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Episodi salienti nei mesi di attività di Ministro dell`Agricoltura

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Episodi salienti nei mesi di attività di Ministro dell`Agricoltura
Episodi salienti nei mesi di attività
di Ministro dell’Agricoltura
(dal diario personale)
21 aprile 1944
Arrivo, verso le ore 18, a Catanzaro, in automobile, insieme con il compagno
Paolo Tedeschi (al secolo Velio Spano).
Torniamo, entrambi, quali componenti della Direzione Centrale del Partito da
un giro di ispezione e di propaganda in Sicilia (Messina e Palermo) e a Reggio
Calabria, che ci ha preso quasi una settimana. Imponente il comizio tenuto a
Messina per la commemorazione del compagno Francesco Lo Sardo, morto
in carcere, vittima del fascismo. Imponente anche il comizio tenuto nella
mattinata a Reggio Calabria. In entrambi i comizi ho parlato anche io. Arrivato
a Catanzaro, nel momento di scendere dall’automobile, il compagno
Francesco Maruca mi annunzia d’avere poco prima saputo dalla radio la mia
nomina a ministro dell’agricoltura e delle foreste. La notizia mi arriva
assolutamente inaspettata. E mi colpisce sia per il fatto di trovarmi
improvvisamente ministro e sia perché mi viene assegnato il dicastero
dell’agricoltura che è in questo momento oltremodo gravoso e il più difficile per
dipendere da esso tutti i servizi dell’alimentazione. Ad ogni modo sono
orgoglioso che il partito, nel partecipare al primo ministero popolare di questa
parte dell’Italia liberata dagli eserciti hitleriani, abbia pensato a me, mentre vi
erano tanti compagni di me più meritevoli, eleggendomi collega di Palmiro
Togliatti che entra nel Governo come ministro senza portafoglio.
In realtà la formazione del Governo si deve in gran parte all’azione decisiva,
svolta dal partito comunista in tal senso, sotto la direzione intelligente ed
energica di Togliatti. E si sono dovute vincere non piccole resistenze. Alcune
di esse, e le più forti, provenivano da spessi strati reazionari e filofascisti che,
appoggiandosi alla monarchia, avrebbero voluto che si prolungasse
indefinitamente lo stato di marasma, in cui era caduto il Paese, e che si
mostrava il più opportuno al raggiungimento delle loro mete neo-fascista. Altre
resistenze, per quanto non forti, provenivano da alcuni nuclei del nostro stesso
partito, che hanno durato fatica ad intendere le profonde ragioni della nuova
tattica, confondendo la partecipazione attuale al Governo con quella
caldeggiata in altri tempi dall’ala riformistica del partito socialista.
22 aprile
Parto da Catanzaro, dopo aver passato la notte in casa del Generale Fiore,
alle ore sei del mattino, in littorina, diretto a Cosenza. Arrivo alle nove e
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mezza. Folla di amici, parenti, non amici, conoscenti, ignoti, autorità, che
vengono a congratularsi per la mia nomina a ministro. E tra tanto andirivieni di
persone il mio pensiero corre al mio caro e buon Paolo, prigioniero dei
tedeschi in Galizia, e mi attraversa la mente l’idea, che mi auguro stramba,
che egli possa essere vittima di rappresaglie per via di questa nomina, che io
non ho cercato e che mi è giunta assolutamente imprevista.
Verso le sette di sera arriva a Catanzaro Paolo Tedeschi. Intanto la sezione
Comunista aveva annunziato, con manifesti murali, un comizio per le otto di
sera: oratori io e Tedeschi. Piazza della Vittoria: una folla di quattro o cinque
mila persone. Parla prima Tedeschi. Dopo io. La mia commozione è grande.
La cittadinanza non poteva darmi una prova più lusinghiera di benevolenza.
23 aprile
A mezzogiorno io e Tedeschi in automobile partiamo per Napoli dove
arriviamo alle dieci di sera. Tedeschi trova a casa la moglie, venuta il giorno
prima da Tunisi. Immensa la sua gioia. Data l’ora tarda, il coprifuoco e
l’impossibilità di trovare posto in albergo, chiedo ospitalità ad un mio amico al
Vomero. Accoglienza cordiale e commovente.
24 aprile
Nelle prime ore del mattino resto a Napoli. Verso le otto muovo alla volta di
Salerno. Alle dieci prima riunione del consiglio dei ministri, al quale
partecipano anche i Sottosegretari. Badoglio ci dà il saluto di prammatica. Si
avvisa subito la necessità di pubblicare un proclama e Badoglio espone quale,
secondo lui, debba esserne il contenuto, e parla del popolo italiano il quale,
finita la guerra, dovrà eleggere una camera, che avrà il compito di fissare
l’ordinamento istituzionale dello Stato. Chiedo la parola e faccio osservare che
nel proclama non si dovrà parlare di una camera, bensì di Assemblea
Costituente potendo l’omissione di tale espressione, di un così netto
significato, far pensare legittimamente ad una inspiegabile restrizione della
sovranità popolare. Segue un’animata discussione e alla fine si dà mandato ai
cinque ministri senza portafoglio (Sforza, Croce, Rodinò, Togliatti e
Mancini) di redigere il proclama. Si fissa la nuova riunione del Consiglio al 27
aprile alle ore dieci. Viene in campo la questione del giuramento nelle mani del
re. Si approva una dichiarazione collettiva del Gabinetto, con la quale si dice
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che ognuno di noi, pur accettando la tregua resa necessaria dalla gravità
tragica del momento, conserva tuttavia le sue proprie convinzioni politiche.
Con ciò si toglie ogni importanza al giuramento.
Alle quattro pomeridiane saremo ricevuti dal re.
Alle 3 e mezzo si parte in varie automobili alla volta di Ravello, dove il re
risiede in una villa in cima al paese. Io prendo posto nell’automobile del
Maresciallo Badoglio, insieme con Mancini, Di Napoli ministro dell’Industria e
Commercio, e Quintieri, delle Finanze. Durante il viaggio si parla di
Mussolini e Badoglio dice di non sapersi spiegare come l’ufficiale dei
Carabinieri e il Commissario di pubblica sicurezza, cui era demandata la più
stretta sorveglianza del tragico istrione, e nei quali egli aveva ragione di riporre
ogni fiducia, non l’abbiano ucciso al primo apparire dei paracadutisti rapitori.
Arriviamo alla villa per i primi. Aspettiamo in una piccola sala a terreno, adibita
a biblioteca, l’arrivo degli altri ministri. Quando siamo al completo, passiamo
nell’altra più grande sala dove il re ci riceve. Badoglio fa le presentazioni. Il re,
dalla meschina figura, e che mi fa una ben misera impressione, dà la mano ad
ognuno di noi. Indi Badoglio legge la dichiarazione concordata. Il re cava dalla
tasca un piccolo pezzo di carta e legge una sua dichiarazione di risposta con
la quale dice di esser lieto che le persone eminenti, che formano il nuovo
governo, abbiano saputo far tacere le competizioni di parte per la salvezza
della Patria per la quale egli ha sempre operato!..
Ognuno di noi firma il foglio del giuramento. Finita tale operazione si sta
ancora pochi minuti, durante i quali il re parla quasi sempre con Sforza, e
dopo si torna a Salerno.
25 aprile
Prendo dal mio predecessore, Falcone Lucifero, la consegna del ministero e
do così inizio alla mia attività di ministro. Prendo contatto con il capo di
Gabinetto, prof. Seghetti e col segretario particolare del vecchio ministro, che
rimane in carica fino alla nomina del mio. La sera vado alla Sezione
Comunista, dove mi fanno festa.
26 aprile
Sono, da quando son qui giunto, ospite di Pasquale Gazzara e di sua moglie
e di mia cugina Irma Palaia. Al ministero sono assediato da compagni,
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commissioni, postulanti che non mi lasciano respirare. Bisogna pure che dia
un ordine alla esplicazione della mia attività.
27 aprile
Mio sottosegretario è il prof. Gino Bergami, di Napoli, ordinario di Fisiologia
all’Università, giovine di gran valore e di molta attività. Scambievole simpatia.
Alle 10 consiglio dei ministri. Si approva il proclama scritto da Benedetto
Croce, con qualche emendamento venuto fuori dalla discussione.
