RIMUOVERE GLI OSTACOLI DI ORDINE ECONOMICO E SOCIALE
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RIMUOVERE GLI OSTACOLI DI ORDINE ECONOMICO E SOCIALE
RIMUOVERE GLI OSTACOLI DI ORDINE ECONOMICO E SOCIALE CHE, LIMITANDO DI FATTO LA LIBERTÀ E L’UGUAGLIANZA DEI CITTADINI, IMPEDISCONO IL PIENO SVILUPPO DELLA PERSONA UMANA. Siamo arrivati alle fasi conclusive di un percorso lungo e faticoso che ha portato le principali forze politiche provinciali a convergere su un testo di legge di riforma del welfare trentino. Ricordiamo che le prime due bozze uscirono nel dicembre 2004 e nel dicembre 2005 a cura di consulenti a cui la PAT aveva affidato l’oneroso incarico: fin da allora la società civile si mosse per contribuire al miglioramento di quei testi che avevano riscontrato numerose critiche. Successivamente si scelse la via politica, abbandonati i consulenti, e ricordiamo il lavoro svolto in particolare nell’ultimo anno dalla IV commissione; anche qui abbiamo voluto dare il nostro contributo sui 9 testi di legge tra disegni di riforma e modificazioni di legge. Anche in questo passaggio, dove si è scelto di approvare un testo unico di riforma del welfare, sentiamo di voler essere presenti: per apprezzare diversi passaggi della riforma che ci sembrano migliorativi e che hanno tenuto in grande considerazione le proposte portate in sede di audizione. Come detto vogliamo comunque essere presenti per segnalare anche le criticità di questa riforma, che sono ancora presenti e che rischiano di essere strumento di disuguaglianza e limitata libertà dei cittadini. Sono questi i punti su quali molti protagonisti della società civile convergono e sui quali non ci sentiamo di transigere: • I destinatari degli interventi • La tutela degli utenti e degli operatori • I punti di ascolto del cittadino • L’integrazione socio-sanitaria • Il volontariato Aderiscono alle proposte (elenco in aggiornamento) Cnca, Ordine degli Assistenti Sociali, CGIL, UIL, Fiopsd, Associazione Educatori Professionali Punto d'incontro, Villa S. Ignazio, Coop. Samuele, Associazione Lorenza del Marco, Associazione Ubalda Girella, Associazione Volontari di strada, Associazione Provinciale Per i Minori, Associazione centro Astalli, Fondazione S. Ignazio, Coop. Progetto92, Comunità Murialdo, Coop La Bussola, Associazione Provinciale Aiuto Sociale Diego Giacometti, Zambotti Annalisa, Ianeselli Franco, Gazzi Gianmario, Raoss Giuliana, Banal Antonia, Santamaria Chiara, Fortin Dario, Bertolini Carola, Cozzi Massimo, Marco De Gasperi, Erika Comper, Mara Plotegher, Ruozi Francesca, Nives Borghesi Gianna Feller, Erika Ganarin, Marco Feller, Giulia Goller, Martina Feller, Lisa Dal Mas, Mozelt Marco, Marai Katia, Rosignoli Angela, Piccoli Carlo, Silvia Sandri, Piergiorgio Bortolotti, Maria Belem Ruth, Angelo Poletti, Attilia Franchi, Michele Boso e Milena Berlanda, Guido Giovannardi, Padre Livio Passalacqua, Pedri Laura, Tiziana Brunelli, Berlanda Simone, Michelangelo Marchesi, Prandini Angelo, Zaira Oro, Chiara Dellantonio, Serena Schench, Paolo Facchinelli, Italo Dal Rì, Maria Luisa Raineri, Bruno Bortoli, Anna Ceschini, Alessia Rizzi, Anna Altissimo, Diani Mario, Massimo Komatz, Milena Bernard, Tiziano Santuari, Veronica Hoffer, Barbara Grassi, Luisa Gadotti, Roberta Corradini, Carlo Balestra, Simone Stefani, Anna Chiappin, Benacchio Franco, Pedergnana Paola, Marco Furgeri, Fabiana Baldessari, Silvia Iseppi, Michele Picolrovazzi, Vittori Giovanna, Pandolfi Monica, Ribecchi Paolo, Somadossi Luca, Pellegrini Mario, Padre Michele Balduzzi, Menapace Basilio, Faccinelli Daniela, Chiodi Letizia, Milena Baruffaldi, Zeni Rita, Pilzer Silvia, Plotegher Violetta, Lorenza Tonelli Destinatari degli interventi Art 6 1. I cittadini dell'Unione europea, gli stranieri e gli apolidi aventi residenza anagrafica in un comune della provincia di Trento, che si trovano in uno stato anche temporaneo di bisogno effettivo o potenziale, accertato ai sensi dell'articolo 17, hanno diritto a beneficiare degli interventi previsti dagli articoli 29, 30, 31, comma 2, lettere a), b) con riferimento a servizi semiresidenziali, c), d), e), f), g), h), i) e j) e 32, comma 3, lettere a), e) e f), nonché di ogni altro intervento individuato dallo Stato, in attuazione dell'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, quale livello essenziale delle prestazioni. Il piano sociale provinciale può assicurare ai medesimi soggetti ulteriori interventi, nell'ambito di quelli individuati ai sensi dell'articolo 28, comma 1, lettera e), dell'articolo 31, comma 2, lettera b), e dell'articolo 32. 