...

Documento PDF

by user

on
Category: Documents
13

views

Report

Comments

Transcript

Documento PDF
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE E AZIENDALI
“M. FANNO”
CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA E COMMERCIO
PROVA FINALE
L’INCIDENZA DELLE SOFFERENZE SULLA PRODUTTIVITA’
DELLE BANCHE: IL CASO “BCC DEL TREVIGIANO ”
RELATORE:
CH. MA PROF. SSA CINZIA BALDAN
LAUREANDA: PAOLA CONTE
MATRICOLA N. 556408-EC
ANNO ACCADEMICO 2011 – 2012
Alla mia nonna
INDICE
pag.
Introduzione
1.
7
LE SOFFERENZE BANCARIE
1.1 Definizione
2.
3.
4.
9
1.2 Alcune considerazioni riguardo il deterioramento degli impieghi bancari
11
1.3 Le differenze tra sofferenze e le altre partite anomale
13
1.4 Lo stato di insolvenza
14
1.5 Il rischio di insolvenza
16
L’AFFIDAMENTO DELLA CLIENTELA
2.1 I fidi bancari
18
2.2 Le fasi della concessione di credito
21
2.3 Relationship banking
24
2.4 Valutazione del merito di credito
27
2.5 La Centrale dei Rischi
29
2.6 I Rating
31
LA PRODUTTIVITÀ
3.1 La produttività in ambito bancario
33
3.2 Gli indicatori di produttività
37
CASE STUDY: LA BCC DEL TREVIGIANO
4.1 Introduzione: descrizione della banca
42
4.2 Politica degli affidamenti
43
4.3 La struttura e la composizione del portafoglio
45
4.4 La raccolta a breve da clientela
50
4.5 Dati di conto economico
51
4.6 Indicatori
54
Osservazioni Conclusive
56
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
58
5
6
Introduzione
Negli ultimi anni i margini di profitto degli istituti di credito sono sensibilmente diminuiti a
causa dell’accentuarsi del fenomeno delle sofferenze bancarie che ha avuto ripercussioni
sull’attività bancaria di numerosi paesi industrializzati, tra cui l’Italia.
L’obiettivo di questo lavoro è quello di fornire una panoramica per capire che impatto hanno
la qualità del credito e nello specifico le sofferenze bancarie sulla produttività degli istituti di
credito e nei bilanci della BCC del Trevigiano.
Nel primo capitolo, si è cercato di dare una definizione del concetto di sofferenza bancaria,
individuando anche i segnali premonitori interni ed esterni al rapporto banca-impresa, e di
distinguere i diversi tipi di anomalia che si generano dallo stato di difficoltà in cui versa
l’impresa affidata.
Da quanto approfondito emerge che le sofferenze sono originate dallo stato di insolvenza in
cui si trovano le aziende; ecco dunque l’importanza di valutare il rischio di insolvenza da
parte degli istituti di credito.
Dopo l’analisi descrittiva del fenomeno di sofferenza bancaria, nel secondo capitolo, vengono
trattati gli strumenti e le procedure necessarie alla banca nell’affidamento alla clientela.
Ad inizio capitolo è stato fatto un breve accenno sul fido bancario per poi passare agli aspetti
tecnici delle fasi di concessione del credito.
È utile l’acquisizione di informazioni qualitative (relationship banking) dell’azienda
richiedente credito e in modo particolare nella valutazione del merito di credito che consiste
nello stabilire la capacità di rimborso.
La Centrale dei Rischi si propone come mezzo in grado di accrescere la capacità di
valutazione e di controllo della clientela.
Il rating fornisce un’informazione aggiornata sulla solvibilità dei soggetti beneficiari di un
finanziamento e quindi un giudizio sulla capacità e sulla volontà di un soggetto economico di
adempiere gli impegni assunti.
Nel terzo capitolo si è cercato di dare una definizione di produttività in ambito bancario e
quindi di input e output nel processo di produzione delle banche secondo diversi approcci. Si
è ritenuto opportuno infine ricondurre l’analisi della produttività bancaria in analisi della
redditività poiché concetti molto simili.
Nell’ultima parte di questo capitolo sono esposti quattro indicatori di produttività
opportunamente selezionati: ROE, ROA, contribuzione gestione denaro e cost income.
7
Il quarto capitolo si riferisce al caso di studio della BCC del Trevigiano ed inizia con una
breve presentazione di questa banca di credito cooperativo con l’analisi della politica degli
affidamenti e della struttura e composizione del portafoglio.
Dopo alcune considerazioni sugli impieghi e sulla raccolta a breve da clientela, la parte finale
del lavoro esamina i dati di conto economico che contribuiscono al calcolo degli indicatori
individuati nel capitolo precedente e applicati al caso della BCC del Trevigiano per condurre
l’analisi della produttività della banca.
I dati mostrano un netto peggioramento della qualità dei crediti a causa anche di una sostenuta
recessione del ciclo economico; l’incidenza delle sofferenze sugli impieghi bancari è
aumentata in maniera rilevante.
8
1. LE SOFFERENZE BANCARIE
1.1 Definizione.
Nella terminologia di vigilanza si definiscono sofferenze bancarie gli affidamenti (per cassa1 e
di firma2) nei confronti di soggetti in stato di insolvenza (anche non accertato giudizialmente)
o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di
perdita e dall’esistenza di eventuali garanzie (reali o personali), fornite dal prenditore, come
presidio del credito ricevuto.
Il termine “sofferenze” indica, pertanto, nel linguaggio bancario, i crediti, affidati al
contenzioso, cioè agli uffici legali, di cui si teme il mancato buon fine oltre che crediti vantati
nei confronti dei clienti che versano in gravi e non transitorie difficoltà economiche e
finanziarie.
La definizione precedentemente riportata fa riferimento alla nozione di sofferenze lorde.
La Banca d’Italia ha inoltre individuato le sofferenze al valore di realizzo, o sofferenze
bancarie nette in quanto esposizioni al netto delle svalutazioni contabilizzate.
Le istruzioni per la compilazione delle segnalazioni obbligatorie enunciano dettagliatamente i
criteri per il calcolo dell’importo da comunicare specificando che deve essere segnalato al
netto di eventuali rimborsi e al lordo delle svalutazioni e dei passaggi a perdita eventualmente
effettuati; detto importo include gli interessi e le spese per il recupero dei crediti.
È rimandata alla prudente gestione delle singole banche, la scelta se un soggetto debba essere
considerato o meno in sofferenza.
Si tratta dunque di una stima soggettiva della reale esposizione al rischio di credito lasciata
alla valutazione dell’intermediario.
Da quanto esposto si può quindi rilevare che l’Organo di Vigilanza (d’ora in poi “OdV”) ha
basato il posizionamento dei crediti a sofferenza sulla base di un giudizio che non dipende
soltanto dall’inadempimento del singolo rapporto contrattuale, né dalla presenza o meno di
garanzie, ma soprattutto dalla acquisita consapevolezza che il debitore è ormai incapace di
assolvere con regolarità alle proprie obbligazioni, indipendentemente dalla circostanza che
1
‘Fido per cassa’: si riferisce alla possibilità dell’affidato di utilizzare il credito per il tramite del conto corrente
bancario, cioè di utilizzare il prestito ottenuto come mezzo ‘di pagamento’.
Se nella gestione corrente un'azienda presenta esigenze di liquidità può ricorrere ad una soluzione del tipo ‘fido
per cassa’ [P. BIFFIS, 2009].
2
‘Fido di firma’: comprende le accettazioni, gli impegni di pagamento, i crediti documentari, gli avvalli, le
fideiussioni e le altre garanzie rilasciate dagli intermediari, con le quali essi si impegnano a far fronte ad
eventuali inadempimenti di obbligazioni assunte dalla clientela nei confronti di terzi. Essi sono ripartiti in due
categorie a seconda che le garanzie assistano operazioni di natura commerciale o di natura finanziaria. Non
consentono la movimentazione di conti correnti da parte della clientela, se non in casi particolari. Essi non
possono, cioè, venire utilizzati come mezzi di pagamento da parte dei clienti che li hanno ottenuti [P. BIFFIS,
2009].
9
siano o meno iniziate azioni mirate, giudiziali e non, nei suoi confronti. Il passaggio allo
status “a sofferenza” implica una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva
situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un solo ritardo di
quest’ultimo nel pagamento del debito.
A questo stadio, giungono le partite incagliate che evolvono negativamente e che si
accompagnano anche a fatti amministrativi che denotano difficoltà finanziarie irreversibili
come azioni esecutive promosse da terzi o cessazione dell’attività. Si tratta di un passaggio
amministrativo nel senso che esso deve produrre l’effetto contabile della svalutazione dei
crediti relativi in base alle previsioni di perdita connesse con la situazione di solvibilità dei
singoli debitori [BIFFIS, 2009].
L’importo di tali svalutazioni va segnalato fino al momento in cui intervenga un evento
estintivo dei crediti, quali:
• il venir meno del corrispondente diritto della banca (nell’ipotesi di rimborso o di
cessione pro-soluto del credito);
• quando i competenti organi aziendali abbiano, con specifica delibera, preso
definitivamente atto dell’irrecuperabilità del credito, o di quota parte dello stesso,
oppure abbiano rinunciato agli atti di recupero per motivi di convenienza economica;
• quando sono in atto procedure concorsuali anche se non ancora chiuse o terminate e
sia stata assunta la delibera anzidetta.
La pressante esigenza di avere criteri valutativi più precisi e oggettivi ha indotto la Banca
d’Italia a pensare e disporre una disciplina più idonea, introducendo tra l’altro la nozione di
sofferenza «rettificata», per tener conto di discordanze di giudizio o di possibili sviste da parte
delle banche segnalanti, intesa come l’esposizione complessiva di un affidato qualora sia
segnalata:
a) in sofferenza dall’unica banca che ha erogato il credito;
b) in sofferenza da una banca e tra gli sconfinamenti dell’unica altra banca esposta;
c) in sofferenza da una banca e l’importo della sofferenza sia almeno il 70 per cento
dell’esposizione complessiva ovvero vi siano sconfinamenti pari o superiori al 10 per
cento;
d) in sofferenza da almeno due banche per importi pari o superiori al 10 per cento
dell’utilizzato complessivo per cassa.
Attraverso l’utilizzo di questo aggregato, il debitore che viene qualificato come debitore in
sofferenza rettificata, è tale rispetto all’intero sistema creditizio.
10
In questo modo si giunge ad una classificazione dei prenditori di fondi oggettiva e univoca,
che permette di compiere una stima più precisa del grado di rischio associato all’attività di
prestito.
Questo aggregato mette in evidenza, rispetto all’intero sistema creditizio, una situazione di
difficoltà finanziaria e reddituale da cui discende l’incapacità del prenditore a far fronte agli
impegni assunti.
La segnalazione di una posizione di rischio tra le sofferenze non è più dovuta quando:
• viene a cessare lo stato di insolvenza o la situazione ad esso equiparabile;
• il credito viene rimborsato dal debitore o da terzi anche a seguito di accordo
transattivo liberatorio, di concordato preventivo o di concordato fallimentare
remissorio; rimborsi parziali del credito comportano una corrispondente riduzione
dell’importo segnalato;
• il credito viene ceduto a terzi;
• i componenti organi aziendali con specifica delibera hanno preso definitivamente atto
della irrecuperabilità dell’intero credito oppure hanno rinunciato ad avviare o
proseguire gli atti di recupero.
Il pagamento del debito e/o la cessazione dello stato di insolvenza o della situazione ad esso
equiparabile non comportano la cancellazione delle segnalazioni a sofferenza relative alle
rilevazioni pregresse.
1.2 Alcune considerazioni riguardo il deterioramento degli impieghi bancari.
È parere concorde degli esperti che l’aggravarsi delle condizioni di realizzabilità dei crediti
debba essere ascrivibile, in primo luogo, all’andamento dell’economia. In altri termini, la fase
di recessione economica globale sarebbe la causa principale dell’incremento delle sofferenze.
In realtà, attribuire quest’ultimo fenomeno esclusivamente al degrado della generale
situazione economica può essere considerato fin troppo scontato.
Se è indubbio, infatti, che il deterioramento della qualità degli attivi bancari costituisce una
caratteristica fisiologica della recente fase recessiva internazionale, comune ai diversi sistemi
bancari, è possibile rilevare come il fenomeno delle sofferenze bancarie in Italia sia
ricollegabile ad un insieme di elementi strutturali peculiari del nostro sistema produttivo,
finanziario e creditizio.
In sostanza, tra gli elementi distintivi propri del nostro sistema che hanno contribuito alla
notevole crescita delle sofferenze possiamo annoverare: l’insufficienza di capitali di rischio da
parte delle imprese, un comportamento generalizzato di accondiscendenza finanziaria (caso
11
molto frequente nelle banche di credito cooperativo) che ha permesso o addirittura favorito il
sovra indebitamento delle aziende, nonché la prassi del frazionamento dei rischi mediante
affidamenti multipli.
È nota la scarsità di capitali delle nostre imprese, la quale ha portato il sistema creditizio a
concedere una sorta di anticipazione di liquidità, proprio sottoforma di prestiti e quindi di
indebitamento delle aziende stesse, al fine di colmare dette carenze.
È risaputo che nel nostro paese c’è un mercato dei capitali poco sviluppato, che può essere
classificato come mercato inefficiente, perciò il sistema produttivo si deve rivolgere agli
istituti di credito per recuperare risorse finanziarie, diversamente da quanto accade nei paesi,
dove il numero di società di capitali, in cui i fondi vengono reperiti per il tramite degli
azionisti è maggiore.
Relativamente all’atteggiamento generalizzato di accondiscendenza finanziaria, occorre
sottolineare come esso abbia permesso e addirittura favorito il sovra indebitamento delle
imprese che, facendo insistentemente leva sul sistema bancario, sono riuscite ad ottenere dallo
stesso risorse aggiuntive sempre meno commisurate alle rispettive potenzialità economicopatrimoniali.
Si è, in pratica, giunti a concedere credito in misura sproporzionata alle capacità espresse dai
prenditori dei fondi, con un conseguente rapporto banca-impresa non fisiologico ed una
sempre più evidente difficoltà per le imprese di rimborsare i prestiti ottenuti.
Se invece prendiamo in esame le cause delle sofferenze bancarie legate al credito concesso ai
privati, possiamo ricondurle ad una crisi del mercato del lavoro, determinata a sua volta da
una crisi pressoché generalizzata del sistema produttivo.
Infatti, come una “famiglia” che ha poche disponibilità liquide non immette nel mercato
“moneta” mediante i suoi consumi, a maggior ragione se il lavoro scarseggia e di conseguenza
il reddito si abbassa, il consumatore “tipo” fatica ad assolvere ai propri impegni verso la
banca.
L’andamento delle sofferenze è sicuramente subordinato alle caratteristiche dei prenditori, che
naturalmente possono divenire più problematiche per oscillazioni del ciclo economico, per
carenze strutturali, di territorio o di settore.
Il problema delle sofferenze, quindi, condiziona la redditività bancaria e può essere affrontato
solo con efficienti sistemi di valutazione dei fidi sia nel momento della loro concessione sia
nei successivi momenti periodici di controllo degli affidamenti accordati.
