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Formare per formare nella
FORMARE PER FORMARE
NELLA COMPLESSITÀ
FORMARE PER FORMARE
NELLA COMPLESSITÀ
CEFMECTP - Organismo Paritetico per la formazione e la sicurezza in edilizia di Roma e provincia
Sedi operative
Pomezia: Via Monte Cervino, 8 - Tel. 06.91962-1 (15 linee R.A.) - Fax 06.91962209
Roma: Via Casilina, 767 - Tel 06.2414000 - Fax 06.24419879
Sede legale
Roma: Via Filippo Fiorentini, 7 - Tel. 06.4063824 - 06.4065541 - Fax 06.4064833
Presidente
Alessandro Minicucci
Vicepresidente
Mario Guerci
Direttore
Alfredo Simonetti
Staff di progetto
Direttore esecutivo di progetto
Alfredo Simonetti
Responsabile scientifico/Coordinatore Tecnico
Cesare Fregola
Autori
Cesare Fregola
Umberto Zona
Alessandro Barelli
Francesca Lazzari
Ferdinando Terranova
Luca Limardo
Alessandro Vaccarelli
Cristian Marras
Gianfranco Zucca
Segreteria Amministrativa
Donatella Benedetti, Elisabetta Di Fiordo, Sabrina Bartolomei
Segreteria Tecnica
Paolo Bruni, Federico Fratini
Introduzione
a cura di Alfredo Simonetti,
Direttore del CefmeCtp di Roma e provincia
Il CEFMECTP – Organismo paritetico per la formazione e la sicurezza in edilizia
di Roma e provincia, nell’ambito dell’Avviso Pubblico per la «realizzazione della campagna
straordinaria di formazione per la diffusione della cultura della salute e della sicurezza
ai sensi dell’art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 81/2008» in attuazione
dell’Accordo Stato-Regioni del 20 novembre 2008 – Determinazione del Direttore
5 maggio 2010, n. D1769, finanziato dalla Regione Lazio, Assessorato Sanità,
con Determinazione n. B4520 del 9 giugno 2011 – ha dato luogo ad un corso
di formazione rivolto ai formatori della sicurezza sui luoghi di lavoro.
L’attività si inserisce nel panorama formativo dell’Ente che opera a livello statutario
nel settore delle costruzioni, che da anni si prefigge come obiettivo quello di ampliare
e sviluppare la cultura della sicurezza anche in altre realtà, quali ad esempio il mondo
dell’Istruzione Professionale e dell’Università, del restauro, delle Forze dell’Ordine,
degli Enti Pubblici e degli Ordini Professionali.
Questa tendenza deriva dalla convinzione che solo attraverso una conoscenza a 360 gradi
del concetto “sicurezza” si possa ottenere una piena collaborazione da parte di tutti
gli attori, siano essi tecnici, operai, futuri datori di lavoro o solo fruitori della materia,
al fine di incidere in modo “fattuale” e con una significativa ricaduta che possa influenzare
il fenomeno degli infortuni sui luoghi di lavoro.
In un momento storico in cui il livello di attenzione alle tematiche legate alla sicurezza
risulta di grande importanza, proporre un’attività d’aula rivolta al proprio personale
docente, tecnico e di supporto è stata una scelta concreta e precisa, dettata dall’idea
di offrire prodotti, processi e luoghi di “formazione” ad alto valore aggiunto. Tale prodotto,
se pur caratterizzato da molteplici fattori, non può infatti prescindere dalla competenza
dei suoi interpreti, dalla capacità di trasmettere conoscenza in termini concreti, attraverso
un reciproco scambio di informazioni tra partecipanti, seguito e guidato dalla mediazione
del formatore.
È proprio in quest’ottica che l’Ente ha voluto proporre un percorso della durata
di 60 ore che ha coinvolto Docenti di comprovata esperienza e conoscenza nell’ambito
dell’insegnamento delle tecniche di formazione degli adulti e della costruzione di una
molteplicità di ambienti di apprendimento, in grado di cocostruire l’aggiornamento
con i “Docenti Discenti” su temi come motivazione nell’apprendimento, capacità
3
di comunicare il sapere e attuali tecniche di simulazione e formazione multimediale.
I partecipanti hanno potuto quindi cogliere molteplici stimoli di riflessione, attivando
un percorso di arricchimento del proprio sapere, che oltre subire modifiche dal punto
di vista tecnico, è spesso sottoposto ai cambiamenti dovuti al confronto con le diverse
modalità di approcciarsi in aula; il fenomeno della trasmissione del sapere non può mai
considerarsi completo, dovendosi confrontare con realtà non omogenee e in continua
evoluzione. A tale proposito, è sufficiente vedere come negli ultimi anni, nel settore
dell’edilizia, il fenomeno dei lavoratori di nazionalità straniera abbia avuto
un incremento esponenziale, apportando notevoli cambiamenti agli operatori della
formazione professionale; ad esempio l’insegnamento di concetti altamente tecnici ha visto
la necessità di ampliare la propria capacità di comunicare con supporti che andassero oltre
la pura trasmissione verbale, per ovviare alle carenze linguistiche dei fruitori. Inoltre,
il massiccio intervento delle nuove tecnologie ha letteralmente stravolto il processo
di trasmissione della conoscenza, fenomeno che non solo coinvolge le più giovani generazioni
che, come detto in precedenza, sono sempre molto considerate dall’Ente, ma sta inondando
anche le generazioni che attualmente ricoprono ruoli tecnici e operativi fondamentali
nel settore edile.
Per rendere ancor più completo il percorso di conoscenza e aggiornamento dei Docenti
e per affrontare in modo ancor più dettagliato le tematiche descritte si è quindi proposto
un percorso strutturato in 5 Focus dove i partecipanti potessero esercitarsi attraverso
simulazioni pratiche; inoltre, questi Focus hanno voluto rappresentare un’opportunità
di coinvolgere non solo coloro i quali hanno quotidianamente un rapporto con l’aula,
ma anche tutti coloro i quali si ritrovano a vivere il mondo della formazione professionale
dal punto di vista organizzativo e gestionale, dando così l’opportunità di avere una
panoramica completa del proprio operato.
Questo volume vuole quindi essere una sintesi di quello che si è svolto in aula, sia durante
il corso di Formazione ai Formatori sia durante i Focus, prendendo spunto dalle slide
utilizzate dai docenti e dalle esercitazioni svolte, fornendo un quadro di riferimento
generale per tutti coloro che continueranno a mantenere alta la propria attenzione
sui temi trattati. L’Ente si augura che il processo di crescita e continuo cambiamento
sia uno stimolo costante nell’approccio alla trasmissione della cultura della sicurezza,
rivolgendo a tutti i suoi operatori un caloroso augurio per quello che è e rimane
uno dei “mestieri” più complessi: il mediatore del sapere, capace di proteggere e pianificare
l’evoluzione, il “saper essere” e il “saper divenire” in relazione all’evoluzione dei contesti
sociali, economici e culturali, nei quali siamo immersi.
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Formare per formare nella complessità
di Cesare Fregola
Premessa
Ci sono alcuni saperi del formatore che via via si sono strutturati e hanno assunto un corpus
multidisciplinare (Quaglino 2005). All’interno dello sviluppo del sistema di competenze del
formatore uno dei dibattiti più frequenti, che ha preso avvio fin dagli anni ’80 del secolo scorso, riguarda la tematica dell’integrazione fra pratica e teoria, fra saper fare e sapere.
Per ideare e realizzare il progetto di formazione formatori cui si riferisce il presente contributo, sullo sfondo si è posta proprio tale questione integrandola con i riferimenti ritenuti necessari per ricercare coerenze con l’evoluzione dei paradigmi organizzativi che,
a loro volta, spiegano e orientano la definizione del Sistema di Formazione (Fregola,
2010) all’interno del quale operano proprio “quei” formatori che si rivolgono proprio a
“quei” destinatari1.
Quando in un gruppo di formatori esperti la formazione formatori che si svolge è definita teorica, spesso, dietro questo termine, si possono nascondere alcuni significati
che appartengono ad alcuni non detti da cogliere e ricondurre a possibili riletture o
interpretazioni. A riguardo nell’esperienza di formazione cui si fa riferimento, un primo significato si riferisce al fatto che si è venuti meno a delle aspettative mal poste da
parte del responsabile della rilevazione dei fabbisogni di apprendimento o non rese
esplicite dai partecipanti o mal interpretate dal gestore dell’attività formativa. Un secondo significato si riferisce al fatto che quando si è immersi nell’agire professionale
il momento della riflessione, dello scambio e confronto su schemi e modelli della formazione va gestito opportunamente senza dare alla teoria un ruolo one-up rispetto alla
pratica; questo modo di operare innesca punteggiature nella comunicazione2 per cui,
1 L’attività dell’Ente si rivolge principalmente al mondo della formazione delle maestranze edili,
dei tecnici, a quello sulla sicurezza sui luoghi di lavoro nel settore edile, nell’ambito dell’Istruzione Professionale e dell’Università, del restauro, delle Forze dell’Ordine, degli Enti Pubblici
e degli Ordini Professionali. I docenti e i tecnici che collaborano con la struttura sono caratterizzati da differenti estrazioni professionali: dal mondo del lavoro a quello Accademico.
2 Watzlawick, uno dei fondatori della Scuola di Palo Alto, che ha introdotto l’approccio sistemico nella “pragmatica della comunicazione umana”, ha proposto il concetto di punteggiatu-
5
Formare per formare nella complessità
da parte di chi si ritiene “pratico”, si svaluta il contenuto teorico per evitare di entrare in conflitto aperto dal punto di vista della relazione fra gli interlocutori coinvolti;
come dire “è il contenuto che non funziona, non la nostra relazione”. Un terzo significato si riferisce al fatto che la pratica è legata all’esperienza ed è diffusa la convinzione che “la pratica vale più della grammatica”. Proprio nei momenti di innovazione, in
cui il confronto teorico e quello metodologico diventano necessari e possono entrare
in gioco meccanismi atti a difendere l’immagine del proprio ruolo professionale e del
proprio repertorio di competenze. Si ritorna così al caso precedente e si svaluta il contenuto, il sapere, per mantenere salva la relazione fra il docente formatore e i fruitori
partecipi al processo di apprendimento. Un quarto significato si riferisce al fatto che
i codici e il linguaggio utilizzati da chi eroga attività formative, specie di natura tecnica, sono quelli specifici del sapere professionale e sono, spesso, utilizzati a prescindere dai prerequisiti dei destinatari. Cioè i destinatari della formazione che entrano
in aula portano con sé il proprio repertorio di conoscenze e di competenze e i livelli
di approfondimento necessari per accedere ai contenuti oggetto dell’attività formativa
sono spesso eterogenei e questo può valere anche per la formazione sui contenuti re-
6
ra. A seconda di dove noi poniamo il riferimento per analizzare la responsabilità di un dato
fenomeno, la comunicazione si modifica (per esempio: “più la moglie brontola, più il marito
tace”; oppure “il capo vigila attentamente sui collaboratori, e i collaboratori non si sentono
liberi di esprimersi proprio per questo”). In altri termini, la punteggiatura rappresenta l’esplicitazione di un processo implicito e inconsapevole che riconduce ciascuno a vedere le cose dal
proprio punto di vista, senza volerlo confrontare con quello dell’altro. Se la comunicazione, si
blocca, si “incaglia” su una punteggiatura è perché la relazione fra gli interlocutori diventa disfunzionale e allora può diventare utile ridefinire la relazione allo scopo di rielaborare la situazione conflittuale consapevole o inconsapevole che si è determinata. I nostri scambi comunicativi sono organizzati proprio come se seguissero una punteggiatura. Ciò permette, in linea
di massima, di individuare ciò che si ritiene possa essere la “causa” di un comportamento e ciò
che si reputa il relativo “effetto”. Un aspetto rilevante della punteggiatura è la percezione, il
vissuto di ciascun soggetto rispetto alle situazioni che si sviluppano durante gli scambi comunicativi. La punteggiatura è un fenomeno che si determina, spesso in maniera inconsapevole;
può dipendere da stereotipi, pregiudizi ed esperienze alle quali si attinge in modo automatico
e possono diventare convinzioni su di sé, sull’altro, sulla situazione. La punteggiatura, intesa
come punto di vista dei due soggetti che interagiscono pone il punto di vista di ciascuno al
centro della valutazione dei fatti o della relazione con poche possibilità di sapersi porre anche
dal punto di vista dell’altro. Quindi la soggettività gioca un ruolo di rilievo ma va precisato
che è la mancanza di disponibilità a prendere in considerazione la soggettività dell’altro che
genera la punteggiatura. Cfr. Watzlawick P., Beavin J.H., Jackson D.D., Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1978 p. 34 sgg.
Formare per formare nella complessità
lativi alle Scienze dell’Educazione che hanno le proprie peculiarità, il proprio lessico,
i propri paradigimi e riferimenti teorici e metodologici.
L’esperienza formativa che si è sviluppata, insieme ai presupposti su indicati per ciò che
attiene lo sfondo teorico, è stata condotta in una cornice di senso che ha orientato la formazione ponendo al centro dell’attenzione più che i saperi e il saper fare da “erogare”, la
relazione di apprendimento.
In particolare l’impegno progettuale si è focalizzato sulla contaminazione fra i saperi necessari per generare un servizio formativo e le interconnessioni fra le attività professionali
nelle quali si calano i contenuti all’interno delle culture organizzative di provenienza dei
destinatari della formazione.
È emersa così euristicamente nell’approccio alla progettazione e descrittivamente nel
processo decisionale didattico, la ricerca dinamica di saperi capaci di generare connessioni e interdisciplinarità fra i saperi in gioco e, quindi, la ricerca di codici condivisi per
comprendersi e favorire lo scambio di apprendimenti nell’eterogeneità dei “segmenti di
destinatari dell’attività formativa” e nell’eterogeneità generazionale e interculturale. Le
decisioni metodologiche di riferimento sono cresciute insieme a questo lavoro che può
essere definito di ricerca-azione e di action learning e condotto con una metodologia
contrattuale all’interno di una comunità di pratica che si ridefinisce integrando innovazione e tradizione con la ricerca di nuclei teorici minimi da intendersi come attrezzatura
del mestiere che orienta le decisioni didattiche e quelle organizzative. Quando dalle decisioni si è passati alla fase realizzativa, qualche volta si è rilevata carenza di orientamento
teorico e allora si sono sviluppate esplorazioni bibliografiche e ricerche; altre volte l’approfondimento di un autore ha fatto da spunto per ridefinire il quadro di insieme che si
completa mettendo insieme l’esperienza. Un discorso a parte va riferito alla formazione
in e-learning che è stata progettata con una finalità di sensibilizzazione e informazione e,
soprattutto, per sviluppare la consapevolezza delle potenzialità degli ambienti di apprendimento virtuali e delle possibilità già sperimentabili3.
3 Cfr. a riguardo il contributo di Francesca Lazzari nel presente volume p. 71.
7
Formare per formare nella complessità
Capitolo 1
Una prospettiva ecologica dello sviluppo
dell’apprendimento nella complessità
L’organizzazione è caratterizzata da ruoli interni ed esterni e dai vari settori che ne connotano la struttura a livello strategico, gestionale e operativo.
A seconda di dove viene posto il focus osservativo, cambia ciò che è sistema organizzativo e
ciò che è ambiente nel quale essa opera. In particolare ciò appare evidente ponendo l’attenzione sui singoli settori dell’organizzazione stessa come la produzione, l’amministrazione,
la distribuzione, la gestione, piuttosto che nell’organizzazione come insieme, vedendo le richieste, le risorse e le aspettative che diventano input per l’organizzazione, che come sistema ha il compito di trasformare in output. È interessante osservare come un sistema, con
l’ambiente in cui esso è inserito, può essere a sua volta un sistema che si inserisce in un altro
ambiente e così via, producendo una concatenazione di attività e relazioni fra ruoli, oscillante in cui dentro e fuori si distinguono, si confondono, si scambiano. «Un ambiente ecologico», scrive Bronfenbrenner (1979), a proposito dell’ecologia dello sviluppo umano4, «è
concepito come un insieme di strutture incluse l’una nell’altra, simili a una serie di bambole
russe. Al livello più interno vi è la situazione ambientale puntuale, che comprende l’individuo in via di sviluppo»; in un secondo livello ci sono le relazioni fra le situazioni ambientali.
Si tratta dei legami che influenzano direttamente le situazioni puntuali stesse. In un terzo
livello ci sono eventi che influenzano lo sviluppo pur verificandosi in situazioni ambientali
in cui «l’individuo stesso non è neppure presente»5. Infine, più all’esterno, il tutto si inserisce in una cultura, che determina lo schema per l’organizzazione di ogni situazione ambientale. Variazioni dello schema implicano modificazioni correlate nel comportamento e nello
sviluppo e anche la cultura, che rappresenta una dimensione meno permeabile ai processi di
cambiamento, ne viene influenzata.
Un cambiamento di ruolo6 o un cambiamento nella situazione ambientale comportano una modifica della posizione dell’individuo e il proprio modo di identificarsi con il
ruolo e con la cultura organizzativa. A ogni innovazione che influenza la relazione fra
l’individuo e il ruolo che svolge, corrisponde una transizione ecologica, che sempre di più
necessita della costituzione intenzionale di ambienti di apprendimento, appunto, che
orientano e facilitano la gestione delle connessioni e delle coerenze fra sistemi di competenze professionali specifiche che vanno a strutturarsi con una finalità di generazione
di sinergia.
8
4 Bronfenbrenner U., Ecologia dello sviluppo umano, Bologna, Il Mulino, 1979, p. 31.
5 Cfr., Bronfenbrenner U., op. cit., p. 32.
6 Nella definizione standard, per “ruolo” si intende un insieme di comportamenti e aspettative
associati a una determinata posizione sociale.
Formare per formare nella complessità
Parafrasando la definizione n° 7 dei concetti base che Bronfenbrenner (1979), pone
come sfondo di riferimento per le proprie ipotesi di ricerca7, si può dire che lo sviluppo
dell’impresa può essere considerato come un processo attraverso il quale i ruoli che ne fanno
parte crescono e diventano capaci di impegnarsi in attività che li portano a scoprire le caratteristiche di quell’ambiente, e ad accettarlo o ristrutturarlo, a livelli di complessità che sono
analoghi o maggiori, sia nella forma che nel contenuto.
Nel contesto nel quale operano i formatori del CEFMECTP, l’innovazione tecnologica
apre a nuovi spazi e, di conseguenza, richiede innovativi permessi di esplorazione, mentre la normativa interviene sulle regole del gioco e, quindi, sui relativi vincoli e gradi di
libertà a partire dai quali si possono individuare comportamenti organizzativi e operativi
coerenti con le proprie intenzioni di posizionamento strategico del ruolo di formatore in
quanto al centro del processo di produzione dei servizi formativi.
Le organizzazioni, oggi, sempre di più, decidono i loro piani partendo dalle proprie caratteristiche reali e osservano i propri meccanismi operativi per valutarne l’adeguatezza
rispetto alla qualità del servizio e, quindi, dal punto di vista di una migliore e continua
soddisfazione dei bisogni dei loro destinatari.
Si tratta dunque anche per il CEFMECTP, di integrare schemi di formazione coerenti con
la complessità8. Come è noto la complessità è una caratteristica ma anche una possibile struttura e modo di essere, dei sistemi viventi e dei sistemi di sistemi viventi, esseri umani e sistemi
sociali umani. Al riguardo la studiosa Donata Fabbri (1990 p. 37)9, scrive: «La complessità ci
obbliga a diventare equilibristi. Ci pone nelle condizioni di apprendere a restare in bilico sul
nostro stesso pensiero, a pensare tenendo i due estremi». Questo approccio ci pone nella necessità di ricevere, accogliere, adottare, promuovere, assumere, ammettere, seguire, favorire,
aderire, riconoscere molteplicità di saperi possibili e molteplicità di forme necessarie per ap-
7 Bronfenbrenner U., op. cit., p. 63. Definizione 7: «Lo sviluppo umano è il processo attraverso
il quale l’individuo che cresce acquisisce una concezione dell’ambiente ecologico più estesa,
differenziata e valida, e diventa motivato e capace di impegnarsi in attività che lo portano a
scoprire le caratteristiche di quell’ambiente, e ad accettarlo o ristrutturarlo, a livelli di complessità che sono analoghi o maggiori, sia nella forma che nel contenuto».
8 “Complesso” deriva dal latino complexus, “abbracciato, compreso”. Complicato deriva dal latino
complicatus, “piegato insieme”. Sono entrambi opposti a “semplice” la cui etimologia riporta a:
“intrecciato una sola volta”. I significati di complesso e complicato sono differenti e non sempre riconducibili l’uno all’altro. In particolare, quando al termine sistema si applica l’aggettivo
complesso non si intende “sciogliere le pieghe della complicazione”, chiarire la genesi della sua
irriducibilità. (De Michelis G., 1987, p. 35).
9 Fabbri D., La memoria della regina. Pensiero, Complessità, Formazione. Guerini e Associati,
Milano, 1990.
9
Formare per formare nella complessità
prenderli a partire da una molteplicità di processi intellettivi (Gardner, 1999)10 che entrano
nel campo della comunicazione formativa all’interno del quale la complessità nella progettazione e nell’erogazione dei servizi formativi ha preso forma.
È aumentata l’apparente astrusità, la macchinosità, la molteplicità, la multiformità, la varietà, dei processi formativi e le responsabilità di chi opera è riconoscibile solo laddove si sa
chi si occupa di cosa e se comunicazione interna si svolge secondo tempi, ritmi scanditi da
processi organizzativi modulati e mediante tecniche, tecnologie e metodiche specifiche.
Laddove tutto questo è in divenire e ha già subito delle trasformazioni, sta cambiando il
senso della dei servizi formativi erogati. Le tecnologie, la normativa e il mercato mutano
con una velocità che è poco compatibile con i tempi di sedimentazione e assimilazione
necessari alle organizzazioni per continuare la produzione e a mutare i tempi, i modi e i
processi della produzione stessa; il pensiero corre veloce, genera aspettative11, ma i tempi
di diffusione dell’innovazione non sono sincronizzati a un unico orologio. E allora, oltre
a una formazione di prodotto è l’interazione fra i destinatari di un servizio formativo e
chi lo produce che va a determinare l’esigenza della rilevazione continua dei fabbisogni
di apprendimento.
La rilevazione avviene con criteri, modalità e tempi diversi, difformi, discordanti, distinti, ineguali, eterogenei, a volte distanti, vari, disparati; a volte la produzione coincide con
il momento dell’erogazione, è simultaneo. All’interno del luogo della formazione i saperi
professionali, emotivi e relazionali si contaminano o si nutrono dei semi dell’innovazione che può diventare o feconda o infruttuosa. Su questo presupposto si fonda la necessità di dare intenzionalità all’ecologia della relazione di apprendimento perché è diventato
10
10 Gardner H., Sapere per comprendere, Discipline di studio e disciplina della mente, Feltrinelli,
Milano, 1999.
11 «… Lo studio delle percezioni umane mostra quanto il nostro sistema percettivo sia potentemente condizionato da questo principio fondamentale. Le soglie percettive, ossia la quantità
di tempo e di stimoli necessari a vedere e a riconoscere un oggetto o un evento, sono strettamente dipendenti dalle nostre aspettative. Quanto più un evento è atteso, tanto più ci riesce facile coglierlo. C’è un limite alla quantità di dati che il sistema percettivo umano può
cogliere; la sua capacità di canalizzazione è stata calcolata in 7±2 aperture, il numero magico
Da sette aperture puoi ricavare un buon numero di informazioni attese, ma molte meno di
formazioni inattese. Quanto più l’informazione è inattesa, tanto più tempo richiede la sua
comprensione. Tutto ciò è alquanto banale, ma presenta implicazioni che non lo sono affatto.
Significa, infatti, che, entro certi limiti impossibili da definire, la percezione è uno strumento
del mondo così com’è stato strutturato dalle nostre attese. Inoltre, i processi percettivi complessi sono caratterizzati dalla tendenza ad assimilare, se possibile, ciò che si vede o si sente a
ciò che ci si aspetta» (Bruner J.,1997, p. 59).
Formare per formare nella complessità
necessario stabilire cosa è dentro e cosa è fuori, rispetto alla diade12, alla situazione/obiettivo nella quale è inserita la diade, alla situazione/finalità nella quale si colloca la situazione/obiettivo, al contesto nel quale è inquadrata la situazione/finalità.
Si tratta di tendere nei processi formativi una prospettiva ecologica dello sviluppo professionale e organizzativo.
La complessità determina ed è determinata, in/da un contesto dinamico, evolutivo in modo
poco prevedibile, sottoposto a continue mutazioni e a improvvisi cambi di velocità; poco sequenziale e che segue una logica che è stata formalizzata negli anni ’90. Si tratta di una logica
che introduce più livelli di qualità e che determina, fissa i limiti, circoscrive, delimita, regola,
misura, stabilisce, definisce, indica, precisa, specifica, stima, quantifica, quantizza, reca, crea,
induce, costringe; dispone a osservazioni prive di «un punto archimedeo, al di sopra e al di
fuori della realtà studiata, per cui lo scienziato può osservarla neutralmente senza contaminarsi e contaminarla, restando egli al centro dell’universo e sulla cima della ragione» (De Masi,
1987, p. 7)13. «Il soggetto della complessità è l’osservatore: soggetto ma nello stesso tempo
anche oggetto della conoscenza» (Fabbri, 1987). È immerso in un universo sociale ed economico privo della certezza e in cui le aspettative di regolarità sono spesso “magiche” e in cui il
tutto e la parte possono coincidere.
«Queste definizioni si adattano a una metodologia che tenta di modellare quel modo di
ragionare tipicamente umano che porta a prendere decisioni ragionevoli anche in situazioni reali in cui esistono buone dosi di incertezza e di imprecisione» (Fossati, 1997).
1.1. Le organizzazioni sono reti di ruoli interconnessi14
Alcune componenti dei servizi formativi possono essere a portata di mano, ma per altre occorre apprendere nuove forme di navigazione nei processi di comunicazione sociale all’interno della rete di ruoli che caratterizza le organizzazioni. La ricostruzione
dei processi di generazione dei servizi formativi prende avvio, spesso, da aspettative di
efficienza ed efficacia organizzativa ma va anche riferita a criteri di economia psicologica oltre che sociale. Forse si può iniziare a rendere esplicite le aspettative di senso e di
ridefinizione metodologica dei servizi formativi del CEFMECTP allo scopo di gestire la
12 Il termine diade è utilizzato nell’accezione di Bronfenbrenner (op. cit., p. 33): «Se s’inizia al
livello più interno dello schema ecologico, una delle unità di base per l’analisi è la diade, o il
sistema composto da due individui».
13 De Masi D., Complessità ontologica e complessità epistemologica, in atti dell’8° Convegno Nazionale A.I.F., Comunicazione, organizzazione e nuove complessità, Quaderni di formazione n°
61, Industrie Pirelli, Milano, 1987, pp. 7-24.
14 Per questo paragrafo ho rielaborato e aggiornato alcuni temi che ho trattato nel mio libro: Riunioni
Efficaci a Scuola. Ridefinire i luoghi della comunicazione scolastica, Erickson, Trento, 2003.
11
Formare per formare nella complessità
complessità e nello stesso tempo traghettare verso il futuro il portato di valori, di competenze ed esperienze.
Una forma interpretativa delle componenti intangibili dei servizi formativi può essere
ricondotta alla capacità di interconnessione, di interdipendenza mediante intelligenza
collettiva (Lévy,1996), cioè un insieme di strategie che favoriscono il funzionamento di
una rete di ruoli e sono in grado di dare senso, oltre che valore, ai saperi dell’esperienza, dell’innovazione e dell’integrazione, mobilitando repertori di competenze e ridistribuendole in tempo reale, in modo tale da facilitare la loro riconoscibilità.
È emersa all’intero dell’attività formativa svolta l’esigenza di dare intenzionalità a una prospettiva motivazionale15 che possa consentire la rivisitazione dell’autoefficacia16 dei formatori partecipanti, rileggendo i processi formativi dall’ideazione al rilascio e alla valutazione, all’interno del
paradigma della complessità (vedi Fig. 8 - Le macrofasi del Sistema Formativo, pag. 55).
L’autoefficacia può trovare espressione nelle capacità realizzative che interconnettono tradizione e
innovazione con i loro portati esperienziali ed evolutivi. Le modalità della partecipazione al proprio apprendimento dipendono dalla competenza di governare e mettere in atto intenzionalmente, secondo un fine, strategie, metodologie, strumenti, competenze e atteggiamenti che stanno
nella rete dei processi interni, intrapsichici e di interazione funzionale alla generazione di sapere.
L’autoefficacia può trovare espressione nelle capacità realizzative che interconnettono
tradizione e innovazione con i loro portati esperienziali ed evolutivi. Le modalità della partecipazione al proprio apprendimento dipendono dalla competenza di governare
e mettere in atto intenzionalmente, secondo un fine, strategie, metodologie, strumenti,
competenze e atteggiamenti che stanno nella rete dei processi interni, intrapsichici e di
interazione funzionale alla generazione di sapere.
C’è da sottolineare che laddove il sapere è già negli schemi strategici, va inserito o integrato negli atti realizzativi e se gli atti realizzativi richiedono saperi non disponibili, può
essere determinante individuare un campo per la cooperazione, nel quale possano essere generati, rielaborati, inseriti e integrati. Questo implica la necessità di interagire con
12
15 Ci si riferisce, in questo caso, al modello di Maslow, che come è noto, vede la motivazione collegata
ai bisogni, visti in chiave evolutiva nell’interazione con il contesto sociale. Dopo il soddisfacimento
dei bisogni primari, quelli fisiologici e di nutrizione, si presenta il bisogno di sicurezza, correlato al
lavoro, all’avere un tetto. Quindi c’è il bisogno di appartenenza, cioè quello, di riconoscersi in un
gruppo, di identificarsi in un ruolo. Poi il bisogno di status, cioè il bisogno di essere riconosciuti
dagli altri. Infine, il bisogno di autorealizzazione, espressione dell’integrazione fra mondo interno e
possibilità di esprimere il mondo interno stesso nei contesti nei quali si svolge la propria esperienza
(Maslow A., Motivazione e personalità, Armando, Roma, 1973).
16 Autoefficacia è intesa come l’abilità di integrare tre dimensioni generative del sapere: le competenze cognitive, le competenze emotive e le competenze socio-relazionali.
Formare per formare nella complessità
processi dinamici che si basano, soprattutto, sulla capacità di: scomporre e ricomporre il
sapere in funzione degli scopi in gioco, degli obiettivi, delle risorse, della situazione.
Su questo presupposto si tratta quindi di individuare i depositari specifici, interni o
esterni, di quei saperi per porli in interconnessione funzionale; se gli atti realizzativi richiedono saperi inesistenti, oltre che ricondurre al noto si può attingere alla creatività e
alla ricerca come risorse di frontiera fra le istanze interpersonali, che possono sollecitare
l’ambiente per contribuire alla ridefinizione dei saperi nelle varie situazioni, con rinnovata competenza.
Gli individui sono immersi in un contesto di relazioni. Il contesto e il successo nel compito danno informazioni sulle possibilità di esercitare un controllo sugli eventi e quando
alla previsione di risultato (gli obiettivi) e alla stima di applicazione di risorse personali,
di ruolo e organizzative si correlano i risultati, si può riorientare il processo realizzativo
per avvicinare i risultati agli obiettivi.
Questo intervento può rivolgersi a variabili esterne o a variabili “interne”.
La capacità di monitoraggio dell’ambiente del compito e dell’autoconsapevolezza delle
proprie risorse cognitive, emotive, socio-relazionali e biologiche intervenute consente un
controllo che pone nelle condizioni di confermare le decisioni prese o ridefinirle, indirizzando meglio verso la meta, verso l’impegno.
«Il senso di autoefficacia corrisponde alle convinzioni circa le proprie capacità di organizzare ed eseguire le sequenze di azioni necessarie a produrre determinati risultati»
(Bandura, 1997, p. 23 e sgg.)17.
Bandura (1997, op. cit.) introduce il termine agentività personale, la cui caratteristica
principale è la facoltà di generare azioni mirate a determinati scopi e consiste nella capacità di governare una struttura causale interdipendente fra:
• i fattori personali interni;
• il comportamento;
• gli eventi ambientali.
I processi di autoregolazione funzionanti producono effetti sulla motivazione avviando
un circolo virtuoso che pone nella condizione di migliorare la propria capacità di autoregolazione; contemporaneamente il soggetto costruisce i propri piani di azione attraverso
le procedure di autoregolazione. La competenza di stima emerge a scapito del sistema di
convinzioni, di pregiudizio.
L’agentività personale opera all’interno di influenze secondo vincoli e gradi di libertà determinati dai ruoli.
17 Bandura A., Autoefficacia, Teorie e Applicazioni, Erickson, Trento, 1997.
13
Formare per formare nella complessità
1.1.1. Dal prodotto al servizio formativo
Il prodotto interno lordo, uno degli indicatori dell’economia, è determinato sempre di più
dalla produzione di servizi in quanto le conquiste scientifiche e le innovazioni (in particolare
quelle tecnologiche) stanno mettendo in connessione mondi separati determinando un differente ordine nei cicli della produzione con una conseguente necessità forte di adeguare la macchina organizzativa dal punto di vista strutturale, funzionale e della gestione delle persone.
