabilità. La valutazione è previsionale poiché non si possono conoscere i rischi d’impresa e di mercato che condizionano il pagamento di capitale e di interessi futuri. La possibilità di effettivo rientro dei prestiti, essendo il momento del rimborso differito, è strettamente collegata all’evoluzione futura della situazione economica, finanziaria e patrimoniale, e comporta una valutazione dell’andamento prospettico dell’azienda. Nella valutazione del merito di credito è necessario individuare le ragioni per cui l’impresa richiede agli istituti bancari credito invece di ricorrere alle risorse proprie. È inoltre fondamentale capire qual è la capacità dell’impresa di produrre reddito e andare a fondo sulla costituzione della compagine sociale e del capitale dell’impresa. Si cerca poi di prevedere quali siano le prospettive del contratto che si andrà a stipulare ossia se sarà rinnovato e in questo caso la valutazione del merito di credito è da intendersi positiva oppure estinto, se saranno escusse eventuali garanzie o se ci sarà un trasferimento della partita alla concorrenza e quindi siano indice di uno scadente apprezzamento del credito. Per quanto riguarda il lato economico-reddituale che influisce sulla valutazione, è affidabile un’impresa che produca sufficiente ricchezza per sostenere gli oneri finanziari ed eventuale quota parte del capitale da rimborsare ottenuta dalla differenza fra i ricavi e costi correnti. La valutazione del merito di credito di un’impresa non si esaurisce nella sola analisi dei dati di bilancio, analisi di settore e di analisi “andamentale” che riguarda più direttamente il rapporto banca-impresa ma si sostanzia anche nella disamina della Centrale Rischi. La soluzione del problema richiede l’esame di molteplici aspetti e non è offerta da automatismi procedurali ma da un accorto e pragmatico utilizzo di alcuni paradigmi maturati dalla dottrina e dalla pratica nel loro incessante confronto [BIFFIS, 2005]. Purtroppo nel caso del pluriaffidamento, in cui le aziende hanno dovuto instaurare rapporti di credito multipli, provocando una dispersione del potenziale informativo connesso alla gestione dei rapporti creditizi, la capacità valutativa delle banche si riduce. Questo fenomeno, in particolare, è una delle cause dell’indebolimento della stabilità del sistema finanziario ed uno dei motivi della creazione di un sistema di centralizzazione dei rischi. 28 2.5 La Centrale dei Rischi. La Centrale Rischi è una banca dati, nella quale sono archiviate le informazioni sulla solvenza dei clienti degli istituti creditizi, gestita dalla Banca d’Italia per l’esercizio dell’attività di vigilanza e controllo sulla raccolta del risparmio e l’erogazione del credito. Si tratta dunque di un sistema informativo sull’indebitamento della clientela delle banche e degli intermediari finanziari vigilati dalla Banca d’Italia. La Centrale Rischi è stata istituita al fine di creare un sistema di centralizzazione dei rischi7, per consentire alle banche di gestire la pluralità di affidamenti concessi da più intermediari in capo ad uno stesso soggetto. Lo scopo della Centrale Rischi è di contribuire al miglioramento della qualità degli impieghi, fornendo agli intermediari informazioni per la valutazione del merito di credito della clientela e per l’analisi e la gestione del rischio di credito, con l’obiettivo di aumentare la stabilità del sistema creditizio. Nel corso degli anni la Centrale Rischi ha assunto un ruolo crescente e fondamentale nella gestione degli affidamenti, nuovi ed esistenti, da parte degli intermediari finanziari. La sua importanza è tale che il ruolo che spesso gioca nella gestione e nella misurazione del rischio di credito supera abbondantemente il 50% all’interno del complessivo insieme di fattori esaminato dalle banche: bilancio, altri elementi quantitativi, settore, correttezza dei soci, ecc... Una sana e corretta gestione dei rapporti da parte dell’azienda con le banche partner ricopre un ruolo molto importante per mantenere i rapporti con le stesse, ma anche per averne con delle nuove che non conoscono l’azienda ed in primis lo fanno proprio valutando lo storico della ditta evidenziato dalla Centrale Rischi. La Centrale Rischi, infatti, accentra le segnalazioni degli intermediari partecipanti che hanno l’obbligo di indicare l’esposizione creditizia in essere verso quei clienti (persone fisiche o giuridiche) il cui affidamento supera determinate soglie quantitative minime. Gli intermediari sono tenuti a segnalare l’intera posizione nei confronti del singolo cliente se, alla data di riferimento (fine mese), essa è pari o superiore a 30.000,00 euro. È obbligatoria la segnalazione che riguarda tutte le posizioni in sofferenza e queste devono essere segnalate qualunque sia l’importo. In particolare deve essere rilevato il passaggio dei crediti a sofferenza, la ristrutturazione del credito e la regolarizzazione di eventuali posizioni precedentemente segnalate a sofferenza o oggetto di ristrutturazione. 7 Il servizio di centralizzazione dei rischi creditizi è regolato dalle Istruzioni di Vigilanza (v. Banca d’Italia, Circolare n. 139/1991 – 13° aggiornamento del 4 marzo 2010). 29 Gli intermediari sono tenuti a segnalare l’informazione entro i tre giorni lavorativi successivi a quello in cui sia stato accertato, dagli organi competenti, lo stato di sofferenza del cliente, approvata la ristrutturazione del credito o preso atto della regolarizzazione della posizione. Un’erronea segnalazione a sofferenza però incide negativamente sulle relazioni bancarie perché va a ripercuotersi nella possibilità di accedere al credito oltre a comportare la revoca di quello già concesso. Sulla base delle informazioni ricevute poi la Banca d’Italia restituisce ad ogni intermediario un flusso di ritorno del livello di rischio dei singoli clienti e dei soggetti ad essi collegati e un flusso di ritorno statistico. L’importanza del servizio fornito agli intermediari dalla Centrale Rischi riguarda anche il cosiddetto “servizio di prima informazione” che consente di ottenere informazioni riguardo posizioni globali di rischio sulla clientela effettiva o potenziale, per la quale è in corso un’istruttoria di affidamento. In sostanza, l’analisi della Centrale Rischi porta le banche ad effettuare valutazioni circa la quantità di flussi intermediati ma anche la qualità del lavoro attraverso l’analisi della percentuale di insoluti sulle ricevute bancarie e sulle fatture presentate all’incasso o anticipate, la presenza di sconfinamenti o ritardi nei pagamenti delle rate su finanziamenti a medio lungo termine e, più in generale, la regolarità e la correttezza della normale operatività bancaria e nei pagamenti. La Centrale rischi, pertanto si propone di porre a disposizione degli enti creditizi partecipanti uno strumento in grado di accrescere la loro capacità di valutazione e di controllo della clientela. Attraverso le interrogazioni alla Centrale Rischi è possibile per le banche monitorare l’andamento qualitativo e quantitativo dei rapporti dell’impresa verso il complesso del sistema bancario con cui essa opera. Gli intermediari, utilizzando i dati della Centrale Rischi, possono impiegare in modo più efficiente le loro risorse e migliorare la qualità del portafoglio crediti. I benefici per la clientela meritevole sono rappresentati da un più agevole accesso al credito e migliori condizioni. Inoltre dalle informazioni fornite dalla Centrale Rischi si possono desumere una serie di indicatori attraverso i quali le banche rilevano una prima stima delle condizioni di rischio associate al prenditore, uno di questi è il rapporto utilizzato/accordato valutato sull’insieme delle banche che analizzato oltre una certa soglia decisa come parametro limite da ciascun istituto bancario, evidenzia un incremento del rischio in quanto modifica la percentuale di esposizione al momento di un eventuale default, condizionando il rating. 