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L`AUTORE DEL MESE DI DuDag

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L`AUTORE DEL MESE DI DuDag
 L’AUTORE DEL MESE DI DuDag “E’ Novecento di Baricco, ma senza speranza!” “Ha la capacità dei russi di raccontare le umane cose, ma non c’è un briciolo di salvezza nella sua scrittura” (Alcuni commenti a”Il Male è Chiaro”, da parte del Comitato di Lettura di DuDag) Rompiamo subito gl’indugi: per i commenti sopracitati e per molti altri motivi, PIER PAOLO FIORINI è l’Autore del Mese. Dopo una sola settimana di pubblicazione, il suo romanzo IL MALE E’ CHIARO ha venduto un grandissimo numero di copie, ed è lo scrittore che sta generando più commenti sui nostri canali social (www.facebook.com/dudageditrice e Twitter: @editricedudag). Non dimentichiamoci, inoltre, che Pier Paolo è arrivato in finale al Premio Italo Calvino (www.premiocalvino.it) nel 2008, la più importante competizione italiana per autori inediti, proprio con IL MALE E’ CHIARO. Pier Paolo Fiorini ha un curriculum davvero vario e se vogliamo “strano”: parte da una laurea in giurisprudenza, approda al mondo del teatro, passando per la filosofia. È sintomo forse di un’irrequietezza che traspare anche dalla sua scrittura. Partiamo proprio di qui: raccontaci chi sei, e come mai di tanta “mobilità”? In realtà, c’è solo un punto fisso: scrivo dall’età di nove anni – il mio primo ingaggio fu quello di scrivere favole per mio fratello più piccolo che non voleva mangiare. A partire da questo asse tutte le altre ramificazioni – le due lauree in giurisprudenza e in filosofia, i due dottorati di ricerca, il teatro (che per la verità meriterebbe un discorso a parte), le arti , i mestieri, salti nel vuoto sono tutte naturali ramificazioni, alcune piuttosto nodose e pesanti, che in fondo, però, non hanno vita propria. Ho scritto poesie, racconti, romanzi, opere teatrali, pareri legali, tesi di dottorato, articoli e saggi, un fiume incontrollabile e furioso, ma con una sua logica e un suo punto di fuga. A parte, le opere scientifiche e gli scritti teatrali, il resto della mia opera, se non in rarissimi casi, non ha mai travalicato la soglia di casa, e ciò per precisi ordini dall’interno – si tratta di una mia titubanza speciale, mescolata a un istinto polemico e a una tendenza a vivere nascosto (per poi esplodere, semmai, in modo lento, ma inesorabile. Un fare da terrorista, insomma). IL MALE E’ CHIARO è un testo duro, e perché no, difficile, molto grigio. Sei passato come lo Scrittore Maledetto di DuDag, ma in realtà tu sei una persona davvero solare ed entusiasta. Come mai il tuo romanzo è così “cattivo” e disincantato? Il romanzo è duro perché va dritto, senza curvare. Ma proprio perché va dritto, non è difficile seguirlo. Il personaggio si dimena, lotta, cerca, si arrabatta, ma è chiuso, definitivamente, nel suo destino. Come in una tragedia greca. La linea è tesa, maledettamente tesa. Io sì, penso di essere una persona solare, ma qui siamo in guerra, una guerra strisciante, quasi-­‐invisibile, dove molti solo i caduti e ancor più i feriti. Non si può far finta di niente. Non si può risolvere un intreccio narrativo, dall’alto, dicendo: ma sì diamo un po’ di colore, diamo un po’ di speranza. No. Niente consolazioni. Io qui scivolo nel protagonista a piedi pari e ci resto fino all’ultima pagina. Senza sconti. E’ una forma di rispetto. Di fedeltà. Per chi non ha -­‐ o non vuole -­‐ consolazioni. E tuttavia direi che il colore finale non è grigio. C’è del rosso. E’ un libro sanguigno, da divorare con un buon bicchiere di vino accanto. Come abbiamo già visto, molti del nostro Comitato di Lettura (il comitato che si occupa di vagliare la qualità d’insindacabile “bella scrittura”) si sono sentiti fortemente influenzati dalla tua penna. Ci si sente davvero male quando si finisce IL MALE E’ CHIARO, e sappiamo che non siamo stati i soli ad averne subìto l’influenza. Spiegaci cosa ha scatenato il tuo libro nella Giuria del Premio Calvino, e che effetto fa vedere di avere un dono così grande: la capacità di coinvolgere nel proprio libro il lettore. Questo non lo so. Penso che il motore occulto di ogni narrazione sia poetico e con la poesia si entra nel regno dell’involontario. Non ci può essere, a mio avviso, una volontà (o peggio che mai una volontà calcolatrice) di ottenere l’effetto dal lettore.. In questo romanzo, ripeto, si entra in un’ipotesi di vita: il protagonista principale. Da questo io narrante, dal suo moto vita, dal suo odio e dalla sua risata, dalla sua disperazione e dalla sua rabbia, non si esce più. Si scivola in una progressione geometrica irreversibile, una reazione a catena fatta di piccole e grandi esplosioni fino al bagliore finale. Questa progressione ci riguarda, non c’è dubbio. Io, scrivendolo, sono stato male, come se mi fossi auto-­‐contagiato, partendo da me, facendo il giro con quello che respiravo intorno, per poi ritornare, a una certa velocità, di nuovo su di me. L’impatto c’è stato. Sono contento che anche voi l’abbiate sentito tutto. Come a dire: il male non è oscuro – non è nei bassifondi della psiche – il male è chiaro ed esplode davanti a voi, dentro di voi. Da questo punto di vista, penso che il romanzo possa avere un effetto liberatorio, catartico, perfino terapeutico, per moltissimi di noi e della nostra iperestesia generazione (dai venti ai sessanta per certi versi siamo diventati quasi tutti contemporanei). Un’ultima notazione: anche se l’ho scritto nel 2007, un anno prima dello scoppio della crisi (ma la crisi c’è sempre stata forse; o no?), questo romanzo affronta anche il tema inedito – per quanto diffuso – della nuova schiavitù. I professionisti, diceva un famoso filosofo del ‘900, saranno gli schiavi del 2000: erigeranno con la loro fatica e il loro sangue, intere piramidi di nulla: piramidi in sé deserte, nel grande deserto. Da ultimo, la domanda obbligata per i nostri autori: cosa ti ha spinto a pubblicare il tuo romanzo su DuDag? Ecco. E’ semplice eppure complicatissimo. La simpatia immediata. L’idea, parlando con voi che, saltando direttamente dalla realtà alla rete -­‐ si possa saltare anche una serie di meccanismi, a dir poco appesantiti, in cui molte case editrici, nolenti o volenti, sembrano impaludate. Con questo non voglio assolutamente dire di aver avuto rapporti deludenti con le case editrici. Io il romanzo, a parte un fortuito contatto con una casa editrice che poi ha avuto problemi giudiziari perché non pagava i dipendenti (giuro: non faccio nomi), non l’avevo mandato a nessuno. Ne ho scritti altri cinque dopo e neppure ci pensavo più. Un peccato forse. Perché è giusto che anche voi vi facciate contagiare da ciò che ha contagiato me. Ecco. E poi credo anche al caso. Al caso felice. DuDag ha un nome un po’ così, da caso felice. 
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