Episodi salienti nei mesi di attività di Ministro dell`Agricoltura
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Episodi salienti nei mesi di attività di Ministro dell`Agricoltura
Episodi salienti nei mesi di attività di Ministro dell’Agricoltura (dal diario personale) 21 aprile 1944 Arrivo, verso le ore 18, a Catanzaro, in automobile, insieme con il compagno Paolo Tedeschi (al secolo Velio Spano). Torniamo, entrambi, quali componenti della Direzione Centrale del Partito da un giro di ispezione e di propaganda in Sicilia (Messina e Palermo) e a Reggio Calabria, che ci ha preso quasi una settimana. Imponente il comizio tenuto a Messina per la commemorazione del compagno Francesco Lo Sardo, morto in carcere, vittima del fascismo. Imponente anche il comizio tenuto nella mattinata a Reggio Calabria. In entrambi i comizi ho parlato anche io. Arrivato a Catanzaro, nel momento di scendere dall’automobile, il compagno Francesco Maruca mi annunzia d’avere poco prima saputo dalla radio la mia nomina a ministro dell’agricoltura e delle foreste. La notizia mi arriva assolutamente inaspettata. E mi colpisce sia per il fatto di trovarmi improvvisamente ministro e sia perché mi viene assegnato il dicastero dell’agricoltura che è in questo momento oltremodo gravoso e il più difficile per dipendere da esso tutti i servizi dell’alimentazione. Ad ogni modo sono orgoglioso che il partito, nel partecipare al primo ministero popolare di questa parte dell’Italia liberata dagli eserciti hitleriani, abbia pensato a me, mentre vi erano tanti compagni di me più meritevoli, eleggendomi collega di Palmiro Togliatti che entra nel Governo come ministro senza portafoglio. In realtà la formazione del Governo si deve in gran parte all’azione decisiva, svolta dal partito comunista in tal senso, sotto la direzione intelligente ed energica di Togliatti. E si sono dovute vincere non piccole resistenze. Alcune di esse, e le più forti, provenivano da spessi strati reazionari e filofascisti che, appoggiandosi alla monarchia, avrebbero voluto che si prolungasse indefinitamente lo stato di marasma, in cui era caduto il Paese, e che si mostrava il più opportuno al raggiungimento delle loro mete neo-fascista. Altre resistenze, per quanto non forti, provenivano da alcuni nuclei del nostro stesso partito, che hanno durato fatica ad intendere le profonde ragioni della nuova tattica, confondendo la partecipazione attuale al Governo con quella caldeggiata in altri tempi dall’ala riformistica del partito socialista. 22 aprile Parto da Catanzaro, dopo aver passato la notte in casa del Generale Fiore, alle ore sei del mattino, in littorina, diretto a Cosenza. Arrivo alle nove e 75 mezza. Folla di amici, parenti, non amici, conoscenti, ignoti, autorità, che vengono a congratularsi per la mia nomina a ministro. E tra tanto andirivieni di persone il mio pensiero corre al mio caro e buon Paolo, prigioniero dei tedeschi in Galizia, e mi attraversa la mente l’idea, che mi auguro stramba, che egli possa essere vittima di rappresaglie per via di questa nomina, che io non ho cercato e che mi è giunta assolutamente imprevista. Verso le sette di sera arriva a Catanzaro Paolo Tedeschi. Intanto la sezione Comunista aveva annunziato, con manifesti murali, un comizio per le otto di sera: oratori io e Tedeschi. Piazza della Vittoria: una folla di quattro o cinque mila persone. Parla prima Tedeschi. Dopo io. La mia commozione è grande. La cittadinanza non poteva darmi una prova più lusinghiera di benevolenza. 23 aprile A mezzogiorno io e Tedeschi in automobile partiamo per Napoli dove arriviamo alle dieci di sera. Tedeschi trova a casa la moglie, venuta il giorno prima da Tunisi. Immensa la sua gioia. Data l’ora tarda, il coprifuoco e l’impossibilità di trovare posto in albergo, chiedo ospitalità ad un mio amico al Vomero. Accoglienza cordiale e commovente. 24 aprile Nelle prime ore del mattino resto a Napoli. Verso le otto muovo alla volta di Salerno. Alle dieci prima riunione del consiglio dei ministri, al quale partecipano anche i Sottosegretari. Badoglio ci dà il saluto di prammatica. Si avvisa subito la necessità di pubblicare un proclama e Badoglio espone quale, secondo lui, debba esserne il contenuto, e parla del popolo italiano il quale, finita la guerra, dovrà eleggere una camera, che avrà il compito di fissare l’ordinamento istituzionale dello Stato. Chiedo la parola e faccio osservare che nel proclama non si dovrà parlare di una camera, bensì di Assemblea Costituente potendo l’omissione di tale espressione, di un così netto significato, far pensare legittimamente ad una inspiegabile restrizione della sovranità popolare. Segue un’animata discussione e alla fine si dà mandato ai cinque ministri senza portafoglio (Sforza, Croce, Rodinò, Togliatti e Mancini) di redigere il proclama. Si fissa la nuova riunione del Consiglio al 27 aprile alle ore dieci. Viene in campo la questione del giuramento nelle mani del re. Si approva una dichiarazione collettiva del Gabinetto, con la quale si dice 76 che ognuno di noi, pur accettando la tregua resa necessaria dalla gravità tragica del momento, conserva tuttavia le sue proprie convinzioni politiche. Con ciò si toglie ogni importanza al giuramento. Alle quattro pomeridiane saremo ricevuti dal re. Alle 3 e mezzo si parte in varie automobili alla volta di Ravello, dove il re risiede in una villa in cima al paese. Io prendo posto nell’automobile del Maresciallo Badoglio, insieme con Mancini, Di Napoli ministro dell’Industria e Commercio, e Quintieri, delle Finanze. Durante il viaggio si parla di Mussolini e Badoglio dice di non sapersi spiegare come l’ufficiale dei Carabinieri e il Commissario di pubblica sicurezza, cui era demandata la più stretta sorveglianza del tragico istrione, e nei quali egli aveva ragione di riporre ogni fiducia, non l’abbiano ucciso al primo apparire dei paracadutisti rapitori. Arriviamo alla villa per i primi. Aspettiamo in una piccola sala a terreno, adibita a biblioteca, l’arrivo degli altri ministri. Quando siamo al completo, passiamo nell’altra più grande sala dove il re ci riceve. Badoglio fa le presentazioni. Il re, dalla meschina figura, e che mi fa una ben misera impressione, dà la mano ad ognuno di noi. Indi Badoglio legge la dichiarazione concordata. Il re cava dalla tasca un piccolo pezzo di carta e legge una sua dichiarazione di risposta con la quale dice di esser lieto che le persone eminenti, che formano il nuovo governo, abbiano saputo far tacere le competizioni di parte per la salvezza della Patria per la quale egli ha sempre operato!.. Ognuno di noi firma il foglio del giuramento. Finita tale operazione si sta ancora pochi minuti, durante i quali il re parla quasi sempre con Sforza, e dopo si torna a Salerno. 25 aprile Prendo dal mio predecessore, Falcone Lucifero, la consegna del ministero e do così inizio alla mia attività di ministro. Prendo contatto con il capo di Gabinetto, prof. Seghetti e col segretario particolare del vecchio ministro, che rimane in carica fino alla nomina del mio. La sera vado alla Sezione Comunista, dove mi fanno festa. 26 aprile Sono, da quando son qui giunto, ospite di Pasquale Gazzara e di sua moglie e di mia cugina Irma Palaia. Al ministero sono assediato da compagni, 77 commissioni, postulanti che non mi lasciano respirare. Bisogna pure che dia un ordine alla esplicazione della mia attività. 