12
1.3 Le differenze tra sofferenze e altre partite anomale.
I crediti in sofferenza non sono altro che una tipologia delle partite anomale, si possono infatti
identificare tre categorie di prestiti che devono essere distinti dalle partite che includono al
loro interno gli impieghi cosiddetti «vivi»: i crediti incagliati, i crediti in sofferenza e i dubbi
esiti.
Nel linguaggio corrente spesso si utilizza la locuzione «impieghi vivi» per indicare i prestiti in
essere con andamento «normale», nel senso di «non preoccupante»; si usa la locuzione partite
anomale per indicare i prestiti che, invece, hanno un andamento «anormale», nel senso che
presenta non trascurabili elementi e profili di preoccupazione [BIFFIS, 2005].
Le esposizioni iniziano ad essere anomale quando non vengono adempiuti gli obblighi
contrattuali, il che accade dopo 30 giorni dalla scadenza contrattuale del prestito cioè «quando
si supera il normale periodo di grazia previsto per le operazioni della specie dalla prassi
bancaria (30 giorni)».3
Volendo effettuare una graduatoria della qualità dei crediti, si possono individuare al primo
posto i crediti giudicati completamente recuperabili, poi i crediti verso i clienti che si trovano
in momentanea difficoltà (crediti incagliati), successivamente i crediti verso clienti in stato di
insolvenza per cause non transitorie (le sofferenze) e infine i crediti che si stimano in tutto o
in parte persi (dubbi esiti).
I prestiti vivi sono quelli che non presentano alcuna anomalia nel momento in cui ne viene
fatta la valutazione, sono prestiti in regolare ammortamento o affidamenti con un corretto
utilizzo. Si ritiene che le imprese affidate si trovino in una situazione finanziaria ed
economica tale da permettere loro il rispetto degli impegni assunti, senza rischi legati alla
liquidità e redditività aziendale.
Le posizioni incagliate, secondo la Circolare B.I. 217/1996, sono rappresentate dalle
esposizioni nei confronti di soggetti in temporanea situazione di obiettiva difficoltà, che si
prevede possa essere rimossa in un ragionevole periodo di tempo.
Nel momento in cui questa situazione di temporanea difficoltà diviene permanente si ha il
passaggio del credito da una posizione incagliata ad una posizione in sofferenza.
Le sofferenze, come già detto, sono affidamenti che hanno come contropartita clienti in stato
di insolvenza o in situazioni equiparabili. Si tratta di crediti la cui riscossione non è certa e il
relativo importo è soggetto all’invio di una segnalazione alla Centrale dei Rischi entro tre
giorni lavorativi dalla data in cui si è registrato l’evento significativo che ne ha determinato il
cambio di status.
3
Banca d’Italia, Manuale per la compilazione della matrice dei conti.
13
Alla fine di questa scala qualitativa del credito, si trovano i dubbi esiti che rappresentano
l’ultimo stadio di deterioramento del credito.
Questi sono costituiti dalle esposizioni nei confronti di soggetti che non sono più in grado di
rimborsare il proprio credito e si ritiene che il recupero degli stessi preveda perdite future.
L’insieme di queste posizioni patologiche di credito va a formare l’aggregato delle partite
anomale.
Le banche e le autorità di vigilanza mostrano una crescente attenzione verso i crediti anomali
al fine di migliorare la “bontà” del credito e di conseguenza cercare di ridurre i rischi del
proprio portafoglio prestiti.
L’insorgenza di anomalie nella qualità del credito bancario viene disciplinata soprattutto in
funzione delle valutazioni ai fini di bilancio e di vigilanza.
Le anomalie costituiscono, infatti, un grave problema dal momento che è obbligatorio
assoggettare i crediti a svalutazioni analitiche e sono necessarie disponibilità di utili lordi da
accantonare con conseguente riduzione degli stessi.
I costi di svalutazione hanno un riflesso peggiorativo a conto economico nel bilancio
compromettendo la redditività delle banche.
Le partite anomale inoltre comprimono il valore dell’attivo e incidono sulla consistenza dei
coefficienti minimi patrimoniali di cui le banche devono disporre.
1.4 Lo stato di insolvenza
Dalla definizione di sofferenze bancarie precedentemente riportata, emerge che l’elemento
qualificante di una posizione “a sofferenza” va individuato nella presenza di uno stato di
insolvenza (default) del cliente affidato.
Per stato di insolvenza, in giurisprudenza, si intende la situazione di oggettiva incapacità non
transitoria ad adempiere regolarmente le proprie obbligazioni, determinata dalla mancanza dei
mezzi necessari per effettuare i pagamenti dovuti e dall’impossibilità di procurarsi tali mezzi
altrove.
La situazione di insolvenza è, dunque, una situazione del patrimonio dell’imprenditore che
non gli permette di soddisfare regolarmente i propri debiti.
La forma principale di manifestazione dello stato di insolvenza è data da reiterati
inadempimenti, che oggettivamente costituiscono un grave e serio indizio di difficoltà
finanziarie.
È insolvente l’imprenditore che può pagare solo parzialmente i suoi debiti e anche
l’imprenditore che può adempiere a tutti i suoi debiti, ma solo in un momento successivo alla
scadenza degli stessi.
14
Al contrario, non è causa di insolvenza il riscadenziamento dei crediti e la concessione di
proroghe, dilazioni, rinnovi o ampliamenti di linee di credito. Tali modifiche non devono
dipendere dal deterioramento delle condizioni economico-finanziarie del debitore, ovvero non
devono dare luogo ad una perdita.4
Lo stato di insolvenza va tenuto distinto dall’inadempimento, che consiste nella mancata
esatta prestazione di quanto dovuto e si riferisce sempre e soltanto ad una singola e ben
individuata obbligazione. L’insolvenza invece ha una portata generale, relativa a tutti i
creditori.
Secondo l’agenzia di rating Standard & Poor’s, si ha default quando vengono meno la
capacità o la volontà del debitore di tener fede agli impegni finanziari relativi ad
un’obbligazione rispettandone i termini originari, più precisamente:
• quando un pagamento di interessi e/o capitale è dovuto ma non viene effettuato;
•
in caso di richiesta spontanea di accesso a una procedura concorsuale;
•
a seguito di un’offerta di ristrutturazione del debito che ne riduce chiaramente il
valore.
La definizione appena riportata, per quanto autorevole, ha un valore meramente
esemplificativo.
In realtà, ogni istituzione finanziaria è libera di adottare dei criteri propri.
Una definizione di default ampia e prudenziale consente di intercettare per tempo le possibili
patologie creditizie, ma si presta a interpretazioni soggettive che possono pregiudicarne
l’applicazione in tutte le divisioni e dipendenze della banca.
D’altra parte, una definizione più ristretta rischia di fotografare con ritardo, o di non cogliere
per niente, eventuali fenomeni di dissesto e di crisi finanziaria; ad esempio, una
caratterizzazione basata esclusivamente sull’esistenza di una procedura concorsuale in atto
finirebbe per classificare come sane anche imprese manifestamente incapaci di fronteggiare i
pagamenti correnti, o che hanno già avanzato alla banca un’espressa richiesta di
ristrutturazione del debito.
In ogni caso è utile esplicitare con chiarezza e portare a conoscenza di tutti gli analisti della
banca, la definizione di default, onde evitare il pericolo che strutture diverse, all’interno dello
stesso intermediario, applichino criteri differenti per valutare se una controparte vada
considerata o meno insolvente.
In termini generici, possiamo affermare che lo stato di insolvenza segnala una particolare
situazione di disequilibrio finanziario e patrimoniale dell’affidato: situazione che non
4
Banca d’Italia, Manuale per la compilazione della matrice dei conti.
15
permette al debitore il corretto rispetto e prosecuzione del rapporto creditizio instaurato con la
banca finanziatrice.
Si intende una delle seguenti situazioni: alta probabilità che il debitore non adempia per intero
l’obbligazione (unlikeliness to pay); contabilizzazione di una perdita, anche parziale e anche
sul servizio del debito; presenza di procedure concorsuali; ritardo nel pagamento di qualsiasi
debito dopo 180 giorni (solo per l’Italia) dalla sua scadenza originaria.
Lo stato di insolvenza così definito, cioè alla scadenza contrattuale, non consente di
determinare l’effettiva perdita a carico dell’intermediario che ha concesso il finanziamento.
Occorre evidentemente attendere il risultato delle azioni di recupero del credito e del realizzo
di eventuali garanzie reali (pegno, ipoteca) o personali (fideiussione) che assistono il
contratto.
Pertanto la perdita definitiva può essere determinata soltanto dopo tempi non brevi dal
momento in cui è stata inizialmente accertata la condizione di insolvenza.
Secondo le attuali normative regolanti la redazione del bilancio di esercizio degli intermediari
creditizi (B.I., Circolare 262/2005), gli amministratori sono tenuti ad accertare al termine
dell’esercizio il presumibile valore di realizzo dei crediti in essere e a detrarre dal valore di
carico di ognuno di essi la perdita presunta, ancor prima che essa possa essere considerata
definitiva.
Questa perdita in quanto prevedibile e ragionevolmente prevista, viene definita perdita attesa.
Le perdite così computate confluiscono nel conto economico come componente negativo del
reddito di esercizio, sotto la voce rettifiche di valore.
Infine, indipendentemente dall’effetto economico, il mancato pagamento totale o parziale, di
capitale e interessi alla scadenza prevista determina il venir meno di un’entrata di cassa attesa
e si configura quindi come elemento di rischio finanziario di durata e di identità ignote ex
ante, poiché queste dipendono dalle menzionate azioni di recupero.
Il rimborso del capitale e il pagamento degli interessi dipendono sia dalla volontà soggettiva
del soggetto contrattualmente obbligato (profilo di «correttezza commerciale»), sia dalla sua
capacità oggettiva di pagare, che a evidenza dipende dalla consistenza del flusso di cassa netto
disponibile (free cash flow) e/o dalla possibilità di sostituire il finanziamento in scadenza con
altre fonti di risorse finanziarie.
1.5 Il rischio d’insolvenza
Il rischio di controparte o, più precisamente, rischio di insolvenza si configura nella possibilità
che la controparte contrattuale, obbligata a dare una certa prestazione (rimborso di un capitale
e pagamento di interessi), si riveli di fatto insolvente, cioè si riveli alternativamente non
16
disposta a pagare (volontà) o incapace di pagare (impossibilità, eventualmente determinata da
fatti esogeni).
Il rischio di insolvenza connaturato alle varie tipologie di affidamenti è abbastanza
disomogeneo, nel senso che il rischio aumenta o diminuisce in base al tipo di prestito che
viene erogato.
In primo luogo è opinione comune considerare i crediti di firma a meno elevata rischiosità
rispetto a quelli per cassa, in quanto la banca nell’immediato non subisce alcun esborso
numerario.
Nonostante ciò, anche i crediti di firma possono comportare conseguenze negative per la
banca; se la controparte per cui ha prestato garanzia risulta inadempiente sorge il rischio di
insolvenza per la banca.
Specularmente, se il cliente affidato risulta insolvente, l’istituto di credito subisce nuovamente
gli effetti legati a tale tipologia di rischio.
In ogni caso la crescente rischiosità dell’attivo dello stato patrimoniale delle banche, le porta
nella concessione di un fido ad effettuare accurate valutazioni.
Le banche, di conseguenza, prestano particolare attenzione, non solo al processo di
erogazione del fido e di scelta della forma tecnica adeguata, ma anche al monitoraggio
dell’evoluzione del rapporto che l’affidato ha con l’ente erogante.
17
2. L’AFFIDAMENTO DELLA CLIENTELA
2.1 I fidi bancari.
Il “fido bancario”, o affidamento, è definito come l'impegno assunto da una banca a mettere
una somma a disposizione del cliente, o di assumere per suo conto un'obbligazione nei
confronti di un terzo.
Dal punto di vista del cliente, il “fido bancario” è la somma di tutti i prestiti ottenuti dalle
banche con le quali s’intrattengono relazioni: un’impresa può contrarre affidamenti,
indipendenti gli uni dagli altri con più banche e, in questo caso, si parla di fidi multipli; nel
caso in cui l’impresa ottenga un unico fido da più banche si parla di fidi in pool [BIFFIS,
2009]. In questo modo l’azienda moltiplica la sua capacità di indebitamento.
Certo è che in un ambiente economico evoluto il ruolo del credito bancario assume un rilievo
tale che la maggior parte dei soggetti economici fruisce di una linea di credito: non solo le
aziende, ma sempre più spesso anche singoli individui hanno la facoltà di avvalersi di prestiti
e trasformarsi in soggetti affidati.
Un fido bancario perciò può essere concesso sia ad un privato che ad un'azienda, ma è
solitamente quest'ultima la categoria che ricorre maggiormente al credito bancario.
L’Italia, infatti, è storicamente un Paese nel quale il sistema finanziario è “bancocentrico”,
ossia orientato alle banche piuttosto che al mercato.
Nel contesto italiano svolge un ruolo cruciale la particolare struttura delle imprese e quindi:
• la struttura familiare della proprietà, con conseguente desiderio da parte
dell’imprenditore di non condividere con altri soci il governo aziendale e i frutti
economici che ne derivano;
• la proprietà e il controllo molto spesso coincidenti;
• l’elevato livello di leva finanziaria (leverage) e la concentrazione del debito sul breve
termine, incentivati dall’alto livello di tassazione sui redditi d’impresa, che determina
un costo dopo le imposte del capitale di debito estremamente competitivo rispetto al
capitale di rischio;
• la vicinanza geografica dell’impresa alla banca, con rapporti gestiti prevalentemente in
filiale.
Questi aspetti mettono in evidenza la profonda commistione tra banche e imprese nel sistema
finanziario italiano, in cui il risparmio giunge alle imprese attraverso il sistema bancario e le
altre istituzioni finanziarie.
18
In relazione al rapporto banca-impresa, da un lato gli imprenditori lamentano la bassa qualità
dei servizi bancari e l’elevato costo del credito; dall’altro, i responsabili delle banche
evidenziano la difficoltà di ottenere informazioni attendibili e segnalano come l’intento
principale degli imprenditori sia quello di indebitarsi con un gran numero di banche per
stabilizzare la disponibilità complessiva di fondi e minimizzarne il costo. In letteratura è stato
ampiamente evidenziato che la tendenza al pluriaffidamento aumenta al crescere della
dimensione dell’impresa [FOGLIA ET AL., 1998], e conseguentemente al diminuire delle
dimensioni aziendali si riduce il numero di banche con cui gli imprenditori interagiscono,
aumentando così la possibilità che la banca di riferimento sia un intermediario locale; le
piccole imprese hanno dunque maggiori possibilità di non disperdere i rapporti finanziari con
il sistema bancario.
Quanto appena detto fa emergere il problema che in Italia la banca sembra troppo “piccola”
rispetto all’impresa che affida e per questo l’impresa è costretta a ricorrere a più banche.
L’effetto positivo più evidente del multibanking svolto sulla gestione degli intermediari è la
spinta alla diversificazione del portafoglio prestiti e quindi alla riduzione del rischio di
credito. In effetti, suddividendo quest’ultimo fra più banche in ragione alla quota parte dei
finanziamenti che ciascuno concede, si crea una vera e propria collettivizzazione del rischio;
soprattutto, si evita di incorrere in perdite rilevanti nel caso di difficoltà dell’impresa affidata.