Queste trasformazioni introducono una ridefinizione delle regole della produzione, delle modalità di comunicazione interne all’impresa e di quelle con il mondo esterno: i
clienti, il mercato, l’ambiente.
All’interno delle organizzazioni l’impatto più immediato del passaggio dall’orientamento ai prodotti all’orientamento al servizio si sviluppa a partire dalla ridefinizione dei ruoli, che richiedono la revisione delle conoscenze tecniche, relazionali, organizzative, delle
capacità e degli atteggiamenti, dei valori delle persone che li ricoprono.
Conoscenze, capacità, atteggiamenti, valori, insieme alle aspettative, costituiscono il
concetto di ruolo. «Nella misura in cui la scelta dei concetti può contribuire a una sintesi così complessa, il concetto di ruolo è quanto mai promettente. Costituisce contemporaneamente la prima pietra dei sistemi sociali e la somma delle richieste con cui il sistema mette a confronto l’individuo» (Katz e Kahn, 1988, p. 1).
Le organizzazioni sempre di più vengono viste come rete di ruoli, più che come insieme di
posizioni organizzative. Il modo di essere delle strutture organizzative si può ricondurre a
schemi piramidali, nei quali, al di là del numero dei livelli gerarchici, sono facilmente individuabili e riconoscibili le attività svolte da ciascuno all’interno della posizione di lavoro
che occupa; le connessioni fra i reparti, o i settori dell’organizzazione sono, altresì, individuabili e riconoscibili, quindi, prevedibili e si possono gestire e governare con una logica
sequenziale che favorisce il processo decisionale per fasce di responsabilità.
In altri termini ciascuno sa cosa deve fare, quali responsabilità gli competono e i destinatari
interni ed esterni, dell’attività di ciascuno, sanno cosa aspettarsi e cosa non aspettarsi.
Queste considerazioni sono strutturali, perché quando l’organizzazione si analizza dal
punto di vista funzionale, entrano in gioco le performance, le prestazioni dei singoli e
di conseguenza la qualità della produzione si può ricondurre all’interazione efficace fra
l’interpretazione del ruolo operata da chi lo ricopre e le altre variabili strutturali dell’organizzazione vista come sistema.
Nei principali modelli di riferimento18 queste variabili sono riconducibili principalmente a:
• processi organizzativi
• tecnologie
14
18 Si veda in bibliografia: Bonazzi G., 1995; Scott R.W., 1985.
Formare per formare nella complessità
•
•
•
•
meccanismi operativi
sistema dei vincoli normativi
valori e missione dell’impresa
risorse disponibili o reperibili.
Dalla combinazione finalizzata a uno scopo e contestuale di queste variabili scaturiscono
le strategie di conduzione, gestione e governo dell’impresa per far sì che lo scambio con un
ambiente esterno dinamico-evolutivo mantenga l’impresa in posizione competitiva sia nel
caso in cui è in gioco la sua sopravvivenza, per adattarsi a un ambiente mutato, sia quando
essa sta operando piani di crescita per utilizzare le nuove configurazioni dello stesso ambiente mutato e di consolidamento o sviluppo del proprio mercato di riferimento.
Prima di prendere in considerazione il concetto di servizio si propone una definizione
classica di organizzazione, che rispecchia i canoni più vicini alle aspettative più diffuse
nel mondo del lavoro e che fa parte degli apprendimenti di base:
L’organizzazione
È quel luogo
All’interno
del quale
Ciascuno
fa qualcosa
Che l’altro
non deve fare
Figura 1. «L’organizzazione è quel luogo dove ciascuno fa una cosa che un altro non deve fare»19.
19 Bellamio D., conversazione personale, Milano, 1991, riportato in C. Fregola, 2003.
15
Formare per formare nella complessità
L’organizzazione
È quel luogo
All’interno
del quale
Ciascuno
fa qualcosa
Che l’altro
non deve fare
Ciascuno
fa qualcosa
Che l’altro
non deve fare
Chi gestisce le
politiche
Chi dirige
Chi controlla e
decide
Chi controlla che le
cose si facciano
Chi fa le cose
Figura 2. In ordinata si possono attribuire le macrofunzioni.
L’organizzazione
È quel luogo
All’interno
del quale
Chi gestisce le
politiche
Chi dirige
Chi controlla e
decide
Chi controlla che le
cose si facciano
Chi fa le cose
Figura 3. Si possono tracciare due linee oblique che indicano che man mano che si va in alto, si ridu-
16
ce il numero di risorse umane e aumentano le responsabilità attribuite a quei ruoli.
Formare per formare nella complessità
È nata così la piramide organizzativa.
Ogni casella rappresenta un reparto o una singola posizione di lavoro.
Fino a non molti anni fa, i compiti, le attività, i poteri descritti nel “mansionario” corrispondevano con buona approssimazione alla realtà operativa.
Era definito chi fa che cosa, come lo deve fare, con quali strumenti, tempi, metodi e risorse (economiche, materiali, organizzative e umane) e i livelli contrattuali di remunerazione discendevano di conseguenza sulla base delle politiche retributive che classificavano le posizioni di lavoro secondo pesi predeterminati.
Da ciò derivavano le politiche gestionali e i meccanismi operativi che regolamentavano i processi produttivi. L’aspettativa di chi entrava nel mondo del lavoro era coerente con la configurazione delle organizzazioni e il repertorio di competenze all’ingresso era sufficiente per acquisire
il know-how specifico dell’organizzazione in tempi più o meno lunghi e comunque questo
repertorio restava stabile nel tempo, viste le irrilevanti variazioni dell’ambiente esterno e, almeno per buona parte dell’Occidente, all’interno di cicli economici favorevoli.
Nell’organizzazione sono depositate le procedure, i protocolli comportamentali.
Questa rappresentazione, pur continuando a caratterizzare le organizzazioni, si è trasformata nel tempo e non rispecchia più, per molte imprese pubbliche e private, il modello
reale che si è di fatto configurato.
Cosa è accaduto, cosa sta accadendo con l’innovazione normativa, di mercato e tecnologica,
che interessa il nostro momento sociale in senso economico, politico-istituzionale, culturale?
• La normativa ha introdotto e introduce nuovi vincoli e di conseguenza nuovi gradi
di libertà; la tecnologia, oltre ad agire sui compiti e sulle procedure della produzione,
ha introdotto sistemi informativi strutturali che hanno svolto e ancora stanno svolgendo, visto che l’innovazione continua a svilupparsi, un ruolo determinante nelle
regole della gestione delle informazioni interne ed esterne all’organizzazione.
• Il mercato sempre di più si orienta a una comunicazione diretta con il cliente al
fine di gestire i luoghi di incontro della domanda e dell’offerta come ambienti
di sviluppo del servizio, quindi, come risposta sistematica ai bisogni del cliente
e alla determinazione delle regole che consentiranno di gestire la relazione fra
organizzazione e cliente nel tempo, in funzione del ciclo di vita del prodotto/
servizio e dell’evoluzione dei bisogni del cliente.
• La tecnologia, oltre a sostituire alcune posizioni di lavoro, ha rivoluzionato i processi di raccolta, selezione, scambio ed elaborazione delle informazioni interconnettendo spazi e tempi di produzione che appartengono a imprese dislocate nel globo,
rendendo disponibili in uno stesso istante dati di ambiti produttivi più disparati
(De Kerckhove, 1993); all’interno dell’organizzazione la disponibilità delle informazioni, con la posta elettronica, travalica i livelli gerarchici e i luoghi dove l’informazione è stata depositata e correlata ai livelli di responsabilità e introduce la necessità di diffondere competenze che si possono definire:
17
Formare per formare nella complessità
---
di primo livello relativamente all’uso della tecnologia stessa in quanto insieme di procedure necessarie a utilizzarla con profitto
di secondo livello relativamente alle possibili trasformazioni dei propri portati professionali che possono trovare maggiore efficienza elaborativa e aprire a possibilità impensabili rispetto al movimento della materia invece che
dell’informazione.
Tutto questo ha impatto diretto e riconoscibile nei modelli organizzativi.
Si passa dalle caselle intese come posizioni di lavoro a luoghi dell’organizzazione
(Meyrowitz J., 1995) meno definitivi nei quali i lavoratori delle posizioni di lavoro tradizionali si incontrano costituendo forme di organizzazione che possono avere la durata
di un progetto o lentamente costituirsi in un alveo che ristruttura i ruoli, le funzioni, le
responsabilità e i modi della comunicazione interna ed esterna nella prospettiva di ricostruire la filiera relazionale. Nel primo caso il conflitto con la forma originaria dell’organizzazione resta latente per risolversi via via senza interventi gestionali specifici; nel
secondo caso il conflitto fra i ruoli oltre che fra competenze, se non è ben gestito, può
portare a quelle forme di resistenza al cambiamento che ostacolano l’innovazione e possono compromettere le relazioni fra gli individui e il livello di efficacia nell’interpretare
il proprio ruolo. Non è un caso che le principali imprese, per guardarsi dentro, si rivolgano ad altre imprese che, all’interno di modelli organizzativi che le guidano, partono
comunque dall’osservazione e dalla ridefinizione delle posizioni di lavoro e dei processi
produttivi. Le posizioni di lavoro vengono osservate come se si trattasse di microsistemi
rilevando cosa entra, cosa esce, cosa si trasforma e ricostruendo i flussi di tutte le interazioni interne ed esterne che la caratterizzano.
Da qui, sulla base della conferma del posizionamento strategico o di un eventuale riposizionamento, si ridisegna l’organizzazione.
Non solo: la produzione di servizi mette in connessione altre realtà organizzative che
possono essere distanti e distinte.
La produzione di servizi apre allo scambio fra imprese e la comunicazione può svolgersi
direttamente tramite i sistemi informativi, cioè mediante le tecnologie, oppure mediante lo scambio di settori dell’organizzazione che si dedicano quasi esclusivamente oppure
solo in parte a un’altra impresa20.
18
20 Si tratta di una delle caratterizzazioni della new economy, che oltre a essersi sviluppata con la rete
Internet, si è ampliata anche in relazione alle interconnessioni commerciali e produttive possibili
grazie al trasferimento di informazione più che di materia (Rifkin J., 2000).
Formare per formare nella complessità
Le forme organizzative
1980÷1990
1985÷1995
1990÷2000
Figura 4. L’evoluzione delle configurazioni organizzative.
In sintesi, il concetto di posizione di lavoro diventa dinamico e acquista un significato più
pregnante il concetto di ruolo21.
Nella tabella seguente sono riportate le principali differenze fra i due concetti: mansione
e ruolo22; si tratta di una classificazione che ha finalità didattiche, pertanto non è sempre netta la distinzione fra le due rappresentazioni. Il valore di questo confronto si può
vedere quando si vuole leggere la differenza di aspettative che vengono generate e di atteggiamenti necessari a entrare nel mondo del lavoro nelle organizzazioni attuali o mantenere il proprio status professionale per chi opera da tempo.
21 Una possibile definizione di ruolo è la seguente: «È un insieme di capacità, conoscenze e atteggiamenti che si articolano e si mettono in opera per rispondere alle aspettative di chi ne è portatore e
della rete di rapporti sociali che si sviluppano nella rete dei ruoli che interagiscono direttamente o
indirettamente per la generazione di servizio». Cfr. Katz & Kahn, 1988; Castelfranchi, 1998;
Bronfenbrenner, 1979.
22 Questo schema è stato elaborato in occasione del corso di formazione su “Sviluppo delle risorse umane” che abbiamo svolto insieme a Carlo Penati, di Koinos, Milano, in Banca Fideuram, nel 1993, con il collega Angelo Del Fiacco.
19
Formare per formare nella complessità
La seguente tabella consente il confronto fra il concetto di mansione e quello di ruolo23
e discende dalle considerazioni del presente paragrafo, nel quale si è visto come da una
organizzazione lineare, si è passati a configurazioni organizzative con connessioni sempre più articolate.
Mansione
Ruolo
Prescinde dalla persona
Focalizza l’interazione tra organizzazione
e persona
È definita interamente dall’organizzazione
Lascia spazio all’interpretazione
della persona
Definisce compiti/attività specifiche
Definisce contributi attesi ad un processo
È fortemente prescrittiva
È fondato su margini di discrezionalità
relativi
È statica: viene modificata una tantum
in seguito a rilevamenti specifici
È dinamico: si modifica in itinere
per mutuo adattamento tra le spinte
delle innovazioni e le interpretazioni
della persona
Fissa confini netti tra le posizioni
di lavoro
Consente margini di sovrapposizione
Enfatizza le conoscenze
Enfatizza le competenze e le capacità
relazionali
Figura 5. La differenza fra mansione e ruolo.
Questa mutazione di orientamento necessita della capacità di far interagire la competenza di
svolgere i compiti previsti dalla posizione di lavoro del formatore, con la competenza di gestire i processi che si sviluppano dinamicamente e in modo poco prevedibile dall’assunzione
di un ruolo professionale, in particolare per chi si occupa di formazione da esterno all’organizzazione ma con un legame contrattuale specifico che richiede una mutazione di visione in
quanto il sapere dell’organizzazione e del mercato di riferimento si ridefiniscono24.
20
23 Il Ruolo non sostituisce la Mansione e non si contrappone a essa; ridefinisce la prospettiva di gestione del rapporto fra individuo e organizzazione. L’orientamento alla posizione di lavoro è determinato
da un approccio più statico, conservativo, che utilizza la routine e le procedure standardizzate, nella
gestione delle attività prevalenti; l’orientamento al ruolo è determinato da un approccio più dinamico derivato dalla gestione delle varianze introdotte con le innovazioni che procedono per continuità
o per salti. Il valore dell’esperienza si confronta con il valore della capacità di apprendere.
24 Il corso di formazione si è sviluppato all’interno di un processo di innovazione organizzativa a
partire dal quale il disegno dell’organizzazione è stato ridefinito secondo queste logiche in modo
Formare per formare nella complessità
Questo è l’aspetto chiave dell’attuale momento storico del CEFMECTP.
Oltre le ridefinizioni gestionali e di orientamento al servizio formalmente già definite,
l’attività formativa ha preparato il terreno per il passaggio dalla formazione di prodotto formativo alla formazione di servizi formativi. Sono rimaste aperte alcune questioni,
come quali sono gli impatti di questi cambiamenti:
•
•
•
•
•
•
nei processi organizzativi;
nelle tecnologie;
nei meccanismi operativi;
nel sistema dei vincoli normativi;
nei valori e nella missione dell’impresa;
nel sistema delle competenze non tecniche dei formatori con riferimento particolare nella generazione di servizi formativi25.
1.1.2. Il concetto di servizio
Interessante è osservare come il lessico specifico dell’economia dei servizi si sia diffuso e
come il valore sociale e culturale dell’impresa siano diventati parametri per la valutazione della qualità del servizio (Lovelock, 1994)26.
Un computer, che è palesemente un prodotto tangibile, può essere proposto e offerto
insieme a componenti di servizio: il trasporto, l’installazione e l’assistenza telefonica successiva alla vendita; l’informazione o la formazione sui principali argomenti o procedure
o accortezze, che si possono indicare già nella fase di acquisto tenendo conto delle principali richieste che sono state fatte da altri clienti e che sono state registrate nelle fasi di
assistenza. Il computer, dunque, rappresenta un prodotto fisico, ma il modo di gestire il
cliente – secondo un progetto costituito da scambi che rendono questi sempre più autonomo e lo seguono nelle fasi evolutive della sua competenza e decisione di utilizzo del
bene materiale – è un servizio.
Alcuni servizi, come quelli amministrativi e quelli organizzativi di un’impresa sono
meno tangibili.
implicito. Uno dei presupposti della costruzione degli ambienti di formazione per i formatori
del CEFMECTP è stato quello di definire una metodologia di formazione al ruolo che prendesse le mosse dal livello di percezione diffusa sul concetto di posizione di lavoro e di ruolo e
soprattutto, nell’orientamento al servizio di formazione e alla formazione come servizio.
25 Queste sei variabili, come è noto, costituiscono uno dei modelli di gestione dell’impresa come
sistema. Gli scambi con l’ambiente dipendono dalle interdipendenze che si costituiscono strutturalmente o funzionalmente fra le componenti. Crf. Di Stefano, 1987; Mintzberg, 1985.
26 Lovelock C., Product Plus, McGraw-Hill, Milano, 1994.
21
Formare per formare nella complessità
Ci si accorge della loro presenza solo quando si è di fronte a una criticità.
Sono quasi elementi intangibili, nascosti. Fra l’altro richiedono incombenze e come tali
introducono comportamenti che si farebbe a meno di assumere.
Allora, chi propone al cliente, nel pacchetto del servizio, anche la soluzione di queste incombenze facendosene carico ha maggiori probabilità di creare un vantaggio competitivo per la propria impresa.
Nel linguaggio di ogni giorno, in contesti comunicativi variegati, il termine “servizio”
occorre con una frequenza crescente.
Servizio è un termine polisemico che presenta uno spettro di significati ampio sia dal
punto di vista denotativo che connotativo e si sta sviluppando a partire dalle contaminazioni in atto fra i settori produttivi e i vari contesti sociali.
Molte delle conoscenze fanno parte del repertorio di base, di quello professionale e di
quello esperienziale, dei singoli e si sono stabilizzate e rese essenziali nel contesto organizzativo di appartenenza. L’innovazione porta con sé saperi: quelli che l’hanno generata
e quelli che sono necessari perché l’innovazione esca dal mondo del prototipo per essere
diffusa nella realtà organizzativa.
Servizio è uno dei termini che è entrato nel mondo della formazione come contenuto da
trattare e come termine con cui contaminarsi27.
Servizio può essere definito come insieme di attività, benefici o soddisfazioni offerti in
vendita o forniti in connessione con la vendita di prodotti.
I servizi rappresentano qualcosa di intangibile che produce direttamente soddisfazione
(trasporti, alloggi) o qualcosa di intangibile che offre soddisfazione quando viene acquistato insieme a prodotti o ad altri servizi (credito, consegna).
Servizi offerti e venduti: una transazione di mercato da parte di un’impresa o di un imprenditore nella quale l’oggetto della transazione è diverso da un trasferimento di proprietà (o titolo) di un prodotto tangibile.
Per il consumatore, i servizi sono qualsiasi attività che venga offerta in vendita e che fornisca benefici o soddisfazioni di un certo valore; attività che egli non può svolgere o che
decide di non svolgere da solo.
Un servizio è un’attività offerta in vendita che produce benefici e soddisfazione senza implicare un cambiamento fisico sotto forma di prodotto.
I servizi sono attività intangibili identificabili separatamente che producono soddisfazione quando vengono venduti ai consumatori e/o agli utenti industriali e che non sono
necessariamente legati alla vendita di un prodotto o di un altro servizio.
Un servizio è un’attività o una serie di attività che si verifica nell’interazione con una persona intermediaria o con una macchina fisica e che fornisce soddisfazione al cliente.
22
27 Cfr. Fregola C., 2012, 2011.
Formare per formare nella complessità
È un servizio qualsiasi beneficio intangibile che viene pagato direttamente o indirettamente e che spesso comprende una componente fisica o tecnica, grande o piccola che sia.
Un servizio è qualsiasi attività o vantaggio che una parte può scambiare con un’altra, la
cui natura sia essenzialmente intangibile e non implichi la proprietà di alcunché. La sua
produzione può essere legata o meno a un prodotto fisico.
Un servizio è il soddisfacimento delle aspettative del cliente nel corso dell’attività della
vendita e della postvendita mediante la fornitura di una serie di funzioni paragonabili a
quelle della concorrenza o superiori tali che producano un profitto per il fornitore.
Un servizio è qualcosa che si può acquistare e vendere ma che non può cascarvi su un
piede.
È interessante osservare che nella loro differenziazione, le definizioni racchiudono tutte
indicazioni prudenti, che si riconducono a concetti quali:
• intangibilità;
• connessione fra un cliente-fruitore e un fornitore-erogatore;
• risposta a un bisogno, esigenza, aspettativa.
Se pur restrittive, queste definizioni sono le più ricorrenti a partire dagli anni Sessanta, anni in cui si è avviata la terziarizzazione dell’economia e si è via via complessificato
l’ambiente socio-economico.
Infine, si propone la definizione di Grönroos:
Un servizio è un’attività o una serie di attività di natura più o meno intangibile che normalmente, ma non necessariamente, ha luogo nell’interazione tra cliente e impiegato e/o
risorse fisiche o prodotti e/o sistemi del fornitore del servizio, che viene fornita come soluzione ai problemi del cliente.
Una possibile definizione per i servizi formativi è la seguente:
Un servizio formativo è un’attività o una serie di attività di natura più o meno intangibile
che normalmente, ma non necessariamente, ha luogo nell’interazione tra un soggetto in apprendimento portatore di un ruolo organizzativo, con la trama dei saperi di base, dell’esperienza, dell’innovazione e del contesto e con la mediazione di un processo di insegnamentoapprendimento che si sviluppa nel sistema organizzativo allo scopo di favorire lo sviluppo e il
consolidamento delle competenze professionali funzionali alla gestione ecologica dello sviluppo dell’individuo e dell’organizzazione.
1.1.2.1. I destinatari dei servizi formativi
L’erogazione del servizio formativo si produce mediante risorse organizzative, sociali,
culturali, psicologiche ed economiche.
Nella maggior parte dei casi un servizio non implica alcun tipo di interazione con il fornitore.
Ci sono situazioni nelle quali non sembrano esserci interazioni dirette, ma interazioni ci sono.
23
Formare per formare nella complessità
Spesso i capi sono seduti accanto ai propri collaboratori su sedie invisibili, pronti a intervenire
in modo tangibile, per partecipare, criticare, esercitando un ruolo complementare a quello del
formatore, essendo portatori di un progetto consapevole per lo sviluppo dell’organizzazione.
Queste interazioni invisibili, con attori da retroscena, possono influire in modo tangibile
sulle interazioni che avvengono all’inizio, durante o alla fine del processo del servizio.
Di conseguenza, nei servizi le interazioni sono di solito presenti e sono di fondamentale
importanza anche se le parti in causa non ne sono sempre consapevoli28.
Inoltre, i servizi non sono cose, ma sono processi o attività, e queste attività sono di natura molto intangibile.
1.1.2.2. Caratteristiche dei servizi
Nella maggior parte dei servizi si possono individuare quattro caratteristiche fondamentali (Grönroos C., 1994):
1. i servizi sono attività o serie di attività, di processi e non cose;
2. i servizi, almeno in una certa misura, la produzione e il consumo avvengono simultaneamente;
3. il cliente, almeno in una certa misura, partecipa al processo di produzione;
4. nella percezione del servizio la soggettività gioca una ruolo rilevante.
La natura intangibile del servizio comporta la necessità di utilizzare espressioni astratte
per comunicare la sostanza di un servizio. Esperienza, fiducia, chiarezza e sicurezza ne
sono un esempio. E proprio questi termini comportano un ampio intervallo di attribuzioni personali di significati.
Ciò che è chiaro a un destinatario del servizio non è detto che lo sia per un altro.
A seconda del significato attribuito, delle aspettative, della percezione del servizio, ciascun destinatario determinerà una qualità soggettiva.
Pertanto, così come per altre variabili che hanno impatti nei processi di elaborazione del giudizio basati sui fenomeni della soggettività, la valutazione del servizio è un processo complesso.
Sulla base delle misurazioni effettuate si possono colmare i gap fra aspettative e prestazione.
L’insieme degli scostamenti rilevabili fra le coppie di variabili dello schema prende il nome
24
28 Una delle ragioni per cui il ruolo del Formatore è molto delicato consiste nella competenza
necessaria a mantenere in equilibrio le relazioni con la committenza e i destinatari in quanto spesso occorre lavorare su impliciti, non detti, senza cadere in fenomeni di collusione o di
manipolazione. Nella teoria dell’analisi transazionale, si parla in questi casi di Contratto a tre
mani (English F., 1992).
Formare per formare nella complessità
di gap analysis model 29. Le decisioni di riduzione e di riconfigurazione dei gap attivano
strategie che possono essere di lieve entità, piccoli aggiustamenti, piani di miglioramento,
piuttosto che di riposizionamento, con interventi significativi sotto il profilo organizzativo,
tecnologico e delle risorse umane, con impatti diretti e indiretti sui profili di competenze
e di conseguenza sulle decisioni interne al sistema formativo.
I principali interventi che derivano dalla gap analysis sono:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
rilevare i bisogni realistici dei clienti;
distinguere i bisogni dalle aspettative;
ridefinire le aspettative;
migliorare le componenti tangibili del servizio;
riformulare i modelli di comunicazione;
ampliare la gamma dei servizi;
migliorare l’accessibilità, la tempestività, la capacità di risposta, l’affidabilità;
innovare le tecnologie;
ridefinire i ruoli;
riorientare i processi organizzativi.
Certamente, le principali leve per lo sviluppo della qualità possono essere variegate e si
ritiene che le interazioni con il sistema formativo possano essere portate avanti nelle diverse fasi di intervento verso la qualità del servizio30.
Grönroos (1990)31, propone sei criteri che consentono aumentare la qualità del servizio
percepito.
29 La gap analysis, è alla base dell’approccio gestionale dell’impresa con orientamento alla qualità. Per una trattazione particolareggiata degli scostamenti principali, si veda: Zeithaml V.A. et
alii, cap. 4-7.
30 Le considerazioni che seguono, relative alla ridefinizione della concezione dei sistemi formativi,
trovano applicazioni anche in altri modelli di gestione dello sviluppo organizzativo. La qualità del
servizio è un tema che può essere definito trasversale, anche se quando si parla di orientamento
alla qualità, si dice, più specificamente, dei modelli di matrice giapponese, norvegese o i modelli
di certificazione che seguono la normativa internazionale ISO 9000 e che in Italia è stata riportata attraverso la norma UNI-EN 29000. Al di là della “certificazione” il coinvolgimento delle
risorse umane e la diffusione della responsabilità di ciascuno nei processi di produzione possono
far disporre le imprese su un continuum che pone a un polo l’atteggiamento di orientamento al
cliente correlato alla propria posizione di lavoro, e all’altro polo la qualità totale, intesa come insieme strutturale di interdipendenze fra le variabili del sistema organizzativo, di mercato e delle
risorse umane (Trivero A., 1990, cap. 1).
31 Op. cit., p. 44 sgg.
25
Formare per formare nella complessità
1. Professionalità e competenza
I clienti realizzano che il fornitore del servizio, il personale, i sistemi operativi e le risorse fisiche hanno le conoscenze e la competenza richieste per risolvere i loro problemi in
maniera professionale (criterio legato al risultato).
2. Atteggiamento e comportamento
I clienti sentono che il personale di contatto è interessato a loro e a risolvere i loro problemi in un modo amichevole e spontaneo (criterio legato al processo).
3. Accessibilità e flessibilità
I clienti sentono che il fornitore del servizio, la sua localizzazione, il suo orario d’apertura, il personale e i sistemi operativi sono progettati e operano in modo che sia facile
avere accesso al servizio e che si possano adattare alle loro richieste e desideri in modo
flessibile (criterio legato al processo).
4. Affidabilità e fiducia
I clienti sanno che dovunque avvenga o sia stato concordato il servizio, possono contare
sul fornitore, sul personale e sui sistemi, perché soddisfino le promesse fatte e che la prestazione si prefigge sempre di salvaguardare i loro interessi (criterio legato al processo).
5. Capacità di rimediare
I clienti sono coscienti del fatto che qualora qualcosa andasse storto o succedesse all’improvviso qualcosa di imprevedibile, il fornitore del servizio intraprenderà sull’istante i
passi opportuni perché essi riabbiano quanto prima il controllo della situazione, trovando una nuova soluzione accettabile per tutti (criterio legato al processo).
6. Reputazione e credibilità
I clienti sono convinti del fatto che ci possa fidare dell’opera del fornitore dei servizio e
danno il corretto valore monetario al servizio, in quanto significa buona prestazione e
qualità che possono essere condivise dai clienti e dal fornitore del servizio (criterio legato all’immagine).
26
Non è detto che la prestazione debba essere necessariamente fatta aderire alle aspettative, anzi, si tratta di formulare un contratto realistico fra fornitore e cliente che consenta
di determinare risposte realistiche e competitive ad aspettative altrettanto realistiche e
correlate ai bisogni in gioco.
Il tema delle aspettative è stato particolarmente dibattuto nelle fasi di definizione dei
fabbisogni del sistema formativo oggetto della ricerca. Ne sono scaturite alcune osservazioni che hanno condotto a introdurre tre tipologie di aspettative. Si riportano in que-
Formare per formare nella complessità
sto primo capitolo in quanto sono state proposte anche in altri contesti organizzativi e
hanno trovato adesione.
Con questa intenzione si propone una scelta di termini e si specifica l’accezione con cui
verranno usati nel seguito.
Sono virtuali funzionali le aspettative, realizzabili, ma in tempi o luoghi diversi da quelli
di riferimento nel qui e ora.
Per “aspettativa virtuale” si è convenuto di intendere ciò che potenzialmente può diventare servizio dopo l’applicazione di un processo produttivo adeguato.
Alle aspettative virtuali seguono comportamenti del fornitore coerenti con la realizzabilità dei progetti a partire dai mezzi e dalle risorse disponibili o reperibili e che possono
consentire il conseguimento degli obiettivi di performance del servizio atteso.
Un’aspettativa virtuale proviene dalla sfera della consapevolezza e della competenza di applicare il pensiero strategico nel prevedere situazioni realizzabili in risposta alle esigenze del destinatario. Si tratta di applicare prevalentemente il pensiero ipotetico-deduttivo, dell’ “adulto” per:
•
•
•
•
•
•
analizzare i dati di realtà e le risorse;
disegnare profili di servizio;
produrli;
erogarli;
seguire nel tempo l’evoluzione;
“aggiustare il tiro” sia sul servizio, sia sulle aspettative reciproche, sia sull’ambiente organizzativo nel quale il servizio si sviluppa.
Sono virtuali disfunzionali32 quelle aspettative di servizi perfetti ma irrealizzabili.
Per magiche funzionali si è inteso quelle aspettative che si possono costruire con il supporto del pensiero intuitivo, produttore di soluzioni creative, divergenti e che in qualche
modo appartengono al mondo della rêverie, del saper sognare a occhi aperti.
32 Con il rigore di regole chiare, possibilmente condivise e con l’energia della partecipazione autentica, che minimizza inganni e autoinganni. La condivisione in questo caso è considerata
punto di arrivo di un processo negoziale e l’inganno e l’autoinganno due processi disfunzionali di interazione con le innovazioni. Rispettivamente:
verso l’esterno, rifiuto, della situazione e quindi attivazione di fenomeni di resistenza e di interazione contaminata con la realtà esterna;
verso l’interno, legati all’analisi e alla lettura della realtà mediante l’attivazione di forme di autosvalutazione di sé, delle proprie competenze e capacità o di negazione, al fine, spesso inconsapevole di mantenere in equilibrio il proprio sistema di convinzioni, pregiudizi e gli schemi
appresi. Novellino M., conversazione personale, Roma, 2002.
27
Formare per formare nella complessità
Per magiche disfunzionali33, si sono intese quelle aspettative che attingono al pensiero
magico ma di tipo illusorio.
La cultura del servizio, nell’ambito del sistema formativo, può favorire un processo di comunicazione funzionale allo sviluppo delle competenze dei singoli e dell’organizzazione, se
alle intenzioni di sviluppo o consolidamento organizzativo fanno seguito decisioni di metodologia formativa coerente con un sistema di aspettative virtuali funzionali, realistiche
e magiche funzionali che possono rientrare nella progettazione dei servizi. La gap analysis
può introdurre criteri di misurazione e soprattutto di correlazione fra i bisogni e i servizi,
cioè, fra le esigenze di integrazione fra i vari saperi dell’individuo e dell’organizzazione e le
forme e di modi di gestione del processo di insegnamento-apprendimento.
Se le aspettative sono realistiche (R), oppure virtuali (V) o magiche (M), gli atteggiamenti nella partecipazione come fornitori o destinatari cambiano.
Da tutte le combinazioni, derivano molteplici possibilità di percepire il servizio, di valutarlo, di richiederlo, di continuare l’acquisto, di cambiare il fornitore.
Le aspettative
Sistema
organizzativo
R
M
Soggetti
in apprendimento
Sistema
formativo
R
R
M
V
V
M
V
M aspettative magiche
V aspettative virtuali
R aspettative realistiche
Figura 6. La funzione del formatore si pone al centro di un processo di comunicazione fra sistema formativo, sistema organizzativo e soggetti in apprendimento. A seconda del tipo di aspettative che entrano nell’interazione in modo tacito o esplicito, la comunicazione può essere efficace oppure no.
28
33 Cfr. nota precedente
Formare per formare nella complessità
1.1.2.3. Tre componenti del servizio
I differenziali competitivi, cioè l’insieme dei comportamenti professionali e dei requisiti dell’organizzazione che caratterizzano il modo di essere e di manifestarsi dei servizi di
una specifica impresa, possono essere ricondotti a tre macrocomponenti che rendono riconoscibile al cliente/utente/destinatario l’offerta:
1. le metodologie che si possono far rientrare in quelle tipiche dell’ingegneria;
2. le strutture dell’organizzazione;
3. i comportamenti di relazione comunicativa.