27 aprile Mio sottosegretario è il prof. Gino Bergami, di Napoli, ordinario di Fisiologia all’Università, giovine di gran valore e di molta attività. Scambievole simpatia. Alle 10 consiglio dei ministri. Si approva il proclama scritto da Benedetto Croce, con qualche emendamento venuto fuori dalla discussione. Nella seduta del Consiglio il Maresciallo Badoglio ha fatto una lunga e interessante relazione sulla situazione militare e politica. Ha anche fatto distribuire a tutti i ministri un grafico a colori sulla distribuzione dei nostri prigionieri fra le varie nazioni ex nemiche e ora alleate e le ex alleate e ora nemiche. I prigionieri inglesi e americani, egli dice, sono ben trattati, specie questi ultimi; nulla o poco si sa dei nostri prigionieri in Russia; quelli in Germania (circa 410.000) stanno male, specialmente gli ufficiali, i quali sono prigionieri appunto per non aver voluto arruolarsi nell’esercito fascistarepubblicano. La Germania, anzi, per non rispettare la convenzione di Ginevra li considera internati e non prigionieri. Il pensiero corre al mio caro e buon Paolo... Riferisce anche Badoglio sui nostri battaglioni in linea con gli anglo-americani sul nostro fronte: essi sono stati armati ed equipaggiati tutti ed esclusivamente con nostri mezzi. E’ augurabile che ora, formatosi il governo a larga base democratica, gli anglo-americani non potranno accampare altri pretesti per non aiutarci nel nostro proposito di cooperare attivamente allo sforzo bellico. Quanto alla situazione politica, Badoglio parla dei nostri rapporti col governo di De Gaulle, che ancora aspettano una precisa definizione. Riferisce sul riconoscimento da parte della Russia, seguito dall’invio di un ambasciatore. La cosa ha suscitato le recriminazioni degli anglo-americani, alle quali è stato facile a Badoglio rispondere che egli non poteva né doveva respingere la mano che la Russia ci tendeva, anche perché l’armistizio l’Italia l’ha concluso non solo con l’Inghilterra e con gli Stati Uniti ma anche con la Russia. Parla poi di una lettera ricevuta dal Presidente Roosevelt, la quale promette ogni aiuto all’Italia che risorge, e la quale può considerarsi una cambiale con sicura scadenza. Data la delicatezza e la complessità delle questioni, il conte Sforza propone che si costituisca un ristretto comitato di ministri, cui ne sia 78 demandata la discussione, con l’obbligo di riferire periodicamente al consiglio. La proposta è approvata ed entrano a far parte del Comitato Badoglio, Sforza, Tarchiani e Togliatti. Si passa quindi alla discussione sulla festa del 1° maggio. Gli alleati hanno disposto sul territorio da loro controllato che la data si festeggi il 30 aprile, che è domenica, per non interrompere il lavoro il lunedì. Dopo ampia discussione, determinata dal parere di qualcuno il quale non vorrebbe la trasposizione al 30 aprile, viene approvata la proposta di Togliatti, la quale riafferma il significato della celebrazione del 1° maggio come giorno consacrato alla festa del lavoro, e ravvisa per quest’anno l’opportunità di festeggiarla il 30 aprile, per non pregiudicare alla continuità del lavoro, necessario allo sforzo bellico. 28 aprile Mi dedico al lavoro di preparazione degli ammassi del grano. Gravosa questione. Gli ammassi debbono quest’anno riuscire bene ad ogni costo. Preparo il decreto e le norme d’attuazione insieme con la Commissione di controllo. 29 aprile Parto in automobile per Cosenza. Viene insieme con me mio cugino Luigi Scarnati. Arrivo verso le otto di sera. Mi fermo alla Sezione Comunista per gli accordi circa la dimostrazione di domani. 30 aprile Alle nove adunata alla Sezione Comunista. Folla enorme. Sono con noi i socialisti e gli iscritti alla Camera del lavoro. Circa diecimila persone. Il lungo corteo si snoda imponente per le vie della città. Sosta nella Piazza lungo Crati. Il colpo d’occhio è solenne. Una immensa marea nera su cui spiccano le rosse bandiere. Gli oratori parlano da un balcone. Giacomo Leopardi, operaio; Ubaldo Montalto, segretario generale della Camera del lavoro; l’avv. Pietro Serra per il Partito d’azione; l’avv. Gennaro Cassiani per i democristiani; Pietro Mancini per i socialisti ed io per i comunisti. Quindi si riforma il corteo, proceduto sempre dalla banda musicale, e percorrendo la parte superiore della città si torna alle proprie sedi. Nessun incidente. La sera a casa tra parenti, amici e compagni. 79 1 maggio Alle nove del mattino muovo in automobile verso i paesi del mio mandamento. Visito Casole Bruzio, Pedace, Serra Pedace, Spezzano Piccolo, Spezzano Grande e Celico. Ovunque accoglienze entusiastiche. Ritorno verso l’una e vado alla sede del Comando della Divisione Militare, per partecipare al pranzo offerto da quegli ufficiali a me, a Mancini e ad altre personalità del mondo politico paesano. Alle cinque partenza per Salerno dove arrivo a mezzanotte. 2 maggio Al Ministero tra mille pratiche e mille richieste di impiego, fatte personalmente e per lettera. Non si immagina quanta gente sia stata sempre antifascista e come siano numerose le vittime del tirannico regime. Ogni giorno resto al Ministero dalle otto del mattino alle nove di sera col breve intervallo per il pranzo. Intanto porto a termine tutte le disposizioni per l’ammasso del grano. 15 maggio Passa da me, mentre sta per partire per Bari, il sottosegretario Bergami, il quale mi riferisce che Badoglio ha deciso, in seguito a pressioni della Commissione di controllo, di pubblicare oggi, alle 14 e mezzo, il decreto di fissazione del prezzo del grano (1.000 lire per il grano duro, 900 per il tenero). Vado subito da Badoglio il quale mi conferma la notizia. Ha pronto il comunicato. Non solo non si è riusciti ad ottenere di dire esplicitamente che il prezzo è quello voluto dalla Commissione di controllo, in contrasto con la diversa opinione del Governo italiano, ma nemmeno di inserire la frase “d’accordo con la Commissione di controllo”. Gli è venuto fatto soltanto di ottenere che il comunicato della Commissione, riguardante la provincia di Foggia e le altre non ancora sotto il nostro controllo, venisse pubblicato alle 14, e che il nostro, da pubblicare alle 14 e mezzo, portasse “per la necessaria uniformità su tutto il territorio…”. Mi dice anche Badoglio che Aldisio, ministro dell’Interno, ha avuto stamani con lui un colloquio e che ad un certo momento gli avrebbe proposto che il Governo facesse della questione del prezzo un problema di vita o di morte del Governo stesso. Badoglio gli ha fatto subito presente l’inopportunità della proposta, soprattutto ora che egli sta trattando con gli Alleati la più complessa 80 questione, di indole generale, riguardante i rapporti tra essi e il nostro Governo. A tal proposito Badoglio mi informa che la risoluzione di tale questione è a buon punto. Egli ne ha parlato lungamente col generale MacFarlane, il quale gli ha assicurato d’aver trasmesso con parere favorevole le nostre proposte al primo ministro Churchill. Ne ha parlato anche con gli ambasciatori inglese e americano, nonché con un generale canadese molto intimo del capo del governo del Canadà, il quale, mi riferisce Badoglio, durante il colloquio si è oltremodo commosso, fino quasi a piangere. Badoglio mira ad ottenere che la posizione del governo e del popolo italiano, di fronte agli Alleati, sia una buona volta definita. Il governo democratico, voluto da costoro, (a quanto almeno dicevano) si è finalmente costituito. Nessun pretesto o ragione è più possibile accampare perché l’Italia venga alfine considerata lealmente come alleata e non come colonia conquistata. Senza contare che un si fatto leale trattamento dell’Italia avrebbe una sicura e benefica ripercussione sugli altri paesi (Romania, Bulgaria, Finlandia, ecc.) che anelano il momento di liberarsi dal giogo tedesco e che in tanto farebbero in tal senso un’azione con maggiore decisione in quanto sapessero che dall’altro lato vi sono leali liberatori e non conquistatori. Mi ha detto anche Badoglio di sapere che è per via una lettera a lui diretta da Roosevelt in risposta ad una sua riguardante lo stesso argomento. Così stando le cose Badoglio pensa che non sia il caso di fare della questione del prezzo del grano, per quanto importantissima, una condizione sine qua non per la ulteriore vita del governo. Egli per tale questione si è limitato a scrivere al generale Mac-Farlane una lettera che mi legge, con la quale mette energicamente le cose a posto facendo risalire agli Alleati, e soltanto ad essi, le eventuali disastrose conseguenze del basso prezzo del grano, così come da essi fissato. Approvo incondizionatamente la condotta del Maresciallo e non mi esimo dal dirglielo nella maniera più aperta. Era presente al colloquio il sottosegretario alla Presidenza, Morelli. 