Nella seduta del Consiglio il Maresciallo Badoglio ha fatto una lunga e
interessante relazione sulla situazione militare e politica. Ha anche fatto
distribuire a tutti i ministri un grafico a colori sulla distribuzione dei nostri
prigionieri fra le varie nazioni ex nemiche e ora alleate e le ex alleate e ora
nemiche. I prigionieri inglesi e americani, egli dice, sono ben trattati, specie
questi ultimi; nulla o poco si sa dei nostri prigionieri in Russia; quelli in
Germania (circa 410.000) stanno male, specialmente gli ufficiali, i quali sono
prigionieri appunto per non aver voluto arruolarsi nell’esercito fascistarepubblicano. La Germania, anzi, per non rispettare la convenzione di Ginevra
li considera internati e non prigionieri. Il pensiero corre al mio caro e buon
Paolo...
Riferisce anche Badoglio sui nostri battaglioni in linea con gli anglo-americani
sul nostro fronte: essi sono stati armati ed equipaggiati tutti ed esclusivamente
con nostri mezzi. E’ augurabile che ora, formatosi il governo a larga base
democratica, gli anglo-americani non potranno accampare altri pretesti per
non aiutarci nel nostro proposito di cooperare attivamente allo sforzo bellico.
Quanto alla situazione politica, Badoglio parla dei nostri rapporti col governo di
De Gaulle, che ancora aspettano una precisa definizione. Riferisce sul
riconoscimento da parte della Russia, seguito dall’invio di un ambasciatore. La
cosa ha suscitato le recriminazioni degli anglo-americani, alle quali è stato
facile a Badoglio rispondere che egli non poteva né doveva respingere la
mano che la Russia ci tendeva, anche perché l’armistizio l’Italia l’ha concluso
non solo con l’Inghilterra e con gli Stati Uniti ma anche con la Russia. Parla
poi di una lettera ricevuta dal Presidente Roosevelt, la quale promette ogni
aiuto all’Italia che risorge, e la quale può considerarsi una cambiale con sicura
scadenza. Data la delicatezza e la complessità delle questioni, il conte Sforza
propone che si costituisca un ristretto comitato di ministri, cui ne sia
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demandata la discussione, con l’obbligo di riferire periodicamente al consiglio.
La proposta è approvata ed entrano a far parte del Comitato Badoglio, Sforza,
Tarchiani e Togliatti.
Si passa quindi alla discussione sulla festa del 1° maggio. Gli alleati hanno
disposto sul territorio da loro controllato che la data si festeggi il 30 aprile, che
è domenica, per non interrompere il lavoro il lunedì. Dopo ampia discussione,
determinata dal parere di qualcuno il quale non vorrebbe la trasposizione al 30
aprile, viene approvata la proposta di Togliatti, la quale riafferma il significato
della celebrazione del 1° maggio come giorno consacrato alla festa del lavoro,
e ravvisa per quest’anno l’opportunità di festeggiarla il 30 aprile, per non
pregiudicare alla continuità del lavoro, necessario allo sforzo bellico.
28 aprile
Mi dedico al lavoro di preparazione degli ammassi del grano. Gravosa
questione. Gli ammassi debbono quest’anno riuscire bene ad ogni costo.
Preparo il decreto e le norme d’attuazione insieme con la Commissione di
controllo.
29 aprile
Parto in automobile per Cosenza. Viene insieme con me mio cugino Luigi
Scarnati. Arrivo verso le otto di sera. Mi fermo alla Sezione Comunista per gli
accordi circa la dimostrazione di domani.
30 aprile
Alle nove adunata alla Sezione Comunista. Folla enorme. Sono con noi i
socialisti e gli iscritti alla Camera del lavoro. Circa diecimila persone. Il lungo
corteo si snoda imponente per le vie della città. Sosta nella Piazza lungo Crati.
Il colpo d’occhio è solenne. Una immensa marea nera su cui spiccano le rosse
bandiere. Gli oratori parlano da un balcone. Giacomo Leopardi, operaio;
Ubaldo Montalto, segretario generale della Camera del lavoro; l’avv. Pietro
Serra per il Partito d’azione; l’avv. Gennaro Cassiani per i democristiani;
Pietro Mancini per i socialisti ed io per i comunisti. Quindi si riforma il corteo,
proceduto sempre dalla banda musicale, e percorrendo la parte superiore
della città si torna alle proprie sedi. Nessun incidente.
La sera a casa tra parenti, amici e compagni.
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1 maggio
Alle nove del mattino muovo in automobile verso i paesi del mio mandamento.
Visito Casole Bruzio, Pedace, Serra Pedace, Spezzano Piccolo, Spezzano
Grande e Celico. Ovunque accoglienze entusiastiche. Ritorno verso l’una e
vado alla sede del Comando della Divisione Militare, per partecipare al pranzo
offerto da quegli ufficiali a me, a Mancini e ad altre personalità del mondo
politico paesano. Alle cinque partenza per Salerno dove arrivo a mezzanotte.
2 maggio
Al Ministero tra mille pratiche e mille richieste di impiego, fatte personalmente
e per lettera. Non si immagina quanta gente sia stata sempre antifascista e
come siano numerose le vittime del tirannico regime.
Ogni giorno resto al Ministero dalle otto del mattino alle nove di sera col breve
intervallo per il pranzo. Intanto porto a termine tutte le disposizioni per
l’ammasso del grano.
15 maggio
Passa da me, mentre sta per partire per Bari, il sottosegretario Bergami, il
quale mi riferisce che Badoglio ha deciso, in seguito a pressioni della
Commissione di controllo, di pubblicare oggi, alle 14 e mezzo, il decreto di
fissazione del prezzo del grano (1.000 lire per il grano duro, 900 per il tenero).
Vado subito da Badoglio il quale mi conferma la notizia. Ha pronto il
comunicato. Non solo non si è riusciti ad ottenere di dire esplicitamente che il
prezzo è quello voluto dalla Commissione di controllo, in contrasto con la
diversa opinione del Governo italiano, ma nemmeno di inserire la frase
“d’accordo con la Commissione di controllo”. Gli è venuto fatto soltanto di
ottenere che il comunicato della Commissione, riguardante la provincia di
Foggia e le altre non ancora sotto il nostro controllo, venisse pubblicato alle
14, e che il nostro, da pubblicare alle 14 e mezzo, portasse “per la necessaria
uniformità su tutto il territorio…”.
Mi dice anche Badoglio che Aldisio, ministro dell’Interno, ha avuto stamani
con lui un colloquio e che ad un certo momento gli avrebbe proposto che il
Governo facesse della questione del prezzo un problema di vita o di morte del
Governo stesso. Badoglio gli ha fatto subito presente l’inopportunità della
proposta, soprattutto ora che egli sta trattando con gli Alleati la più complessa
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questione, di indole generale, riguardante i rapporti tra essi e il nostro
Governo. A tal proposito Badoglio mi informa che la risoluzione di tale
questione è a buon punto. Egli ne ha parlato lungamente col generale MacFarlane, il quale gli ha assicurato d’aver trasmesso con parere favorevole le
nostre proposte al primo ministro Churchill. Ne ha parlato anche con gli
ambasciatori inglese e americano, nonché con un generale canadese molto
intimo del capo del governo del Canadà, il quale, mi riferisce Badoglio,
durante il colloquio si è oltremodo commosso, fino quasi a piangere.
Badoglio mira ad ottenere che la posizione del governo e del popolo italiano,
di fronte agli Alleati, sia una buona volta definita. Il governo democratico,
voluto da costoro, (a quanto almeno dicevano) si è finalmente costituito.
Nessun pretesto o ragione è più possibile accampare perché l’Italia venga
alfine considerata lealmente come alleata e non come colonia conquistata.
Senza contare che un si fatto leale trattamento dell’Italia avrebbe una sicura e
benefica ripercussione sugli altri paesi (Romania, Bulgaria, Finlandia, ecc.)
che anelano il momento di liberarsi dal giogo tedesco e che in tanto farebbero
in tal senso un’azione con maggiore decisione in quanto sapessero che
dall’altro lato vi sono leali liberatori e non conquistatori.
Mi ha detto anche Badoglio di sapere che è per via una lettera a lui diretta da
Roosevelt in risposta ad una sua riguardante lo stesso argomento.
Così stando le cose Badoglio pensa che non sia il caso di fare della questione
del prezzo del grano, per quanto importantissima, una condizione sine qua
non per la ulteriore vita del governo. Egli per tale questione si è limitato a
scrivere al generale Mac-Farlane una lettera che mi legge, con la quale mette
energicamente le cose a posto facendo risalire agli Alleati, e soltanto ad essi,
le eventuali disastrose conseguenze del basso prezzo del grano, così come
da essi fissato.