Tuttavia, il ricorso alla pratica dei fidi multipli presenta anche degli aspetti negativi da non
sottovalutare, soprattutto quando gli enti creditizi non sono in grado di svolgere un ruolo di
interlocutori efficienti nei confronti delle aziende.
Quando le aziende si rivolgono al sistema bancario, è perché esiste un fabbisogno di mezzi
finanziari generato dal fatto che le entrate monetarie derivanti dalla riscossione dei ricavi di
vendita non riescono, di solito, a finanziare interamente le uscite connesse al sostenimento dei
costi, queste ultime, infatti, precedono in genere il conseguimento dei ricavi, dato che i cicli di
produzione iniziano prima che giungano a compimento quelli in precedenza avviati.
Il soggetto poi ha la capacità di utilizzare il credito concesso dalle banche, ossia l’insieme dei
finanziamenti che la banca mette a disposizione del cliente, sotto qualunque forma tecnica:
1. Fidi di cassa ed assimilati: si tratta principalmente del classico scoperto di conto
corrente, la linea di credito più utilizzata, e anche la più costosa per il cliente. Il tasso
di interesse applicato al finanziamento in conto corrente è elevato, ma gli interessi
vengono corrisposti dall’azienda finanziata solo sulle somme effettivamente utilizzate.
Essa consente di avere un'apertura di credito sul proprio conto corrente, che si
manifesta nella possibilità per il cliente di utilizzare in qualsiasi momento e in
qualsiasi modo le somme messe a disposizione da parte dell'istituto di credito
19
affidante, di norma senza preavviso e senza particolari obblighi di restituzione in
termini temporali.
I finanziamenti in conto corrente sono dotati di un elevato grado di elasticità; poiché la
banca che concede tali finanziamenti, consente all’impresa che si avvale di essi, di
procedere ad utilizzi nelle fasi ascendenti del fabbisogno, quando l’impresa acquisisce
i fattori produttivi, e di ridurre o eliminare gli utilizzi attraverso rimborsi realizzati con
versamenti in conto corrente nelle fasi discendenti, in cui l’impresa riscuote le vendite
dei prodotti realizzati.
Si tratta di una linea di credito funzionale per l'impresa o il privato che ne beneficia;
tuttavia le banche affidanti preferiscono un utilizzo elastico di detta linea di credito e
tendono a ridurre o a revocare gli affidamenti caratterizzati da utilizzi pieni e statici.
2. Smobilizzo crediti, definito anche come castelletto bancario: è una categoria piuttosto
ampia che riguarda quelle linee di credito che consentono lo smobilizzo di crediti che
il soggetto richiedente vanta nei confronti di soggetti terzi. In tale categoria si
ravvisano principalmente le seguenti tipologie di affidamento:
• i fidi c.d. di portafoglio composti da anticipo, sconto e credito effetti, dove si
intendono per effetti le ricevute bancarie e le classiche cambiali;
• l'anticipo fatture, a sua volta articolato in anticipo fatture con cessione e senza
cessione del credito.
3. Fidi di firma: si tratta di garanzie prestate dall'istituto di credito a favore di terzi per
conto del soggetto richiedente, la forma tecnica più diffusa è sicuramente la
fideiussione bancaria.
4. Fidi estero: rientrano in questa categoria tutte quelle linee di credito che consentono di
supportare un'azienda nella sua attività commerciale con l'estero. Si evidenziano in
tale categoria gli anticipi di fatture all'esportazione, le lettere di credito, i
finanziamenti all'importazione.
5. Fidi per derivati: è una categoria che riguarda tutte quelle linee di credito necessarie
per supportare l'operatività in derivati (ad es. futures, options, swap).
6. Finanziamenti: si tratta di tutte quelle operazioni di finanziamento a breve, medio o
lungo termine caratterizzate dall'erogazione di una somma capitale e dal rimborso
effettuato mediante un piano di ammortamento prefissato. I più diffusi in tale categoria
sono i mutui ipotecari e chirografari.
È necessario poi distinguere fra “fido accordato” e “fido utilizzato”: il primo sta a indicare la
facoltà del cliente di utilizzare, secondo varie modalità, i fidi ottenuti; il secondo indica invece
l’esercizio della facoltà [BIFFIS, 2005].
20
Quando poi si vogliono distinguere i fidi secondo la loro scadenza originaria, si usano
locuzioni del tipo: “fidi a breve”, con scadenza originaria entro i dodici mesi; “fidi a medio
termine” entro cinque anni e “fidi a lungo termine” oltre i cinque anni.
Le aziende, infine, richiedono e utilizzano le diverse linee di credito secondo la particolare
esigenza da finanziare e secondo la struttura della strategia finanziaria pianificata.
2.2 Le fasi della concessione di credito.
La concessione di fido rappresenta la fase terminale di un processo che, partendo dalla
richiesta avanzata dal cliente, passa attraverso la raccolta e l’analisi di una serie di
informazioni.
La procedura disposta dall’OdV inizia con la richiesta di concessione fido, presentata e
sottoscritta da una persona fisica o giuridica (dotata di capacità giuridica) contenente:
• l’ammontare dell’affidamento richiesto;
• la durata dello stesso;
• le garanzie eventualmente offerte.
Prosegue poi con l’istruttoria della pratica di fido, che è il complesso delle indagini, analisi ed
elaborazioni con le quali gli organi competenti della banca giungono alla formulazione di un
giudizio motivato sulla richiesta di credito del cliente e con il fine ultimo di salvaguardare gli
interessi della banca.
Le concessioni di credito conseguono, infatti, all’attivazione di processi estimativi attraverso
il procedimento istruttorio compiuto dalla banca che intrattiene la relazione con il cliente
secondo modalità operative proprie di ogni banca.
Le Istruzioni di Vigilanza emanate dalla Banca d’Italia5 prescrivono che la banca è tenuta ad
acquisire ogni utile elemento di informazione o ad assumere ogni iniziativa idonea a rendere il
livello di approfondimento dell’istruttoria dei fidi adeguato all’ammontare ed al grado di
rischio del credito da concedere.
Essa contempla la raccolta della documentazione contabile e amministrativa, accertamenti,
individuazione e analisi del rischio da assumere, la rilevazione delle caratteristiche
andamentali dei rapporti in essere e la determinazione dell’entità del fabbisogno finanziario.
Al fine dell’identificazione della persona fisica sono necessari: il documento d’identità in
corso di validità, codice fiscale, certificato di stato civile o estratto dell’atto di matrimonio con
annotazioni riguardanti il regime patrimoniale, certificato di residenza e certificato di
iscrizione al Registro delle Imprese per le ditte individuali, ecc.
5
Cfr. Circ. 263/2006 e successivi aggiornamenti (Nuove disposizioni di vigilanza per le banche) e Circ.
229/1999 e successivi aggiornamenti (Istruzioni di vigilanza per le banche).
21
Nel caso di persone giuridiche sono richiesti solitamente: certificato storico del Registro delle
Imprese, copia dell’atto costitutivo e dello statuto o eventuali patti sociali, certificazione
attestante la responsabilità della società e la regolare costituzione.
L’identificazione è il primo momento importante dell’istruttoria bancaria.
La banca deve contemporaneamente svolgere indagini esterne e interne alle aziende
richiedenti: quelle esterne sono utili soprattutto per i clienti nuovi e hanno lo scopo di
raccogliere informazioni sul richiedente presso i suoi clienti, fornitori, professionisti, ecc.,
quelle interne consistono in visite di funzionari della banca presso l’azienda da finanziare allo
scopo di conoscere e valutare la struttura organizzativa dell’impresa richiedente, con
riferimento sia alla struttura finanziaria, sia a quella tecnico-produttiva e commerciale.
Le notizie assunte sono opportunamente selezionate e approfondite con un sistema logico e
spersonalizzato.
La documentazione di carattere reddituale usualmente richiesta per la valutazione del merito
creditizio è costituita:
• per le persone fisiche da modello 730 o Unico e ultime buste paga;
• per le società od enti in genere da bilanci ufficiali relativi almeno agli ultimi due anni,
un bilancio provvisorio del periodo corrente e un bilancio previsionale per l’esercizio
successivo a quello della richiesta.
Uno degli strumenti di analisi più utilizzati nella prassi operativa di concessione di fido
bancario è rappresentato dall’analisi per indici che si fonda sull’elaborazione di quozienti di
bilancio ottenuti come rapporti tra le varie classi dello Stato Patrimoniale e del Conto
Economico, opportunamente riclassificato.
Gli indici rappresentano sinteticamente la struttura finanziaria e patrimoniale dell’impresa
richiedente fido. Un eccessivo indebitamento comporta una pericolosa alterazione del
rapporto tra capitale proprio e capitale di terzi, portando ad un’incapacità della stessa a far
fronte agli impegni futuri di rimborso. Inoltre il pesante carico degli oneri finanziari che ne
deriva può pregiudicarne la sua redditività.
Altri criteri consentono di valutare la capacità di rimborso e l’attitudine dell’impresa affidata a
produrre redditi adeguati rispetto alle situazioni di rischio caratteristiche dei settori di attività
di appartenenza. La capacità di rimborso viene quindi collegata alla redditività futura
dell’impresa.
Uno degli indicatori in base al quale viene decisa l’operazione e l’ammontare del credito a
fronte del rischio di perdita, è rappresentato da diverse configurazioni del reddito: il risultato
operativo, il cash flow o il reddito netto.
22
Dal punto di vista tecnico gli strumenti utilizzati sono i bilanci prospettici, attraverso i quali si
cerca di costruire il conto economico e lo stato patrimoniale dai quali si ricavano, appunto, i
redditi previsti e i fabbisogni finanziari futuri.
Per valutare la situazione di liquidità dell’impresa viene di solito preso in considerazione
l’ammontare del cosiddetto capitale circolante netto (differenza tra attività correnti e passività
correnti).
La dinamica dei redditi futuri assieme ad un’analisi dell’evoluzione della liquidità aziendale
permettono una miglior valutazione sulla puntualità del rimborso.
L’analisi per indici ovviamente risente del grado di attendibilità e trasparenza del bilancio ma
consente di studiare le performance presenti e passate dell’azienda ed è quindi sicuramente di
aiuto per la determinazione del giudizio di affidabilità.
Nella prassi è contemplato anche l’esame di eventuali garanzie offerte che, comunque, non
aumentano la capacità di credito del cliente, ma valgono a rendere più sicura la riscossione del
finanziamento concesso, nell’ipotesi estrema di insolvenza dell’azienda affidata.
L’istruttoria ha quindi lo scopo di identificare il soggetto richiedente, di verificare la veridicità
delle informazioni raccolte, di esaminare la fattibilità dell’operazione, la capacità di produrre
reddito, di indebitamento, di rimborso e di valutare quindi il merito creditizio del cliente sulla
base della documentazione prodotta, delle analisi attivate e della consultazione di banche dati:
Centrale dei Rischi, CRIF, ASSILEA E ASSIFACT.
Altri dati sono desumibili da visure ipotecarie o catastali presso la conservatoria dei registri
immobiliari.
Per l’istruttoria ogni Banca fa riferimento a delle proprie politiche di credito, cioè delle regole
aziendali che, oltre a quelle fissate dalle leggi, sono utilizzate per misurare la capacità di
rimborso del richiedente.
Lo sportello è il punto di contatto con la clientela e qui dopo aver istruito le pratiche, qualora
sia espresso un parere favorevole e non vincolante con evidenza di tutti gli aspetti positivi e
negativi, si procede alla trasmissione di queste ultime ai soggetti con poteri deliberanti.
Sulla base della relazione, detta di sintesi, con la quale il funzionario che istruisce la pratica
giunge a delle conclusioni sulla capacità di credito e di merito del richiedente, gli organi
preposti alle decisioni in materia di affidamento possono richiedere un supplemento di
istruttoria e delibereranno la concessione totale o parziale dell’affidamento, o nel caso più
sfavorevole respingeranno la proposta.
Data la diversa organizzazione degli istituti di credito, soggetto proponente e soggetto
deliberante possono coincidere, oppure essere diversi secondo un meccanismo composto di
deleghe che tende a distinguere le responsabilità fra i diversi soggetti.
23
Per le operazioni che eccedono un determinato plafond o che sono entro certi parametri di
rischiosità la filiale può essere tenuta a richiedere l’assenso di una struttura superiore (capo
area per quelle dipendenze ubicate in un determinato territorio), questa a sua volta, per
importi oltre un dato ammontare dovrà rivolgersi alla direzione centrale (servizio crediti,
comitato esecutivo o consiglio di amministrazione, sempre in funzione della dimensione del
prestito).
In seguito alla delibera inizia la cosiddetta fase esecutiva, durante la quale la banca attiva
l’operazione, perfeziona il contratto, concede l’utilizzo di quanto deliberato e controlla la
regolarità della relazione. Scopo di tali indagini è appurare se sono intervenuti elementi di
rilevanza a modificare l’originaria posizione dell’impresa, tali da ripercuotersi negativamente
sul puntuale rimborso del debito contratto. La revisione del fido ha la funzione di adeguare le
condizioni praticate sul rapporto in esame alle mutate condizioni di mercato o alla variata
solvibilità dell’impresa.
Qualora invece il monitoraggio evidenziasse l’insorgere di qualche patologia aziendale, la
banca può decidere di:
• revocare il fido, per i finanziamenti validi “salvo revoca”, qualora le difficoltà siano
gravi e non temporanee;
• richiedere garanzie supplementari, se l’azienda presenta difficoltà non gravi e per
ottenere una maggiore possibilità di rientro del finanziamento concesso.
L’attività di monitoraggio può evidenziare il mancato utilizzo della linea di credito favorendo
così uno smobilizzo finanziario di somme che prima la banca teneva a disposizione di
un’impresa e di cui quest’ultima non aveva bisogno.
2.3 Relationship banking.
Innanzitutto, il concetto di relazione bancaria identifica un generico rapporto banca-cliente, o
più spesso, banca-impresa quale metodo opposto al rapporto mercato-impresa.
L’impresa ha, infatti, la necessità di recuperare un determinato fabbisogno finanziario per
acquistare e utilizzare i fattori produttivi destinati ai processi di produzione e gestione
dell’impresa.
Questo fabbisogno può essere coperto da capitale proprio o facendo ricorso a capitale di terzi.
Nel sistema economico italiano raramente l’azienda fa ricorso al mercato per recuperare
mezzi finanziari e quindi non rimane che l’autofinanziamento o rivolgersi ad uno sportello
bancario.
Ecco dunque la necessità di instaurare una relazione banca-cliente per soddisfare un bisogno
ed è chiaro che questa nasce nel momento in cui accadono una serie d’interazioni ripetute tali
24
da consentire alla banca l’accumulazione di informazioni e la possibilità di ripartire il costo
del loro reperimento nei diversi anni.
Inoltre l’instaurarsi di relazioni intense e durature comporta benefici per le imprese in termini
di una maggiore quantità di credito offerto e migliori condizioni di accesso al credito,
rappresentate dal tasso praticato e dalle garanzie richieste.