16 maggio Ho passato tutta la giornata al Ministero. Ho preparato, insieme col consigliere di Cassazione Luigi Viceconti, capo del mio ufficio legislativo, il testo definitivo dello schema di decreto per la proroga dei contratti agrari e della 81 relazione che lo accompagna. Andrò al prossimo consiglio dei ministri che si terrà il 22, e penso che ci sarà dibattito. I proprietari vorrebbero infatti che la proroga si accordasse con l’aumento del canone dei fitti, e vi sarà, penso, qualche ministro che ne sosterrà in consiglio il punto di vista. 17 maggio Nulla di notevole. Vado come al solito al Ministero dove sbrigo l’ordinario lavoro di ufficio. 18 maggio Verso le 13 ricevo nel mio gabinetto il ministro Mikhail Kostylev, rappresentante del Governo sovietico presso il Governo d’Italia. Conversazione interessantissima perché egli sa di parlare oltre che col ministro, anche e soprattutto col compagno. Ciò, s’intende, non cancella se non in parte il suo naturale riserbo diplomatico. Si parla delle condizioni dell’Italia e delle sue relazioni con gli Alleati. Della guerra e delle condizioni della Repubblica Sovietica, specie in rapporto all’alimentazione, la quale, per quanto riguarda l’Italia liberata, ha formato oggetto di lungo discorso. Appena congedatosi il ministro, vado a mangiare un boccone e, insieme con Natino La Camera e mio figlio Eugenio, parto in automobile per Cosenza. Viaggio ottimo fino a Morano, dove mi fermo per andare a far visita al vecchio e ottimo compagno Nicola De Cardona, ora sindaco del suo paese. Lo trovo a letto leggermente infermo. Uscendo, trovo sulla piazza raccolta molta folla, la quale, avendo saputo della mia presenza, mi fa festa e chiede che io parli. Breve discorso, col quale invito gli ascoltatori a far di tutto perché i “Granai del popolo” abbiano pieno successo. Riprendo il viaggio. Dopo poco, primo scoppio di gomma e pronto riparo. Arrivati alla vicina Castrovillari, secondo scoppio. Non ho altra ruota di scorta, né nulla per riparare. E’ festa e le officine sono chiuse. Ricorro ai carabinieri, e dopo un paio d’ore, con l’opera di un meccanico pescato in un cinema, la macchina è in condizioni di riprendere la marcia. L’autista, che non sa bene il fatto suo, prende con corsa così veloce il breve rettifilo che precede il bivio di Frascineto che, arrivato alla curva, non riesce a dominare la macchina, la quale va così a sbattere violentemente contro un palo telegrafico. Rottura del vetro anteriore, fortunatamente infrangibile. Un piccolo pezzetto, però mi 82 colpisce alla fronte e mi provoca una piccola ferita. La macchina non va più avanti. L’autista va a piedi a Castrovillari ad avvertire dell’infortunio il capitano dei carabinieri, il quale mi procura e mi manda un’altra automobile. In conclusione: invece che alle otto di sera, arrivo a Cosenza alle tre del mattino. 19 maggio Sono costretto ad alzarmi per tempo date le molte persone che chiedono di parlarmi. E passo l’intera giornata tra postulanti di ogni genere, che non mi lasciano riposare nemmeno un minuto. 20 maggio Ore antimeridiane e pomeriggio: ricevimento continuo. A sera, verso le ore nove, riunione plenaria della sezione comunista nella quale tengo un lungo discorso sulla mia opera di ministro circa i Granai del popolo. Grande entusiasmo. 21 maggio Alle tre del pomeriggio parto per il ritorno a Salerno. Ho deciso, però, di passare la notte a Grassano (Lucania) ospite del compagno Mario Palermo, sottosegretario alla guerra, che mi ha invitato telefonicamente. Per tener dietro ad indicazioni, dimostratesi poi inesatte, sbaglio strada. Percorro circa duecento chilometri senza che nessuno mi sappia precisamente dire dove questo benedetto Grassano si trova. Poco prima d’un paesello, chiamato Valsinni ho, uno dopo l’altro, due scoppi di gomma. E’ notte e non posso riparare. E’ vicino il paese di Colobraro, dove mi si dice essere una stazione dei carabinieri. Va l’autista (18 chilometri andata e ritorno). Ritorna alle due di notte, senza però aver trovato nulla. Finalmente albeggia. Per fortuna un cantoniere statale, presso il quale l’infortunio ci ha fermati, mi dà da mangiare. A giorno fatto un passante ci informa che a Valsinni c’è un’officina ben attrezzata. Poiché si tratta di 4 chilometri, riusciamo a porre una ruota in condizione di poterli percorrere. Troviamo infatti l’officina e mettiamo a posto la macchina. Alle undici partenza. In definitiva: arrivo a Salerno alle nove di sera, dopo quasi due giorni di viaggio. 83 22 maggio Torno al Ministero dopo tre giorni di assenza. Numerose pratiche ammonticchiate che mi adopero a sbrigare. 23 maggio Alle ore dieci consiglio dei ministri. Badoglio riferisce sulla partecipazione delle truppe italiane all’offensiva in corso. Nostra richiesta perché tale partecipazione sia ammessa dagli Alleati in maggiore misura. Comunica che il numero di 14.000, limite massimo consentito finora, è stato portato a 28.000. E in tal numero le truppe italiane sono pronte ad entrare in battaglia. Badoglio riferisce poi su un memoriale (a me già noto) inviatogli dal ministro compagno Togliatti, il quale gli fa presente la necessità che il Governo faccia seguire alla dichiarazione sulla politica interna una simile dichiarazione sulla politica estera. Viva discussione e infine si dà mandato al conte Sforza di prepararla includendovi come principale argomento un’unione di Stati. Badoglio riferisce sull’opera esplicata finora dalla Commissione dei quattro (Badoglio, Sforza, Togliatti e Tarchiani) e sui colloqui avuti con i rappresentanti delle varie potenze da parte dei primi tre. Lunga relazione del Ministro della Guerra sulla situazione militare. Epurazione dell’esercito; si posticipa per quanto riguarda gli ufficiali della milizia. Alle ore 14 si riprende il Consiglio interrotto alle 12. Badoglio legge la lettera che egli a nome del Consiglio invia al generale Alexander per il successo delle armi alleate e per l’intervento alla battaglia delle nostre truppe. Sforza legge la dichiarazione sulla politica estera, che ha preparato in nome del Governo. Si discute sull’accenno circa l’impegno dell’Italia di punire i crimini commessi contro le nazioni aggredite dal fascismo alleato del nazismo. Si approva la formula suggerita da Badoglio. In ultimo riferisce Arangio-Ruiz sui ritocchi alla legge sulla defascistizzazione. E poiché l’ordine del giorno non è esaurito, si rinvia alle ore 10 del 25. 24 maggio Nulla di notevole. La solita e ordinaria vita ministeriale. 84 25 maggio Ore 10 consiglio dei ministri. Il Guardasigilli riferisce sulla istituzione in Salerno di due sezioni della Cassazione. Si decide di cambiare il nome di Ministero dell’Educazione Nazionale in quello di Ministero della Pubblica Istruzione. Si revoca il divieto di nominare gli stranieri professori delle Università, e l’altro di nominare le donne presidi o insegnanti nelle scuole medie superiori. Si inizia la discussione sul mio progetto di decreto – legge di proroga dei contratti agrari, che continua poi nel pomeriggio. Lunga e animata discussione, nella quale polemizzo continuamente con Benedetto Croce. Il quale, nonostante la grandezza del suo ingegno, dimostra nel caso un’angustia di vedute, che può solo spiegarsi con una valutazione ferocemente classista del progetto in parola. In brevi termini io sostengo che la proroga debba concedersi sic et simpliciter, non essendo opportuno, né politicamente né socialmente, accompagnarla con un aumento del canone di fitto in denaro. Come si potrebbero decentemente migliorare le condizioni “dei proprietari terrieri” senza aver prima provveduto all’aumento dei salari agli operai e degli stipendi agli impiegati? E come si potrebbe