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I governi di Massimo D`Alema

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I governi di Massimo D`Alema
13 GENNAIO 2016
I governi di Massimo D’Alema
di Paolo Bonini
Dottorando di ricerca in Diritto pubblico, comparato e internazionale
Sapienza – Università di Roma
I governi di Massimo D’Alema*
di Paolo Bonini
Dottorando di ricerca in Diritto pubblico, comparato e internazionale
Sapienza – Università di Roma
Sommario:
1. Introduzione. 2. Il
contesto
politico
nazionale. 3.
Il
contesto
politico
internazionale. I vincoli esterni. 4. Le consultazioni e il ruolo dei partiti. 5. La funzione del
presidente della Repubblica. 6. Il governo D’Alema, vivaio della II fase della Repubblica. 7. Le
elezioni del presidente della Repubblica del 1999. 8. Le elezioni europee del 1999, “I
Democratici”. 9. Le elezioni regionali del 2000 e le dimissioni.
1. Introduzione
L’esperienza a palazzo Chigi di Massimo D’Alema prende il via in un contesto politico
complesso1. All’interno e all’esterno, la politica italiana è travagliata da fattori che ne determinano
rapide evoluzioni. È interessante ripercorrere quei momenti per evidenziare almeno tre aspetti,
fra gli altri, utili anche ad un’analisi della realtà contemporanea: lo scenario politico-partitico tra i
due secoli e l’azione politico-istituzionale dei partiti; il peso dei vincoli esterni nella crisi; e infine il
ruolo e l’esercizio dei poteri del presidente della Repubblica.
Il presente articolo rientra tra i lavori inviati in risposta alla Call for papers di federalismi sulla formazione dei
governi ed è stato sottoposto ad una previa valutazione del Direttore della Rivista e al referaggio dei
Professori Vincenzo Lippolis e Giulio M. Salerno..
1 In generale, sul caso in esame v. M. OLIVETTI, Le dimissioni del governo Prodi e la formazione del governo
D’Alema - Cronaca di una crisi annunciata, in Giur. cost., 1998, 2973; cfr. anche S. PARKER, Il governo dell’Ulivo,
in R. D’ALIMONTE - D.NELKEN (a cura di), Politica in Italia. I fatti dell’anno e le interpretazioni, Bologna, 1997,
153 ss.; S. FABBRINI, Due anni di Governo Prodi. Un primo bilancio istituzionale, in Il Mulino, 4, 1998, 657 ss.; S.
FABBRINI, Dal Governo Prodi al Governo D’Alema: continuità o discontinuità?, in D. HINE – S. VASSALLO (a cura
di), Politica in Italia, Bologna, 1999; A. D’ANDREA, Verso l’incerto bipolarismo. Il sistema parlamentare italiano
nella transizione 1987-1999, Milano, 1999; L. VENTURA (a cura di), relazioni di G.U. RESCIGNO - A.
RUGGIERI - L. VENTURA - M. DOGLIANI - L. CARLASSARE - A. PIZZORUSSO - G. SILVESTRI - L.
VIOLANTE, interventi di S. MANGIAMELI - M. MIDIRI - F. TAMASSIA - S. LABRIOLA - E. CUCCODORO - C.
MAINARSIS, Le crisi di governo nell’ordinamento e nell’esperienza costituzionale (atti del convegno, Catanzaro, 22 e 23
ottobre 1999), Torino, 2001; (P. CALDAROLA, a cura di) MASSIMO D’ALEMA, Controcorrente, Roma-Bari,
2013; U. GENTILONI SILVERI, Contro scettici e disfattisti. Gli anni di Ciampi 1992-2006, Roma-Bari, 2013.
L’autore si è avvalso della testimonianze di Massimo D’Alema, acquisita in data 19 ottobre 2015, presso la
sede della Fondazione ItalianiEuropei; e del prof. Giuseppe Tognon, acquisita in data 25 agosto 2015, il
quale partecipa al primo governo Prodi in qualità di sottosegretario alla Università, Ricerca Scientifica e
Tecnologica.
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2. Il contesto politico nazionale
Nel 1998 i partiti hanno già affrontato la prima fase di trasformazione successiva al terremoto del
1992. Si deve tenere presente che la legge elettorale relata da Sergio Mattarella nel 1993, architetta
un sistema misto a forte tendenza maggioritaria 2 . Questo dato è essenziale per osservare la
funzione del presidente della Repubblica rispetto alle diverse crisi di governo che si succedono
nell’arco della XIII Legislatura (dal 9 maggio 1996 al 29 maggio 2001)3. Con tale meccanismo
elettorale, infatti, si introduce in Italia un forte elemento di discontinuità maggioritaria che
avrebbe dovuto spingere verso la preferenza di governi a “maggioranza non variabile”, dato
l’incremento di legittimazione politica delle coalizioni e del loro capo; anche se non ancora nei
termini di cui alla legge n. 270 del 21 dicembre 2005, c.d. porcellum. Come si vedrà più avanti,
questa novità modificherà il peso delle consultazioni nel procedimento di formazione del
governo. In questo contesto, l’esperienza di D’Alema è emblematica, avendo egli formato il
primo governo sotto la presidenza Scalfaro ed il secondo sotto quella di Ciampi, i quali
aggiungono alla consolidata funzione del presidente la propria originale interpretazione del ruolo
di capo dello Stato.
Oscar Luigi Scalfaro è presidente della Repubblica dal 28 maggio 1992 e il suo mandato è in via
di scadenza (terminerà il 15 maggio 1999). D’Alema sarà il sesto presidente del Consiglio da lui
nominato4, il terzo in seguito ad una crisi di governo5. La funzione di Scalfaro in questa crisi sarà
meglio analizzata nel prosieguo dell’indagine.
Nel 1998 il Partito comunista italiano (Pci) ha esaurito il primo bozzolo: il Partito democratico
della sinistra6 (Pds) infatti si è trasformato in Democratici di sinistra (Ds) proprio il 13 febbraio
1998, riconoscendo anche formalmente la leadership di Massimo D’Alema, eletto segretario. Negli
Le leggi 4 agosto 1993 n. 276 recante Norme per l’elezione del Senato della Repubblica, e la successiva di
pari data n. 277 recante Nuove norme per l’elezione della Camera dei deputati, prevedono un sistema
maggioritario a turno unico per la ripartizione del 75% dei seggi, uno “scorporo” proporzionale con cui si
recuperano i migliori perdenti votati al Senato per il restante 25%, mentre per il 25% della Camera un
classico proporzionale ma con liste bloccate. Per la Camera lo sbarramento era al 4%.
3 Sul ruolo svolto da Scalfaro nelle precedenti crisi cfr. C. MAINARDIS, Il ruolo del capo dello Stato nelle crisi di
governo; la prassi della presidenza Scalfaro, in Giur. cost., 1997, 2858 ss.
4 Scalfaro nomina due governi per Legislatura: durante la XI Amato I e Ciampi; durante la XII Berlusconi
I e Dini; durante la XIII Prodi I e D’Alema I.
5 Rispettivamente Ciampi per risolvere Amato I, Dini per risolvere Berlusconi I, D’Alema per la crisi del
Prodi I.
6 Fondato il 3 febbraio 1991 a Rimini in occasione del XX Congresso del Partito comunista italiano,
guidato prima da Achille Occhetto dalla fondazione al 1994, poi da Massimo D’Alema fino al 1998;
conserverà il simbolo del Pci nel proprio contrassegno.
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“Stati generali della sinistra” si compie il passo tanto auspicato in particolare dai Cristiano sociali:
la nuova esperienza partitica infatti si definisce come sintesi di aree culturali diverse da quelle ex
comuniste. Il timbro sul certificato di nascita del nuovo partito della nuova sinistra è il nuovo
simbolo: una quercia senza più falce e martello.
È essenziale per comprendere la progressione tra il governo Prodi e quello di D’Alema
soffermarsi sul travaglio interno al Pds-Ds. Sono individuabili due posizioni tra i Ds: da una parte
Veltroni, postcomunista ma ulivista convinto, crede nella possibilità di formare un partito di
sinistra che sintetizzi le posizioni di cattolici ed ex comunisti; dall’altra D’Alema, che sembra
preferire la nascita, con i Ds, di un partito socialdemocratico europeo, in cui includere gli ex
socialisti accorsi nel Polo di Berlusconi7.
Il progetto di D’Alema incontra la tiepidezza degli ex dirigenti del vecchio Psi, Amato e Ruffolo
ad esempio, che percepivano l’antisocialismo (o più propriamente anticraxismo) diffuso nel Pds.
Comunque la tensione tra i due leader si manifesta già nel 1994, quando D’Alema e Veltroni sono
contrapposti nella successione ad Occhetto8. Nel novembre 1996, comunque, la linea di Veltroni,
anche se risultato di una necessaria mediazione con D’Alema, sembra prevalere9.
Cfr. Testimonianza di Massimo D’Alema, acquisita dall’autore in data 19 ottobre 2015: “Dare vita ad una
formazione politica di ispirazione socialista, naturalmente, che rimanesse l’ispirazione del partito nostro,
più ampia, cioè in grado di raccogliere quelle forze del socialismo italiano che si erano disperse dopo la
vicenda di Craxi”. Egli sostiene: “Sostanzialmente non credo che la nascita della c.d. Cosa 2 abbia
influenzato negativamente l’esperienza di governo, al contrario, tendeva, come dire, ad allargare lo
schieramento di governo. (…) Tutto il mondo ex socialista era rimasto abbastanza ai margini. Alcuni
avevano fatto parte dell’Ulivo, ma si era trattato di una partecipazione limitata, perché ancora era forte la
ferita degli scontri tra Craxi e i comunisti, la crisi drammatica del partito socialista, le indagini giudiziarie;
quindi era fresca la ferita. L’idea era di raccogliere questo mondo, ma anche un mondo laico di matrice
repubblicana e dire: «creiamo insieme una grande forza politica che possa rappresentare quello che in altri
Paesi rappresentano i grandi partiti di ispirazione socialdemocratica». Un’operazione, dal punto di vista del
governo, tendente a dare stabilità al Paese, e chiaramente l’ambizione del Pds, diventando Ds, con la
confluenza di gruppi che si rivelarono ristretti, che non si poteva restare con il marchio «ex comunista». Al
di là del cambio di denominazione, il cambio più sostanziale fu che togliemmo la falce e martello dal
simbolo del partito e lo sostituimmo con la rosa del socialismo europeo. Questa operazione non ebbe
alcun impatto sul governo”.
8 Cfr. Testimonianza di Massimo D’Alema, cit.: “Con le dimissioni di Occhetto entrambi proponevamo
una alleanza di centro-sinistra. Che fosse necessaria una coalizione di centro-sinistra era una visione
comune. Semmai uno poteva pensare di più che il centro-sinistra si configurasse come una alleanza di
partiti, o anche, non esclusivamente, di partiti, insomma con un ruolo dei partiti politici; e chi pensava di
più ad un modello americano. Però non è che tra me e Veltroni ci fosse dissenso sulla necessità di uscire
dalla logica che ci aveva portato alla sconfitta nel ’94, cioè di uno schieramento progressista. Furono
presentate due piattaforme politiche (…). Per quanto riguarda la proposta politica non c’era una
sostanziale alternatività (…). Tutto questo è di molto antecedente (…), risale all’estate ‘94”.
9 Cfr. la ricostruzione di U. ROSSO, Pace D’Alema-Veltroni, Occhetto furioso, in La Repubblica, 6 novembre
1996, in Archivio de La Repubblica.
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La dialettica tra le due posizioni culminerà il 14 ottobre 2007 con la vittoria della linea
veltroniana, nella fusione tra Ds e gli eredi del Ppi (trasformatosi il 24 marzo 2002 nel partito
Democrazia è libertà, Dl, meglio conosciuto come la Margherita) nel nuovo partito a vocazione
sempre più maggioritaria, il Partito democratico (Pd) 10 . L’ispirazione socialdemocratica sarà
recuperata il 27 febbraio 2014, quando il Pd vota con 121 favorevoli, 2 astenuti e Fioroni
contrario, l’ingresso nel gruppo europeo Partito socialista europeo (Pse) dopo la prima esperienza
di un gruppo federato al Pse. In ogni caso D’Alema stesso rivendica l’appartenenza, come
membro fondatore, del primo Pds al Pse: “L’Ulivo si configurava come una coalizione di forze
comprendenti partiti ma anche movimenti della società civile, questo era fin dall’inizio. Non
credo fosse messo in discussione da nessuno. Tra questi partiti noi eravamo quello che eravamo:
eravamo membri dell’Internazionale socialista; non è una cosa che è successa adesso con Renzi,
eravamo membri fondatori del Partito socialista europeo. Quindi eravamo a tutti gli effetti una
forza del socialismo europeo. Anche se allo stesso tempo partecipi dell’esperienza dell’Ulivo”11.
Dall’altra parte dell’emiciclo parlamentare, la leadership di Berlusconi è solida. La coalizione
parlamentare Polo per le libertà (erede delle due coalizioni elettorali, Polo della libertà e Polo del
buon governo, con cui nel 1994 esordisce in politica la maggioranza parlamentare che sostiene
Berlusconi per pochi mesi al governo, e nel 1996 ripropone lo schieramento) salda gli alleati
Forza Italia, Alleanza nazionale12, Centro cristiano democratico13 e Cristiano democratici uniti14, i
quali ultimi, tuttavia, avranno un’esperienza parlamentare travagliata e determinante nella crisi del
governo Prodi I e per la nascita del governo di D’Alema I.
Per la ricostruzione estesa cfr. tra gli altri: S. COLARIZI - M. GERVASONI, La tela di Penelope. Storia della
seconda Repubblica, 2012, Bari, 108-109 e la bibliografia ivi citata. Ivi si rinvia anche per sottolineare il
consenso internazionale che l’Ulivo ha nel 1998, e quindi il successo della linea ulivista di Veltroni, quando
perfino Blair arriva a invocare un Ulivo internazionale che coinvolga anche il Partito democratico
statunitense.
11 Testimonianza diretta di Massimo D’Alema, acquisita dall’autore in data 19 ottobre 2015.
12 Anch’esso risultato dei mutamenti successivi alla stagione c.d. di “mani pulite”, fondato come partito il
27 gennaio 1995 a Fiuggi come trasformazione del Movimento sociale italiano, di cui porterà l’effige nel
simbolo; guidato da Gianfranco Fini dalla fondazione al 2008, retto poi da Ignazio La Russa fino alla
dissoluzione nel 2009.
13 Fondato il 18 gennaio 1994, al momento della trasformazione della Democrazia cristiana in Partito
popolare italiano; ne è segretario Pier Ferdinando Casini, fino alla dissoluzione nel 2002.
14 Il partito è fondato il 23 luglio 1995 da alcuni esponenti del Partito popolare italiano, la maggiore
rappresentanza post-democristiana, guidati da Rocco Buttiglione, segretario in quel momento proprio del
Ppi. Egli compie dunque una scissione dal Ppi, cessando il proprio incarico ed assumendo la guida della
neonata formazione. Nel corso della crisi di governo, come meglio specificato nel corso dell’analisi, il Cdu
si smarca dal Ccd e quindi dal Polo, ed aderisce alla formazione che Francesco Cossiga fonda in quei
giorni, l’Udr.
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Si segnala inoltre che nel 1998 nascono due partiti proprio in vista e in conseguenza della crisi del
primo governo Prodi. Da una parte l’Unione democratica per la Repubblica (Udr) 15 , diventa
ufficialmente partito politico il 9 giugno 1998: Francesco Cossiga presidente onorario, Buttiglione
e Scognamiglio co-presidenti, Clemente Mastella segretario. Dall’altra un nuovo partito
comunista. Nel momento più cruciale per il governo, quando deve approvare la legge finanziaria,
Rifondazione comunista16, guidata da Fausto Bertinotti, decide di revocare l’appoggio esterno al
governo. Questa determinazione comporta un profondo dibattito all’interno del partito con la
conseguente scissione dei favorevoli alla prosecuzione dell’esperienza di governo. Armando
Cossutta insieme con Oliviero Diliberto, fonda seduta stante il Partito dei comunisti italiani, il
quale parteciperà alle consultazioni esprimendo il suo favore ad un governo di centro-sinistra
anche guidato da Prodi.
Altro dato da segnalare è che dal 5 febbraio del 199717 al 9 giugno 199818, Massimo D’Alema
presiede la Commissione bicamerale per le riforme istituzionali (c.d. III bicamerale). Nel 1998
D’Alema e Berlusconi trovano un’occasione di convergenza proprio nell’ambito della bicamerale,
non solo per il processo di revisione costituzionale: entrambi possono interpretare un ruolo che li
legittima anche su un piano non esclusivamente partitico, in attesa del decorso del governo Prodi,
preparandosi così a superarlo da una prospettiva forse più conveniente in termini politicoistituzionali. Nel senso che entrambi possono esercitare un ruolo istituzionale tale da renderli più
rappresentabili innanzi all’opinione pubblica anche come uomini delle istituzioni.