30 2.6 I Rating. L’accordo di Basilea 2 prevede che gli istituti di credito siano chiamati ad attribuire un rating, cioè un giudizio che sintetizzi la capacità di credito e la solvibilità della controparte: di fatto, quindi, viene valutata l’attitudine del cliente della banca a far fronte degli impegni assunti alle scadenze prestabilite [BONIFAZI e TROISE, 2007]. Il rating è espresso convenzionalmente da un simbolo alfanumerico che esprime, all’interno di una scala, la probabilità di default ovvero il rischio d’insolvenza di un’impresa. I criteri di giudizio si basano sull’analisi della situazione finanziaria dell’azienda, sull’analisi del settore in cui opera e sul suo posizionamento in base a criteri di efficienza e competitività, sull’analisi della situazione economica generale, su visite in azienda e incontri con il management o l’imprenditore. Il rating può essere elaborato da agenzie esterne o direttamente dalle banche. In particolare, la Banca d’Italia riconosce quale ECAI (external credit assessment institutions8): Fitch Ratings, Moody’s Investors Service, Standard & Poor’s Rating Services, Cerved Group (quest’ultima limitatamente al comparto “imprese ed altri soggetti” previsto nell’ambito del metodo standardizzato). Della valutazione esterna, dati i costi, possono beneficiare le grandi imprese multinazionali. Negli altri casi, gli istituti bancari si avvalgono di procedure standardizzate per la valutazione delle imprese, elaborate internamente e accreditate dalla Banca d’Italia, le quali forniscono una serie di informazioni prevalentemente quantitative che da un lato si presentano sicuramente come oggettive, ma dall’altro non permettono di cogliere completamente il merito creditizio delle aziende di piccole dimensioni. Il credit scoring è un sistema usato dalle banche e dagli intermediari finanziari per valutare la solvibilità dell’azienda. Il sistema combina tra loro una serie d’informazioni al fine di pervenire ad un punteggio di accettazione, da parte del soggetto finanziatore, circa il rischio di credito del richiedente in un determinato arco di tempo. In funzione del punteggio, all’azienda viene assegnato un voto in lettere e una classe di appartenenza (rating) mediante i quali l’intermediario trae elementi utili per accettare o rifiutare il finanziamento, per determinare la sua entità e il tasso di interesse applicato. Ad ogni giudizio di rating corrisponderà un assorbimento diverso di capitale destinato ad accantonamento prudenziale e di vigilanza, e di conseguenza, per rating migliori vi sarà per l’istituto di credito un minor assorbimento di capitale che permetterà di concedere il finanziamento ad un tasso di interesse inferiore. I 8 Cfr. Circ. 263/2006, Titolo II, Cap. 1 e http://www.bancaditalia.it/vigilanza/normativa/norm_bi/circreg/vigprud/ecai/ecai.htm. 31 clienti che avranno giudizi di rating negativi si vedranno invece aumentare il tasso di interesse applicato sui propri finanziamenti, in conseguenza al maggior assorbimento di capitale per la banca per tali impieghi. Il rating è sintetizzato con un codice appartenete a scale che variano da agenzia ad agenzia e da banca a banca. Per esempio si indica con «AAA» un giudizio di ottima qualità, questa scende gradualmente se si passa al codice «AA» oppure «A», lettere che possono essere accompagnate anche da un «+» o «-» oppure da dei numeri «AA1». La qualità si considera buona se il rating si colloca nell’intervallo «BBB»«B»; va considerata bassa se il rating si posiziona nell’intervallo «CCC»«C», ovvero unrated. A differenza delle grandi imprese, dove viene effettuata un’analisi approfondita, le PMI vengono assimilate ai privati e valutate con tecniche statistiche di scoring o attraverso processi di rating, che nella maggior parte dei casi non sono adatti perché non danno una rappresentazione corretta delle caratteristiche quali - quantitative tipiche e perciò possono fornire risultati fuorvianti. 32 3. LA PRODUTTIVITÀ 3.1 La produttività in ambito bancario. La produttività in economia può essere definita come il rapporto tra la quantità di output e le quantità di uno o più input utilizzati per la sua produzione. Per misurare la produttività nell’impresa bancaria è necessario individuare di conseguenza il prodotto bancario. Questa individuazione incontra alcune problematiche sia per il fatto che l’attività bancaria è un classico esempio di produzione congiunta9, sia perché, come per le aziende produttrici di servizi, risulta difficile determinare il prodotto in termini fisici [VIVIANI e GAZZEI 2001]. Non è facile definire gli input e gli output del processo di produzione delle banche; questo processo è certamente anomalo come si rileva dall’esame della letteratura e dalla mancanza di un giudizio comune su cosa debba essere considerato input e output. La definizione di input ed output nelle aziende di credito è il risultato di diverse ricerche; infatti, tra i vari contributi che si sono succeduti in merito, possono essere distinti alcuni approcci. Il primo approccio, che sottolinea l’importanza della funzione creditizia della banca, secondo il quale le componenti del passivo, in particolare dei depositi, rappresentano l’input del processo produttivo, mentre l’output è rappresentato dall’insieme delle attività finanziarie, è detto “dell’intermediazione” [BERGER ET AL. 1986]. Come evidenziano Conigliani ed altri, nel loro saggio datato 1991, il processo di produzione delle banche è descritto come una trasformazione di fondi che sono acquisiti dal soggetto in surplus, combinati con i tradizionali fattori produttivi (lavoro e capitale), e quindi messi a disposizione dei soggetti in deficit. Per schematizzare cosa sia input e cosa sia output, seguiremo l’approccio dell’intermediazione, che suggerisce di considerare i depositi come input del processo bancario, in cui il ruolo della banca risulta fondamentale nel momento di intermediazione finanziaria ossia di trasferimento del risparmio dal soggetto risparmiatore, sia esso persona fisica o giuridica, al soggetto richiedente. L’approccio all’intermediazione diventa prevalente quando l’accento è posto sul ruolo delle banche come distributori di fondi, trasformati nelle caratteristiche di liquidità e di rischio. 9 Il concetto di produzione congiunta va ricondotto all’espletamento della funzione monetaria da parte della banca, congiuntamente con l’esercizio della funzione creditizia. 33 Come rilevano Berger e Humprey (1986), se consideriamo i depositi fra gli input, si perde la distinzione fra il concetto di servizio del deposito e l’uso di fondi intermediati per produrre i servizi; questo conferma che anche questo approccio non è esente da problemi e contraddizioni come evidenzia anche Dongili nel suo working paper del 2005. Il secondo approccio è detto “della produzione” e considera come risultato del processo produttivo sia i depositi che il volume globale degli investimenti. In questo approccio si pone l’accento sul fatto che “la produzione di servizi finanziari, come quella di un qualsiasi altro bene, richiede l’impiego di lavoro e di capitale … per i compiti di documentazione, informazione e monitoraggio” [TULKENS, 1993]. L’asset approach coincide con l’intermediation approach in quanto il passivo è l’insieme degli input e l’attivo rappresenta l’output. I depositi sono inclusi tra i fattori produttivi. La suddivisione tra intermediation e asset approach, da un lato, e production approach dall’altro è dettata dai due diversi tipi di funzione delle banche; quella macroeconomica, di trasmissione e trasformazione del risparmio fra unità in surplus e in deficit, per i primi, e quella microeconomica, di produttori di servizi finanziari, per il secondo. Ricordiamo poi l’user cost approach e il value added approach. Secondo l’approccio “del costo di utilizzo”, o user cost approach, se una posta patrimoniale influisce positivamente sul margine di gestione, allora è un output, altrimenti va considerata come input. E ancora, l’approccio “del valore aggiunto”, o value added approach, individua come output le poste patrimoniali che generano una quota rilevante del valore aggiunto, il resto va considerato input o output non essenziale. La pluralità di approcci, anche all’interno di una specifica definizione di output, sembra rimandare ad una scelta compiuta in base alla disponibilità di dati e degli obiettivi dell’analisi. La letteratura suggerisce di preferire il production o il value added approach in relazione ai temi delle economie di scala e di scopo, o nell’analisi di efficienza delle filiali di un’impresa bancaria, e di utilizzare, invece, l’approccio dell’intermediazione o asset approach nell’ambito dello studio dell’efficienza della banca. Avvalendoci dell’approccio dell’intermediazione possiamo giungere alla conclusione che ad un migliore risultato in termini di output per l’impresa bancaria si possa pervenire attraverso una politica di espansione degli impieghi accompagnata da una migliore qualità degli stessi; pertanto l’insieme dei comportamenti dei soggetti affidati dalla banca va inevitabilmente ad incidere sulle politiche della banca stessa. Tale aspetto deve poi trovare spazio nella configurazione finale dell’attività di produzione che per la banca coincide con l’accumulazione di ricchezza e la produzione di reddito. 