Approvo incondizionatamente la condotta del Maresciallo e non mi esimo dal
dirglielo nella maniera più aperta.
Era presente al colloquio il sottosegretario alla Presidenza, Morelli.
16 maggio
Ho passato tutta la giornata al Ministero. Ho preparato, insieme col consigliere
di Cassazione Luigi Viceconti, capo del mio ufficio legislativo, il testo
definitivo dello schema di decreto per la proroga dei contratti agrari e della
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relazione che lo accompagna. Andrò al prossimo consiglio dei ministri che si
terrà il 22, e penso che ci sarà dibattito. I proprietari vorrebbero infatti che la
proroga si accordasse con l’aumento del canone dei fitti, e vi sarà, penso,
qualche ministro che ne sosterrà in consiglio il punto di vista.
17 maggio
Nulla di notevole. Vado come al solito al Ministero dove sbrigo l’ordinario
lavoro di ufficio.
18 maggio
Verso le 13 ricevo nel mio gabinetto il ministro Mikhail Kostylev,
rappresentante
del
Governo
sovietico
presso
il
Governo
d’Italia.
Conversazione interessantissima perché egli sa di parlare oltre che col
ministro, anche e soprattutto col compagno. Ciò, s’intende, non cancella se
non in parte il suo naturale riserbo diplomatico. Si parla delle condizioni
dell’Italia e delle sue relazioni con gli Alleati. Della guerra e delle condizioni
della Repubblica Sovietica, specie in rapporto all’alimentazione, la quale, per
quanto riguarda l’Italia liberata, ha formato oggetto di lungo discorso.
Appena congedatosi il ministro, vado a mangiare un boccone e, insieme con
Natino La Camera e mio figlio Eugenio, parto in automobile per Cosenza.
Viaggio ottimo fino a Morano, dove mi fermo per andare a far visita al vecchio
e ottimo compagno Nicola De Cardona, ora sindaco del suo paese. Lo trovo
a letto leggermente infermo. Uscendo, trovo sulla piazza raccolta molta folla,
la quale, avendo saputo della mia presenza, mi fa festa e chiede che io parli.
Breve discorso, col quale invito gli ascoltatori a far di tutto perché i “Granai del
popolo” abbiano pieno successo.
Riprendo il viaggio. Dopo poco, primo scoppio di gomma e pronto riparo.
Arrivati alla vicina Castrovillari, secondo scoppio. Non ho altra ruota di scorta,
né nulla per riparare. E’ festa e le officine sono chiuse. Ricorro ai carabinieri, e
dopo un paio d’ore, con l’opera di un meccanico pescato in un cinema, la
macchina è in condizioni di riprendere la marcia. L’autista, che non sa bene il
fatto suo, prende con corsa così veloce il breve rettifilo che precede il bivio di
Frascineto che, arrivato alla curva, non riesce a dominare la macchina, la
quale va così a sbattere violentemente contro un palo telegrafico. Rottura del
vetro anteriore, fortunatamente infrangibile. Un piccolo pezzetto, però mi
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colpisce alla fronte e mi provoca una piccola ferita. La macchina non va più
avanti. L’autista va a piedi a Castrovillari ad avvertire dell’infortunio il capitano
dei carabinieri, il quale mi procura e mi manda un’altra automobile. In
conclusione: invece che alle otto di sera, arrivo a Cosenza alle tre del mattino.
19 maggio
Sono costretto ad alzarmi per tempo date le molte persone che chiedono di
parlarmi. E passo l’intera giornata tra postulanti di ogni genere, che non mi
lasciano riposare nemmeno un minuto.
20 maggio
Ore antimeridiane e pomeriggio: ricevimento continuo. A sera, verso le ore
nove, riunione plenaria della sezione comunista nella quale tengo un lungo
discorso sulla mia opera di ministro circa i Granai del popolo. Grande
entusiasmo.
21 maggio
Alle tre del pomeriggio parto per il ritorno a Salerno. Ho deciso, però, di
passare la notte a Grassano (Lucania) ospite del compagno Mario Palermo,
sottosegretario alla guerra, che mi ha invitato telefonicamente. Per tener dietro
ad indicazioni, dimostratesi poi inesatte, sbaglio strada. Percorro circa
duecento chilometri senza che nessuno mi sappia precisamente dire dove
questo benedetto Grassano si trova. Poco prima d’un paesello, chiamato
Valsinni ho, uno dopo l’altro, due scoppi di gomma. E’ notte e non posso
riparare. E’ vicino il paese di Colobraro, dove mi si dice essere una stazione
dei carabinieri. Va l’autista (18 chilometri andata e ritorno). Ritorna alle due di
notte, senza però aver trovato nulla. Finalmente albeggia. Per fortuna un
cantoniere statale, presso il quale l’infortunio ci ha fermati, mi dà da mangiare.
A giorno fatto un passante ci informa che a Valsinni c’è un’officina ben
attrezzata. Poiché si tratta di 4 chilometri, riusciamo a porre una ruota in
condizione di poterli percorrere. Troviamo infatti l’officina e mettiamo a posto
la macchina. Alle undici partenza. In definitiva: arrivo a Salerno alle nove di
sera, dopo quasi due giorni di viaggio.
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22 maggio
Torno al Ministero dopo tre giorni di assenza. Numerose pratiche
ammonticchiate che mi adopero a sbrigare.
23 maggio
Alle ore dieci consiglio dei ministri. Badoglio riferisce sulla partecipazione delle
truppe
italiane
all’offensiva
in
corso.
Nostra
richiesta
perché
tale
partecipazione sia ammessa dagli Alleati in maggiore misura. Comunica che il
numero di 14.000, limite massimo consentito finora, è stato portato a 28.000.
E in tal numero le truppe italiane sono pronte ad entrare in battaglia.
Badoglio riferisce poi su un memoriale (a me già noto) inviatogli dal ministro
compagno Togliatti, il quale gli fa presente la necessità che il Governo faccia
seguire alla dichiarazione sulla politica interna una simile dichiarazione sulla
politica estera. Viva discussione e infine si dà mandato al conte Sforza di
prepararla includendovi come principale argomento un’unione di Stati.
Badoglio riferisce sull’opera esplicata finora dalla Commissione dei quattro
(Badoglio, Sforza, Togliatti e Tarchiani) e sui colloqui avuti con i rappresentanti
delle varie potenze da parte dei primi tre. Lunga relazione del Ministro della
Guerra sulla situazione militare. Epurazione dell’esercito; si posticipa per
quanto riguarda gli ufficiali della milizia.
Alle ore 14 si riprende il Consiglio interrotto alle 12.
Badoglio legge la lettera che egli a nome del Consiglio invia al generale
Alexander per il successo delle armi alleate e per l’intervento alla battaglia
delle nostre truppe.
Sforza legge la dichiarazione sulla politica estera, che ha preparato in nome
del Governo. Si discute sull’accenno circa l’impegno dell’Italia di punire i
crimini commessi contro le nazioni aggredite dal fascismo alleato del nazismo.
Si approva la formula suggerita da Badoglio.
In ultimo riferisce Arangio-Ruiz sui ritocchi alla legge sulla defascistizzazione.
E poiché l’ordine del giorno non è esaurito, si rinvia alle ore 10 del 25.
24 maggio
Nulla di notevole. La solita e ordinaria vita ministeriale.
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25 maggio
Ore 10 consiglio dei ministri. Il Guardasigilli riferisce sulla istituzione in Salerno
di due sezioni della Cassazione.
Si decide di cambiare il nome di Ministero dell’Educazione Nazionale in quello
di Ministero della Pubblica Istruzione. Si revoca il divieto di nominare gli
stranieri professori delle Università, e l’altro di nominare le donne presidi o
insegnanti nelle scuole medie superiori. Si inizia la discussione sul mio
progetto di decreto – legge di proroga dei contratti agrari, che continua poi nel
pomeriggio.