1. Le metodologie che si possono far rientrare in quelle tipiche dell’ingegneria sono intuitivamente e deduttivamente riconoscibili e consentono di:
• rendere espliciti e rappresentabili gli obiettivi e i risultati finali di un’attività, di
un progetto;
• decidere i criteri che consentono il reperimento, la costruzione, la ricostruzione,
o l’utilizzo delle tecnologie dei materiali e delle strutture in funzione dell’attività
da svolgere o del progetto da realizzare;
• costruire i sistemi di monitoraggio e controllo che consentono di intervenire
operando i correttivi che possono riorientare verso gli obiettivi le traiettorie che
portano verso i risultati previsti dalle attività o dal progetto mentre le traiettorie
stesse vengono descritte.
2. Le strutture dell’organizzazione sono determinate dai processi organizzativi, dalle procedure, dal sistema decisionale, dalla catena cliente/fornitore interna/esterna.
3. I comportamenti di relazione sono strettamente correlati ai processi organizzativi. In situazione di innovazione, le variabili organizzative sono quelle in fase di maggiore sollecitazione. Producono rumore 34, e condizionano il processo di comunicazione35.
34 Il termine è mutuato dalla teoria di Shannon, della Comunicazione. Si tratta di quel fenomeno che viene denominato noise, “disturbo”, le cui cause possono essere molteplici e a volte
ineliminabili. Una soglia di rumore di fondo viene pertanto tollerata all’interno di un sistema
di comunicazione.
35 “Stiamo lavorando per voi…”, “Ci scusiamo per il disagio creato…”, “È cambiata la procedura; l’ufficio non è più questo…”, “Le figure obiettivo avranno il compito di…”, “Questa è una
banca virtuale…”, “Questa è una compagnia di assicurazione telefonica…” sono frasi ascoltate ormai nella quotidianità che esprimono “giustificazioni” sugli effetti che le fasi di transizione
29
Formare per formare nella complessità
Nell’interazione comunicativa36, intervengono motivazioni, valori e bisogni, che spesso orientano le aspettative di servizio. e costituiscono una componente prevalentemente intangibile del
servizio stesso; i temi della cortesia, della disponibilità, dell’ascolto che dovrebbero far parte di
un repertorio di competenze sociali di base, di fatto sono oggetto di formazione specifica, in
particolare per le posizioni di lavoro di chi opera con il pubblico. Le convenzioni sociali che determinavano i modi della comunicazione e del bon ton, con la complessità stanno introducendo forme di comunicazione sociale che necessitano di competenze relazionali specifiche. Quanto più
i processi organizzativi sono nel cantiere della ridefinizione, tanto più le competenze comunicazionali richieste sono differenziate. Quando si parla di lifelong learning, i contenuti che entrano
in gioco, oltre che cognitivi, interessano anche le altre aree dell’apprendimento: quella affettiva
e socio-relazionale oltre che quella psicomotoria. Si tratta di individuare le aree funzionali e disfunzionali che intervengono nell’interazione, con i diversi livelli di consapevolezza reciproca fra
cliente e fornitore rispetto ai contenuti del servizio, alle modalità e allo stile di relazione, al ruolo ricoperto e al contesto nel quale la comunicazione si svolge. L’esito della comunicazione può
diventare l’attivatore principale dei processi emotivi che influenzano la percezione del servizio
erogato. Gli aspetti di relazione, per quanto si tenti di ricondurli a una matrice cibernetica di tipo
razionale, di fatto sono governati da aspetti dinamici di natura psicologica e sociale poco misurabili, sui quali è assai complesso esercitare il controllo sociale consapevole.
Inoltre, proprio perché di relazione, tali comportamenti dipendono dal cliente e dal fornitore, perché per relazione si intende proprio «il nesso, il legame, che si stabilisce fra
le due parti sulla base del contratto professionale e psicologico che esse determinano in
modo esplicito e implicito» (Novellino, 2002)37.
Si tratta di comportamenti che manifestano lo stile personale e il modo di interpretare e
condurre il proprio ruolo professionale.
1.1.3. La qualità del servizio
Sulla base della qualità del progetto di servizio, della macchina organizzativa e delle relazioni nella rete dei ruoli che caratterizza l’organizzazione, il servizio prende forma, sostanza e si legittima.
30
dovute all’innovazione comportano nei processi organizzativi. Quanto più la varianza produce
la percezione di una minore qualità del servizio, tanto più i processi di comunicazione necessitano di forme compensatorie e di competenze comunicazionali di orientamento al cliente.
36 Per una ricognizione accurata dei principali modelli di comunicazione: Volli U., 1994. Per
una trattazione teorica con una prospettiva di integrazione fra i modelli si veda: Zani B., Selleri P., David D., 1994.
37 Novellino M., Conversazione personale, Roma, 2002.
Formare per formare nella complessità
Il termine qualità si riferisce alla capacità del servizio di evolvere costruttivamente verso
forme più efficienti, efficaci e funzionali rispetto ai reali bisogni e obiettivi del cliente in
riferimento al contesto/ambiente nel quale questi opera o dovrà operare.
Il servizio di qualità si costruisce su bisogni reali, formulando obiettivi realistici,
conseguibili in una misura solo in parte predefinita che dipende dalle variazioni di
contesto e ambientali e, quindi, dalla capacità di mantenere la traiettoria integrando le varianze.
Il servizio costruito sui desideri determinati da richieste del cliente, alle quali si vuole
dare comunque una risposta per compiacere, rischia di determinare un’aspettativa di servizio virtuale o magica disfunzionale.
Certo, quanto più i desideri sono realisticamente esaudibili, tanto maggiore è la probabilità di poter produrre un servizio coerente a patto che ci siano le condizioni e le risorse
economiche e complessive.
Questo approccio passa per l’introduzione di un processo di miglioramento continuo e
di riorientamento verso gli obiettivi concordati fra cliente e fornitore in una prospettiva
contrattuale caratteristica dei sistemi aperti che sono in grado di cambiare integrando al
proprio interno le innovazioni che si rendono necessarie.
L’innovazione può interessare in prevalenza una soltanto delle dimensioni del servizio –
quella dell’ingegneria, dell’organizzazione, oppure della relazione – anche se più o meno
direttamente si rende necessario intervenire sulle altre.
Si propone una sintesi sul percorso definitorio della qualità del servizio, intesa come capacità del sistema organizzativo di mantenere in equilibrio dinamico i processi di apprendimento degli individui e dell’organizzazione in funzione delle innovazioni intervenute dall’esterno o decise all’interno.
1. La capacità di una impresa di competere dipende prevalentemente dalla capacità di produrre qualità competitiva.
2. La qualità del servizio non è la somma della qualità delle singole tre componenti
(ingegneria, organizzazione, relazione), ma una funzione a esse correlata.
3. I processi di innovazione intervengono sulle aspettative e sulla percezione della qualità del servizio; possono alterare l’analisi del miglioramento della qualità
del servizio
4. Se si realizza miglioramento, vuol dire che il sistema ha prodotto apprendimento, ha imparato (o reimparato) qualcosa.
5. Se il sistema ha imparato, è necessario che l’apprendimento produca miglioramento a livello operativo comportamentale altrimenti l’apprendimento non è
generativo di qualità del servizio, ma di speculazione intellettuale o operativa
che produce un miglioramento virtuale, un’illusione di miglioramento che non
corrisponde al miglioramento della qualità del servizio.
31
Formare per formare nella complessità
32
Nella cultura del servizio, non è sufficiente imparare e far imparare; diventa necessario imparare e far imparare in funzione delle caratteristiche dell’organizzazione e del progetto di cambiamento, della missione perseguita con la guida dei relativi valori di riferimento e nella prospettiva di interazione ecologica con i contesti di riferimento (Santelli Beccegato L., 1992).
In tempi di minore evoluzione dell’ambiente esterno i sistemi organizzativi hanno standardizzato i modi della produzione e hanno costituito le proprie regole organizzative.
L’apprendimento, dunque, non riguarda soltanto le persone, ma anche l’organizzazione,
il sistema (Senge, 1992).
È vero che, comunque, sono le persone a produrre apprendimento, ma nel passaggio
dall’organizzazione statica delle posizioni a quella dei ruoli, i nuovi legami organizzativi che ne derivano diventano nuova configurazione, nuovo ambiente, rinnovata cultura
dei sistemi formativi.
Nei microcosmi delle imprese che sfidano il mercato per svilupparsi o per sopravvivere e che
hanno avviato progetti di cambiamento, si sono incontrati con i fenomeni della condivisione dei
progetti di innovazione o del suo rigetto; hanno dovuto confrontarsi con i livelli di coesione delle risorse umane che consapevoli dei rischi o delle nuove possibilità che si dischiudevano, hanno
agito il cambiamento partecipando, mettendo in discussione convinzioni, valori, saperi.
Nel pubblico e nel privato capi, collaboratori, colleghi, fornitori interni o esterni, clienti interni o esterni formano in ogni caso nuove costellazioni organizzative in quanto diventa necessaria una reinterpretazione del proprio ruolo e delle proprie competenze al fine di seguire e
condurre il cambiamento necessario a integrare efficacemente l’innovazione nei percorsi della
vita privata e professionale reale.
L’agire basato sull’esperienza, guidato dal pensiero intuitivo, fondato sugli schemi della cultura della linearità, con maggiore frequenza, non è in grado di mantenere in equilibrio il rapporto fra le sicurezze personali e le incertezze introdotte dalle innovazioni.
L’innovazione, impetuosamente, viaggiando prevalentemente sotto traccia e di tanto in tanto
accelerando l’andatura dei suoi effetti nella realtà e, quindi, la sua tangibilità, necessita del
supporto del pensiero analitico e sistemico.
È necessario, infatti, utilizzare schemi di rilevazione, lettura e interpretazione dei dati di
realtà, con il supporto di metodiche efficienti che consentono la sospensione del giudizio a
priori e un riequilibrio dei dialoghi interni fra pensiero e sentimenti, per poter riconsiderare
la propria interazione con l’innovazione in una prospettiva in cui il governo dell’incertezza
da essa stessa generata non sia confuso con la minaccia alle proprie sicurezze.
Ciascuno di noi è portatore di un repertorio esperienziale che affonda le proprie radici in un
sapere e un fare operativo che si configurano in forme lineari, a dominio specifico, con bassa
tolleranza degli errori, con protocolli basati su procedure prefissate.
E la realtà si sta configurando in forme complesse a dominio ampio, in cui c’è la simultanea
presenza di opzioni fra le quali è possibile scegliere le abilità operative necessarie, tollerando,
anche, in una certa misura, gli errori, l’approssimazione provvisoria, non precaria.
Formare per formare nella complessità
In una molteplicità di scelte, aumenta la possibile dispersività, ma cresce anche la
necessità di circostanziare meglio le situazioni per sfumare con maggiori probabilità i livelli di approssimazione che si introducono nel servizio interno e in quello al
cliente.
Una ipotesi di lavoro può essere quella di operare nell’ambito di una cultura dei processi,
centrata sull’autoefficacia che comporta:
•
•
•
•
capacità di analisi;
progettazione dei singoli comportamenti;
atteggiamento sperimentale durante le attività;
monitoraggio e verifica continua dell’efficacia e dell’efficienza dei piani operativi messi in atto in funzione delle differenze fra qualità attesa, promessa, generata, percepita e realmente erogata;
• valutazione finalizzata a indirizzare verso gli obiettivi e le traiettorie della qualità
i propri comportamenti con la guida di valori coerenti.
Si tratta di applicare con maggiore consapevolezza il pensiero flessibile necessario per saper
divenire. E questo sapere è strettamente connesso allo sviluppo di processi di insegnamento-apprendimento che supportano, favoriscono e producono le capacità di:
• imparare ad apprendere;
• considerare provvisorie le conoscenze;
• gestire gli “squilibri cognitivi ed emotivi” che derivano dalla provvisorietà evolutiva dei processi organizzativi, tecnologici, normativi.
Si può rendere necessario operare salti e ripensamenti fra incertezza e insicurezza e allora
i processi formativi a loro volta possono:
• promuovere e favorire lo sviluppo della consapevolezza necessaria a leggere l’innovazione;
• fornire gli strumenti teorici e che possano guidare la costruzione o ridefinizione
degli attrezzi dei mestieri;
• cooperare per rivisitare le competenze, al fine di favorire nuove acquisizioni, o
consolidare e sviluppare quelle che appartengono, magari senza consapevolezza,
al proprio patrimonio esperienziale e professionale;
• riorientare il repertorio di convinzioni valoriali per stare nel mondo reale e virtuale che stiamo costruendo.
Vale per ogni ruolo che costruisce il servizio formativo.
33
Formare per formare nella complessità
Capitolo 2
I sistemi formativi nella complessità
Il processo di sviluppo e di ridefinizione dei sistemi formativi nella complessità può es-
sere interpretato in base all’evoluzione dei sistemi organizzativi in relazione alle variazioni che hanno caratterizzato l’ambiente socio-economico, politico e culturale nella prospettiva della qualità del servizio sviluppata nel primo capitolo del presente lavoro.
In questo capitolo si indicano gli aspetti sistemici che caratterizzano le variazioni ambientali e che possono essere considerate strutturali in quanto la fase evolutiva del
CEFMECTP si trova a confronto con un passaggio cruciale che il corso di formazione
ha consentito di focalizzare con i destinatari dell’attività formativa e, soprattutto, in una
rinnovata modalità di confronto fra i formatori e la Direzione Generale.
La dimensione socio-economica, quella politica e quella culturale, infatti, necessitano di
schemi specifici di analisi (De Maio e Patalano, 1995)38, che esulano dagli obiettivi del
presente lavoro ma hanno fatto da sfondo nel processo di monitoraggio fra la committenza e i responsabili del progetto di formazione39.
2.1. Innovazione e cambiamento
«Un problema fondamentale dello studio della trasformazione delle organizzazioni è costituito dal fatto che i contesti ambientali in cui esse operano sono soggetti
anch’essi ad un processo di trasformazione che si sviluppa ad una velocità sempre
più crescente e in direzione di una sempre maggiore complessità. Su questo punto di per sé non occorre comunque soffermarsi a lungo. Tuttavia, se si vuole realizzare qualche passo in avanti sul piano delle scienze del comportamento verso la
comprensione di molti avvenimenti che si stanno verificando ai giorni nostri, quali
conseguenze dell’evoluzione tecnologica, bisogna allora prendere in considerazione
anche le caratteristiche degli ambienti delle organizzazioni… In linea di massima si
può affermare che quello in termini di sistemi sembra essere l’approccio intellettuale più appropriato che si possa adottare quando i fenomeni allo studio (a qualsiasi
livello e in qualsiasi campo) mostrino un carattere organizzativo e quando la com-
34
38 In proposito, per approfondire questo processo si può confrontare il lavoro di Verona G.,
2000, che propone un’analisi accurata del contributo delle teorie economiche e delle discipline manageriali allo studio dei fattori di impresa, e De Masi e Pepe (a cura di), I modelli organizzativi tra conoscenza e realtà, «Sociologia del lavoro», 37, Franco Angeli, 1989, che riporta
i contributi sui fattori sociali e culturali che hanno influenzato lo sviluppo dell’impresa fino
agli inizi degli anni ’90.
39 Cfr. Morelli U., La passione e la maschera. Lavoro, potere, apprendimento. Guerini e Associati,
Milano, 2000.
Formare per formare nella complessità
prensione della natura dei loro rapporti d’interdipendenza costituisca l’obiettivo
della ricerca» (Emery F.E.,1985; Trist E.L., 1985, p. 268)40.
D’altra parte anche una persona è un sistema: «…una persona è un’organizzazione complessa e unitaria, intimamente fusa con il proprio ambiente e costituita da componenti e
processi biologici, psicologici, di azione. In quanto sistema aperto, poi, l’esistenza le modalità di funzionamento e lo sviluppo dell’individuo si fondano su continui interscambi
energetico-materiali e di informazioni con l’ambiente. Ciò significa che ogni struttura,
ogni processo, ogni complessa modalità di organizzazione è di necessità soggetta a mutamenti, dato che nessuna di tali entità è immune da scambi di informazioni, di materia
o di energia: in altri termini, ogni cosa può cambiare, sia nell’individuo, sia nell’ambiente» (Ford D.H., Lerner R.M., 199541, p. 173). In altri termini:
«Di fatto noi tutti siamo circondati da sistemi; ne facciamo anzi parte, quando essi non
sono addirittura parte di noi stessi: la terra appartiene al sistema solare, l’uomo costruisce sistemi politici e sociali; opera all’interno di sistemi economici; è condizionato dai
propri sistemi interni come il sistema nervoso, circolatorio, ecc. Tutte queste cose condividono la proprietà di essere insiemi di parti variamente ma efficacemente collegate»
(The Open University, 1979, p.11).42
Dunque, individuate le strutture, cioè l’insieme dei componenti del sistema e le funzioni43, si possono individuare i pattern principali.
Le considerazioni che seguono si riferiscono prevalentemente alla realtà delle organizzazioni operanti nel mercato economico44. «I modelli più diffusi concordano sul fatto che
le aziende di successo sono quelle che meglio interpretano, anche in senso anticipativo, le esigenze, i vincoli, le opportunità presenti nell’ambiente. La letteratura ha messo
ampiamente in evidenza che la caratteristica rilevante attraverso cui si può leggere l’ambiente esterno è il suo livello di turbolenza, identificabile in termini di velocità, novità
40 Emery F.E., Trist E.L., Il carattere causale degli ambienti organizzativi, in Emery F.E. (a cura
di), La teoria dei sistemi, Franco Angeli, Milano, 1985.
41 Ford D.H., Lerner R.M.,Teoria dei sistemi evoluti, Raffaello Cortina, Milano, 1995.
42 The Open University, L’analisi dei sistemi, comportamento, regolazione e controllo, Mondadori,
Milano, 1979.
43 Crf. Tavola di approfondimento a p. 37.
44 In particolare, poiché la ricerca si riferisce a un’azienda che opera nel mercato finanziario, non
vengono prese in esame le analisi di scenario relative alle imprese non-profit. Alcune delle elaborazioni relative all’impresa come sistema e ai paradigmi dell’organizzazione, alle dinamiche
evolutive nel contesto socio-economico che si stanno sempre di più configurando secondo i
canoni della complessità, trovano comunque implicazioni dirette anche in queste imprese.
35
Formare per formare nella complessità
e, quindi, complessità» (De Maio, 1995, p. 42)45. La velocità del cambiamento richiede tempi di reazione estremamente contratti; l’innovazione comporta una revisione del
ruolo dell’esperienza e della storia in quanto portatori di prassi consolidate che come tali
sono entrate nel sapere innestato, a risposta meccanica che rischia di entrare in azione a
prescindere dall’analisi di realtà qui e ora, portando con sé materiali arcaici che possono
risultare da ostacolo, freno e resistenza al cambiamento necessario al mantenimento del
successo o alla sua riformulazione.
36
45 De Maio, A., Innovazione dei modelli manageriali e di controllo, in De Maio A., Patalano C. (a
cura di), Modelli organizzativi e di controllo nel sistema bancario, EDIBANK, Milano, 1995.
Formare per formare nella complessità
Tavola di approfondimento
Aspetti funzionali di un sistema46
Gli aspetti funzionali di un sistema si riferiscono a quello che è lo scopo di una
componente o di un insieme di componenti fra loro correlate. Nella teoria dei
sistemi, gli aspetti relativi allo scopo del sistema sono definiti teleologici. Nel sistema uomo le interconnessioni investono sfere della conoscenza che si possono riportare alla filosofia, alla psicologia, alla biologia, alla sociologia… Nei sistemi meccanici ci si può spesso ricondurre a relazioni evidenti di tipo causale e di
conseguenza gli aspetti teleologici sono più facilmente orientabili alle azioni, alle
attività, alle operazioni, determinando pattern comportamentali più governabili.
Ricondurre alla teoria dei sistemi l’interpretazione di alcuni fenomeni specificatamente umani ha comportato anche un riduzionismo di tipo meccanicistico che
il neocognitivismo e le più recenti teorie informazionali hanno ridimensionato.(i
pattern comportamentali possono essere definiti come insiemi di schemi che producono traiettorie, cioè insiemi di stati successivi del sistema, che seguono regole
o fenomeni di tipo prevalentemente prevedibile). Cfr. Ford D.H., Lerner R.M., op.
cit., cap. 2); Hemery F.E. (a cura di), op. cit., cap. 8.
…È evidente che il senso della parola “funzione” non coincide con il significato che
essa assume quando è impiegata nell’analisi matematica e nelle sue varie applicazioni speciali. In matematica la funzione è una classe di coppie ordinate di elementi (y, x) in cui i valori delle coppie che sono valori della variabile x (la variabile cosiddetta “indipendente”) sono chiamati “argomenti”, mentre quelli che sono
valori della variabile y (quella cosiddetta “dipendente”) sono valori “corrispondenti alle” x. Dire quindi che una certa variabile è una funzione di un’altra significa, in
questo senso, asserire che esiste una regola, una relazione, una legge che può determinare i valori della variabile dipendente partendo da quelli della variabile indipendente di una data serie. Ma dire che la funzione di un certo organo di un organismo vivente (o di una certa parte di macchina) è così e così significa asserire
46 Rielaborato da Nagel E., Una formalizzazione del funzionalismo, in Emery F.E., op. cit., pp.
331-336.
37
Formare per formare nella complessità
38
che l’organo e alcune delle sue attività sono strumentali ai fini del mantenimento
di un certo stato o di un determinato processo dell’organismo, sicché l’organo e il
suo comportamento sono i fattori causali dello stato o del processo di cui trattasi… Tuttavia, gli stessi biologi userebbero la parola “funzione” in modi assai diversi tra loro. A volte, essi adoperano questo termine in contesti come: “la funzione
di un organo”, per far riferimento al ruolo che l’organo svolge nel determinato sistema di cui fa parte… oppure lo usano in contesti come: “il funzionamento di un
organo”, per indicare alcuni o tutti i processi che si verificano in quel determinato
organo in cui la funzione intesa nel senso dei processi di cui trattasi può, o meno,
essere specificata…
Così pure, nonostante l’impiego ricorrente di espressioni come: “al fine di” oppure “allo scopo di”, nella formulazione delle analisi funzionali compiute dai biologi,
esse non debbono essere intese come implicanti un’idea di obiettivi coscienti o di
fini deliberati nell’attività dei processi organici. In sostanza, i ruoli che le parti organiche svolgerebbero in un certo sistema non debbono essere intesi come se si trattasse degli agenti causali del comportamento delle parti medesime. La differenza
tra una formulazione funzionale e una non funzionale sta quindi nell’enfasi selettiva che si esprime in essa ed è del tutto paragonabile a quella tra dire che B è l’effetto di A e dire che A è la condizione (o la causa) perché B si verifichi… Nel caso delle
scienze fisiche le proprietà e le attività dei sistemi dipendono da una serie di fattori
in modo tale per cui, quando questi fattori subiscono una qualsiasi variazione considerevole, le proprietà e le attività del sistema vengono meno. Nel caso della biologia, invece, i sistemi sembrano in grado di automantenersi per quanto concerne la
manifestazione costante di certi loro tratti peculiari; e ciò, nonostante il verificarsi di
variazioni alquanto consistenti a carico dei fattori da cui tali tratti peculiari dipendono casualmente. Ad esempio, la temperatura di una pietra oscillerà di concerto con
la temperatura dell’ambiente in cui essa è posta. Viceversa, nel caso della temperatura dell’organismo umano, grazie ai meccanismi di regolazione di cui esso è dotato, questa potrà rimanere sempre a un livello abbastanza costante,
nonostante le cospicue variazioni che si possono registrare nella
temperatura ambientale. Pertanto, le affermazioni funzionali
sono viste come pertinenti ai sistemi dotati di meccanismi
per l’automantenimento di certi loro tratti caratteristici,
ma sembrano superflue e addirittura fuorvianti quando
utilizzate con riferimento a quei sistemi in cui mancano
tali dispositivi d’autoregolazione…
Passiamo ora ad esaminare più attentamente la caratteristica generale dei sistemi cosiddetti “organizzati teleologicamente” (a volte indicati come sistemi “finalizzati”). Il cor-
Formare per formare nella complessità
po umano è capace di conservare molte caratteristiche
in uno stato abbastanza costante (o stazionario), chiamato omeostasi, grazie ai vari meccanismi fisiologici
tra loro coordinati di cui esso è dotato… Diciamo che
S sia un tale sistema e che E ne sia l’ambiente “esterno”.
In che modo si debba tracciare la linea di demarcazione tra
S ed E non ci deve interessare: si tratta di un problema che
deve essere risolto sulla base di fatti particolari, caso per caso,
anche se è pensabile che a volte la linea di demarcazione tra sistema e ambiente possa essere tracciata in modo del tutto arbitrario. Supponiamo che S sia un sistema “funzionale” (oppure “capace di automantenersi”
oppure “organizzato teleologicamente” oppure “finalizzato”) per quanto concerne
una certa sua caratteristica G (che può essere una sua proprietà, un suo stato, un
suo processo). Ossia, o S possiede G in un certo momento o per un certo periodo o S subisce una serie di alterazioni conducenti a G, per cui S viene conservato
nello stato G oppure in una fase evolutiva tesa a fargli acquisire G, nonostante la
gamma alquanto vasta di cambiamenti sia di E, sia di certe parti di S stesso. In tal
modo non facciamo altro che presumere che in S esista un qualche meccanismo
capace di produrre effetti tali da compensare i cambiamenti di cui sopra e che,
mancandogli questi meccanismi, esso cesserebbe di possedere G o la tendenza
ad acquisirlo. Il nostro obiettivo in questa sede sarà appunto quello di rendere più
articolato questo presupposto. È infatti della massima importanza specificare in
ogni caso concreto tanto il sistema S quanto il suo tratto caratteristico G e ciò perché in primo luogo un sistema può essere capace di automantenersi in relazione
a una certa sua caratteristica ma non rispetto a certe altre. Pertanto, l’organismo
umano mostra un comportamento omeostatico in relazione alla propria temperatura interna, ma, a quanto pare, non fa altrettanto in rapporto al diametro dell’iride dell’occhio. In secondo luogo, S, organizzato teleologicamente rispetto a G,
può fare parte di un sistema più ampio S’ che, per parte sua, può non esserlo. In
terzo luogo, possono esistere parecchi G nei cui confronti S risulta essere un sistema funzionale. Ciò nonostante, come apparirà più chiaro in seguito, le circostanze in cui S sa automantenersi in relazione ad alcuni G possono non coincidere con
quelle in cui esso sa fare altrettanto in relazione agli altri G. Inoltre, alcuni G nei cui
confronti S è in grado di automantenersi possono costituire un certo tipo di “gerarchia”, la quale può fondarsi su relazioni di dipendenza causale, di precedenza
temporale, di specificità, d’importanza relativa rispetto a una certa scala di valori,
ecc., mentre le condizioni in cui S sa automantenersi rispetto ad un componente
della gerarchia possono o meno essere compatibili con il suo automantenimento
in relazione a un altro componente della gerarchia…
39
Formare per formare nella complessità
40
«La complessità implica l’aumento delle dimensioni, delle variabili e delle possibili interrelazioni e interdipendenze da considerare. In particolare ciò rende non solo difficile,
per non dire impossibile, isolare parti del sistema considerato, ma accentua anche il legame e le interazioni temporali fra diversi fenomeni. Velocità, novità, complessità, che
caratterizzano globalmente la nostra epoca, riguardano sia aspetti tecnologici, economici, sociali e politici, sia fattori spaziali, ecologici, valoriali e così via.
L’aumento di turbolenza si traduce, dunque, in una maggiore difficoltà di gestione e, soprattutto, nell’incertezza sugli effetti delle decisioni prese: paradossalmente l’unica cosa
di cui si può essere certi è infatti che la strategia adottata oggi dovrà essere cambiata domani, quanto più ha dimostrato di aver successo. Allo stesso tempo l’aumento di turbolenza significa crescita a dismisura delle opportunità in quanto, dilatandosi il campo
delle possibilità, si ampliano lo spazio per la creatività, la fantasia, l’innovatività. La persistenza e compresenza di questi fenomeni si traduce nella necessità per l’organizzazione di dotarsi di un modello interpretativo più “alto” che permetta di affrontarli efficacemente e aiuti a scartare indicazioni operative o soluzioni eccessivamente semplicistiche
o troppo parziali» (De Maio, 1995, op. cit., p. 42). Dall’auspicio di aziende di piccole
dimensioni, capaci di flessibilità e velocità, si è passati allo sviluppo di aziende in grado
di assumere grandi dimensioni attraverso forme ibride di organizzazione quali l’aziendarete, le configurazioni stellari e così via. La concentrazione e la competizione nel mercato globale condizionano oggi questa dinamica di sviluppo delle imprese nei vari settori
merceologici e nella produzione dei servizi
Risulta, dalla letteratura, che è molto difficile in questa fase di riformulazione dei paradigmi dell’economia stabilire delle correlazioni fra il successo e le dimensioni dell’impresa. Infatti anche i modelli di tipo comportamentista, che hanno indagato il successo osservando puntualmente i comportamenti dei singoli manager oppure le regole gestionali
di singole aziende e hanno cercato di ricavarne delle “ricette” più generali, hanno avuto
breve vita. La conoscenza tacita che le ha caratterizzate non è stata ricondotta a sistema
per problemi metodologici ma anche per la difficoltà a codificare in un linguaggio esterno le condizioni interne. Il modello dimensionale e quello dei comportamenti manageriali si sono rivelati insoddisfacenti. «L’aumento della turbolenza ambientale può quindi
essere letto in termini di cambiamenti più rapidi, più imprevedibili, più articolati del
passato. Di conseguenza l’azienda di successo è quella che meglio di altre è in grado di
interpretare l’ambiente e che, dunque, meglio di altre sa innovare e adattarsi. La capacità
di gestire, a tutti i livelli, l’innovazione è perciò, in un ambiente sempre più turbolento,
la causa prima (ancorché non unica) del successo» (De Maio, 1995, op. cit., p. 43).
Un modello interpretativo generale dovrebbe consentire di spiegare i diversi fenomeni
innovativi o quantomeno ricondurli a schemi interpretativi che seppur non completamente riconducibili a rappresentazioni esplicative, ne consenta la comunicabilità e possa
essere da orientamento nella lettura degli effetti.
Formare per formare nella complessità
All’interno del sistema formativo vengono gestite tre tipologie di intervento che rientrano
nella gestione del processi di innovazione. Si fa riferimento alla proposta di De Maio (op. cit.,
1995), che pone la gestione dell’organizzazione in riferimento a tre tipologie di intervento:
a. gestione della routine;
b. innovazione continua;
c. salti di innovazione.
Si può ipotizzare che l’impatto nei processi di apprendimento di ciascun tipo di innovazione necessita della determinazione delle linee di demarcazione fra conservazione, evoluzione e trasformazione dei saperi, all’interno di un sistema dinamico aperto e, di conseguenza, i servizi formativi acquistano un valore funzionale per lo sviluppo del sistema
organizzativo e del mercato47.
a. La gestione della routine è la componente che rappresenta il modo di operare corrente, le regole del gioco cui si devono attenere le attività quotidiane. Non si attribuisce al termine “routine” la connotazione negativa di attività ripetitiva inconsapevole
e acritica.
b. L’innovazione continua è la componente che indica quegli aggiustamenti minimali
che si attuano con continuità e producono il mantenimento degli standard di qualità
sulla base delle sollecitazioni continue dell’ambiente o di microdecisioni di intervento
sulle leve gestionali di tipo:
• b.1. sociale:
-- gestione dei gruppi professionali
-- stile di direzione
-- tipologie di relazione
-- clima e valori
47 Alcune affermazioni molto frequenti quando si presenta anche una minima innovazione,
spesso, contengono degli impliciti di generalizzazione. Per esempio: “Cambia tutto…”,
“Niente è stabile…”, “È tutto un caos…”, “È tutto da rivedere…”, “È così da sempre…”
sono espressioni che confrontate opportunamente attivano il pensiero adulto, il pensiero che
orienta all’osservazione, alla raccolta dei dati, al confronto che utilizza opportuni criteri, magari condivisi, all’analisi, alla valutazione e, perché no!, al giudizio. Ma il giudizio in questo
caso è l’atto finale di un processo cognitivo controllato da una procedura, da uno schema che
tende a ridurre gli effetti negativi del pensiero magico.
41
Formare per formare nella complessità
-- coordinamento formale e informale
-- impostazione dei processi produttivi
• b.2. conoscitivo:
-- qualità
-- formazione
-- tutorship
-- training on the job
-- coaching
-- counselling educativo e formativo.
L’innovazione continua è un atteggiamento culturale e mentale e non semplicemente un
insieme di tecniche, di strumenti, di metodi operativi che consentono di realizzarla e che
sono a loro volta in continua evoluzione e affinamento. La gestione dell’innovazione continua, infatti, comporta la diffusione a tutti i livelli della consapevolezza che ogni cosa è
costantemente migliorabile anche se sono stati conseguiti risultati apprezzabili e richiede
ciascuno sia messo nella condizione di avere un propria quota di responsabilità nel processo di cambiamento. Sono evidenti gli impatti di questo atteggiamento mentale su alcune
regole consolidate, sul concetto stesso di gerarchia e di autorità, sui modi della partecipazione che richiedono forme di proattività e responsabilizzazione sui sistemi di comunicazione interna, sul patto consolidato delle rapporto persona/ruolo/gruppo.