Nato come Gruppo parlamentare con il nome Cdu-Cdr-Nuova Italia, con l’intento di smarcare il centro
(prevalentemente ex democristiano) dai due poli di destra e sinistra, federa micro-formazioni centriste: i
Cristiani democratici uniti (Cdu), guidati da Rocco Buttiglione, i Cristiano democratici per la Repubblica
(Cdr), guidati da Clemente Mastella, separatosi dal Centro cristiano democratico (Ccd), la
Socialdemocrazia liberale europea (Sole), di Enrico Ferri, alcuni parlamentari di Forza Italia (FI) e Alleanza
nazionale (An). Nel febbraio 1999 Cossiga lascia il partito, in seguito Buttiglione rifonda i suoi Cdu e
riprenderà il percorso con Casini, Mastella invece l’Unione democratici per l’Europa (Udeur) schierandosi
con l’Ulivo.
16 Rifondazione comunista è fondato il 12 dicembre 1991, in seguito e in polemica al XX Congresso del
Pci che ne determina la trasformazione in Pds. Alla fondazione ne è coordinatore nazionale Sergio
Garavini; nel 1994 è eletto segretario Fausto Bertinotti. Cofondatore e membro influente è Armando
Cossutta, che avrà un ruolo fondamentale nella crisi di governo in atto e per la nascita del governo
D’Alema.
17 Istituita con legge cost. 24 gennaio 1997, n. 1, nomina il suo presidente nella seduta n. 1 del 5 febbraio
1997: cfr. CAMERA DEI DEPUTATI, SENATO DELLA REPUBBLICA XIII LEGISLATURA, Commissione
parlamentare per le riforme costituzionali, Resoconto stenografico seduta n. 1, 3, cfr. anche
http://www.camera.it/parlam/bicam/rifcost/ressten/sed001r.htm.
18 L’esperienza si conclude in modo ufficioso con la rimozione dall’ordine del giorno della Camera dei
lavori della bicamerale: cfr. http://www.repubblica.it/online/fatti/berlu/fine/fine.html;
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D’Alema sulla Bicamerale precisa che “fu istituita perché era uno dei punti del programma
dell’Ulivo. Nel programma si diceva: «se noi governeremo l’Italia, la riforma costituzionale
cercheremo di farla insieme ai nostri avversari attraverso una commissione parlamentare
bicamerale»”19.
Sulla conclusione dei lavori sottolinea che la bicamerale completò il suo percorso approvando a
“larghissima maggioranza” un “progetto di riforma condiviso”; “al di là delle attese, concluse i
suoi lavori in modo positivo”. “Berlusconi fece un discorso commovente”, tuttavia la rottura “si
determinò successivamente e per ragioni che rimangono tutte da capire, da interpretare. Perché
Berlusconi successivamente cambiò posizione sostanzialmente, e si presentò in Parlamento
quando passammo, dopo l’esame in commissione all’esame nell’Aula di Montecitorio (…), lui
cambiò posizione, denunciò l’accordo dicendo che loro si sarebbero schierati contro e iniziarono
così un vero e proprio boicottaggio. Al punto che questo fece, come dire, perdere il senso
dell’operazione, che era quello di una riforma condivisa, diventò un motivo di conflittualità”20. È
importante sottolineare questo passaggio; secondo la ricostruzione di D’Alema le riforme
avevano senso, per il Paese, se condotte con l’opposizione in uno spirito di unità nazionale, per il
governo e per la maggioranza parlamentare, come catalizzatore dei conflitti politici, un
parafulmine per evitare pressioni nel momento di approvazione europea della moneta unica21.
Testimonianza diretta di Massimo D’Alema, acquisita dall’autore in data 19 ottobre 2015: Precisa anche
le intenzioni con cui egli intraprese quel percorso: “Ritenendo io che nel momento in cui il governo Prodi
si impegnava nello sforzo di raggiungere e far parte del gruppo di testa dei Paesi che davano vita alla
moneta europea (questo era considerato dubbio: la situazione del bilancio pubblico italiano, eccetera,
sembrava precludere questa possibilità); anche con l’idea che questo avrebbe aiutato il governo, perché il
fatto che ci fosse contemporaneamente all’azione di governo un’opera di riforma delle istituzioni
sviluppata in modo condiviso e non conflittuale con l’opposizione, io ritenevo che potesse essere un aiuto
al governo. Ed infatti così fu: non c’è dubbio che servì ad attenuare i conflitti politici in una fase molto
delicata per cui il governo era impegnato in questa difficilissima sfida di raggiungere l’Europa. In quel
momento ritenni, probabilmente, alla luce di quanto accadde, sbagliando, ritenni di impegnarmi
personalmente in questa operazione”.
20 Questa e le altre espressioni sono contenute nella testimonianza diretta di Massimo D’Alema, acquisita
dall’autore in data 19 ottobre 2015.
21 Testimonianza di Massimo D’Alema, cit.: “La maggioranza parlamentare, teoricamente, avrebbe potuto
portare avanti il disegno riformatore da sola, anche senza più il concorso di Berlusconi. Questo
certamente, in teoria almeno, avrebbe potuto essere fatto, però lo si escluse proprio perché da una parte,
secondo me, quel progetto non entusiasmava neppure una parte del centro-sinistra, perché esso era
attraversato da posizioni conservatrici. Insomma, c’era una diffidenza verso il processo di riforma
costituzionale; che era diventata ancora maggiore dopo che in commissione era passato così
inopinatamente, con un colpo di mano, il presidenzialismo, questa forma di semi-presidenzialismo
all’italiana. Questo certamente aveva scoraggiato una parte del centro-sinistra che tirò un sospiro di
sollievo perché Berlusconi aveva rotto, quindi in qualche modo quel discorso si archiviava. Berlusconi
sostenne che il suo ripensamento era soprattutto legato ad una resistenza del centro-sinistra, anche del
presidente della commissione, per introdurre dei cambiamenti radicali in materia di giustizia. E questo
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Il governo di Prodi, nel frattempo, soffre le difficoltà del contesto e i limiti della maggioranza
parlamentare che lo sostiene. Prodi governa con decisione le questioni cruciali del 1998, in
particolare la moneta unica europea22, ma non riesce a tenere coesa una maggioranza piuttosto
eterogenea23. Bisogna tenere in considerazione che il quadro parlamentare della XIII Legislatura è
soggetto a diverse trasformazioni, a cui non si può non accennare, seppure brevemente. L’Ulivo,
la coalizione elettorale con cui Prodi guadagna la nomina in seguito alle elezioni del 1996, si
radica a tal punto da quasi istituzionalizzarsi in ciò che i giornali chiamano “il partito del
effettivamente era stato uno dei temi più controversi nel corso del lavoro della commissione. In
particolare sulla questione della separazione delle carriere dei pubblici ministeri rispetto a quelle della
magistratura giudicante. Anche se questa posizione fu evocata tardivamente. Durante i lavori della
commissione questo fu un terreno di contrasto, nel senso che la proposta avanzata da Berlusconi non
passò, e non passò per pochi voti; non passò molto anche per l’opposizione del presidente della
commissione. Io arrivai a minacciare di dimettermi se fosse stato approvato questo punto. Però in
definitiva Berlusconi sembrava aver accettato questo esito, perché nel complesso della vicenda lui aveva
anche portato a casa il risultato di questo voto sull’elezione diretta del presidente della Repubblica che era
nato dalla scelta non prevista delle Lega, che aveva annunciato un voto contrario a questa proposta, invece
in modo non prevedibile, all’ultimo momento votò a favore. Siccome nel centro-sinistra non c’erano
discipline di partito (lo ricordo a proposito di più recenti discussioni costituzionali), noi sostenemmo che
in materia costituzionale non si poteva imporre la disciplina di partito o di gruppo, alcuni esponenti di
centro-sinistra votarono a favore dell’ipotesi semipresidenziale e naturalmente il voto della lega fece
pendere a quel punto dalla parte del semipresidenzialismo. La Lega, secondo me, votò così per introdurre
un elemento di boicottaggio sulla bicamerale, non perché credesse nel semipresidenzialismo; con l’dea che
una volta passato la sinistra avrebbe preso le distanze dal progetto. Il che invece non accadde, perché ci fu
da parte del centro-sinistra un accoglimento di questo esito. Andammo avanti costruendo un’ipotesi di
presidente eletto ma non governante come c’è in diversi Paesi europei peraltro. Dall’altra parte, ci fu la
scelta politica di Berlusconi, compiuta ex post. Bisognerebbe capire da lui perché lì non c’è dubbio che lui
abbia subito l’influenza di chi nel suo enturage diceva: «in questo modo si consente ai comunisti di fare la
riforma costituzionale, non ce li leveremo più di torno»; si premeva su di lui in modo di non consentire il
successo della sinistra”.
22 Il 1° maggio l’Ecofin emana la lista dei Paesi aderenti all’euro. Nella notte tra il 2 e il 3 maggio è
diramato il seguente comunicato a margine del Consiglio dei ministri europei: “Belgio, Germania, Spagna,
Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Austria, Portogallo e Finlandia sono i Paesi che per volontà
propria o per situazione economica rispondono alle condizioni necessarie per l'adozione della moneta
unica
dal
primo
gennaio
1999”.
Cfr.
http://www1.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/sala_stampa/speciali/cittadini_e
uropa/scheda_14692.html.
23 Al governo partecipano: coalizzati nell’Ulivo: Partito democratici di sinistra (Pds), 10 ministri e 16
sottosegretari; Partito popolare italiano (Ppi), 3 ministri e 10 sottosegretari; Rinnovamento italiano (Ri), 3
ministri e 2 sottosegretari; Federazione dei verdi (Fdv - Verdi), 1 ministro e 3 sottosegretari; Unione
democratica (Ud), 1 ministro e 1 sottosegretario; Indipendenti dell’Ulivo, lo stesso Prodi e 3 sottosegretari.
Oltre all’Ulivo, partecipano: Socialisti italiani (Si), 2 sottosegretari; Alleanza democratica (Ad), 1
sottosegretario; Movimento dei comunisti unitari (Mcu), 1 sottosegretario; Partito repubblicano italiano
(Pri), 1 sottosegretario; Patto Segni (Patto), 1 sottosegretario; Sinistra repubblicana (Sr), 1 sottosegretario.
Cfr. http://www.governo.it/Governo/Governi/prodi1.html.
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premier”24. Infatti, secondo alcuni commentatori “Marini era molto preoccupato per l’eventuale
nascita di un partito dell’Ulivo, che alle prossime Europee avrebbe potuto mettere in difficoltà il
Ppi prima ancora che la Quercia”25. Prodi effettivamente beneficia di un sostegno che non è una
mera somma parlamentare dei fattori che compongono la coalizione (Partito popolare italiano e
Democratici di sinistra in primis), ma è capace di dimostrare tenuta di fronte alle strategie delle
diverse forze al suo interno. I timori di Marini si realizzeranno in effetti alle elezioni europee del
13 giugno 1999: Prodi è l’ispiratore della lista “I democratici” che ottiene oltre 1 milione di voti in
più rispetto al Partito popolare italiano26.
Chiaramente non è questa la sede per riproporre una accurata analisi dei fatti e delle ragioni che
consentono la formazione stessa dell’Ulivo; ma è essenziale comprendere che la tensione già
descritta, all’interno del Pds, è riproposta similmente nel 1995 quando l’Ulivo sta nascendo per le
successive elezioni del 1996. Secondo alcune ricostruzioni, quando in un ristorante romano si
incontrano Prodi e D’Alema per concordare i tratti dell’Ulivo, lo schema di Prodi è di un Ulivo
costruito su due gambe per costituire una alleanza del centro e della sinistra (area ulivista in senso
proprio da una parte e Pds dall’altra) in un centrosinistra (senza trattino); lo schema di D’Alema è
invece un contenitore elettorale che raggruppi i partiti e che costituisca un unico fronte di centrosinistra (con il trattino) 27 in cui le reciproche identità sono chiare e non si confondono. Il
professore accetta e D’Alema gli affida Veltroni in rappresentanza del Pds. Ammettendo che le
elezioni del 1996 sono in quel momento un’incognita, e che data la sconfitta del 1994 una vittoria
dei “progressisti” non è scontata, si potrebbe ritenere che costruire un’operazione come l’Ulivo in
prospettiva dalemiana e imbarcarvi Prodi e Veltroni insieme, avrebbe potuto anche comportare
come loro destinazione finale un binario morto. Le elezioni sono vinte nel 1996 e Veltroni avrà
un ruolo significativo nel governo Prodi, con una importante prospettiva di crescita politica
(vicepresidente unico del Consiglio, ministro per i Beni culturali e ambientali)28.
S. FOLLI, Da Bologna no al “governicchio”. Il bandolo a D’Alema e Cossiga, in Corriere della Sera, 11 ottobre
1998, 2: “L’Ulivo non esiste più come alleanza di governo. Ma sopravvive pur sempre un «partito del
premier» con una sua fisionomia e un certo rapporto con l’opinione pubblica”.
25 F. VERDERAMI, E Marini convinse Prodi: se non accetti farai la fine di Segni, in Corriere della Sera, 14 ottobre
1998, 3; così il “retroscenista” del Corriere, già vicino alle posizioni del centro-destra di Berlusconi.
26 I democratici ottengono 2.402.435 (il 7,76 % dei 34.359.339 di votanti; quinta lista più votata); il Partito
popolare italiano si ferma a 1.316.830 (il 4,24 %; ottava lista). In quell’occasione vince Forza Italia
(7.813.948, il 25,16%) seguita dai Democratici di sinistra (5.387.729, 17,34 %).
27 Testimonianza all’autore del prof. Giuseppe Tognon, del 25 agosto 2015; cfr. anche Speciale i governi della
sinistra. Da Prodi ad Amato, passando per D’Alema, in Corriere della Sera, 4 ottobre 2001
(http://www.corriere.it/speciali/Ds/governiulivo.shtml?refresh_ce-cp).
28 La dialettica continua anche in un famoso seminario a porte chiuse in cui si confrontano le tensioni
all’interno dell’Ulivo, rappresentate proprio da D’Alema e Veltroni: cfr. M. CAPRARA, Gargonza, match
24
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Ultimo dato di contesto da segnalare è la forte oscillazione dei Gruppi parlamentari alla Camera
dei deputati, dalla cui analisi si potrebbe dedurre la forte instabilità politica, ma anche il notevole
peso delle manovre parlamentari sulla crisi e sulla formazione del governo. Peso che la retorica di
quegli anni vorrebbe superato da un presunto spirito maggioritario della legge elettorale29.
A questo punto è possibile interpretare come si arriva alla crisi di governo. Di seguito,
brevemente, gli eventi importanti per comprendere la crisi e i suoi sviluppi.
Il governo Prodi è sostenuto dalla maggioranza parlamentare composta sostanzialmente da
l’Ulivo e Rifondazione comunista, uniti nel “patto di desistenza”. Prima della crisi di governo, in
due occasioni di politica estera, cioè la costituzione della missione italiana in Albania e la ratifica
dell’allargamento della Nato, Rifondazione vota contro il governo. Il governo riesce a varare i due
rilevanti provvedimenti, perché la maggioranza beneficia dei voti determinanti del gruppo di
Cossiga30. In occasione del voto sulla finanziaria, Prodi decide di porre la fiducia.
D’Alema Veltroni sull’Ulivo. Il segretario: fondamentali i partiti. Il vicepremier: senza l’alleanza non si vince. Il leader
pds fa arrabbiare Eco, in Corriere della Sera, 9 marzo 1997, 7.
29 Nel corso della XIII Legislatura si sono costituiti 13 gruppi compreso il misto, con interessanti
variazioni del numero dei componenti tra inizio e fine. Alleanza nazionale è passata da 92 a 88; Ccd-Cdu
da 30 alla dissoluzione del 15 aprile 1998 ; Udr si è costituito il 4 marzo 1990 ed è stato sciolto d’ufficio il
30 giugno 1999; Democratici di sinistra – L’Ulivo, già Sinistra democratica – L’Ulivo, passa da 172 a 161;
FI da 123 a 117; Gruppo Comunista è costituito il 22 ottobre 1998, conta 20 deputati; I Democratici –
L’Ulivo è costituito il 3 febbraio 2000, alla fine conta 20 deputati; Ln da 59 a 46; Misto da 26 a 94;
Popolari democratici – L’Ulivo da 67 a 56; Rifondazione comunista-Progressisti che conta 35 cambia
nome in Gruppo Comunista il 22 ottobre 1998; Rinnovamento italiano che conta 26 deputati non arriva a
fine legislatura; Udeur che non esiste all’inizio, al termine della Legislatura conta 20 deputati. Per un totale
di parlamentari che passa da 630 a 622, visto che non sono effettuate elezioni suppletive per la
sostituzione dei deputati Lorenzetti, Pace, Di Stasi, Pagliuca, Storace, Ruberti, Filocamo e Paissan, ai sensi
dell’art. 86, co. 1 del d.p.r. n. 361/57, intercorrendo meno di un anno fra la vacanza del seggio e la
scadenza
normale
della
legislatura.
Per
altre
informazioni
cfr.
http://leg13.camera.it/cartellecomuni/leg13/deputati/gruppi/modifiche_gruppi.asp#CCD.