34 Diventano fondamentali per questo motivo le informazioni legate all’istruttoria di fido per l’individuazione del rischio bancario. La concessione di fido rappresenta la fase terminale di un processo che, partendo dalla richiesta avanzata dal cliente, passa attraverso la raccolta e l’analisi di una serie di informazioni. L’attività di screening e monitoring, se non effettuata in modo adeguato e continuativo, non rileva dati affidabili sulla rischiosità dei rapporti bancari influenzando negativamente la gestione del portafoglio. Un portafoglio affidamenti “sano” consente più libertà, un livello di operatività maggiore e una maggiore tolleranza al rischio. Più lo stato del rapporto segnala posizioni di rischio più la banca dovrà accantonare capitale, cambiare le politiche di credito, cambiare nuovamente le singole condizioni di credito, attivare nuove divisioni (es. legale e di audit) con aggravio dei costi che vanno ad incidere sulla produttività della banca. Come già evidenziato nel capitolo precedente nella parte dedicata al relationship banking è importante segnalare, in relazione al sistema delle banche locali, lo stretto rapporto che l’istituto di credito ha con la comunità e dal quale può scaturire una migliore capacità di selezione nel credito. La qualità della relazione rappresenta una possibilità importante per ottimizzare la gestione dei crediti. In tal senso la “fiducia” diventa essa stessa garanzia e assume, così, un valore economico. Sotto questo punto di vista, le banche locali possono avvantaggiarsi attraverso un’analisi più specifica delle piccole e medie imprese che ad esse si rivolgono lamentando un’eccessiva standardizzazione e schematizzazione della metodologia di valutazione del merito creditizio adottata anche dalle banche maggiori. Tuttavia anche le banche locali devono fronteggiare situazioni di minaccia: • da un lato evitare il verificarsi di fenomeni noti con il termine di selezione avversa (concentrazione di crediti più rischiosi); • dall’altro sviluppare i loro processi di valutazione sia sul piano strutturale sia di capacità ad accumulare le cosiddette soft information. In quest’ottica le banche locali hanno iniziato ad implementare sistemi di scoring della clientela basato su informazioni di tipo quali - quantitativo, come già diffuso nei grandi gruppi bancari italiani. 35 La massima utilità per la banca è quella di realizzare un sistema di rating che le permetta non solo di utilizzare le proprie stime interne dei rischi di credito per il capitale minimo di vigilanza, ma di utilizzarlo per la riduzione dei propri coefficienti patrimoniali con conseguente aumento della redditività (calcolata sull’utile operativo) del capitale investito. Per ottenere questi vantaggi, la banca deve poter utilizzare tutte le possibili potenzialità del sistema di rating, connesse non solo al possibile risparmio di capitale ma relative al miglioramento dei propri processi gestionali e quindi della propria efficienza e competitività. Agire su questi fattori, per la banca, significa migliorare l’intera filiera del credito, garantendo ad esso una maggiore razionalità e sistematicità nelle diverse fasi (selezione, negoziazione, erogazione, monitoraggio) in cui si articola il processo produttivo dei prestiti bancari. La banca deve cioè utilizzare il rating per migliorare la propria capacità di identificare i rischi, prezzarli e presidiarne eventuali variazioni inattese. Come già affermavano Rispoli e Pappalardo (1996), le sofferenze bancarie, alla presenza di una marcata recessione economica, hanno assunto un importante peso nella gestione caratteristica delle banche, a causa delle dimensioni quantitative raggiunte in termini assoluti e in rapporto agli impieghi bancari. La gestione del portafoglio prestiti con particolare riguardo al fattore rischio assume un ruolo rilevante in ambito bancario. È possibile suddividere questa gestione nelle seguenti fasi: istruttoria, erogazione e controllo; in ciascuna delle quali, si deve procedere ad un’attenta valutazione del rischio con l’intento di prevenire, per quanto possibile, lo stato di insolvenza. La presenza di svariate alternative nella classificazione di input ed output, porta a ritenere che sia opportuno lasciarsi guidare dalle finalità della ricerca e dalla disponibilità dei dati. Non deve stupire, infatti, che considerazioni pratiche finiscano per guidare scelte teoriche. Al fine della nostra analisi, analizzeremo i vari indicatori utilizzati per quantificare la produttività bancaria, sulla base dei dati disponibili e per perseguire l’obiettivo della presente ricerca. L’analisi di produttività delle banche è frequentemente ridotta a un’analisi di redditività [VASSALLO, 1999]. Redditività e produttività sono concetti che si assomigliano, sussiste una relazione, infatti, tra i corrispondenti indicatori. Il concetto di produttività appare essere un concetto prettamente teorico, difficilmente quantificabile con i dati dei bilanci bancari. Perciò ai fini di questa analisi riteniamo opportuno approfondire alcuni indicatori di redditività, che come menzionato, intendiamo sinonimo di produttività. 36 Questa analisi degli indicatori risulta essere necessaria al fine di fornire un dato quantitativo sulla base del quale sia possibile dare un giudizio concreto sull’andamento della produttività di un istituto bancario. 3.2 Gli indicatori di produttività. Esiste una vasta letteratura sull’analisi della produttività delle banche che utilizza sia i classici indicatori di bilancio sia tecniche di costruzione di frontiere parametriche e non parametriche. In questa sezione vengono utilizzati strumenti tradizionali, quali i quozienti dei dati aggregati di bilancio, che superano le difficoltà di incontrare inconvenienti nell’utilizzo di metodi di analisi più sofisticati. L’analisi della produttività di una banca si fonda sulla determinazione e sulla valutazione di alcuni valori di riferimento di carattere economico o finanziario. Alcuni di questi valori vengono già determinati attraverso l’impiego di strutture espositive dei dati di bilancio che prevedono al loro interno delle aggregazioni oppure il calcolo di differenze al fine di individuare dei risultati o dei valori netti [SÒSTERO e FERRARESE, 2000]. Queste aggregazioni e differenze possono essere considerate già degli indicatori. Gli indici di bilancio sono determinati attraverso delle frazioni, cioè dividendo un valore di bilancio per un altro valore di bilancio. Essi hanno la funzione di facilitare la valutazione di fenomeni come la produttività che risulta in parte evidente nei prospetti di bilancio, mentre in altri casi forniscono informazioni totalmente nuove. Una delle funzioni principali è quella di rendere espliciti collegamenti dalle variabili economiche tenendo conto delle relazioni che intercorrono tra le quantità economicoreddituali e patrimoniali riconducibili alla produttività. Questo si può nello specifico ottenere mettendo in relazione il risultato economico conseguito con le risorse che sono state investite per ottenerlo al fine di esprimere dei giudizi, individuare dei termini di paragone e misurarne la performance. Gli indici di bilancio investigano diversi aspetti della gestione ma, in questa analisi, verranno presi in considerazione solo alcuni indici di produttività e redditività, cioè quelli che si occupano di valutare la capacità della banca di produrre risultati economici soddisfacenti. Si esaminano di seguito quattro indicatori di redditività e produttività costruiti sulle voci di bilancio delle banche. Analizzando i due quozienti di bilancio ROE e ROA, si può facilmente notare che essi non sono altro che il rapporto tra valori economici (del conto economico) e valori patrimoniali (ricavabili dallo stato patrimoniale). 