Lunga
e
animata
discussione,
nella
quale
polemizzo
continuamente con Benedetto Croce. Il quale, nonostante la grandezza del
suo ingegno, dimostra nel caso un’angustia di vedute, che può solo spiegarsi
con una valutazione ferocemente classista del progetto in parola. In brevi
termini io sostengo che la proroga debba concedersi sic et simpliciter, non
essendo opportuno, né politicamente né socialmente, accompagnarla con un
aumento del canone di fitto in denaro. Come si potrebbero decentemente
migliorare le condizioni “dei proprietari terrieri” senza aver prima provveduto
all’aumento dei salari agli operai e degli stipendi agli impiegati? E come si
potrebbe non consentire lo stesso aumento ai proprietari di case? E che si
direbbe di un governo democratico il quale aumentasse il canone dei fitti di
casa? Ma Benedetto Croce non si lascia persuadere e piange sulla sorte dei
poveri proprietari! I quali (e lo dico esplicitamente) hanno poi quasi tutti
aumentato i canoni facendo giocare a proprio vantaggio la minaccia della
disdetta, in quanto lo stato della vigente legislazione è che i canoni sono
bloccati ma il proprietario è libero di licenziare il colono!! La discussione si fa
sempre più movimentata e vi partecipano quasi tutti i ministri. Temo in un
certo momento, nonostante l’intervento sempre autorevole del compagno
Togliatti, che il progetto debba naufragare. Allora riprendo la parola e insisto
sulla portata politica del provvedimento, che è atteso da vasti strati di
popolazione agricola, la quale, vedendo deluse le sue giuste aspettative,
potrebbe divenire un elemento di pregiudizievole disordine. Rispondono gli
avversari, soffermandosi sul fatto che grossi fittuari si arricchiscono e
profitteranno quindi della intangibilità del canone. Ed è vero. Ma è vero, d’altra
parte, che i grossi fittuari sono una minoranza; non solo, ma se si facesse
un’eccezione a loro carico, si avrebbe l’ingiusta conseguenza che i grossi
proprietari verrebbero ad essere avvantaggiati, mentre non lo sarebbero i
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piccoli proprietari, dato che questi avrebbero di fronte i piccoli fittuari, quelli,
cioè, che si vorrebbero risparmiare. Senonchè, Croce, Rodinò e altri tengono
duro e propongono che si istituisca in ogni mandamento una commissione
presieduta dal pretore, la quale avrebbe il potere di esaminare l’opportunità,
caso per caso, dell’aumento del canone in denaro.
Poiché vedo in pericolo l’intero progetto, mi vedo costretto a cedere, ma
sostengo che le commissioni debbano anche esaminare il caso del fittuario
che chieda eventualmente la diminuzione del canone in generi.
A questa mia proposta accade un fatto inverosimile. Benedetto Croce si era
trovato all’inizio della discussione a dire incidentalmente che egli, da
amministratore accorto, aveva provveduto a dare in fitto i suoi beni con canoni
in generi. Evidentemente questo fatto deve avergli dato l’impressione che,
approvandosi la proposta della commissione, egli potrebbe trovarsi nel caso di
dover resistere, ed eventualmente senza fortuna, a qualche richiesta di
diminuzione del canone da parte di qualche suo fittuario. E allora egli, che fino
a quel momento si era battuto come un leone contro la proroga sic et
simpliciter, improvvisamente fa macchina indietro e accetta senz’altro in pieno
il mio decreto, con la sola limitazione proposta da Badoglio e accettata da me,
del termine di un anno invece di quello fino alla fine della guerra. E così il
progetto viene approvato. Filosofo si, e grande; ma difensore del proprio
privilegio capitalistico anche, e come!
26 e 27 maggio
Nulla di notevole. Il 27, nel pomeriggio, parto per Cosenza, insieme con Silvio
Saraceni. Arrivo a Cosenza alle 11 di sera.
28 maggio
Giornata movimentatissima, dato che il giorno prima c’è stata una
dimostrazione, in massima parte di donne, per l’aumento della razione del
pane. La dimostrazione, anzi, è avvenuta per il fatto che avendo il Comune,
per eseguire un controllo sul numero delle tessere, ritirate queste e dato ai
cittadini tre razioni anticipate, i cittadini hanno naturalmente mangiato in una
volta ciò che doveva bastare per tre giorni. Onde stomaco vuoto e
conseguente dimostrazione. La quale ha ottenuto che per il terzo giorno si
distribuisse un’altra razione.
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29 maggio
Alle nove del mattino parto per Salerno. Arrivo alle sei di sera. Viene con me
per proseguire a Napoli, la sorella del collega Quintieri col marito.
30 maggio
Nulla di notevole.
31 maggio
Riunione dei socialisti e comunisti partecipanti al Governo insieme con i
componenti le rispettive direzioni dei partiti. Manca Pietro Mancini. Si discute a
lungo sulla situazione e sulla necessità di un’azione comune meglio
coordinata. Si approva infine un ordine del giorno, che verrà portato alla
Commissione Alleata.
1 giugno
Ore 10: consiglio dei ministri. Comunicazione di Badoglio sulla partecipazione
delle truppe italiane alla battaglia in corso. Sforza legge una dichiarazione, da
lui preparata, da far leggere al re appena Roma sarà conquistata. Il re dichiara
di lasciare per sempre il potere e di nominare suo figlio luogotenente. La
dichiarazione è fissata, ma si è sicuri di quel che avverrà appena la capitale
sarà liberata dai tedeschi? I patrioti romani, che hanno tanto sofferto,
permetteranno che i Savoia rimangano ancora al potere?
Si passa a discutere sulla condizione delle prefetture e sulla necessità di
provvedere, ma, data l’importanza dell’argomento, se ne rinvia la trattazione al
pomeriggio.
Si dà una definitiva sistemazione all’Associazione dei combattenti, nominando
presidente l’onorevole Viola, contro la nomina del quale, io, per disciplina di
partito, non ripeto le obiezioni fatte in una precedente seduta. Si inizia la
discussione sul progetto di decreto sulle carriere, col quale si mira ad
annullare i privilegi di nomina e di promozione conseguiti dai funzionari
durante il ventennio per meriti fascisti.
Si sospende la seduta a mezzogiorno e si riprende alle 2. Si riprende la
discussione sul decreto delle carriere, ma infine viene rinviata a dopo
l’applicazione delle leggi sulla defascistizzazione e sulle epurazioni. Si affronta
il grave e spinoso problema per l’aumento dei salari e degli stipendi, i quali
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sono in misura tale da consentire soltanto di morire di fame. Si approva un
forte ordine del giorno, che il Presidente ed altri ministri presenteranno al
generale Mac-Farlane, Capo della Commissione Alleata, la quale insiste a non
voler permettere che l’aumento ci sia.
Si passa alla discussione sulla politica generale, con speciale riguardo alle
condizioni delle Prefetture. Spinosa situazione, specie in Sicilia, dove il
separatismo, aiutato dall’opera dell’Alto Commissario e di molti prefetti, lavora
contro il Governo. Tutto ciò non deve né può durare. Ma il ministro dell’interno,
siciliano, che pure è o almeno ritenuto un sicuro unitario, non mostra di voler
provvedere con la dovuta energia. Si discute anche sul fatto se i prefetti, che
converrà nominare per il risanamento del paese, debbano essere di partito o
di carriera. Ad ogni modo si fanno insistenze al ministro perché presenti al
prossimo consiglio la lista dei prefetti da nominare.
Infine il Guardasigilli presenta un progetto di decreto per la nomina di giudici,
dato che la mancanza di concorsi negli ultimi anni ha impoverito il personale.
2 giugno
Alle nove parto per Napoli. Alle 11 sono a Napoli, e vado subito alla
Commissione di controllo per discutere di alcune modifiche da essa proposta
per il decreto sulla proroga dei fitti agrari. Dopo lungo dibattito sono costretto
ad accettare un articolo aggiunto, il quale del resto, e per fortuna, non modifica
la sostanza del decreto.
Torno alle quattro a Salerno. Vado da Badoglio, nel cui Gabinetto abbiamo,
insieme con i colleghi delle Finanze e degli Interni, un colloquio con il generale
Mac-Farlane sull’aumento degli stipendi e dei salari. Povera Italia! Non
possiamo nemmeno provvedere alla fame dei nostri concittadini!! Maledetto il
fascismo! Il Generale promette vagamente, affermando soprattutto che egli
cercherà, piuttosto che ottenere l’autorizzazione dell’aumento dei salari e delle
retribuzioni, quella delle razioni. Speriamo.
3 giugno
A mezzogiorno parto per Cosenza, dove arrivo verso le 7, insieme con
Angiolino Corrado.
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4 giugno
Da Salerno mi telefonano la tanto attesa notizia della liberazione di Roma, e
quella che domani, data la nuova situazione creatasi, si riunirà il consiglio dei
ministri. Necessità quindi di partire immediatamente. E parto infatti alle ore sei
del pomeriggio e con me vengono Dora, Luigino, mio figlio, con la moglie
Franca, Angiolino Corrado. Si arriva a Salerno verso le tre dopo mezzanotte.