Il miglioramento continuo è alla base dell’approccio centrato sulla qualità del servizio
(Trivero, A., 1990, op. cit., p. 46).
c. Salti di innovazione. È la componente che riguarda i grandi cambiamenti ovvero l’innovazione che, esercitando impatti molti ampi, profondi e non circoscritti, segna un salto di continuità e produce un cambiamento radicale; in questo senso è detta anche discontinua.
Essa è relativa, per esempio, all’introduzione nel mercato di nuovi prodotti o servizi, nuove
tecnologie da utilizzare, nuovi modelli organizzativi, nuovi canali di distribuzione. L’impatto è sulle decisioni di intervento sulle leve gestionali di tipo sociale e conoscitivo descritte sopra, con modalità più approfondite e con metodologie pertinenti, ma ancor di più sulle leve strutturali che in effetti altro non sono che le macrovariabili del sistema azienda:
42
•
•
•
•
•
•
attribuzione di compiti/obiettivi;
definizione di ruoli e di posizioni organizzative;
sistema delle deleghe;
sistema di controllo;
sistema di valutazione delle competenze, del potenziale e della prestazione;
modelli di project management.
Formare per formare nella complessità
Sui salti di innovazione l’osservazione centrale è che essendo una componente discontinua è interpretabile come un progetto complesso e di conseguenza gli elementi costitutivi delle attività di innovazione hanno una forte analogia con le attività di un progetto:
•
•
•
•
la rilevanza della committenza;
la centralità dell’individuazione degli obiettivi e dei vincoli;
la criticità della pianificazione;
la necessità di sviluppare meccanismi di monitoraggio e di regolazione.
Quanto più infatti l’innovazione continua è diffusa e profondamente interiorizzata,
quanto più un progetto di innovazione non sconvolge la routine; tenendo cioè conto
dei problemi del rilascio dell’innovazione, il trasferimento diventa un fatto automatico48.
È difficile inserire l’innovazione nella gestione corrente se l’innovazione stessa non è stata
pensata e progettata nell’ottica della sua concreta operabilità49.
Per finire, lo schema considera anche un quarto aspetto molto rilevante da tenere presente: il trasferimento dell’innovazione continua e di quella discontinua verso l’attività
corrente e la loro traduzione in routine. Ciò pone l’interessante problema organizzativo
di cosa significhi “essere in grado di gestire efficacemente e con efficienza l’innovazione”
«… Disegnare i confini di specializzazione più convenienti per le unità organizzative di
base, le cosiddette funzioni organizzative; individuare i raggruppamenti più omogenei
di macroattività per governare al meglio il rapporto con l’esterno, identificando così ad
esempio le Divisioni, le Business Unit e così via; definire le regole di funzionamento più
appropriate, a esempio in termini di raggiungimento di obiettivi specifici, di controllo
incrociato tra funzioni, di limiti di responsabilità, autonomia, autorità, linee gerarchiche. Tuttavia, in condizioni di aumento di turbolenza il modello che punta sulla differenziazione va incontro a notevoli difficoltà, in quanto varia frequentemente sia l’aggregazione più efficiente di specializzazioni sia, soprattutto, l’insieme delle regole del gioco.
I criteri di aggregazione devono essere quindi sostanzialmente mutati dal momento che
il fattore da tenere sotto controllo non è più tanto l’efficienza con cui si svolge un’attivi-
48 Si può interpretare questa routine generatrice di integrazione continua dell’innovazione nella
routine come un processo metacognitivo insito in una “mappa cognitiva dell’organizzazione”. D’altra parte l’apprendere per tutta la vita, lifelong learning, nella società conoscitiva, ha
introdotto per l’individuo lo sviluppo di competenze metacognitive, cioè di autocontrollo
delle proprie strategie di apprendimento che potrebbero essere ricondotte al lifelong learning
dell’organizzazione.
49 Cfr. De Maio A. et alii, Gestire l’innovazione e innovare la gestione. Teoria del project management, Etas Libri, Milano, 1994
43
Formare per formare nella complessità
tà quanto piuttosto l’efficacia complessiva rispetto al fruitore dell’output. Infatti la globalizzazione del mercato produce una variazione rapida e continua dei criteri con cui il
fruitore valuta i prodotti/servizi offerti.
Si passa quindi da un orientamento alla specializzazione o alla funzione a un orientamento
al processo o all’integrazione. Il processo rappresenta il componente elementare del disegno organizzativo-gestionale e costituisce il fuoco e il punto di osservazione con cui ripensare le regole organizzative. Da un lato infatti esso comporta che siano individuati tutti gli
attori che concorrono alla produzione dell’output del processo considerato – indipendentemente dal fatto che siano appartenenti a unità organizzative differenti o che, addirittura,
siano enti diversi come ad esempio i fornitori – e che tali attori debbano essere visti come
“soci” all’interno del processo. Dall’altro, a prescindere dal fatto che i destinatari dell’output siano interni o esterni all’organizzazione considerata, essi devono comunque essere
sempre trattati come clienti, in grado cioè di apprezzare e concorrere a definire la qualità
dell’output. Questa logica di processo ha portato a una serie di cambiamenti sostanziali in
modelli che si ritenevano immutabili. L’affermarsi di questa logica di processo sta alla base
di gran parte delle tecniche e delle soluzioni organizzative che sono state recentemente tradotte in un numero ampio di imprese» (Di Maio, 1995, op. cit., p. 46).
2.2. Le motivazioni al cambiamento
Si propone, in questo paragrafo, una rilevante elaborazione sulle quattro motivazioni più
frequenti che inducono le organizzazioni al cambiamento, allo scopo di sottolineare come
nell’esperienza del CEFMECTP questi approcci siano compresenti in modo tacito e il fatto
di averli resi in buona parte espliciti ha consentito di orientare l’attenzione alla ridefinizione
del proprio modello organizzativo e della vision del mercato sia dal punto di vista istituzionale, sia dal punto di vista delle dinamiche di riorientamento verso la cultura del servizio.
44
1. Cambiamento per ripetizione. È il modello tradizionale orientato a controllare le prestazioni
produttive e quindi le conoscenze tecniche, focalizzato sulla ripetizione continua e sulla riduzione degli errori attraverso l’apprendimento di routine applicative. La motivazione prevalente in questi ambienti è quella di ripetere “bene” per non sbagliare e, di conseguenza, l’innovazione è vista principalmente come occasione di errori e fonte di guai. Perciò a fronte della
ripetizione di errori, si verifica anche a livello organizzativo il fenomeno noto a livello individuale come “impotenza appresa” o “learned help lessness” (Boscolo, 1997, p. 170).
In questa patologia cognitiva, i soggetti, nonostante alcuni successi iniziali, reagiscono
ad errori e difficoltà successive come se essi fossero insormontabili e li attribuiscono
alla loro mancanza di abilità; pensano dunque di non avere abilità ad imparare e imparano in sostanza ad essere impotenti.
Le classiche “resistenze al cambiamento organizzativo” sono in larga misura attribuibili
a questa patologia.
Formare per formare nella complessità
2. Cambiamento per minor fatica. In questo modello si riproducono alcuni elementi
del modello precedente (in particolare l’idea che non si riuscirà a risolvere il problema da soli imparando), ma l’esito è diverso ed è basato sullo spostamento del
problema.
Se non sono capace di imparare posso o “copiare” o “comprare”, perché in ogni caso ho
paura di non riuscire a imparare; l’impotenza viene così rimossa attraverso la mercificazione della conoscenza e la sua acquisizione indiretta.
Mentre a livello individuale c’è il fenomeno dell’acquisto della “tesi di laurea”, a livello organizzativo la soluzione tipica è l’outsourcing, l’acquisto di brevetti, lo spionaggio industriale o
il reverse engineeering, cioè lo studio di soluzioni degli altri “smontando” i prodotti.
La patologia è dunque nella rimozione del problema e il rischio è di “copiare male ” o di
non sapere usare le competenze degli altri.
3. Cambiamento per ricombinazione modulare. In questi casi si verifica l’orientamento
alla cognizione che, a livello individuale, è indicato come “orientamento alla padronanza” (Boscolo, 1997, p. 170), In tale orientamento si ha un atteggiamento positivo nei
confronti dell’insuccesso e si ricercano nuove strategie di soluzione perché si considera
che l’abilità, necessaria per risolvere un problema, è qualcosa che si può imparare, impegnandosi. Il sistema organizzativo, in questi casi, spingerà per l’individuazione di nuove
soluzioni, che riguarderanno principalmente le strategie cognitive e non tanto la singola
routine o schemi operativi, e farà leva, come strumento di mobilitazione, sull’amor proprio e sulla sfida a riuscire a imparare nuove strategie. Il rischio (e la patologia) è quello
di realizzare solo uno sforzo di studio e di apprendimento, senza finalità e senza risultati positivi; sono i fenomeni noti a livello individuale come volontarismo nello studio o
attivismo del conoscere. Spesso le organizzazioni confondono l’apprendimento di nuovi
contenuti tecnici e di nuovi schemi operativi con la strategia cognitiva che è invece un
fenomeno dell’organizzazione.
4. Cambiamento per riconfigurazione continua. Si verifica anche in questo caso l’orientamento alla padronanza cognitiva, evidenziato per il modello precedente, con una più
forte accentuazione della motivazione alla responsabilità sociale, nella forte integrazione con i subfornitori che riconoscono il ruolo di leadership dell’azienda. La controparte
individuale di questo fenomeno è esemplificata dal Boscolo con gli studenti, che oltre
ad avere successo negli studi, sono amati dagli altri compagni per i loro comportamenti
prosociali tesi a favorire l’apprendimento di tutti. A questi casi di responsabilità sociale
si può attribuire anche l’aumento delle prestazioni cognitive dell’intera classe e in generale il maggior scambio tra singolo e gruppo (Boscolo 1997, p. 175).
Inoltre, i contenuti di apprendimento riguardano non la singola routine e schemi
operativi, ma soprattutto le strategie e gli stessi elementi di controllo dell’appren-
45
Formare per formare nella complessità
dimento. Infatti è proprio la elevata consapevolezza di questi elementi che consente
la elaborazione dei repertori di strategie produttive e la loro selezione più adeguata. La patologia correlata è individuabile nel senso di onnipotenza generato dalla abilità a cambiare come fonte di successo e della connessa paura di smettere di
cambiare.
2.3. L’organizzazione che impara
Il CEFMECTP, dunque, si è posto come un’organizzazione che pone l’innovazione
come un riferimento per il proprio sviluppo strategico. Ciò consente di prendere in esame l’organizzazione come unità produttiva sempre più frequentemente rappresentata da
professionalità che interagiscono, in modo temporaneo o definitivo, spesso a prescindere
dai contenuti e dalle interazioni organizzative codificate e strutturali che costituiscono il
repertorio di routine consolidate.
Per il CEFMECTP si può parlare, così, di learning organization (Senge, 1990)50, in
relazione a uno degli assunti che consiste nel considerare le strutture sociali come
un costrutto artificiale e umano in un momento della storia dell’economia in cui le
imprese hanno la necessità di introdurre modelli organizzativi centrati su una maggiore partecipazione degli individui a processi organizzativi che hanno impatti diretti nei processi decisionali.
Come è noto, saperi dei singoli e saperi dell’organizzazione potrebbero essere considerati due fattori che convergono verso l’idea che conoscere non consiste unicamente nello
scoprire o rilevare ciò che: “… lo sapevo… abbiamo sempre fatto così…”51 ma, anche,
nel progettare nuove strutture in una dimensione sociale che si situi in un alveo organizzativo già preesistente che può fare da incubatore dell’identità dei ruoli organizzativi
ridefiniti e conferire la possibilità di interrelare e interconnettere il sistema organizzativo
e l’ambiente secondo finalità riconoscibili.
46
50 A questo proposito Senge (1990), op. cit., introduce il termine Quinta Disciplina. Il suo testo,
che porta lo stesso titolo, rappresenta uno dei riferimenti per lo sviluppo dei principi della learning organization, che ha trovato accoglienza sia per gli indirizzi pragmatici alla lettura delle organizzazioni intese come “oggetti” capaci di apprendere, sia teorici, nell’ambito dello studio dei
modelli organizzativi necessari affinché le organizzazioni possano essere capaci di apprendere.
51 Si tratta di due affermazioni che fanno, spesso, constatare una forma di difesa dei propri saperi. Ogni caso è uno e il significato inteso o il messaggio implicito va rilevato in ogni situazione. Non si tratta quindi di una generalizzazione. Si sottolinea che la difesa dei saperi riletta
anche come difesa della propria identità professionale e della tendenza a ricondurre il confronto ai propri schemi viene proposta con il beneficio del riferirsi a situazioni molto frequenti osservate e rilevate.
Formare per formare nella complessità
La conoscenza, nelle organizzazioni, dal fordismo al post-fordismo, è stata oggetto di studio e ricerca anche all’interno di quel filone che prende il nome di knowledge management
(KM). Secondo questa interpretazione la ricerca compiuta negli ultimi dieci anni si conclude con il rovesciamento del paradigma tradizionale del rapporto tra le imprese e le conoscenze: le conoscenze, da “oggetti” acquisibili e immagazzinabili come altre risorse materiali aziendali, diventano risorse da vagliare alle stregua di altre risorse materiali e immateriali all’interno di una “natura relazionale e processuale della risorsa conoscenza”. Infatti:
«… la conoscenza è il processo individuale e organizzativo con il quale i problemi vengono
continuamente definiti, scomposti, modificati, ristrutturati. Le pratiche di KM, per assumere un ruolo autonomo rispetto agli altri sistemi operativi dell’impresa, devono essere in
grado di creare valore facendo leva su questa dimensione processuale ed endogena all’individuo e all’organizzazione della conoscenza» (Venier, 1998,)52.
Le conoscenze possono essere viste come un “asset” o capitale intangibile che viene utilizzato dall’impresa per creare, mantenere competitivi, offrire i propri prodotti/servizi.
Se si parla di learning organization, può essere utile considerare il patrimonio delle conoscenze come insieme di componenti del “capitale intangibile” dell’impresa. Inoltre con
una analogia con il patrimonio di conoscenze dell’individuo, si può parlare di:
• abilità gestionali e valori organizzativi, cioè conoscenze per supportare il dispiegamento coordinato degli “asset” tangibili e intangibili che possono consentire
all’azienda di raggiungere i propri obiettivi strategici e operativi. Si riconducono, in particolare, ai sistemi di coordinamento e controllo, ai valori diffusi, ai
metodi gestionali, alle tecniche manageriali…
• schemi di conoscenza-azione operativa, ripetibile nell’uso di asset ai fini di creare,
produrre e offrire prodotti/servizi per il mercato di riferimento. Si riconducono, in particolare a schemi cognitivi di gestione delle tecnologie, dei flussi, del
mercato, del prodotto, dei servizi…
• schemi di conoscenza-azione specifici, utilizzabili in contesti specialistici o relativi
all’uso di asset specialistici. Si riconducono in particolare a schemi cognitivi di
indagine diagnostica, di progettazione, di rassegna e ideazione, di marketing e
di manutenzione…
• insiemi di credenze, relativi sia al “potere” interno che al funzionamento dell’organizzazione (obiettivi e politiche), sia al rapporto di causa-effetto tra i fenomeni implicati riguardanti tecnologie, mercati, clienti, materie prime.
52 Venier F., Knowledge Management “Sviluppo e Organizzazione”, 1998, n. 178.
47
Formare per formare nella complessità
Secondo alcuni autori53, l’affermazione che l’organizzazione impara è una contraddizione di termini, in quanto a imparare sono comunque le persone.
Se le organizzazioni apprendono solo attraverso i componenti del gruppo, è anche vero
che essi imparano attraverso l’esperienza sviluppata nelle situazioni organizzate. L’esistenza di questa differenza è tra l’altro dimostrata dal fatto che le organizzazioni non
possono apprendere senza l’esperienza e le azioni dei singoli individui, ma non imparano tutto quello che gli individui apprendono (Argyris-Schon, 1978).
Questo paradosso è spesso presente in letteratura e costituisce una difficoltà ben nota ai ricercatori. Alcuni hanno tentato di superarla approfondendo il ciclo dell’apprendimento individuale e considerando per analogia quello organizzativo, mentre altri hanno puntato sullo
studio delle dinamiche psicosociali dei gruppi per evidenziare le resistenze al cambiamento.
Riteniamo invece che la soluzione vada ricercata nello studio della relazione tra persona
e gruppo organizzato e nel complesso scambio che la caratterizza. Per superare il paradosso e altre difficoltà, è dunque necessario focalizzarsi sulla relazione che si instaura tra
singola persona e gruppo, all’interno dell’organizzazione, e che sta alla base dei sistemi
di apprendimento.
Il sistema formativo dà forma e condiziona il tipo di apprendimento realizzabile da una
organizzazione, ma la trasformazione dell’innovazione in cambiamento, quindi la capacità di apprendere dell’organizzazione, è strettamente collegata alle capacità e alla motivazione di apprendimento dei singoli.
Pertanto l’apprendimento organizzativo può essere descritto e spiegato evidenziando:
• il legame di interdipendenza tra individuo e gruppo organizzato;
• le regole che governano lo scambio di competenze;
• le capacità, le conoscenze, gli atteggiamenti e le aspettative che caratterizzano il
ruolo professionale di ciascuno nella rete dei ruoli;
• i contenuti conoscitivi necessari al funzionamento organizzativo.
L’idea che l’organizzazione non si limiti all’uso e allo scambio delle conoscenze ma le
produca essa stessa e che possa essere considerata come uno strumento conoscitivo, che
utilizza modelli di sperimentazione scientifica è una tesi attualmente molto dibattuta e
sviluppata, sia nelle discipline economiche sia in quelle manageriali.
Nelle scienze economiche si fa sempre più pressante l’esigenza di elaborare una sorta di
«economia della conoscenza» che riesca a collegare la «teoria tradizionale del comporta-
48
53 Si può ritrovare una interessante rassegna di vari punti di vista in proposito in un articolo di
Camuffo A., Competenze. La gestione delle risorse umane tra conoscenza individuale e conoscenza organizzativa, “Economia & Management”, n. 2, 1996, ETAS.
Formare per formare nella complessità
mento economico con gli strumenti cognitivi sottili, ossia differenziati e flessibili, che
i soggetti economici devono impiegare per agire razionalmente in un mondo a elevata
complessità» (Rullani, 1994).
Nelle scienze manageriali la necessità di costruire e gestire organizzazioni che siano
non solo flessibili e adattabili ma anche in grado di elaborare autonomamente nuovi
percorsi e nuovi modelli produttivi è vista come uno degli obiettivi attuali di maggior rilievo (Senge, 1992). Alcuni recenti contributi individuano nella capacità di
elaborare nuove conoscenze uno dei tratti più notevoli delle organizzazioni innovative e approfondiscono il tema rappresentando il ciclo cognitivo come un processo evolutivo che si svolge lungo due assi: quello del passaggio da implicito a esplicito e quello del circuito individuo-gruppo-individuo. Quest’ultimo è considerato
come un vero e proprio processo di conversione delle conoscenze individuali in conoscenze che vengono socializzate, esplicitate, formalizzate, combinate con quelle
di altri gruppi o persone e, infine, rese attive e nuovamente interiorizzate dai singoli
(Nonaka, 1997, p. 97)54.
2.4. Creazione della conoscenza e apprendimento55
Il modo in cui le competenze si formano, si sviluppano, si diffondono e si stratificano
nell’organizzazione è oggetto del sistema formativo.
Ciò si verifica sia nel caso in cui si conferma un sapere tacito che si è esternato mediante
un processo di consapevolezza, sia nel caso in cui un sapere dell’innovazione, della cui
incompetenza si era consapevoli, necessiti di un piano di apprendimento e di sperimentazione guidata e così via.
In ogni caso occorre che la conoscenza sia:
•
•
•
•
riconoscibile;
rilevabile/creabile;
correlabile ai processi di produzione del servizio;
generatrice di competenze.
Per la costituzione di un sistema formativo alcuni elementi portanti di decisione, oltre ai paradigmi dell’organizzazione, si possono ricercare in senso più ampio nell’ambito della teoria dell’organizzazione (organization theory). Con specifico riferimento
alla dinamica sottostante alla creazione delle competenze, la conoscenza è vista come
54 Nonaka I., Takeuchi H., 1997.
55 Una ricognizione accurata dello spettro semantico del termine “conoscenza” nei contesti organizzativi e nell’evoluzione storica del loro sviluppo si trova in Lanza A., 2000.
49
Formare per formare nella complessità
risorsa, analizzata nelle sue componenti dinamica e relazionale e i rapporti che la legano alla struttura organizzativa sono oggetto di numerosi studi56 e interpretazioni.
In particolare un modello che ha trovato ampi consensi interpretativi e applicativi è
quello di Nonaka57 che prevede che la conoscenza non venga solo distribuita nell’organizzazione ma anche prodotta, creata al suo interno tramite l’agire organizzativo
dei soggetti. «Secondo gli autori che studiano l’organizational learning, l’impresa è
un attore economico che basa il proprio funzionamento su routine knowledge-based
che tendono a evolvere in sintonia con l’ambiente in cui l’impresa è inserita» (Verona G., 2000, p. 59).
Le routine knowledge-based possono sostanzialmente essere intese come la parte convenzionale della conoscenza organizzativa gestita per abitudine, in modo automatico, che
consentono l’accumularsi delle competenze organizzative.
«Le ragioni di questo accumulo sono essenzialmente tre:
• efficienza (alta velocità e bassa costosità) nell’impiego;
• valenza politica (riduzione del potenziale conflitto decisionale richiesto per la
soluzione di un problema);
• coordinamento di attività organizzate» (Narduzzo e Warglien, 1997, pp. 67-90)58.
«Il funzionamento dell’impresa è quindi basato sullo sfruttamento (exploitation) delle competenze che vengono routinizzate». (Verona G., 2000, p. 60). Questo comportamento crea una sorta di inazione, di rilassatezza che riduce lo stato di tensione
sociale, tendendo a sviluppare competenze e conoscenze nell’ambito del sistema di
routine esistente che è, può essere, rassicurante, meno minacciante in quanto più
prevedibile per i singoli e per i gruppi sociali formali e informali che caratterizza-
50
56 Uno studio essenziale con un’ampia bibliografia è proposto da Fanelli A., 2001. “Gli studi
organizzativi contribuiscono allo sviluppo della prospettiva resource based con specifico riferimento alla dinamica sottostante alla creazione delle competenze… Sono soprattutto le teorie sulla learning organization che, oltre a occupare un posto centrale nell’ambito degli studi
organizzativi, negli anni più recenti hanno permesso di arricchire il frame sui fattori d’impresa… L’originaria influenza del dibattito microeconomico ha infatti portato a enfatizzare
soprattutto la parte statica della prospettiva. L’aspetto più dinamico è invece stato sviluppato
oltre che dalla teoria evoluzionista anche grazie alla profonda influenza degli studi behavioristi propri dell’Organization Theory (Verona G., 2000, p. 59).
57 Nonaka I., Takeuchi H., op. cit.
58 Narduzzo A., Warglien M., Le routine come competenza organizzativa, in Lipparini A. (a cura
di), Le competenze organizzative, Carocci, Roma, pp. 67-90, 1997.
Formare per formare nella complessità
no l’organizzazione. «Analogamente, la conoscenza esterna che riuscirà a assorbire
al suo interno dipenderà dalla coerenza che essa ha con il suo patrimonio di routine» (Verona G., 2000, p. 60). L’innovazione nei contesti indirizza l’impresa a confrontarsi anche con il mondo esterno al fine di avviare percorsi di apprendimento
che possono integrarsi con la routine, operando processi di ridefinizione funzionale alla gestione del mantenimento, dello sviluppo o del consolidamento del proprio
business.
Tutto ciò può comportare che il sistema formativo si muova lungo tre direttrici:
1. far evolvere la specie dei saperi interni;
2. lavorare sulle condizioni che possono favorire i processi di integrazione delle conoscenze e competenze esterne con quelle consolidate;
3. promuovere la generazione di nuovi saperi.
A questo scopo si può porre come riferimento un modello classico basato su tre fasi:
• la variazione delle competenze che ha come scopo quello di alimentare il repertorio di routine organizzative attraverso l’attivazione dei processi innovativi di
scoperta di nuove soluzioni;
• la selezione che ha lo scopo di circoscrivere le competenze idonee a favorire lo
sviluppo di soluzioni ritenute più adatte;
• la ritenzione che ha lo scopo di consentire all’impresa di memorizzare in routine, di livello superiore, quanto precedentemente prodotto, riprodotto e selezionato.
Si tratta di gestire processi di variazioni nei sistemi operativi e nella rete delle relazioni
umane.
«… Più analiticamente, il processo di exploration che opera una funzione di orientamento verso nuove soluzioni dipende in misura critica dalla ricombinazione delle
competenze così come viene operata dai sistemi di comunicazione interna, dai meccanismi di gestione della R&S, dalle politiche di staffing dei team innovativi e dalla
politica di mobilità del personale. Il processo di selezione, che funge invece da filtro
della varietà generata, è messo in atto grazie sia ai meccanismi di gestione del personale (quali i sistemi di reclutamento, carriera e incentivazione) che indirizzano ex
ante le scelte operate dall’organizzazione, sia all’impiego di meccanismi decisionali
che invece determinano ex post le alternative da perseguire e quelle da scartare. La
ritenzione dipenderà infine dalla sedimentazione delle competenze e delle persone,
rispetto alle quali gioca pure un ruolo fondamentale il mix di politiche di gestione
del personale precedentemente evidenziato» (Verona G., 2000, p. 61).
51
Formare per formare nella complessità
2.5. La stratificazione delle conoscenze
Approfondendo l’indagine sui contenuti degli scambi informativi è possibile anche evidenziare meglio come il sistema formativo nel suo modo di filtro condiziona la circolazione delle conoscenze, ne determina una stratificazione e in tal modo influenza a fondo
l’apprendimento.
Il repertorio delle conoscenze individuali è, in genere, più ampio di quello necessario a
svolgere il proprio ruolo nell’organizzazione.
Il confine tra utilizzato e non utilizzato è ben presente ai singoli, che ne sono consapevoli, ed è netto nel caso dell’esplicito e del formalizzato (mansionari e repertori professionali che definiscono conoscenze e capacità), mentre è meno chiaro nel caso di conoscenze e abilità più profonde, tacite, anche se, ovviamente, si verificano travasi e reciproci condizionamenti.
Il sistema formativo può svolgere il ruolo di filtro conoscitivo facendo in modo che si
possano rendere disponibili queste risorse nell’organizzazione.
Quando le attività sono routinarie, le conoscenze utilizzate sono prevalentemente innestate nell’esperienza. Le altre restano fuori dai circuiti della produzione e si può ipotizzare che non vengano utilizzate in quanto i sistemi formativi non sono in grado di trattarle e di assorbirle.
Ne consegue che se si vogliono far entrare, anche dall’esterno, nuove conoscenze nel sistema organizzativo, bisognerebbe farle riconoscere al sistema formativo e confrontarle
con il repertorio delle conoscenze non utilizzate.
Gli stereotipi conoscitivi, i modelli di comportamento, le aggregazioni di valori che spesso sono indicate come sistemi di credenze (belief system) rappresentano comunque un
portato caratterizzante la cultura dell’impresa (Campagna L., Pero L., 1995, p. 225)59.
Se si approfondisce dunque l’analisi delle conoscenze usate e dei sistemi di credenze è
possibile individuare una loro ulteriore suddivisione in esplicite e implicite. Le prime
definiscono le strutture formali e le regole organizzative, tecnologiche e di controllo e,
in genere, sono indicate come modello organizzativo esplicito e come ruoli. Le seconde, implicite o tacite, sono individuabili da un lato, nei valori e nella cultura profonda
e condivisa dell’organizzazione e, dall’altro, nei modelli conoscitivi elementari che non
vengono esplicitati e che costituiscono il fondamento di quelli espliciti.
Tutto questo si stratifica e diventa oggetto di analisi quando si mettono in relazione i
piani formativi con i sistemi di apprendimento. Infatti è possibile individuare tre differenti circuiti che si avviano come reazione del gruppo di fronte alle sollecitazioni cognitive del singolo e che producono, attraverso i sistemi formativi, tre diversi ritorni sui
diversi strati (cfr. figura. 7).
52
59 Op. cit.
Formare per formare nella complessità
Stratificazione delle conoscenze
CONOSCENZE PERSONALI NON USATE
CONOSCENZE USATE DALL’ORGANIZZAZIONE
1
RUOLI
ROUTINE
AZIONE/
CONOSCENZA
DELLA PERSONA
2
MODELLO ESPLICITO
AZIONE/
CONOSCENZA
DEL GRUPPO
ORGANIZZATIVO
3
MODELLO IMPLICITO
Figura 7. Stratificazione delle conoscenze.
Il primo circuito si sviluppa quando le nuove conoscenze e i giudizi dei singoli, vagliati e
accettati dal gruppo di riferimento, producono un miglioramento (o la scoperta di errori)
nello svolgimento di modi e attività specifiche e quindi consolidano o adattano la routine
operativa di base: è il caso in cui l’organizzazione riesce a migliorare a poco a poco le sue
performance mantenendosi entro gli schemi già adottati e riducendo gli errori. La letteratura ha omologato questo ciclo col termine singleloop (Argyris C., Schon D., 1978).
Il secondo circuito invece si innesca quando l’interazione persona-gruppo porta a un
cambiamento del modello conoscitivo esplicito su cui è basato il funzionamento dell’organizzazione e, quindi, delle sue regole formali e dei suoi sistemi di controllo espliciti;
ed è frequentemente connesso al cambiamento dei ruoli e delle funzioni. Anche questo ciclo è ormai noto in letteratura col termine double loop. Il terzo circuito, esplorato soprattutto dalle ricerche sulla cultura organizzativa e sulla conoscenza socializzata, è
connesso ai modelli conoscitivi impliciti e, per brevità, può essere indicato come cambiamento/mantenimento di paradigma del controllo e dell’organizzazione. Tale circuito, che provoca cambiamenti molto ampi e profondi, si evolve lentamente, o si attiva
53
Formare per formare nella complessità
rapidamente, quando è collegato a eventi traumatici o a cambiamenti resi ineluttabili
da una necessità o imposizione. I tre circuiti, pur se distinti, interagiscono fortemente poiché le conoscenze sono collegate e “riposano una sull’altra” come su diversi strati.
Ciò permette di capire come spesso operino veri e propri vincoli di incompatibilità cognitiva: certi approcci non possono essere adottati perché confliggono, ad esempio, con
i modelli impliciti.
Questa osservazione può essere generalizzata fino a suggerire che il successo del cambiamento e dell’apprendimento dipende dalla capacità di rendere permeabili i vari strati conoscitivi. Infatti la stessa capacità di apprendere ad apprendere, o meglio di aumentare la
propria abilità di cambiare il modello di conoscenza e di azione, che, seguendo Bateson,
solitamente viene indicato come deutero-learning, è legata, da un lato, alla flessibilità e
adattabilità e, dall’altro, alla varietà dei modelli cognitivi.
In sintesi, emerge che i circuiti che portano al cambiamento dei diversi strati di conoscenza sono interpretabili come forme di apprendimento organizzativo.
Capitolo 3
Le macrofasi del processo formativo60
Quanto più lo scenario nel quale l’organizzazione opera è complesso, tanto maggiore è
la necessità di dare una dimensione a ogni fase del processo formativo, tenendo conto,
però, che proprio la complessificazione dei processi può rendere per molti aspetti obsoleta una rilevazione dei fabbisogni di tipo lineare-sequenziale. Detto in altri termini,
la mobilità strutturale delle organizzazioni che operano nella complessità, che esige il
miglioramento continuo delle perfomance e l’aggiornamento costante dei ruoli e delle
posizioni professionali, impone una rilevazione dinamica dei fabbisogni formativi, capace di cogliere, attraverso un monitoraggio permanente, le incessanti trasformazioni che
intervengono nella vita dell’organizzazione e le ripercussioni che esse hanno sulla sfera
personale e professionale dei soggetti. Questi ultimi, in sostanza, sono chiamati a misurarsi con il cambiamento su più piani: cognitivo (hanno il compito di comprendere e
interiorizzare le ragioni del cambiamento); emotivo (hanno il compito di vincere le resistenze e accogliere le ipotesi di una modificazione del proprio sistema di convinzioni);
motivazionale (hanno il compito di farsi parte proattiva nel cogliere o ricercare gli stimoli
che rendano un traguardo motivante); strategico-operativo (hanno il compito di riuscire
54
60 Per questo paragrafo cfr. il 3° capitolo del mio quaderno di formazione: La Formazione e i suoi
Sistemi, Monolite, Roma, 2002.
Ringrazio il Prof. Carmelo Piu, direttore della collana per avermi consentito questa rielaborazione.
Formare per formare nella complessità
a rappresentarsi sia gli obiettivi sia il percorso che conduce alla loro realizzazione, prevedendo le azioni necessarie lasciando corso al rigore, alle applicazioni di schemi consolidati, ma anche alla creatività). Per gli individui si prospetta così l’esigenza di sviluppare
consapevolezza sull’incertezza e sulle sollecitazioni che il cambiamento comporta nelle
dimensioni esperienziale e relazionale che caratterizzano la sfera delle competenze specifiche del ruolo, ma anche nella rete dei ruoli coinvolti e nelle relazioni umane e professionali che ne conseguono.