La tipologia di informazioni raccolte deve avere un carattere maggiormente qualitativo e
difficilmente quantificabile. Le informazioni quantitative, infatti, si possono facilmente
estrapolare dai libri contabili e sono tipiche del transactions banking; nel relationship banking
è invece importante conoscere il profilo e le capacità dell’imprenditore.
Dallo studio di Berger e Black (2007) l’implementazione dell’istruttoria di fido avverrebbe
per fasi seguendo una sequenza di informazioni che va da quelle di tipo hard a quelle di tipo
soft basate sul relationship banking. Nella prima fase la banca tende a valutare le attività fisse
dell’impresa che possono essere utilizzate quale garanzia dell’operazione. Nella seconda fase
si identificano altre informazioni hard basate sulla valutazione delle attività presenti in
bilancio e sull’informativa di tipo contabile. Infine, la banca prenderebbe in considerazione le
informazioni di tipo soft o relationship-based. Il modello vincente è quello che utilizza sia
informazioni soft sia hard.
Il relationship banking quindi è fondato sull’interazione quotidiana e non su un’analisi di
indicatori finanziari e patrimoniali proprie del transactions banking.
Le caratteristiche del relationship banking sono:
1. durata della relazione banca-cliente;
2. intensità, ampiezza e profondità della relazione;
3. modalità con cui si realizza la relazione banca-cliente.
Per quanto concerne la durata è importante che la relazione sia stabile e duratura per
permettere una più puntuale conoscenza del prenditore e del rischio connesso.
Il concetto di intensità si può esprimere come numero di banche finanziatrici, l’ampiezza della
relazione è intesa come utilizzo dei diversi servizi offerti dalla banca e profondità della
relazione è rappresentato dall’utilizzo di credito su quello concesso dalla banca [BONGINI
ET AL., 2009].
Accanto alle caratteristiche di durata e intensità della relazione banca-cliente, il relationship
banking presuppone che la banca operi in modo tale da acquisire effettivamente un vantaggio
legato all’acquisizione di informazioni private per poter valutare l’affidabilità di ogni singolo
cliente.
Il modo in cui si realizza la relazione non deve basarsi su un riscontro di dati oggettivi,
impersonali e standardizzati ma deve constare su un confronto diretto con il cliente.
25
Dall’incontro con il cliente è interessante capire quali siano i progetti futuri dell’impresa e il
piano di sostenibilità, raccogliere più informazioni possibili riguardo clienti e fornitori di
un’impresa, le idee e se esse siano o meno realizzabili nel breve o medio/lungo termine,
soprattutto individuare la qualità del management e della proprietà e il loro profilo.
Chiaramente un ruolo fondamentale è svolto dall’esperienza di chi osserva, dalla capacità di
discernere le informazioni e assumersi la responsabilità di fronte ad una nuova concessione e
ad un rinnovo.
Un altro elemento considerevole circa le modalità della relazione è la prossimità della banca
al cliente, sia in termini di distanza spaziale, sia in termini di cliente e soggetto che prende le
decisioni creditizie.
Sembra utile porre l’accento pure sul fatto che le banche di piccole dimensioni sono più vicine
al relationship banking poiché hanno una struttura organizzativa meno complessa, la quale
consente un più agevole ed efficace utilizzo di informazioni qualitative.
Il relationship banking quindi è una relazione banca-impresa che si basa sull’informazione
inizialmente fornita dall’imprenditore e in seguito prodotta e accumulata dalla banca, a partire
da una varietà di fonti.
Essa tende a manifestarsi in rapporti creditizi di lunga durata, nell’ambito dei quali, la gamma
di servizi finanziari prestati dalla banca è tendenzialmente ampia, non solo credito ma anche
servizi transattivi, di investimento e di carattere fiduciario offerti all’impresa e
all’imprenditore.
Da uno studio recente è emerso che il relationship banking rappresenta l’elemento
caratterizzante delle banche che hanno risentito meno della crisi diffusasi nel sistema bancario
nel corso del 2008 [BECALLI ET AL., 2009].
26
2.4 Valutazione del merito di credito.
Nel contesto delineato lo strumento per favorire una logica di efficiente allocazione delle
risorse finanziarie finalizzata a coniugare la qualità del credito con la produttività è una
corretta valutazione del merito di credito.6
L’analisi del merito di credito o di affidabilità della clientela, oltre che essere preliminare a
qualsiasi nuova concessione di affidamento, assume in via permanente la decisiva funzione di
controllo del comportamento della clientela.
Gli istituti di credito concedono gli affidamenti a seguito di una complessa istruttoria che di
norma ha ad oggetto sia i profili reddituali che quelli patrimoniali del soggetto richiedente al
fine di stabilire la capacità prospettica di restituzione del credito concesso e la solidità
finanziaria.
La valutazione del merito di credito della clientela richiede anche una notevole quantità di
informazioni che di solito sono riservate, e solo l’instaurazione di un reciproco rapporto di
fiducia tra impresa e banca può consentire a quest’ultima l’accesso a dati necessari alla
valutazione, superando, di fatto, i problemi legati all’esistenza di asimmetrie informative.
I benefici derivanti da questo rapporto si estendono a entrambi i contraenti: per l’impresa c’è
la possibilità di ottenere una stabilizzazione del costo del finanziamento, in altre parole di
avere finanziamenti a tassi inferiori, mentre per la banca si pensa ad un migliore sfruttamento
delle informazioni riservate.
Lo scopo di tale procedura è prevedere il grado di rischio connesso al successivo utilizzo da
parte dell’affidato del fido accordato. Il rischio è di perdere, in tutto o in parte, il capitale
messo a disposizione del finanziato, oltre ovviamente agli interessi maturati sullo stesso.
Poiché la perdita si concreta in caso di insolvenza, il rischio è correlato alle probabilità di
decesso dell’impresa finanziata.
Con la valutazione del merito di credito si cerca quindi di studiare la capacità del debitore di
essere in condizione, nel momento prestabilito e dopo aver fatto fronte alle scadenze
intermedie, di:
• restituire il prestito ed estinguere l’obbligazione;
• ottenere un rinnovo del prestito;
6
Le Istruzioni di Vigilanza dispongono testualmente (Circ. 229/1999, Titolo IV, Cap.11) che l’intero processo
del credito (istruttoria, erogazione, monitoraggio, revisione delle linee di credito e interventi in caso di anomalia)
deve risultare dal regolamento interno della banca e che nella fase di istruttoria la banca acquisisce tutta la
documentazione necessaria per effettuare una adeguata valutazione del merito creditizio del prenditore sotto il
profilo patrimoniale e reddituale anche al fine di determinare una corretta remunerazione del rischio assunto, ed
idonea per consentire di valutare la coerenza tra importo, forma tecnica e progetto finanziato e permettere
l’individuazione delle caratteristiche e della qualità del prenditore anche alla luce del complesso delle relazioni
intrattenute con lo stesso.
27
• restituire il prestito tramite il prestito di un finanziatore diverso.
È evidente come, per la banca non vi possa essere convenienza economica nell’instaurare
relazioni di clientela che contemplino impieghi con scarse prospettive di adempimento
dell’obbligazione, indice di scarsissima affidabilità.
La valutazione è previsionale poiché non si possono conoscere i rischi d’impresa e di mercato
che condizionano il pagamento di capitale e di interessi futuri.
La possibilità di effettivo rientro dei prestiti, essendo il momento del rimborso differito, è
strettamente collegata all’evoluzione futura della situazione economica, finanziaria e
patrimoniale, e comporta una valutazione dell’andamento prospettico dell’azienda.
Nella valutazione del merito di credito è necessario individuare le ragioni per cui l’impresa
richiede agli istituti bancari credito invece di ricorrere alle risorse proprie.
È inoltre fondamentale capire qual è la capacità dell’impresa di produrre reddito e andare a
fondo sulla costituzione della compagine sociale e del capitale dell’impresa.
Si cerca poi di prevedere quali siano le prospettive del contratto che si andrà a stipulare ossia
se sarà rinnovato e in questo caso la valutazione del merito di credito è da intendersi positiva
oppure estinto, se saranno escusse eventuali garanzie o se ci sarà un trasferimento della partita
alla concorrenza e quindi siano indice di uno scadente apprezzamento del credito.
Per quanto riguarda il lato economico-reddituale che influisce sulla valutazione, è affidabile
un’impresa che produca sufficiente ricchezza per sostenere gli oneri finanziari ed eventuale
quota parte del capitale da rimborsare ottenuta dalla differenza fra i ricavi e costi correnti.
La valutazione del merito di credito di un’impresa non si esaurisce nella sola analisi dei dati
di bilancio, analisi di settore e di analisi “andamentale” che riguarda più direttamente il
rapporto banca-impresa ma si sostanzia anche nella disamina della Centrale Rischi.
La soluzione del problema richiede l’esame di molteplici aspetti e non è offerta da
automatismi procedurali ma da un accorto e pragmatico utilizzo di alcuni paradigmi maturati
dalla dottrina e dalla pratica nel loro incessante confronto [BIFFIS, 2005].
Purtroppo nel caso del pluriaffidamento, in cui le aziende hanno dovuto instaurare rapporti di
credito multipli, provocando una dispersione del potenziale informativo connesso alla
gestione dei rapporti creditizi, la capacità valutativa delle banche si riduce.
Questo fenomeno, in particolare, è una delle cause dell’indebolimento della stabilità del
sistema finanziario ed uno dei motivi della creazione di un sistema di centralizzazione dei
rischi.
28
2.5 La Centrale dei Rischi.
La Centrale Rischi è una banca dati, nella quale sono archiviate le informazioni sulla solvenza
dei clienti degli istituti creditizi, gestita dalla Banca d’Italia per l’esercizio dell’attività di
vigilanza e controllo sulla raccolta del risparmio e l’erogazione del credito.
Si tratta dunque di un sistema informativo sull’indebitamento della clientela delle banche e
degli intermediari finanziari vigilati dalla Banca d’Italia.
La Centrale Rischi è stata istituita al fine di creare un sistema di centralizzazione dei rischi7,
per consentire alle banche di gestire la pluralità di affidamenti concessi da più intermediari in
capo ad uno stesso soggetto.
Lo scopo della Centrale Rischi è di contribuire al miglioramento della qualità degli impieghi,
fornendo agli intermediari informazioni per la valutazione del merito di credito della clientela
e per l’analisi e la gestione del rischio di credito, con l’obiettivo di aumentare la stabilità del
sistema creditizio.
Nel corso degli anni la Centrale Rischi ha assunto un ruolo crescente e fondamentale nella
gestione degli affidamenti, nuovi ed esistenti, da parte degli intermediari finanziari. La sua
importanza è tale che il ruolo che spesso gioca nella gestione e nella misurazione del rischio
di credito supera abbondantemente il 50% all’interno del complessivo insieme di fattori
esaminato dalle banche: bilancio, altri elementi quantitativi, settore, correttezza dei soci, ecc...
Una sana e corretta gestione dei rapporti da parte dell’azienda con le banche partner ricopre
un ruolo molto importante per mantenere i rapporti con le stesse, ma anche per averne con
delle nuove che non conoscono l’azienda ed in primis lo fanno proprio valutando lo storico
della ditta evidenziato dalla Centrale Rischi.
La Centrale Rischi, infatti, accentra le segnalazioni degli intermediari partecipanti che hanno
l’obbligo di indicare l’esposizione creditizia in essere verso quei clienti (persone fisiche o
giuridiche) il cui affidamento supera determinate soglie quantitative minime. Gli intermediari
sono tenuti a segnalare l’intera posizione nei confronti del singolo cliente se, alla data di
riferimento (fine mese), essa è pari o superiore a 30.000,00 euro.
È obbligatoria la segnalazione che riguarda tutte le posizioni in sofferenza e queste devono
essere segnalate qualunque sia l’importo.
In particolare deve essere rilevato il passaggio dei crediti a sofferenza, la ristrutturazione del
credito e la regolarizzazione di eventuali posizioni precedentemente segnalate a sofferenza o
oggetto di ristrutturazione.
7
Il servizio di centralizzazione dei rischi creditizi è regolato dalle Istruzioni di Vigilanza (v. Banca d’Italia,
Circolare n. 139/1991 – 13° aggiornamento del 4 marzo 2010).
29
Gli intermediari sono tenuti a segnalare l’informazione entro i tre giorni lavorativi successivi
a quello in cui sia stato accertato, dagli organi competenti, lo stato di sofferenza del cliente,
approvata la ristrutturazione del credito o preso atto della regolarizzazione della posizione.
Un’erronea segnalazione a sofferenza però incide negativamente sulle relazioni bancarie
perché va a ripercuotersi nella possibilità di accedere al credito oltre a comportare la revoca di
quello già concesso.
Sulla base delle informazioni ricevute poi la Banca d’Italia restituisce ad ogni intermediario
un flusso di ritorno del livello di rischio dei singoli clienti e dei soggetti ad essi collegati e un
flusso di ritorno statistico.
L’importanza del servizio fornito agli intermediari dalla Centrale Rischi riguarda anche il
cosiddetto “servizio di prima informazione” che consente di ottenere informazioni riguardo
posizioni globali di rischio sulla clientela effettiva o potenziale, per la quale è in corso
un’istruttoria di affidamento.
In sostanza, l’analisi della Centrale Rischi porta le banche ad effettuare valutazioni circa la
quantità di flussi intermediati ma anche la qualità del lavoro attraverso l’analisi della
percentuale di insoluti sulle ricevute bancarie e sulle fatture presentate all’incasso o anticipate,
la presenza di sconfinamenti o ritardi nei pagamenti delle rate su finanziamenti a medio lungo
termine e, più in generale, la regolarità e la correttezza della normale operatività bancaria e
nei pagamenti.
La Centrale rischi, pertanto si propone di porre a disposizione degli enti creditizi partecipanti
uno strumento in grado di accrescere la loro capacità di valutazione e di controllo della
clientela.
Attraverso le interrogazioni alla Centrale Rischi è possibile per le banche monitorare
l’andamento qualitativo e quantitativo dei rapporti dell’impresa verso il complesso del sistema
bancario con cui essa opera. Gli intermediari, utilizzando i dati della Centrale Rischi, possono
impiegare in modo più efficiente le loro risorse e migliorare la qualità del portafoglio crediti.
I benefici per la clientela meritevole sono rappresentati da un più agevole accesso al credito e
migliori condizioni.
Inoltre dalle informazioni fornite dalla Centrale Rischi si possono desumere una serie di
indicatori attraverso i quali le banche rilevano una prima stima delle condizioni di rischio
associate al prenditore, uno di questi è il rapporto utilizzato/accordato valutato sull’insieme
delle banche che analizzato oltre una certa soglia decisa come parametro limite da ciascun
istituto bancario, evidenzia un incremento del rischio in quanto modifica la percentuale di
esposizione al momento di un eventuale default, condizionando il rating.
30
2.6 I Rating.
L’accordo di Basilea 2 prevede che gli istituti di credito siano chiamati ad attribuire un rating,
cioè un giudizio che sintetizzi la capacità di credito e la solvibilità della controparte: di fatto,
quindi, viene valutata l’attitudine del cliente della banca a far fronte degli impegni assunti alle
scadenze prestabilite [BONIFAZI e TROISE, 2007].