30 Cfr. testimonianza cit.: sul punto D’Alema ricorda: “Pur essendo assolutamente evidente che il governo
si reggeva sull’apporto sostanziale del gruppo di Cossiga, perché il gruppo di Cossiga aveva salvato il
governo in più di un’occasione, non è che la rottura di rifondazione sia intervenuta come un fulmine a ciel
sereno. La rottura operata da Rifondazione comunista intervenne, purtroppo, come una crisi attesa, nel
senso che c’era stato un progressivo logoramento, c’era un dibattito all’interno di rifondazione sulla
necessità di uscire da questa esperienza. Una volta completata la fase di aggancio dell’euro, chiusasi una
fase dell’esperienza del governo, rifondazione entra in sofferenza e incomincia in sostanza a ragionare
sulla sua incompatibilità. Nasce un dibattito con una svolta, a questo punto basta con i sacrifici, ci vuole
un cambio di passo. Era chiaro che rifondazione era in una condizione di evidente sofferenza. Lo dico
perché non fu valutato adeguatamente da Prodi e dai suoi collaboratori, che non si resero conto del fatto
che quello che poi dopo esplose con la crisi era qualcosa che ci si doveva attendere. E quindi bisognava
prendere una decisione, perché: o la fine del rapporto con rifondazione comunista veniva interpretata dal
centro sinistra come la fine della legislatura, e quindi noi, avevamo fatto un accordo con rifondazione
comunista che era stato un patto di desistenza, non è che loro facessero parte dell’Ulivo; oppure, nella
previsione, che già era più di una previsione, perché loro già avevano votato contro due atti importanti di
politica estera del governo: uno era stato la missione in Albania, e l’altro l’allargamento della Nato. E tutte
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Sul punto è rilevante l’opinione di Massimo D’Alema: “La decisione di chiedere la fiducia fu una
decisione assolutamente avventurosa perché non c’era nessuna certezza di avere una maggioranza
e di ottenere la fiducia del Parlamento. Senza dubbio in quel momento l’unica prospettiva per
ottenere la fiducia del Parlamento era quella di completare l’operazione, ripeto, peraltro
ampiamente avviata e non da me, perché si era avviata durante il governo Prodi, di allargamento
della maggioranza al gruppo di Cossiga”31.
Cossiga in effetti aveva già sostenuto il governo Prodi nelle occasioni ricordate. Ma al momento
del voto di fiducia dichiara di convincersi a votare a favore solo se il presidente del Consiglio
avesse chiesto esplicitamente il suo sostegno. Il 9 ottobre 1998, giorno del voto sulla questione di
fiducia, dopo il discorso del presidente del Consiglio e dopo il dibattito seguente, il presidente
della Camera, irritualmente, chiede a Prodi se ha qualcosa da aggiungere. Secondo D’Alema quel
passaggio è il frutto delle sue pressioni su Violante32, per dare modo a Prodi di concretizzare la
richiesta avanzata da Cossiga33.
le volte il governo sarebbe caduto se non fosse stato salvato da Cossiga. Il governo Prodi, perché nella
leggenda si dice che io avevo fatto un accordo con Cossiga; mentre Cossiga aveva sostenuto il governo
Prodi. Non solo, ma il gruppo di Cossiga aveva votato a favore del documento di programmazione
economica e finanziaria, che è come dire, l’atto fondamentale del governo. In qualche modo si era
determinato un processo di fatto di allargamento della maggioranza. Questo è intervenuto prima della
nascita del governo D’Alema. Quando si arriva al contrasto con Rifondazione comunista durante la
discussione sulla finanziaria, e alla decisione che il governo prese senza consultare nessuno di porre il voto
di fiducia, in quel momento si pose un interrogativo. Il governo mette la fiducia e non c’era certezza che
quel voto sarebbe concluso con esito positivo. Fino all’ultimo al governo erano sicuri di si, non so quali
calcoli avessero fatto, ma erano calcoli sbagliati. Io ero molto dubbioso. Devo dire la verità, non è che io
abbia seguito la preparazione del voto, anche perché ho avuto anche problemi familiari, mia moglie era
stata operata, quindi ero stato anche ai margini della vicenda politica. Però la mia sensazione, e la
sensazione dei miei collaboratori, fra questi Minniti, che lavoravano con me, era che il voto di fiducia, la
decisione del governo di porre la fiducia, fra l’altro su una parte non particolarmente rilevante della legge
finanziaria, fosse un azzardo, e che il rischio che la vicenda si concludesse con un insuccesso era reale. Io
mi rivolsi a Prodi e ai suoi collaboratori, dicendo: «fate attenzione, se vogliamo essere sicuri, nella
prospettiva di questo voto così incerto, dobbiamo portare a compimento l’operazione di allargamento
della maggioranza», che peraltro era già avviata. Questo gruppo aveva, ripeto, già votato con il governo,
ma non solo, anche in modo determinante”.
31 Cfr. testimonianza cit.
32 Cfr. testimonianza cit.: “Il presidente del Consiglio non replica ai dibattito sulla fiducia, non è prevista la
replica del presidente del Consiglio, parla, poi c’è il dibattito, poi si vota. Ma in quella circostanza, non
posso nasconderlo perché era stato pressantemente invitato da noi, da me, a farlo; perché io dissi al
presidente della Camera, «guarda, c’è un fatto politico nuovo e quindi è opportuno che il presidente del
Consiglio possa fare questo annuncio prima del voto». Ci fu questa richiesta e Prodi, senza neanche girarsi
fece il segno di no con la mano. A quel punto si andò al voto, nel corso di quei minuti concitati, i
collaboratori di Prodi gli avevano anche ulteriormente mandato dei messaggi confermato che c’era la
maggioranza e quindi lui non avrebbe dovuto pagare nessun prezzo politico a Cossiga, e che anzi era
conveniente che non compisse alcun gesto nei confronti di Cossiga.”. Cfr. Camera dei Deputati,
Resoconto sommario e stenografico, seduta n. 422 del 9 ottobre 1998, 29: al momento della votazione per
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A questo punto il governo pone la fiducia e cade il 9 ottobre 1998, per la prima volta nella storia
repubblicana, con un margine di un voto: la fiducia è negata con 313 voti contro 312 34. Quale sia
la causa della caduta quindi non è di agile individuazione: il travaglio politico interno alla
maggioranza, e quindi a monte alla politica estera del governo, ovvero la decisione di non
allargare la maggioranza a quella di fatto costituitasi con i “salvataggi” di Cossiga. Ma la ragione
del superamento della crisi con esito D’Alema può essere trovata nei vincoli esterni al sistema
politico nazionale, cioè, in questo caso, nel contesto geopolitico euro-atlantico in prossimità del
conflitto balcanico.
3. Il contesto politico internazionale. I vincoli esterni
Il 1998 è un anno di svolta. La Comunità europea si prepara a varare la moneta unica; la
Comunità internazionale a dichiarare guerra al serbo Slobodan Milošević 35 . La crisi balcanica
gioca un ruolo fondamentale nella scelta di Scalfaro per la risoluzione di quella di governo con
appello nominale, il presidente dice: “Passiamo ai voti. Aveva chiesto di parlare, onorevole Prodi… ?
Indico la votazione per appello nominale sulla risoluzione (…)”.
Il
resoconto
è
consultabile
qui:
http://documenti.camera.it/_dati/leg13/lavori/stenografici/sed422/pdfs002.pdf.
33 Cfr. testimonianza cit.: “Cossiga noi lo cercammo, Minniti ed io in particolare, perché lui aveva un
particolare rapporto di fiducia, di simpatia con Minniti, lo andammo a trovare a casa sua e alla fine lui si
convinse, abbastanza riluttante, tuttavia si convinse a votare a favore del governo Prodi. Disse: «va bene,
voteremo a favore; l’unica cosa che io chiedo è che Prodi, al momento in cui si conclude il dibattito
parlamentare, rivolga un appello alle forze politiche, che hanno votato a favore del DEF; in questo modo
noi possiamo giustificare il fatto che passiamo ad un voto di fiducia al governo». Perché loro avevano
votato singoli provvedimenti, anche molto importanti, ma non avevano mai votato la fiducia al governo.
Noi lo dicemmo a Prodi ma Prodi rifiutò di compiere questo atto. Non lo so, pensando che questo atto
potesse contenere non si sa quali trappole”.
34 Cfr. CAMERA DEI DEPUTATI, Atti parlamentari, Resoconto sommario e stenografico 422, venerdì 9 ottobre
1998, 30.
35 Per un’agile cronologica sintesi degli eventi in Kosovo, cfr. lo speciale del Corriere della Sera
http://www.corriere.it/speciali/jugoslavia/6.html. Come noto l’ONU interviene per sedare il conflitto tra
il governo della Jugoslavia e quello che sostiene le rivendicazioni della provincia del Kosovo, i cui abitanti,
in maggioranza albanesi, chiedevano prima autonomia, poi indipendenza. L’autonomia della provincia
nell’ordinamento della Repubblica (federale) di Jugoslavia, fu eliminata in seguito alle pressioni della
Serbia, anch’essa federata nella Jugoslavia, guidata da Milošević: in Kosovo si impose come unica lingua il
serbo-croato e personale amministrativo fedele alla Serbia. Così la popolazione del Kosovo, in prevalenza
di etnia albanese e religione musulmana, cominciò ad organizzare una vera e propria resistenza armata,
forte anche dell’appoggio di alcuni veterani della guerra tra Bosnia-Erzegovina e Serbia-Jugoslavia (19921995) e dalla parte albanese. Il 31 marzo 1998, il Consiglio di sicurezza dell’ONU emana la risoluzione n.
1160 con cui ammonisce le parti per l’uso eccessivo della forza e invita ad una soluzione politica. Per il
testo della risoluzione cfr. http://www.studiperlapace.it/documentazione/1160.html. Il 23 settembre
1998 il Consiglio emana una seconda risoluzione, n. 1199, con cui imputa alla Repubblica di Jugoslavia la
responsabilità “per aver creato le condizioni” dello stato in cui si trovano migliaia di persone e invita con
più grave tono all’immediato cessare il fuoco.
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l’orizzonte di un governo politico. Secondo una ricostruzione autorevole36, dalla crisi di governo
non si poteva uscire che con un governo politico, proprio in vista dell’imminente conflitto
balcanico. Per il ministro della Difesa del governo D’Alema, Carlo Scognamiglio, cinque giorni
dopo la mancata fiducia a Prodi, il North Atlantic Council, la Nato, delibera l’Acrivation Order contro
Milošević. Nella procedura di attacco militare della Nato, questo è l’atto che affida il mandato
irrevocabile senza una nuova procedura di voto, di attaccare con le truppe già schierate a questo
scopo, al segretario generale e al supreme allied commander in Europe. Il 12 ottobre la Nato delibera
di sospende per 96 ore (fino al 16 ottobre) l’esecuzione dell’ordine; sospeso ancora per ulteriori
96 ore (fino al 20 ottobre) per dare modo al governo jugoslavo di manifestare intenzioni
diplomatiche. Il 20 ottobre 1998, l’ordine è sospeso definitivamente, ma non revocato. Come si
avrà modo di analizzare successivamente, Scalfaro affida il “pre-incarico” a D’Alema il 16 ottobre
e l’incarico di formare il governo il 19 ottobre. Scognamiglio sostiene che per guidare l’attacco e
comunque affrontare un conflitto internazionale, era necessario tanto nei confronti degli Alleati,
che nei confronti dell’opinione pubblica, un governo politico. Giustifica così il ricorso del
presidente al leader dei Ds invece dei collaudati Ciampi37 o Dini38.
4. Le consultazioni. Il ruolo dei partiti
La crisi dura 12 giorni: il 9 ottobre si vota la fiducia e il presidente del Consiglio rassegna le
dimissioni, il 10 cominciano le consultazioni, il 21 Scalfaro emana tre d.p.r. con cui accetta le
dimissioni rassegnate da Romano Prodi in nome proprio e dei Ministri componenti il Gabinetto
da lui presieduto; accetta le dimissioni dalle rispettive cariche dei sottosegretari di Stato nomina
Massimo D’Alema presidente del Consiglio dei ministri.
La crisi si è svolta secondo il seguente susseguirsi di eventi39.
Il 10 ottobre40 le ipotesi sul tappeto sono tre41: un Prodi-bis che approvi la finanziaria e poi tiri a
campare fino ad un momento di “confronto politico”42; un governo tecnico guidato da Carlo
C. SCOGNAMIGLIO, Il governo D’Alema nacque per rispettare gli impegni Nato, in Corriere della Sera, 7 giugno
2001, 8.
37 Ciampi mette subito in chiaro di non voler scavalcare Prodi, ma che avrebbe potuto garantire la
continuità economica.
38 Su Dini si profila da subito un forte veto di Prodi e del Ppi, in quanto alla formazione del governo
Prodi, Rinnovamento italiano si propone di sostenere il Pds nella sua azione politica, lucrando sulle
posizioni delle Ppi.
39 Romano Prodi racconta che il primo maggio del 1998, svolti i primi adempimenti per l’Italia nell’euro,
l’on. Santagata gli dice: “Il 2 maggio comincia la stagione della caccia; la lepre sei tu”; cit. Ammazziamo il
Gattopardo,
L’intervista
a
Romano
Prodi,
in
www.youtube.com,
min.
4.28
al
5.30
(https://www.youtube.com/watch?v=u1_YrpAGLiU).
36
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Azelio Ciampi oppure da Lamberto Dini, già impiegati da Scalfaro in momenti di crisi; un
governo istituzionale guidato dal presidente della Camera Mancino. Ciò che è subito escluso, è lo
scioglimento delle Camere e l’indizione delle elezioni. Scalfaro non intende portare il Paese alle
elezioni nel bel mezzo della crisi balcanica, con l’activation order già emanato 43. Di questo dato
essenziale e pregiudiziale, D’Alema, stando alla sua ricostruzione, è informato dallo stesso
presidente “nel corso della stessa giornata in cui matura la crisi di governo”44: “A me fu chiaro,
ma non perché sia un particolare analista, ma perché me lo disse il presidente della Repubblica fin
dall’inizio, che la via ipotizzata da Prodi, e cioè di andare alle elezioni anticipate, era una via
pressoché impraticabile. Per ragioni difficilmente contestabili”45.
Nel frattempo a Bologna, Prodi riceve a pranzo D’Alema, il quale gli propone un Prodi-bis con i
voti di Cossiga (Udr) e Cossutta (Pdci).
L’11 ottobre si diffonde la posizione di Prodi sull’eventualità di un suo governo a termine. Con
coerenza il “professore” espone il suo punto di vista: “Per fare un governo occorrono due
condizioni. Primo, che si possa restare coerenti al patto stabilito con gli elettori. Secondo, che sia
realistico nella situazione parlamentare. Non mi sembra che alcuna delle due condizioni
sussista” 46 . Interessante il gioco politico di Massimo D’Alema. In quel giorno, secondo le
ricostruzioni della stampa, Prodi ha detto immediatamente no all’ipotesi del “governicchio”;
Le consultazioni cominciano con l’audizione del presidente del Senato Mancino e della Camera dei
Deputati Violante.
41 Cfr. M. BREDA, Scalfaro punta a un governo tecnico, in Corriere della Sera, 10 ottobre 1998, 7.
42 Franco Marini, all’epoca leader del Ppi, estende in quei giorni l’orizzonte politico di un ipotetico Prodibis: “prima va approvata la finanziaria, poi si andrà al chiarimento politico”: v. F. VERDERAMI, Marini: è
ancora Prodi l’uomo giusto, tenterò di convincere lui e il Quirinale, in Corriere della Sera, 12 ottobre 1998, 3.
43 D’Alema racconta nella testimonianza cit.: “Quindi sostanzialmente con questa decisione noi ci
trovavamo in uno stato prebellico. Le nostre forze armate si trovavano sotto il comando del generale
Wensly Clark che nel frattempo era stato nominato comandante delle forze armate della Nato nei Balcani.
Anche questa procedura che chiaramente alludeva alla possibilità imminente di un conflitto era frutto di
una decisione presa dal governo Prodi.
44 D’Alema racconta nella testimonianza cit.: “A quel punto io ero il segretario del maggior partito italiano
di governo, insomma, giriamocela come ci pare, quindi avevo una rilevante responsabilità nella gestione
della vicenda. E quindi nel corso della stessa giornata in cui matura la crisi di governo, il presidente della
Repubblica mi cerca e mi dice la sua opinione: «Guarda non so che cosa pensi Prodi - perché già le
agenzie dicevano che volesse andare alle elezioni - ma non è mia intenzione nel modo più assoluto andare
alle elezioni politiche, anzi ritengo che questa via sia preclusa». E quindi Scalfaro mi disse: «Questo è un
Paese pieno di idee stravaganti, ma stravaganti fino al punto di dichiarare guerra e poi promuovere le
elezioni, questo io non lo consentirò, perché sarebbe un atto totalmente irresponsabile. Quindi vedete voi
cosa volete fare, se trovate la via di fare un governo politico di centro-sinistra benissimo, se non trovate, io
darò l’incarico al presidente del Senato per la formazione di un governo istituzionale aperto a tutti i partiti
per gestire la situazione di possibile guerra e di emergenza per il Paese»”.
45 Cfr. testimonianza cit.
46 S. FOLLI, Da Bologna no al “governicchio”. Il bandolo a D’Alema e Cossiga, in Corriere della Sera, 11 ottobre
1998, 2.