Finalità
Obiettivi
Metodologia
Feedback
Rilevazione
fabbisogni
formativi
Progettazione
educativa
e didattica
Rilascio
attività
formative
Verifica
e valutazione
Contesto esterno
- Cultura
- Cultura
di settore
- Economia
Contesto
organizzativo
Contesto
“persona” ruoli
Risorse, convinzioni,
valori
Stabilire
gli obiettivi, cosa
e come fare
per perseguirli
Scegliere
le metodologie
Descrivere
gli obiettivi
relativi
ai “saperi” di:
- Conoscenza
- Comprensione
- Applicazione
Contesto
“persona” allievo/i
Determinare
Caratteristiche
cognitive, affettive i collegamenti con
i bisogni
e relazionali
di sviluppo
Figura 8. Le macrofasi del Sistema Formativo
Attività in aula,
stage, studio
in aula e a casa
su materiali
e dispense
Altri luoghi della
formazione
territorio internet
Sistema
di valutazione
dell’apprendimento
- Formativo
e feedback
individualizzato
- Sommativo
- Comunicazione
dei crediti
Sistema
di monitoraggio
del processo
di apprendimento
Sistema
degli outcome
dell’apprendimento
- Organizzativi
- Professionali
- Qualità del
servizio formativo
55
Formare per formare nella complessità
3.1. La rilevazione dei fabbisogni
I bisogni formativi possono essere analizzati e descritti sulla base dell’esigenza dei servizi61, dell’innovazione tecnologica e dell’innovazione normativa ma, immediatamente
dopo, è necessario verificare quali sono i ruoli ricoperti all’interno dell’organizzazione
da ogni singola risorsa e, nello stesso tempo, se le funzioni e i compiti che si svolgono
da sempre, magari con maestria, necessitano di una revisione, di un ritorno, di un coinvolgimento di una determinata risorsa che, spesso, non è consapevole della necessità di
avere quelle esigenze.
Le finalità organizzative e gli obiettivi di un ruolo interagiscono con le finalità professionali e
con gli obiettivi consapevoli e inconsapevoli che l’individuo che gestisce quel ruolo si assegna.
Oltre alle esigenze di sapere dichiarativo e procedurale62 vanno, di conseguenza, prese in esame alcune dinamiche che si riferiscono alla relazione con il potere, con le visioni e le credenze
che la cultura dell’organizzazione induce all’interpretazione dei ruoli. La fase della rilevazione dei fabbisogni è particolarmente critica perché strettamente connessa alle decisioni della
committenza. A scopo didattico, si propongono tre casi che possono essere letti su un continuum; su una polarità si presentano le situazioni in cui il Sistema Formativo (da ora SISFO),
non è coinvolto in fase di decisioni da parte dei committenti; sull’altra il SISFO viene delegato a sviluppare la rilevazione del fabbisogno in una situazione strutturale di collegamento
con il sistema di gestione delle risorse umane.
Se le decisioni di riposizionamento strategico, o comunque di gestione dello sviluppo
organizzativo, sono già state prese e sono stati ridisegnati i ruoli e le attività, il SISFO ha
il compito di operare un bilancio delle competenze delle famiglie professionali e delle fasce di ruolo per stabilire il GAP di competenze, disegnare i servizi e i processi formativi
e fornire come output i saperi ridefiniti.
• Se il SISFO è coinvolto nella fase di decisione, ha il compito di operare anche una ricognizione dei saperi espliciti necessari, mediante attività di ricerca.
Quindi la fase di analisi dell’offerta formativa segue il disegno e la ridefinizione
delle attività e dei ruoli.
• Se il SISFO è all’interno dell’organizzazione che si trova già in fase di consolidamento, avrà il compito di operare un monitoraggio continuo della domanda e dell’offerta, interne e esterne, di sviluppo delle competenze, nella prospettiva di contribuire
alla gestione del miglioramento continuo. In questi casi il SISFO si interconnette,
in genere, con il mercato della consulenza e della formazione dei vari settori produttivi, per accedere alle fonti informative con tempestività e magari anticipando le decisioni interne di sviluppo delle competenze.
56
61 Quaglino Q. P., 1986.
62 Gagné, E. D., 1989.
Formare per formare nella complessità
• Se il SISFO è in collegamento con il sistema di sviluppo e gestione delle risorse
umane, la rilevazione delle esigenze può diventare accurata e approfondita perché può essere messa in relazione al sistema di valutazione della prestazione del
singolo e, di conseguenza, garantire l’attenzione a ciascun lavoratore sul piano
di apprendimento di tutta la vita professionale nell’organizzazione.
In sintesi le variabili della fase di rilevazione dei fabbisogni possono essere ricondotte
all’analisi di:
3.1.1. Contesto Esterno
3.1.1. mercato/servizi/ambiente istituzionale
3.1.2. tecnologia
3.1.3. normativa
3.1.2. Contesto Interno (o contesto organizzativo)
• posizionamento dell’organizzazione nel contesto istituzionale o nel mercato
• definizione di scopi, valori sociali, economici e culturali
• ridefinizione dei ruoli63
• ridefinizione delle funzioni e delle posizioni di lavoro
• ridefinizione dei processi organizzativi
• ridefinizione delle reti di relazioni interne ed esterne fra ruoli
• ridefinizione del sistema dei vincoli e dei gradi di libertà possibili.
3.1.3. Contesto “Interno” (o contesto dei propri dialoghi interni), cioè un insieme di dinamiche interne all’individuo relative ai processi di ridefinizione dei saperi, dei processi di
apprendimento64 e della relazione con il proprio apprendimento.
63 Il riferimento è al modello di Katz e Kahn. Cfr. Katz D. & Kahn R.L., La Psicologia Sociale delle Organizzazioni, Etas Kompass, Milano, 1968), che definisce il ruolo come l’insieme
delle capacità, conoscenze, atteggiamenti, atti a rispondere alle aspettative che i ruoli interconnessi determinano per la produzione del servizio e alle aspettative che il ruolo ha verso
gli stessi ruoli. Per quanto riguarda la ridefinizione dei ruoli, che comporta la revisione delle
variabili da cui far derivare l’insieme delle competenze da integrare nei progetti formativi, si
fa invece riferimento al modello di Campagna L. e Pero L., La professionalità nell’era del pstfordismo, “Lettera Fim”, 13, n. 1, 2002, pp. 2-10, e Teamwork e ruoli organizzativi, “Sviluppo
& Organizzazione”, n. 187 settembre/ottobre 2001.
64 Si tratta della dimensione intrapsichica osservabile, che appartiene al campo dell’apprendimento
che il SISFO può gestire. Gli interventi formativi sono rivolti agli adulti e come tali sono regolati
da processi psichici e sociali che richiedono setting opportuni e metodologie coerenti.
57
Formare per formare nella complessità
3.2. La progettazione formativa
Una volta individuati i fabbisogni, diventa necessario costruire una banca dati
dell’offerta formativa. Costruire una banca dati dell’offerta formativa significa operare una ricognizione delle attività esterne, reperibili sul territorio nel quale si opera, su quello nazionale (e, perché no?, anche all’estero), presso istituzioni che operano nel campo della formazione; inoltre, è utile che la costruzione della banca dati
dell’offerta porti con sé le modalità procedurali per il coinvolgimento, i criteri e le
regole per l’iscrizione del singolo all’attività, il livello di coinvolgimento personale
rispetto agli aspetti che regolano il contratto di lavoro. Questo aspetto non è trascurabile, sia in riferimento a una efficace gestione delle risorse umane, sia rispetto
ai livelli di responsabilità reciproca sugli eventuali costi da sostenere, e anche perché alla base della formazione continua c’è la necessità di rendere visibile la certificazione verso l’interno e verso l’esterno, rendendo tangibile il valore che il corso ha
contribuito a produrre. Infine, una conseguenza è quella di dover disporre di un sistema informativo per i responsabili e per i partecipanti che consenta di ricostruire
i tracciati formativi di ognuno. La domanda formativa va ricercata, di conseguenza,
anche nell’analisi della posizione di lavoro ricoperta e nei flussi di comunicazione
che “transitano” per quella posizione di lavoro e, infine, in funzione del bilancio di
competenze 65 dei singoli.
Definire, strutturare un processo di formazione significa decidere in modo intenzionale
e situazionale come favorire la crescita professionale continua degli abitanti dell’organizzazione. La formazione, dicevamo, può diventare una leva, una risorsa per lo sviluppo
delle risorse umane e, di conseguenza, per la qualità del servizio. Si tratta di prendere le
mosse da una mappatura dei fabbisogni e, da lì, tracciare i percorsi per ciascuno nella
piena riformulazione di un contratto professionale di responsabilità reciproca che porta
a condividere valori e scopi di servizi, piani di lavoro, metodi e strumenti professionali, obiettivi.
Non è un caso che la terza fase del processo rappresenti l’attività formativa. Può essere
necessario affiancare alle attività che formano, una formazione che fa emergere emozioni,
sentimenti, stati d’animo e, poi, concetti, modelli, teorie da mettere a confronto con la
pragmatica della quotidianità.
58
65 I termini “competenze”, “bilancio di competenze” sono molto abusati. Per una ricognizione
sistematizzata delle possibili interpretazioni si può vedere: Di Fabio A., Bilancio di competenze
e orientamento formativo. Il contributo psicologico, Firenze, Giunti-O.S., 2002. Per una lettura
del bilancio di competenze nell’ottica dell’apprendimento per tutta la vita, il lifelong learning,
che evidenzia il “trinomio competenze-formazione-età adulta”, si veda Alberici A., Serreri P.,
Competenze e formazione in età adulta. Il Bilancio di competenze, Roma, Monolite, 2003.
Formare per formare nella complessità
Le attività possono essere individuate, infine, a partire dalla gap analysis, cioè da un
insieme di rilevazioni che si riconducono all’analisi degli scostamenti fra i servizi formativi erogati e la percezione della qualità da parte dei destinatari. Tutto ciò può implicare la necessità di rilevare i bisogni reali dei destinatari, distinguendo i bisogni dalle aspettative.
La cultura del servizio, nell’ambito del sistema formativo, può favorire un processo di
comunicazione funzionale allo sviluppo delle competenze dei singoli e dell’organizzazione, se alle intenzioni di sviluppo o consolidamento organizzativo fanno seguito decisioni di metodologia formativa coerente con un sistema di aspettative e di bisogni.
La gap analysis può introdurre criteri di misurazione e soprattutto di correlazione fra
i bisogni e i servizi, cioè fra le esigenze di integrazione fra i vari saperi dell’individuo
e dell’organizzazione e le forme e i modi di gestione del processo di insegnamentoapprendimento.
Quando l’ambiente esterno è evoluto con prevedibilità e lentezza, i sistemi organizzativi
hanno standardizzato i modi della produzione e hanno costituito le proprie regole organizzative. L’apprendimento, dunque, non è costruito soltanto dalle persone, ma è anche
un fatto organizzativo, di sistema66.
È vero che sono le risorse umane a produrre apprendimento, ma nel passaggio
dall’organizzazione statica delle posizioni a quella dei ruoli, i nuovi legami organizzativi che ne derivano diventano nuova configurazione, nuovo ambiente e determinano anche per il sistema formativo stesso una rinnovata cultura e un rinnovato
sense making67.
66 Senge P.M., La quinta disciplina, L’arte pratica dell’apprendimento organizzativo, Milano,
Sperling & Kupfer, 1992. Sull’argomento può essere utile consultare anche: Zamarian
M., Le routine organizzative. Percorsi di apprendimento e riproduzione, Torino, UTET,
2002; Zucchermaglio C., Vygotskij in azienda. Apprendimento e comunicazione nei contesti
lavorativi, Roma, Carocci, 1998; Falduto L. - Palitto M., Un modello manageriale per l’organizzazione che apprende, in “L’Impresa” 6-1996; Fanelli A. (a cura di), Le organizzazioni che apprendono, in “Le raccolte di Sviluppo & Organizzazione”, n. 17, Milano, ESTE,
2001; Bonani G.P., La sfida del capitale intellettuale. Principi e strumenti di Knowledge
Management per organizzazioni intelligenti, Milano, Franco Angeli, 2002; Camuffo A.,
Sistem dynamics: l’organizzazione come rappresentazione ed apprendimento, in “Economia
e politica industriale” n. 81, 1994; Garvin D. A., Come creare la learning organization,
in “Harward Business Review”, luglio-agosto 1994; Miggiani F. - Scillerta V., Progettare
l’apprendimento organizzativo, in “Sviluppo & Organizzazione”, Milano, ESTE, settembre-ottobre 1992; Nonaka I., Come un’organizzazione crea conoscenza, in “Economia &
Management” 3-1994.
67 Alberici A., 1999.
59
Formare per formare nella complessità
Le organizzazioni, che hanno avviato progetti di cambiamento, si sono misurate con i
fenomeni della condivisione dei progetti di innovazione o del suo rigetto; hanno dovuto confrontarsi con i livelli di coesione delle risorse umane che, consapevoli dei rischi o delle nuove possibilità che si dischiudevano, hanno agito il cambiamento partecipando, mettendo in discussione convinzioni, valori, saperi. A volte lo hanno fatto
consapevolmente, altre non hanno avuto il tempo di agire sulla consapevolezza perché
il mercato non lo ha consentito e sono stati costretti a farlo. Nelle nuove costellazioni organizzative che tanto incidono sulla concezione e strutturazione dei sistemi formativi, diventa necessaria una reinterpretazione dinamica dell’orizzonte di scopo del
sistema stesso.
Diventa necessario definire, pertanto, l’evoluzione dei ruoli professionali, il repertorio di competenze da porre a fondamento della costruzione dei processi formativi
in ognuna delle fasi descritte, al fine di seguire e governare l’evoluzione dei sistemi
di formazione. Sarebbe contraddittorio facilitare i processi di sviluppo delle risorse
umane e dell’organizzazione senza intervenire sull’evoluzione degli strumenti, delle
tecniche, delle metodologie e degli schemi di apprendimento, dei modelli di insegnamento.
Il sapere pedagogico e quello andragogico sono stati ripartiti nelle capacità di generare:
• sapere invariante rispetto alle attuali modalità di apprendimento degli adulti
coinvolti;
• sapere generatore di saper apprendere nel corso della vita organizzativa;
• saper per saper divenire nella complessità con il controllo/gestione dei rischi che
derivano dalla minaccia all’identità del singolo in funzione dei ruoli che interpreta o di cui è portatore.
60
Quest’ultimo sapere, in particolare, ha comportato una cooperazione funzionale da sviluppare all’interno del setting sociologico che opera per analizzare il contesto organizzativo e quello esterno al fine di individuare i fenomeni che possono interessare ogni ruolo
quando è immerso nei processi di comunicazione interpersonale, organizzativa e manageriale nella rete dei ruoli di cui fa parte; i setting psicologici, rispettivamente sociale e
dell’apprendimento in riferimento alle dinamiche dei gruppi e alla metacognizione, hanno fornito interpretazioni e strategie di rilevanza teorica e metodologica. Gli studi sulle
intelligenze multiple hanno messo in evidenza che, forse, la complessità dell’ambiente
che la mente umana ha concorso a determinare richiede una multiformità di processi
intellettivi, emotivi e socio-relazionali da introdurre intenzionalmente nel campo della
formazione, inteso come luogo di incontro fra potenzialità di apprendimento, strategie
di insegnamento e realizzazione di apprendimenti multiformi che possono entrare a far
parte del campo dell’azione formativa intenzionale.
Formare per formare nella complessità
3.2.1. Decisioni progettuali, sviluppo e realizzazione dei processi e dei
servizi formativi
È l’area di confine fra l’analisi organizzativa, la definizione dei gruppi di progettazione
e le scelte metodologico-didattiche, in quanto si definiscono e si negoziano, di fatto, i
destinatari, i ruoli da coinvolgere nella fase di rilevazione, di analisi della domanda e di
analisi delle competenze pregresse, dei livelli di esperienza.
Si formulano le ipotesi sul tipo di attività formativa sulla base delle aspettative della
committenza e dell’analisi precedentemente svolta, mettendole in relazione con le posizioni di lavoro e i ruoli coinvolti. Infine si analizzano i contenuti e i saperi in gioco e si
rilevano le fonti interne o esterne che fungono da “sistema esperto”.
Quindi si avviano i cantieri nell’organizzazione e si dà forma al progetto di apprendimento mettendolo in relazione con quello di sviluppo organizzativo.
• Dal punto di vista dell’apprendimento individuale e organizzativo, c’è la necessità di definire con chiarezza gli obiettivi formativi e i messaggi chiave che è necessario mettere in comune. Nel campo formativo, infatti, è possibile veicolare
alcune informazioni e conoscenze all’interno di un campo neutro di confronto
che non sia soggetto a quelle dinamiche organizzative contaminate da logiche
che possono ridurre l’analisi e la presa di decisioni.
Tutto questo è punto di arrivo di negoziazioni anche complesse, soprattutto in quelle realtà
interne all’organizzazione dove il valore attribuito alla formazione è considerato poco rilevante per poter intendere le competenze come una risorsa economica dell’impresa.
• Dal punto di vista dell’insegnamento, si prendono le decisioni metodologico
didattiche.
Si tratta di sviluppare una migliore organizzazione didattica e una più funzionale predisposizione di contenuti, mezzi, strumenti, luoghi e metodologie di azione formativa.
3.2.2. Progettazione delle attività organizzative delle attività formative
In questa fase, è necessario disporre delle informazioni sulle caratteristiche logistiche disponibili o accessibili in relazione al budget, piuttosto che dei gradi di libertà di cui si dispone per reperire ambienti secondo la situazione ottimale che gli obiettivi dell’attività e
le possibili decisioni metodologiche possono consentire. In ogni caso è necessario conoscere gli spazi e gli ambienti presso i quali si svolgerà l’attività formativa, le attrezzature
già disponibili o quelle da portare in dotazione. Inoltre è necessaria un’attività di gestione
dei materiali didattici e dei materiali di cancelleria, che richiede opportuna preparazione,
distribuzione, conservazione, gestione delle scorte e degli aggiornamenti.
61
Formare per formare nella complessità
Infine, c’è una componente amministrativa che comporta un impegno sulla contabilità,
il controllo dei costi, delle spese e degli scostamenti fra la pianificazione degli investimenti e i costi sostenuti, con tutte le conseguenze sulla scelta e sulla relazione con i fornitori interni o esterni.
Tutto questo rappresenta un’attività del SISFO, nella sua componente di gestione dei
processi.
3.3. Rilascio delle attività formative
62
Le variabili riferite alle attività di formazione sono raggruppabili all’interno di sei macrodimensioni che intervengono nel processo di insegnamento-apprendimento. Esse si
manifestano, cioè, nel contesto progettuale e realizzativo che raccorda gli obiettivi organizzativi e formativi ai risultati di apprendimento. L’analisi del gap, vale a dire dello
scostamento fra obiettivi attesi e risultati conseguiti, consente di riorientare il processo
di apprendimento-formazione, individuando con maggiori probabilità le variabili sulle
quali intervenire. Tali variabili possono essere distinte in: cognitivo-disciplinari, cognitivo-strutturali e funzionali, organizzative, socio-relazionali, tecnologiche, metodologicodidattiche.
Dalla definizione degli obiettivi organizzativi e dei ruoli in gioco discendono le previsioni di istruzione, mentre alla definizione degli obiettivi formativi che hanno impatto sui vari saperi taciti ed espliciti sono correlate le previsioni di apprendimento.
Le decisioni didattiche adottate, ruotanti attorno alle macrovariabili precisate sopra,
avranno riguardato dunque l’acquisizione di nuove competenze disciplinari e trasversali, la definizione e collocazione delle competenze soggettive all’interno della
struttura organizzativa e in riferimento ai ruoli professionali, l’analisi dei processi di
interazione sociale e del grado di competenza linguistico-comunicativa dei soggetti
in relazione, il ricorso a sussidi e integrazioni tecnologiche, l’adozione di strategie e
interventi didattici mirati e di metodologie calibrate sulle specificità dei fabbisogni
formativi individuali e di gruppo.
Il passaggio successivo è quello della valutazione dei risultati conseguiti alla luce
della determinazione del gap fra obiettivi e risultati e della rilevazione dell’influenza che ogni singola dimensione ha eventualmente esercitato nell’economia complessiva dell’interazione, facendo attenzione a distinguere gli aspetti relativi alla sfera
dell’istruzione e quelli riguardanti la sfera dell’apprendimento. L’analisi di tali dimensioni consente di ricondurre la soggettività a delle categorie osservabili e permette una valutazione che, per quanto di carattere pragmatico, può rivelarsi comunque preziosa sotto il profilo delle informazioni acquisite e utile in previsione
dell’adozione delle successive decisioni e feedback, anche quando il sottosistema di
valutazione dell’apprendimento correlato alla valutazione della prestazione professionale non sia realizzabile mediante il ricorso a criteri docimologici.
Formare per formare nella complessità
START
PREVISIONE
D’ISTRUZIONE
PREVISIONE
DI APPRENDIMENTO
INTERAZIONE
AREE FUNZIONALI
DELL’INTERAZIONE
COGNITIVO
STRUTTURALE
FUNZIONALE
COGNITIVO
DISCIPLINARE
ORGANIZZATIVA
SOCIO
RELAZIONALE
METODOLOGICO
DIDATTICA
TECNOLOGICA
ISTRUZIONE
REALIZZATA
APPRENDIMENTO
PRODOTTO
ANALISI DEL GAP FRA
ISTRUZIONE REALIZZATA
E APPRENDIMENTO
PRODOTTO
NON-OK
OK
STOP
Figura 9. Alcune dimensioni riferite alle attività di formazione in senso stretto.
3.4. Verifica e valutazione della formazione in prospettiva di sistema
Per appurare l’efficacia dell’attività formativa si ricorre, spesso, a domande nei corridoi, o a questionari fatti compilare al termine di un corso – quando i partecipanti
sono già con la mente orientata al rientro a casa o al lavoro – con il risultato che tali
questionari, più che strumenti per il reperimento di informazioni utili per l’analisi, si
limitano a riportare soltanto il gradimento espresso dai partecipanti al termine dell’attività svolta.
63
Formare per formare nella complessità
Meno frequentemente si valutano gli aspetti più sommersi, quali per esempio:
• l’attività formativa in termini di qualità e pertinenza dei temi trattati, che vengono spesso dedotti dalla bravura o dalla preparazione del docente invece che
da strumenti di misurazione dell’apprendimento;
• la qualità dell’istruzione e della didattica, che viene spesso riferita ai materiali didattici, invece che alla capacità del docente di guidare adulti in apprendimento verso obiettivi formativi descritti in modo chiaro e riconoscibile rispetto agli
scopi dichiarati prima dell’inizio del corso di formazione;
• l’impatto dell’apprendimento nell’attività lavorativa, che viene, non di rado, ricondotto a predizioni sulle buone intenzioni di applicare sul campo ciò che è
stato oggetto di formazione e, raramente, viene misurato attraverso strumenti
di osservazione sistematica da utilizzare all’interno di un progetto di apprendimento volto al miglioramento della prestazione lavorativa.
Per verificare se e come funziona un’attività formativa, è necessario non limitarsi alla
presentazione dell’offerta dei servizi formativi, magari illustrando i contenuti che saranno oggetto del corso attraverso una attraente brochure di carta patinata, ma prevedere
l’impatto e la ricaduta operativa che essi avranno. Si tratta, in particolare, di risalire alla
domanda ma, anche, di rilevare quello che i tecnici di settore definiscono il processo formativo nel suo possibile impianto strutturale, collegato ai piani di sviluppo delle risorse
umane e dei servizi che si erogano, o che si prevede di erogare, al fine di ampliare l’offerta e renderla più aderente ai fabbisogni dei destinatari, tenendo conto delle reali risorse
disponibili, accessibili, reperibili.
La verifica e la valutazione rappresentano due processi critici per la costruzione del
SISFO, anche perché senza un controllo funzionale sull’efficacia è difficile parlare di
qualità e di processi di miglioramento; in effetti, «… il budget tradizionale non dice praticamente nulla del patrimonio dell’impresa e non misura il valore di tutti i parametri
immateriali: il valore del marchio, l’affidabilità dei processi, le competenze e l’uso del
patrimonio conoscitivo »68. La complessità del processo di verifica e valutazione ha scoraggiato le imprese a operare investimenti mirati69. In particolare, uno degli ostacoli è
64
68 Cappucci U., Un modello di competenze per l’impresa e un modello di sviluppa per il formatore, in Amietta P.L (a cura di), I luoghi dell’apprendimento, metodi, strumenti e casi di eccellenza
delle nuove formazioni, Milano, Franco Angeli - AIF, 2000, p. 44.
69 Si potrebbe trattare di una conseguenza del fatto che nelle organizzazioni lineari i processi
organizzativi rappresentano già i luoghi del controllo e anche le variabili più immateriali,
come il patrimonio delle competenze, sono comunque osservabili, in azione, nello svolgi-
Formare per formare nella complessità
costituito dai costi economici della valutazione in quanto questi vanno messi a budget.
Quando si parla di budget, si intende che i costi devono avere un ritorno sull’investimento. L’osservazione svolta sul campo ci porta a rilevare la difficoltà di mettere in relazione i processi di misurazione dell’apprendimento con le performance professionali a
essi correlate e di conseguenza la difficoltà di mettere in relazione il costo con il ritorno
sull’investimento. Certamente tutto ciò può dipendere dal tipo di ruolo e dal tipo di apprendimenti in gioco. Nell’ambito dei saperi tecnici, la misurazione dell’apprendimento
può essere svolta mediante prove oggettive di verifica o colloqui fra capo e collaboratore
e le relazioni con la prestazione sono più facilmente identificabili. Nell’ambito dei saperi manageriali, ci si trova più vicini all’analogia con il pattinaggio artistico70. Misurare
l’apprendimento e il transfer diventa più complesso anche in funzione dello status manageriale, che non sempre considera la valutazione come un elemento di feedback nel
processo, atto a riorientare verso gli obiettivi la prestazione.
Ci si riferisce all’approccio sistemico nella valutazione, che vuole individuare la rilevanza strategica degli interventi formativi e correlarli alla qualità dei servizi e dei processi che lo generano. Si procede dimensionando i risultati dell’interazione in aula a
partire dalle valutazioni proposte dai formatori sulla base di una check list, di un questionario di percezione dell’interazione sulle dimensioni del valore assegnato ai contenuti in termini di ampiezza e di profondità, oltre che di trasferibilità nell’attività professionale. Il modello di riferimento è il CBA (Cost-Benefits Analysis), che consente di
verificare preventivamente la fattibilità e opportunità di un determinato intervento
formativo, anche ex post, in funzione del rapporto costo/benefici. Il modello non indica criteri standard per la raccolta dei dati ma fornisce una procedura che consente di
razionalizzare e standardizzare alcune fasi funzionali alla presa di decisione71.
mento della prestazione e quindi correlabili a ciò che i processi – intesi in questo caso come
insiemi di procedure, strumenti, tempi e metodiche – prevedono. Con la complessità, le variabili che sfuggono al controllo sono proprio quelle più immateriali, non tanto perché non
siano osservabili, quanto per il fatto che è complicato correlarle agli effetti che producono
all’interno di processi dinamici. Ciò richiederebbe risorse dedicate e metodologie che rientrano nella elaborazione statistica dei dati all’interno di modelli di analisi appropriati.
70 D’altra parte, per esprimere un giudizio sulla performance di un atleta che partecipa a una
gara di salto in alto, basta osservare se l’asticella cade oppure no e qualche altra regola sulla
corsa e la relativa traiettoria; per esprimere un giudizio sulla performance di un atleta che partecipa a una gara di pattinaggio artistico, le cose si complicano un po’: sono necessari più giudici e criteri di attribuzione dei punteggi più sofisticati, in quanto sono molte le componenti
che portano a un risultato competitivo.
71 Cfr. Neglia G., La valutazione della formazione: esperienze a confronto, Milano, Lupetti, 1999,
pp. 30 e segg.
65
Formare per formare nella complessità
3.4.1. Che cosa s’intende per valutazione
Alcune affermazioni che utilizzano i termini verifica o valutazione si presentano con vari significati.
Secondo il punto di vista di un capo di un’organizzazione, i termini in questione sono più vicini al
campo di applicazione della prestazione dei collaboratori; per un formatore, invece, sono più vicini
al campo di applicazione del processo di formazione-apprendimento; per un formatore aziendale
al processo di insegnamento-apprendimento nella prospettiva dello sviluppo organizzativo.
Nel linguaggio della formazione, verifica e valutazione sono due termini qualche volta usati
come sinonimi. Di fatto i due concetti sono collegati l’uno all’altro ma si riferiscono ad aree
di significato precipue. Verifica si riferisce al momento della ricognizione, della descrizione
di un fenomeno di interazione operata per produrre apprendimento; valutazione si riferisce
all’interpretazione e al giudizio sul fenomeno verificato. Fra l’altro, i due concetti sono interrelati, nel senso che sono entrambi uno funzione dell’altro. E questo complica un po’ le cose
dal punto di vista non tanto del significato, quanto delle interpretazioni che si possono sviluppare nel contesto di un discorso formativo all’interno di una organizzazione.
Se da un punto di vista concettuale la verifica precede la valutazione, non è così rispetto
al processo che i due concetti implicano a partire dalle loro relazioni.
Qualche riflessione a sostegno di questa affermazione: nelle cose della formazione, verifica è
attività assai complessa in quanto per verificare è necessario descrivere, osservare, rilevare dati,
misurare72 e tutto ciò è molto difficile poiché i fattori che entrano in gioco non sono governabili in modo deterministico e spesso sfuggono, in quanto i significati affondano le proprie
radici nella sfera della percezione individuale che, come è noto, fa i conti con la propria sfera
emotiva e con quella delle proprie convinzioni, dei codici valoriali di cui si è portatori. Ci troviamo nel territorio della soggettività. E allora, poiché la valutazione è caratterizzata da soggettività e la scelta degli strumenti di verifica viene operata dal soggetto, ecco che dal punto
di vista pragmatico la valutazione può precedere la verifica, nel senso che condiziona le decisioni relative proprio a ciò che è necessario verificare.
D’altra parte, gli strumenti, i criteri e le modalità della verifica, una volta scelti, forniscono dei risultati già inseriti in un quadro di aspettative predefinite da un punto di vista anche inconsapevole. Dunque, la valutazione in questo caso precede la verifica e una
barriera da dimensionare è quella generata dal pregiudizio. Per cambiare verso a questo
circolo vizioso, laddove è attivo, si può individuare una sorta di obiettivazione delle competenze e dei comportamenti necessari a gestire con maggiore padronanza la verifica nelle sue caratteristiche di:
• descrizione;
• osservazione;
66
72 Cfr. Olmetti Peja D., 2008.
Formare per formare nella complessità
• rilevazione;
• misurazione.
Per gestire con maggiore consapevolezza i fenomeni che intervengono:
• nell’interpretazione;
• nell’attribuzione di valori;
• nell’espressione di giudizi.
La valutazione è l’atto di determinare il valore o il merito di un oggetto valutato. Essa
riflette l’identificazione, la chiarificazione e l’applicazione di criteri/standard con i quali
determinare il valore di un oggetto.
La valutazione utilizza metodi che permettono di:
• determinare e applicare standard per giudicare la qualità, l’utilità, l’efficacia, il
significato dei risultai ottenuti;
• acquisire informazioni rilevanti per il processo decisionale.
3.4.2. Perché valutare
La valutazione è un momento centrale e importante. È parte integrante dell’intervento formativo. Come detto in precedenza, la valutazione utilizza metodi che permettono di determinare la qualità, l’utilità, l’efficacia, il significato dei risultati ottenuti e di acquisire informazioni rilevanti da analizzare e valutare. Queste due operazioni riflessive avviano processi di
miglioramento continuo di un’offerta formativa. La valutazione quindi documenta gli esiti raggiunti e valida l’intervento stesso. Con essa si attribuisce valore sia all’intervento che al
committente. In riferimento a ciò la committenza ha un ruolo nello sviluppo della valutazione. Questa viene compiuta sulla base di indicatori condivisi. Gli indicatori sono definiti in
coerenza con gli scopi della committenza. In breve la valutazione pone una stretta relazione
tra la problematica che ha motivato la committenza e l’intervento stesso.
3.4.3. I livelli della valutazione
La valutazione dei programmi formativi può essere svolta operando su livelli differenziati di analisi. È possibile ordinare obiettivi e ragioni della valutazione individuando quattro livelli generali di analisi. Tali livelli esprimono, in definitiva, le quattro aree fondamentali, i quattro temi prioritari, le quattro direzioni cruciali dell’attività di valutazione
dell’apprendimento e dei risultati formativi73.
73 Cfr. Kirkpatrick D.L., 1996.
67
Formare per formare nella complessità
Livello 1: la percezione dell’attività formativa e delle sue possibilità applicative
Indica la percezione dell’attività in termini di utilità, efficacia della didattica, pertinenza dei contenuti con gli obiettivi formativi e le esigenze tecnico-professionali. In
questo livello si misura il grado di soddisfazione dei partecipanti e, congiuntamente, viene richiesto un elenco di azioni per l’applicazione di ciò che è stato appreso. La
maggior parte delle organizzazioni valuta questo livello utilizzando questionari generici di fine corso. Sebbene questi strumenti siano importanti per analizzare la soddisfazione dei partecipanti, il gradimento favorevole non informa sul fatto che i partecipanti abbiano appreso nuove abilità e conoscenze.