non consentire lo stesso aumento ai proprietari di case? E che si direbbe di un governo democratico il quale aumentasse il canone dei fitti di casa? Ma Benedetto Croce non si lascia persuadere e piange sulla sorte dei poveri proprietari! I quali (e lo dico esplicitamente) hanno poi quasi tutti aumentato i canoni facendo giocare a proprio vantaggio la minaccia della disdetta, in quanto lo stato della vigente legislazione è che i canoni sono bloccati ma il proprietario è libero di licenziare il colono!! La discussione si fa sempre più movimentata e vi partecipano quasi tutti i ministri. Temo in un certo momento, nonostante l’intervento sempre autorevole del compagno Togliatti, che il progetto debba naufragare. Allora riprendo la parola e insisto sulla portata politica del provvedimento, che è atteso da vasti strati di popolazione agricola, la quale, vedendo deluse le sue giuste aspettative, potrebbe divenire un elemento di pregiudizievole disordine. Rispondono gli avversari, soffermandosi sul fatto che grossi fittuari si arricchiscono e profitteranno quindi della intangibilità del canone. Ed è vero. Ma è vero, d’altra parte, che i grossi fittuari sono una minoranza; non solo, ma se si facesse un’eccezione a loro carico, si avrebbe l’ingiusta conseguenza che i grossi proprietari verrebbero ad essere avvantaggiati, mentre non lo sarebbero i 85 piccoli proprietari, dato che questi avrebbero di fronte i piccoli fittuari, quelli, cioè, che si vorrebbero risparmiare. Senonchè, Croce, Rodinò e altri tengono duro e propongono che si istituisca in ogni mandamento una commissione presieduta dal pretore, la quale avrebbe il potere di esaminare l’opportunità, caso per caso, dell’aumento del canone in denaro. Poiché vedo in pericolo l’intero progetto, mi vedo costretto a cedere, ma sostengo che le commissioni debbano anche esaminare il caso del fittuario che chieda eventualmente la diminuzione del canone in generi. A questa mia proposta accade un fatto inverosimile. Benedetto Croce si era trovato all’inizio della discussione a dire incidentalmente che egli, da amministratore accorto, aveva provveduto a dare in fitto i suoi beni con canoni in generi. Evidentemente questo fatto deve avergli dato l’impressione che, approvandosi la proposta della commissione, egli potrebbe trovarsi nel caso di dover resistere, ed eventualmente senza fortuna, a qualche richiesta di diminuzione del canone da parte di qualche suo fittuario. E allora egli, che fino a quel momento si era battuto come un leone contro la proroga sic et simpliciter, improvvisamente fa macchina indietro e accetta senz’altro in pieno il mio decreto, con la sola limitazione proposta da Badoglio e accettata da me, del termine di un anno invece di quello fino alla fine della guerra. E così il progetto viene approvato. Filosofo si, e grande; ma difensore del proprio privilegio capitalistico anche, e come! 26 e 27 maggio Nulla di notevole. Il 27, nel pomeriggio, parto per Cosenza, insieme con Silvio Saraceni. Arrivo a Cosenza alle 11 di sera. 28 maggio Giornata movimentatissima, dato che il giorno prima c’è stata una dimostrazione, in massima parte di donne, per l’aumento della razione del pane. La dimostrazione, anzi, è avvenuta per il fatto che avendo il Comune, per eseguire un controllo sul numero delle tessere, ritirate queste e dato ai cittadini tre razioni anticipate, i cittadini hanno naturalmente mangiato in una volta ciò che doveva bastare per tre giorni. Onde stomaco vuoto e conseguente dimostrazione. La quale ha ottenuto che per il terzo giorno si distribuisse un’altra razione. 86 29 maggio Alle nove del mattino parto per Salerno. Arrivo alle sei di sera. Viene con me per proseguire a Napoli, la sorella del collega Quintieri col marito. 30 maggio Nulla di notevole. 31 maggio Riunione dei socialisti e comunisti partecipanti al Governo insieme con i componenti le rispettive direzioni dei partiti. Manca Pietro Mancini. Si discute a lungo sulla situazione e sulla necessità di un’azione comune meglio coordinata. Si approva infine un ordine del giorno, che verrà portato alla Commissione Alleata. 1 giugno Ore 10: consiglio dei ministri. Comunicazione di Badoglio sulla partecipazione delle truppe italiane alla battaglia in corso. Sforza legge una dichiarazione, da lui preparata, da far leggere al re appena Roma sarà conquistata. Il re dichiara di lasciare per sempre il potere e di nominare suo figlio luogotenente. La dichiarazione è fissata, ma si è sicuri di quel che avverrà appena la capitale sarà liberata dai tedeschi? I patrioti romani, che hanno tanto sofferto, permetteranno che i Savoia rimangano ancora al potere? Si passa a discutere sulla condizione delle prefetture e sulla necessità di provvedere, ma, data l’importanza dell’argomento, se ne rinvia la trattazione al pomeriggio. Si dà una definitiva sistemazione all’Associazione dei combattenti, nominando presidente l’onorevole Viola, contro la nomina del quale, io, per disciplina di partito, non ripeto le obiezioni fatte in una precedente seduta. Si inizia la discussione sul progetto di decreto sulle carriere, col quale si mira ad annullare i privilegi di nomina e di promozione conseguiti dai funzionari durante il ventennio per meriti fascisti. Si sospende la seduta a mezzogiorno e si riprende alle 2. Si riprende la discussione sul decreto delle carriere, ma infine viene rinviata a dopo l’applicazione delle leggi sulla defascistizzazione e sulle epurazioni. Si affronta il grave e spinoso problema per l’aumento dei salari e degli stipendi, i quali 87 sono in misura tale da consentire soltanto di morire di fame. Si approva un forte ordine del giorno, che il Presidente ed altri ministri presenteranno al generale Mac-Farlane, Capo della Commissione Alleata, la quale insiste a non voler permettere che l’aumento ci sia. Si passa alla discussione sulla politica generale, con speciale riguardo alle condizioni delle Prefetture. Spinosa situazione, specie in Sicilia, dove il separatismo, aiutato dall’opera dell’Alto Commissario e di molti prefetti, lavora contro il Governo. Tutto ciò non deve né può durare. Ma il ministro dell’interno, siciliano, che pure è o almeno ritenuto un sicuro unitario, non mostra di voler provvedere con la dovuta energia. Si discute anche sul fatto se i prefetti, che converrà nominare per il risanamento del paese, debbano essere di partito o di carriera. Ad ogni modo si fanno insistenze al ministro perché presenti al prossimo consiglio la lista dei prefetti da nominare. Infine il Guardasigilli presenta un progetto di decreto per la nomina di giudici, dato che la mancanza di concorsi negli ultimi anni ha impoverito il personale. 2 giugno Alle nove parto per Napoli. Alle 11 sono a Napoli, e vado subito alla Commissione di controllo per discutere di alcune modifiche da essa proposta per il decreto sulla proroga dei fitti agrari. Dopo lungo dibattito sono costretto ad accettare un articolo aggiunto, il quale del resto, e per fortuna, non modifica la sostanza del decreto. Torno alle quattro a Salerno. Vado da Badoglio, nel cui Gabinetto abbiamo, insieme con i colleghi delle Finanze e degli Interni, un colloquio con il generale Mac-Farlane sull’aumento degli stipendi e dei salari. Povera Italia! Non possiamo nemmeno provvedere alla fame dei nostri concittadini!! Maledetto il fascismo! Il Generale promette vagamente, affermando soprattutto che egli cercherà, piuttosto che ottenere l’autorizzazione dell’aumento dei salari e delle retribuzioni, quella delle razioni. Speriamo. 3 giugno A mezzogiorno parto per Cosenza, dove arrivo verso le 7, insieme con Angiolino Corrado. 88 4 giugno Da Salerno mi telefonano la tanto attesa notizia della liberazione di Roma, e quella che domani, data la nuova situazione creatasi, si riunirà il consiglio dei ministri. Necessità quindi di partire immediatamente. E parto infatti alle ore sei del pomeriggio e con me vengono Dora, Luigino, mio figlio, con la moglie Franca, Angiolino Corrado. Si arriva a Salerno verso le tre dopo mezzanotte. 