5 giugno
Alle ore 10 consiglio dei ministri. Data notizia della comunicazione della
liberazione di Roma, Badoglio ricorda che il 12 aprile il re fece la nota solenne
dichiarazione con la quale, osservato che fu lui a porre fine il 25 luglio al
regime fascista (!!!), prende l’impegno di ritirarsi a vita privata e di trasmettere
i poteri al figlio Umberto appena liberata Roma. Badoglio continua riferendo
che ieri, appena avuta notizia ufficiale da parte degli Alleati della liberazione
della capitale, la comunicò al re. In seguito ebbe un colloquio con il generale
Mac-Farlane, al quale fece presente il desiderio espresso da Vittorio
Emanuele di poter fare la dichiarazione promessa da Roma invece che da
Ravello. Ma Mac-Farlane gli obiettò che non era possibile aderire al desiderio
del re, per la ragione che, non potendo il re recarsi a Roma se non tra cinque
o sei giorni, le opinioni pubbliche inglese e americana non avrebbero
compreso il motivo del ritardo e lo avrebbero sfavorevolmente interpretato.
Badoglio riferì tale risposta al re. Il quale, in seguito a ciò, ha pensato di
preparare una lettera diretta al generale Mac-Farlane, e che Badoglio
dovrebbe far sua e firmare, con la quale si chiede
al detto generale di
consentire che il re vada in aereo a Roma, atterrando all’aeroporto di Via
Salaria, si rechi da qui a Villa Savoia, senza entrare in città, e dalla Villa possa
datare la dichiarazione. In subordinata chiede di poter firmare nell’aeroporto
stesso la dichiarazione e ripartire immediatamente per Ravello. In caso di
diniego, anche nei confronti di questa seconda richiesta, si chiede con la
lettera al generale Mac-Farlane che si renda di pubblica ragione la repulsa, in
modo che si sappia che il re è stato posto nella impossibilità di andare a
Roma. Il Maresciallo Badoglio continua dicendo che, avuta la lettera preparata
dal re, egli non ha ritenuto di poterla firmarla senza averne avuto
autorizzazione dal consiglio dei ministri, data la evidente portata politica del
documento.
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Prende la parola Benedetto Croce il quale afferma che si verrebbe meno a un
dovere di cortesia (!!!) negando al vecchio re questa soddisfazione. Tanto il
consenso del consiglio avrebbe un valore soltanto platonico, perché si è sicuri
che gli Alleati non darebbero in nessun caso il chiesto permesso. Sforza
aderisce a quanto dice Croce. Tarchiani manifesta la sua indifferenza che il re
firmi la dichiarazione a Ravello o a Roma. Di Napoli fa presente che se il
consiglio autorizzasse Badoglio a firmare la lettera, verrebbe a dare un valore
ancora maggiore al sicuro diniego degli Alleati; ciò che è da evitare, dato il
significato politico dell’atto del re. La cortesia, quindi, non c’entra per nulla.
Croce insiste, facendone una questione di umana gentilezza. Sforza dichiara
di essere preoccupato per le giuste osservazioni di Di Napoli. Rodinò si
associa a Croce. Tarchiani riprende la parola e si dichiara questa volta
contrario ad autorizzare la firma della lettera da parte di Badoglio. Prendo la
parola per sottolineare il valore politico della richiesta del re e per affermare
che è da escludere ogni considerazione di cortesia. Di Napoli riafferma il suo
concetto, e aggiunge che Badoglio in tanto ha portato la cosa al consiglio, in
quanto ha ben visto il suo carattere politico. Si associa a ciò Mancini, il quale
fa giustamente osservare che è il re stesso a imprimere alla sua richiesta un
valore eminentemente politico, dato che egli confessa che fa la richiesta per
salvaguardare la monarchia. Poiché, nonostante ciò, Croce insiste, io gli
ricordo il verso di Dante: “E cortesia fu lui esser villano”. Aldisio si esprime
favorevolmente a Croce. Interviene Badoglio per precisare che egli ha ritenuto
urgente sentire il parere del consiglio, perché ha ben visto il carattere politico
della richiesta. Tarchiani propone una via di mezzo: mandi il re direttamente la
lettera a Mac-Farlane, escludendo il Governo. Cerabona si associa. Di Napoli
è contrario perché il consiglio non deve dire al re cosa debba e possa
privatamente fare. Ad esso spetta soltanto dire il suo parere sulla richiesta. Il
ministro dell’Aeronautica, pensa che un diniego del consiglio farà una pessima
impressione sull’uomo della strada. Quintieri e il ministro della marina si
associano a Croce, e così il ministro della guerra.
Mancini ricorda che il re deve, da galantuomo, mantenere l’impegno assunto
di firmare la dichiarazione di rinunzia al potere, appena le truppe alleate
entrano in Roma.
Sforza intende l’importanza politica della cosa e propone che Badoglio
riferisca verbalmente al generale Mac-Farlane il desiderio del re, e poi
90
comunichi a questo la risposta, senza che si faccia di nulla comunicato
ufficiale. In tale senso Badoglio presenta un ordine del giorno che risulta
approvato, avendo votato contro sei ministri: Mancini, Di Napoli, Tarchiani,
Omodei, Cerabona ed io. Togliatti è assente.
Badoglio comunica che egli ha deciso che vada a Roma prima il governo e
sistemi le cose, e che il principe Umberto, che intanto sarà nominato
luogotenente, vada dopo. A corte si vorrebbe il contrario. Il consiglio è
unanime nell’approvare la decisione di Badoglio.
Si passa a discutere della persona del luogotenente, dato che Tarchiani
presenta una dichiarazione, da lui preparata e che il consiglio dovrebbe far
propria, con la quale, considerato che l’intervista concessa dal principe al
Times è tale atto da rendere impossibile che il principe possa rivestire la
carica di capo dello stato, si invita il re a far cadere la nomina su altra persona
escludendo che questa possa essere il Duca d’Aosta. Croce, pur convinto
che il principe Umberto è un’incapace, ritiene che non sia opportuno in questo
momento sollevare una simile questione.
A proposito della incapacità del principe, Croce ricorda che, nella recente
visita che Umberto ebbe a fargli, non trovò argomento più opportuno se non
quello riflettente vecchie stampe e libri antichi. E avendo Croce cercato di
richiamarlo a considerazioni di ordine politico, non gli venne fatto di vincere la
opacità politica dell’illustre interlocutore.
Omodei dà enorme importanza al fatto che il principe nell’intervista ha
riversato sul popolo italiano la responsabilità della guerra: ciò può portare a
conseguenze molto pregiudizievoli per l’Italia allorché si sarà al tavolo della
pace.
Croce si dichiara d’accordo sul riconoscere l’incapacità del principe il quale si
liquiderà certamente da se stesso. Ma oggi è inopportuno sollevare la
questione della sua sostituzione, anche per l’atteggiamento degli Alleati.
Sforza dice che, pur avendo pertinacemente voluto l’allontanamento del re,
deve però riconoscere che egli non ha mai fatto nulla che possa lontanamente
paragonarsi a ciò che ha fatto il principe con l’intervista. Anche ad ammettere
che lo abbia fatto inconsciamente. Egli quindi propone che si faccia
sollecitamente agli Alleati la proposta di consentire al re che rimanga ancora
per pochi giorni per poter dar modo al consiglio di esprimere il suo parere sulla
persona del luogotenente. Togliatti, che è entrato pochi momenti fa, interviene
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nella discussione sostenendo la inopportunità di suscitare ora la questione del
luogotenente.
Intanto Badoglio ha notizia che è per arrivare a Salerno, per avere un
colloquio con lui, il generale Mac-Farlane. Si sospende quindi la seduta,
rimandando alle ore 18.
Ore 18: si riprende la seduta:
Badoglio dà notizia di un telegramma pervenutogli da Roma da parte del
generale Bencivenga, il quale ha assunto, in nome del regio governo e
d’accordo con gli Alleati, il governo civile e militare di Roma. Dà poi
comunicazione del colloquio con Mac-Farlane, il quale lo ha pregato di non
sollevare per ora la questione della persona del luogotenente, dato che sono
in corso le trattative per migliorare la condizione politica dell’Italia. Badoglio
pone ai voti la questione. Tarchiani dice di accettare, a patto che
contemporaneamente il consiglio rinnovi la condanna del principe per quanto
egli ha detto nell’intervista. Omodei si associa. Togliatti afferma la inutilità di
una tale dichiarazione, dato che il consiglio si è già pronunciato, sia
condannando esplicitamente l’intervista e sia con la sua dichiarazione di
politica estera. Badoglio è contro la dichiarazione. Così Di Napoli, per il quale
la dichiarazione sarebbe o troppo o troppo poco. Tarchiani e Omodei
insistono. Mancini propone che si risponda in modo solenne al telegramma di
Bencivenga e che in tale risposta il consiglio riaffermi la irresponsabilità del
popolo italiano nella guerra. Tale proposta è accettata e si procede, da parte
di Badoglio, alla formulazione del telegramma.