37 I “ratios”quali cost income e contribuzione gestione denaro si ottengono invece come risultato di rapporti di grandezze economiche (valori economici). Utile netto ROE Mezzi propri Risultato operativo ROA Attivo netto CONTRIBUZIONE GESTIONE Margine di interesse DENATO Margine di intermediazione Costi operativi COST INCOME Margine di intermediazione Il ROE (return on equity) è un indicatore di sintesi della redditività bancaria ottenuto dividendo il valore del reddito netto per il valore del patrimonio netto (o del solo capitale composto da azioni ordinarie) e sintetizza la redditività del capitale proprio. Questo indice esprime il rendimento complessivo della banca dal punto di vista dei suoi azionisti/soci in quanto portatori di capitale. Il reddito netto è posto al numeratore dell’indice ed è il risultato d’esercizio del conto economico, cioè quanto risulta dopo aver sottratto alla gestione operativa, la gestione finanziaria, i costi operativi e fiscali. Per quanto riguarda il patrimonio netto posto al denominatore si utilizza l’opzione più semplicistica, ma normalmente accettabile, usando il dato del capitale al termine di un solo esercizio. Il significato di questo indice si traduce in quanto, nell'anno di riferimento, i soci hanno ottenuto in termini di redditività per ogni euro investito nel patrimonio della banca. Premesso che: - il capitale è una risorsa scarsa e la sua crescita può concretamente avvenire, pertanto, solo attraverso l’acquisto da parte dei soci di azioni ordinarie; - gli utili possono essere incrementati o attraverso un aumento dei ricavi (margine di interesse), intervenendo sul prezzo/tasso, oppure riducendo i costi; 38 - il conseguimento di risultati positivi, in definitiva, si concentra su interventi di contenimento dei costi, essenzialmente attraverso tagli di spese e riduzioni del personale, oltre che da un contemporaneo mantenimento o incremento del capitale attraverso l’emissione di nuove azioni. L’orientamento di un istituto di credito al fine del contenimento dei costi dovrebbe essere quello di ricorrere a modelli molto attenti alla valutazione del rischio di credito, facendo attenzione a non ridurre la qualità della relazione e dei rapporti/impieghi con la clientela. Il ROA (return on assets) è l’indicatore che misura la capacità di un’azienda di generare reddito con le sue attività. Permette di analizzare la gestione operativa della banca e di valutare la capacità di produrre risultati economici soddisfacenti a partire da un determinato ammontare di risorse impiegate. L’attivo netto, posto al denominatore, viene determinato dalla riclassificazione finanziaria dello stato patrimoniale e rappresenta il totale delle risorse finanziarie impiegate nella gestione. Dal momento che le norme contabili non ammettono accantonamento a fondi di natura rettificativa di voci dell’attivo, è naturale che le attività oggetto di ammortamento o di svalutazione siano sempre espresse contabilmente per il loro valore netto. Secondo l’articolo 2426 del codice civile, “i crediti devono essere iscritti secondo il loro valore presumibile di realizzazione”. Anche lo IAS 39 dispone che la banca valuti i propri crediti sulla base del criterio del costo ammortizzato, e sono definite con una certa precisione le fasi dell’impairment test10, in ordine al quale i crediti possono subire delle svalutazioni. Se la banca accerta un deterioramento della capacità di restituzione del debito da parte del cliente vengono effettuate delle valutazioni. Il valore contabile del credito sarà calcolato in base al valore di iscrizione iniziale, meno la quota di ammortamento che deriva dalla differenza tra valore iniziale e valore finale in base al tasso effettivo di realizzo, meno rimborsi e decurtato delle svalutazioni durature. Il valore dei crediti desumibili nell’attivo dello stato patrimoniale è già “depurato” del valore complessivo del fondo svalutazione crediti. Nel conto economico troveranno riscontro tutte le svalutazioni operate nel conto “rettifiche di valore netto per deterioramento dei crediti e attività finanziarie” che contribuisce a determinare l’utile al lordo delle imposte (risultato operativo). 10 Il procedimento di impairment è la fase di valutazione in cui la banca identifica all’interno del proprio portafoglio clienti, tutte le singole posizioni per le quali è prevedibile un inadempimento da parte del debitore. 39 La propensione ad accrescere gli impieghi alla clientela presenta un impatto significativo nel deterioramento della qualità dell’attivo che influisce negativamente sul risultato operativo che costituisce il denominatore dell’indice di bilancio in commento, ROA. Il MARGINE DI CONTRIBUZIONE GESTIONE DENARO è il rapporto fra due margini molto indicativi: margine di interesse su margine di intermediazione. Il primo margine reddituale che si ottiene dalla riclassificazione del conto economico bancario è proprio denominato margine di interesse e non è altro che la somma algebrica degli interessi attivi e degli interessi passivi di competenza dell’esercizio. Gli interessi attivi e passivi rappresentano, di fatto, i ricavi e i costi di carattere finanziario direttamente attribuibili all’attività di intermediazione creditizia della banca, ossia l’attività produttiva di trasformazione degli input in output. La banca, infatti, secondo l’approccio dell’intermediazione attraverso l’attività di intermediazione utilizza come input del processo produttivo la raccolta da banche e clientela per fornire come output impieghi in prestiti o titoli. Gli interessi attivi e passivi trovano, infatti, la loro ragione di esistenza grazie alle voci che nello stato patrimoniale sono imputate rispettivamente alle attività finanziarie fruttifere di interessi e alle passività finanziarie onerose di interessi [FORESTIERI e MOTTURA, 2009]. Il margine di intermediazione è dato invece dalla somma algebrica del margine di interesse, i ricavi da servizi e profitti o perdite da operazioni finanziarie. I ricavi da servizi si manifestano specialmente sotto forma di commissioni, che derivano dalle diverse attività di servizio che la banca svolge nei confronti della propria clientela, siano esse attive o passive. La banca di fatto, in quanto azienda di servizi, deve offrire dei servizi accessori ai prodotti dell’attività principale come servizi di pagamento, di negoziazione, di gestione del portafoglio, di consulenza, di distribuzione di prodotti e servizi finanziari e assicurativi. La voce profitti o perdite da operazioni finanziarie è costituita dai risultati positivi o negativi che la banca realizza negoziando sul mercato i titoli azionari o a reddito fisso del portafoglio di proprietà. Il margine di intermediazione rappresenta dunque una misura del risultato lordo riferibile alle due fondamentali aree gestionali della banca: quella dell’intermediazione creditizia e quella dei servizi. La banca ha come scopo quello di produrre un margine economico, inteso come differenza positiva fra i ricavi delle vendite e i costi per l’acquisto dei fattori produttivi. 40 La misurazione, l’analisi e l’ottimizzazione dei rendimenti operativi vengono a giocare un ruolo decisivo in situazioni di margini decrescenti. In tale contesto, e soprattutto in ambito bancario, la valutazione della produttività diventa un elemento fondamentale [BURGER, 2008]. La stretta relazione con i processi produttivi e la misurabilità della qualità di input e output consentono inoltre di compiere valutazioni sul successo della trasformazione degli input in output. Il COST INCOME RATIO, conosciuto come indice di efficienza, è utilizzato per rappresentare la produttività ed è anche un “buon metro” di confronto. Esso esprime il rapporto tra i costi operativi e il margine di intermediazione. È uno dei principali indicatori dell’efficienza gestionale della banca: minore è il valore espresso da tale indicatore, maggiore l’efficienza della banca. Ad un cost income ratio elevato corrisponde, infatti, una bassa produttività e, al contrario, un basso valore dell’indice sia ottenuto solo da istituti di credito produttivi. L’indice di cost income mette in relazione le spese (costi amministrativi, costi riconducibili al personale e a tutti gli altri oneri imputabili al normale funzionamento della banca) e i ricavi (ricavi operativi) di una banca. In concreto l’indice mostra quanti euro sono necessari in un determinato periodo di tempo per generare un euro di ricavo. Una sua riduzione significa che l’incidenza dei costi rispetto alla ricchezza prodotta diminuisce e perciò aumenta la produttività. Si può quindi affermare che il cost income ratio misura gli output di una banca in relazione agli input da questa utilizzati. Nel prossimo capitolo saranno applicati questi quozienti di bilancio per condurre l’analisi della produttività di una banca locale, la BCC TREVIGIANO. 