Per la valutazione del gradimento gli strumenti più utilizzato sono:
• questionari di percezione sulla docenza, sulla logistica, sui contenuti, sugli atteggiamenti;
• richieste di tre-cinque aggettivi sul corso;
• feedback dei partecipanti a chiusura dell’attività formativa;
• interviste a campione ai partecipanti;
• focus group con partecipanti.
Gli strumenti più comunemente utilizzati sono: test, attività esercitative, role play, simulazioni, discussioni di gruppo. La verifica dell’apprendimento valida il grado di interiorizzazione delle conoscenze e come utilizzarle. Riscontri positivi a questo livello non evidenziano necessariamente che il materiale appreso sarà trasferito al contesto lavorativo.
Livello 2: l’apprendimento
Indica la rilevazione e attribuzione di significato e di valore all’apprendimento e al processo che lo ha consentito; si riferisce al confronto fra i risultati di apprendimento, gli
obiettivi formativi e didattici, i livelli di conoscenze disciplinari, tecniche, organizzative
e relazionali, le competenze specifiche, gli atteggiamenti. Si misura ciò che i partecipanti
hanno appreso durante il programma formativo.
Per la valutazione dell’apprendimento gli strumenti più utilizzati sono:
•
•
•
•
•
68
prove oggettive di verifica;
prove d’esame;
colloqui;
simulazioni;
focus group.
A questo livello gli strumenti, nella maggior parte dei casi, non sono predittivi del transfer
di apprendimento e delle conseguenze nelle competenze decisionali e di problem solving.
Formare per formare nella complessità
Livello 3: il trasferimento al contesto lavorativo
Indica i criteri per svolgere il monitoraggio di come si modifica l’attività nel contesto
professionale e organizzativo al fine di rilevare l’applicazione degli apprendimenti nei
processi lavorativi; si valuta se e come i partecipanti trasferiscono al contesto lavorativo
gli apprendimenti.
Per la valutazione del trasferimento sono utilizzati:
• protocolli osservativi sul posto di lavoro;
• colloqui con i responsabili, i colleghi, esperti o referenti della formazione74, come
nel caso dell’Amministrazione Pubblica;
• focus group;
• contratti formativi;
• questionari e interviste di follow up.
A questo livello si utilizza una varietà di strumenti valutativi di follow up. Sebbene questi
aiutino a determinare la frequenza d’uso delle abilità e delle conoscenze apprese, informando indirettamente sulla riuscita del programma, tali riscontri non evidenziano necessariamente l’esistenza di conseguenze nello sviluppo professionale del singolo e delle
possibili applicazioni nella posizione di lavoro che occupa e nel ruolo che svolge.
Livello 4: gli impatti organizzativi e finanziari sulla qualità del servizio
Indica e focalizza l’attenzione sulle aree di ricaduta degli aspetti finanziari e organizzativi
nella qualità del servizio.
Si misurano i risultati lavorativi raggiunti dai partecipanti come conseguenza dell’applicazione
delle abilità e delle conoscenze apprese. La quantificazione di questi impatti è svolta secondo
tecniche di analisi dei costi, degli output, del tempo e della soddisfazione del cliente/utente.
Per la valutazione dell’impatto è necessario precisare che si tratta di un’attività molto complessa, e a volte “costosa”, in quanto la ricaduta della formazione può essere rilevante e riguardare grandi numeri (per es. un’attività formativa sulla prospettiva del benessere i cui destinatari sono i dirigenti scolastici di una provincia richiede il coinvolgimento di docenti, alunni e
famiglie). Gli strumenti utilizzabili vanno ricondotti a una prima fase di individuazione con
opportune metodologie del campione significativo. Quindi si scelgono modelli che richiedo-
74 Anche se in via di ridefinizione, il ruolo di referente della formazione, nella Pubblica Amministrazione, è sancito dalla normativa. In genere ogni direzione nomina a svolgere questo ruolo un collaboratore che ha il compito di facilitare i processi di comunicazione con il settore che ha la responsabilità del Sistema di Formazione. In particolare è un supporto nella fase di rilevazione del fabbisogno formativo, nella fase di gestione dell’attività in termini organizzativi, nella valutazione delle
attività. In alcuni casi i referenti sono coinvolti nella fase di progettazione dell’attività formativa.
69
Formare per formare nella complessità
no il coinvolgimento di ruoli specialistici e molte forze in campo (ricercatori, intervistatori,
esperti di sondaggi…).
Infine rientra nel livello 4 la valutazione degli aspetti finanziari delle attività formative; da un
punto di vista generale, definita la struttura di un piano di formazione, l’insieme delle attività
che lo costituiscono e che hanno diversa natura (per es. formazione tecnica, normativa, manageriale), richiedono varie modalità di gestione dei processi amministrativi (per es. progetti a catalogo con fornitori esterni, progetti finanziati da Enti o dalla Comunità Economica Europea,
progetti finanziati dall’azienda all’interno delle politiche di sviluppo delle Risorse Umane e dei
piani di ricerca sviluppo…). A seconda delle attività e delle modalità amministrative si richiede una rendicontazione articolata e complessa che pone il sistema formativo nella condizione
di impostare a priori i parametri che consentono l’elaborazione di un budget (che permette la
simulazione della fattibilità economica) e di un bilancio (che ratifica le scelte e i risultati).
I livelli della valutazione
I livello - Gradimento
Misura la percezione della qualità
dell’attività formativa della docenza
Strumenti
Questionari
Feedback dei partecipanti
II livello - Apprendimento
Misura i cambiamenti avvenuti
nelle abilità, nelle conoscenze, negli
atteggiamenti
Strumenti
Prove oggettive di verifica
Colloqui
III livello - Apprendimento
Misura i cambiamenti avvenuti
nelle abilità, nelle conoscenze, negli
atteggiamenti
Strumenti
Check-list
Schede di osservazione sul posto di lavoro
Interviste dirette o indirette
Analisi documentazione
IV livello - impatto
Misura le relazioni e le conseguenze
delle attività formative nei costi,
nell’organizzazione, nella qualità del
servizio
Strumenti
Questionari di followup
Interviste a campione
Analisi statistiche
Ricerca quanti-qualitativa
Figura 10. I livelli della valutazione e gli strumenti più utilizzati.
70
In sintesi la valutazione rappresenta un sottosistema del sistema formativo finalizzato a regolare i suoi processi produttivi in funzione di tre criteri generali:
Formare per formare nella complessità
• l’efficacia dei processi di apprendimento;
• l’efficienza dei processi organizzativi e gestionali che ne consentono lo svolgimento
in ciascuna delle fasi che lo caratterizzano (analisi dei fabbisogni, progettazione e
pianificazione, attuazione, verifica e valutazione)
• l’economicità complessiva, cioè la capacità di mettere in relazione risorse disponibili e accessibili, vincoli, gradi di libertà, finalità, obiettivi e risultati in un processo
di accettabilità dei risultati e di migliorabilità continua.
Capitolo 4
Il mondo virtuale
di Francesca Lazzari
Se quella del digitale fosse solo una moda, la tendenza a una netta separazione tra chi sa
utilizzare le nuove tecnologie e chi non le sa invece usare potrebbe in fondo non preoccuparci troppo. Come affermano Roncaglia e Ciotti tuttavia la realtà è ben diversa: quella prodotta dalle tecnologie del digitale, dai nuovi media, dagli sviluppi dell’informatica
e della telematica, non è una moda passeggera ma una vera e propria rivoluzione. Una
rivoluzione che riguarda innanzitutto – ma non solo – il modo di produrre, elaborare,
raccogliere, scambiare informazione. Una rivoluzione che porta con sé conseguenze culturali, sociali, politiche, economiche di immenso rilievo,
Quando si parla di alfabetizzazione informatica (e, più in generale, di alfabetizzazione
relativa all’intero campo delle nuove tecnologie del digitale) non si fa dunque solo riferimento all’esigenza individuale di una maggior competenza nell’uso pratico di strumenti
ormai indispensabili, per il lavoro e fuori dal lavoro. Si fa riferimento anche, e forse soprattutto, a quella che è una vera e propria priorità per il corpo sociale nel suo insieme.
Proprio per questo, a mio avviso, l’alfabetizzazione non può limitarsi a una – pur essenziale – capacità pratica e operativa, alla capacità di usare i nuovi strumenti che abbiamo
a disposizione. L’alfabetizzazione richiede anche una comprensione delle caratteristiche
fondamentali degli strumenti che si stanno usando, delle loro potenzialità, dei cambiamenti culturali e sociali che il loro impiego e la loro diffusione contribuiscono a influenzare (Ciotti F., Roncaglia G., 2000).
D’altro canto, chi cercasse di comprendere e valutare le caratteristiche sociali e culturali
di fenomeni come la diffusione degli strumenti multimediali o l’espansione di Internet,
senza comprendere almeno nelle linee fondamentali le basi teoriche e le caratteristiche
tecniche di questi strumenti, sarebbe parimenti votato all’insuccesso. La nostra capacità
di “usare” le nuove tecnologie dipende infatti anche dalle caratteristiche degli strumenti che abbiamo a disposizione. Questo concetto unisce in sé un aspetto “tecnico” e un
aspetto “sociale”. Soprattutto, il concetto di informazione in formato digitale e il con-
71
Formare per formare nella complessità
72
nesso fenomeno della cosiddetta “convergenza al digitale” ci sembrano fornire la migliore strada d’accesso al mondo complesso dei nuovi media: quella teoricamente più fondata, e insieme quella didatticamente più efficace (Ciotti F., Roncaglia G., 2000).
Come afferma Stefania Lovece all’interno della sua ricerca, il computer e le reti hanno
permesso che le tecnologie, i luoghi e i tempi della formazione siano radicalmente modificati. La rete offre, infatti, possibilità nuove di fruire di servizi di apprendimento e di
costruzione della conoscenza un po’ ovunque. Anche i tempi subiscono le conseguenze
della diffusione delle TIC. I tempi della giornata e i tempi della vita di ogni individuo
sono molto più dilatati e liberi da vincoli. Il tempo dell’apprendimento, inoltre, si amplia a tutta la vita e le TIC possono offrire nuove opportunità e potenzialità di sperimentare assetti che pongano il soggetto che apprende al centro dei processi e degli interventi.
Tutto ciò costituisce un necessario ulteriore elemento di riflessione per le organizzazioni educative. In particolare risulterebbe utile investire la fase iniziale del percorso di apprendimento nell’acquisizione di conoscenze come prerequisiti essenziali che mettano i
soggetti nelle condizioni di poter apprendere per tutta la vita.
Internet può, infatti, essere considerato il più grande archivio di informazioni mai avuto nella storia e non bisogna dimenticare che tali informazioni non sono soltanto testi
e documenti ma anche elementi multimediali organizzati come in un immenso ipertesto. L’ipertestestualità permette all’individuo di intraprendere percorsi di conoscenza individualizzati, rispettosi dei tempi e degli stili cognitivi personali. Il problema è sempre
quello di insegnare al singolo a fruire di queste informazioni, cercarle, selezionarle e soprattutto permettere che le conoscenze o le abilità apprese attraverso questo mezzo vengano non solo acquisite, ma anche elaborate e relazionate con i saperi preesistenti (Lovece S., 2009).
Le nuove tecnologie possono essere utilizzate come strumenti per attivare esperienze
che mettano il soggetto in contatto con il mondo e stimolino la capacità di esprimersi e di scoprire in modo originale, creativo e orientato a comprendere anche l’altro. Integrare l’uso delle TIC e delle reti all’interno dei sistemi formativi richiede un ripensamento dell’educazione. Per prima cosa, questa integrazione richiede di adottare un’idea
di apprendimento aperto e flessibile. Le TIC aprono molte possibilità in questo senso.
Questo perché è vero che gli ambienti educativi e formativi devono progettare e realizzare percorsi formativi e didattici finalizzati al raggiungimento di obiettivi monitorabili e verificabili rispondenti a finalità disciplinari e a specifiche conoscenze e competenze
ad esse relative.
È anche vero, però, che gli ambienti educativi e formativi, che si avvalgono delle TIC e
degli ambienti virtuali offerti dalla rete Internet, permettono lo sviluppo anche di altre
forme del sapere (Lovece S., 2009). Pertanto afferma Lovece che i materiali, le esperienze, le informazioni, e le comunità presenti in rete, consentono non solo l’approfondimento di conoscenze disciplinari già acquisite, ma di sperimentare altre forme, aperte e
Formare per formare nella complessità
flessibili, di apprendimenti legati alla soggettività e alla creatività di ognuno e al rispetto
della diversità delle persone e dei contesti di vita.
Non bisogna, inoltre, dimenticare che gli ambienti formativi possono, attraverso l’uso
delle TIC, sperimentare anche percorsi e processi di produzione di cultura, oltre che di
mera trasmissione della stessa. L’educazione e l’istruzione devono, pertanto, attivare strategie, metodi e tecniche che aiutino chi apprende a organizzare, sviluppare e riflettere sul
proprio apprendimento. È necessario mettere quindi in relazione le possibilità informative (conoscenze e saperi disciplinari e non), le possibilità di conoscenza (esplorazione
e contestualizzazione dei saperi), le possibilità comunicative e relazionali proprie delle
TIC e i processi di apprendimento in nuovi ambienti formativi “integrati”. Le innovazioni possibili con le nuove tecnologie possono portare a grandi cambiamenti nel sistema formativo se i formatori sapranno non solo acquisire le abilità tecniche per utilizzare
i computer e Internet, ma anche sviluppare competenze nella progettazione di ambienti
integrati di apprendimento, nella gestione metodologico-didattica di esperienze educative simulate, nella produzione di materiale multimediale e interattivo in un particolare
ambito disciplinare (Lovece S., 2009).
Moodle e ambienti di apprendimento on-line
La formazione on-line permette di realizzare molteplici forme di apprendimento, differenti nell’impianto materiale e anche nella filosofia di riferimento. L’insieme di questi
aspetti può essere ricondotto ad un tratto che è tipico degli ambienti digitali e telematici e che, a seconda delle situazioni, può assumere un ruolo più o meno esteso. Si fa riferimento qui all’interazione e alle modalità che essa tende ad assumere nell’ambito della
formazione on-line, ognuna delle quali può svilupparsi a diversi livelli e comunque associarsi, in maniera più o meno preorganizzata, alle altre. Esse sono:
• e-teaching;
• e-learning;
• I-learning.
Le tre tipologie di interazione agiscono in modo diverso nei differenti modelli di corso.
Un sistema in autoistruzione è articolato secondo un basso livello di interazione nei riguardi dei contenuti, delle figure di supporto e dell’ambiente tecnologico nel suo insieme, mentre il corso laboratoriale si caratterizza per un’elevata interazione all’interno dei
tre ambiti costituiti dai contenuti proposti e prodotti, dai servizi di supporto didattico e
dalla piattaforma che regge il tutto.
Il termine Web 2.0. comincia a diffondersi nel 2003 e viene utilizzato per tracciare a posteriori una linea di demarcazione tra la prima fase di sviluppo della rete (Web 1.0) e l’at-
73
Formare per formare nella complessità
74
tuale evoluzione in direzione sempre più connettiva/collaborativa. Di Web 2.0 sono state date definizioni spesso in contrasto tra loro, e il termine viene spesso utilizzato come
marketing per la sua stessa natura di slogan; ad ogni modo, la definizione di O’Reilly
resta a tutt’oggi la più completa:
“Web 2.0, non senza una certa dose di entusiasmo acritico, esprime un’idea di luogo
sociale in cui le possibilità di sviluppo della rete si esprimono al meglio, per cui ogni
client diventa un server (comunità virtuali, movimento open source, a livello molecolare i blog, ecc), nel senso del ruolo fondamentale che l’apporto produttivo di ogni ‘nodo’
riveste per l’organizzazione, lo scambio e più in generale per la crescita del sapere condiviso dalla moltitudine di utenti che fanno parte del processo comunicativo” (Borgato
R., Capelli F., Ferraresi M., 2009).
Come afferma Mario Pireddu, il web come piattaforma è alla base della formulazione
del concetto di architettura della partecipazione: contenuti, servizi, funzionalità ed efficienza di programmi e applicazioni migliorano con l’aumentare costante degli utenti
che li utilizzano. In quest’ottica sono gli utenti ad aggiungere valore agli strumenti e ai
prodotti degli scambi comunicativi: ad esempio, per il successo dei software open source
l’architettura dei singoli processi riveste molta più importanza dei ripetuti richiami appassionati al volontarismo. Le comunità virtuali ne sono un classico esempio.
I cambiamenti degli ultimi anni nell’organizzazione/classificazione/produzione sociale
dell’informazione hanno ripercussioni – oltre che nel settore editoriale, sullo sviluppo di
applicazioni software, sui consumi e sul marketing, e in definitiva sull’evoluzione stessa
delle reti – anche nei settori dell’educazione e dell’apprendimento. Ciò è vero non tanto
per la recente moltiplicazione di e-learning tools e di corsi a distanza in scuole e atenei di
tutto il mondo, quanto per la comparsa di modalità inedite di interazione e produzione
di saperi e metodologie.
Tra le numerose piattaforme di e-learnig, la killer application è sicuramente Moodle.
Moodle (http://moodle.org )è un pacchetto software per la produzione di siti web e corsi “internet-based”, un progetto di sviluppo in continua evoluzione creato e gestito in
maniera volontaria e collaborativa da una comunità di insegnanti e addetti ai lavori di
diverse nazioni, e pensato per un’educazione di impostazione socio-costruttivista.
Secondo M. Pireddu dietro l’idea di “social constructionist pedagogy” vi è un richiamo
seppur rapido ai concetti di constructivism, constructionism, social constructivism, separated/connected behaviour: la costruzione di qualcosa di cui altri possano fruire, la
condivisione di una cultura che produca “shared artifacts with shared meanings”, e dunque la costruzione di nuova conoscenza attraverso l’interazione in un ambiente dinamico e in continuo cambiamento, sono per i moodlers elementi essenziali per un apprendimento davvero efficace. La prospettiva costruttivista di Moodle prevede studenti attivamente impegnati nella creazione di significati, coinvolti nella ricerca e nella produzione
di conoscenza, in base anche a ciò che già conoscono, e non solo sulla scorta di nozioni
Formare per formare nella complessità
e processi che possono ripetere in maniera meccanica. Oltre che dagli insegnanti, gli studenti imparano gli uni dagli altri, in un percorso non più unidirezionale e decisamente
meno gerarchico.
L’insegnante può svolgere funzione di mediatore e organizzatore, favorendo lo scambio e
la partecipazione dei soggetti coinvolti nei processi formativi. Il punto principale dell’interazione, naturalmente, riguarda il “come si apprende”.
Queste forme di apprendimento, infatti, possono facilitare la ridefinizione del ruolo
dell’insegnamento, verso modelli che privilegino la collaborazione piuttosto che la competizione. L’insegnante rappresenta in quest’ottica un facilitatore dei processi d’apprendimento e di scambio delle conoscenze, inserito nella rete degli allievi, una rete in cui gli
allievi sono nodi “alla pari” tra loro.
Progettare ambienti di apprendimento on-line
Dopo quanto detto non possiamo certo stupirci se le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Information and Communication Technologies - TIC) si siano rivelate tanto importanti per la formazione e l’apprendimento. Del resto, come si è accennato, formazione e apprendimento hanno da sempre una dimensione anche tecnologica: il
termine “tecnologia” non deve infatti farci pensare solo a computer e tecnici.
Certo, la tecnologia non determina forme e contenuti dell’apprendimento, ma contribuisce a definirne lo spazio di possibilità, e costituisce quindi un fattore essenziale da tener
presente nella progettazione di ogni genere di attività formative. Il fatto che i cambiamenti
legati allo sviluppo delle TIC abbiano avuto un immediato rilievo nel campo della formazione, e abbiano anzi favorito lo sviluppo di nuovi modelli di formazione, in particolare nel
campo della formazione a distanza, è dunque assolutamente naturale e prevedibile.
È la prospettiva del lifelong learning, della formazione e dell’apprendimento permanente, che costituisce una necessità in una società in cui l’aggiornamento è fondamentale
non solo sul piano lavorativo ma anche per poter esercitare pienamente la cittadinanza
attiva. Ed è lo stesso documento della Commissione Europea a sottolineare, contrapponendosi a una visione riduttiva che limita la necessità dell’aggiornamento solo al piano
lavorativo, come la formazione permanente abbia volti e dimensioni diverse e interessi
almeno “quattro obiettivi generali che si rafforzano reciprocamente: l’autorealizzazione,
la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale, l’occupabilità e l’adattabilità professionale. Il
fatto che l’apprendimento permanente persegua tale estesa gamma di obiettivi si rispecchia nella seguente ampia definizione (…): [per apprendimento permanente si intende]
qualsiasi attività di apprendimento avviata in qualsiasi momento della vita, volta a migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze in una prospettiva personale, civica,
sociale e/o occupazionale. Un ripensamento tutt’altro che facile, al quale però l’e-learning può contribuire in maniera assai efficace.
75
Formare per formare nella complessità
76
Un progetto di e-learning si compone di varie fasi: la prima è costituita dalla scelta della macrotipologia didattica. A questo livello entrano in gioco la tipologia di e-learning,
il grado di integrazione tra presenza e distanza e il grado di auto-generatività dell’attività formativa.
Per grado di auto-generatività, si intende lo sconfinamento del corso in una community,
ovvero la capacità dello stesso di innescare un processo per il quale i partecipanti continuano spontaneamente a scambiarsi idee, informazioni ed esperienze anche dopo la fine
della formale attività formativa, ad esempio dando vita a comunità di pratica.
I vincoli da considerare in ambito macrodidattico sono quattro: utenti, contenuto,
obiettivo e infrastrutture.
Per quanto riguarda l’utenza, il numero di utenti generalmente varia in rapporto alla disponibilità di tutor. Nella scelta del rapporto tutor/studente va considerata anche pesa anche il livello di difficoltà o meglio la natura tecnica dello stesso. Inoltre va considerato l’accesso dell’utenza alla tecnologia, sia a livello di alfabetizzazione informatica, sia di disponibilità delle tecnologie stesse. Un minimo di conoscenze necessarie per la piattaforma che
ospiterà il corso sarà certamente fornito (o comunque molto consigliato) prima dell’inizio
dello stesso, ma il livello di information literacy dovrà già essere alto tanto da permettere
una veloce familiarizzazione con la piattaforma e apprendere l’uso di eventuali altri ambienti. Le conoscenze tecnologiche pregresse potrebbero costituire un prerequisito fondamentale per l’accesso al ad un corso on-line (per esempio, il possesso dell’ECDL). Un file
di aiuto on-line sarà sempre consigliato per ogni corso on-line che si intenderà creare.
A questo punto vanno analizzati i contenuti: in base alla metodologia didattica che si
intende attuare anche i contenuti seguiranno la stessa linea concettuale. Se si sceglie di
adottare una metodologia e-teaching i contenuti saranno prevalentemente chiusi. Sono
contenuti per lo più statici, che non si modificano visibilmente con il passare del tempo,
riutilizzabili perciò in altre occasioni.
Se all’opposto si seguirà l’e-learning i contenuti saranno “aperti” per permettere il confronto e la co-costruzione di sapere.
Passiamo quindi agli obiettivi formativi del progetto: esistono varie tassonomie che classificano gli obiettivi educativi. La Tassonomia di Bloom è gerarchica, il che significa che
l’apprendimento ai livelli più alti dipende dall’aver acquisito le capacità e le conoscenze poste ai livelli più bassi. Gli obiettivi rispondenti alle abilità nel dominio cognitivo
sono, in ordine gerarchico, conoscenza, comprensione, applicazione, analisi, sintesi, valutazione.
Si passa poi all’analisi dell’infrastruttura, in cui rientrano la valutazione degli aspetti tecnologici e quella delle risorse umane disponibili per la tutorship on-line, per la produzione dei contenuti e per la gestione del processo educativo.
Per quanto riguarda l’aspetto più strettamente tecnologico, ipotizziamo che la scelta fatta ricada sulla piattaforma e-learning Moodle.
Formare per formare nella complessità
Dovremo ora affrontare la scelta di una microtipologia didattica, ovvero le strategie, i metodi e le architetture didattiche che sottostanno alla progettazione di un corso in genere.
Come già rilevato, l’apprendimento è facilitato quando gli studenti sono messi di fronte
alla soluzione di problemi quanto più possibile autentici. L’apprendimento è facilitato anche tramite l’attivazione delle conoscenze preesistenti, che andranno a costituire la base di
quelle nuove: i nostri utenti saranno dunque messi di fronte a problemi realmente possibili nell’ambiente lavorativo in questione e per i quali dovranno saper applicare prima che
gli strumenti informatici a disposizione, le proprie conoscenze e capacità pregresse.
L’applicazione delle conoscenze sarà senza dubbio il focus principale della didattica. Al termine
di ogni tutorial o videolezione che sia, si potrà ipotizzare di applicare a un caso concreto quanto appena appreso o lo svolgimenti di un test di autovalutazione. Infine troviamo l’integrazione, che implica il trasferimento delle nuove conoscenze nella vita reale. L’integrazione ha notevoli ricadute sulla motivazione: se agli studenti viene offerta l’opportunità di dimostrare i propri progressi, la motivazione aumenta. In ognuna di queste fasi possiamo immaginare quanto
sia importante aver un adeguato supporto fornito da un numero adeguato di tutor.
Nella microprogettazione didattica, vanno sempre considerati i seguenti punti:
1. i modelli e le architetture didattiche più efficaci rispetto alle situazioni di apprendimento descritte;
2. le strategie didattiche e la loro combinazione;
3. la valutazione dell’apprendimento;
4. la comunicazione didattica efficace dei contenuti formativi.
La progettazione di un corso ha inizio con la scelta del modello didattico che meglio si
addice alle nostre esigenze formative.
Le architetture didattiche sono classificabili in quattro famiglie:
1. ricettiva, basata sulla trasmissione dell’informazione;
2. sequenziale o direttiva, basata su brevi lezioni e molta pratica;
3. a scoperta guidata, basata su un approccio problem-based e sull’apprendimento
situato (modello costruttivista);
4. collaborativa, basata su peer learning e orientamento al project work.
Innanzitutto dobbiamo sempre considerare che gli ambienti di apprendimento on-line
sono più adatti ad attività centrate sullo studente piuttosto che alla semplice trasmissione di materiale e conoscenza.
La sfida per i tutor è quella di progettare attività che incoraggino gli studenti a discutere, criticare e riflettere, piuttosto che immagazzinare passivamente grandi quantità di
informazione.
77
Formare per formare nella complessità
In secondo luogo, va ricordato che tali architetture non si escludono a vicenda, ma spesso funzionano meglio se integrate. Per esempio, il modello costruttivista e quello collaborativo si dimostrano un’arma vincente in contesti di e-learning. Inoltre qualunque
modello o combinazione di modelli venga selezionato, deve essere sempre posta attenzione all’interazione. L’apprendimento on-line infatti fallisce se non c’è interazione: pertanto bisogna facilitare la costruzione di relazioni e fornire un ambiente di apprendimento adeguato a questo fine.
Le reti, intese come relazioni sociali, istituzionali, economiche, professionali, hanno un
ruolo rilevante nella società contemporanea in quanto ogni individuo e organizzazione
non può più essere considerato a sé ma deve attivare relazioni tra parti.
Le competenze strategiche o metacompetenze, inoltre, necessitano, per essere attivate,
di azioni formative che permettano agli individui di avere uno sguardo completo sulla
realtà del e sul contesto in cui è inserito per costruire reti utili per uno sviluppo professionale adeguato (Lovece S., 2009).
Attivare delle reti diventa allora un’ulteriore competenza strategica che permette di sviluppare sia la capacità di individuare i bisogni del proprio ruolo professionale e di individuare le organizzazioni in grado di permettere di ampliare la professionalità, sia la capacità di analizzare le organizzazioni presenti nel territorio per decidere la giusta strategia
per attivare relazioni con esse.
78
Formare per formare nella complessità
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83
Sintesi dei Focus di aggiornamento
rivolti ai Formatori della Sicurezza
sui luoghi di lavoro
84
Focus n. 1
Il test di valutazione
Ferdinando Terranova, Luca Limardo
Attraverso un breve excursus storico-culturale nel quale si evidenzia che il nostro Paese, a differenza di quelli anglosassoni, non ha una lunga tradizione in
merito, si può datare l’avvio della “cultura della valutazione” contestuale
all’avvio del processo di programmazione economico-sociale dell’inizio degli anni ’60, per l’esattezza nel 1962 con la pubblicazione
della Nota Aggiuntiva alla Relazione sulla situazione economica
del Paese redatta dal Ministro del Bilancio dell’epoca, on.le
Ugo La Malfa.
La cultura della valutazione si avvale di tecniche di misurazione originariamente qualitative, successivamente
quantitative nella misura in cui si creano delle banche
dati di carattere economico-sociale.
• Qualitativa: quando si dà un giudizio di valore
sui risultati dell’azione che si è svolta secondo quanto programmato in base a una scala ordinale descrittiva
(da pessimo ad ottimo);
• Quantitativa: quando il giudizio di valore è rispetto ad una pietra di paragone presa per ottimale, secondo una scala ordinale numerica (da 0 a 10, a 100, a 1.000).
Dietro tali tecniche ci sono approcci diversi alla valutazione:
• in quello “positivista sperimentale” la pietra di paragone sono gli obiettivi del
Programma; la valutazione è riferita “a se e come gli obiettivi del Programma
sono stati raggiunti”.
• in quello “pragmatista” la pietra di paragone sono gli standard di qualità costruiti sulla base di ricerche psico-sociologiche ed epidemiologiche sul campo
o di ricerche scientifico-sperimentali di laboratorio. La valutazione è la misura
della distanza tra una realtà o un fenomeno che s’indaga ed uno standard ritenuto ottimale;
85
Focus n. 1. Il test di valutazione
• in quello “costruttivista” la pietra di paragone è quella che viene ritenuta un successo da parte del decisore politico o da parte del management, e la valutazione
coincide con il successo stesso rendendola unica.
Dietro i diversi approcci di valutazione si possono identificare differenti processi
logici ed altrettanti strumenti di osservazione: in quello “positivista sperimentale”
il metodo è quello “comparativo”, del confronto ripetuto nel tempo. Scopi o fini
non sono quantificabili, mentre lo sono gli obiettivi primari e secondari; il metodo
“comparativo” (confronto possibilmente ripetuto nel tempo) dà luogo ad un percorso che parte da una situazione A nel tempo A, attivando uno o più interventi, per
passare ad una situazione B nel tempo B. Oppure si passa da una situazione A nel
tempo A ad una situazione B nel tempo B anche senza che venga attivato alcun intervento. Lo strumento largamente utilizzato è il questionario da somministrare ad
un gruppo rappresentativo di popolazione individuato attraverso tecniche di campionamento ben definite.
Solitamente tale approccio è utilizzato largamente nell’analisi degli investimenti pubblici e in quella dei programmi sociali.
In quello “pragmatista”, la valutazione è legata ad un giudizio di valore che la società si
dà; il nodo è “come si stabiliscono gli standard da raggiungere”. In questo caso risulta
decisivo il ruolo svolto dagli esperti del settore oggetto di valutazione attraverso l’analisi
della struttura, del processo e dell’esito. Tale approccio si definisce in cinque punti fondamentali:
1.
2.
3.
4.
5.
86
stabilire criteri di merito e standard;
misurare i risultati dei singoli programmi;
dare un punteggio ai singoli risultati;
ordinare più programmi in una graduatoria;
sintetizzare i risultati in un giudizio finale di valore.
Un esempio comune di valutazione attraverso un approccio “pragmatista” si ottiene
quando si vuole arrivare a certificare la qualità dei servizi pubblici mediante l’applicazione delle norme e delle linee guida ISO 9000.
Lo strumento utilizzato è quello dell’inchiesta o delle indagini di popolazione che adoperano l’osservazione per acquisire i dati preliminari e l’intervista per studiare comportamenti ed aspettative attraverso la predisposizione di un questionario.
Nell’approccio “costruttivista” la valutazione di qualsiasi programma va contestualizzata (storicamente, culturalmente, economicamente, socialmente, ecc.) attraverso l’utilizzo degli strumenti di lettura identificabili nell’analisi dei casi e nelle interviste in profondità che sono di carattere qualitativo tramite il ricorso alle tecniche
Focus n. 1. Il test di valutazione
analitiche delle scienze della personalità. C’è da notare come le conclusioni ottenute non siano automaticamente trasferibili in altri contesti, anche se vengono attuati
programmi simili. Per ottenere una valutazione occorre che la comunità o l’intera
società venga coinvolta con processi partecipativi diretti o delegati. La valutazione
assume quindi un carattere partecipativo.
Storicamente la prima fase della valutazione corrisponde all’approccio positivisticosperimentale che abbraccia temporalmente il periodo della prima metà anni ’60 prima metà anni ’70. Tale periodo corrisponde alla legittimazione della programmazione economico-sociale. Il periodo successivo fino alla metà degli anni ’80 è caratterizzato da un approccio “costruttivista del processo sociale” che corrisponde all’esaltazione del “mercato” e alla delegittimazione della programmazione come vincolo al
“mercato”. Infine i nostri giorni vedono l’approccio “pragmatista della qualità”, dove
il processo valutativo corrisponde ad un pluralismo nelle valutazioni, sulla base di
quelle che i singoli valutatori ritengono essere le priorità di una società.