Prendo io la parola per sostenere la necessità che i ministri giurino nelle mani
del luogotenente, e ciò per dare all’atto del re il significato preciso di rinuncia
definitiva al potere. Solo così la nomina del luogotenente può perdere
quell’ibrido senso che è stato certamente presente nella volontà di Vittorio
Emanuele, allorquando questi, non potendo più resistere all’unanime volontà
popolare di richiedere l’abdicazione, ha fatto la dichiarazione del 12 aprile.
Di Napoli, che non intende bene la portata della mia proposta, è contrario.
Sforza è favorevolmente contrario. E la proposta cade.
Badoglio fa noto che il suo segretario per gli affari esteri gli suggerisce
l’opportunità che il consiglio, per prevenire ogni mossa francese, dichiari
decaduto l’armistizio del 1940. E il consiglio approva.
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6 giugno
Alle quattro e mezzo del mattino, insieme con Dora, Luigino e Franca, parto in
automobile per Bari, dove arrivo verso mezzogiorno. Immediatamente mi reco
in prefettura, dov’è una riunione di tutti i sindaci della provincia. Il Prefetto
Falcone Lucifero, mi presenta. Parlo ai sindaci sulla loro responsabilità per la
riuscita dei “Granai del popolo”. Mi sbrigo all’una. Mangio in fretta e furia e alle
due sono al congresso regionale dei contadini. Mi si accoglie con grandi
applausi. Assisto alle ultime discussioni e poi faccio il discorso di chiusura del
congresso. Alle ore sei ci rimettiamo in macchina alla volta di Cosenza, dove
si giunge alle undici. Dopo due nottate quasi bianche e due giornate di gran
movimento, mi è dato alfine di riposare.
7 giugno
Mi sbrigo in fretta e in furia di tante piccole cose e alle 11 e mezza parto per
Salerno. Sono solo. Arrivo alle 6 di sera. Trovo che il governo è dimissionario.
Mi si dice che ciò è avvenuto perché gli Alleati e qualche nostro
costituzionalista (leggi on. De Nicola) hanno pensato che il luogotenente
(entrato in carica ieri, in seguito al decreto di rinunzia e di passaggio dei poteri
da parte di Vittorio Emanuele) è da considerare come nuovo capo dello Stato.
E’ la mia tesi; quella cioè che mi aveva suggerito di proporre al consiglio la
necessità del giuramento. E così i ministri si trovano dismessi senza che molti
di essi ne sappiano nulla. Sostanzialmente, non c’è nulla di male, dato che,
per la situazione di Roma, alle dimissioni si doveva necessariamente
pervenire, per dar modo agli uomini “politici”, ora rientrati di far parte del nuovo
governo. Ma formalmente la cosa è tutt’altro che bella.
8 giugno
Si dice che stamane, alle ore otto, da Napoli siano partiti in aereo per Roma
Badoglio e i sei rappresentanti dei partiti, e cioè Togliatti per i comunisti,
Rodinò per i democristiani, Croce per i liberali, Cianca per il partito d’azione,
Cerabona per i democratici del lavoro e Longobardi per i socialisti.
Intanto il ministero dimissionario resta in carica per il disbrigo degli affari di
ordinaria amministrazione. A sera so che la partenza di Badoglio e dei
rappresentanti dei sei partiti da Napoli per Roma è effettivamente avvenuta
stamani.
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La sera del 6, mentre io ero in viaggio da Bari a Cosenza, qui a Salerno si
svolgeva il comizio per la liberazione di Roma. Nel comizio parlò Mancini, il
quale, parlando delle fanfaronate di Mussolini, gli venne detto di chiamarle
“americanate”. La definizione, in questo momento, fu sottolineata dalla folla.
La gaffe intanto era stata consumata. “Voce dal sen fuggita…” E il giorno
dopo, sul Corriere, giornale di Salerno, è apparso il chiarimento, col quale si è
in qualche modo ovviato al curioso incidente, in quanto si è detto che Mancini
avrebbe espresso un ben diverso pensiero, e cioè che Mussolini soleva
parlare di americanate, per porre in ridicolo l’apporto alla guerra dell’America,
la quale ora risponde alla stolta ingiuria mantenendo in Europa, sul teatro
della guerra, migliaia di navi e migliaia d’aeroplani.
9 giugno
Alle nove arrivo in ufficio, dove mi dicono che la radio ha comunicato che
l’onorevole Bonomi è stato incaricato di formare il nuovo Gabinetto. Io sono
all’oscuro di ogni cosa. Nel pomeriggio mi danno un’altra notizia, anch’essa
arrivata dalla radio, e cioè che Bonomi avrebbe accettato l’incarico a
condizione di non prestare giuramento al principe Umberto.
10 giugno
Verso le ore dieci, mentre sono nel mio Gabinetto intento al mio lavoro, mio
figlio Pietro mi chiama al telefono da Cosenza, e mi dà notizia di aver appreso
dalla radio la mia riconferma a ministro dell’Agricoltura. Dopo un poco la
notizia mi viene anche comunicata da altri amici e compagni. Fino a questo
momento appare escluso dal nuovo ministero Pietro Mancini. Vado a fargli
visita nel pomeriggio ed egli non sa nascondere il suo disappunto. Al suo
posto di ministro senza portafoglio, come rappresentante del partito socialista,
è designato Saragat. Dei vecchi ministri restiamo soltanto Togliatti, Sforza,
Croce, Cerabona, De Courten ed io.
11 giugno
Vado a Napoli dove, nel teatro S. Lucia, assisto al comizio per la
commemorazione di Matteotti. Sono venti anni! Rivive nel mio ricordo quel
periodo tempestoso, in cui pareva che il fascismo dovesse inevitabilmente
crollare sotto il peso delle sue vergogne. E gli aventinisti si illusero appunto
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che una questione morale potesse valere come causa del crollo di un regime.
E la illusione ha costato al popolo italiano tanti lutti e tante rovine!. Stanno
parlando al comizio gli onorevoli Zaniboni e Pietro Mancini. Il primo mistico e
piagnucoloso,
il
secondo
stucchevolmente
episodico
e
anch’esso
singhiozzante: due discorsi fuori tono e che non sono riusciti ad avere echi
efficienti negli animi degli ascoltatori.
Intanto si sa che Pietro Mancini, che pareva in un primo momento escluso, va
invece ai lavori pubblici, al posto di Romita, di cui si era fatto il nome.
Verso le sette del pomeriggio vado a casa di Togliatti, che era tornato in aereo
da Roma, insieme con gli altri ministri uscenti andati a Roma per la
costituzione del nuovo ministero. Egli ci fa la cronistoria della elaborazione che
il nuovo Gabinetto ha richiesto. A Roma si è trovato il Comitato di liberazione
che ha funzionato durante il dominio tedesco, il quale naturalmente voleva
avocare a sé la direzione di ogni cosa. Si è richiesto da esso e ottenuto la
defenestrazione di Badoglio e l’incarico a Bonomi, nonché l’abolizione del
giuramento di fedeltà al re. E va bene. Ma non è da dimenticare che Bonomi
fu nel 1921 il presidente del consiglio che diede armi ed aiuti al fascismo
sorgente, e cioè l’esponente di quella così detta democrazia che rinnegando il
suo passato e i suoi principi aprì le porte alla sanguinosa reazione
antiproletaria. Ed è anche rimarchevole il fatto che entra nel nuovo Gabinetto
lo spettrale Casati, che fu ministro di Mussolini nel 1924. Se dovessi dire, a
me pare che il nuovo governo non costituisca un passo in avanti di fronte al
primo. Togliatti ci racconta che la situazione creatasi non consentiva di meglio,
e che molto ha nuociuto ai partiti comunista e socialista l’atteggiamento di
Pietro Nenni, il quale non ha avuto nessun tatto e nessun accorgimento.
Penso, del resto, che sia meglio per il nostro partito il non aver assunto una
posizione più preponderante. V’è da notare però, a favore della nuova
formazione, la posizione di inferiorità in cui è stato posto l’elemento militare.
Quali conseguenze si avranno da questo fatto? Un colpo di stato militaresco?