Il rating è espresso convenzionalmente da un simbolo alfanumerico che esprime, all’interno di
una scala, la probabilità di default ovvero il rischio d’insolvenza di un’impresa.
I criteri di giudizio si basano sull’analisi della situazione finanziaria dell’azienda, sull’analisi
del settore in cui opera e sul suo posizionamento in base a criteri di efficienza e competitività,
sull’analisi della situazione economica generale, su visite in azienda e incontri con il
management o l’imprenditore.
Il rating può essere elaborato da agenzie esterne o direttamente dalle banche.
In particolare, la Banca d’Italia riconosce quale ECAI (external credit assessment
institutions8): Fitch Ratings, Moody’s Investors Service, Standard & Poor’s Rating Services,
Cerved Group (quest’ultima limitatamente al comparto “imprese ed altri soggetti” previsto
nell’ambito del metodo standardizzato).
Della valutazione esterna, dati i costi, possono beneficiare le grandi imprese multinazionali.
Negli altri casi, gli istituti bancari si avvalgono di procedure standardizzate per la valutazione
delle imprese, elaborate internamente e accreditate dalla Banca d’Italia, le quali forniscono
una serie di informazioni prevalentemente quantitative che da un lato si presentano
sicuramente come oggettive, ma dall’altro non permettono di cogliere completamente il
merito creditizio delle aziende di piccole dimensioni.
Il credit scoring è un sistema usato dalle banche e dagli intermediari finanziari per valutare la
solvibilità dell’azienda. Il sistema combina tra loro una serie d’informazioni al fine di
pervenire ad un punteggio di accettazione, da parte del soggetto finanziatore, circa il rischio di
credito del richiedente in un determinato arco di tempo. In funzione del punteggio, all’azienda
viene assegnato un voto in lettere e una classe di appartenenza (rating) mediante i quali
l’intermediario trae elementi utili per accettare o rifiutare il finanziamento, per determinare la
sua entità e il tasso di interesse applicato. Ad ogni giudizio di rating corrisponderà un
assorbimento diverso di capitale destinato ad accantonamento prudenziale e di vigilanza, e di
conseguenza, per rating migliori vi sarà per l’istituto di credito un minor assorbimento di
capitale che permetterà di concedere il finanziamento ad un tasso di interesse inferiore. I
8
Cfr. Circ. 263/2006, Titolo II, Cap. 1 e http://www.bancaditalia.it/vigilanza/normativa/norm_bi/circreg/vigprud/ecai/ecai.htm.
31
clienti che avranno giudizi di rating negativi si vedranno invece aumentare il tasso di
interesse applicato sui propri finanziamenti, in conseguenza al maggior assorbimento di
capitale per la banca per tali impieghi.
Il rating è sintetizzato con un codice appartenete a scale che variano da agenzia ad agenzia e
da banca a banca.
Per esempio si indica con «AAA» un giudizio di ottima qualità, questa scende gradualmente
se si passa al codice «AA» oppure «A», lettere che possono essere accompagnate anche da un
«+» o «-» oppure da dei numeri «AA1». La qualità si considera buona se il rating si colloca
nell’intervallo «BBB»«B»; va considerata bassa se il rating si posiziona nell’intervallo
«CCC»«C», ovvero unrated.
A differenza delle grandi imprese, dove viene effettuata un’analisi approfondita, le PMI
vengono assimilate ai privati e valutate con tecniche statistiche di scoring o attraverso
processi di rating, che nella maggior parte dei casi non sono adatti perché non danno una
rappresentazione corretta delle caratteristiche quali - quantitative tipiche e perciò possono
fornire risultati fuorvianti.
32
3. LA PRODUTTIVITÀ
3.1 La produttività in ambito bancario.
La produttività in economia può essere definita come il rapporto tra la quantità di output e le
quantità di uno o più input utilizzati per la sua produzione.
Per misurare la produttività nell’impresa bancaria è necessario individuare di conseguenza il
prodotto bancario.
Questa individuazione incontra alcune problematiche sia per il fatto che l’attività bancaria è
un classico esempio di produzione congiunta9, sia perché, come per le aziende produttrici di
servizi, risulta difficile determinare il prodotto in termini fisici [VIVIANI e GAZZEI 2001].
Non è facile definire gli input e gli output del processo di produzione delle banche; questo
processo è certamente anomalo come si rileva dall’esame della letteratura e dalla mancanza di
un giudizio comune su cosa debba essere considerato input e output.
La definizione di input ed output nelle aziende di credito è il risultato di diverse ricerche;
infatti, tra i vari contributi che si sono succeduti in merito, possono essere distinti alcuni
approcci.
Il primo approccio, che sottolinea l’importanza della funzione creditizia della banca, secondo
il quale le componenti del passivo, in particolare dei depositi, rappresentano l’input del
processo produttivo, mentre l’output è rappresentato dall’insieme delle attività finanziarie, è
detto “dell’intermediazione” [BERGER ET AL. 1986].
Come evidenziano Conigliani ed altri, nel loro saggio datato 1991, il processo di produzione
delle banche è descritto come una trasformazione di fondi che sono acquisiti dal soggetto in
surplus, combinati con i tradizionali fattori produttivi (lavoro e capitale), e quindi messi a
disposizione dei soggetti in deficit.
Per
schematizzare
cosa
sia
input
e
cosa
sia
output,
seguiremo
l’approccio
dell’intermediazione, che suggerisce di considerare i depositi come input del processo
bancario, in cui il ruolo della banca risulta fondamentale nel momento di intermediazione
finanziaria ossia di trasferimento del risparmio dal soggetto risparmiatore, sia esso persona
fisica o giuridica, al soggetto richiedente.
L’approccio all’intermediazione diventa prevalente quando l’accento è posto sul ruolo delle
banche come distributori di fondi, trasformati nelle caratteristiche di liquidità e di rischio.
9
Il concetto di produzione congiunta va ricondotto all’espletamento della funzione monetaria da parte della
banca, congiuntamente con l’esercizio della funzione creditizia.
33
Come rilevano Berger e Humprey (1986), se consideriamo i depositi fra gli input, si perde la
distinzione fra il concetto di servizio del deposito e l’uso di fondi intermediati per produrre i
servizi; questo conferma che anche questo approccio non è esente da problemi e
contraddizioni come evidenzia anche Dongili nel suo working paper del 2005.
Il secondo approccio è detto “della produzione” e considera come risultato del processo
produttivo sia i depositi che il volume globale degli investimenti.
In questo approccio si pone l’accento sul fatto che “la produzione di servizi finanziari, come
quella di un qualsiasi altro bene, richiede l’impiego di lavoro e di capitale … per i compiti di
documentazione, informazione e monitoraggio” [TULKENS, 1993].
L’asset approach coincide con l’intermediation approach in quanto il passivo è l’insieme
degli input e l’attivo rappresenta l’output. I depositi sono inclusi tra i fattori produttivi.
La suddivisione tra intermediation e asset approach, da un lato, e production approach
dall’altro è dettata dai due diversi tipi di funzione delle banche; quella macroeconomica, di
trasmissione e trasformazione del risparmio fra unità in surplus e in deficit, per i primi, e
quella microeconomica, di produttori di servizi finanziari, per il secondo.
Ricordiamo poi l’user cost approach e il value added approach.
Secondo l’approccio “del costo di utilizzo”, o user cost approach, se una posta patrimoniale
influisce positivamente sul margine di gestione, allora è un output, altrimenti va considerata
come input.
E ancora, l’approccio “del valore aggiunto”, o value added approach, individua come output
le poste patrimoniali che generano una quota rilevante del valore aggiunto, il resto va
considerato input o output non essenziale.
La pluralità di approcci, anche all’interno di una specifica definizione di output, sembra
rimandare ad una scelta compiuta in base alla disponibilità di dati e degli obiettivi dell’analisi.
La letteratura suggerisce di preferire il production o il value added approach in relazione ai
temi delle economie di scala e di scopo, o nell’analisi di efficienza delle filiali di un’impresa
bancaria, e di utilizzare, invece, l’approccio dell’intermediazione o asset approach
nell’ambito dello studio dell’efficienza della banca.
Avvalendoci dell’approccio dell’intermediazione possiamo giungere alla conclusione che ad
un migliore risultato in termini di output per l’impresa bancaria si possa pervenire attraverso
una politica di espansione degli impieghi accompagnata da una migliore qualità degli stessi;
pertanto l’insieme dei comportamenti dei soggetti affidati dalla banca va inevitabilmente ad
incidere sulle politiche della banca stessa.
Tale aspetto deve poi trovare spazio nella configurazione finale dell’attività di produzione che
per la banca coincide con l’accumulazione di ricchezza e la produzione di reddito.
34
Diventano fondamentali per questo motivo le informazioni legate all’istruttoria di fido per
l’individuazione del rischio bancario.
La concessione di fido rappresenta la fase terminale di un processo che, partendo dalla
richiesta avanzata dal cliente, passa attraverso la raccolta e l’analisi di una serie di
informazioni.
L’attività di screening e monitoring, se non effettuata in modo adeguato e continuativo, non
rileva dati affidabili sulla rischiosità dei rapporti bancari influenzando negativamente la
gestione del portafoglio.
Un portafoglio affidamenti “sano” consente più libertà, un livello di operatività maggiore e
una maggiore tolleranza al rischio.
Più lo stato del rapporto segnala posizioni di rischio più la banca dovrà accantonare capitale,
cambiare le politiche di credito, cambiare nuovamente le singole condizioni di credito,
attivare nuove divisioni (es. legale e di audit) con aggravio dei costi che vanno ad incidere
sulla produttività della banca.
Come già evidenziato nel capitolo precedente nella parte dedicata al relationship banking è
importante segnalare, in relazione al sistema delle banche locali, lo stretto rapporto che
l’istituto di credito ha con la comunità e dal quale può scaturire una migliore capacità di
selezione nel credito.
La qualità della relazione rappresenta una possibilità importante per ottimizzare la gestione
dei crediti. In tal senso la “fiducia” diventa essa stessa garanzia e assume, così, un valore
economico. Sotto questo punto di vista, le banche locali possono avvantaggiarsi attraverso
un’analisi più specifica delle piccole e medie imprese che ad esse si rivolgono lamentando
un’eccessiva standardizzazione e schematizzazione della metodologia di valutazione del
merito creditizio adottata anche dalle banche maggiori.
Tuttavia anche le banche locali devono fronteggiare situazioni di minaccia:
•
da un lato evitare il verificarsi di fenomeni noti con il termine di selezione avversa
(concentrazione di crediti più rischiosi);
•
dall’altro sviluppare i loro processi di valutazione sia sul piano strutturale sia di
capacità ad accumulare le cosiddette soft information.
In quest’ottica le banche locali hanno iniziato ad implementare sistemi di scoring della
clientela basato su informazioni di tipo quali - quantitativo, come già diffuso nei grandi
gruppi bancari italiani.
35
La massima utilità per la banca è quella di realizzare un sistema di rating che le permetta non
solo di utilizzare le proprie stime interne dei rischi di credito per il capitale minimo di
vigilanza, ma di utilizzarlo per la riduzione dei propri coefficienti patrimoniali con
conseguente aumento della redditività (calcolata sull’utile operativo) del capitale investito.
Per ottenere questi vantaggi, la banca deve poter utilizzare tutte le possibili potenzialità del
sistema di rating, connesse non solo al possibile risparmio di capitale ma relative al
miglioramento dei propri processi gestionali e quindi della propria efficienza e competitività.
Agire su questi fattori, per la banca, significa migliorare l’intera filiera del credito, garantendo
ad esso una maggiore razionalità e sistematicità nelle diverse fasi (selezione, negoziazione,
erogazione, monitoraggio) in cui si articola il processo produttivo dei prestiti bancari.
La banca deve cioè utilizzare il rating per migliorare la propria capacità di identificare i
rischi, prezzarli e presidiarne eventuali variazioni inattese.
Come già affermavano Rispoli e Pappalardo (1996), le sofferenze bancarie, alla presenza di
una marcata recessione economica, hanno assunto un importante peso nella gestione
caratteristica delle banche, a causa delle dimensioni quantitative raggiunte in termini assoluti
e in rapporto agli impieghi bancari.
La gestione del portafoglio prestiti con particolare riguardo al fattore rischio assume un ruolo
rilevante in ambito bancario.
È possibile suddividere questa gestione nelle seguenti fasi: istruttoria, erogazione e controllo;
in ciascuna delle quali, si deve procedere ad un’attenta valutazione del rischio con l’intento di
prevenire, per quanto possibile, lo stato di insolvenza.
La presenza di svariate alternative nella classificazione di input ed output, porta a ritenere che
sia opportuno lasciarsi guidare dalle finalità della ricerca e dalla disponibilità dei dati. Non
deve stupire, infatti, che considerazioni pratiche finiscano per guidare scelte teoriche.
Al fine della nostra analisi, analizzeremo i vari indicatori utilizzati per quantificare la
produttività bancaria, sulla base dei dati disponibili e per perseguire l’obiettivo della presente
ricerca.
L’analisi di produttività delle banche è frequentemente ridotta a un’analisi di redditività
[VASSALLO, 1999]. Redditività e produttività sono concetti che si assomigliano, sussiste
una relazione, infatti, tra i corrispondenti indicatori.
Il concetto di produttività appare essere un concetto prettamente teorico, difficilmente
quantificabile con i dati dei bilanci bancari.
Perciò ai fini di questa analisi riteniamo opportuno approfondire alcuni indicatori di
redditività, che come menzionato, intendiamo sinonimo di produttività.
36
Questa analisi degli indicatori risulta essere necessaria al fine di fornire un dato quantitativo
sulla base del quale sia possibile dare un giudizio concreto sull’andamento della produttività
di un istituto bancario.
3.2 Gli indicatori di produttività.
Esiste una vasta letteratura sull’analisi della produttività delle banche che utilizza sia i classici
indicatori di bilancio sia tecniche di costruzione di frontiere parametriche e non parametriche.
In questa sezione vengono utilizzati strumenti tradizionali, quali i quozienti dei dati aggregati
di bilancio, che superano le difficoltà di incontrare inconvenienti nell’utilizzo di metodi di
analisi più sofisticati.
L’analisi della produttività di una banca si fonda sulla determinazione e sulla valutazione di
alcuni valori di riferimento di carattere economico o finanziario.
Alcuni di questi valori vengono già determinati attraverso l’impiego di strutture espositive dei
dati di bilancio che prevedono al loro interno delle aggregazioni oppure il calcolo di
differenze al fine di individuare dei risultati o dei valori netti [SÒSTERO e FERRARESE,
2000].
Queste aggregazioni e differenze possono essere considerate già degli indicatori.
Gli indici di bilancio sono determinati attraverso delle frazioni, cioè dividendo un valore di
bilancio per un altro valore di bilancio.
Essi hanno la funzione di facilitare la valutazione di fenomeni come la produttività che risulta
in parte evidente nei prospetti di bilancio, mentre in altri casi forniscono informazioni
totalmente nuove. Una delle funzioni principali è quella di rendere espliciti collegamenti dalle
variabili economiche tenendo conto delle relazioni che intercorrono tra le quantità economicoreddituali e patrimoniali riconducibili alla produttività.