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tuttavia D’Alema, uscito da Bologna, ha riportato alla stampa che il premier avesse preso in
considerazione l’ipotesi. Questa operazione apparentemente tesa a forzare Prodi, comporta
l’inaspettata fuoriuscita del presidente del Consiglio che invece di subire la “linea” dei Ds,
ribadisce con forza e pubblicamente il proprio no47. La stessa linea dei Ds è riportata in quelle
stesse ore da Marco Minniti, segretario organizzativo del partito: “approvare la finanziaria per
restare agganciati all’Europa senza arrivare al D-day dell’euro, al primo gennaio 1999, con
l’esercizio provvisorio. Se questa è l’esigenza primaria, logica vorrebbe che ad approvare la legge
fosse lo stesso governo che l’ha predisposta”. Il punto è capire quale maggioranza sia in grado di
sostenerlo: “quella potenziale già emersa in Parlamento al momento dell’approvazione del Dpef.
È da lì che bisogna ripartire”. A questa strategia sembra opporsi in un primo momento Cossiga,
che rifiuta le larghe intese. Sul tema Minniti spiega: “le larghe intese mi sembrano impraticabili.
Primo: la rottura di Berlusconi sulle riforme istituzionali è stato un fatto traumatico. Secondo: il
Polo non esclude esplicitamente un governo di larghe intese ma poi pone condizioni inaccettabili
come quella di riscrivere la finanziaria. Terzo: l’originalità dell’Udr finirebbe schiacciata da
un’eventuale convergenza dei due poli. No. Non ci sono le basi e, a ben guardare, nemmeno la
volontà politica per le larghe intese”48. Sempre quel giorno, Cossiga, grande vecchio di questa
crisi, comincia ad insinuare il nome di D’Alema per palazzo Chigi, ipotesi che resterà ai margini
del dibattito per ripalesarsi con forza una volta accantonato definitivamente il nome di Prodi. Il
presidente emerito riceve la stampa dopo un pranzo con Helmut Kohl49, abbozza un ritratto di
D’Alema come uomo di Stato, spiegando che questa qualità lo distingue da Berlusconi, e
soprattutto svela un importante passaggio per la storia italiana ed europea: “Cossiga ha spiegato a
Kohl, secondo attendibili ricostruzioni, di aver consigliato a Prodi di abbandonare l’idea
dell'Ulivo e abbracciare con convinzione la causa dei popolari europei, non contrari a una sua
eventuale candidatura alla guida della Commissione europea”50; l’Europa ed il Ppe sono temi a cui
V. MONTI, Prodi respinge l’offerta di D’Alema: niente bis, in Corriere della Sera, 11 ottobre 1998, 3.
Cfr. F. SAULINO, Minniti: “Né larghe intese né esecutivo dei tecnici”, in Corriere della Sera, 11 ottobre 1997, 7.
49 Cancelliere tedesco dal 1982 al 1990 per la Germania occidentale, e fino al 27 ottobre 1998 della
Germania riunificata; leader fino al 1998 del partito tedesco dell’Unione cristiano democratica (Cdu);
influente membro del Partito popolare europeo (Ppe).
50 F. DE BORTOLI, “Governo a guida D' Alema, perché no? Ha i numeri per provarci”, in Corriere della Sera, 11
ottobre 1998, 5. Sul punto il prof. Tognon ricorda come questa idea fosse prematura all’epoca; così anche
D’Alema, che sostiene, da una parte l’estraneità di Kohl alle dinamiche politiche europee di quel livello: “il
cancelliere tedesco si chiamava Gerhard Schröder, difficile che si facesse scegliere il presidente della
Commissione da Khol. La questione maturò dopo, durante il Consiglio europeo di Berlino, fra l’altro
sotto la presidenza tedesca dell’Unione europea diversi mesi dopo, in circostanze che al momento della
crisi di governo erano difficilmente prevedibili”.
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Prodi dimostrava una certa sensibilità 51 . La situazione dunque delinea la “crisi più complessa
dell’intero settennato” 52 , con gli interlocutori avvolti in una “confusione generale” giudicata
“eccellente” da Bertinotti, e le posizioni che alla sera dell’11 ottobre si delineano così: l’Ulivo
spinge per un Prodi-bis “per varare almeno la finanziaria (in tal senso si sono espressi Salvi,
Mussi e Mattarella); dall’altro c’è il Polo, che prende atto di come lo scioglimento delle Camere sia
«molto difficile» (lo ammette Fini) e domanda «larghe intese» (lo fa il Ccd Follini)”. Tali intese,
chieste anche da Cossiga, sono difficili da raggiungere. Inoltre i Ds bocciano l’ipotesi di un
governo tecnico; Cossiga pone il veto su Ciampi; il Pdci di Cossutta dice no a «sommare i voti dei
comunisti con quelli di Cossiga»53. Qui comincia a prendere piede realisticamente l’idea di un
governo D’Alema, unica prima linea della sinistra in grado di dialogare con Cossiga e di “rendere
praticabile quell’addizione”54.
Nel frattempo, D’Alema, forte delle chiare indicazioni ricevute dal presidente delle Repubblica
direttamente, si adopera subito per un’ipotesi Ciampi. Egli ricorda: “Andai da Ciampi che nel
frattempo era andato a Santa Severa, dove aveva casa e credo tuttora abbia una casa. Mi ricordo
andai da lui la domenica mattina addirittura, o forse sabato pomeriggio, comunque durante il fine
settimana e per non fare confusione ci andai con la macchina mia, cioè per non attirare attenzioni
di scorte, mi mossi con la massima discrezione. Parlammo. Ciampi era molto dubbioso, ma si
convinse, io feci appello al suo senso di responsabilità, il Paese … Insomma, l’uomo ha grande
senso dello Stato, delle istituzioni, e alla fine arrivammo a discutere la lista dei ministri. E fare uno
scambio di opinioni insomma. Cioè arrivammo molto nel merito delle cose. Con l’dea di fare un
governo che cambiasse pochissimo rispetto al governo precedente. E che garantisse questa fase
di transizione che diciamo, anche non un governo di lunghissima durata, ma un governo in grado
di affrontare questa emergenza. La durata di un governo quando si affronta una emergenza
dipende da quanto dura l’emergenza. Ma insomma, il progetto era abbastanza limitato”.
Il 12 ottobre è il giorno delle consultazioni con i partiti: sono prima ricevuti gli esponenti dei
Gruppo parlamentare misto di Senato e Camera, gli esponenti di Südtiroler Volkspartei (Partito
popolare sudtirolese, Svp), Vallèe D'Aoste, Partito di rifondazione comunista (Prc, con il leader
Bertinotti), Comunisti italiani (con Cossutta), Unione democratica per la Repubblica (Udr, senza
Cfr. V. MONTI, E a cena il premier incalza Kohl: cosa c’entra Berlusconi con il Ppe?, in Corriere della Sera, 4 giugno
1998.
52 Questa e le espressioni seguenti sono di M. BREDA, La crisi si complica, Scalfaro prende tempo, in Corriere della
Sera, 12 ottobre 1998, 3.
53 M. BREDA, La crisi si complica, cit.
54 M. BREDA, La crisi si complica, cit.
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Cossiga, il quale aspetta di essere sentito in veste di presidente emerito della Repubblica) e della
Lega nord (Ln). La situazione resta piuttosto stabile nella confusione del giorno precedente. Ciò
che emerge è la preoccupazione dell’Ulivo, per il no secco e di Prodi, e per la forza inaspettata
con cui ha rifiutato le logiche di una politica florentine. Il Polo intanto abbandona l’idea delle
elezioni anticipate, Berlusconi accetta di interloquire con Cossiga, ma come leader di FI e in
seguito ad un vertice con Casini (Ccd) e Fini (An), per sondare l’ipotesi del sostegno ad un
governo con un orizzonte di medio termine che approvi la finanziaria, modifichi la legge
elettorale e fissi la data delle elezioni55. Cossutta (Pdci) e Marini (Ppi) premono ufficialmente per
un Prodi-bis, ma si delinea un asse Marini-D’Alema-Cossiga (Ppi-Ds-Udr) per superare Prodi e
inaugurare un governo di coalizione. Da notare la forte critica del Corriere della Sera contro un
governo tecnico o istituzionale, che sancirebbe il “fallimento della politica”56. D’Alema ricorda
che tanto lui, quanto Scalfaro, sono consapevoli che tra Cossiga e Ciampi non vi fosse “un
grandissimo feeling”; pertanto la soluzione concordata era una “consultazione rapidissima, che
portasse rapidissimamente all’incarico a Ciampi, in modo che tutti fossero messi di fronte alle
loro responsabilità”57.
Il 13 ottobre si concludono le consultazioni con il Polo (Fi, An e Ccd), l'Ulivo (Ds e Ppi e gli
altri) e con i presidenti emeriti della Repubblica Giovanni Leone e Francesco Cossiga, il quale
avrà il vantaggio di aver già inviato i suoi Udr e avere l’ultima parola. In questo momento le
ipotesi principali sono un Prodi II (lo vogliono ufficialmente l’Ulivo, l’Udr ad alcune condizioni
ed il Pdci) e un governo Ciampi II (favorito dal Polo e più rassicurante per il Quirinale).
La crisi sembra arrivare ad una svolta in serata. Scalfaro ha gioco piuttosto facile: utilizza toni
drammatici con il Polo paventando le elezioni; aspetta che tanto l’Ulivo, quanto l’Udr, Cossutta e
qualche altro gruppo”58 indichino Prodi e allora gli affida il preincarico59 per “verificare l’esistenza
di un sostegno parlamentare certo, che gli consenta la formazione del governo” e di riferire ''nel
più breve tempo possibile”. Scalfaro ricorda la necessità di esplorare con “buona urgenza”, per
Cfr. G. FREGONARA, L’Unlivo preme su Prodi, ma avanza Ciampi, in Corriere della Sera, 13 ottobre 1998, 7
A. PANEBIANCO, Una anomalia tutta italiana, in Corriere della Sera, 12 ottobre 1998, 1.
57 Cfr. testimonianza cit.
58 M. BREDA, Scalfaro affida un “preincarico” a Prodi, in Corriere della Sera, 14 ottobre 1998, 2.
59 Tra le consuetudini costituzionali, il preincarico indica l’azione con cui un soggetto, in prima persona,
per se stesso, esplora la situazione politica e l’esistenza di una maggioranza parlamentare in grado di
votargli la fiducia; si differenzia dal mandato esplorativo perché in questo ultimo caso, il presidente della
Repubblica affida ad un soggetto, una carica istituzionale, il compito di verificare per conto del presidente
della Repubblica stesso, la sussistenza delle condizioni favorevoli a supportare un vero e proprio incarico
pieno, nei confronti di altro soggetto. Il preincarico è stato da ultimo affidato dal presidente Napolitano a
Pier Luigi Bersani, nel 2013; nel 1998 i precedenti erano sette: Vittorio Emanuele Orlando nel 1947,
Alcide De Gasperi, Attilio Piccioni, Antonio Segni nel 1953, Aldo Moro nel 1954.
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evitare che “i cittadini abbiano danni a causa della finanziaria non approvata”, soprattutto perché
il processo di costituzione dell’euro possa andare serenamente in porto60. Chiarisce anche che “un
governo a termine sarebbe incostituzionale”. Prosegue: “È vero, ho sempre cercato di impedire
che si tronchi la vita della legislatura e ho sempre difeso le scadenze, che sono un’enorme
garanzia della democrazia e anche ora faccio di tutto per evitare le elezioni”61. Da ciò si deduce
che in caso Prodi fallisse, le elezioni sarebbero ancora escluse.
Vale la pena ricordare il retroscena descritto da D’Alema su come si arriva al mandato esplorativo
a Prodi. Egli racconta: “Il lunedì mattina, prima di iniziare le consultazioni, il presidente della
Repubblica chiamò il presidente del Consiglio dimissionario e gli comunicò questa sua intenzione
di dare l’incarico a Ciampi. Il presidente del Consiglio dimissionario disse: «Ah no, se dai
l’incarico a Ciampi allora lo voglio io!». E chiese per se un mandato esplorativo. Cosa che colse
tutti di sorpresa perché il presidente del Consiglio aveva dichiarato i famosi tre «no!», e invece il
lunedì mattina chiese al presidente della Repubblica di avere un mandato esplorativo. (…) Quindi
ci trovammo di fronte ad un fatto nuovo, inatteso; il presidente mi informò, mi chiamò e mi
disse: «Prodi ritiene di dover compiere lui allora un’esplorazione, prima che ci sia un incarico a
Ciampi, io ritengo di non potere ovviamente dire di no a questa di Prodi, per cui diamo l’incarico
a Prodi. L’effetto fu che naturalmente si cominciò a parlare in ambienti romani; «ma come a
Prodi, è pronto Ciampi …». A quel punto Cossiga prese in mano indubbiamente lui l’iniziativa”62.
Prodi da parte sua riunisce Arturo Parisi, Walter Veltroni e Enrico Letta e poi decide di accettare
il preincarico, a due condizioni: che non sia cambiato il programma di governo con cui si è
presentato alle elezioni, che l’Udr non entri nella maggioranza, al massimo si astenga o garantisca
l’appoggio esterno63. Condizioni diametralmente opposte a quelle dell’Udr: Cossiga per votare la
fiducia vuole che Prodi “chieda” esplicitamente “i voti” dell’Udr, “ammetta che la maggioranza
del 21 aprile è finita e l’Udr possa trattare la lista dei ministri”64.
Il giorno seguente, a Montecitorio, Prodi verifica con i gruppi parlamentari se esistono le
condizioni per ottenere l’incarico di formare un nuovo Governo. Il presidente del Consiglio
incontra la pattuglia del Pdci e dell’Udr. Nel pomeriggio a palazzo Chigi si tiene il vertice
dell'Ulivo già rinviato di un giorno convocato da Prodi, cui partecipano lo stato maggiore dei Ds,
del Ppi, i Verdi, Rinnovamento italiano (Ri), i Socialisti democratici (Sd), Unione democratica
Le espressioni sono di M. BREDA, Scalfaro affida un “preincarico” a Prodi, cit.
M. BREDA, Scalfaro affida un “preincarico” a Prodi, cit.
62 Cfr. testimonianza cit.
63 Cfr. G. FREGONARA, Il premier insiste: non ho cambiato idea, in Corriere della Sera, 14 ottobre 1998, 3.
64 G. FREGONARA, Il premier insiste: non ho cambiato idea, cit.
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(Ud), il Partito repubblicano italiano (Pri), la Rete e il leader dell’Italia dei valori (Idv), Antonio Di
Pietro. Quest’ultimo non risparmierà critiche aperte all’idea di un Prodi-bis: “Mettetevi voi
d’accordo con il partito delle tangenti. Il Paese capirà che vi siete alleati con Gava, Scotti e
Pomicino. Così l’Ulivo non c’è più. E tu Romano, non puoi calarti le braghe, perché così gli
italiani capiranno che ti sei calato le braghe. Come puoi farlo dopo il discorso di Bologna 65? Se tu
lasci palazzo Chigi l’Ulivo vive. Se ci rimani con i voti dell’Udr, l’Ulivo muore”66. I rapporti tra
Prodi e Di Pietro non erano buoni, a causa della repentina uscita dal governo dell’ex magistrato, il
20 novembre 1996, in seguito al ricevimento di alcuni avvisi di garanzia; perché Di Pietro ha
insistito al momento della formazione del governo per ottenere il ministero dell’Interno,
rifiutatogli da Scalfaro e Prodi; ma soprattutto per la sua azione politica, volta a ricavarsi uno
spazio politico nell’area dell’Ulivo stesso67.
D’Alema a proposito del vertice di coordinamento dell’Ulivo ricorda: “La riunione, a cui io non
presi parte, ma vi partecipò Prodi, si concluse con l’intenzione di andare dal Capo dello Stato e di
chiedere la formazione di un governo di centro-sinistra presieduto da me. Io ero a botteghe
oscure, vennero da me Mussi e Veltroni e mi comunicarono: «non riteniamo che sia giusto
consentire la formazione di un nuovo governo tecnico di unità nazionale con Berlusconi. Queste
cose non si possono più fare - perché un governo istituzionale è un governo potenzialmente di
unità nazionale - siamo contrari a questa prospettiva, l’unica persona a questo punto che può
avere il consenso necessario per formare un governo sei tu». Dissi, compiendo un grave errore,
come ho avuto modo di dire successivamente, «andate dal presidente della Repubblica e
proponete». I capigruppo andarono alla consultazione – le consultazioni avevano questa struttura
dove andavano i capigruppo – e gli dissero questo: «Noi pensiamo che si debba dare l’incarico a
D’Alema». Anche questa parte della storia è stata rimossa, ma è accaduta. È interessante perché
se uno dicesse oggi che fu Prodi a proporre D’Alema presidente del Consiglio, direbbe una
provocazione, invece fu proprio così”68.
Il 15 ottobre Prodi riferisce l’esito del preincarico e comunica al Capo dello Stato che le difficoltà
incontrate nel raggiungimento del compito affidatogli non gli hanno consentito di giungere a
conclusioni positive e pertanto rimette il mandato ricevuto al presidente della Repubblica.