5 giugno Alle ore 10 consiglio dei ministri. Data notizia della comunicazione della liberazione di Roma, Badoglio ricorda che il 12 aprile il re fece la nota solenne dichiarazione con la quale, osservato che fu lui a porre fine il 25 luglio al regime fascista (!!!), prende l’impegno di ritirarsi a vita privata e di trasmettere i poteri al figlio Umberto appena liberata Roma. Badoglio continua riferendo che ieri, appena avuta notizia ufficiale da parte degli Alleati della liberazione della capitale, la comunicò al re. In seguito ebbe un colloquio con il generale Mac-Farlane, al quale fece presente il desiderio espresso da Vittorio Emanuele di poter fare la dichiarazione promessa da Roma invece che da Ravello. Ma Mac-Farlane gli obiettò che non era possibile aderire al desiderio del re, per la ragione che, non potendo il re recarsi a Roma se non tra cinque o sei giorni, le opinioni pubbliche inglese e americana non avrebbero compreso il motivo del ritardo e lo avrebbero sfavorevolmente interpretato. Badoglio riferì tale risposta al re. Il quale, in seguito a ciò, ha pensato di preparare una lettera diretta al generale Mac-Farlane, e che Badoglio dovrebbe far sua e firmare, con la quale si chiede al detto generale di consentire che il re vada in aereo a Roma, atterrando all’aeroporto di Via Salaria, si rechi da qui a Villa Savoia, senza entrare in città, e dalla Villa possa datare la dichiarazione. In subordinata chiede di poter firmare nell’aeroporto stesso la dichiarazione e ripartire immediatamente per Ravello. In caso di diniego, anche nei confronti di questa seconda richiesta, si chiede con la lettera al generale Mac-Farlane che si renda di pubblica ragione la repulsa, in modo che si sappia che il re è stato posto nella impossibilità di andare a Roma. Il Maresciallo Badoglio continua dicendo che, avuta la lettera preparata dal re, egli non ha ritenuto di poterla firmarla senza averne avuto autorizzazione dal consiglio dei ministri, data la evidente portata politica del documento. 89 Prende la parola Benedetto Croce il quale afferma che si verrebbe meno a un dovere di cortesia (!!!) negando al vecchio re questa soddisfazione. Tanto il consenso del consiglio avrebbe un valore soltanto platonico, perché si è sicuri che gli Alleati non darebbero in nessun caso il chiesto permesso. Sforza aderisce a quanto dice Croce. Tarchiani manifesta la sua indifferenza che il re firmi la dichiarazione a Ravello o a Roma. Di Napoli fa presente che se il consiglio autorizzasse Badoglio a firmare la lettera, verrebbe a dare un valore ancora maggiore al sicuro diniego degli Alleati; ciò che è da evitare, dato il significato politico dell’atto del re. La cortesia, quindi, non c’entra per nulla. Croce insiste, facendone una questione di umana gentilezza. Sforza dichiara di essere preoccupato per le giuste osservazioni di Di Napoli. Rodinò si associa a Croce. Tarchiani riprende la parola e si dichiara questa volta contrario ad autorizzare la firma della lettera da parte di Badoglio. Prendo la parola per sottolineare il valore politico della richiesta del re e per affermare che è da escludere ogni considerazione di cortesia. Di Napoli riafferma il suo concetto, e aggiunge che Badoglio in tanto ha portato la cosa al consiglio, in quanto ha ben visto il suo carattere politico. Si associa a ciò Mancini, il quale fa giustamente osservare che è il re stesso a imprimere alla sua richiesta un valore eminentemente politico, dato che egli confessa che fa la richiesta per salvaguardare la monarchia. Poiché, nonostante ciò, Croce insiste, io gli ricordo il verso di Dante: “E cortesia fu lui esser villano”. Aldisio si esprime favorevolmente a Croce. Interviene Badoglio per precisare che egli ha ritenuto urgente sentire il parere del consiglio, perché ha ben visto il carattere politico della richiesta. Tarchiani propone una via di mezzo: mandi il re direttamente la lettera a Mac-Farlane, escludendo il Governo. Cerabona si associa. Di Napoli è contrario perché il consiglio non deve dire al re cosa debba e possa privatamente fare. Ad esso spetta soltanto dire il suo parere sulla richiesta. Il ministro dell’Aeronautica, pensa che un diniego del consiglio farà una pessima impressione sull’uomo della strada. Quintieri e il ministro della marina si associano a Croce, e così il ministro della guerra. Mancini ricorda che il re deve, da galantuomo, mantenere l’impegno assunto di firmare la dichiarazione di rinunzia al potere, appena le truppe alleate entrano in Roma. Sforza intende l’importanza politica della cosa e propone che Badoglio riferisca verbalmente al generale Mac-Farlane il desiderio del re, e poi 90 comunichi a questo la risposta, senza che si faccia di nulla comunicato ufficiale. In tale senso Badoglio presenta un ordine del giorno che risulta approvato, avendo votato contro sei ministri: Mancini, Di Napoli, Tarchiani, Omodei, Cerabona ed io. Togliatti è assente. Badoglio comunica che egli ha deciso che vada a Roma prima il governo e sistemi le cose, e che il principe Umberto, che intanto sarà nominato luogotenente, vada dopo. A corte si vorrebbe il contrario. Il consiglio è unanime nell’approvare la decisione di Badoglio. Si passa a discutere della persona del luogotenente, dato che Tarchiani presenta una dichiarazione, da lui preparata e che il consiglio dovrebbe far propria, con la quale, considerato che l’intervista concessa dal principe al Times è tale atto da rendere impossibile che il principe possa rivestire la carica di capo dello stato, si invita il re a far cadere la nomina su altra persona escludendo che questa possa essere il Duca d’Aosta. Croce, pur convinto che il principe Umberto è un’incapace, ritiene che non sia opportuno in questo momento sollevare una simile questione. A proposito della incapacità del principe, Croce ricorda che, nella recente visita che Umberto ebbe a fargli, non trovò argomento più opportuno se non quello riflettente vecchie stampe e libri antichi. E avendo Croce cercato di richiamarlo a considerazioni di ordine politico, non gli venne fatto di vincere la opacità politica dell’illustre interlocutore. Omodei dà enorme importanza al fatto che il principe nell’intervista ha riversato sul popolo italiano la responsabilità della guerra: ciò può portare a conseguenze molto pregiudizievoli per l’Italia allorché si sarà al tavolo della pace. Croce si dichiara d’accordo sul riconoscere l’incapacità del principe il quale si liquiderà certamente da se stesso. Ma oggi è inopportuno sollevare la questione della sua sostituzione, anche per l’atteggiamento degli Alleati. Sforza dice che, pur avendo pertinacemente voluto l’allontanamento del re, deve però riconoscere che egli non ha mai fatto nulla che possa lontanamente paragonarsi a ciò che ha fatto il principe con l’intervista. Anche ad ammettere che lo abbia fatto inconsciamente. Egli quindi propone che si faccia sollecitamente agli Alleati la proposta di consentire al re che rimanga ancora per pochi giorni per poter dar modo al consiglio di esprimere il suo parere sulla persona del luogotenente. Togliatti, che è entrato pochi momenti fa, interviene 91 nella discussione sostenendo la inopportunità di suscitare ora la questione del luogotenente. Intanto Badoglio ha notizia che è per arrivare a Salerno, per avere un colloquio con lui, il generale Mac-Farlane. Si sospende quindi la seduta, rimandando alle ore 18. Ore 18: si riprende la seduta: Badoglio dà notizia di un telegramma pervenutogli da Roma da parte del generale Bencivenga, il quale ha assunto, in nome del regio governo e d’accordo con gli Alleati, il governo civile e militare di Roma. Dà poi comunicazione del colloquio con Mac-Farlane, il quale lo ha pregato di non sollevare per ora la questione della persona del luogotenente, dato che sono in corso le trattative per migliorare la condizione politica dell’Italia. Badoglio pone