Questo si può nello specifico ottenere mettendo in relazione il risultato economico conseguito
con le risorse che sono state investite per ottenerlo al fine di esprimere dei giudizi, individuare
dei termini di paragone e misurarne la performance.
Gli indici di bilancio investigano diversi aspetti della gestione ma, in questa analisi, verranno
presi in considerazione solo alcuni indici di produttività e redditività, cioè quelli che si
occupano di valutare la capacità della banca di produrre risultati economici soddisfacenti.
Si esaminano di seguito quattro indicatori di redditività e produttività costruiti sulle voci di
bilancio delle banche.
Analizzando i due quozienti di bilancio ROE e ROA, si può facilmente notare che essi non
sono altro che il rapporto tra valori economici (del conto economico) e valori patrimoniali
(ricavabili dallo stato patrimoniale).
37
I “ratios”quali cost income e contribuzione gestione denaro si ottengono invece come
risultato di rapporti di grandezze economiche (valori economici).
Utile netto
ROE
Mezzi propri
Risultato operativo
ROA
Attivo netto
CONTRIBUZIONE
GESTIONE Margine di interesse
DENATO
Margine di intermediazione
Costi operativi
COST INCOME
Margine di intermediazione
Il ROE (return on equity) è un indicatore di sintesi della redditività bancaria ottenuto
dividendo il valore del reddito netto per il valore del patrimonio netto (o del solo capitale
composto da azioni ordinarie) e sintetizza la redditività del capitale proprio.
Questo indice esprime il rendimento complessivo della banca dal punto di vista dei suoi
azionisti/soci in quanto portatori di capitale.
Il reddito netto è posto al numeratore dell’indice ed è il risultato d’esercizio del conto
economico, cioè quanto risulta dopo aver sottratto alla gestione operativa, la gestione
finanziaria, i costi operativi e fiscali.
Per quanto riguarda il patrimonio netto posto al denominatore si utilizza l’opzione più
semplicistica, ma normalmente accettabile, usando il dato del capitale al termine di un solo
esercizio.
Il significato di questo indice si traduce in quanto, nell'anno di riferimento, i soci hanno
ottenuto in termini di redditività per ogni euro investito nel patrimonio della banca.
Premesso che:
-
il capitale è una risorsa scarsa e la sua crescita può concretamente avvenire, pertanto,
solo attraverso l’acquisto da parte dei soci di azioni ordinarie;
-
gli utili possono essere incrementati o attraverso un aumento dei ricavi (margine di
interesse), intervenendo sul prezzo/tasso, oppure riducendo i costi;
38
-
il conseguimento di risultati positivi, in definitiva, si concentra su interventi di
contenimento dei costi, essenzialmente attraverso tagli di spese e riduzioni del
personale, oltre che da un contemporaneo mantenimento o incremento del capitale
attraverso l’emissione di nuove azioni.
L’orientamento di un istituto di credito al fine del contenimento dei costi dovrebbe essere
quello di ricorrere a modelli molto attenti alla valutazione del rischio di credito, facendo
attenzione a non ridurre la qualità della relazione e dei rapporti/impieghi con la clientela.
Il ROA (return on assets) è l’indicatore che misura la capacità di un’azienda di generare
reddito con le sue attività.
Permette di analizzare la gestione operativa della banca e di valutare la capacità di produrre
risultati economici soddisfacenti a partire da un determinato ammontare di risorse impiegate.
L’attivo netto, posto al denominatore, viene determinato dalla riclassificazione finanziaria
dello stato patrimoniale e rappresenta il totale delle risorse finanziarie impiegate nella
gestione.
Dal momento che le norme contabili non ammettono accantonamento a fondi di natura
rettificativa di voci dell’attivo, è naturale che le attività oggetto di ammortamento o di
svalutazione siano sempre espresse contabilmente per il loro valore netto.
Secondo l’articolo 2426 del codice civile, “i crediti devono essere iscritti secondo il loro
valore presumibile di realizzazione”.
Anche lo IAS 39 dispone che la banca valuti i propri crediti sulla base del criterio del costo
ammortizzato, e sono definite con una certa precisione le fasi dell’impairment test10, in ordine
al quale i crediti possono subire delle svalutazioni.
Se la banca accerta un deterioramento della capacità di restituzione del debito da parte del
cliente vengono effettuate delle valutazioni.
Il valore contabile del credito sarà calcolato in base al valore di iscrizione iniziale, meno la
quota di ammortamento che deriva dalla differenza tra valore iniziale e valore finale in base al
tasso effettivo di realizzo, meno rimborsi e decurtato delle svalutazioni durature.
Il valore dei crediti desumibili nell’attivo dello stato patrimoniale è già “depurato” del valore
complessivo del fondo svalutazione crediti.
Nel conto economico troveranno riscontro tutte le svalutazioni operate nel conto “rettifiche di
valore netto per deterioramento dei crediti e attività finanziarie” che contribuisce a
determinare l’utile al lordo delle imposte (risultato operativo).
10
Il procedimento di impairment è la fase di valutazione in cui la banca identifica all’interno del proprio
portafoglio clienti, tutte le singole posizioni per le quali è prevedibile un inadempimento da parte del debitore.
39
La propensione ad accrescere gli impieghi alla clientela presenta un impatto significativo nel
deterioramento della qualità dell’attivo che influisce negativamente sul risultato operativo che
costituisce il denominatore dell’indice di bilancio in commento, ROA.
Il MARGINE DI CONTRIBUZIONE GESTIONE DENARO è il rapporto fra due margini
molto indicativi: margine di interesse su margine di intermediazione.
Il primo margine reddituale che si ottiene dalla riclassificazione del conto economico bancario
è proprio denominato margine di interesse e non è altro che la somma algebrica degli interessi
attivi e degli interessi passivi di competenza dell’esercizio.
Gli interessi attivi e passivi rappresentano, di fatto, i ricavi e i costi di carattere finanziario
direttamente attribuibili all’attività di intermediazione creditizia della banca, ossia l’attività
produttiva di trasformazione degli input in output.
La banca, infatti, secondo l’approccio dell’intermediazione attraverso l’attività di
intermediazione utilizza come input del processo produttivo la raccolta da banche e clientela
per fornire come output impieghi in prestiti o titoli.
Gli interessi attivi e passivi trovano, infatti, la loro ragione di esistenza grazie alle voci che
nello stato patrimoniale sono imputate rispettivamente alle attività finanziarie fruttifere di
interessi e alle passività finanziarie onerose di interessi [FORESTIERI e MOTTURA, 2009].
Il margine di intermediazione è dato invece dalla somma algebrica del margine di interesse, i
ricavi da servizi e profitti o perdite da operazioni finanziarie.
I ricavi da servizi si manifestano specialmente sotto forma di commissioni, che derivano dalle
diverse attività di servizio che la banca svolge nei confronti della propria clientela, siano esse
attive o passive.
La banca di fatto, in quanto azienda di servizi, deve offrire dei servizi accessori ai prodotti
dell’attività principale come servizi di pagamento, di negoziazione, di gestione del
portafoglio, di consulenza, di distribuzione di prodotti e servizi finanziari e assicurativi.
La voce profitti o perdite da operazioni finanziarie è costituita dai risultati positivi o negativi
che la banca realizza negoziando sul mercato i titoli azionari o a reddito fisso del portafoglio
di proprietà.
Il margine di intermediazione rappresenta dunque una misura del risultato lordo riferibile alle
due fondamentali aree gestionali della banca: quella dell’intermediazione creditizia e quella
dei servizi.
La banca ha come scopo quello di produrre un margine economico, inteso come differenza
positiva fra i ricavi delle vendite e i costi per l’acquisto dei fattori produttivi.
40
La misurazione, l’analisi e l’ottimizzazione dei rendimenti operativi vengono a giocare un
ruolo decisivo in situazioni di margini decrescenti. In tale contesto, e soprattutto in ambito
bancario, la valutazione della produttività diventa un elemento fondamentale [BURGER,
2008].
La stretta relazione con i processi produttivi e la misurabilità della qualità di input e output
consentono inoltre di compiere valutazioni sul successo della trasformazione degli input in
output.
Il COST INCOME RATIO, conosciuto come indice di efficienza, è utilizzato per rappresentare
la produttività ed è anche un “buon metro” di confronto.
Esso esprime il rapporto tra i costi operativi e il margine di intermediazione.
È uno dei principali indicatori dell’efficienza gestionale della banca: minore è il valore
espresso da tale indicatore, maggiore l’efficienza della banca.
Ad un cost income ratio elevato corrisponde, infatti, una bassa produttività e, al contrario, un
basso valore dell’indice sia ottenuto solo da istituti di credito produttivi.
L’indice di cost income mette in relazione le spese (costi amministrativi, costi riconducibili al
personale e a tutti gli altri oneri imputabili al normale funzionamento della banca) e i ricavi
(ricavi operativi) di una banca.
In concreto l’indice mostra quanti euro sono necessari in un determinato periodo di tempo per
generare un euro di ricavo. Una sua riduzione significa che l’incidenza dei costi rispetto alla
ricchezza prodotta diminuisce e perciò aumenta la produttività.
Si può quindi affermare che il cost income ratio misura gli output di una banca in relazione
agli input da questa utilizzati.
Nel prossimo capitolo saranno applicati questi quozienti di bilancio per condurre l’analisi
della produttività di una banca locale, la BCC TREVIGIANO.
41
4. CASE STUDY: LA BCC DEL TREVIGIANO
4.1 Introduzione: descrizione della banca.
Le casse rurali ed artigiane nacquero intorno al 1880 nelle aree agricole e nei piccoli centri
con l’obiettivo di rispondere alla domanda di credito delle fasce imprenditoriali marginali,
escluse fino ad allora dall’accesso al credito.
Nel corso della loro storia esse hanno mantenuto la forma cooperativa ed il carattere
mutualistico della loro attività, coniugando l’esercizio dell’attività bancaria secondo criteri
imprenditoriali con la missione di banca della comunità locale, che deve rispettare i vincoli di
solidarietà prima di mirare al profitto. Gli utili, infatti, sono quasi sistematicamente reinvestiti
per consolidare le basi.
Le banche di credito cooperativo (BCC), oltre a mantenere una forma societaria propriamente
cooperativa, preservano, infatti, anche buona parte del carattere mutualistico originario del
cosiddetto modello “Raiffeisen” – dal nome del fondatore delle casse rurali tedesche -,
essendo ancora oggi vincolate a svolgere l’attività di credito prevalentemente a favore dei soci
e comunque a promuovere lo sviluppo economico e sociale della base societaria [FERRI ET
AL. 2000].
Il compito delle BCC e delle altre banche locali è dunque quello di rispondere alle esigenze di
finanziamento delle famiglie e, soprattutto, delle piccole imprese; la loro capacità sta nel
valutare il merito di credito utilizzando le informazioni raccolte dal rapporto diretto con i
clienti.
La prossimità dei centri decisionali della banca al cliente riduce la complessità delle
procedure necessarie per erogare il credito, consente di valorizzare gli aspetti qualitativi delle
informazioni riguardanti le prospettive di medio - lungo termine dei progetti imprenditoriali e
della capacità di rimborso di un’azienda.
Le BCC hanno nel tempo migliorato la loro efficienza proprio grazie alla capacità di
continuare ad offrire finanziamenti sulla base di una stretta interazione con il cliente
(relationship banking).
L’accrescere delle difficoltà delle imprese a onorare gli obblighi contrattuali ha però ridotto i
margini reddituali e indebolito la situazione patrimoniale delle banche.
Di seguito sarà preso in esame il caso di una banca locale: la BCC del Trevigiano.
Sono proprio due casse rurali ed artigiane, la Cassa Rurale ed Artigiana di Vedelago, fondata
il 17 gennaio 1901 e la Cassa Rurale ed Artigiana di Caerano, fondata l'8 maggio 1896, che
unendosi diedero vita 16 anni fa alla BCC del Trevigiano.
42
Dal punto di vista economico, la BCC del Trevigiano ha instaurato relazioni strette e durature
sia con le famiglie sia con le imprese situate nella propria area di insediamento; conta 31
filiali con una presenza su 22 comuni delle province di Treviso, Vicenza e Padova.
La base sociale è composta da 6.321 soci suddivisi tra persone fisiche e persone giuridiche.
I valori fondanti della banca sono quelli già descritti della mutualità e della socialità con il
riferimento primario ai soci, al territorio ed alle sue comunità.
Questi principi sono parte del Piano strategico 2011-2013 della banca che vede poi tra le sue
linee guida:
• il rafforzamento patrimoniale, necessario per continuare la politica degli impieghi, per
far fronte al deterioramento dei crediti e per prepararsi al maggior assorbimento
patrimoniale imposto da Basilea 3;
• il mantenimento del livello di redditività, anche in presenza di un aumento dei rischi e
di una riduzione della forbice dei tassi, attuando una politica che adegui i rendimenti ai
rischi, che porti ad un frazionamento della raccolta e degli impieghi e che contenga i
costi.
I dati che verranno analizzati di seguito sono estrapolati dalla situazione patrimoniale e dal
conto economico dei bilanci della BCC TREVIGIANO a partire dall’anno 2005 fino al 2011.
4.2 Politica degli affidamenti.
L’attività di erogazione del credito a favore delle aziende e delle famiglie per soddisfare il
loro fabbisogno finanziario rappresenta la funzione tipica della banca.
La politica che contraddistingue questa banca di credito cooperativo è orientata al sostegno
finanziario della propria economia locale e si caratterizza per l’elevata propensione ad avere
rapporti di natura fiduciaria e personale con famiglie, artigiani e piccole imprese del territorio
di riferimento, oltre che per un’attenzione speciale nei confronti dei clienti-soci.
Il Credito Trevigiano cerca di sviluppare queste relazioni il più intensamente possibile di
modo che, attraverso un’eventuale erogazione di risorse finanziarie, si possano originare delle
premesse valide per la fornitura di altri servizi.
È frequente che alla concessione di un prestito segua un’attività di assistenza finanziaria e la
prestazione di servizi accessori da parte della banca finanziatrice.
L’opportunità di intensificare i rapporti con i clienti per renderli più stabili è fondamentale per
poter consolidare la relazione, per avere un maggior controllo dei rapporti in essere al di là di
realizzare gli obiettivi reddituali connessi alla politica degli affidamenti.
L’andamento della congiuntura economica è un fattore che incide certamente sull’entità dei
fabbisogni aziendali e di conseguenza sulla dinamica dei prestiti.
43
In fasi economiche negative come quelle degli ultimi anni le imprese si rivolgono
maggiormente al credito bancario ed è quindi naturale una tendenza all’espansione degli
impieghi.
Le esigenze di una piccola banca in questi momenti possono però essere quelle di contenere il
sorgere di nuovi crediti per ridurre i rischi.
La grossa crescita delle sofferenze è motivo di crescente preoccupazione per la banca e di
maggiore attenzione al problema del deterioramento della qualità degli impieghi, facilmente
intesa come grado di solvibilità della clientela finanziata e buon fine delle operazioni.
Per diminuire gli effetti negativi di eventuali perdite su crediti questo istituto si orienta anche
verso scelte di diversificazione del rischio di credito, privilegiando soprattutto crediti di
piccoli importi e limitando la concentrazione delle esposizioni su gruppi di clienti collegati,
gruppi di imprese o settori di attività.