Orlando nel 1947, Si riferisce all’intervento di Prodi ad una manifestazione a Bologna il 10 ottobre 1998
in cui dice fortemente no al “governicchio” a termine.
66 F. VERDERAMI, Avanza la candidatura D' Alema, l’Udr pronta a votarlo, in Corriere della Sera, 15 ottobre
1998, 3.
67 Obiettivo che si realizza con la fondazione del partito Italia dei valori, il 21 marzo del 1998.
68 Cfr. testimonianza cit.
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Riferisce alla stampa che non c’è mai stata distanza tra il no di Bologna e l’accettazione del
preincarico: “era mio obbligo morale e costituzionale - scandisce, appesantendo le parole rispondere sì ad una richiesta del capo dello Stato, fatta nell'interesse del Paese. È dovere di un
uomo politico responsabile accettare l’invito pressante di un presidente della Repubblica, in un
momento così delicato e grave per il Paese”69. Prodi accetta il preincarico sicuramente perché
pressato da Marini e D’Alema, ma anche perché governare fino al semestre bianco, gli avrebbe
dato la prospettiva sufficiente per restare in carica anche oltre il rinnovo della presidenza della
Repubblica, fino al rinnovo della Commissione europea.
Scalfaro inizia un secondo giro di consultazioni, più rapido: subito sono ricevuti i presidenti del
Senato e della Camera, i capi dell’Ulivo, del Polo per le libertà, della Lega nord, dell’Udr e del
Pdci.
Il 16 ottobre il presidente della Repubblica termina le consultazioni ricevendo gli esponenti del
gruppo misto della Camera e del Senato e i presidenti emeriti della Repubblica Leone e Cossiga.
Scalfaro quindi “preincarica” Massimo D'Alema, per “verificare l’esistenza di un sostegno
parlamentare certo, che consenta la formazione del Governo” 70 . D'Alema viene ricevuto dal
presidente della Camera Violante e dal presidente del Senato Mancino.
Il 17 ottobre, D’Alema incontra a Montecitorio i rappresentanti delle forze politiche che
dovrebbero sostenere il suo Governo (Ulivo, Pdci, Udr).
Il 19 ottobre D’Alema incontra la rappresentanza del Polo guidata da Silvio Berlusconi, il Prc con
Fausto Bertinotti e la Lega nord.
Nel pomeriggio D’Alema, insieme con i presidenti dei gruppi parlamentari di Camera e Senato
dell’Ulivo, dell’Udr e del Pdci, discutono e approvano una bozza di accordo programmatico.
Questo documento, sottoscritto dai presenti, è l’elemento utile a Scalfaro per sbloccare la crisi.
Costituisce l’impegno scritto e tangibile che esiste una maggioranza che in Parlamento voterà la
fiducia al nuovo governo. Al Quirinale quindi, in serata D’Alema riferire al Capo dello Stato e
riceve dal presidente della Repubblica l’incarico di formare il Governo, che D’Alema accetta con
riserva.
Il 21 ottobre, il presidente del Consiglio incaricato, si reca al Quirinale per sciogliere la riserva e
avviare le trattative per la composizione del nuovo esecutivo.
F. De BORTOLI, Basta, in non chiedo l’elemosina a nessuno, in Corriere della Sera, 15 ottobre 1998, 3.
Cfr.
la
sintesi
parlamentare
su
http://legislature.camera.it/organiparlamentari/assemblea/leg13/assemblea/governoecamera_governodal
ema.asp.
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Forti critiche degli organi stampa del mondo cattolico accompagnano l’ingresso a Piazza Colonna
del primo postcomunista 71 . Il capogruppo Ppi alla Camera, Sergio Mattarella giudica “la
reprimenda legittima ma sbagliata”72.
A margine vale segnalare quello che è stato definito come il “patto della staffetta” 73, espressione
che rievoca il patto Craxi-De Mita del 1983 sulla successione a palazzo Chigi del secondo al
primo. Il pactum sarebbe stato siglato da D’Alema e Veltroni. Almeno due settimane prima della
crisi del suo governo, Prodi in una riunione con i suo collaboratori riflette sul fatto che D’Alema
vorrebbe la sua poltrona; quindi parla del futuro di Veltroni, vicepresidente del suo Gabinetto.
Prodi ragiona: “se D’Alema dovesse venire al mio posto, potrebbe lasciare a Walter la guida del
partito”; e ancora: “Beh, conoscendo D’Alema, dovrebbe fare come Craxi…”. Quindi palazzo
Chigi per Botteghe oscure74. Ciò si inserisce nella più ampia strategia di una leadership di Prodi alla
Commissione, già circolata all’inizio del 1998 nell’entourage del professore75. Il suo governo, infatti,
soprattutto per aver portato l’Italia nella moneta unica, ma anche per la presenza stessa di Prodi
nel Partito popolare europeo, attraverso il gruppo Popolari e democratici per l’Ulivo, riscuoteva
grandi simpatie in Germania ed in Europa. Sembra coerente l’idea che, nel caso Prodi avesse
abbandonato palazzo Chigi per Bruxelles, D’Alema, leader più rilevante dell’Ulivo, sarebbe stato
candidato volentieri dallo stesso professore.
La fiducia sarà poi votata alla Camera il 23 ottobre76, al Senato il 27 ottobre 199877.
Tra gli altri articoli il più significativo è M. BREDA, Dopo il braccio di ferro tra Scalfaro e Vaticano il Papa sale
sul Colle, in Corriere della Sera, 19 ottobre 1998, 3: “Prima l’Avvenire, poi il Sir, Servizio informazione
religiosa, e infine L’Osservatore Romano, uniti in una sinergia di bordate contro la “scorciatoia”
D’Alema”.
72 F. PROIETTI, Mattarella: quella reprimenda è legittima ma sbagliata, in Corriere della Sera, 17 ottobre 1998, 4.
73 F. VERDERAMI, E nella Quercia si sigla il patto della staffetta, in Corriere della Sera, 19 ottobre 1998, 5.
74 F. VERDERAMI, E nella Quercia si sigla il patto della staffetta, cit.
75 Testimonianza all’autore del prof. Giuseppe Tognon, 25 agosto 2015.
76 Mozione di fiducia n. 1-00321 (on. Mussi, Pistelli, Manzione, Manca, Grimaldi, Paissan, Crema) per la
fiducia al Governo D'Alema, del seguente tenore: "La Camera, udite le comunicazioni del Governo, le
approva e passa all'ordine del giorno" (risultato della votazione: presenti: 617; votanti 614; astenuti 3;
maggioranza 308; favorevoli 333; contrari 281).
77 Mozione di fiducia n. 1-00323 (sen. Salvi, Elia, Roberto Napoli, Fumagalli Carulli, Pieroni, Marino e
Marini) per la fiducia al Governo D'Alema, di contenuto analogo a quella votata alla Camera: "Il Senato,
udite le comunicazioni del Governo, le approva e passa all'ordine del giorno" (risultato della votazione:
presenti: 306; votanti 305; astenuti 1; maggioranza 153; favorevoli 188; contrari 116)
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5. La funzione del presidente della Repubblica
Tralasciando considerazioni di sistema sulla funzione costituzionale del presidente della
Repubblica che devierebbero dalla portata di questa breve analisi78, è necessario soffermarsi sulle
scelte di Scalfaro, sull’interpretazione che egli offre del proprio ruolo costituzionale.
Il primo dato che si appalesa dalla vicenda è la riluttanza di Scalfaro per lo scioglimento delle
Camere, considerata per tutta la crisi un’ipotesi assolutamente marginale, subito esclusa dal
dibattito ed utilizzata solo in chiave strumentale con l’opposizione79. Si deve tenere presente che
la crisi avviene in un momento molto vicino al c.d. semestre bianco. Ciò vale a confermare come,
nel regime parlamentare, lo scioglimento del Parlamento sia un’eccezione, un elemento di rottura
non fisiologico80. Il comportamento di Scalfaro peraltro, potrebbe anche risultare incoerente con
i precedenti storici del suo settennato: scioglie le Camere due volte nel corso del suo mandato, nel
Autorevole dottrina sostiene un c.d. interventismo del vertice dello Stato nel regime parlamentare; così
C. ESPOSITO, Diritto costituzionale vivente, Milano, 1992, 38: “inerisce tuttavia alla carica di Capo dello Stato
parlamentare la possibilità di elevarsi in periodi di crisi a reggitore dello Stato”; cfr. ID., Capo dello Stato, in
Enc. Dir., VI, Milano 1960; C. SCHMITT, Il custode della Costituzione, Milano, 1981, 180-191; G. SCACCIA, Il re
della Repubblica, Modena, 2015.
79 Per una ricostruzione teorica tradizionale del potere di scioglimento, cfr. C. CIARDO, Il ruolo del presidente
della repubblica nella crisi di governo, in Giust. amm., 2008, 3, 237, e la bibliografia ivi citata, in particolare per la
distinzione tra scioglimento come potere esclusivamente presidenziale, su cui v. P. BARILE, I poteri del
Presidente della Repubblica, in Riv. trim. dir. pubbl., 1958, VIII, 2, pp. 332 ss.; E. CHELI, Art. 89, in G. BRANCA
(a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna, 1983; V. CRISAFULLI, Aspetti problematici del sistema
parlamentare vigente in Italia, in Studi in onore di E. Crosa, I, Milano, 1960, 623 ss.; L. ELIA, Il Presidente della
Repubblica, in Lo Stato della Costituzione, Milano, 1998, 342; e tra scioglimento come atto complesso o
duumvirale, di presidente della Repubblica e governo, per cui v. A. BALDASSARRE, Il Capo dello Stato, in G.
AMATO, A. BARBERA (a cura di), Manuale di Diritto pubblico, Bologna, 1997, 245; L. PALADIN, Diritto
costituzionale, 1998, 474-479; L. CARLASSARE, Il Presidente della Repubblica (art. 88- 91), in G. BRANCA (a cura
di), Commentario della Costituzione, Bologna, 1983, 9; L. PALADIN, Presidente della Repubblica, in Enc. Dir.,
XXXV, Milano, 1986, 203.
80 Cfr. L. ELIA, Governo (forme di), in Enc. dir., XIX, 1970, par 6, sul rischio di sopravvalutale istituti come lo
scioglimento delle Camere, perdendo di vista il verso punto focale del regime parlamentare, vale a dire la
dislocazione del potere di indirizzo politico, adattandosi a diversi sistemi di partito, favorendo regole
convenzionali e quindi elastiche per il funzionamento del rapporto esecutivo-legislativo: “La
sopravvalutazione di taluni istituti (come lo scioglimento) deriva dal richiamo del modello inglese; in altri
casi (poteri del Capo dello Stato) dalle esigenze ideologico-politiche di un certo tipo di «equilibrio», che
può essere di origine orleanista ma può anche avere radici più profonde (si pensi al ruolo della monarchia
sabauda nel periodo prefascista); o dalla necessità di agganciare l’interpretazione monistico-democratica a
congegni che consentono in ogni tempo l’intervento risolutore del corpo elettorale. Siamo però di fronte a
varianti che dipendono in genere dal grado di democratizzazione dell’intero sistema: e se, […], la forma di
governo parlamentare è […] un tipo di assetto che può essere utilizzato da poliarchie ristrette e da
poliarchie sempre più larghe, bisogna dire che quegli istituti non sono né necessari né sufficienti per
identificare lo schema di partenza”. Altrimenti si mette “in ombra quella che è la caratteristica più evidente
di questo schema: e cioè la sua disponibilità alle dislocazioni del potere di indirizzo politico
(dall’accentramento negli esponenti dell’esecutivo alle formule più varie di cogestione tra leaders partiticoparlamentari), la sua adattabilità ai differenti sistemi di partito, l’apertura, e non solo per interstizi, a regole
convenzionali di grande rilievo per il funzionamento del rapporto esecutivo-legislativo”.
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1994 81 e nel 1996 82 . Mentre il primo scioglimento è esplicitamente voluto dal presidente e
giustificato non da una crisi parlamentare della maggioranza di governo 83 , e comunque può
presentare il carattere “di funzionalità”84, il secondo si configura come una soluzione più interna
alla dialettica parlamentare, in quanto il presidente constata l’insussistenza di una maggioranza di
fronte alla crisi del governo Dini ed il fallimento del tentativo Maccanico.
Queste considerazioni portano ad evidenziare il secondo punto rilevante: quali alternative
Scalfaro ha preso in considerazione. Da una parte un governo “per l’Europa” che vari la legge
finanziaria per evitare l’esercizio provvisorio del bilancio “che l’Europa non capirebbe”
nell’imminenza della moneta unica; dall’altra un governo istituzionale “del presidente” che arrivi
oltre la finanziaria, fino alle elezioni presidenziali (maggio) ed europee (giugno) del 1999 85. Il
presidente, quindi, non contempla lo scioglimento anche per assolvere alla propria funzione di
garante dei vincoli esterni86. Sembra dunque che quell’anno Scalfaro non potesse sciogliere le
D.P.R. 16 gennaio 1994, n. 27 recante “Scioglimento della Camera dei deputati e del Senato della
Repubblica” (G.U. n.12 del 17 gennaio 1994).
82 D.P.R 16 febbraio 1996, n. 63 recante “Scioglimento della Camera dei deputati e del Senato della
Repubblica” (G.U. n.40 del 17 febbraio 1996).
83 Il presidente alla sua prima esperienza di scioglimento, giustifica l’azione inviando una lettera al
presidente del Senato, Spadolini, e al presidente della Camera, Napolitano, spiegandone le ragioni: “a)
referendum elettorale con il quale gli elettori hanno dimostrato di “volere non solo altre regole, ma anche
un nuovo Parlamento”; b) risultato elezioni amministrative e “divario molto sensibile tra le forze
rappresentate oggi in Parlamento e la reiterata volontà popolare”; c) “varie patologie manifestatesi nella
gestione della cosa pubblica”: cit. P. COSTANZO, La gestione delle crisi di governo e lo scioglimento anticipato delle
Camere, in giurcost.org, relazione al Convegno su “Evoluzione del sistema politico-istituzionale e ruolo del Presidente della
Repubblica” (Messina/Siracusa, 19 e 20 novembre 2010).
84 Cit. P. COSTANZO, La gestione delle crisi di governo e lo scioglimento anticipato delle Camere, ult. cit.: “lo
scioglimento del 16 gennaio 1994, al di là di quanto affermato nello stesso messaggio di
accompagnamento del Presidente Scalfaro, nonché da pregevoli commenti del medesimo, sia da
annoverarsi all’unica categoria di scioglimenti ritenuta fino ad allora ammissibili, ossia quelli di
funzionalità, se si concorda sul fatto che le patologie idonee a denunciare l’impotenza parlamentare
possono, in fondo, diagnosticarsi anche senza il sintomo patente della crisi di governo, ma anche dalla
storia clinica di una rappresentanza, qualora questa, a cui nessuno potrebbe fare ostacolo nel proporre
soluzioni ministeriali condivise e politicamente caratterizzate (anche magari rimuovendo il Ministero in
carica nelle forme costituzionali), resta invece afasica, indecisa e finalmente inerte davanti ad uno
scioglimento, più volte e con tanto anticipo preannunciato (si ricordino le parole di Scalfaro dopo l’esito
referendario del 1993 e ancora il discorso del Capodanno 1994), ma mai risolutamente avversato o
contraddetto”.
85 Le espressioni sono di M. BREDA, Scalfaro punta a un governo tecnico, cit.
86 Cfr. R. BIN - G. PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, 2014, cap. II, par. 1.14: “Se nella fase di
affermazione dello Stato di democrazia pluralista erano comunque i partiti a fungere da filtro necessario
tra la sfera pubblica ed i Parlamenti, nel periodo più recente la sfera pubblica tende a rendersi
maggiormente autonoma dai partiti e a rivolgere le proprie domande direttamente agli organi
costituzionali. Per porre questi ultimi al riparo delle pressioni particolaristiche e consentire loro di
realizzare indirizzi politici coerenti con i vincoli esterni, innanzitutto comunitari, si è sviluppata una
tendenza al rafforzamento del ruolo del Governo, con conseguente crescita dei suoi poteri (soprattutto dei
81
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Camere senza esporre l’Italia a speculazioni e depredazioni economico-finanziarie degli Stati
membri dell’Ue che si accingevano a varare la moneta unica. La cruciale problematica militare
balcanica resta in secondo piano nella comunicazione, ma, come già ricordato, non è meno
centrale. Ma prima di concludere in tal senso è necessario vagliare un’altra questione.
Terzo punto è l’atteggiamento del presidente nei confronti della maggioranza di governo scaturita
dalle elezioni del ‘96 con il c.d. mattarellum. Se è vero che il sistema elettorale abbia introdotto in
Italia uno “spirito maggioritario”, ciò giustifica la riluttanza del Quirinale verso ipotesi di governo
che superino quella stessa maggioranza. Scalfaro, dunque, in coerenza con il sistema elettorale,
avrebbe dovuto scegliere un governo sostenuto dalla stessa maggioranza. Tuttavia ciò è
contraddetto dalla nomina di un governo schiettamente politico, con al vertice il capo del più
rilevante partito della coalizione di centro-sinistra; per di più, e qui è il vero nodo, sostenuto da
una maggioranza diversa, non solo formalmente, ma nella sostanza, data la sponda centrista e
l’esclusione di una rappresentanza comunista.