Inchiesta o indagini di popolazione
Nel dettaglio si andranno ora ad analizzare lo scopo e le metodologie per effettuare un’indagine di popolazione. Questa permette di precisare la natura del problema
e di determinare lo spazio che tale problema occupa nella vita di una collettività,
attraverso l’individuazione delle difficoltà da superare e la comprensione degli interessi che si oppongono alla soluzione del problema stesso. Si pone quindi come
fine quello di individuare le soluzioni possibili e di valutare le risorse disponibili per
far fronte alla situazione con un’azione appropriata, indicando i mezzi necessari per
raggiungere l’obiettivo.
L’indagine di popolazione può assumere un carattere “specifico” per meglio comprendere i rapporti di causa/effetto che legano i problemi oggetto dell’investigazione, mentre
risulta di tipo “generale” quando si propone di rilevare la molteplicità degli aspetti di una
determinata situazione sociale.
In linea di massima si possono sottolineare alcuni passaggi fondamentali che danno luogo ad un’indagine di popolazione:
1.
2.
3.
4.
preparazione dell’indagine;
raccolta dei dati;
analisi dei dati;
presentazione dei risultati.
Nello specifico, andando ad analizzare le fasi appena indicate, si può notare come
la fase della preparazione dell’indagine si sviluppi attraverso la determinazione
87
Focus n. 1. Il test di valutazione
dell’obiettivo perseguito, la successiva perimetrazione del territorio ove si svolgerà
l’indagine, la predisposizione di un piano di lavoro e di un conseguente piano finanziario.
Successivamente si procede con la raccolta dei dati tramite la fase di addestramento dei rilevatori (coloro che raccoglieranno i dati); tale attività ha lo scopo di ottenere chiarezza nella formulazione delle domande. Esse infatti non possono assolutamente dar adito ad equivoci, pena l’annullamento dell’indagine stessa. Raccolti
i dati, si può quindi passare alla loro analisi attraverso la revisione, la classificazione e la codifica finale, passaggio che permette di giungere alla fase finale che è
quella della presentazione dei risultati, attraverso il ricorso a rappresentazioni grafiche (grafici lineari, istogrammi semplici, istogrammi composti, grafici per settori, pittogrammi, carte geopedologiche, cartogrammi, schizzi e fotografie, rappresentazioni grafiche cromatiche). Da quest’ultima fase si genera il cosiddetto rapporto finale; i punti principali sono caratterizzati dalla esplicitazione dello scopo
dell’indagine e da come essa è stata organizzata, come ad esempio la descrizione
della zona scelta e le ragioni di tale scelta. Successivamente si andranno a illustrare le modalità seguite nella conduzione dell’inchiesta effettuata sul campo ed i relativi metodi utilizzati; questo produrrà l’elenco dell’esposizione dei fatti osservati
e dei risultati ottenuti, raggruppando le tematiche analizzate attraverso una serie
di sintesi conclusive.
A questo punto si potrà presentare una serie di ipotesi attraverso un progetto d’intervento che mira a modificare la situazione esaminata nell’inchiesta e a controllare nel futuro
l’evoluzione del fenomeno osservato. A tale riguardo si possono delineare due tecniche
d’osservazione:
• 1. l’osservazione (semplice, sistemica, globale) per acquisire i dati preliminari;
• 2. l’intervista (individuale e collettiva) per studiare comportamenti ed aspettative. L’intervista, a sua volta, si avvale di uno strumento: il questionario. Questo
è definito dagli specialisti del settore ed è solitamente preceduto da uno studio
pilota della tematica da investigare. I suoi obiettivi debbono essere ben circoscritti e non superare nella somministrazione i 30 minuti; attraverso il suo utilizzo possiamo analizzare i seguenti contenuti:
88
1.
2.
3.
4.
5.
fatti;
conoscenze;
opinioni;
atteggiamenti;
motivazioni.
Focus n. 1. Il test di valutazione
Per formulare un questionario è necessario attenersi ad alcune indicazioni di carattere
empirico e generale: infatti dal punto di vista pratico, osservabile, il questionario dovrà
permettere a coloro che lo compilano di non dover sostenere un grande sforzo di memoria, attraverso l’impiego di domande chiare, evitando l’uso di quesiti “orientati”; risulta altresì importante evitare domande che coinvolgano emotivamente l’intervistato, o
puntare ad avere risposte univoche. Infine la successione delle domande non deve essere
logica bensì deve cercare di mettere a suo agio l’intervistato.
Per quanto concerne invece le indicazioni di carattere generale possiamo notare come
le domande debbano passare da un livello di comprensione semplice ad uno più complesso, in maniera graduale, permettendo così il risveglio dell’interessamento da parte
dell’intervistato. La scelta della tipologia delle domande può essere molto ampia e varia:
si possono utilizzare infatti domande di tipo diretto o indirette, proiettive per le ricerche
motivazionali, domande chiuse, semichiuse o aperte, domande primarie che svolgono la
funzione di filtro per quelle successive, domande di controllo che permettono di verificare la casualità o meno delle risposte fornite, ecc.
Un ulteriore strumento d’indagine utilizzabile è costituito dall’intervista, che può assumere il carattere “strutturato” o “semistrutturato”; un punto fondamentale per la riuscita
dell’intervista è l’analisi del campione da coinvolgere, attraverso le tecniche di campionamento che possono essere definite attraverso un piano determinato a sua volta dalla
disponibilità o meno di una lista di popolazione (piano di campionamento). Tale scelta
si muoverà tra due possibilità: la prima è determinata dalla scelta causale in presenza di
liste delle unità di popolazione, che a sua volta produrrà quattro tipologie di campioni:
A. causale semplice;
B. sistematico;
C. stratificato;
D. a più stadi.
Nel caso in cui non è possibile disporre della lista delle unità di popolazione ci troveremo di fronte a due tipologie di campionamento:
A. a cluster (grappolo);
B. per aree.
Avendo quindi analizzato alcune delle possibili tecniche per effettuare un’indagine su
una popolazione, ci avviamo a esaminare il concetto di multimedialità osservando alcune delle principali piattaforme e-learnig presenti attualmente nel panorama della formazione a distanza.
89
Focus n. 2
La formazione mista:
ipotesi di blended learning applicata
alla formazione professionale
Luca Limardo, Ferdinando Terranova
Lo scopo principale del Focus è di introdurre il formatore ad acquisire uno strumento per l’apprendimento on-line, per far capire come migliorare la qualità della formazione facilitando l’accesso a risorse e lasciando indipendente lo studente
nella sua fase di apprendimento, pur avendo un monitoraggio continuo di tutte le attività svolte. Questo concetto verrà analizzato attraverso l’osservazione di
come si possa gestire un progetto educativo tramite l’utilizzo di piattaforme specifiche per la formazione on-line, studiando singolarmente le parti che la costituiscono. Partendo dalla gestione degli oggetti didattici (o Learning Object), si
arriverà a comprendere cosa sono e come, tramite l’utilizzo di specifici strumenti, si possano creare delle risorse didattiche che rispettino lo standard del modello virtuale SCORM. Si illustrerà inoltre come monitorare le diverse attività dello
studente, per determinare lo stato della lezione, il tempo di fruizione e il punteggio nel caso di test.
I concetti base dell’e-learning
Tutti i sistemi e-learning si basano su alcuni concetti chiave:
•
•
•
•
Learning management system o LMS (es. Moodle);
Learning Object o LO;
Modello SCORM;
PowerPoint e Articulate.
Learning management system o LMS è uno strumento software installato su un web
server, il cui compito è di gestire l’erogazione di corsi e-learning. Un LMS è uno strumento fondamentale per la realizzazione di un progetto didattico on-line. Tali software
hanno tre compiti base che li definiscono:
90
• erogazione dei corsi on-line;
• iscrizione degli studenti;
• tracciamento delle attività.
Focus n. 2. La formazione mista:
ipotesi di blended learning applicata alla formazione professionale
La maggior parte di questi applicativi supporta un modello standard chiamato SCORM.
L’LMS preso in esame è Moodle ed è una delle più importanti e diffuse piattaforma
e-learning.
Moodle è stato sviluppato per dare la possibilità al docente di gestire gli studenti come
in una classe; pertanto la piattaforma ci mette a disposizione una serie di oggetti che
contribuiscono alla creazione di corsi e di condivisione del materiale didattico, come ad
esempio il pacchetto SCORM che ci permette di importare direttamente in piattaforma
il corso da un file formato zip, o il quiz che dà la possibilità al docente di generare delle
prove di valutazione, mettendo a disposizione le più comuni tipologie di test. Moodle ha
anche degli oggetti orientati alla condivisione del materiale didattico, come il database,
che consente di costruire una conoscenza di base condivisa, o il glossario, che dà la possibilità di generare un elenco di termini più usati nel corso. Il software offre anche risorse di comunicazione all’interno della classe come il forum, che permette di inserire dei
commenti in specifiche aree tematiche, o il wiki, che consente di generare dei contenuti
modificabili anche dagli studenti. Infine il docente tramite la piattaforma è in grado di
visionare tutte le attività che si svolgono nella propria classe, quindi si ha tracciamento
del tempo di fruizione del corso, del punto in cui si trova lo studente, di quante volte lo
studente ha avuto accesso ad una determinata risorsa, del punteggio finale del quiz.
Learning Object o LO è una risorsa digitale, modulare e riutilizzabile che costituisce un
unico oggetto didattico. Un LO è formato da una serie di risorse minime (immagini, video, testi, ecc.). È importante che tutti gli LO abbiano una componente di riusabilità,
quindi che possano essere utilizzati in contesti di formazione diversi; questo comporta
anche un’adattabilità così da rendere facilmente aggiornabile l’LO. Un Learning Object
deve anche avere la possibilità di essere aggregato con altri LO. L’ultima caratteristica che
deve possedere un LO è la reperibilità che, grazie ai metadati, dà la possibilità di cercare
contenuti all’interno del Learning Object stesso.
Lo SCORM è un modello virtuale standardizzato e definisce una serie di specifiche di
riutilizzo, tracciamento e catalogazione dei LO.
Lo SCORM è basato su sei principi:
• durabilità - un pacchetto con elevata durabilità garantisce interventi minimi di
aggiornamento;
• interoperabilità - dà la possibilità ai pacchetti di essere utilizzati in più piattaforme;
• accessibilità;
• riusabilità - un’unità di un pacchetto può essere utilizzata in corsi differenti;
• adattabilità - il sistema di fruizione del corso dovrebbe essere il più possibile
adattabile alle esigenze del singolo studente;
• sostenibilità economica.
91
Focus n. 2. La formazione mista:
ipotesi di blended learning applicata alla formazione professionale
Un pacchetto SCORM in genere è un file in formato zip o pif e all’interno contiene la
struttura del Learning Object.
In ultima analisi osserviamo il PowerPoint, famoso prodotto di casa Microsoft per la generazione di presentazioni, che se utilizzato con il componente aggiuntivo di terze parti,
Articulate ad esempio, può essere un valido supporto alla generazione di corsi e-learning. Articulate è stato sviluppato per facilitare il compito del docente nella creazione di
corsi digitali; con questo specifico plug-in è possibile esportare il corso in varie modalità,
che sono pacchetto SCORM, che trasforma il corso in un LO compatibile con la maggior parte dei LMS, pacchetto WEB, che predispone il corso per essere caricato on-line
come un semplice sito web, pacchetto CD, che a sua volta genera un eseguibile da poter aprile off-line. Oltre a ciò il componente integra PowerPoint con strumenti specifici,
come la sincronizzazione di un audio con le animazioni della presentazione, la creazione di quiz ed interazioni e l’importazione di oggetti multimediali all’interno della presentazione.
Questo strumento ci introduce all’uso specifico che se ne può fare durante un percorso
didattico, sia on-line che off-line.
92
Focus n. 3
Gli strumenti del comunicare:
tecniche e software per migliorare
l’interazione didattica
Cristian Marras, Gianfranco Zucca
Il web è una sorta di vaso di Pandora: quando si cerca qualcosa si trova sempre tanto altro, aldilà di quello che si cercava. Ci sono dei blog che propongono interessanti spunti
di riflessione in merito a tantissimi argomenti; rispetto a quello della comunicazione in
aula abbiamo trovato una “indagine”, emergente dalla realtà lavorativa, che ci dice quali
siano le percezioni sui maggiori fastidi provati dalle persone che, da allievi, seguono un
docente in un’aula di formazione. Per iniziare a parlare della comunicazione in aula partiamo da questi dati che, con le dovute riserve in merito all’attendibilità statistica, ci dicono qualcosa di significativo. Certamente la presenza di un docente in aula deve essere
un valore aggiunto rispetto a quello che sta scritto su una slide, e quello che sta scritto
nelle slide deve avere una sua valenza in termini di intelligibilità da parte dei discenti,
vero obiettivo di un corso di formazione.
Un percorso di formazione prevede la presenza in un’aula di due soggetti apparentemente contrapposti: il formatore, da una parte, ed il gruppo dei partecipanti dall’altra.
Dall’incipit della “comunità di apprendimento” si crea una relazione tra questi due soggetti. Questa relazione è un veicolo importantissimo ai fini dell’acquisizione delle conoscenze e delle competenze; per questo saperla gestire è una chiave fondamentale per il
successo nel mestiere di formatore. Proprio per la delicatezza e l’importanza che risulta
avere il rapporto che si delinea tra formatore e partecipanti, l’esito può essere diametralmente opposto.
Il rapporto può essere un braccio di ferro, in cui il formatore ha serie difficoltà a far passare il messaggio/obiettivo del suo mandato formativo. In questo caso le difficoltà possono essere insormontabili e l’aula può trasformarsi in una pratica da disbrigare il prima
possibile lasciando la situazione come si trovava precedentemente se non peggiorata.
In altra ipotesi il rapporto può generare un circolo virtuoso tra formatore e partecipanti
in cui vengono esplicitati in maniera chiara bisogni e metodi, e la condivisione diventa
la chiave del lavoro. In questo caso l’aula può essere come un’orchestra in cui l’interdipendenza, in senso positivo, crea una relazione proficua tra il formatore ed i partecipanti. L’immagine di questa situazione può essere assimilabile ad un’orchestra che seguendo
il suo direttore esegue delle fantastiche musiche.
Per poter avere un quadro chiaro di quali siano gli attori in scena, analizziamo la figura
del formatore, andando a rispondere a semplici, ma sostanziali, domande:
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Focus n. 3. Gli strumenti del comunicare:
tecniche e software per migliorare l’interazione didattica
• Chi è?
• Cosa fa?
• Perché lo fa?
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Procediamo per gradi.
Il formatore è una persona, un professionista, che, insieme al suo sapere ed alle sue esperienze, si mette a disposizione di altre persone per veicolare o far emergere un messaggio
o conoscenza, sia esso di tipo tecnico, sia trasversale. Da un lato quindi troviamo la personalità del formatore, con le sue peculiarità, che entrano a pieno titolo tra le variabili
dell’aula, e dall’altra le personalità dei partecipanti che contribuiscono al lavoro, al clima
e fondamentalmente all’efficacia dell’esperienza formativa.
Il formatore fa un mestiere importante e delicato; quello che lo muove è una motivazione intrinseca forte che costituisce il sostrato della sua quotidianità lavorativa.
Quali sono gli aspetti che, nella professione del formatore, devono essere gestiti e valorizzati?
Rispondiamo a questa domanda analizzando il suo profilo professionale.
Il dato assodato è che il formatore deve essere un esperto di una materia per poterla spiegare in maniera efficace ai suoi interlocutori. In quest’ottica possiamo inserire il concetto espresso in maniera molto evocativa da Hemingway nella “teoria dell’iceberg” in cui
si sottolinea l’importanza della mole delle conoscenze che emerge, come per un iceberg
appunto, solo per una minima parte. In questo modo si sottolinea l’importanza della
mole delle conoscenze come base di partenza per dare sicurezza in aula, dove i partecipanti sono portatori di bisogni.
Continuando ad approfondire gli aspetti che caratterizzano la personalità di un formatore, troviamo ciò che va oltre la conoscenza appresa sui libri. Parliamo ora delle competenze. La classica distinzione delle competenze di base, tecniche e trasversali in questa
sede ci è di aiuto per esemplificare quanto queste tre categorie si compenetrino nella figura del formatore.
Le competenze tecniche e di base sono il punto di partenza; le competenze trasversali ne
completano l’efficacia garantendo la capacità di trasmettere un messaggio e di far vivere
un’esperienza che possa gettare le basi per portare a casa un messaggio significativo.
Tra gli aspetti di cui un formatore deve avere conoscenza e padronanza, per poter gestire
in maniera efficace un’aula, troviamo la conoscenza di se stesso e della sua personalità.
Questo risulta essere importante ai fini della impostazione dell’aula e della regolazione
dell’interazione con l’aula stessa.
Una volta avuta una conoscenza approfondita di tutti questi aspetti, arrivare ad una platea
sarà una situazione piacevole come il compimento di un lungo ed importante percorso.
Parliamo di obiettivi, concepiamoli come una missione che il formatore deve compiere
in nome della conoscenza.
Focus n. 3. Gli strumenti del comunicare:
tecniche e software per migliorare l’interazione didattica
Quando un formatore entra in un’aula ha di fronte a sé delle persone bisognose di qualcosa. Individuiamo questo “qualcosa”.
L’aspetto fondamentale della formazione non è solo e semplicemente la spiegazione di
un concetto, di una formula matematica o di una nuova regola in quanto questo sarebbe
troppo sterile e spersonalizzante per entrambe le parti. L’aspetto a cui guarda il formatore è la restituzione del ruolo dell’esperto di sé ai suoi interlocutori. Renderli di nuovo indipendenti ed autonomi nel loro lavoro in un contesto cambiato ed evoluto. L’elemento
che deve essere ricercato è l’accrescimento del self empowerment, ossia della generazione
di una autonomia cosciente e forte del proprio ruolo.
A questo punto è il caso di contestualizzare e di immaginarsi i primi momenti di un’aula. A volte basta una semplice domanda per farci riconsiderare tutti i nostri piani e ritmi
di lavoro, ossia “perché siete qua oggi?”.
Le risposte sono spesso le più disparate ma tutte certamente degne di attenzione, in quanto
rispondendo a questa domanda i partecipanti ci parlano della loro “motivazione”.
È, quindi, il momento di approfondire brevemente questo argomento.
La motivazione è concepita in termini psicologici come l’attivazione, l’orientamento e
la persistenza di un comportamento nel tempo. La sua analisi ci consente di capire molti aspetti che tengono in aula tante persone, in quanto permette di capire la natura del
comportamento delle persone e di predirne la manifestazione.
Da un punto di vista macro possiamo distinguere due categorie di motivazione.
Una, quella intrinseca, attiene agli aspetti interiori della persona. Questa tipologia di
motivazione fa riferimento e si aggancia alla dimensione intima e personale degli individui. In questa categoria possiamo trovare aspetti come il puro piacere di svolgere una
attività, o la voglia di adempire a un compito semplicemente perché gratificante.
La seconda categoria è quella della motivazione estrinseca. Questa tipologia costituisce
l’opposto della prima; fa riferimento quindi ad aspetti che stanno fuori dalla persona e
guardano in particolar modo ad aspetti di tipo sociale. Si parla dunque di elogi, incentivi
monetari o dello status derivante dallo svolgere un determinato compito o attività.
Di cosa si compone la professionalità del formatore?
Abbiamo accennato precedentemente al fatto che il formatore deve possedere delle skills
specifiche oltre quelle tecniche che riguardano la trasmissione di un messaggio ad altre
persone. Andiamo ad analizzare ora quali sono le componenti della professionalità di un
formatore.
Possiamo individuare principalmente tre classi.
La prima classe riguarda le competenze relative al contenuto, ossia il sostrato di cui abbiamo parlato prima, che riguarda la competenza sulle materie insegnate, quindi la conoscenza approfondita di quello che si propone in aula, aspetto che i partecipanti col-
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Focus n. 3. Gli strumenti del comunicare:
tecniche e software per migliorare l’interazione didattica
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gono in maniera istantanea e che costituisce una chiave importante per il rapporto che
si instaurerà durante il corso.
Parliamo poi di competenze di campo. Questa classe di competenze è importantissima
in quanto aiuta a contestualizzare l’intervento in un preciso ambito organizzativo, storico e sociale. Conoscere il contesto in cui si effettuerà l’intervento è un rilevante spunto per poter interpretare in partenza gli obiettivi dell’organizzazione che ha coinvolto il
formatore ed in cui i destinatari andranno ad operare, in modo tale da poterne correttamente interpretare i bisogni e poter delineare insieme i risultati raggiungibili.
Infine, ma non meno importante, è la conoscenza di tutte quelle metodologie d’aula che
aiutano il formatore a far passare i contenuti ed i messaggi che sono obiettivo del suo intervento e che possono influenzare in maniera importante la riuscita di un’aula.
Individuate le caratteristiche che ne compongono la professionalità, arriviamo ora a delineare tutto il processo che porta il formatore in un’aula di fronte ai partecipanti. Suddividiamo questo processo in “step” fondamentali, analizzando di cosa si tratta e specificando quali sono le operazioni più salienti di ogni passaggio. Il primo “step” riguarda
l’analisi dei bisogni. Gli aspetti fondamentali di questa fase sono legati al contesto ed ai
referenti dell’azienda o organizzazione in cui il formatore si troverà ad operare. Le abilità
che in questa fase saranno utili ai fini di un buono start del processo formativo saranno
quelle legate alla analisi e negoziazione in merito ai contenuti, alle possibilità della riuscita dell’intervento formativo e alla comunicazione strategica con i responsabili della
struttura.
Il secondo “step” riguarda l’avvio del processo che mira direttamente all’aula, ossia la
progettazione dell’intervento. In questa fase le abilità che un formatore deve mettere in
campo e gestire sono quelle legate alla padronanza, e quindi alla scelta, degli strumenti
didattici più consoni agli obiettivi formativi precedentemente individuati.
Il terzo “step” è quello dell’erogazione: qui si entra nel vivo dell’aula e nella quotidianità del gruppo. Le capacità del formatore interessate in questa fase sono quelle relative all’animare ed accendere un gruppo con finalità di apprendimento. Comunicare
in maniera adeguata, supportare i partecipanti a far emergere i dubbi e le resistenze in
merito agli argomenti trattati anche attraverso tecniche d’aula specifiche volte all’animazione sono aspetti che, in questa fase, il formatore deve gestire in maniera cosciente
ed autonoma.
Il quarto “step” riguarda infine il momento della valutazione dei risultati raggiunti alla
fine dell’aula. Questa fase è delicata ed importantissima, è un tempo dedicato al bilancio tra i risultati previsti e quelli raggiunti che funge dunque anche da termometro per
l’efficacia stessa del formatore. È utile anche per poter individuare nuovi bisogni emersi
durante la precedente erogazione al fine di valutare futuri interventi.
Gli obiettivi di questo Focus guarderanno gli “step” che vanno dalla fase della progettazione a quella della valutazione dei risultati.
Focus n. 3. Gli strumenti del comunicare:
tecniche e software per migliorare l’interazione didattica
L’apprendimento efficace
Un apprendimento efficace è quello che viene portato a casa dai partecipanti dopo il percorso d’aula e va a costituire una parte consolidata della conoscenza di ognuno di loro.
Come rendere efficace un percorso d’aula? I metodi possono essere tanti; in generale le
metodologie attive contribuiscono in maniera importante all’obiettivo dell’apprendimento efficace.
Quali sono dunque le caratteristiche che una metodologia attiva deve soddisfare per poter guardare all’efficacia?
Iniziamo dall’esperienza; ogni attività di formazione è un’esperienza e l’aspetto esperienziale aiuta a contestualizzare anche a livello mnemonico l’intero percorso che può essere
mantenuto in memoria per lunghissimo tempo.
Un altro aspetto riguarda la comprensione; ogni partecipante deve essere coinvolto in
modo tale da rendergli comprensibile ciascun passaggio e non lasciare che alcuni elementi si stacchino generando un gap tra partecipanti in quanto questo tenderebbe ad
isolare alcuni generando sottogruppi passivi o rinunciatari.
C’è poi l’elaborazione; ogni partecipante deve avere il tempo di elaborare l’esperienza in
modo personale e significativo.
Infine abbiamo la metabolizzazione, che attiene alla sedimentazione permanente
dell’esperienza.
Analizziamo ora alcune metodologie che il formatore può utilizzare nella sua attività
professionale.
La prima e la più classica è la lezione. Questa metodologia comporta vantaggi e svantaggi: approfondiamoli.
La lezione preparata a casa in maniera determinata esclusivamente dal docente ammette la garanzia del fatto che i concetti verranno trasmessi in maniera rapida e strutturata
secondo una tabella di marcia che riflette però le aspettative esclusive del docente. Questo è certamente un vantaggio in termini di omogeneizzazione delle disparità delle conoscenze teoriche dei partecipanti e può aiutare a dotare gli stessi di una preparazione
teorica standardizzata. Vediamo gli svantaggi: la rigidità di fondo della lezione e l’adesione alla teoria più che alla pratica generano delle reazioni che definiremo fisiologiche:
la caduta dell’attenzione dopo poco tempo, la scarsa memorizzazione dei concetti e la
fondamentale, se si parla di apprendimento degli adulti in particolar modo, difficoltà di
collegare i concetti appresi alla realtà lavorativa quotidiana.
Analizziamo adesso i fattori che possono aiutarci ad incrementare l’efficacia della lezione. Uno è l’utilizzo di metodi attivi; con questi metodi i partecipanti vengono coinvolti
in prima persona a fare e vivere l’esperienza formativa. Il risultato è che la lezione perde
quell’aura didattica rigida e diventa una opportunità di crescita.
C’è poi l’innovazione tecnologica che consente di utilizzare i supporti d’aula in maniera
consona a favorire l’apprendimento; la chiave è nella scelta del supporto, che deve essere
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Focus n. 3. Gli strumenti del comunicare:
tecniche e software per migliorare l’interazione didattica
sempre funzionale agli obiettivi. Oltre a quanto precedentemente detto, il gruppo, che è
elemento fondamentale, deve essere opportunamente stimolato alla partecipazione.
Continuando a tenere come riferimento l’efficacia dell’aula ci sono dei fattori che devono essere approfonditi per averli sempre sotto controllo. Innanzitutto il tempo: dosarlo per ogni argomento o esercitazione che ci si propone di utilizzare è un aspetto che
va valutato, prima di iniziare una attività, soprattutto quando si hanno tempi precisi di
apertura e di chiusura. Questo ci può aiutare anche a valutare pause strategiche in modo
tale da cogliere sempre il livello ottimale di attenzione dei partecipanti. Una grande risorsa per il formatore, sia in termini di valutazione del proprio metodo sia dei contenuti,
è costituita dai dubbi che emergono dall’aula; grazie a questi si possono approfondire e
fissare gli argomenti trattati. Da curare inoltre sono i materiali d’aula, come ad esempio
le dispense da dare ai partecipanti che devono essere pensate in maniera differente dagli
altri materiali a supporto del docente, come le slides.
I supporti alla didattica: i metodi delle esercitazioni
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Quali sono i supporti che un docente può utilizzare in un contesto d’aula?
La panoramica che effettueremo ci dice che sono tanti e versatili, quindi si prestano ad essere plasmati per gli utilizzi più disparati. Quello che farà la differenza in aula sarà il ruolo
che il formatore darà agli strumenti scelti nella fase di progettazione.
Altro aspetto fondamentale sarà la cura dell’efficienza di questi supporti; sincerarsi sempre della loro funzionalità e disponibilità è un semplice e salvifico strumento per la tutela del lavoro del formatore. Il proiettore, che consente di utilizzare le slides, la lavagna
interattiva che consente esercitazioni interattive con i partecipanti, o anche il web per
cercare delle fonti utili al nostro lavoro, sono tutti opportunità che il formatore deve saper cogliere in maniera responsabile e funzionale ai suoi obiettivi.
Prima di entrare in aula una questione legittima da porsi è quella relativa al metodo. Lo
studio del metodo per il docente costituisce una parte importante del suo percorso formativo ed effettuare una scelta metodologica significa dare una impronta fondamentale
al processo formativo.
Si possono individuare due grandi categorie che fanno riferimento a due approcci radicalmente differenti. Sono l’approccio induttivo e quello deduttivo.
Con l’approccio deduttivo partiamo da una teoria per spiegare la pratica. Questo tipo di
metodo è assimilabile a quello dello studio filosofico in cui esaminare una spiegazione
teorica per cercare nella realtà la sua conferma. Il metodo induttivo d’altro canto parte
da un fenomeno pratico per andare a categorizzarlo teoricamente. Effettuare una scelta
che preveda l’uno o l’altro metodo implica dare un’impronta importante all’aula. L’esperienza dice che in un’aula con persone adulte partire dalla realtà per andare a categorizzare a livello teorico un fenomeno è certamente più produttivo in quanto consente ai par-
Focus n. 3. Gli strumenti del comunicare:
tecniche e software per migliorare l’interazione didattica
tecipanti di rimandare quanto detto alla propria realtà lavorativa. Questo è, ad esempio,
certamente efficace in termini di sicurezza sul lavoro.
Continuando a parlare di metodo vediamo come porre ai partecipanti contenuto teorico.
Le opzioni possono prevedere, tra le tante, la sequenza per problemi, ossia si presenta
una situazione problematica e si delinea poi la teoria che ha permesso di risolvere o spiegare il dato fenomeno. Oppure si fa un excursus storico in cui si segue il delinearsi di
tutte le teorie che si sono succedute per arrivare allo stato attuale.
Come valutare lo stato della conoscenza
Uno dei metodi più utilizzati e accreditati è l’utilizzo dei questionari o test conoscitivi.
Le risposte sintetiche offrono indubbi vantaggi per il docente che può quindi standardizzare la valutazione attraverso strumenti come schede o correttori automatici. In
ogni caso anche questi strumenti offrono vantaggi e svantaggi. Analizziamoli tenendo
sempre come riferimento l’efficacia dell’aula. Da un lato i questionari rinforzano le
conoscenze, nel senso che laddove si commetta un errore, dopo si svolgono la contestualizzazione e la spiegazione di quanto è stato sbagliato; in questo senso se la correzione avviene nel gruppo le lacune possono essere colmate dal gruppo stesso, il quale
funge da rafforzo per il docente, che ottiene una misurazione dell’andamento collettivo dell’apprendimento.
Arriviamo agli svantaggi: questo tipo di strumento evoca reminiscenze scolastiche che
possono in certi casi non essere d’aiuto all’efficacia stessa del questionario. Questo è
dovuto a vissuti individuali dei partecipanti non conoscibili a priori nella fase di progettazione. In questa sede è però opportuno fare presente la possibilità della loro presenza.
Altro aspetto riguarda il loro utilizzo nel tempo; se si utilizzano alla fine del percorso, il
potere di correggere il tiro in itinere viene praticamente annullato restituendo solo una
valutazione finale.
Non esistono però solo i questionari. Se vogliamo parlare di apprendimento orientato alla
pratica possiamo introdurre le esercitazioni addestrative, che consistono nello svolgimento di
attività in maniera operativa, utilizzate in ambito aziendale per fare apprendere delle procedure standard. Si tratta, ad esempio, delle simulazioni di una attività quotidiana che preveda
dei referenti ed un percorso prescritto in modo tale da evitare problemi relativi al processo
lavorativo.
Le esercitazioni di problem solving si rifanno a questa importante competenza trasversale.
Hanno una utilità certa in termini di apprendimento, in quanto consentono al discente di saggiare l’efficacia del proprio modo di risoluzione di un problema. Consistono nell’assegnare un problema vicino alla realtà al gruppo, il quale si attiva con
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Focus n. 3. Gli strumenti del comunicare:
tecniche e software per migliorare l’interazione didattica
tutte le risorse necessarie che può trovare al suo interno, creando la possibilità di
predisporre dei sottogruppi. Quello che si vuole stimolare è la capacità di arrivare
ad un problema inerente ai contenuti dell’apprendimento precedentemente trattati.
È un metodo certamente vantaggioso, che merita attenzione soprattutto in termini
di debriefing finale, utile ad approfondire tutte le variabili emerse dal processo di
problem solving.
Rimanendo nell’ambito delle esercitazioni, si propone anche il cosiddetto incident o
caso a più fasi. In questa metodologia il docente propone un problema che è molto aderente alla realtà, che può essere risolto con le risorse del gruppo anche in termini di proattività nella sua ricerca e prevede degli step definiti, alla fine dei quali il docente effettua
un debriefing utile a categorizzare e contestualizzare quanto emerso durante l’esercitazione, in modo tale da concedere la rilettura di quanto svolto.
Uno strumento importantissimo per le esercitazioni è quello degli autocasi. In questa
modalità esercitativa i partecipanti sono i veri protagonisti in quanto portano al gruppo
un caso da loro vissuto che ha costituito o costituisce un problema. Il gruppo funge da
consulente, si attiva e partecipa alla soluzione. In questa modalità il docente deve avere
una gestione del gruppo idonea a supportare i vari contributi emergenti e a rendere il
tutto fluido e confacente alla soluzione. Un aspetto che deve essere governato con delicatezza è quello emotivo, in quanto una sua gestione inadeguata potrebbe portare a conflitti anche accesi tra gli stessi partecipanti, proprio per il fatto che si parla di cose reali
e non simulate.
Gli strumenti per la didattica: PowerPoint
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Conclusa la panoramica sui metodi, parliamo ora di strumenti utili. In particolare di
strumenti software per le presentazioni d’aula.