Un’altra strategia messa in atto come tecnica di mitigazione del rischio di credito applicata in
aggiunta al frazionamento del portafoglio è l’acquisizione di differenti fattispecie di garanzie
personali11 e reali12.
Questi accorgimenti che la banca adotta usualmente permettono di ottenere buoni risultati
nella gestione del portafoglio.
Diventa poi di primaria importanza definire gli organi della banca che si occupano del
controllo del processo del credito e che prendono decisioni in merito a interventi da adottare
in caso di rilevazione di anomalie.
L’Area Crediti della BCC del Trevigiano è l’organismo centrale che si occupa dello sviluppo
degli impieghi sul territorio, del coordinamento delle fasi operative ed esegue i controlli di
propria competenza. Essa deve garantire che l’attività di istruttoria ed erogazione sia
mantenute divise garantendo indipendenza e assenza di conflitto di interesse.
Il monitoraggio sistematico delle posizioni e la rilevazione di quelle problematiche, nonché il
coordinamento e la verifica dell’osservazione costante eseguita dai responsabili di filiale,
sono affidati al Servizio Controllo Andamentale, collocato all’interno dell’Area Controlli.
Il Servizio Controllo Andamentale del Credito monitora l’evoluzione dei crediti provvedendo
alle opportune classificazioni dai primi segnali di anomalia fino all’eventuale passaggio a
sofferenza, esortando le funzioni operative (Filiali e Servizio Credit Management) a svolgere
azioni utili a contrastare il deterioramento delle posizioni a perseguire il ripristino del regolare
andamento.
11
Le principali tipologie sono rappresentate da imprenditori, società correlate e congiunti del debitore.
Per quanto concerne le forme di garanzia reale possiamo distinguere le garanzie ipotecarie su immobili
residenziali, industriali o commerciali e garanzie finanziarie quali pegni di titoli, di denaro depositato, pegni su
polizze assicurative o su strumenti finanziari quotati.
12
44
L’ufficio reclami assicura la comunicazione scritta con la clientela e la funzione di Internal
Audit esegue verifiche puntuali sull’operatività delle funzioni coinvolte attivando interventi
finalizzati al monitoraggio delle variabili di rischio.
La banca si è recentemente dotata pure di un nuovo sistema informatico che esegue in
autonomia numerosi accertamenti sulle posizioni in essere e consente di fornire informazioni
più precise sulla probabilità che determinate operazioni non diano alcun contributo positivo
alla redditività della banca o incidano addirittura sfavorevolmente sui suoi risultati di
esercizio.
Questo intervento di rinnovamento tecnologico ha permesso alla banca di adottare un nuovo
sistema di scoring che realizza un’adeguata integrazione tra informazioni quantitative
(bilancio, Centrale dei Rischi, andamento delle linee di credito, settore merceologico) e quelle
qualitative accumulate grazie allo stretto rapporto con la clientela e alla conoscenza del
territorio.
4.3 La struttura e composizione del portafoglio.
2011
2010
2009
2008
2007
(migliaia di
(migliaia di
(migliaia di
(migliaia di
(migliaia di
euro)
euro)
euro)
euro)
euro)
1.093.985
1.176.818
1.145.972
1.097.127
1.098.989
CREDITI
VERSO
CLIENTELA
1.180.000
1.160.000
1.140.000
1.120.000
1.100.000
1.080.000
1.060.000
1.040.000
CREDITI VERSO CLIENTELA
2011
2010
2009
2008
2007
(migliaia (migliaia (migliaia (migliaia (migliaia
di euro) di euro) di euro) di euro) di euro)
Grafico 1 L’andamento degli impieghi.
45
Con il fine di esaminare il livello della produttività della banca oggetto di studio è necessario
soffermarsi su una breve analisi degli input e output dell’attività di intermediazione bancaria,
rispettivamente le partite debiti verso clientela e crediti verso clientela.
Partendo a ritroso con l’aggregato degli impieghi con clientela, questo è, senza dubbio, la
voce di stato patrimoniale che più è stata colpita dall’attuale crisi economica che ha
interessato anche la provincia di Treviso in termini di cessazioni di aziende e di perdite
occupazionali.
La composizione e la qualità del portafoglio di una banca di credito cooperativo sono
influenzate dal contesto economico e territoriale in cui la banca opera.
Le difficoltà del periodo impongono quindi a questo istituto come ad altri un’attenta analisi e
selezione delle operazioni di finanziamento, non dimenticando comunque le esigenze della
compagine sociale e di tutta la clientela costituita da famiglie e piccole imprese.
Per questo motivo già da qualche anno la BCC del Trevigiano cerca di evitare i finanziamenti
che per importi o rischiosità della controparte non corrispondono alle finalità tipiche
dell’operatività di un credito cooperativo. L’obiettivo è di salvaguardare il proprio patrimonio,
che è patrimonio di tutti i soci e del territorio.
Come si può evincere dalla tabella sopra riportata i crediti verso clientela sono diminuiti
complessivamente del 7,04 % nel 2011 rispetto al 2010, mentre nei tre anni precedenti il dato
era sempre stato in crescita seppur con un’espansione modesta. Se analizziamo il dato del
2008 confrontato con quello dell’anno precedente, si registra una lieve flessione di quasi 2
milioni di Euro.
Nel grafico si può in generale notare un lieve trend crescente, favorito probabilmente da una
maggiore prossimità alla clientela che caratterizza le piccole banche locali, che si è
visibilmente arrestato a fine 2011; nel 2010 i crediti verso la clientela erano aumentati del
2,69 %, passando da 1.145.972 migliaia di euro del 2009 a 1.176.818 migliaia di euro.
L’aumento evidenziato dei crediti verso clienti sottolinea il forte legame che le BCC hanno
con il territorio in cui operano. Le BCC sono tra gli istituti di credito che negli ultimi anni
hanno sostenuto le imprese nell’arduo compito di continuare l’attività d’impresa, garantendo
loro liquidità tramite i prestiti erogati.
Nello specifico, la BCC del Trevigiano ha inoltre continuato la sua espansione territoriale,
mediante l’apertura di nuovi sportelli creando nuovi posti di lavoro e acquisendo quindi nuovi
clienti, da finanziare.
L’assai ridotto incremento degli impieghi con conseguente diminuzione nel 2011 era
prevedibile vista la rigidità dettata dal peggioramento della qualità del credito a partire da fine
2007, come si può vedere dal dettaglio delle sofferenze sotto riportato, e la necessità di ridurre
46
le attività di rischio da parte della banca al fine di migliorare i coefficienti patrimoniali e il
soprattutto gli indicatori di redditività.
Alla data del 31 dicembre 2011 il credito che la banca ha erogato è stato destinato per quasi il
30 % delle attività ai privati e più precisamente alle famiglie.
È da ravvisare in questa scelta un primo esempio di fine mutualistico che la banca persegue,
vista la sua natura di banca di credito cooperativo come previsto da statuto.
Interessante è evidenziare l’ingente contributo di concessione del credito al settore delle
imprese pari al 65,45 % in un’annata come il 2011, segnata dalla crisi economica.
Esigua è la percentuale degli impieghi destinata ad altri settori in misura del 7,49 %.
Composizione delle operazioni di impiego con la clientela.
2011
2010
2009
2008
2007
(migliaia di
(migliaia di
(migliaia di
(migliaia di
(migliaia di
euro)
euro)
euro)
euro)
euro)
738.499
770.038
746.852
696.185
640.588
223.866
261.086
255.117
280.883
300.337
67.457
73.881
73.144
77.861
64.455
8.175
9.442
6.713
6.392
6.050
Crediti in sofferenza
43.622
22.318
16.457
5.978
4.343
Altre voci
1.678
2.954
2.657
3.186
7.150
10.688
37.099
45.032
26.642
76.066
1.093.085
1.176.818
1.145.972
1.097.127
1.098.989
Mutui, altre
sovvenzioni
Conti correnti attivi
con clientela
Finanziamenti per
anticipi
Portafoglio
finanziario / agrario
Contratti di
capitalizzazione ed
altri titoli
TOTALE
IMPIEGHI
47
Da questa serie storica si può facilmente ipotizzare che le condizioni di incertezza nel mercato
che permangono abbiano contribuito a spostare l’impegno di rimborso di alcune operazioni
nel medio/lungo termine.
La composizione percentuale degli impieghi è sostanzialmente in linea con gli anni precedenti
e la quota più consistente è rappresentata da mutui.
L’importo di mutui e sovvenzioni però sono diminuiti del 4,10% nel 2011 rispetto al 2010,
affermandosi a 738,5 milioni di euro. Interessante è sottolineare che, nonostante quanto
appena affermato, considerando complessivamente la composizione degli impieghi, la
percentuale da attribuire ai mutui, è rimasta pressoché costante, attestandosi nel 2011 al
68,17% mentre il dato dell’anno precedente era pari a 67,56%. Nel 2011 Si sono ridotti anche
i conti correnti del 14,26%, così come i finanziamenti per anticipi per 6,4 milioni. L’istituto
ha intrapreso iniziative volte a ridurre gli utilizzi dei conti correnti attivando piani di rientro o
finanziamenti a rientro, in quanto molto spesso si trattava di crediti immobilizzati.
In un primo confronto temporale si nota come il rapporto tra le sofferenze e il totale impieghi
è il più alto, raffrontando i diversi anni; sono quasi raddoppiati i crediti in sofferenza rispetto
al 2010. Se invece confrontiamo il dato 2011 con il dato del 2007, possiamo rilevare che
l’ammontare dei crediti in sofferenza è cresciuto nella misura di dieci a uno, mentre
considerando la variazione intervenuta nei due anni consecutivi, 2008, 2009, il valore dei
crediti in sofferenza è triplicato; dato che coincide con l’esplosione della crisi economica
globale.
I crediti in sofferenza delle BCC sono cresciuti negli ultimi anni a ritmi elevati, superiori a
quelli degli impieghi e questo è accaduto anche per il Credito Trevigiano.
La banca ha dovuto intensificare le attività di controllo e monitoraggio di tutte le posizioni più
rischiose cercando di cogliere qualsiasi segnale proveniente dal rapporto con la clientela e
cercando di trovare soluzioni meno drastiche possibili.
Come si evince dalla Relazione sulla Gestione del Consiglio di Amministrazione 2011 della
BCC del Trevigiano “Le sofferenze, al netto dei dubbi esiti, ossia della parte ritenuta non
recuperabile, sono aumentate di 21,3 milioni di euro rispetto al 2010. Il rapporto tra il loro
totale lordo ed il totale impieghi lordi in bilancio sale nel 2011 al 5,75 % contro il 2,91 % del
2010. Le sofferenze nette ammontano al 3,99 % degli impieghi, contro 1,90 % del 2010 e
1,44% del 2009”.
Osservando la serie storica, riscontriamo che i crediti in sofferenza hanno sensibilmente
variato il loro peso sul totale della composizione degli impieghi, passando dallo 0,42% del
2007 al 4,03% del 2011, crescendo circa dieci volte in soli quattro anni.
48
Per quanto riguarda i cosiddetti crediti “in bonis” sono state comunque apportate delle
rettifiche forfetarie, correlate al rischio fisiologico, calcolate secondo determinati criteri che
misurano la capacità di rimborso, tenendo conto dei dati registrati negli ultimi cinque esercizi
e stimando percentuali di perdita quantificate sulla media di valori storici di passaggi a
perdita.
Informazioni che si riferiscono alla qualità dei crediti verso clientela – consistenze nette
scadute
esposizioni
ristrutturate
esposizioni
Incagli
sofferenze
(in migliaia di euro).
2011
43.622
56.955
13.426
7.475
2010
22.318
41.444
8.566
3.612
2009
16.457
38.036
7.855
2008
5.978
31.248
2.113
2007
4.343
7.925
4.094
Le principali cause di inadempienza risiedono in larga parte nella mancanza di disponibilità
economica della controparte che si manifesta come mancanza di liquidità e insolvenza.
La banca si è dotata di una struttura organizzativa funzionale al raggiungimento degli obiettivi
di gestione e controllo dei rischi creditizi.
Il controllo andamentale delle singole posizioni è effettuato sia con la procedura informatica
sia con un’attività di monitoraggio sistematica sui rapporti che presentano irregolarità.
Le sofferenze nel 2011 rispetto al 2010 sono aumentate di 21,3 milioni di euro ed il loro
ammontare rappresenta circa il 4,00 % del totale dei crediti verso la clientela. Nel 2009
l’ammontare delle sofferenze rappresentava l’1,44 % del totale dei crediti.
Gli incagli sono aumentati di 15,5 milioni di euro e costituiscono il 5,20 % del totale dei
crediti.
Gli incagli nel 2009 erano pari al 3,33% del totale dei crediti.
In aumento anche le esposizioni ristrutturate per effetto dell’ingresso di nuove posizioni; il
loro totale ammonta al 1,22 % del totale dei crediti. Questo, ad avviso di chi scrive, sembra
essere un segnale incoraggiante che si spiega con la volontà da parte della banca di gestire in
49
modo più accorto ed efficace i crediti non performing. A supporto di questa affermazione,
possiamo riscontrare che l’importo degli incagli a dicembre 2008 era lievitato notevolmente,
arrivando a 31 milioni di Euro e alla stessa data le sofferenze erano ancora pressoché poco
significative. Dal 2009 si registra una crescita continua delle sofferenze, arrivando a quasi 44
milioni del 2011. Si può ragionevolmente desumere che buona parte delle partite incagliate si
sono man mano tramutate in sofferenze.
Le esposizioni scadute sono pure in aumento di 3,8 milioni di euro e costituiscono lo 0,68%
del totale dei crediti come nel 2009.
Le attività deteriorate sono rappresentate in bilancio al netto delle rettifiche e sono valutate
tutte in modo analitico ed iscritte in bilancio in base all’effettiva possibilità di recupero
attualizzata per flussi futuri di incasso previsti.
Per tutte le posizioni non svalutate analiticamente, le rettifiche di valore vengono calcolate in
modo forfettario utilizzando le serie storiche di decadimento su un arco temporale di cinque
esercizi.
Detti crediti non performing sono oggetto, infatti, di valutazione analitica e l’ammontare della
rettifica di valore di ciascun credito è pari alla differenza tra il valore di bilancio dello stesso
al momento della valutazione (costo ammortizzato) ed il valore attuale dei previsti flussi di
cassa futuri13.
4.4 La raccolta a breve da clientela.
DEBITI VERSO
CLIENTELA
2011
2010
2009
2008
2007
(migliaia di
(migliaia di
(migliaia di
(migliaia di
(migliaia di
euro)
euro)
euro)
euro)
euro)
575.453
595.041
584.009
482.153
497.026
13
I flussi di cassa previsti tengono conto dei tempi di recupero attesi, del presumibile valore di realizzo delle
eventuali garanzie, nonché dei costi che si ritiene verranno sostenuti per il recupero dell’esposizione creditizia.
50
600.000
500.000
400.000
300.000
200.000
DEBITI VERSO CLIENTELA
100.000
0
2011
2010
2009
2008
2007
(migliaia di(migliaia di(migliaia di(migliaia di(migliaia di
euro)
euro)
euro)
euro)
euro)
Grafico 2 L’andamento raccolta a breve da clientela.