ai voti la questione. Tarchiani dice di accettare, a patto che contemporaneamente il consiglio rinnovi la condanna del principe per quanto egli ha detto nell’intervista. Omodei si associa. Togliatti afferma la inutilità di una tale dichiarazione, dato che il consiglio si è già pronunciato, sia condannando esplicitamente l’intervista e sia con la sua dichiarazione di politica estera. Badoglio è contro la dichiarazione. Così Di Napoli, per il quale la dichiarazione sarebbe o troppo o troppo poco. Tarchiani e Omodei insistono. Mancini propone che si risponda in modo solenne al telegramma di Bencivenga e che in tale risposta il consiglio riaffermi la irresponsabilità del popolo italiano nella guerra. Tale proposta è accettata e si procede, da parte di Badoglio, alla formulazione del telegramma. Prendo io la parola per sostenere la necessità che i ministri giurino nelle mani del luogotenente, e ciò per dare all’atto del re il significato preciso di rinuncia definitiva al potere. Solo così la nomina del luogotenente può perdere quell’ibrido senso che è stato certamente presente nella volontà di Vittorio Emanuele, allorquando questi, non potendo più resistere all’unanime volontà popolare di richiedere l’abdicazione, ha fatto la dichiarazione del 12 aprile. Di Napoli, che non intende bene la portata della mia proposta, è contrario. Sforza è favorevolmente contrario. E la proposta cade. Badoglio fa noto che il suo segretario per gli affari esteri gli suggerisce l’opportunità che il consiglio, per prevenire ogni mossa francese, dichiari decaduto l’armistizio del 1940. E il consiglio approva. 92 6 giugno Alle quattro e mezzo del mattino, insieme con Dora, Luigino e Franca, parto in automobile per Bari, dove arrivo verso mezzogiorno. Immediatamente mi reco in prefettura, dov’è una riunione di tutti i sindaci della provincia. Il Prefetto Falcone Lucifero, mi presenta. Parlo ai sindaci sulla loro responsabilità per la riuscita dei “Granai del popolo”. Mi sbrigo all’una. Mangio in fretta e furia e alle due sono al congresso regionale dei contadini. Mi si accoglie con grandi applausi. Assisto alle ultime discussioni e poi faccio il discorso di chiusura del congresso. Alle ore sei ci rimettiamo in macchina alla volta di Cosenza, dove si giunge alle undici. Dopo due nottate quasi bianche e due giornate di gran movimento, mi è dato alfine di riposare. 7 giugno Mi sbrigo in fretta e in furia di tante piccole cose e alle 11 e mezza parto per Salerno. Sono solo. Arrivo alle 6 di sera. Trovo che il governo è dimissionario. Mi si dice che ciò è avvenuto perché gli Alleati e qualche nostro costituzionalista (leggi on. De Nicola) hanno pensato che il luogotenente (entrato in carica ieri, in seguito al decreto di rinunzia e di passaggio dei poteri da parte di Vittorio Emanuele) è da considerare come nuovo capo dello Stato. E’ la mia tesi; quella cioè che mi aveva suggerito di proporre al consiglio la necessità del giuramento. E così i ministri si trovano dismessi senza che molti di essi ne sappiano nulla. Sostanzialmente, non c’è nulla di male, dato che, per la situazione di Roma, alle dimissioni si doveva necessariamente pervenire, per dar modo agli uomini “politici”, ora rientrati di far parte del nuovo governo. Ma formalmente la cosa è tutt’altro che bella. 8 giugno Si dice che stamane, alle ore otto, da Napoli siano partiti in aereo per Roma Badoglio e i sei rappresentanti dei partiti, e cioè Togliatti per i comunisti, Rodinò per i democristiani, Croce per i liberali, Cianca per il partito d’azione, Cerabona per i democratici del lavoro e Longobardi per i socialisti. Intanto il ministero dimissionario resta in carica per il disbrigo degli affari di ordinaria amministrazione. A sera so che la partenza di Badoglio e dei rappresentanti dei sei partiti da Napoli per Roma è effettivamente avvenuta stamani. 93 La sera del 6, mentre io ero in viaggio da Bari a Cosenza, qui a Salerno si svolgeva il comizio per la liberazione di Roma. Nel comizio parlò Mancini, il quale, parlando delle fanfaronate di Mussolini, gli venne detto di chiamarle “americanate”. La definizione, in questo momento, fu sottolineata dalla folla. La gaffe intanto era stata consumata. “Voce dal sen fuggita…” E il giorno dopo, sul Corriere, giornale di Salerno, è apparso il chiarimento, col quale si è in qualche modo ovviato al curioso incidente, in quanto si è detto che Mancini avrebbe espresso un ben diverso pensiero, e cioè che Mussolini soleva parlare di americanate, per porre in ridicolo l’apporto alla guerra dell’America, la quale ora risponde alla stolta ingiuria mantenendo in Europa, sul teatro della guerra, migliaia di navi e migliaia d’aeroplani. 9 giugno Alle nove arrivo in ufficio, dove mi dicono che la radio ha comunicato che l’onorevole Bonomi è stato incaricato di formare il nuovo Gabinetto. Io sono all’oscuro di ogni cosa. Nel pomeriggio mi danno un’altra notizia, anch’essa arrivata dalla radio, e cioè che Bonomi avrebbe accettato l’incarico a condizione di non prestare giuramento al principe Umberto. 10 giugno Verso le ore dieci, mentre sono nel mio Gabinetto intento al mio lavoro, mio figlio Pietro mi chiama al telefono da Cosenza, e mi dà notizia di aver appreso dalla radio la mia riconferma a ministro dell’Agricoltura. Dopo un poco la notizia mi viene anche comunicata da altri amici e compagni. Fino a questo momento appare escluso dal nuovo ministero Pietro Mancini. Vado a fargli visita nel pomeriggio ed egli non sa nascondere il suo disappunto. Al suo posto di ministro senza portafoglio, come rappresentante del partito socialista, è designato Saragat. Dei vecchi ministri restiamo soltanto Togliatti, Sforza, Croce, Cerabona, De Courten ed io. 11 giugno Vado a Napoli dove, nel teatro S. Lucia, assisto al comizio per la commemorazione di Matteotti. Sono venti anni! Rivive nel mio ricordo quel periodo tempestoso, in cui pareva che il fascismo dovesse inevitabilmente crollare sotto il peso delle sue vergogne. E gli aventinisti si illusero appunto 94 che una questione morale potesse valere come causa del crollo di un regime. E la illusione ha costato al popolo italiano tanti lutti e tante rovine!. Stanno parlando al comizio gli onorevoli Zaniboni e Pietro Mancini. Il primo mistico e piagnucoloso, il secondo stucchevolmente episodico e anch’esso singhiozzante: due discorsi fuori tono e che non sono riusciti ad avere echi efficienti negli animi degli ascoltatori. Intanto si sa che Pietro Mancini, che pareva in un primo momento escluso, va invece ai lavori pubblici, al posto di Romita, di cui si era fatto il nome. Verso le sette del pomeriggio vado a casa di Togliatti, che era tornato in aereo da Roma, insieme con gli altri ministri uscenti andati a Roma per la costituzione del nuovo ministero. Egli ci fa la cronistoria della elaborazione che il nuovo Gabinetto ha richiesto. A Roma si è trovato il Comitato di liberazione che ha funzionato durante il dominio tedesco, il quale naturalmente voleva avocare a sé la direzione di ogni cosa. Si è richiesto da esso e ottenuto la defenestrazione di Badoglio e l’incarico a Bonomi, nonché l’abolizione del giuramento di fedeltà al re. E va bene. Ma non è da dimenticare che Bonomi fu nel 1921 il presidente del consiglio che diede armi ed aiuti al fascismo sorgente, e cioè l’esponente di quella così detta democrazia che rinnegando il suo passato e i suoi principi aprì le porte alla sanguinosa reazione antiproletaria. Ed è anche rimarchevole il fatto che entra nel nuovo Gabinetto lo spettrale Casati, che fu ministro di Mussolini nel 1924. Se dovessi dire, a me pare che il nuovo governo non costituisca un passo in avanti di fronte al primo. Togliatti ci racconta che la situazione creatasi non consentiva di meglio, e che molto ha nuociuto ai partiti comunista e socialista l’atteggiamento di Pietro Nenni, il quale non ha avuto nessun tatto e nessun accorgimento. Penso, del resto, che sia meglio per il nostro partito il non aver assunto una posizione più preponderante. V’è da notare però, a favore della nuova formazione, la posizione di inferiorità in cui è stato posto l’elemento militare. Quali conseguenze si avranno da questo fatto? Un colpo di stato militaresco? Bisogna vigilare e seguire attentamente lo sviluppo della situazione. Questa possibilità di controllo, per quanto limitata, è l’unica vera cosa che giustifica la nostra partecipazione al governo. Togliatti mi racconta che Mancini è entrato nel ministero perché i socialisti si sono accorti, quando già il nuovo Gabinetto era formato, che nessun meridionale vi era del loro partito. E allora Romita, nominato già ministro dei 95 lavori pubblici ha, per ovviare al lamentato inconveniente, lasciato il posto, che è stato così assegnato a Pietro Mancini. Il quale così si è rasserenato. 