Il più diffuso ed utilizzato è certamente PowerPoint. È alla portata di tutti perché si trova
nel pacchetto base di Office in ogni PC dove è stato installato Windows. Se ciò è da un
lato una grande opportunità per tutti, dall’altro il suo utilizzo è un rischio, soprattutto
se non si è compresa fino in fondo la logica che sta dietro questa applicazione.
Il formatore che utilizza PowerPoint ha sia un potenziale strumento di successo, sia un
potenziale veicolo di difficoltà. Prima di iniziare a comporre le slide si deve infatti concepire il progetto nel suo insieme e decidere quali sono le frasi, gli schemi, le immagini
salienti, in modo da poterli valorizzare. Il primo passo è dunque quello di avere chiaro
che ruolo dare in aula a questo strumento per poi realizzare una presentazione che sia
comprensibile e memorizzabile da parte dei partecipanti.
Facciamo ora una panoramica sulle funzioni di PowerPoint che in un’aula possono essere
un valido supporto per il formatore.
Le immagini ed i filmati hanno un ruolo importante, consentono di ancorare il conte-
Focus n. 3. Gli strumenti del comunicare:
tecniche e software per migliorare l’interazione didattica
nuto alla memoria visiva, consentendo di tracciare un percorso significativamente più
duraturo di quello delle parole. In un certo senso, nel loro utilizzo, il formatore deve
porsi nei panni di un regista al momento delle riprese.
Le esercitazioni tramite PowerPoint sono molto utili nel caso si voglia sottoporre ai partecipanti un questionario in quanto durante la presentazione si può far scorrere quest’ultimo automaticamente secondo una temporizzazione stabilita dal docente a priori.
Questo metodo ha indubbi vantaggi, attira l’attenzione dei discenti, è uniforme ed evita distrazioni di vario tipo durante lo svolgimento della verifica. Prima di iniziare vanno
adottati alcuni accorgimenti, come l’accertamento della visibilità in aula e l’affidabilità
della strumentazione informatica.
Le note a supporto del relatore possono aiutare il docente in caso di imprevisti “vuoti
di memoria”. Anche in questo caso il lavoro deve essere impostato nella fase di progettazione delle slide. Si può, ad esempio, prevedere di appuntare nello “spazio note” delle
parole chiave relative agli argomenti che si vogliono trattare in modo che attivandole si
possano leggere in maniera chiara, proprio come se ci fosse a disposizione un suggeritore
teatrale che ricorda la battuta che non rammentiamo.
Approfondiamo il discorso sull’utilizzo dei filmati e delle immagini.
Se l’euforia del saperli utilizzare ci può portare a far diventare PowerPoint un Movie Maker, si deve tenere presente che dall’altra parte della platea ci sono sempre delle persone
che hanno un loro livello di attenzione che segue le “regole” della fisiologia e che portano con sé aspettative e motivazione.
La capacità del formatore consiste nel dosare l’utilizzo di queste due risorse evitando che
i filmati si sostituiscano al docente relegandolo al ruolo del mero “proiezionista”. Ogni
filmato dunque deve essere un aggancio a quanto si sta dicendo e la capacità di scelta del
tipo di filmato e dell’impatto che si vuole generare sta nella individualità del docente.
Possiamo affermare in conclusione che i filmati e le immagini non devono sostituire il
docente ma integrarne l’efficacia espositiva.
Tra le utilità di PowerPoint si possono sottolineare i pulsanti di azione.
Con questi pulsanti, che troviamo tra le “forme”, si può fare una serie di attività quali:
•
•
•
•
•
•
aprire un programma;
rimandare ad un’altra slide;
rimandare ad un’altra presentazione;
avviare un file audio;
avviare un filmato;
rimandare alla home.
Oppure ancora creare dei collegamenti ipertestuali a siti o altri documenti, o ancora inserire filmati direttamente dentro la slide.
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Focus n. 3. Gli strumenti del comunicare:
tecniche e software per migliorare l’interazione didattica
Gli strumenti per la didattica: Prezi
Introduciamo ora un nuovo software di presentazione che sta riscuotendo un enorme
successo: Prezi. È una applicazione on-line che consente di creare delle presentazioni dal
forte impatto visivo dando una serie di opportunità per liberare l’energia creativa del
formatore.
Si può iniziare a lavorare con Prezi in maniera molto intuitiva. Nella versione public,
gratuita on-line, si accede al Prezi con un proprio account e le presentazioni sono archiviate in un cloud. Prezi consente di richiamare contenuti sia dal web sia dal pc locale,
andando ad implementare il proprio cloud. Consente inoltre di riconoscere automaticamente file pdf e ppt (PowerPoint). Un aspetto interessante, che guarda al Web 2.0, è
la possibilità di condivisione delle proprie presentazioni sui social network come Facebook e Linkedin.
Il confronto
Esaminiamo ora le differenze tra Prezi e PowerPoint.
Nel secondo, che tradizionalmente è il più utilizzato, il relatore crea una presentazione
dal tragitto “forzato”. Egli può, infatti, scorrere le proprie slide dall’inizio alla fine secondo una sequenza che è prestabilita e che raramente può prevedere dei balzi contenutistici. Questo può aiutare il docente nella preparazione di un argomento in quanto segue il
progredire del discorso, ma che non prevede variabili se non in casi già studiati.
Prezi ha un’altra prospettiva. Prevede, infatti, che l’ottica del relatore non sia su una sola slide, ma sull’intero sistema di contenuti, il campo, che è stato creato. Il relatore è un vero e
proprio regista che scende negli argomenti in base a quelle che sono le contingenze dell’aula, attraverso un semplice utilizzo della tastiera e del mouse. Gli elementi contenutistici
possono essere sistemati nello spazio a 360°; in questo modo i salti da un argomento all’altro offrono una visuale simile ad un viaggio da un posto ad un altro, prevedendo sempre
la possibilità di ritornare alla visione dall’alto di tutto il campo.
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Focus n. 4
Il ruolo del formatore attraverso
la mediazione culturale
Gianfranco Zucca, Alessandro Vaccarelli
Il focus è dedicato alla mediazione culturale, intesa come competenza del formatore che
opera in contesti didattici fortemente caratterizzati dalla presenza di stranieri immigrati.
In generale, la mediazione culturale è una competenza professionale che va usata per facilitare l’inserimento dei cittadini stranieri nel contesto sociale del paese di accoglienza,
esercitando la funzione di tramite tra i bisogni dei migranti e le risposte offerte dai servizi
pubblici. Nello specifico di una situazione formativa, la mediazione va intesa come sensibilità e attenzione ai bisogni degli allievi, capacità di interagire, supportare e coinvolgere soggetti con diversi livelli di competenza linguistica e motivazioni alla formazione.
Il focus è organizzato in 3 blocchi tematici:
1. nel primo attraverso una serie di tecniche di discussione di gruppo si cerca di
costruire una mappa dei bisogni di mediazione a partire dalle esperienze dei
formatori;
2. nel secondo si descrive lo scenario socio-economico che ha portato il settore
dell’edilizia ad essere uno dei principali bacini occupazionali dei lavoratori immigrati;
3. nel terzo si presentano le principali definizioni di mediazione culturale e se ne
discutono le implicazione per la professione del formatore.
Emerge un bisogno di mediazione culturale nel momento in cui ci si trova a dover interagire con persone provenienti da culture diverse. In un setting formativo questa situazione ricorda le “classi uniche”. Fino a non molti anni fa le scuole elementari nei piccoli
paesi di montagna avevano una sola classe all’interno della quale studiavano bambini di
età molto diversa. Il formatore in un contesto multiculturale è come un maestro di una
scuola elementare a classe unica; deve essere in grado di assecondare le diverse esigenze
di ogni allievo. Come nel documentario di Nicholas Philibert “Essere o avere”, il maestro si occupa allo stesso tempo di allievi molto piccoli che stanno imparando a leggere
e scrivere e di allievi più grandi che invece hanno bisogni formativi diversi. Il documentario di Philibert evidenzia alcune questioni che, per analogia, possono essere usate per
comprendere quali sono i tratti essenziali della mediazione culturale in ambito formativo. Fare mediazione significa quindi:
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Focus n. 4. Il ruolo del formatore attraverso la mediazione culturale
• rispondere sempre, anche alle questioni “banali”: mediare è un’attività che richiede pazienza, poiché quello che si è spiegato una volta può non essere stato
compreso e occorre quindi ripetere;
• lasciare che le persone imparino da sole: allo stesso tempo, bisogna dare fiducia
alle persone lasciando loro il tempo di imparare da sole.
• tutte le storie sono importanti: una delle componenti essenziali della mediazione è la sensibilità nei confronti delle persone e delle loro storie. La migrazione porta con sé un carico di esperienze che il formatore deve essere disposto ad
ascoltare;
• non lasciare passare gli errori: usare la mediazione culturale in contesti formativi non significa adottare un approccio buonista per il quale gli errori non vanno evidenziati;
• aiutare chi è in difficoltà: allo stesso tempo se si nota che qualcuno è in evidente difficoltà è necessario aiutarlo, offrendogli la possibilità di rimettersi in linea
con il resto della classe;
• mantenere la giusta distanza: essere sensibili rispetto alle storie di vita degli allievi immigrati non equivale ad ammettere che la distanza tra docente e allievo
vada annullata, occorre esigere sempre rispetto da parte degli allievi;
• stimolare le persone distanti: infine, è necessario che il formatore ponga attenzione nel coinvolgimento di tutta la classe e cerchi di richiamare chi sembra distratto o poco interessato (concetto di fermezza).
La mediazione
Letteralmente mediare significa “essere tra”, “porsi da tra due cose”. Queste due cose sono
la nostra cultura e una cultura altra: il compito del mediatore è comprendere i diversi punti
di vista e offrire una sintesi delle diverse istanze. Facendo mediazione si corre però sempre
un rischio: quello di propendere per l’uno o per l’altro polo della relazione.
Per iniziare a ragionare sulle implicazioni della mediazione culturale nel lavoro del formatore partiamo dall’esperienza; proponiamo un breve esercizio che aiuterà a capire meglio il concetto di mediazione.
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A. Raccontate di uno studente straniero che avete conosciuto e che vi è rimasto
particolarmente impresso.
B. Sempre tenendo presente la vostra esperienza formativa, quali sono i bisogni di
mediazione che incontriamo in classe? Usiamo la tecnica del brainstorming: questa è la situazione di partenza: ho un’aula con molti stranieri. Cosa devo fare?
C. Continuiamo a lavorare sulle vostre esperienze di formatori cercando di mettere
ordine. Ora facciamo un Nominal Group Tecnique (NGT). Dobbiamo quindi
Focus n. 4. Il ruolo del formatore attraverso la mediazione culturale
assegnare un valore da uno a cinque alle situazioni che sono emerse nel brainstorming.
D. Il risultato di questa fase di lavoro dovrebbe rispondere alla seguente domanda:
quali sono i principali problemi della formazione in classi con stranieri?
La mediazione nel settore edile
Nella seconda sezione del focus tratteremo dell’impatto dell’immigrazione nel settore
dell’edilizia.
Un primo elemento di riflessione è dato dalla consistenza numerica della presenza straniera: i lavoratori stranieri occupati nel settore delle costruzioni sono 346.000, pari al
19% del totale (l’11,3% è non comunitario, circa l’8% ha cittadinanza comunitaria).
Forte è, però, l’incidenza della CIG (33,3%, secondo Cassa Edile). Guardando alla tendenza nel tempo, la componente immigrata continua ad aumentare: tra il 2008 e il 2012
si è passati dal 14% al 19,2% del totale degli addetti. Prosegue, invece, la fuoriuscita dal
settore da parte dei lavoratori italiani (ormai scesi sotto quota 1,5 milioni).
Un altro elemento utile per capire le caratteristiche dei lavoratori immigrati impegnati
nel settore delle costruzioni è dato dalle differenze nelle condizioni di impiego. La maggior concentrazione di stranieri si riscontra tra le posizioni professionali a bassa qualifica:
tra i manovali è straniero il 39,8% degli addetti, mentre tra gli addetti alle costruzioni
lo è il 33,9%. Nelle professioni a qualifica più alta, la percentuale di stranieri è significativamente più bassa: 9,5% nei “conduttori/gruisti”; 11,8% tra gli addetti alle rifiniture;
19,1% tra gli addetti alla pittura e alla rifinitura esterna. In sintesi, i dati evidenziano che
gli stranieri nel settore delle costruzioni occupano per lo più posizioni a bassa qualifica.
Questa situazione ha delle conseguenze anche sotto il profilo retributivo: i manovali non
comunitari guadagnano 195 euro in meno rispetto agli omologhi italiani; i gruisti non
comunitari guadagnano 152 euro in meno, mentre i pittori/imbianchini non comunitari guadagnano 171 euro in meno.
Gli stranieri impiegati in edilizia evidenziano anche un maggiore tasso di infortuni: nel
2011 la percentuale di incidenti denunciati da stranieri sul totale è stata del 20,7%. Sempre nello stesso anno, dei 184 infortuni mortali verificatisi, 34 hanno coinvolto lavoratori stranieri (pari al 18,4% del totale). Infine secondo un’indagine IRES-Fillea (2011),
il 78,8% dei lavoratori stranieri contattati è poco o per nulla soddisfatto dell’ambiente
fisico e della sicurezza del proprio lavoro.
Al di là dei dati statistici, è necessario collegare la presenza straniera nelle costruzioni ad
alcune tendenze di settore:
• aumento dei ritmi di lavoro: la crisi e la necessità delle imprese di garantirsi un
fatturato adeguato producono una tendenza ad aumentare i ritmi di lavoro, al-
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Focus n. 4. Il ruolo del formatore attraverso la mediazione culturale
lungando gli orari e l’intensità dei turni. Questa tendenza porta con sé l’idea che
la sicurezza rappresenti un “ostacolo” alla produttività poiché rallenta il lavoro.
I lavoratori immigrati sono particolarmente esposti poiché spesso sono in condizioni di maggiore ricattabilità da parte dei datori di lavoro;
• compressione delle retribuzioni: in uno scenario di crisi del comparto costruzioni
le aziende tendono ad intervenire sul costo del lavoro, riducendo le retribuzioni e
trasformando la manodopera stabile in assunzioni a tempo determinato. Un’altra
voce di costo sulla quale si interviene è purtroppo la sicurezza: questa tendenza
porta a considerare le norme di sicurezza nei cantieri una sorta di “lusso”;
• etnicizzazione delle mansioni: come si è visto, gli immigrati sono impiegati soprattutto in certe posizioni professionali con alcune specializzazioni etniche significative. Ciò implica che in alcuni casi la sicurezza sia vista come una sorta
di “usanza” che alcuni lavoratori condividono, mentre altri non la ritengono
necessaria.
Sulla base di una ricerca sulla sicurezza all’interno dei cantieri edili emerge che i lavoratori stranieri esprimono tre diverse concezioni della sicurezza sul lavoro:
• la prima, di tipo individualista, enfatizza la responsabilità individuale del lavoratore demandando al singolo la tutela della propria incolumità e salute;
• la seconda può essere definita di tipo gruppale poiché secondo questa concezione la sicurezza è data dal controllo intersoggettivo che ciascun lavoratore esercita sui propri colleghi. In questi termini la sicurezza è un meccanismo condiviso
all’interno di un gruppo professionale;
• la terza concezione è di tipo istituzionale; secondo questo orientamento la sicurezza di un luogo di lavoro dipende esclusivamente dai controlli degli organi
preposti; l’individuo e il gruppo non hanno nessuna responsabilità.
I risultati della ricerca evidenziano che nel trattare della sicurezza nei luoghi di lavoro occorre tenere in grande considerazione anche i fattori psicosociali.
La mediazione culturale nel contesto formativo
106
Nella terza parte del focus si presenta una definizione standard di mediazione culturale,
cercando di evidenziare quali siano gli elementi che possono essere utili in un contesto
formativo.
Secondo il “Repertorio delle Professioni” dell’ISFOL: “Il mediatore interculturale è in
grado di accompagnare la relazione tra immigrati e contesto di riferimento, favorendo
la rimozione delle barriere linguistico-culturali, la conoscenza e la valorizzazione delle
Focus n. 4. Il ruolo del formatore attraverso la mediazione culturale
culture d’appartenenza, nonché l’accesso a servizi pubblici e privati. Assiste le strutture
di servizio nel processo di adeguamento delle prestazioni offerte all’utenza immigrata”.
Tale definizione mette in evidenza la funzione di supporto nel processo di integrazione
sociale degli immigrati: il mediatore affianca l’immigrato cercando di agevolare il suo
percorso all’interno della società di accoglienza.
Le competenze
Le competenze di base di un mediatore sono:
• la mediazione linguistica, ossia la comprensione e decodifica della comunicazione verbale e non verbale, così come i sottintesi culturali della comunicazione;
• accompagnare l’individuo nella conquista dell’autonomia attraverso azioni di informazione/orientamento e favorire un atteggiamento volto al problem solving.
Il secondo blocco di competenze riguarda l’interazione tra immigrati e sistema dei servizi
pubblici territoriali. Sotto questo profilo il compito del mediatore è innanzitutto quello
di facilitare attraverso l’informazione e la semplificazione delle comunicazioni il contatto tra il cittadino straniero e l’apparato burocratico, cercando favorire condizioni di pari
opportunità nell’accesso ai servizi.
Nei contesti dove la mediazione culturale è inserita in modo strutturale nelle procedure
di erogazione dei servizi, il mediatore si occupa di fare in modo che il contesto organizzativo sia pronto ad accogliere l’utenza immigrata. A questo scopo si occupa, innanzitutto, di sviluppare, in accordo con gli enti in cui opera, proposte e interventi di mediazione interculturale, di presentare l’intervento di mediazione interculturale a tutti i soggetti
interessati e di seguirne l’applicazione in tutte le sue fasi.
L’ultima area di competenza del mediatore riguarda l’interazione con specifici gruppi di
stranieri. È questa l’azione più complessa poiché prevede la creazione di un legame stretto e profondo. Nello specifico il mediatore ha come obiettivo la promozione della cultura delle pari opportunità e la valorizzazione delle seconde e terze generazioni.
Dalla presentazione dei compiti del mediatore culturale si evidenzia che in ambito formativo questa pratica professionale presenta alcune componenti problematiche:
• la prima è che il mediatore di solito è un rappresentante della cultura “mediata”.
In ambito formativo ciò avviene raramente poiché il formatore quasi sempre è
un rappresentante della cultura maggioritaria;
• il secondo elemento di differenza è dato dal fatto che il mediatore “traduce” verso terzi, mentre in ambito formativo il docente è sia colui che si occupa di tradurre sia il destinatario della traduzione;
107
Focus n. 4. Il ruolo del formatore attraverso la mediazione culturale
• il terzo aspetto problematico è dato dal fatto che il mediatore è un portatore
delle istanze dei gruppi culturali minoritari, mentre il docente non ha tra i propri obiettivi quello di rivendicare i diritti delle comunità straniere bensì si occupa di mettere gli individui nelle condizioni di apprendere al meglio i contenuti formativi.
In ambito formativo, si applica quindi un tipo di mediazione che non prevede competenze ben definite, ma si avvicina di più a una sensibilità nei confronti delle differenze
culturali. In altre parole, la mediazione culturale in ambito formativo non è uno strumento che si applica sempre allo stesso modo, ma dipende dal contesto e dalla capacità
del formatore di leggere i bisogni delle persone.
La mediazione culturale in contesti formativi va considerata in termini di atteggiamento e di approccio alla formazione. Tale modo di fare formazione più che di regole, strumenti e procedure si sviluppa attraverso l’esercizio di alcune attenzioni. Il formatore culturalmente sensibile deve fare in modo che il lavoro d’aula sia improntato a valori come
il rispetto, la fiducia, la pazienza, il rigore, l’indulgenza, la fermezza. Come il maestro di
una scuola elementare a classe unica deve essere in grado di capire che tutti i bambini
sono diversi e che ognuno di loro ha il diritto di apprendere.
108
Focus n. 5
Il tutor didattico: il ruolo e le competenze
all’interno del processo formativo
Alessandro Vaccarelli, Gianfranco Zucca
Per capire la funzione del tutor nel processo formativo, è stato necessario analizzare i significati che la parola tutor assume partendo dalle conoscenze, dalle abilità e dalle competenze (sapere, saper fare, saper essere) possedute da chi svolge questo ruolo.
Tenendo presenti le distinzioni e le interrelazioni tra educazione, istruzione e formazione, si è entrati nel vivo del processo formativo attraverso lo studio del rapporto che esiste
tra insegnamento e apprendimento, poiché è proprio in base alle teorie dell’apprendimento che cambia il modello di tutoring. Da una parte abbiamo il comportamentismo
che sostiene l’instructional design secondo cui la conoscenza è un dato oggettivo e il processo di apprendimento è un’azione causa-effetto; la disciplina da apprendere diventa
quindi il criterio regolatore della conoscenza e il processo di apprendimento è per lo più
nelle mani dell’insegnante. Al contrario, il cognitivismo costruttivista propone l’apprendimento come un processo personale mediato dal pensiero, per cui la conoscenza non è
più un dato oggettivo, ma comprensione basata sull’esperienza, e il processo di apprendimento vede come protagonista il soggetto che apprende.
Per quanto riguarda i metodi di formazione si è fatto riferimento a variegate, interscambiabili e complementari tipologie, di volta in volta utilizzate in base alle potenzialità e
agli stili di apprendimento dei soggetti: lezione frontale, e-learning, coaching/counselling, esercitazioni/simulazioni, self-learning, action learning, outdoors, projectworks.
Per inquadrare il ruolo del tutor è stato utile impostare un lavoro di gruppo durante il
quale, partendo dalle premesse teoriche osservate, si è avviata una riflessione comune
sulla definizione della figura del tutor didattico. Una volta delineato un profilo si è proceduto ad individuarne i punti deboli, i punti di forza e il modello di tutoring attraverso
la lettura e l’analisi del promemoria per l’attività del tutor.
Definire il tutor ha implicato una serie di riflessioni sull’etimologia della parola (tutor,
in latino colui che cura, che protegge), sui paradigmi sui quali si appoggia e sulle attività da esso svolte.
I paradigmi ai quali più comunemente si fa riferimento sono quello della comunicazione, quello ecologico e quello della personalità riflessiva.
Il focus sulla comunicazione pone l’enfasi sulla dimensione comunitaria e su quella relazionale dell’esperienza formativa, promuovendo tutte le possibili azioni di ascolto, accoglienza e responsabilizzazione dei soggetti coinvolti.
109
Focus n. 5. Il tutor didattico:
il ruolo e le competenze all’interno del processo formativo
Il paradigma ecologico sposta l’attenzione sul ruolo del contesto e delle relazioni all’interno di un sistema che va organizzato al fine di garantire all’allievo una qualità di supporto sociale indispensabile allo sviluppo delle competenze richieste dal contesto.
Parliamo, infine, di personalità riflessiva facendo riferimento al tutor in quanto professionista riflessivo che utilizza la reflection-in-action, ovvero la riflessione sulle proprie
stesse azioni che vanno sottoposte a osservazione e monitoraggio al fine di indurre cambiamenti e miglioramenti, di esplicitare le conoscenze tacite e di mettere in discussione
modalità didattiche obsolete, aprendo la strada all’innovazione e allo sviluppo professionale.
È stato possibile, quindi, affermare che il tutor può agire come facilitatore della relazione, come mediatore tra i diversi attori del processo formativo e come coordinatore dei
rapporti tra l’area risorse umane e l’area tecnico-organizzativa. Una funzione importante
è anche quella del “riscaldamento” dell’aula, cioè la fase di avvio del processo formativo
durante la quale si creano il clima, la motivazione e le aspettative degli utenti. Nello specifico, l’azione del tutor si esplica nella presentazione delle attività, nei riepiloghi in aula,
nel monitoraggio del processo, nella valutazione di fine modulo e, non meno importante, negli interventi di orientamento rivolti a utenti e docenti.
Dopo la definizione del ruolo del tutor, il gruppo, in possesso degli strumenti necessari,
ha rimesso in discussione il promemoria confrontandolo con quanto ha acquisito e ha
avuto la possibilità di proporre correzioni e aggiunte al documento.
110
Biografie
Formazione per i Formatori
Cesare Fregola
Professore incaricato di Didattica della matematica per l’integrazione nello stesso corso di laurea in
Scienze della Formazione Primaria presso l’Università di L’Aquila, e docente presso il Laboratorio di Pedagogia Sperimentale condotto dalla Prof.ssa Daniela Olmetti Peja, nel Corso di Laurea
in Scienze della Formazione Primaria, presso l’Università Roma Tre. Ha condotto e partecipa a
ricerche sui temi delle dimensioni emotive, cognitive e socio-relazionali nei processi dell’apprendimento nell’età evolutiva e nella formazione degli adulti. È autore di monografie, articoli e papers di
rilevanza nazionale e internazionale. Svolge attività di consulenza e formazione sui temi della progettazione formativa di sistema e sulla gestione dei ruoli manageriali nella complessità per Mathetica di cui è fondatore. È PTSTA in ambito Educativo dell’EATA (European Association Transactional Analysis) ed è membro del direttivo dell’IAT (Istituto italiano di Analisi Transazionale). Coordina il Master analitico transazionale nei campi educativi presso la sede PerFormat di Roma.
Umberto Zona
Pedagogista, è assegnista di ricerca presso il dipartimento di Scienze della Formazione
dell’Università Roma Tre. Progettista web, è stato tra gli animatori dei primi network telematici europei e si occupa da molti anni del rapporto fra tecnologie informatiche e processi di
apprendimento. Si occupa inoltre di formazione a distanza ed e-learning e cura sulla piattaforma Moodle gli insegnamenti di Pedagogia sperimentale e Didattica generale presso il corso di laurea di Scienze della Formazione Primaria dell’università Roma Tre.
Alessandro Barelli
Professore aggregato presso l’Istituto di Anestesiologia e Rianimazione, Università Cattolica
del Sacro Cuore, Roma. Psicoterapeuta in formazione presso PerFormat (Scuola di Psicoterapia). Segretario e Coordinatore della Scuola di Specializzazione in Anestesia, Rianimazione e
Terapia Intensiva dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma. Francesca Lazzari
Laureata in Scienze della Formazione all’Università di Roma Tre nella classe di laurea di Formazione e Sviluppo delle Risorse Umane, collabora con il Laboratorio di Tecnologie Audiovisive di
Roma3 nello sviluppo di eBook interattivi. Si interessa di e-Learning e di Digital Culture. Lavora
presso il Servizio Formazione della sede centrale del Patronato delle ACLI. Counsellor in formazione in ambito organizzativo presso la sede romana di PerFormat - Mathetica.
111
Biografie
Focus Tematici
Ferdinando Terranova
Professore Ordinario f.r. dell’area disciplinare della Tecnologia dell’Architettura presso la
Facoltà di Architettura di Sapienza Università di Roma.
Esperto in programmazione e organizzazione di organismi edilizi ad elevata complessità funzionale e tecnologica-impiantistica applicata alle diverse scale dei servizi ospedalieri. Studioso dei processi politici e strutturali dell’industria delle costruzioni. Docente strutturato di Tecnologia dell’igiene edilizia ed ambientale (1977-2001), di Processi e metodi della produzione edilizia (2002-2004) e di Storia della Produzione Edilizia
(2005-2009). Dal 2010 al 2012 docente a contratto di Organizzazione della Sicurezza
nei Cantieri Edili. Direttore (2004-2007) del Dipartimento Industrial Design, Tecnologia dell’Architettura e Cultura dell’Ambiente (ITACA) di Sapienza Università di Roma.
Coordinatore del Dottorato di Ricerca in Riqualificazione e Recupero Insediativo della Facoltà di Architettura (2002-2008). Direttore del Master Internazionale di II livello
Architetture per la Salute (a.a.:2004-05; 2006-07; 2008-09) e del Master Internazionale di II livello Gestione e Controllo degli interventi di riassetto e riqualificazione delle
aree urbane dei PvS (a.a.: 2007-08) su cofinanziamento Sapienza Università di Roma e
DGCS del Ministero degli Affari Esteri. Dal 2009 è direttore scientifico del Master di II
livello Architetture per la salute.
Luca Limardo
È sviluppatore web presso Linfa s.r.l., società che da oltre 10 anni si occupata di formazione online, molto attiva nel settore pubblico e privato e che collabora con società quali
Gruppo24ore, Poste Italiane, WWF, EPC e altre. Si è anche occupato di collaborazioni
con molti studi di comunicazione come Blikke, D’Arrigo Design e altri. È stato docente
di grafica tridimensionale presso l’istituto europeo di design.
Gianfranco Zucca
Ricercatore sociale, si occupa di studi sull’immigrazione, il lavoro e la formazione. Ha
collaborato con diversi enti pubblici e privati tra i quali Isfol, Ispesl, Cnel, Censis, Iref;
Acli, Arci, Enaip, Cdo, Università e Ministeri. È autore di oltre trenta pubblicazioni tra
saggi, articoli e volumi.
112
Alessandro Vaccarelli
È Professore Associato di Pedagogia generale e sociale presso l’Università degli Studi
dell’Aquila. Da sempre impegnato nel lavoro di ricerca sul fronte delle questioni interculturali, a partire dal 2009, si è occupato anche di problemi legati all’educazione nei
contesti emergenziali e post-emergenziali. Tra i suoi ultimi lavori attinenti i temi delle
Biografie
emergenze: Formazione e apprendimento in situazioni di emergenza e post-emergenza
(con M. V. Isidori), Armando, Roma, 2012; La generazione dei “senza-città”: i bambini all’Aquila dopo il terremoto, in F. Corsi, S. Ulivieri (cura), Progetto Generazioni,
ETS, Pisa, 2012; Italiani e immigrati dopo il terremoto nel territorio aquilano. Ricerca
sui bisogni sociali, educativi e sullo stato della convivenza, RicostruireInsieme, L’Aquila,
2010; Dal razzismo al dialogo interculturale. Il ruolo dell’educazione negli scenari della
contemporaneità, ETS, Pisa, 2008; M. V. Isidori, A. Vaccarelli, Pedagogia dell’emergenza. Didattica nell’emergenza, FrancoAngeli, Milano, 2013.
Cristian Marras
È Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni, da otto anni si occupa di selezione del
personale, formazione e orientamento scolastico e professionale. Ha lavorato in ambito
sia Pubblico sia Privato. Interessato alle metodologie attive, innovative e creative, ha da
sempre impostato l’aula di formazione utilizzando il metodo induttivo come strumento
per la facilitazione dell’apprendimento.
113
Indice
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
Formare per formare nella complessità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Premessa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Capitolo 1
Una prospettiva ecologica dello sviluppo
dell’apprendimento nella complessità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
1.1. Le organizzazioni sono reti di ruoli interconnessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
1.1.1. Dal prodotto al servizio formativo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
1.1.2. Il concetto di servizio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
1.1.2.1. I destinatari dei servizi formativi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
1.1.2.2. Caratteristiche dei servizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
1.1.2.3. Tre componenti del servizio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
1.1.3. La qualità del servizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
Capitolo 2
I sistemi formativi nella complessità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
2.1. Innovazione e cambiamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
Tavola di approfondimento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
2.2. Le motivazioni al cambiamento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
2.3. L’organizzazione che impara. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
2.4. Creazione della conoscenza e apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
2.5. La stratificazione delle conoscenze. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52
114
Capitolo 3
Le macrofasi del processo formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54
3.1. La rilevazione dei fabbisogni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
3.2. La progettazione formativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
3.2.1. Decisioni progettuali, sviluppo e realizzazione
dei processi e dei servizi formativi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61
3.2.2. Progettazione delle attività organizzative
delle attività formative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61
3.3. Rilascio delle attività formative. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62
3.4. Verifica e valutazione
della formazione in prospettiva di sistema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63
3.4.1. Che cosa s’intende per valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
3.4.2. Perché valutare. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
3.4.3. I livelli della valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
Capitolo 4
Il mondo virtuale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
Moodle e ambienti di apprendimento on-line. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
Progettare ambienti di apprendimento on-line. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75
Bibliografia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
Sitoografia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83
Sintesi dei Focus di aggiornamento rivolti
ai Formatori della Sicurezza sui luoghi di lavoro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84
Focus n. 1
Il test di valutazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
Inchiesta o indagini di popolazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
Focus n. 2
La formazione mista: ipotesi di blended learning
applicata alla formazione professionale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90
I concetti base dell’e-learning. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90
Focus n. 3
Gli strumenti del comunicare: tecniche e software
per migliorare l’interazione didattica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
Di cosa si compone la professionalità del formatore?. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
L’apprendimento efficace. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97
I supporti alla didattica: i metodi delle esercitazioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
Come valutare lo stato della conoscenza. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
Gli strumenti per la didattica: PowerPoint. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100
Gli strumenti per la didattica: Prezi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102
Il confronto. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102
Focus n. 4
Il ruolo del formatore attraverso la mediazione culturale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103
La mediazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104
La mediazione nel settore edile. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105
La mediazione culturale nel contesto formativo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106
Le competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107
Focus n. 5
Il tutor didattico: il ruolo e le competenze all’interno del processo formativo. . . . . 109
Biografie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111
115
Si ringrazia la Dottoressa Giuseppina Sorrentino
per il suo fondamentale apporto nell’organizzazione e nella preparazione dell’intervento.
Progetto grafico e impaginazione
Aton - Roma
Finito di stampare nel mese di agosto 2013 presso
LaCromografica - Roma
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