Bisogna vigilare e seguire attentamente lo sviluppo della situazione. Questa
possibilità di controllo, per quanto limitata, è l’unica vera cosa che giustifica la
nostra partecipazione al governo.
Togliatti mi racconta che Mancini è entrato nel ministero perché i socialisti si
sono accorti, quando già il nuovo Gabinetto era formato, che nessun
meridionale vi era del loro partito. E allora Romita, nominato già ministro dei
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lavori pubblici ha, per ovviare al lamentato inconveniente, lasciato il posto, che
è stato così assegnato a Pietro Mancini. Il quale così si è rasserenato.
12 giugno
Alle 3 del pomeriggio mi chiamano alla Presidenza del Consiglio. Trovo
Badoglio, Bonomi e qualche altro ministro degli uscenti e dei nuovi. Ci si
comunica che poco prima il generale Mac-Farlane ha fatto presente che il
nuovo Gabinetto non può insediarsi se prima non si ha il consentimento delle
tre potenze alleate: Inghilterra, Stati Uniti e Russia. La cosa è di una gravità
eccezionale, anche perché lo stesso Mac-Farlane non doveva prevederla,
tanto che è stato egli stesso a stimolare perché il nuovo governo si formasse
subito e quasi ad insediarlo. Come si spiega il fatto? Si fanno cento ipotesi. Io
penso che sia l’Inghilterra a volere che sia presente - ora specialmente che il
re ha deposto il potere – almeno Badoglio, uno cioè cui possa rinfacciarsi la
responsabilità italiana nella guerra. Non si vuole, insomma, penso anche per
istigazione della Francia, che l’Italia vada alla pace smettendo del tutto la sua
qualità di nazione vinta. Intanto Bonomi, di fronte all’opinione pubblica che sa
del nuovo Gabinetto già pronto a funzionare, e che non saprebbe quindi
spiegarsi una reviviscenza del vecchio, ha preparato un comunicato, col quale
si dice che, dato che non tutti i ministeri sono a Salerno e che quindi sono
complesse e lunghe le operazioni di passaggio dei poteri, resta in carico il
vecchio Gabinetto fino al giorno in cui tali operazioni saranno terminate. Sono
e mi dichiaro subito contrario a un comunicato simile, il quale non
ingannerebbe quelli che capiscono e creerebbe nella massa, che non
capirebbe, la più penosa impressione. Dico io: o non si pubblica nulla, o si
dice la verità perché almeno si tragga dall’imprevenuto avvenimento, quel
vantaggio che si può avere dal fatto che l’opinione pubblica mondiale venga a
conoscenza del modo come è trattato il governo d’una nazione che si dice
restituita a libertà. Dopo lunga discussione, si stabilisce di non fare alcun
comunicato e di convocare i ministri uscenti e nuovi per mercoledì,
dopodimani, alle ore 10.
Appena libero, insieme con Molinelli nuovo sottosegretario all’Industria e
Commercio e mio compagno, vado a Napoli a dar conto a Togliatti del nuovo
fatto. Lo troviamo a casa. Gli racconto ogni cosa. Apprezza il mio operato. Egli
pensa, però, che la cosa possa essere stata provocata dalla Russia, per il
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fatto che questa non sarebbe stata avvertita di nulla dall’Inghilterra e dagli
Stati Uniti. Sarà così? Per assicurarsene, Togliatti va all’ambasciata Russa ad
assumere notizie. Poiché, però, alle nove di sera, ora dell’appuntamento, non
è ancora tornato, né si sa quando tornerà, io e Molinelli lasciamo Napoli e
partiamo alla volta di Salerno. Facciamo un viaggio infame, perché i fari
dell’automobile non funzionano e la notte è buia. Arriviamo per fortuna sani e
salvi verso mezzanotte.
13 giugno
So che molto probabilmente si ovvierà al grave fatto accaduto facendo entrare
nel Gabinetto, come ministro degli esteri, il maresciallo Badoglio. Ciò darebbe
ragione alla mia supposizione. Ma ancora non c’è nulla di sicuro. Stamani ho
avuto un breve colloquio con Badoglio il quale però non mi ha detto nulla di
nuovo.
14 giugno
Alle ore 10 riunione plenaria, non ufficiale, di tutti i ministri, vecchi e nuovi. Di
fronte alla situazione creatasi in seguito alla diffida degli Alleati, l’on. Bonomi
pensa che non ci sia da fare altro che aspettare; nel frattempo il vecchio
ministero continua ad esercitare le sue funzioni in un ambito un po’ più largo di
quello degli affari correnti, pur escludendo che esso possa adottare
provvedimenti che importino comunque innovazioni o significato politico. Dopo
breve discussione si è tutti d’accordo. La riunione si scioglie. Si riuniscono a
parte Bonomi e i nuovi ministri senza portafoglio. Togliatti in seguito mi dice
che nella riunione si è deciso di spedire telegrammi di garbata protesta ai tre
capi di Stato delle Potenze Alleate. Lo stesso Togliatti mi aveva in precedenza
detto che la Russia è assolutamente estranea alla diffida rivolta al nuovo
Gabinetto, la quale è esclusivamente opera inglese. Non avevo mai avuto
alcun dubbio su ciò. L’Inghilterra evidentemente non vuole per nessuna
ragione che l’Italia abbia dei governanti assolutamente immuni d’ogni
responsabilità nella dichiarazione di guerra.
15 giugno
Nulla di nuovo o di interessante, se non l’importante notizia, pubblicata oggi da
tutti i giornali, che dal 1° luglio la razione del pane è aumentata a 300 grammi.
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Sono veramente lieto che i miei sforzi, affiancati validamente da quelli del mio
sottosegretario Gino Bergami, presso la Commissione Alleata di Controllo
abbiano alfine avuto esito positivo. Certo l’aumentata razione eserciterà un
benefico effetto nel senso di ridurre la piaga del mercato nero, specie per ciò
che riguarda la speculazione sul grano.
16 giugno
Compio oggi il mio 57° anno. E’ indubbiamente un numero che comincia a
pesare. Stamani alle 10 si è riunito il vecchio consiglio dei ministri, già
dimissionario, richiamato in vita in seguito al divieto posto dagli Alleati
all’insediamento del nuovo. Senonché si costata subito, e da tutti, che il
funzionamento è giuridicamente e politicamente impossibile e inopportuno. E
ci sciogliamo senz’altro. Restiamo però lo stesso nella sala, perché Badoglio
ci comunica che alle 11 e mezzo arriva Mac-Farlane per un colloquio. E infatti
il generale si intrattiene col Maresciallo e con Bonomi, ai quali comunica che la
questione del nuovo governo verrà sottoposta al Comitato Consultivo per gli
affari d’Italia, e che la decisione di tale Comitato verrà poi comunicata ai
governi Alleati, i quali daranno il loro responso tra tre o quattro giorni.
Alle ore 17 Bonomi riunisce tutti i nuovi ministri, ancora sospesi, nella sua
dimora nella meravigliosa villa Guariglia, a Raito, un paesello a due chilometri
da Salerno. Manca soltanto De Courten, ministro della marina, cui per
censuratissima decisione non si è mandato l’invito.
Bonomi rifà la storia di questo strano incidente e ricorda che egli ha mandato
una lettera a Mac-Farlane e tre telegrammi, uno per ciascuno a Stalin,
Churchill e Roosevelt, quali manifestazioni della protesta del nuovo governo
per il mancato insediamento. E invita i presenti a manifestare il loro parere.
Cianca vorrebbe che si inviasse una vibrata protesta, appunto per stabilire che
il divieto degli Alleati pone i partiti e il popolo italiano, ove esso dovesse
prolungarsi, nella necessità di rifiutarsi di formare un governo diverso.
Togliatti, in maniera lucidissima, tenta di trovare la spiegazione del fatto. Più in
sostanza che la formazione del governo Badoglio, con la partecipazione di tutti
i partiti antifascisti, fu dovuto sostanzialmente a un compromesso tra le
correnti popolari repubblicane e le correnti monarchico-militaristiche. Ora,
secondo lui, il nuovo governo, così come formatosi, col ministro borghese
della guerra, verrebbe a distruggere tale compromesso, ed è in questo che
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bisogna ricercare il motivo del divieto all’insediamento. Cianca oppone che ciò
non è esatto, in quanto il nuovo governo è stato formato col consentimento del
luogotenente, principe di Piemonte. Partecipano altri alla discussione
(Saragat, Mancini, Soleri, Gronchi, De Gasperi, Sforza) e intanto vari tra essi
preparano e leggono lettere – protesta che dovrebbero essere inviate alla
Commissione Consultiva. Bonomi fa presente che egli ha incaricato il nuovo
sottosegretario agli esteri, Visconti Venosta, di avvisare gli ambasciatori
Alleati per riferire verbalmente lo stato d’animo creato con l’imprevisto divieto.