Tirando allora le somme tra i punti esposti, si può allora affermare che Scalfaro non scioglie le
Camere per garantire i vincoli esterni; pur preferendo un governo ancora una volta “del
presidente”, ha subìto l’operazione politica di Cossiga e D’Alema (con Marini e tutto il Ppi
protagonista attivo) di superare la prima stagione dell’Ulivo87. Ciascun protagonista politico ha il
suo buon motivo: Cossiga vuole rispettare da protagonista gli impegni con la Nato ed è
platealmente contrario all’Ulivo perché desidera la restaurazione di uno spazio di manovra
centrista a forte identità democristiana. D’Alema è il primo (e ad oggi unico) postcomunista ad
essere andato a palazzo Chigi, il suo gioco politico appare quello di acquisire il controllo del
centro-sinistra, dimostrando l’egemonia dei Ds sullo “spazio” che l’Ulivo costituisce. Marini ha
invece il palese timore che il Ppi sia di fatto esautorato dalla forte presa elettorale di Prodi e dal
radicamento sul territorio e nelle istituzioni di un Ulivo in senso stretto, attorno alla figura del
presidente del Consiglio.
poteri normativi) e dei meccanismi diretti a rafforzarne la legittimazione politica e la stabilità”. Più
specificamente, ivi, cap. IV, par. 6: “fermo restando che effettivamente le democrazie pluraliste vedono
notevolmente rafforzato il ruolo politico-costituzionale del vertice del potere governante, bisogna
osservare che – in contesti altamente pluralistici ed in presenza dei numerosi vincoli esterni che l’azione
dei pubblici poteri incontra – Presidenti e Primi ministri si trovano costretti a subire i condizionamenti di
una molteplicità di centri di potere, con i quali si instaurano fitti rapporti ora di negoziazione ora di
conflitto”.
87 Per la versione di D’Alema, cfr. M. D’ALEMA, Io dopo Prodi un errore ma quante menzogne, in Corriere della
Sera, 12 febbraio 2014, 6; per quella di Marini, cfr. F. VERDERAMI, Marini: così io e D’Alema facemmo cadere
Prodi, in Corriere della Sera, 29 maggio 2001, 6.
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6. Il governo D’Alema, vivaio della II fase della Repubblica
Scalfaro emana il 21 ottobre 1998 tre decreti del presidente della Repubblica, con cui: accetta le
dimissioni rassegnate da Prodi il 9 ottobre; accetta le dimissioni dei sottosegretari di Stato, che
resteranno in carica fino alla nomina dei nuovi sottosegretari; e finalmente giunge alla nomina del
nuovo presidente del Consiglio dei ministri: Massimo D’Alema. Il capo dello Stato emana, su
proposta del presidente del Consiglio, il decreto di nomina di 26 ministri (nel governo Prodi I
erano 21), di cui 8 senza portafoglio. Giurano infine nelle mani del presidente della Repubblica, il
presidente del Consiglio e i ministri88. D’Alema racconta che molte personalità del precedente
governo Prodi entrarono nel nuovo governo, come Enrico Micheli; in particolare ricorda: “Paolo
De Castro era membro dello staff di Prodi. Lo chiamai la notte e lui stava con Prodi la sera tardi
a cena in una cena di commiato di tutto lo staff prodiano e diventò ministro dell’Agricoltura.
La lista dei ministri e sottosegretari è la seguente: Presidente del Consiglio: Massimo D'Alema; vicepresidente
del Consiglio: Sergio Mattarella (con delega in materia di servizi di sicurezza); sottosegretari di Stato alla
presidenza del Consiglio: Franco Bassanini (segretario del Consiglio dei ministri); Domenico Minniti
(Informazione ed editoria); Gianclaudio Bressa (Funzione pubblica); Elena Montecchi (Rapporti con il
Parlamento).
Ministri senza portafoglio: Giuliano Amato (Riforme istituzionali - fino al 13 maggio 1999); Antonio
Maccanico (Riforme istituzionali - dal 21 giugno 1999); Laura Balbo (Pari opportunità); Katia Bellillo
(Affari regionali); Gian Guido Folloni (Rapporti con il Parlamento); Angelo Piazza (Funzione pubblica);
Livia Turco (Solidarietà sociale); Enrico Letta (Politiche comunitarie).
Ministero degli Affari Esteri: Lamberto Dini; Sottosegretari: Valentino Martelli, Umberto Ranieri, Rino Serri,
Patrizia Toia. Ministero dell'Interno ed incarico per il coordinamento della Protezione Civile: Rosa Russo Jervolino;
Sottosegretari: Franco Barberi, Alberto La Volpe, Diego Masi (fino al 10 marzo 1999), Alberto Gaetano
Maritati (dal 4 agosto 1999), Giannicola Sinisi, Adriana Vigneri. Ministero di Grazia e Giustizia: Oliviero
Diliberto; Sottosegretari: Giuseppe Maria Ayala, Franco Corleone, Marianna Li Calzi, Maretta Scoca.
Ministero del Tesoro, Bilancio e programmazione Economica: Carlo Azeglio Ciampi (fino al 13 maggio 1999),
Giuliano Amato (dal 13 maggio 1999); Sottosegretari: Stefano Cusumano (fino al 26 aprile 1999), Natale
D’Amico, Piero Dino Giarda, Laura Pennacchi (fino al 9 luglio 1999), Giorgio Macciotta, Roberto Pinza,
Bruno Solaroli (dal 27 settembre 1999). Ministero delle Finanze: Vincenzo Visco; Sottosegretari: Ferdinando
De Franciscis, Fausto Vigevani, Gianfranco Schietroma (dal 4 agosto 1999). Ministero della Difesa: Carlo
Scognamiglio Pasini; Sottosegretari: Fabrizio Abbate, Massimo Brutti, Paolo Guerrini, Giovanni Rivera.
Ministero della Pubblica Istruzione: Luigi Berlinguer; Sottosegretari: Teresio Delfino (fino al 04 agosto 1999),
Nadia Masini, Carla Rocchi, Sergio Zoppi. Ministero dei lavori pubblici: Enrico Micheli; Sottosegretari: Antonio
Bargone, Mauro Fabris, Gianni Francesco Mattioli. Ministero delle Politiche agricole: Paolo De Castro;
Sottosegretari: Roberto Borroni, Nicola Fusillo. Ministero dei Trasporti e della navigazione: Tiziano Treu;
Sottosegretari: Giordano Angelini, Luca Danese. Ministero delle Comunicazioni: Salvatore Cardinale;
Sottosegretari: Michele Lauria, Vincenzo Maria Vita. Ministero dell’Industria, Commercio e Artigianato: Pierluigi
Bersani; Sottosegretari: Umberto Carpi, Gianfranco Morgando. Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale:
Antonio Bassolino (fino al 21 giugno 1999), Cesare Salvi (dal 21 giugno 1999). Sottosegretari: Claudio Caron,
Bianca Maria Fiorillo, Raffaele Morese, Luigi Viviani. Ministero del Commercio con l’estero: Piero Fassino.
Sottosegretari: Antonello Cabras. Ministero della Sanità: Mariarosaria Bindi; Sottosegretari: Monica Bettoni
Brandani, Antonino Mangiacavallo. Ministero dei Beni culturali e Ambientali (istituito con d.lgs. n. 368, 20
ottobre 1998): Giovanna Melandri; Sottosegretari: Giampaolo D’Andrea, Agazio Loiero. Ministero
dell’Ambiente: Edoardo Ronchi; Sottosegretari: Valerio Calzolaio. Ministero dell’Università, Ricerca scientifica e
tecnologica: Ortensio Zecchino; Sottosegretari: Antonio Cuffaro, Luciano Guerzoni.
88
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Quindi il governo fu costituito in modo rappresentativo, fra l’altro è stato un ottimo ministro
dell’Agricoltura, di tutte le componenti del centro-sinistra e dell’Ulivo, ivi compresa, in modo
marcato, quella delle persone più vicine a Romano Prodi”89.
Alla prima riunione del Consiglio dei Ministri, su proposta del presidente, sono nominati con
d.p.r. 21 ottobre (G.U. 251/1998): sottosegretario di Stato per la presidenza del Consiglio, con
funzione di segretario del Consiglio, il sen. Franco Bassanini; vicepresidente del Consiglio dei
ministri, on. Sergio Mattarella, con delega in materia di servizi di sicurezza. Quest’ultimo passa
quindi da capogruppo Ppi alla Camera a vicepresidente del Consiglio 90. È quindi approvato il
conferimento degli incarichi ai ministri senza portafoglio ed a quelli ordinari che avverrà il giorno
seguente91. Il 22 ottobre si svolge la prima riunione del Consiglio dei ministri in cui D’Alema
espone la sintesi del programma che esporrà di lì a breve alla Camera dei deputati, che è
approvato all’unanimità. Il presidente sottopone al Consiglio, che poi approva, le proposte di
nomina dei 55 sottosegretari di Stato (escluso Bassanini, già nominato), sono 8 in più rispetto ai
47 del governo Prodi, 17 di loro non sono parlamentari92. Il governo durerà dal 21 ottobre 1998
al 22 dicembre 1999, per un totale di 427 giorni, ovvero 1 anno, 2 mesi e 1 giorno.
Il governo vanta alcune peculiarità nella composizione interessanti da sottolineare93.
Prima di tutto il già evidenziato traguardo storico che rappresenta la conquista di palazzo Chigi da
parte di un postcomunista come D’Alema, ad oggi ancora l’unico esponente del vecchio Pci ad
essere riuscito (anche senza passare prima per il consenso degli elettori) a vestire le funzioni di
presidente del Consiglio dei ministri.
Inoltre si segnala la presenza nella compagine governativa di due futuri presidenti della
Repubblica: ministro del Tesoro, bilancio e programmazione economica Carlo Azelio Ciampi
(sostituito al momento dell’elezione il 13 maggio 1999, da Giuliano Amato); e Sergio Mattarella,
di cui si è già dato conto. In ordine alle vicende sulla formazione del governo, la partecipazione di
Ciampi è certamente un indice di affinità politica in senso ampio tra D’Alema e Ciampi stesso,
Cfr. testimonianza cit.
Una nomina quindi che rappresenta il riconoscimento al Ppi per il ruolo svolto nella crisi del governo
Prodi; soluzione speculare peraltro a quella del governo Prodi dove il vicepresidente era esponente Ds.
91 D.p.c.m. 22 ottobre 1998, G.U. n. 251/1998.
92 Nominati poi con d.p.r. del 22 ottobre 1998, giurano nelle mani del presidente del Consiglio. Da notare
che il sen. Gian Giacomo Migone (del gruppo Ds-l’Ulivo), nominato sottosegretario di Stato degli affari
esteri, non presta il giuramento e, con lettera del 23 ottobre dichiara di rinunciare all’incarico governativo.
In sua vece viene nominato, con d.p.r. 28 ottobre 1998, su proposta del presidente del Consiglio e sentito
il Consiglio dei ministri, l’on. Umberto Ranieri (sempre gruppo Ds-l’Ulivo).
93 Per la ricostruzione delle personalità che lo compongono ci si riferisce alla pagina ufficiale sul sito
istituzionale del governo italiano: http://www.governo.it/Governo/Governi/dalema1.html.
89
90
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anche se resta difficile comprendere quale sia la vera ragione di tale affinità94. Certamente una
soluzione coerente con la necessità di completare dal punto di vista tecnico gli adempimenti per
l’ingresso dell’Italia nella costituenda moneta unica.
Partecipano poi alcuni presidenti del Consiglio emeriti: il ministro delle Riforme istituzionali
Giuliano Amato (premier dal 28 giugno 1992 al 28 aprile 1993), lo stesso Ciampi (dal 28 aprile
1993 al 10 maggio 1994) e il ministro degli Affari esteri Lamberto Dini (dal 17 gennaio 1995 al 17
maggio 1996).
Due personalità diventeranno in futuro presidente del Consiglio dei ministri: lo stesso Amato per
un breve incarico (dal 25 aprile 2000 all’11 giugno 2001) e soprattutto il ministro per le Politiche
comunitarie Enrico Letta (dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014).
Da sottolineare poi la presenza di Pier Luigi Bersani al ministero dell’Industria, pre-incaricato di
formare il governo nel marzo 2013.
Inoltre si sottolinea il record, fino a quel momento, di presenze femminili in un governo della
Repubblica. Sul punto D’Alema ricorda di aver chiesto anche ad Emma Bonino di partecipare,
“ma Pannella non volle”. Lo propose anche “alla Moratti. Era stata presidente della Rai, era una
donna notoriamente del mondo conservatore milanese, non era particolarmente progressista ma
era una donna, a mio giudizio, di grande valore. Lei non volle, mi disse «no, perché io non sono
una persona di sinistra»; apprezzò, naturalmente, ma non ritenne di poter accettare l’incarico”95.
Altra personalità del governo D’Alema è Franco Bassanini, che con la legge 8 marzo 1999, n. 50
che, completando il processo di riforma e riorganizzazione dell’Amministrazione avviato nel
corso dei precedenti governi, istituisce le Agenzie indipendenti (da non confondersi con le
Autorità indipendenti) per svolgere attività a carattere tecnico-operativo già esercitate da ministeri
ed enti pubblici; enti quindi autonomi dal punto di vista funzionale ed organizzativo, ma
subordinati rispetto all’indirizzo politico e alla vigilanza, ai poteri ministeriali. Tra i provvedimenti
attuativi delle c.d. “leggi Bassanini” si sottolinea che in occasione del rinnovo contrattuale del
1999 il personale, in luogo delle qualifiche funzionali, è inquadrato in profili professionali,
raggruppati in tre categorie per i ministeri, quattro per gli enti locali, regioni e aziende sanitarie; è
Sul punto D’Alema ricorda, cfr. testimonianza cit.: “Pregai Ciampi di rimanere nel governo, cosa che
non fu facile, anche perché era rimasto un po’ scottato dalla vicenda del suo possibile incarico. Però
riconoscendo che non era mia la responsabilità del fallimento del suo possibile incarico accettò di fare
parte del mio governo. Se uno ha appena appena conosciuto l’uomo può capire che se fossi stato io a
silurare il suo (tentativo di, n.d.a.) governo, lui non avrebbe mai fatto parte del mio; non è che avesse
bisogno di trovare un lavoro. Riconoscendo anzi che io avevo operato con lealtà, lui volle rimanere nel
governo”.
95 Cfr. testimonianza cit.
94
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poi ridefinita la dirigenza pubblica con il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, all’epoca presentata come
una modifica epocale, articolata in due fasce e con elementi di spoils system e di “privatizzazione”
del rapporto di lavoro; si realizza il riordino dei ministeri, attuato in base alla delega legislativa
contenuta nella c.d. Bassanini-I. Si ricorda poi il d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, ad attuazione
differita alla XIV Legislatura, che ribadisce la funzione di coordinamento della presidenza del
Consiglio, e definisce l’assetto del Gabinetto secondo uno schema fisso di ministeri 96 .
Conseguentemente è definita l’architettura delle amministrazioni centrali con un certo favore per
gli “uffici di diretta collaborazione con il ministro”97.
Si può concludere che in ambito di politica interna, per le personalità e per l’attività, il governo
D’Alema sia stato un incubatore di fattori che avrebbero caratterizzato l’esperienza italiana nella
seconda fase della Repubblica.
Per quanto riguarda la situazione geopolitica internazionale, il governo dovette affrontare un
anno cruciale per la storia europea e per il ruolo dell’Italia98.
Lamberto Dini intervenendo il 14 gennaio 1999 di fronte alle Commissioni Esteri e Difesa del
Senato, attribuisce pubblicamente le responsabilità della crisi tanto al governo di Belgrado,
quando alle ostilità armate e politiche kosovare, in coerenza con la strategia tenuta fino a quel
momento di cercare di evitare il conflitto99. Si impegnò con coerenza al punto da tentare invano
di riscrivere le proposte del Gruppo di contatto rivolte al governo serbo, in occasione dei
colloqui di Rambouillet in cui sostanzialmente si esperiva l’estremo tentativo diplomatico100. Il 24
marzo cominciano le ostilità dell’Alleanza atlantica, ma senza l’autorizzazione dell’Onu. La
giustificazione dei governi di centro-sinistra europei, Blair per il Regno unito e Schröder per la
Repubblica federale tedesca, è la necessità di punire i trasgressori dei diritti umani101. Stessa linea
per il governo italiano: il vicepresidente del Consiglio Sergio Mattarella dichiara: “Non è stata
Affari esteri, Interno, Giustizia, Difesa, Economia e Finanze, Attività produttive, Politiche agricole e
forestali, Ambiente e tutela del territorio, Infrastrutture e trasporti, Lavoro e politiche sociali (a cui è
accorpata la Salute), Istruzione, università e ricerca, Beni e attività culturali. Schema poi derogato.
97 Per una ricostruzione dei provvedimenti, anche rispetto all’evoluzione storica dell’apparato burocratico,
cfr. F. BONINI, Storia della pubblica amministrazione in Italia, Firenze, 2004, 180.