12 giugno Alle 3 del pomeriggio mi chiamano alla Presidenza del Consiglio. Trovo Badoglio, Bonomi e qualche altro ministro degli uscenti e dei nuovi. Ci si comunica che poco prima il generale Mac-Farlane ha fatto presente che il nuovo Gabinetto non può insediarsi se prima non si ha il consentimento delle tre potenze alleate: Inghilterra, Stati Uniti e Russia. La cosa è di una gravità eccezionale, anche perché lo stesso Mac-Farlane non doveva prevederla, tanto che è stato egli stesso a stimolare perché il nuovo governo si formasse subito e quasi ad insediarlo. Come si spiega il fatto? Si fanno cento ipotesi. Io penso che sia l’Inghilterra a volere che sia presente - ora specialmente che il re ha deposto il potere – almeno Badoglio, uno cioè cui possa rinfacciarsi la responsabilità italiana nella guerra. Non si vuole, insomma, penso anche per istigazione della Francia, che l’Italia vada alla pace smettendo del tutto la sua qualità di nazione vinta. Intanto Bonomi, di fronte all’opinione pubblica che sa del nuovo Gabinetto già pronto a funzionare, e che non saprebbe quindi spiegarsi una reviviscenza del vecchio, ha preparato un comunicato, col quale si dice che, dato che non tutti i ministeri sono a Salerno e che quindi sono complesse e lunghe le operazioni di passaggio dei poteri, resta in carico il vecchio Gabinetto fino al giorno in cui tali operazioni saranno terminate. Sono e mi dichiaro subito contrario a un comunicato simile, il quale non ingannerebbe quelli che capiscono e creerebbe nella massa, che non capirebbe, la più penosa impressione. Dico io: o non si pubblica nulla, o si dice la verità perché almeno si tragga dall’imprevenuto avvenimento, quel vantaggio che si può avere dal fatto che l’opinione pubblica mondiale venga a conoscenza del modo come è trattato il governo d’una nazione che si dice restituita a libertà. Dopo lunga discussione, si stabilisce di non fare alcun comunicato e di convocare i ministri uscenti e nuovi per mercoledì, dopodimani, alle ore 10. Appena libero, insieme con Molinelli nuovo sottosegretario all’Industria e Commercio e mio compagno, vado a Napoli a dar conto a Togliatti del nuovo fatto. Lo troviamo a casa. Gli racconto ogni cosa. Apprezza il mio operato. Egli pensa, però, che la cosa possa essere stata provocata dalla Russia, per il 96 fatto che questa non sarebbe stata avvertita di nulla dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti. Sarà così? Per assicurarsene, Togliatti va all’ambasciata Russa ad assumere notizie. Poiché, però, alle nove di sera, ora dell’appuntamento, non è ancora tornato, né si sa quando tornerà, io e Molinelli lasciamo Napoli e partiamo alla volta di Salerno. Facciamo un viaggio infame, perché i fari dell’automobile non funzionano e la notte è buia. Arriviamo per fortuna sani e salvi verso mezzanotte. 13 giugno So che molto probabilmente si ovvierà al grave fatto accaduto facendo entrare nel Gabinetto, come ministro degli esteri, il maresciallo Badoglio. Ciò darebbe ragione alla mia supposizione. Ma ancora non c’è nulla di sicuro. Stamani ho avuto un breve colloquio con Badoglio il quale però non mi ha detto nulla di nuovo. 14 giugno Alle ore 10 riunione plenaria, non ufficiale, di tutti i ministri, vecchi e nuovi. Di fronte alla situazione creatasi in seguito alla diffida degli Alleati, l’on. Bonomi pensa che non ci sia da fare altro che aspettare; nel frattempo il vecchio ministero continua ad esercitare le sue funzioni in un ambito un po’ più largo di quello degli affari correnti, pur escludendo che esso possa adottare provvedimenti che importino comunque innovazioni o significato politico. Dopo breve discussione si è tutti d’accordo. La riunione si scioglie. Si riuniscono a parte Bonomi e i nuovi ministri senza portafoglio. Togliatti in seguito mi dice che nella riunione si è deciso di spedire telegrammi di garbata protesta ai tre capi di Stato delle Potenze Alleate. Lo stesso Togliatti mi aveva in precedenza detto che la Russia è assolutamente estranea alla diffida rivolta al nuovo Gabinetto, la quale è esclusivamente opera inglese. Non avevo mai avuto alcun dubbio su ciò. L’Inghilterra evidentemente non vuole per nessuna ragione che l’Italia abbia dei governanti assolutamente immuni d’ogni responsabilità nella dichiarazione di guerra. 15 giugno Nulla di nuovo o di interessante, se non l’importante notizia, pubblicata oggi da tutti i giornali, che dal 1° luglio la razione del pane è aumentata a 300 grammi. 97 Sono veramente lieto che i miei sforzi, affiancati validamente da quelli del mio sottosegretario Gino Bergami, presso la Commissione Alleata di Controllo abbiano alfine avuto esito positivo. Certo l’aumentata razione eserciterà un benefico effetto nel senso di ridurre la piaga del mercato nero, specie per ciò che riguarda la speculazione sul grano. 16 giugno Compio oggi il mio 57° anno. E’ indubbiamente un numero che comincia a pesare. Stamani alle 10 si è riunito il vecchio consiglio dei ministri, già dimissionario, richiamato in vita in seguito al divieto posto dagli Alleati all’insediamento del nuovo. Senonché si costata subito, e da tutti, che il funzionamento è giuridicamente e politicamente impossibile e inopportuno. E ci sciogliamo senz’altro. Restiamo però lo stesso nella sala, perché Badoglio ci comunica che alle 11 e mezzo arriva Mac-Farlane per un colloquio. E infatti il generale si intrattiene col Maresciallo e con Bonomi, ai quali comunica che la questione del nuovo governo verrà sottoposta al Comitato Consultivo per gli affari d’Italia, e che la decisione di tale Comitato verrà poi comunicata ai governi Alleati, i quali daranno il loro responso tra tre o quattro giorni. Alle ore 17 Bonomi riunisce tutti i nuovi ministri, ancora sospesi, nella sua dimora nella meravigliosa villa Guariglia, a Raito, un paesello a due chilometri da Salerno. Manca soltanto De Courten, ministro della marina, cui per censuratissima decisione non si è mandato l’invito. Bonomi rifà la storia di questo strano incidente e ricorda che egli ha mandato una lettera a Mac-Farlane e tre telegrammi, uno per ciascuno a Stalin, Churchill e Roosevelt, quali manifestazioni della protesta del nuovo governo per il mancato insediamento. E invita i presenti a manifestare il loro parere. Cianca vorrebbe che si inviasse una vibrata protesta, appunto per stabilire che il divieto degli Alleati pone i partiti e il popolo italiano, ove esso dovesse prolungarsi, nella necessità di rifiutarsi di formare un governo diverso. Togliatti, in maniera lucidissima, tenta di trovare la spiegazione del fatto. Più in sostanza che la formazione del governo Badoglio, con la partecipazione di tutti i partiti antifascisti, fu dovuto sostanzialmente a un compromesso tra le correnti popolari repubblicane e le correnti monarchico-militaristiche. Ora, secondo lui, il nuovo governo, così come formatosi, col ministro borghese della guerra, verrebbe a distruggere tale compromesso, ed è in questo che 98 bisogna ricercare il motivo del divieto all’insediamento. Cianca oppone che ciò non è esatto, in quanto il nuovo governo è stato formato col consentimento del