A monte del rallentamento degli impieghi si è registrato qualche segnale negativo per quanto
riguarda l’input della produzione bancaria dal lato della raccolta da clientela che ha subito una
flessione del 3,29 %, in conseguenza anche alla concorrenzialità dei rendimenti dei titoli di
stato.
I crediti verso clientela sono finanziati per circa la metà dai debiti verso la clientela (52,60 %).
Il 93,44 % dei debiti verso clientela nel 2011 è rappresentato da conti correnti passivi.
Si dimostra quindi che i debiti verso clientela dipendono prevalentemente da strumenti a
breve termine (conti correnti e depositi liberi), che, se pur meno costosi, non hanno alcun
vincolo di durata, mentre gli impieghi sono costituiti soprattutto da forme tecniche a medio lungo termine (mutui).
Il rallentamento dei finanziamenti, comunque, ha permesso alla banca di riequilibrare il
rapporto tra gli impieghi e la raccolta, portando l’indicatore alla data di bilancio, sotto la
soglia del 100 % e precisamente al 98,78 % contro il 103,57 % del 2010.
4.5 Dati di Conto Economico.
2011
2010
2009
2008
2007
(migliaia
(migliaia
(migliaia
(migliaia
(migliaia
di euro)
di euro)
di euro)
di euro)
di euro)
Margine di interesse
27.362
27.732
31.727
38.601
36.246
Margine di intermediazione
40.895
40.098
42.837
48.093
45.361
Utile ante imposte
3.323
4.916
6.465
14.113
17.439
I dati del conto economico sono anche questi, come già più volte detto, influenzati dalla crisi
dell’economia reale e dalla politica monetaria della Banca Centrale Europea.
51
Negli anni 2007 e 2008 la banca godeva di una buona redditività con marginalità
soddisfacente.
La forbice dei tassi, già in riduzione dal 2009, si è ulteriormente contratta negli ultimi due
anni, penalizzando significativamente il margine di interesse.
Il margine d’interesse, pur rimanendo la componente principale del margine di
intermediazione, dal 2009 ha segnato una non trascurabile flessione, a causa del debole
incremento degli impieghi e per l’alta incidenza dei crediti deteriorati.
L’incremento delle sofferenze fa pesare il suo effetto a conto economico a causa del mancato
apporto degli interessi, che, da normativa IAS, ancorché maturati, possono essere
contabilizzati tra le rendite solo al momento dell’effettivo incasso.
La dinamica 2009-2010-2011 mostra una riduzione generalizzata dell’incidenza del margine
di interesse, a fronte di un aumento del contributo del margine di intermediazione.
La contrazione del margine di interesse è stata in parte compensata da un aumento delle
commissioni nette, il margine di interesse nel 2011 ha registrato tuttavia una leggera flessione
rispetto al 2010 di 370 mila euro pari a – 1,35%.
Il margine di intermediazione si attesta a 40,9 milioni di euro, in incremento del 1,99 %
rispetto all’anno precedente.
L’utile è penalizzato dalle maggiori rettifiche per deterioramento su crediti ed è già al netto
dei costi operativi che sono rimasti sostanzialmente invariati rispetto al 2010.
Nel bilancio si registra un incremento delle spese del personale legato principalmente
all’impegno sostenuto per la migrazione del sistema informatico, sia in termini di maggior
tempo lavorato che di minori ferie godute.
Anche l’aumento delle spese amministrative è legato ai costi sostenuti per il cambio del
sistema informatico comune a tutte le BCC e che manifesterà i suoi benefici economici nei
prossimi anni in termini di minori costi e maggiore efficienza.
Particolarmente significativa è l’incidenza dell’IRAP, non ancora conteggiata nell’utile ante
imposte, che per effetto dell’aumento dell’aliquota e soprattutto delle modalità di calcolo che
non permettono la deducibilità delle perdite su crediti, risulta decisamente non proporzionale
al risultato economico conseguito.
52
Rettifiche/riprese di valore nette per deterioramento di crediti.
2011
2010
2009
2008
2007
(migliaia
(migliaia
(migliaia
(migliaia
(migliaia
di euro)
di euro)
di euro)
di euro)
di euro)
8.327
5.979
6.878
2.041
922
Rettifiche/ riprese di
valore nette per
deterioramento di
crediti.
Gli effetti della crisi economica in atto si riflettono sul conto economico con rettifiche di
valore per deterioramento di crediti iscritte a conto economico a riduzione dell’utile nel 2011
per 8,3 milioni di euro.
Le perdite di valore riscontrate sono iscritte a conto economico nella voce 130
“rettifiche/riprese di valore nette per deterioramento di a) crediti” così come i recuperi di parte
o tutti gli importi oggetto di precedenti svalutazioni.
Il peggioramento del quadro congiunturale si è tradotto in una crescita rilevante degli
accantonamenti e delle rettifiche di valore che, dopo l’inizio della crisi del 2008, sono frutto
di una rigorosa e scrupolosa politica di valutazione delle esposizioni creditizie, resa ancor più
severa dalla fase particolarmente negativa e prolungata del ciclo economico.
Le maggiori rettifiche apportate in sede di valutazione dell’effettiva possibilità di incasso dei
crediti deteriorati, hanno indubbiamente penalizzato il risultato dell’esercizio 2011.
53
2007
Utile lordo/Totale attivo
2008
ROA (Return on Assets):
2009
Utile/mezzi propri
2010
ROE (Return on Equity):
2011
4.6 Indicatori.
0,73%
1,94%
2,76%
9,70%
12,83%
0,24%
0,36%
0,46%
1,00%
1,38%
Contribuzione gestione denaro:
Margine di interesse/
66,91% 69,16% 74,06% 80,26% 77,62%
Margine intermediazione
Incidenza costi operativi (cost income):
Costi operativi/Margine di intermediazione
71,58% 72,50% 68,69% 66,41% 59,74%
Analizzando la serie storica si può ben comprendere come sia sempre più difficile per la
banca remunerare adeguatamente il proprio capitale, specialmente negli ultimi anni in cui la
crisi finanziaria ed il rischio nell’attività di erogazione del credito, hanno ridotto l’apporto di
utili a patrimonio.
Dalla tabella degli indicatori si evince una continua discesa del ROE (utile/mezzi propri) che
passa dal 12,83% del 2007 all’attuale 0,73%. Il “crollo” di tale indice è da attribuire a un vero
e proprio calo dell’Utile, dovuto ai mancati guadagni della banca come conseguenza della
crisi del mercato e del peggioramento della qualità del credito.
Il ROE è l’indicatore che misura la redditività del patrimonio che, stante le condizioni attuali
di mercato e di rischio, non registra performance adeguate a consentire uno sviluppo
patrimoniale della banca per compiere le finalità mutualistiche e sociali che la caratterizzano
le banche di credito cooperativo.
In diminuzione anche il ROA che determina il rapporto tra utile al lordo delle imposte e totale
attivo. Il Return on Assets è diminuito di circa un punto percentuale, passando da 1,38% del
2007 al 0,24% del 2011.
Il margine di contribuzione gestione denaro è diminuito di ben dieci punti percentuali
nell’arco temporale dal 2007 al 2011, a causa di una diminuzione del margine di interesse e di
54
un incremento del margine di intermediazione, che nel 2011 vede aumentare l’apporto della
componente commissionale al 33% rispetto agli interessi che costituiscono quasi il 67%.
Un segnale positivo nel 2011 viene dalla riduzione dell’indicatore cost income dal 72,50% del
2010 al 71,58%.
Il risultato è dato sia dal contenimento dei costi operativi, sia grazie all’incremento del
margine di intermediazione.
La riduzione del cost income è sintomo di una maggiore efficienza della gestione.
Riassumendo quindi nel 2011 il ROE si è ulteriormente eroso a causa di un forte calo
dell’utile di esercizio, ai minimi storici, dal momento che il capitale della banca è rimasto
quasi invariato.
Il ROA, nonostante un decremento del totale attivo non è migliorato a causa del penalizzante
risultato dell’esercizio.
Il margine di contribuzione gestione denaro conferma un andamento decrescente poiché il
cambiamento favorevole del margine di intermediazione non ha compensato la diminuzione
del margine di interesse, dovuta allo restringersi della forbice dei tassi con conseguente scarso
guadagno della banca.
Il cost income è l’unico indice positivo che dimostra che la BCC del Trevigiano nonostante
scarsi risultati in termini di redditività ha cercato di rispondere in modo efficiente alle
richieste dei propri soci attraverso un contenimento dei costi e un guadagno in termini di
commissioni attive.
La banca ha complessivamente ottenuto risultati abbastanza soddisfacenti vista la situazione
di crisi generale e ha continuato la sua puntuale assistenza sul territorio in termini di
mutualità.
55
Osservazioni conclusive
A conclusione dell’analisi dell'incidenza delle sofferenze sulla produttività delle banche con
l’applicazione pratica al caso della BCC del Trevigiano, preme sottolineare quanto sia
rilevante l’affidabilità della singola impresa.
Una scrupolosa valutazione del merito di credito è il presupposto per ottenere una buona
qualità degli impieghi ed evitare l’insorgere di nuove sofferenze.
Il giudizio sull’affidabilità espresso dal rating non deve pertanto essere solo il risultato di
un’indagine su dati puramente quantitativi, contabili e andamentali, ma deve essere
valorizzato il patrimonio informativo di natura qualitativa dell’impresa.
Dai contenuti trattati sinteticamente in questo testo, emerge anche come eventuali inefficienze
dell’intero processo del credito concorrano, in concomitanza a fasi di congiuntura
sfavorevole, al progressivo deterioramento degli attivi, con effetti negativi sui bilanci bancari,
di natura economica e finanziaria.
Nella BCC del Trevigiano si notano segnali di rallentamento nell’attività caratteristica con
raccolta e impieghi in diminuzione così come il margine di interesse.
Il modello di business fondato sull’intermediazione creditizia tradizionale e sul legame forte
con il tessuto produttivo locale è, infatti, specifico delle banche di credito cooperativo.
Questo è un punto favorevole per una banca locale nell’acquisizione di informazioni puntuali
dai clienti, ma diventa un punto di debolezza se condiziona in negativo la redditività
minacciata dal localismo in una economia in crisi.
I conti di bilancio 2011 della BCC del Trevigiano sono penalizzati dall’aumento delle
sofferenze e dei crediti incagliati che comportano un incremento sul fronte delle rettifiche su
crediti. La banca ha preferito apportare ulteriori rettifiche visto l’accrescere dei rischi in modo
da ridurre l’effetto pro ciclico in questa fase recessiva e per evitare il sovraccarico dei conti
economici al manifestarsi di futuri eventi di perdita.
Nonostante i bassi tassi di riferimento e la concorrenza sul mercato della raccolta, i margini
hanno tenuto; l’utile netto e il livello di produttività della banca al contrario si sono contratti,
anche se il tutto è in linea con l’andamento dell’economia generale.
Per migliorare gli indici di produttività il Credito Trevigiano dovrebbe cercare di ridefinire il
proprio modello attraverso lo sviluppo di nuovi business e servizi alla clientela per garantire
una maggiore diversificazione dei ricavi oltre che a sfruttare la nuova tecnologia informatica
per rendere più efficiente la struttura dei costi.
56
Una gestione improntata su criteri di efficienza e redditività, l’attenzione ai rischi e una
migliore gestione del portafoglio dei crediti, in particolare quelli anomali, sono le premesse
affinché la mutualità delle BCC possa essere stabilmente al servizio delle comunità locali.
57
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
BANCA D’ITALIA (pubblicazioni reperibili sul sito web http://www.bancaditalia.it)
Centrale dei rischi. Istruzioni per gli intermediari creditizi.
Il bilancio bancario: schemi e regole di compilazione.
Istruzioni di vigilanza per le banche.
Manuale della matrice dei conti.
Manuale per la compilazione delle segnalazioni di vigilanza per gli intermediari
finanziari, per gli istituti di pagamento e per gli IMEL.
Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche.
BECALLI, E., BONGINI, P., PATARNELLO, A., 2009. Modelli di intermediazione delle
banche europee e valutazione del mercato. Osservatorio monetario, n. 1.
BERGER, A. N., BLACK L. K., 2007. Bank Size and Small Business Finance. FMA Annual
Meeting Working Paper.
BERGER, A. N., HANWECK, G. A., HUMPHREY, D. B., 1986. Competitive Viability in
Banking: Scale, Scope and Product Mix Economies. Board of Governors of the Federal
Reserve System, Working Paper.
BIFFIS, P., a cura di., 2009. Analisi del Merito di Credito. Venezia: EIF - e.Book.
BIFFIS, P., 2009. Il Settore Bancario. II edizione, Venezia: EIF – eBook.
BIFFIS, P., a cura di., 2005. Le operazioni e i servizi bancari. Torino: Giappichelli Editore.
BONGINI, P., DI BATTISTA, M. L., NIERI, L., 2009. Relationship banking: una soluzione
antica contro la crisi recente? Bancaria, n. 5, pp. 2-20.
BONIFAZI, A., TROISE G., 2007. Basilea 2: leve di governo del rating bancario. Milano:
IPSOA.
BURGER, A., 2008. Produktivität und Effizienz in Banken – Terminologie, Methoden und
Status quo. Frankfurt School of Finance & Management, Working Paper.
58
CONIGLIANI, C., DE BONIS, R., MOTTA, G, PARIGI, G., 1991. Economie di scala e
diversificazione nel sistema bancario italiano. Temi di discussione del Servizio Studi della
Banca d’Italia, vol. 150.
DONGILI, P. 2005. La definizione del prodotto delle banche. Università degli Studi di
Verona. Working Paper.
FERRI, G., MASCIANDARO, D., MESSORI, M., 2000. Governo societario ed efficienza
delle banche locali di fronte all'unificazione dei mercati finanziari. In: P. Alessandrini, a cura
di, 2000. Il sistema finanziario italiano tra globalizzazione e localismo. Bologna: il Mulino.
FOGLIA, A., LAVIOLA, S., MARULLO REEDTZ, P., 1998. Struttura delle relazioni di
credito e rischiosità delle imprese. Banca Impresa e Società, n. 2.
FORESTIERI, G., MOTTURA, P., 2009. Il sistema finanziario. Milano: Egea.
RISPOLI, C., PAPPALARDO, S., 1996. Il fido e gli impieghi. Milano e Roma: Bancaria
Editrice Spa.
SÒSTERO, U., FERRARESE, P., 2000. Analisi di bilancio. Strutture formali, indicatori e
rendiconto finanziario. Milano: Giuffrè.
TULKENS, H., 1993. On FDH Efficiency Analysis: Some Methodological Issues and
Applications to Retail Banking, Courts, and Urban Transit. The Journal of Productivity
Analysis, n.4, pp.183-211.
VASSALLO, E., 1999. Efficienza statistica e dimensioni del sistema bancario italiano. Studi e
note di economia, vol. 1, pp. 111-142.
VIVIANI, A., GAZZEI, D. S., 2001 L'analisi dell'efficienza nel mondo bancario.
Dall'approccio macro all'approccio micro. Studi e note di economia, vol. 2, pp. 45-70.
59
Fly UP