98 Per il ruolo italiano e le conseguenze positive nello scenario internazionale della partecipazione non
passiva alla crisi, si v. M. BUCARELLI, L’Italia e le crisi nazionali nei Balcani occidentali alla fine del XX secolo, in S.
PONS - A. ROCCUCCI - F. ROMEO (a cura di), L’Italia contemporanea dagli anni Ottanta a oggi. I. Fine della guerra
fredda e globalizzazione, Roma, 2014, 275-280 e la bibliografia ivi citata.
99 Cfr. M. LEKIĆ, La mia guerra alla guerra. Diario dell’ambasciatore jugoslavo a Roma durante il conflitto per il
Kosovo, Milano, 2006, 27-9.
100 L. DINI, Fra Casa bianca e Botteghe oscure. Fatti e retroscena di una stagione alla Farnesina, Milano, 2001, 62-4.
101 C. SCOGNAMIGLIO PASINI, La guerra del Kosovo. L’Italia, i Balcani e lo scacchiere strategico mondiale, Milano,
2002, 80.
96
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frutto solo dell’appartenenza all’Alleanza atlantica, ma, soprattutto, per la violazione dei diritti
umani perpetrata nel Kosovo”102.
Il 29 marzo scatta la c.d. “Missione arcobaleno”, l’operazione che prevede l’invio al confine tra
Kosovo ed Albania di aerei e navi italiani per risolvere la situazione di circa 20mila sfollati 103. Il
governo organizza l’intervento in loco e il trasporto per nave o in aereo in Italia di diversi
profughi.
Il governo si trova dunque ad entrare in guerra senza l’ombrello dell’Onu, con l’imbarazzo dei
Verdi, del Pdci, di una parte dei Ds e del mondo cattolico104. Le posizioni nel governo sono ben
esemplificate dall’atteggiamento di Dini, moderato ma confermato agli Esteri, che giudica “senza
precedenti” l’arbitrario intervento Nato; e quello di Scognamiglio, ministro della Difesa, vicino a
Cossiga, per il quale l’operazione è un’ottima vetrina per dimostrare il ruolo internazionale
dell’Italia. D’Alema è qui capace di tenere insieme il governo e di evitare la fuoriuscita dei
comunisti, più volte minacciata, esprimendo la stessa linea invocata da Blair e Schröder; ma
riconosce, nel serrato dibattito parlamentare del marzo 1999, la forzatura giuridica della mancata
autorizzazione dell’Onu. Anche se attribuisce tale empasse all’incapacità del Consiglio di sicurezza
di sbloccarsi e superare il vortice dei veti105. Al termine del dibattito il governo fu supportato con
il voto favorevole da parte del Parlamento di tre diverse risoluzioni che confermavano la linea:
fedeltà alla Nato e disponibilità a trattare. Un capolavoro di equilibrismo 106. Il 10 giugno del 1999
il Consiglio di sicurezza dell’ONU emana la risoluzione n. 1244, con cui sostanzialmente
definisce i termini della cessazione delle ostilità, che entreranno nel trattato tra le parti.
Altre vicende rilevanti dal punto di vista del governo D’Alema sono la gestione dell’elezione di
Ciampi al Quirinale, le elezioni europee del 1999, che videro affacciarsi quel “partito dell’Ulivo”
tanto temuto dal Ppi (come si è già avuto modo di illustrare) 107 , e il rimpasto del 1999 per
permettere l’ingresso proprio dei Democratici di Prodi nel governo, lasciando succedere D’Alema
a se stesso.
F. SAULINO, Palazzo Chigi preme per il negoziato, in Corriere della Sera, 29 marzo 1999, 10.
G. GALLO, Arcobaleno per i profughi, in Corriere della Sera, 20 marzo 1999, 4.
104 Cfr. M. D’ALEMA, Kosovo. Gli Italiani e la guerra, Milano, 1999, 34-5; C. SCOGNAMIGLIO PASINI, La
guerra del Kosovo, cit., 125 ss.
105 Cfr. M. D’ALEMA, Comunicazioni del governo sulla crisi in Kosovo, Camera dei deputati, 26 marzo 1999, in Una
pace giusta. Per i diritti umani nel Kosovo contro la pulizia etnica e le stragi. Il dibattito alla Camera dei deputati. Le
posizioni del Governo e dei Democratici di sinistra alla Camera dei deputati, 24 marzo 1999-19 maggio 1999. Roma,
31-48.
106 Sul punto cfr. M. BUCARELLI, L’Italia e le crisi nazionali nei Balcani occidentali alla fine del XX secolo, cit., 278.
107 Cfr. par. 1 e nota n. 18 di questa analisi.
102
103
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7. Le elezioni del presidente della Repubblica del 1999
Il 13 maggio del 1999 la seduta del Parlamento in seduta comune ed allargata è presieduta da
Luciano Violante. Alla lettura della 674esima scheda recante il nome “Ciampi”, relativa alla
procedura del primo scrutinio (ex art. 83, co. 3, Cost.), la quale richiede la maggioranza dei due
terzi dei componenti l’Assemblea, questa esprime “vivissimi, prolungati applausi” e i suoi
componenti “si levano in piedi”108. L’operazione è gestita con successo da palazzo Chigi a partire,
da una parte, da un’iniziativa di Walter Veltroni e dall’altra da probabili previe intese, risalenti
all’anno precedente, tra D’Alema e Ciampi stesso.
Certamente la ratio che porta a scegliere Ciampi, dato il contesto politico interno ed estero
appena descritto, è di individuare una personalità che raggiunga tre obiettivi: assicuri all’Italia un
certo prestigio internazionale sia nel contesto economico europeo, sia in quello militare atlantico;
garantisca all’opinione pubblica una certa tranquillità in quanto non interno alle logiche di partito;
garantisca l’opposizione di centro-destra in quanto non organico ai tradizionali circuiti della
sinistra. In questo modo la Presidenza della Repubblica rientrerebbe nell’ambito della sua propria
funzione, seppur con gli elementi di originalità e novità relativi al processo storico-costituzionale
di cui si è dato conto, dopo la forte esposizione politica del periodo scalfariano.
L’unico ostacolo alla sua elezione poteva essere rappresentato dal Partito popolare italiano, il
quale avanzava pretese sul Colle probabilmente in base a precedenti accordi stipulati nelle ore
della caduta del governo Prodi. Una candidatura che in un primo momento sembra assumere
peso è infatti quella della popolare Jervolino. Tale ipotesi è subito stroncata dalle opposizioni e
bollata come una “Scalfaro in gonnella” 109 . Marini inoltre è un segretario di partito; nessun
segretario è mai stato eletto al Quirinale in corso di mandato. Mancino è il presidente del Senato,
quindi potrebbe concorrere, ma pecca di un requisito politico essenziale, che lo sottrae dalla lista
degli sfidanti. Egli non garantisce ai Ds la possibilità di un nuovo incarico a quel partito in caso di
crisi di governo, di cui già si parla in quei giorni110. D’Alema racconta: “Poteva esserci, anzi, c’era
sicuramente in quel momento, un’aspirazione da parte del Partito popolare per assumere questo
Cfr. CAMERA DEI DEPUTATI, SENATO DELLA REPUBBLICA, XIII Legislatura, Resoconto sommario, seduta
del 3 maggio 1999, n. 19, III. I risultati più nel dettaglio sono i seguenti: presenti e votanti: 990; astenuti:
nessuno; maggioranza dei due terzi dei componenti l’Assemblea: 674. Hanno ottenuto voti: Ciampi 707;
Gasperini 72, Ingrao 21, Russo Jervolino 16, Bonino 15, Andreotti 10, Craxi 6, Mancino 6, Antonio
Serena 6, Violante 6, Scalfaro 5, Berlusconi 4, Fazio 4, Martinazzoli 4, Amato 3, Cossiga 3, Barbera 2,
Baldassarre 2.
109 G. FREGONARA, D’Alema: ampia intesa sul Quirinale, in Corriere della Sera, 5 maggio 1999, 11.
110 E al Colle salirà la “donna di Scalfaro”, in Panorama, contenuto in archivio, senza autore e data: cfr.
http://archivio.panorama.it/archivio/E-al-Colle-salira-la-donna-di-Scalfaro.
108
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incarico. Però noi andammo a casa di Franco Marini; ci fu un incontro con me e Veltroni a casa
di Franco, forse c’era anche Mattarella, non so, facemmo un incontro riservato, le principali
personalità; e gli spiegammo insomma quali erano le cose, quale il nostro punto di vista, la
soluzione più utile per il Paese e lui, che è un uomo come ora non ce ne sono più, o comunque
pochi, si rese conto che la nostra era una proposta che, in quanto Ciampi era Ciampi, ed intorno
si delineava un tipo di convergenza nazionale che difficilmente si sarebbe potuta realizzare
intorno a un leader politico di partito, ci fu alla fine accoglienza di questa risoluzione. Fu
preparato, ma non fu un fatto conflittuale.
Veltroni era molto convinto di questa soluzione, me ne aveva parlato, però era la soluzione della
quale ero convinto anch’io, anzi ne avevo parlato con Ciampi anche prima che cominciasse
questa storia. La partita fu condotta sul piano dei rapporti politici da Veltroni e poi dal presidente
del Consiglio. In un rapporto di collaborazione”111.
D’Alema nella sua esperienza si trova quindi a formare un primo governo sotto la presidenza di
Scalfaro, e si troverà di lì a poco a formarne un secondo sotto la neo-presidenza Ciampi. Questa
circostanza può essere utile per rilevare la diversa interpretazione della funzione di presidente
della Repubblica che ciascuna personalità comporta. Sul punto D’Alema ricorda: “Non c’è
dubbio che Scalfaro aveva un rapporto molto più … era molto più inside, nel senso che Scalfaro
era un uomo politico e seguiva molto più da vicino la dinamica politica. La formazione del
governo compete al Capo dello Stato, ma Scalfaro era più pushing, diciamo. Quindi è vero, ci sono
diverse caratteristiche, fra i due. Ciampi, tuttavia, seguiva molto. Ciampi era una figura molto più
istituzionale, meno politica e più istituzionale: svolgeva pienamente i suoi ruoli istituzionali, ad
esempio presiedere il Comitato di difesa, con molto scrupolo. Però è anche vero che Ciampi è
stato il Capo dello Stato in un sistema diverso, in cui tutto sommato i presidenti del Consiglio
erano il risultato di consultazioni elettorali più che delle consultazioni del Capo dello Stato.
Quindi da questo punto di vista è vero che il presidente della Repubblica svolge un ruolo
particolare nei momenti in cui il sistema della democrazia parlamentare non funziona, entra in
crisi, come spiega Pasquino, ma anche come scrive Sartori: il presidente della Repubblica è come
un motore di riserva del sistema, quando si inceppa il motore normale che è quello della
maggioranza parlamentare, allora entra in scena il presidente della Repubblica e svolge il ruolo
per garantire la governabilità del Paese”112.
111
112
31
Cfr. testimonianza cit.
Cfr. testimonianza cit.
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8. Le elezioni europee del 1999, “I Democratici”
Prodi nel frattempo attende ai margini della scena politica il momento per rientrare in campo.
Forte della capacità elettorale costruita a partire dai comitati e dell’esperienza organizzativa e di
governo maturata con l’Ulivo, si fa convincere ad essere il catalizzatore di una nuova esperienza
partitico-movimentista di nome “I Democratici”. Con il simbolo controverso di un asinello113,
L’occasione per aprire il confronto a sinistra sono le elezioni europee del 1999. In quel momento
l’opposizione di centro-destra, dopo la caduta del governo Prodi e l’affermazione di un postcomunista al governo, è in espansione di consensi.
Le elezioni europee sono politicamente vinte da Forza Italia e dagli alleati di centro-destra114.
Inoltre I Democratici, fortemente voluto da Arturo Parisi anche in polemica soprattutto con il
Partito popolare italiano115, riuscì a conseguire un risultato modesto ma molto importante: 7,73 %
contro il 4,24 % del Ppi.
Il risultato complessivo è il seguente. Dalla prospettiva del governo di D’Alema, una vittoria
dell’opposizione, che può alzare la posta nella quotidiana dialettica parlamentare. Dal punto di
vista dei partiti della maggioranza di governo, una riaffermazione della linea prodiana a scapito
non tanto del maggior partito di governo, ma del suo più forte alleato (il Ppi); quindi un
complessivo indebolimento della maggioranza e del suo assetto in Parlamento.
In seguito alle elezioni europee la situazione diventa instabile in Parlamento. Il gruppo di Cossiga,
come già descritto all’inizio di questa trattazione116, si è riorganizzato: il presidente emerito della
Repubblica lo ha abbandonato alle cure di Clemente Mastella. D’altra parte, alcuni sostenitori
Forti furono le critiche a tale scelta, che se da una parte poteva essere caricata di forte simbolismo
popolare (riprendendo anche la storica testata omonima), rievocava goffamente l’effige del Partito
democratico statunitense, peraltro assolutamente marginale nel contesto politico americano rispetto al
nome e ai principi fondamentali del partito stesso; cfr. sul punto R. ZUCCOLINI, L. TELESE, A. FARKAS, I
Democratici scelgono l’asinello, in Corriere della Sera, 28 febbraio 1999, 5.
114 Le elezioni consegnarono dei totali 87 seggi del Parlamento europeo, 22 a Forza Italia (25,16 % di voti),
15 ai Democratici di sinistra (17,34 %), 9 ad Alleanza nazionale – Patto Segni (10,28 %), 7 alla Lista Emma
Bonino (8,45 %), 6 ad I Democratici (7,73 %), 4 alla Lega Nord (4,48 %), a Rifondazione comunista (4,27
%) ed al Partito popolare italiano (4,24 %), 2 seggi al Centro cristiano democratico (2,59 %), ai Socialisti
democratici italiani (2,16 %), ai Cristiano democratici uniti (2,16 %), ai Comunisti italiani (2 %), ai Verdi
(1,77 %) ed 1 seggio ad U.d.eur., al Movimento sociale – Fiamma tricolore, al Rinnovamento italiano di
Lamberto Dini, al Partito pensionati, al Partito liberale e al Partito popolare del Sud-Tirolo. Per i dati cfr. il
sito
del
ministero
dell’interno:
http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=E&dtel=13/06/1999&tpa=Y&tpe=A&lev0=0&levsut0
=0&es0=S&ms=S.
115 Così ricorda il prof. Tognon, testimonianza acquisita dall’autore il 25 agosto 2015.
116 Cfr. la nota n. 14.
113
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della esperienza di governo prodiana, sia dal gruppo parlamentare dei Ds che, in maggior
numero, da quello del Ppi, confluiscono a rappresentare in parlamento I Democratici117.
La crisi parlamentare si avverte ancora una volta nell’ambito della votazione della legge
finanziaria. Il 12 dicembre 1999 il presidente dei Socialisti democratici italiani (Sdi), chiede
formalmente di aprire la crisi a gennaio, dopo l’approvazione della legge in questione, per evitare
un rimpasto, sostituire D’Alema ed arrivare alle elezioni del 2001 con una candidato più
spendibile.
Il 13 dicembre D’Alema manifesta al presidente della Repubblica la sua intenzione di intervenire
in Parlamento per una verifica della maggioranza. Il giorno seguente Violante e Mancino
riferiscono al Quirinale sull’iter di approvazione della finanziaria. Successivamente leggono alle
proprie Assemblee una lettera del presidente del Consiglio che comunica di voler riferire in
Parlamento sulla maggioranza dopo l’approvazione della legge finanziaria.
A questo punto si delineano più marcatamente due fronti contrapposti: da una parte Ds, Ppi,
Udeur e I Democratici, per un rimpasto e dunque un governo D’Alema II; dall’altro il Trifoglio
(compagine che ora comprende Cossiga insieme ai Socialisti di Boselli ed ai Repubblicani di La
Malfa), ancora parte della maggioranza, che spingono per una crisi di governo con sostituzione di
D’Alema.
In seguito ad alcuni scambi di lettere tra le istituzioni e i leader di partito; dopo alcune vicende di
presunte compravendite di seggi tra membri dell’Udeur e gruppo misto, con conseguente
formazione di una commissione di giurì d’onore (ai sensi dell’art. 58 del Regolamento della
Camera); dopo l’approvazione alla Camera ed al Senato della legge finanziaria per il 2000,
D’Alema riferisce in Parlamento, il 18 dicembre.
All’esito del dibattito parlamentare, decide di rassegnare le proprie dimissioni. Il 20 dicembre
Ciampi conclude le consultazioni ed affida l’incarico allo stesso D’Alema, il quale accetta con
riserva.
Il 22 dicembre, dopo quattro giorni, la D’Alema scioglie la riserva e presenta al presidente Ciampi
la lista dei ministri. Con tre distinti D.P.R. di quel giorno, il presidente della Repubblica accetta le
dimissioni che il presidente del Consiglio, accetta le dimissioni dalle rispettive cariche dei
Cfr.
il
sito
istituzionale
della
Camera:
http://leg13.camera.it/organiparlamentarism/239/documentotesto.asp. Il partito de I Democratici
contiene alcuni promotori dei primi “comitati prodi”, cioè alcuni esponenti del movimento Centocittà,
alcuni esponenti della squadra ulivista di governo, come Arturo Parisi, la Rete di Leoluca Orlando e
Antonio Di Pietro, che uscirà dal partito l’anno successivo, quando dopo le elezioni regionali e le
dimissioni di D’Alema, sarà nominato presidente del Consiglio Amato.