41 4. CASE STUDY: LA BCC DEL TREVIGIANO 4.1 Introduzione: descrizione della banca. Le casse rurali ed artigiane nacquero intorno al 1880 nelle aree agricole e nei piccoli centri con l’obiettivo di rispondere alla domanda di credito delle fasce imprenditoriali marginali, escluse fino ad allora dall’accesso al credito. Nel corso della loro storia esse hanno mantenuto la forma cooperativa ed il carattere mutualistico della loro attività, coniugando l’esercizio dell’attività bancaria secondo criteri imprenditoriali con la missione di banca della comunità locale, che deve rispettare i vincoli di solidarietà prima di mirare al profitto. Gli utili, infatti, sono quasi sistematicamente reinvestiti per consolidare le basi. Le banche di credito cooperativo (BCC), oltre a mantenere una forma societaria propriamente cooperativa, preservano, infatti, anche buona parte del carattere mutualistico originario del cosiddetto modello “Raiffeisen” – dal nome del fondatore delle casse rurali tedesche -, essendo ancora oggi vincolate a svolgere l’attività di credito prevalentemente a favore dei soci e comunque a promuovere lo sviluppo economico e sociale della base societaria [FERRI ET AL. 2000]. Il compito delle BCC e delle altre banche locali è dunque quello di rispondere alle esigenze di finanziamento delle famiglie e, soprattutto, delle piccole imprese; la loro capacità sta nel valutare il merito di credito utilizzando le informazioni raccolte dal rapporto diretto con i clienti. La prossimità dei centri decisionali della banca al cliente riduce la complessità delle procedure necessarie per erogare il credito, consente di valorizzare gli aspetti qualitativi delle informazioni riguardanti le prospettive di medio - lungo termine dei progetti imprenditoriali e della capacità di rimborso di un’azienda. Le BCC hanno nel tempo migliorato la loro efficienza proprio grazie alla capacità di continuare ad offrire finanziamenti sulla base di una stretta interazione con il cliente (relationship banking). L’accrescere delle difficoltà delle imprese a onorare gli obblighi contrattuali ha però ridotto i margini reddituali e indebolito la situazione patrimoniale delle banche. Di seguito sarà preso in esame il caso di una banca locale: la BCC del Trevigiano. Sono proprio due casse rurali ed artigiane, la Cassa Rurale ed Artigiana di Vedelago, fondata il 17 gennaio 1901 e la Cassa Rurale ed Artigiana di Caerano, fondata l'8 maggio 1896, che unendosi diedero vita 16 anni fa alla BCC del Trevigiano. 42 Dal punto di vista economico, la BCC del Trevigiano ha instaurato relazioni strette e durature sia con le famiglie sia con le imprese situate nella propria area di insediamento; conta 31 filiali con una presenza su 22 comuni delle province di Treviso, Vicenza e Padova. La base sociale è composta da 6.321 soci suddivisi tra persone fisiche e persone giuridiche. I valori fondanti della banca sono quelli già descritti della mutualità e della socialità con il riferimento primario ai soci, al territorio ed alle sue comunità. Questi principi sono parte del Piano strategico 2011-2013 della banca che vede poi tra le sue linee guida: • il rafforzamento patrimoniale, necessario per continuare la politica degli impieghi, per far fronte al deterioramento dei crediti e per prepararsi al maggior assorbimento patrimoniale imposto da Basilea 3; • il mantenimento del livello di redditività, anche in presenza di un aumento dei rischi e di una riduzione della forbice dei tassi, attuando una politica che adegui i rendimenti ai rischi, che porti ad un frazionamento della raccolta e degli impieghi e che contenga i costi. I dati che verranno analizzati di seguito sono estrapolati dalla situazione patrimoniale e dal conto economico dei bilanci della BCC TREVIGIANO a partire dall’anno 2005 fino al 2011. 4.2 Politica degli affidamenti. L’attività di erogazione del credito a favore delle aziende e delle famiglie per soddisfare il loro fabbisogno finanziario rappresenta la funzione tipica della banca. La politica che contraddistingue questa banca di credito cooperativo è orientata al sostegno finanziario della propria economia locale e si caratterizza per l’elevata propensione ad avere rapporti di natura fiduciaria e personale con famiglie, artigiani e piccole imprese del territorio di riferimento, oltre che per un’attenzione speciale nei confronti dei clienti-soci. Il Credito Trevigiano cerca di sviluppare queste relazioni il più intensamente possibile di modo che, attraverso un’eventuale erogazione di risorse finanziarie, si possano originare delle premesse valide per la fornitura di altri servizi. È frequente che alla concessione di un prestito segua un’attività di assistenza finanziaria e la prestazione di servizi accessori da parte della banca finanziatrice. L’opportunità di intensificare i rapporti con i clienti per renderli più stabili è fondamentale per poter consolidare la relazione, per avere un maggior controllo dei rapporti in essere al di là di realizzare gli obiettivi reddituali connessi alla politica degli affidamenti. L’andamento della congiuntura economica è un fattore che incide certamente sull’entità dei fabbisogni aziendali e di conseguenza sulla dinamica dei prestiti. 43 In fasi economiche negative come quelle degli ultimi anni le imprese si rivolgono maggiormente al credito bancario ed è quindi naturale una tendenza all’espansione degli impieghi. Le esigenze di una piccola banca in questi momenti possono però essere quelle di contenere il sorgere di nuovi crediti per ridurre i rischi. La grossa crescita delle sofferenze è motivo di crescente preoccupazione per la banca e di maggiore attenzione al problema del deterioramento della qualità degli impieghi, facilmente intesa come grado di solvibilità della clientela finanziata e buon fine delle operazioni. Per diminuire gli effetti negativi di eventuali perdite su crediti questo istituto si orienta anche verso scelte di diversificazione del rischio di credito, privilegiando soprattutto crediti di piccoli importi e limitando la concentrazione delle esposizioni su gruppi di clienti collegati, gruppi di imprese o settori di attività. Un’altra strategia messa in atto come tecnica di mitigazione del rischio di credito applicata in aggiunta al frazionamento del portafoglio è l’acquisizione di differenti fattispecie di garanzie personali11 e reali12. Questi accorgimenti che la banca adotta usualmente permettono di ottenere buoni risultati nella gestione del portafoglio. Diventa poi di primaria importanza definire gli organi della banca che si occupano del controllo del processo del credito e che prendono decisioni in merito a interventi da adottare in caso di rilevazione di anomalie. L’Area Crediti della BCC del Trevigiano è l’organismo centrale che si occupa dello sviluppo degli impieghi sul territorio, del coordinamento delle fasi operative ed esegue i controlli di propria competenza. Essa deve garantire che l’attività di istruttoria ed erogazione sia mantenute divise garantendo indipendenza e assenza di conflitto di interesse. Il monitoraggio sistematico delle posizioni e la rilevazione di quelle problematiche, nonché il coordinamento e la verifica dell’osservazione costante eseguita dai responsabili di filiale, sono affidati al Servizio Controllo Andamentale, collocato all’interno dell’Area Controlli. Il Servizio Controllo Andamentale del Credito monitora l’evoluzione dei crediti provvedendo alle opportune classificazioni dai primi segnali di anomalia fino all’eventuale passaggio a sofferenza, esortando le funzioni operative (Filiali e Servizio Credit Management) a svolgere azioni utili a contrastare il deterioramento delle posizioni a perseguire il ripristino del regolare andamento. 