Poiché non si è d’accordo sul tenore della lettera da inviare, si sospende la
seduta per dar modo a Bonomi di prepararne una lui.
Si riprende la seduta, e Bonomi legge la lettera preparata, con la quale, fatta
una breve cronistoria, si chiarisce di nuovo che, ove non si dovesse
confermare il nuovo Gabinetto, nessun altro governo, che fosse espressione
della volontà popolare, potrebbe sorgere. Prendo la parola per oppormi a che
la lettera, anzi qualsiasi lettera venga trasmessa. Dico di non comprendere
l’opportunità di un passo simile. La protesta è già stata inviata, contenuta nella
lettera a Mac-Farlane e nel telegramma ai tre capi dei governi Alleati. Ma cosa
aggiungerebbe, quindi, da questo punto di vista la nuova lettera al Comitato
Consultivo? Nulla. Essa, però, con l’ultimo periodo ci legherebbe ad un
atteggiamento che noi stessi potremmo in seguito trovare inopportuno. Perché
quindi limitare la nostra futura libertà d’azione? Dopo un po’ di tentennamento,
la proposta mia passa, e la riunione si chiude dopo aver deciso soltanto di
insistere perché Visconti Venosa riferisca verbalmente agli ambasciatori
Alleati.
17 giugno
Alle 5 e mezzo parto per Roma, naturalmente in automobile. Chissà quando si
potrà parlare di servizio ferroviario riattivato. E arrivo verso mezzogiorno, dopo
un viaggio relativamente agevole, se si pensi al grande traffico bellico richiesto
dalla battaglia in corso. Mancavo da Roma, da poco più di un anno, ossia da
poco più di un mese prima del crollo del fascismo. Quanta tragedia da allora!
Armistizio, collasso dell’esercito, occupazione tedesca…… I nove mesi di
conquista hitleriana sono stati per Roma, dove si era ammassata una
popolazione di circa due milioni, nove mesi di vera passione. E ora finalmente
Roma è restituita all’Italia! Per virtù d’armi straniere..!! È da dire però che i
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patrioti romani, primi tra tutti i comunisti, hanno pur fatto qualche cosa ai danni
del Dominatore. E certificano ciò le uccisioni in massa eseguite dalle orde
naziste, le retate di giovani cui si ricorreva quasi quotidianamente, le
compressioni e repressioni poliziesche di ogni genere. Mi metto in giro per
avere notizie di molti parenti e amici e compagni, di cui non si avevano da
tanto tempo notizie. Per fortuna trovo quasi tutti bene. Le dolorose notizie però
non mancano. Il figliolo del farmacista Benedicente, d’Aprigliano, giovane
avvocato, è stato ucciso due giorni prima della liberazione dai tedeschi; e dai
tedeschi è stato portato via, chissà dove, un altro mio giovane amico, Franco
Bugliari, anche egli avvocato.
La città, per fortuna, non ha sofferto danni, dato che i tedeschi l’hanno
abbandonata senza resistenza. Pessime le condizioni alimentari.
Faccio una capatina nel palazzo del mio ministero. Non c’è più nulla, o quasi,
quanto ad archivi e documenti, portati via all’epoca del trasferimento di tutti i
ministeri verso il nord. Conosco qualche funzionario rimasto a Roma.
18 giugno
Alle nove del mattino parto per il ritorno a Salerno, dove arrivo alle 2 e mezza.
Alle cinque riunione dei nuovi ministri nel domicilio del Presidente Bonomi. Il
quale ci comunica che le potenze Alleate hanno dato il via al nuovo Ministero.
Si è richiesto come condizioni che Bonomi firmi due documenti: col primo egli,
per il Gabinetto, si obbliga a non riaprire la questione istituzionale, la quale,
giusto gli accordi, viene rinviata al dopo-guerra, quando il popolo italiano sarà
in grado di deliberare, attraverso un’Assemblea Costituente, liberamente sui
suoi destini; col secondo Bonomi si obbliga di rispettare tutte le clausole
dell’armistizio, delle quali dichiara che sia lui sia tutti gli altri ministri hanno
piena conoscenza. E perché tale conoscenza effettivamente ci sia, viene data
lettura del testo delle clausole, sia quelle contenute nel Trattato del 3
settembre, sia le complementari del 29 settembre.
Si stabilisce che giovedì 22, alle ore 11, si va a giurare nelle mani del
luogotenente generale, che risiede nella Villa Maria Pia a Napoli. Alle 16 dello
stesso giorno primo consiglio dei ministri a Salerno.
19 giugno
Alle ore sette di sera parto per Cosenza dove arrivo alle tre di notte.
100
20 giugno
Nonostante la stanchezza del viaggio e la notte bianca, passo tutta la giornata
ricevendo centinaia di persone.
21 giugno
Alle ore 10, nella sala provinciale, dove sono riuniti i sindaci della provincia, i
rappresentanti dei vari partiti, i capi dei vari uffici agrari, il prefetto, le autorità
alleate ecc. tengo un discorso di propaganda per i “Granai del popolo”.
E’ l’onomastico di mio figlio Luigi. Mangio a casa sua. Alle cinque pomeridiane
parto per Salerno insieme con Dora e con mio figlio Eugenio. Arrivo a
mezzanotte.
22 giugno
Parto per Napoli, e alle ore 10 sono alla Villa Maria Pia, a Posillipo, abitazione
del luogotenente, principe Umberto. Vengono gli altri ministri. Siamo ricevuti in
una sala a terreno. Il principe legge un breve discorso, già preparato. Non ha
un accento, non una vibrazione. Dà l’impressione che nemmeno capisca il
senso delle parole che pronuncia. Risponde il Presidente Bonomi. Indi
firmiamo il foglio su cui è scritta la nuova formula del giuramento. Con essa
giuriamo di adempiere le nostre funzioni nell’interesse della Nazione e ci
impegniamo di non sollevare la questione istituzionale fino alla convocazione
dell’Assemblea Costituente.
Alle ore 16 riunione a Salerno del primo consiglio dei ministri. Lunga
discussione sulla legge per l’Assemblea Costituente. I democristiani
vorrebbero che la norma si formulasse in modo tale da lasciar l’adito al ricorso
al plebiscito per scegliere tra repubblica e monarchia. Viva opposizione dei
comunisti, socialisti e partito d’azione. Bonomi propone una formula equivoca,
in quanto con essa si dice che l’Assemblea Costituente stabilirà la costituzione
dello Stato. Faccio osservare che una nuova costituzione è anche concepibile
ferme restando le istituzioni monarchiche. Dopo lungo dibattito si perviene al
fine alla formulazione che diventa legge, in cui si parla e di istituzione e di
costituzione.
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23 giugno
Alle ore quattro del pomeriggio parto per Roma, insieme con Dora, Eugenio e
due miei amici. Arrivo alle undici di sera. Ospiti di nostra cugina Maria De
Chiara, via Angelo Secchi 18.
24 giugno
Nella mattinata vado al ministero in via XX Settembre. Conosco qualche
funzionario. Nel pomeriggio faccio qualche visita a cosentini e amici rimasti a
Roma durante la dominazione tedesca.
La situazione alimentare è tutt’altro che lieta. Ad ogni modo essa migliora di
ora in ora. Un fatto rimarchevole è che, nonostante lo scompiglio della ritirata
tedesca e dell’occupazione Alleata, il pane non è mai mancato. Merito della
colossale preparazione a tal fine predisposta dagli Alleati.
25 giugno
Nella mattinata vado al ministero, dove ho un colloquio con il sottosegretario
Bergami, che mi ha raggiunto. Nel pomeriggio altre poche visite. Alle 6
ripartiamo per Salerno, dove, per incidenti di macchina, arriviamo alle tre dopo
mezzanotte.
26 giugno
Alle nove vado al ministero. Alle undici mi reco dal Presidente del Consiglio, al
quale faccio presente le disagiate condizioni alimentari di Roma e i
provvedimenti presi. Indi passiamo dal Consiglio e posiamo, il Presidente ed
io, per un film di propaganda per i “Granai del popolo”.
27 giugno
Alle nove parto per Napoli per un colloquio con la Commissione di controllo
circa alcune questioni d’approvvigionamento granario. Torno alle tre del
pomeriggio.
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