luogotenente, principe di Piemonte. Partecipano altri alla discussione (Saragat, Mancini, Soleri, Gronchi, De Gasperi, Sforza) e intanto vari tra essi preparano e leggono lettere – protesta che dovrebbero essere inviate alla Commissione Consultiva. Bonomi fa presente che egli ha incaricato il nuovo sottosegretario agli esteri, Visconti Venosta, di avvisare gli ambasciatori Alleati per riferire verbalmente lo stato d’animo creato con l’imprevisto divieto. Poiché non si è d’accordo sul tenore della lettera da inviare, si sospende la seduta per dar modo a Bonomi di prepararne una lui. Si riprende la seduta, e Bonomi legge la lettera preparata, con la quale, fatta una breve cronistoria, si chiarisce di nuovo che, ove non si dovesse confermare il nuovo Gabinetto, nessun altro governo, che fosse espressione della volontà popolare, potrebbe sorgere. Prendo la parola per oppormi a che la lettera, anzi qualsiasi lettera venga trasmessa. Dico di non comprendere l’opportunità di un passo simile. La protesta è già stata inviata, contenuta nella lettera a Mac-Farlane e nel telegramma ai tre capi dei governi Alleati. Ma cosa aggiungerebbe, quindi, da questo punto di vista la nuova lettera al Comitato Consultivo? Nulla. Essa, però, con l’ultimo periodo ci legherebbe ad un atteggiamento che noi stessi potremmo in seguito trovare inopportuno. Perché quindi limitare la nostra futura libertà d’azione? Dopo un po’ di tentennamento, la proposta mia passa, e la riunione si chiude dopo aver deciso soltanto di insistere perché Visconti Venosa riferisca verbalmente agli ambasciatori Alleati. 17 giugno Alle 5 e mezzo parto per Roma, naturalmente in automobile. Chissà quando si potrà parlare di servizio ferroviario riattivato. E arrivo verso mezzogiorno, dopo un viaggio relativamente agevole, se si pensi al grande traffico bellico richiesto dalla battaglia in corso. Mancavo da Roma, da poco più di un anno, ossia da poco più di un mese prima del crollo del fascismo. Quanta tragedia da allora! Armistizio, collasso dell’esercito, occupazione tedesca…… I nove mesi di conquista hitleriana sono stati per Roma, dove si era ammassata una popolazione di circa due milioni, nove mesi di vera passione. E ora finalmente Roma è restituita all’Italia! Per virtù d’armi straniere..!! È da dire però che i 99 patrioti romani, primi tra tutti i comunisti, hanno pur fatto qualche cosa ai danni del Dominatore. E certificano ciò le uccisioni in massa eseguite dalle orde naziste, le retate di giovani cui si ricorreva quasi quotidianamente, le compressioni e repressioni poliziesche di ogni genere. Mi metto in giro per avere notizie di molti parenti e amici e compagni, di cui non si avevano da tanto tempo notizie. Per fortuna trovo quasi tutti bene. Le dolorose notizie però non mancano. Il figliolo del farmacista Benedicente, d’Aprigliano, giovane avvocato, è stato ucciso due giorni prima della liberazione dai tedeschi; e dai tedeschi è stato portato via, chissà dove, un altro mio giovane amico, Franco Bugliari, anche egli avvocato. La città, per fortuna, non ha sofferto danni, dato che i tedeschi l’hanno abbandonata senza resistenza. Pessime le condizioni alimentari. Faccio una capatina nel palazzo del mio ministero. Non c’è più nulla, o quasi, quanto ad archivi e documenti, portati via all’epoca del trasferimento di tutti i ministeri verso il nord. Conosco qualche funzionario rimasto a Roma. 18 giugno Alle nove del mattino parto per il ritorno a Salerno, dove arrivo alle 2 e mezza. Alle cinque riunione dei nuovi ministri nel domicilio del Presidente Bonomi. Il quale ci comunica che le potenze Alleate hanno dato il via al nuovo Ministero. Si è richiesto come condizioni che Bonomi firmi due documenti: col primo egli, per il Gabinetto, si obbliga a non riaprire la questione istituzionale, la quale, giusto gli accordi, viene rinviata al dopo-guerra, quando il popolo italiano sarà in grado di deliberare, attraverso un’Assemblea Costituente, liberamente sui suoi destini; col secondo Bonomi si obbliga di rispettare tutte le clausole dell’armistizio, delle quali dichiara che sia lui sia tutti gli altri ministri hanno piena conoscenza. E perché tale conoscenza effettivamente ci sia, viene data lettura del testo delle clausole, sia quelle contenute nel Trattato del 3 settembre, sia le complementari del 29 settembre. Si stabilisce che giovedì 22, alle ore 11, si va a giurare nelle mani del luogotenente generale, che risiede nella Villa Maria Pia a Napoli. Alle 16 dello stesso giorno primo consiglio dei ministri a Salerno. 19 giugno Alle ore sette di sera parto per Cosenza dove arrivo alle tre di notte. 100 20 giugno Nonostante la stanchezza del viaggio e la notte bianca, passo tutta la giornata ricevendo centinaia di persone. 21 giugno Alle ore 10, nella sala provinciale, dove sono riuniti i sindaci della provincia, i rappresentanti dei vari partiti, i capi dei vari uffici agrari, il prefetto, le autorità alleate ecc. tengo un discorso di propaganda per i “Granai del popolo”. E’ l’onomastico di mio figlio Luigi. Mangio a casa sua. Alle cinque pomeridiane parto per Salerno insieme con Dora e con mio figlio Eugenio. Arrivo a mezzanotte. 22 giugno Parto per Napoli, e alle ore 10 sono alla Villa Maria Pia, a Posillipo, abitazione del luogotenente, principe Umberto. Vengono gli altri ministri. Siamo ricevuti in una sala a terreno. Il principe legge un breve discorso, già preparato. Non ha un accento, non una vibrazione. Dà l’impressione che nemmeno capisca il senso delle parole che pronuncia. Risponde il Presidente Bonomi. Indi firmiamo il foglio su cui è scritta la nuova formula del giuramento. Con essa giuriamo di adempiere le nostre funzioni nell’interesse della Nazione e ci impegniamo di non sollevare la questione istituzionale fino alla convocazione dell’Assemblea Costituente. Alle ore 16 riunione a Salerno del primo consiglio dei ministri. Lunga discussione sulla legge per l’Assemblea Costituente. I democristiani vorrebbero che la norma si formulasse in modo tale da lasciar l’adito al ricorso al plebiscito per scegliere tra repubblica e monarchia. Viva opposizione dei comunisti, socialisti e partito d’azione. Bonomi propone una formula equivoca, in quanto con essa si dice che l’Assemblea Costituente stabilirà la costituzione dello Stato. Faccio osservare che una nuova costituzione è anche concepibile ferme restando le istituzioni monarchiche. Dopo lungo dibattito si perviene al fine alla formulazione che diventa legge, in cui si parla e di istituzione e di costituzione. 101 23 giugno Alle ore quattro del pomeriggio parto per Roma, insieme con Dora, Eugenio e due miei amici. Arrivo alle undici di sera. Ospiti di nostra cugina Maria De Chiara, via Angelo Secchi 18. 24 giugno Nella mattinata vado al ministero in via XX Settembre. Conosco qualche funzionario. Nel pomeriggio faccio qualche visita a cosentini e amici rimasti a Roma durante la dominazione tedesca. La situazione alimentare è tutt’altro che lieta. Ad ogni modo essa migliora di ora in ora. Un fatto rimarchevole è che, nonostante lo scompiglio della ritirata tedesca e dell’occupazione Alleata, il pane non è mai mancato. Merito della colossale preparazione a tal fine predisposta dagli Alleati. 25 giugno Nella mattinata vado al ministero, dove ho un colloquio con il sottosegretario Bergami, che mi ha raggiunto. Nel pomeriggio altre poche visite. Alle 6 ripartiamo per Salerno, dove, per incidenti di macchina, arriviamo alle tre dopo mezzanotte. 26 giugno Alle nove vado al ministero. Alle undici mi reco dal Presidente del Consiglio, al quale faccio presente le disagiate condizioni alimentari di Roma e i provvedimenti presi. Indi passiamo dal Consiglio e posiamo, il Presidente ed io, per un film di propaganda per i “Granai del popolo”. 27 giugno Alle nove parto per Napoli per un colloquio con la Commissione di controllo circa alcune questioni d’approvvigionamento granario. Torno alle tre del pomeriggio. 102