11 Le principali tipologie sono rappresentate da imprenditori, società correlate e congiunti del debitore. Per quanto concerne le forme di garanzia reale possiamo distinguere le garanzie ipotecarie su immobili residenziali, industriali o commerciali e garanzie finanziarie quali pegni di titoli, di denaro depositato, pegni su polizze assicurative o su strumenti finanziari quotati. 12 44 L’ufficio reclami assicura la comunicazione scritta con la clientela e la funzione di Internal Audit esegue verifiche puntuali sull’operatività delle funzioni coinvolte attivando interventi finalizzati al monitoraggio delle variabili di rischio. La banca si è recentemente dotata pure di un nuovo sistema informatico che esegue in autonomia numerosi accertamenti sulle posizioni in essere e consente di fornire informazioni più precise sulla probabilità che determinate operazioni non diano alcun contributo positivo alla redditività della banca o incidano addirittura sfavorevolmente sui suoi risultati di esercizio. Questo intervento di rinnovamento tecnologico ha permesso alla banca di adottare un nuovo sistema di scoring che realizza un’adeguata integrazione tra informazioni quantitative (bilancio, Centrale dei Rischi, andamento delle linee di credito, settore merceologico) e quelle qualitative accumulate grazie allo stretto rapporto con la clientela e alla conoscenza del territorio. 4.3 La struttura e composizione del portafoglio. 2011 2010 2009 2008 2007 (migliaia di (migliaia di (migliaia di (migliaia di (migliaia di euro) euro) euro) euro) euro) 1.093.985 1.176.818 1.145.972 1.097.127 1.098.989 CREDITI VERSO CLIENTELA 1.180.000 1.160.000 1.140.000 1.120.000 1.100.000 1.080.000 1.060.000 1.040.000 CREDITI VERSO CLIENTELA 2011 2010 2009 2008 2007 (migliaia (migliaia (migliaia (migliaia (migliaia di euro) di euro) di euro) di euro) di euro) Grafico 1 L’andamento degli impieghi. 45 Con il fine di esaminare il livello della produttività della banca oggetto di studio è necessario soffermarsi su una breve analisi degli input e output dell’attività di intermediazione bancaria, rispettivamente le partite debiti verso clientela e crediti verso clientela. Partendo a ritroso con l’aggregato degli impieghi con clientela, questo è, senza dubbio, la voce di stato patrimoniale che più è stata colpita dall’attuale crisi economica che ha interessato anche la provincia di Treviso in termini di cessazioni di aziende e di perdite occupazionali. La composizione e la qualità del portafoglio di una banca di credito cooperativo sono influenzate dal contesto economico e territoriale in cui la banca opera. Le difficoltà del periodo impongono quindi a questo istituto come ad altri un’attenta analisi e selezione delle operazioni di finanziamento, non dimenticando comunque le esigenze della compagine sociale e di tutta la clientela costituita da famiglie e piccole imprese. Per questo motivo già da qualche anno la BCC del Trevigiano cerca di evitare i finanziamenti che per importi o rischiosità della controparte non corrispondono alle finalità tipiche dell’operatività di un credito cooperativo. L’obiettivo è di salvaguardare il proprio patrimonio, che è patrimonio di tutti i soci e del territorio. Come si può evincere dalla tabella sopra riportata i crediti verso clientela sono diminuiti complessivamente del 7,04 % nel 2011 rispetto al 2010, mentre nei tre anni precedenti il dato era sempre stato in crescita seppur con un’espansione modesta. Se analizziamo il dato del 2008 confrontato con quello dell’anno precedente, si registra una lieve flessione di quasi 2 milioni di Euro. Nel grafico si può in generale notare un lieve trend crescente, favorito probabilmente da una maggiore prossimità alla clientela che caratterizza le piccole banche locali, che si è visibilmente arrestato a fine 2011; nel 2010 i crediti verso la clientela erano aumentati del 2,69 %, passando da 1.145.972 migliaia di euro del 2009 a 1.176.818 migliaia di euro. L’aumento evidenziato dei crediti verso clienti sottolinea il forte legame che le BCC hanno con il territorio in cui operano. Le BCC sono tra gli istituti di credito che negli ultimi anni hanno sostenuto le imprese nell’arduo compito di continuare l’attività d’impresa, garantendo loro liquidità tramite i prestiti erogati. Nello specifico, la BCC del Trevigiano ha inoltre continuato la sua espansione territoriale, mediante l’apertura di nuovi sportelli creando nuovi posti di lavoro e acquisendo quindi nuovi clienti, da finanziare. L’assai ridotto incremento degli impieghi con conseguente diminuzione nel 2011 era prevedibile vista la rigidità dettata dal peggioramento della qualità del credito a partire da fine 2007, come si può vedere dal dettaglio delle sofferenze sotto riportato, e la necessità di ridurre 46 le attività di rischio da parte della banca al fine di migliorare i coefficienti patrimoniali e il soprattutto gli indicatori di redditività. Alla data del 31 dicembre 2011 il credito che la banca ha erogato è stato destinato per quasi il 30 % delle attività ai privati e più precisamente alle famiglie. È da ravvisare in questa scelta un primo esempio di fine mutualistico che la banca persegue, vista la sua natura di banca di credito cooperativo come previsto da statuto. Interessante è evidenziare l’ingente contributo di concessione del credito al settore delle imprese pari al 65,45 % in un’annata come il 2011, segnata dalla crisi economica. Esigua è la percentuale degli impieghi destinata ad altri settori in misura del 7,49 %. Composizione delle operazioni di impiego con la clientela. 2011 2010 2009 2008 2007 (migliaia di (migliaia di (migliaia di (migliaia di (migliaia di euro) euro) euro) euro) euro) 738.499 770.038 746.852 696.185 640.588 223.866 261.086 255.117 280.883 300.337 67.457 73.881 73.144 77.861 64.455 8.175 9.442 6.713 6.392 6.050 Crediti in sofferenza 43.622 22.318 16.457 5.978 4.343 Altre voci 1.678 2.954 2.657 3.186 7.150 10.688 37.099 45.032 26.642 76.066 1.093.085 1.176.818 1.145.972 1.097.127 1.098.989 Mutui, altre sovvenzioni Conti correnti attivi con clientela Finanziamenti per anticipi Portafoglio finanziario / agrario Contratti di capitalizzazione ed altri titoli TOTALE IMPIEGHI 47 Da questa serie storica si può facilmente ipotizzare che le condizioni di incertezza nel mercato che permangono abbiano contribuito a spostare l’impegno di rimborso di alcune operazioni nel medio/lungo termine. La composizione percentuale degli impieghi è sostanzialmente in linea con gli anni precedenti e la quota più consistente è rappresentata da mutui. L’importo di mutui e sovvenzioni però sono diminuiti del 4,10% nel 2011 rispetto al 2010, affermandosi a 738,5 milioni di euro. Interessante è sottolineare che, nonostante quanto appena affermato, considerando complessivamente la composizione degli impieghi, la percentuale da attribuire ai mutui, è rimasta pressoché costante, attestandosi nel 2011 al 68,17% mentre il dato dell’anno precedente era pari a 67,56%. Nel 2011 Si sono ridotti anche i conti correnti del 14,26%, così come i finanziamenti per anticipi per 6,4 milioni. L’istituto ha intrapreso iniziative volte a ridurre gli utilizzi dei conti correnti attivando piani di rientro o finanziamenti a rientro, in quanto molto spesso si trattava di crediti immobilizzati. In un primo confronto temporale si nota come il rapporto tra le sofferenze e il totale impieghi è il più alto, raffrontando i diversi anni; sono quasi raddoppiati i crediti in sofferenza rispetto al 2010. Se invece confrontiamo il dato 2011 con il dato del 2007, possiamo rilevare che l’ammontare dei crediti in sofferenza è cresciuto nella misura di dieci a uno, mentre considerando la variazione intervenuta nei due anni consecutivi, 2008, 2009, il valore dei crediti in sofferenza è triplicato; dato che coincide con l’esplosione della crisi economica globale. I crediti in sofferenza delle BCC sono cresciuti negli ultimi anni a ritmi elevati, superiori a quelli degli impieghi e questo è accaduto anche per il Credito Trevigiano. La banca ha dovuto intensificare le attività di controllo e monitoraggio di tutte le