117
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sottosegretari di Stato, i quali restano in carica fino alla nomina dei nuovi Sottosegretari; nomina
lo stesso D’Alema presidente del Consiglio. Separatamente, con un decreto adottato su proposta
del presidente del Consiglio, il presidente della Repubblica nomina i 25 Ministri (uno in meno del
governo D’Alema I); 7 sono i Ministri senza portafoglio. Quel giorno si vota la fiducia al Senato
(presenti: 282; votanti 281; maggioranza 141; favorevoli 177; contrari 100; astenuti 4), il 23
dicembre alla Camera (presenti: 615; votanti 597; astenuti18; maggioranza 299; favorevoli 310;
contrari 287).
9. Il governo D’Alema II, le elezioni regionali del 2000 e le dimissioni
Il governo118 dura in carica dal 22 dicembre 1999 al 25 aprile 2000. Fanno parte del governo
esponenti dei Ds (oltre al presidente del Consiglio, 8 ministri e 19 sottosegretari), del Ppi (6
Presidente del Consiglio: Massimo D'Alema; sottosegretari di Stato alla presidenza: Enrico Micheli (Segretario
del Consiglio dei Ministri), Domenico Minniti detto Marco (Informazione ed Editoria, Giubileo 2000,
Cesis e inoltre delegato a rappresentare il Presidente del Consiglio presso il comitato parlamentare ex lege
801/1977), Elena Montecchi (Rapporti con il Parlamento), Luciano Caveri (Affari Regionali), Raffaele Cananzi
(Funzione Pubblica), Adriana Vigneri (Funzione Pubblica dal 30 dicembre 1999 - G.U. 15 gennaio 2000 - Serie
generale n. 11), Dario Franceschini (Riforme Istituzionali), Stefano Passigli (Innovazione Tecnologica).
Ministri senza portafoglio: Antonio Maccanico (riforme istituzionali), Laura Balbo (pari opportunità), Katia
Bellillo (affari regionali), Agazio Loiero (rapporti con il Parlamento), Franco Bassanini (funzione
pubblica), Livia Turco (solidarietà sociale), Patrizia Toia (politiche comunitarie).
Ministro degli Affari esteri: Lamberto Dini; sottosegretari: Franco Danieli, Umberto Ranieri, Rino Serri, Aniello
Palumbo (dal 30 dicembre 1999). Ministro dell’Interno ed incarico per il Coordinamento della protezione civile: Enzo
Bianco; sottosegretari: Franco Barberi, Massimo Brutti, Ombretta Fumagalli Carulli, Severino Lavagnini,
Alberto Gaetano Maritati. Ministro della Giustizia: Oliviero Diliberto; sottosegretari: Giuseppe Maria Ayala,
Franco Corleone, Marianna Li Calzi, Rocco Maggi. Ministro del Tesoro, bilancio e programmazione economica:
Giuliano Amato; sottosegretari: Ferdinando De Franciscis, Dino Piero Giarda, Giorgio Macciotta, Romano
Misserville (dal 30 dicembre 1999), Roberto Pinza (fino al 30 dicembre 1999), Bruno Solaroli. Ministro delle
Finanze: Vincenzo Visco; sottosegretari: Natale D’Amico, Alfiero Grandi, Mauro Fabris (fino al 30 dicembre
1999), Armando Veneto (dal 30 dicembre 1999). Ministro della Difesa: Sergio Mattarella; sottosegretari: Paolo
Guerrini, Romano Misserville (fino al 30 dicembre 1999), Roberto Pinza (dal 30 dicembre 1999), Gianni
Rivera, Massimo Ostillio. Ministro della Pubblica istruzione: Luigi Berlinguer; sottosegretari: Giuseppe Gambale,
Nadia Masini, Giovanni Polidoro, Carla Rocchi. Ministro dei Lavori pubblici: Willer Bordon; sottosegretari:
Antonio Bargone, Mauro Fabris (dal 30 dicembre 1999), Armando Veneto (fino al 30 dicembre 1999),
Gianni Francesco Mattioli, Salvatore Ladu. Ministro delle Politiche agricole e forestali: Paolo De Castro;
sottosegretari: Roberto Borroni, Aniello Di Nardo. Ministro dei Trasporti e navigazione: Pier Luigi Bersani;
sottosegretari: Giordano Angelini, Luca Danese, Mario Occhipinti. Ministro delle Comunicazioni: Salvatore
Cardinale; sottosegretari: Vincenzo Maria Vita, Michele Lauria. Ministro dell’Industria, commercio e artigianato:
Enrico Letta; sottosegretari: Gabriele Cimadoro, Lanfranco Turci, Gianfranco Morgando (dal 30
dicembre1999), Aniello Palumbo (fino al 30 dicembre 1999). Ministro del Lavoro e previdenza sociale: Cesare
Salvi; sottosegretari: Claudio Caron, Adolfo Manis, Raffaele Morese, Rosario Olivo. Ministero del Commercio con
l’estero: Piero Fassino; sottosegretari: Silvia Barbieri, Gianfranco Morgando (fino al 30 dicembre1999),
Aniello Palumbo (dal 30 dicembre 1999). Ministro della Sanità: Rosy Bindi; sottosegretari: Monica Bettoni
Brandani, Fabio Di Capua, Antonino Mangiacavallo. Ministro dei Beni e attività culturali: Giovanna Melandri;
sottosegretari: Giampaolo D’Andrea, Maretta Scoca, Adriana Vigneri (fino al 30 dicembre 1999). Ministro
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ministri e 14 sottosegretari), i Democratici (3 ministri e 8 sottosegretari), del Pdci (i Comunisti di
Cossutta, 2 ministri e 3 sottosegretari), della Lista Dini (Rinnovamento italiano, 1 ministro e 5
sottosegretari), dei Verdi (1 ministro e 3 sottosegretari), tutti questi partiti si racchiudono nella
coalizione de l’Ulivo; inoltre vi sono esponenti dell’Udeur (Unione democratici per l’Europa,
erede dell’Udr di Cossiga, 2 ministri e 5 sottosegretari) e degli Indipendenti (2 ministri e 5
sottosegretari).
Da notare alcune modifiche rispetto alla precedente compagine. Sergio Mattarella da
vicepresidente del Consiglio con delega ai servizi di sicurezza diviene ministro della Difesa al
posto di Carlo Scognamiglio. Enrico Letta anche ottiene un ministero, quello dell’Industria,
commercio ed artigianato, lasciando il ministero senza portafoglio delle Politiche comunitarie a
Patrizia Toia. Pier Luigi Bersani infatti gli lascia il posto e passa al ministero dei Trasporti e
navigazione. Franco Bassanini ottiene il ministero senza portafoglio della Funzione pubblica al
posto di Angelo Piazza, lasciando l’incarico di segretario del Consiglio ad Enrico Micheli, il quale
a sua volta ricopriva il ruolo di ministro dei Lavori pubblici nel primo governo D’Alema.
Interessante anche il ruolo di ministro senza portafoglio per le Riforme istituzionali affidato a
Dario Franceschini119.
Sostiene il governo una maggioranza parlamentare che comprende, oltre ai partiti richiamati,
anche i Socialisti democratici italiani, le minoranze linguistiche come il Partito popolare del SudTirolo, i Federalisti liberaldemocratici e repubblicani, il Patto Segni e al Senato alcune formazioni
minori come Partito sardo d’azione, Lista Pannella, Lega delle Regioni e Unione popolare
Democratica – Centro democratico.
Il 2000 è un anno importante per il contesto politico in esame. Prima di tutto il Giubileo, che
impegna l’amministrazione del Comune di Roma, guidata dall’ulivista Rutelli, e il governo nei vari
settori cardine dal punto di vista tecnico (sicurezza, infrastrutture, protezione civile). Nel corso
dell’Ambiente: Edo Ronchi; sottosegretari: Valerio Calzolaio, Nicola Fusillo. Ministro dell’Università e ricerca
scientifica e tecnologica: Ortensio Zecchino; sottosegretari: Antonino Cuffaro, Luciano Guerzoni, Vincenzo Sica.
119 Interessante notare come l’impianto resta sostanzialmente uguale nei settori economico-finanziari del
governo. C’è un lieve mescolamento tra i sottosegretari D’Amico (da Tesoro a Finanze), De Franciscis (da
Finanze a Tesoro), qualche fuoriuscito come Pinza (da Tesoro a Difesa), ma sostanzialmente la squadra
Giarda, Macciotta, Pinza e Solaroli è riconfermata. Non proseguono sotto nessuna forma l’esperienza di
governo il sottosegretario alla presidenza Bressa; i ministri senza portafoglio: Folloni, Piazza; i
sottosegretari: Abbate, Barberi, Bassolino, Cabras, Carpi, Cusumano, Danese, Delfino, La Volpe, Lauria,
Martelli, Masi, Morgando, Pasini, Pennacchi, Schietroma, Sinisi, Treu, Vigevani, Vita, Zoppi. Sono invece
nuovi, oltre a Franceschini, i sottosegretari di Stato alla presidenza: Cananzi e Caveri; i ministri Bordon e
Bianco; i sottosegretari: Barbieri, Carulli, Cimadoro, Danieli, Di Capua, Di Nardo, Gambale, Grandi,
Ladu, Lavagnini, Maggi, Manis, Misserville, Morgando, Morgando, Occhipinti, Olivo, Ostillio, Palumbo,
Palumbo, Polidoro, Sica, Turci, Veneto.
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dell’anno ci saranno importanti eventi religiosi che coinvolgeranno le amministrazioni,
trasportandole in polemiche sulla gestione delle moltitudini accorse a Roma ed in Italia per le
occasioni. In particolare dal 15 al 20 agosto si svolge la Giornata mondiale della gioventù,
nell’ambito della quale l’Università di Tor Vergata ospita 2 milioni di giovani; ed il 26 giugno è
divulgato il c.d. terzo segreto di Fatima. Il quadro europeo cambia, lambito dagli scandali nella
Commissione europea con la successiva nomina di Prodi a vertice della stessa. Poi lo scenario
internazionale, con le elezioni in Russia (il 26 marzo) vinte da Vladimir Putin e negli Stati Uniti
d’America (ma il 7 novembre) vinte da George W. Bush. Il 6 settembre si tiene al Palazzo di
vetro dell’Onu il “Millennium Summit”, in cui convergono oltre 150 capi di Stato e di governo. Il
28 settembre comincia la seconda Intifada, a causa di una sortita armata di Ariel Sharon nella
spianata delle moschee. Ciò conferma anche l’insuccesso del vertice di Camp David negli Usa,
promosso dalla Casa Bianca nel tentativo di pacificare israeliani e palestinesi tra l’11 ed il 24
luglio. Il 22 febbraio è approvata la legge n. 28 recante “Disposizioni per la parità di accesso ai
mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione
politica”. Il 13 marzo in Spagna, il Partito popolare guidato da Aznar, vince le elezioni politiche.
È anche l’anno in cui si riaprirà il processo a Cesare Previti, Renato Squillante e Felice Rovelli.
È l’anno anche in cui continua la “spinta” referendaria di cui i Radicali sono ora i primi
protagonisti, avviata all’inizio degli anni ’90. All’inizio dell’anno la Corte costituzionale con più
sentenze 120 ammette sette referendum di ventuno presentati dai Radicali, tra cui uno per
l’abolizione del voto di lista e l’attribuzione del 25% dei seggi con metodo proporzionale. Questo
quesito è stato ufficialmente supportato dai Ds, dalla leadership, e per questo motivo osteggiato
dalla Casa della libertà. Nessun referendum raggiungerà il quorum necessario.
Il fatto politico più interessante ai fini di questa breve analisi è l’ennesimo conflitto interno al
partito Democratici di sinistra.
Dal 14 al 17 gennaio 2000 si svolge il primo congresso dei Ds che affronta diverse tematiche
rilevanti per la politica dell’epoca. Tra queste il nodo della leadership dello stesso D’Alema, messo
in discussione dalla coalizione già l’anno precedente. D’Alema stesso sostiene che si farà da parte
quando non sarà più utile.
Cfr. per i quesiti dichiarati inammissibili le sentt. nn. 31, 35, 36, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 45, 48, 49, 50, 51
del 2000; per i quesiti dichiarati ammissibili le sentt. nn. 32, 33, 34, 37, 44, 46, 47 del 2000. Tutte le
pronunce sono del febbraio 2000.
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Questo è il punto più rilevante per comprendere la crisi dell’esperienza al governo di D’Alema.
L’occasione per misurare la sua forza trainante è offerta dalle elezioni regionali del 16 aprile del
2000.
Fino a quel momento il centro-sinistra governa 13 regioni, il centro-destra 5, altri 2. Dopo il
confronto elettorale, il centro-sinistra perde il controllo di Liguria, Lazio, Abruzzo e Calabria.
D’Alema stesso decide di politicizzare lo scontro, dandogli un senso politico nazionale. Al
momento della sconfitta decide di rimettere il proprio mandato nelle mani del presidente della
Repubblica.
Sul risultato elettorale ricorda: “Non è che ci fu un automatismo, non che il risultato elettorale fu
catastrofico, però fu deludente rispetto a quello che si poteva sperare. Apparve chiaro che il
centro-sinistra, i gruppi dirigenti della sinistra, siccome eravamo a un anno dalle elezioni, si
orientavano alla ricerca di un altro candidato per le elezioni. Io ritenni, ed in questo caso fu un
atto di generosità, che non era obbligatorio, ed anzi non lo volevano neanche; molti dissero «no
lascia stare, rimani!». Io dissi: «Badate che se dovete andare verso un altro presidente, un altro
candidato alle elezioni, conviene fare ora una scelta e farlo arrivare alle elezioni come presidente
del Consiglio». Quindi in qualche modo io pensai di compiere questo gesto per aiutare il centrosinistra a uscire da una condizione di difficoltà e rilanciarsi in vista delle elezioni. Poi lì avvenne
qualcosa, che loro optarono per Amato presidente del Consiglio ma poi lo silurarono e
candidarono Rutelli alle elezioni”.
D’Alema, riunito il Consiglio dei ministri e recepito il parere favorevole, il 17 aprile si reca al
Quirinale per rassegnare le dimissioni. Il Quirinale non le accetta e invita il presidente del
Consiglio a comparire dinanzi al Parlamento. Il 19 aprile D’Alema si presenta al Senato e poi alla
Camera. Successivamente al dibattito parlamentare rassegna le sue dimissioni al presidente
Ciampi, il quale le accetta con riserva. Intanto un vertice di maggioranza è unanime nel chiedere
una figura di più alto profilo istituzionale alla guida del governo per compiere la legislatura. Al
termine delle consultazioni e dell’incarico ad Amato di formare un nuovo governo, il presidente
della Repubblica emana quattro d.p.r. il 25 aprile 2000, con cui accetta le dimissioni di D’Alema,
dei ministri e dei sottosegretari, nomina presidente del Consiglio Giuliano Amato e 24 ministri.
Ma la vera questione è che D’Alema sembra aver caricato di significato queste elezioni, e forse
per un motivo più importante di qualunque polemica politica.
D’Alema sul punto dice: “Come indiscutibilmente avveniva, io mi trovai di fronte ad una
specifica contestazione. Si contestava la legittimità del mio essere alla guida del governo. Questo
veniva contestato sia dal centro-destra ma anche dall’interno del centro-sinistra, questa era la
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situazione. Indiscutibilmente a me parve un voto che pur non avendo un significato politico
tuttavia assumeva il valore di un voto di legittimazione o no del fatto che io ero presidente del
Consiglio. Questa era la situazione: mi trovavo a fare il presidente del Consiglio mentre si
metteva in dubbio la legittimità del mio stare lì”.
Con questa ultima affermazione vale la pena concludere la breve analisi sottolineando il tratto che
unisce la politica alle istituzioni e dunque al Diritto costituzionale: la legittimazione. L’argomento
rimanderebbe, con la necessaria cautela, alla distinzione tra i concetti di forza (Macht, might,
puissance), potere (Gewalt, power, pouvoir), autorità (Herrschaft, authoriy, autorité) 121 , che qui non è
possibile indagare, ma che è chiara anche all’osservatore dell’esperienza costituzionale e politica
italiana degli ultimi decenni.
Ciò che D’Alema cerca è la legittimazione che trasformerebbe il suo “potere” in “autorità”,
dentro la coalizione ma anche nel quadro istituzionale complessivo. Egli stesso infatti conclude la
sua testimonianza così: “Quindi non che uno fa bene o male, materia opinabile in politica. Ma se
sia legittimato o no”122.
A. PASSERIN D’ENTRÈVES, La dottrina dello Stato, Torino, 2009, 20.
E prosegue: “Io diventai presidente del Consiglio in circostanze più trasparenti di quelle in cui lo è
diventato Renzi, perché io non ho cacciato nessuno, sono stati altri che hanno determinato la crisi di
governo; però, grosso modo, senza passare per le elezioni popolari”.
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