posizioni più rischiose cercando di cogliere qualsiasi segnale proveniente dal rapporto con la clientela e cercando di trovare soluzioni meno drastiche possibili. Come si evince dalla Relazione sulla Gestione del Consiglio di Amministrazione 2011 della BCC del Trevigiano “Le sofferenze, al netto dei dubbi esiti, ossia della parte ritenuta non recuperabile, sono aumentate di 21,3 milioni di euro rispetto al 2010. Il rapporto tra il loro totale lordo ed il totale impieghi lordi in bilancio sale nel 2011 al 5,75 % contro il 2,91 % del 2010. Le sofferenze nette ammontano al 3,99 % degli impieghi, contro 1,90 % del 2010 e 1,44% del 2009”. Osservando la serie storica, riscontriamo che i crediti in sofferenza hanno sensibilmente variato il loro peso sul totale della composizione degli impieghi, passando dallo 0,42% del 2007 al 4,03% del 2011, crescendo circa dieci volte in soli quattro anni. 48 Per quanto riguarda i cosiddetti crediti “in bonis” sono state comunque apportate delle rettifiche forfetarie, correlate al rischio fisiologico, calcolate secondo determinati criteri che misurano la capacità di rimborso, tenendo conto dei dati registrati negli ultimi cinque esercizi e stimando percentuali di perdita quantificate sulla media di valori storici di passaggi a perdita. Informazioni che si riferiscono alla qualità dei crediti verso clientela – consistenze nette scadute esposizioni ristrutturate esposizioni Incagli sofferenze (in migliaia di euro). 2011 43.622 56.955 13.426 7.475 2010 22.318 41.444 8.566 3.612 2009 16.457 38.036 7.855 2008 5.978 31.248 2.113 2007 4.343 7.925 4.094 Le principali cause di inadempienza risiedono in larga parte nella mancanza di disponibilità economica della controparte che si manifesta come mancanza di liquidità e insolvenza. La banca si è dotata di una struttura organizzativa funzionale al raggiungimento degli obiettivi di gestione e controllo dei rischi creditizi. Il controllo andamentale delle singole posizioni è effettuato sia con la procedura informatica sia con un’attività di monitoraggio sistematica sui rapporti che presentano irregolarità. Le sofferenze nel 2011 rispetto al 2010 sono aumentate di 21,3 milioni di euro ed il loro ammontare rappresenta circa il 4,00 % del totale dei crediti verso la clientela. Nel 2009 l’ammontare delle sofferenze rappresentava l’1,44 % del totale dei crediti. Gli incagli sono aumentati di 15,5 milioni di euro e costituiscono il 5,20 % del totale dei crediti. Gli incagli nel 2009 erano pari al 3,33% del totale dei crediti. In aumento anche le esposizioni ristrutturate per effetto dell’ingresso di nuove posizioni; il loro totale ammonta al 1,22 % del totale dei crediti. Questo, ad avviso di chi scrive, sembra essere un segnale incoraggiante che si spiega con la volontà da parte della banca di gestire in 49 modo più accorto ed efficace i crediti non performing. A supporto di questa affermazione, possiamo riscontrare che l’importo degli incagli a dicembre 2008 era lievitato notevolmente, arrivando a 31 milioni di Euro e alla stessa data le sofferenze erano ancora pressoché poco significative. Dal 2009 si registra una crescita continua delle sofferenze, arrivando a quasi 44 milioni del 2011. Si può ragionevolmente desumere che buona parte delle partite incagliate si sono man mano tramutate in sofferenze. Le esposizioni scadute sono pure in aumento di 3,8 milioni di euro e costituiscono lo 0,68% del totale dei crediti come nel 2009. Le attività deteriorate sono rappresentate in bilancio al netto delle rettifiche e sono valutate tutte in modo analitico ed iscritte in bilancio in base all’effettiva possibilità di recupero attualizzata per flussi futuri di incasso previsti. Per tutte le posizioni non svalutate analiticamente, le rettifiche di valore vengono calcolate in modo forfettario utilizzando le serie storiche di decadimento su un arco temporale di cinque esercizi. Detti crediti non performing sono oggetto, infatti, di valutazione analitica e l’ammontare della rettifica di valore di ciascun credito è pari alla differenza tra il valore di bilancio dello stesso al momento della valutazione (costo ammortizzato) ed il valore attuale dei previsti flussi di cassa futuri13. 4.4 La raccolta a breve da clientela. DEBITI VERSO CLIENTELA 2011 2010 2009 2008 2007 (migliaia di (migliaia di (migliaia di (migliaia di (migliaia di euro) euro) euro) euro) euro) 575.453 595.041 584.009 482.153 497.026 13 I flussi di cassa previsti tengono conto dei tempi di recupero attesi, del presumibile valore di realizzo delle eventuali garanzie, nonché dei costi che si ritiene verranno sostenuti per il recupero dell’esposizione creditizia. 50 600.000 500.000 400.000 300.000 200.000 DEBITI VERSO CLIENTELA 100.000 0 2011 2010 2009 2008 2007 (migliaia di(migliaia di(migliaia di(migliaia di(migliaia di euro) euro) euro) euro) euro) Grafico 2 L’andamento raccolta a breve da clientela. A monte del rallentamento degli impieghi si è registrato qualche segnale negativo per quanto riguarda l’input della produzione bancaria dal lato della raccolta da clientela che ha subito una flessione del 3,29 %, in conseguenza anche alla concorrenzialità dei rendimenti dei titoli di stato. I crediti verso clientela sono finanziati per circa la metà dai debiti verso la clientela (52,60 %). Il 93,44 % dei debiti verso clientela nel 2011 è rappresentato da conti correnti passivi. Si dimostra quindi che i debiti verso clientela dipendono prevalentemente da strumenti a breve termine (conti correnti e depositi liberi), che, se pur meno costosi, non hanno alcun vincolo di durata, mentre gli impieghi sono costituiti soprattutto da forme tecniche a medio lungo termine (mutui). Il rallentamento dei finanziamenti, comunque, ha permesso alla banca di riequilibrare il rapporto tra gli impieghi e la raccolta, portando l’indicatore alla data di bilancio, sotto la soglia del 100 % e precisamente al 98,78 % contro il 103,57 % del 2010. 4.5 Dati di Conto Economico. 2011 2010 2009 2008 2007 (migliaia (migliaia (migliaia (migliaia (migliaia di euro) di euro) di euro) di euro) di euro) Margine di interesse 27.362 27.732 31.727 38.601 36.246 Margine di intermediazione 40.895 40.098 42.837 48.093 45.361 Utile ante imposte 3.323 4.916 6.465 14.113 17.439 I dati del conto economico sono anche questi, come già più volte detto, influenzati dalla crisi dell’economia reale e dalla politica monetaria della Banca Centrale Europea. 51 Negli anni 2007 e 2008 la banca godeva di una buona redditività con marginalità soddisfacente. La forbice dei tassi, già in riduzione dal 2009, si è ulteriormente contratta negli ultimi due anni, penalizzando significativamente il margine di interesse. Il margine d’interesse, pur rimanendo la componente principale del margine di intermediazione, dal 2009 ha segnato una non trascurabile flessione, a causa del debole incremento degli impieghi e per l’alta incidenza dei crediti deteriorati. L’incremento delle sofferenze fa pesare il suo effetto a conto economico a causa del mancato apporto degli interessi, che, da normativa IAS, ancorché maturati, possono essere contabilizzati tra le rendite solo al momento dell’effettivo incasso. La dinamica 2009-2010-2011 mostra una riduzione generalizzata dell’incidenza del margine di interesse, a fronte di un aumento del contributo del margine di intermediazione. La contrazione del margine di interesse è stata in parte compensata da un aumento delle commissioni nette, il margine di interesse nel 2011 ha registrato tuttavia una leggera flessione rispetto al 2010 di 370 mila euro pari a – 1,35%. Il margine di intermediazione si attesta a 40,9 milioni di euro, in incremento del 1,99 % rispetto all’anno precedente. L’utile è penalizzato dalle maggiori rettifiche per deterioramento su crediti ed è già al netto dei costi operativi che sono rimasti sostanzialmente invariati rispetto al 2010. Nel bilancio si registra un incremento delle spese del personale legato principalmente all’impegno sostenuto per la migrazione del sistema informatico, sia in termini di maggior tempo lavorato che di minori ferie godute. Anche l’aumento delle spese amministrative è legato ai costi sostenuti per il cambio del sistema informatico comune a tutte le BCC e che manifesterà i suoi benefici economici nei prossimi anni in termini di minori costi e maggiore efficienza. Particolarmente significativa è l’incidenza dell’IRAP, non ancora conteggiata nell’utile ante imposte, che per effetto dell’aumento dell’aliquota e soprattutto delle modalità di calcolo che non permettono la deducibilità delle perdite su crediti, risulta decisamente non proporzionale al risultato economico conseguito. 52 Rettifiche/riprese di valore nette per deterioramento di crediti. 2011 2010 2009 2008 2007 (migliaia (migliaia (migliaia (migliaia (migliaia di euro) di euro) di euro) di euro) di euro) 8.327 5.979 6.878 2.041 922 Rettifiche/ riprese di valore nette per deterioramento di crediti. Gli effetti della crisi economica in atto si riflettono sul conto economico con rettifiche di valore per deterioramento di crediti iscritte a conto economico a riduzione dell’utile nel 2011 per 8,3 milioni di euro. Le perdite di valore riscontrate sono iscritte a conto economico nella voce 130 “rettifiche/riprese di valore nette per deterioramento di a) crediti” così come i recuperi di parte o tutti gli importi oggetto di precedenti svalutazioni. Il peggioramento del quadro congiunturale si è tradotto in una crescita rilevante degli accantonamenti e delle rettifiche di valore che, dopo l’inizio della crisi del 2008, sono frutto di una rigorosa e scrupolosa politica di valutazione delle esposizioni creditizie, resa ancor più severa dalla fase particolarmente negativa e prolungata del ciclo economico. Le maggiori rettifiche apportate in sede di valutazione dell’effettiva possibilità di incasso dei crediti deteriorati, hanno indubbiamente penalizzato il risultato dell’esercizio 2011. 53 2007 Utile lordo/Totale attivo 2008 ROA (Return on Assets): 2009 Utile/mezzi propri 2010 ROE (Return on Equity): 2011 4.6 Indicatori. 0,73% 1,94% 2,76% 9,70% 12,83% 0,24% 0,36% 0,46% 1,00% 1,38% Contribuzione gestione denaro: Margine di interesse/ 66,91% 69,16% 74,06% 80,26% 77,62% Margine intermediazione Incidenza costi operativi (cost income): Costi operativi/Margine di intermediazione 71,58% 72,50% 68,69% 66,41% 59,74% Analizzando la serie storica si può ben comprendere come sia sempre più difficile per la banca remunerare adeguatamente il proprio capitale, specialmente negli ultimi anni in cui la crisi finanziaria ed il rischio nell’attività di erogazione del credito, hanno ridotto l’apporto di utili a patrimonio. Dalla tabella degli indicatori si evince una continua discesa del ROE (utile/mezzi propri) che passa dal 12,83% del 2007 all’attuale 0,73%. Il “crollo” di tale indice è da attribuire a un vero e proprio calo dell’Utile, dovuto ai mancati guadagni della banca come conseguenza della crisi del mercato e del peggioramento della qualità del credito. Il ROE è l’indicatore che misura la redditività del patrimonio che, stante le condizioni attuali di mercato e di rischio, non registra performance adeguate a consentire uno sviluppo patrimoniale della banca per compiere le finalità mutualistiche e sociali che la caratterizzano le banche di credito cooperativo. In diminuzione anche il ROA che determina il rapporto tra utile al lordo delle imposte e totale attivo. Il Return on Assets è diminuito di circa un punto percentuale, passando da 1,38% del 2007 al 0,24% del 2011. Il margine di contribuzione gestione denaro è diminuito di ben dieci punti percentuali nell’arco temporale dal 2007 al 2011, a causa di una diminuzione del margine di interesse e di 54 un incremento del margine di intermediazione, che nel 2011 vede aumentare l’apporto della componente commissionale al 33% rispetto agli interessi che costituiscono quasi il 67%. Un segnale positivo nel 2011 viene dalla riduzione dell’indicatore cost income dal 72,50% del 2010 al 71,58%. Il risultato è dato sia dal contenimento dei costi operativi, sia grazie all’incremento del margine di intermediazione. La riduzione del cost income è sintomo di una maggiore efficienza della gestione. Riassumendo quindi nel 2011 il ROE si è ulteriormente eroso a causa di un forte calo dell’utile di esercizio, ai minimi storici, dal momento che il capitale della banca è rimasto quasi invariato. Il ROA, nonostante un decremento del totale attivo non è migliorato a causa del penalizzante risultato dell’esercizio. Il margine di contribuzione gestione denaro conferma un andamento decrescente poiché il cambiamento favorevole del margine di intermediazione non ha compensato la diminuzione del margine di interesse, dovuta allo restringersi della forbice dei tassi con conseguente scarso guadagno della banca. Il cost income è l’unico indice positivo che dimostra che la BCC del Trevigiano nonostante scarsi risultati in termini di redditività ha cercato di rispondere in modo efficiente alle richieste dei propri soci attraverso un contenimento dei costi e un guadagno in termini di commissioni attive. La banca ha complessivamente ottenuto risultati abbastanza soddisfacenti vista la situazione di crisi generale e ha continuato la sua puntuale assistenza sul territorio in termini di mutualità. 55 Osservazioni conclusive A conclusione dell’analisi dell'incidenza delle sofferenze sulla produttività delle banche con l’applicazione pratica al caso della BCC del Trevigiano, preme sottolineare quanto sia rilevante l’affidabilità della singola impresa. Una scrupolosa valutazione del merito di credito è il presupposto per ottenere una buona qualità degli impieghi ed evitare l’insorgere di nuove sofferenze. Il giudizio sull’affidabilità espresso dal rating non deve pertanto essere solo il risultato di un’indagine su dati puramente quantitativi, contabili e andamentali, ma deve essere valorizzato il patrimonio informativo di natura qualitativa dell’impresa. Dai contenuti trattati sinteticamente in questo testo, emerge anche come eventuali inefficienze dell’intero processo del credito concorrano, in concomitanza a fasi di congiuntura sfavorevole, al progressivo deterioramento degli attivi, con effetti negativi sui bilanci bancari, di natura economica e finanziaria. Nella BCC del Trevigiano si notano segnali di rallentamento nell’attività caratteristica con raccolta e impieghi in diminuzione così come il margine di interesse. Il modello di business fondato sull’intermediazione creditizia tradizionale e sul legame forte con il tessuto produttivo locale è, infatti, specifico delle banche di credito cooperativo. Questo è un punto favorevole per una banca locale nell’acquisizione di informazioni puntuali dai clienti, ma diventa un punto di debolezza se condiziona in negativo la redditività minacciata dal localismo in una economia in crisi. I conti di bilancio 2011 della BCC del Trevigiano sono penalizzati dall’aumento delle sofferenze e dei crediti incagliati che comportano un incremento sul fronte delle rettifiche su crediti. La banca ha preferito apportare ulteriori rettifiche visto l’accrescere dei rischi in modo da ridurre l’effetto pro ciclico in questa fase recessiva e per evitare il sovraccarico dei conti economici al manifestarsi di futuri eventi di perdita. Nonostante i bassi tassi di riferimento e la concorrenza sul mercato della raccolta, i margini hanno tenuto; l’utile netto e il livello di produttività della banca al contrario si sono contratti, anche se il tutto è in linea con l’andamento dell’economia generale. Per migliorare gli indici di produttività il Credito Trevigiano dovrebbe cercare di ridefinire il proprio modello attraverso lo sviluppo di nuovi business e servizi alla clientela per garantire una maggiore diversificazione dei ricavi oltre che a sfruttare la nuova tecnologia informatica per rendere più efficiente la struttura dei costi. 56 Una gestione improntata su criteri di efficienza e redditività, l’attenzione ai rischi e una migliore gestione del portafoglio dei crediti, in particolare quelli anomali, sono le premesse affinché la mutualità delle BCC possa essere stabilmente al servizio delle comunità locali. 57 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI BANCA D’ITALIA (pubblicazioni reperibili sul sito web http://www.bancaditalia.it) Centrale dei rischi. Istruzioni per gli intermediari creditizi. Il bilancio bancario: schemi e regole di compilazione. Istruzioni di vigilanza per le banche. Manuale della matrice dei conti. 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