2. Le persone residenti da più di tre anni consecutivi in provincia di Trento hanno diritto a beneficiare di tutti gli interventi previsti dal capo V, nonché di ogni altro intervento individuato dallo Stato, in attuazione dell'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, quale livello essenziale delle prestazioni. 3. Alle persone comunque presenti sul territorio provinciale che non possono avvalersi dei servizi degli enti di provenienza sono garantiti gli interventi previsti ai sensi del comma 1 che abbiano carattere di indifferibilità in relazione allo stato di bisogno. Il problema da noi rilevato concerne il vincolo dei tre anni di residenza per l’accesso a tutti i servizi e gli interventi previsti dalla nuova normativa. Sia da un punto di vista politico che tecnico si ritiene pericoloso escludere soggetti deboli dall’accesso ai diritti minimi di cittadinanza; a fronte delle nostre esperienze sono proprio le persone da poco inserite in un territorio a presentare maggiori bisogni, spesso di tipo primario ed urgente. Se queste fasce deboli vengono escluse dal sistema dei servizi per le tipologie di intervento che si rivolgono proprio ai bisogni primari, quali il sostegno economico volto al soddisfacimento di bisogni generali o le forme di accoglienza residenziale, si rallenta o si limita in modo rilevante la possibilità di garantire percorsi effettivi di inclusione nella comunità e di emancipazione dal bisogno. Ricordiamo che il minimo vitale si definisce così proprio perché prevede un aiuto economico per i bisogni più essenziali della vita quotidiana, quali l’alimentazione, l’abbigliamento, la cura della persona, l’ alloggio. Un elemento che aggrava la situazione è rappresentato dai requisiti di accesso agli alloggi pubblici, definiti dalla nuova normativa con la soglia dei tre anni di residenza. Ne consegue che le nuove politiche sociali e abitative, che ai sensi dell’art. 2 lettera h) e art. 41 del DDL in esame devono essere coordinate ed integrate, impoveriscono immediatamente su due fronti numerose famiglie e persone in stato di bisogno che, se residenti da meno di tre anni, non posseggono i requisiti per ottenere aiuto: • • • non potranno accedere agli alloggi pubblici e dovranno rivolgersi al mercato privato, con la prevedibilmente alta spesa per l’affitto; non potranno accedere all’aiuto economico che i comuni possono erogare per la copertura di una parte del canone, qualora il richiedente sia in possesso di regolare contratto di affitto e sia iscritto alle graduatorie per l’accesso agli alloggi pubblici; non potranno ricevere il minimo vitale . I servizi di accoglienza residenziale sono rivolti a diverse tipologie di persone in stato di bisogno e non sempre e solo nei casi di urgenza o di bisogno di tutela; sottoponiamo di seguito alcuni esempi che sostengono la nostra opposizione all’attuale stesura dell’art. 6 : • • quando si tratta di minori, oltre alla pronta accoglienza ed all’utilizzo per tutela e a fronte dello stato di abbandono, sono attivati per finalità educative e di sostegno o di integrazione delle ridotte funzioni familiari; vengono finanziati ex L.P. 14/1991 e in questo DDL sono esclusi per i minori non residenti da almeno tre anni. Con il DDL in esame non sarà più possibile intervenire, a fronte di difficoltà familiari che richiedano l’accoglienza in forma temporanea di un minore (o di un altro componente) in un servizio residenziale per necessità educative o di supporto, in assenza delle disposizioni giudiziarie. Analoga riflessione può essere fatta per i servizi residenziali di accoglienza di madri con i figli, • attualmente finanziati ex L.P. 35/83; ora l’accoglienza può essere attivata su consenso e richiesta della madre ed in funzione di tutela della maternità ed infanzia. Con il DDL si procederà solo per mandato dell’Autorità giudiziaria, in funzione di vigilanza e di valutazione delle capacità genitoriali. Molte delle strutture attualmente convenzionate sulla LP 35/83 e sulla LP 14/91 non rispondono solamente a bisogni indifferibili, ma si rivolgono agli adulti in stato di emarginazione (senza dimora, immigrati regolari, drop out) e/o in condizioni di sofferenza psichica, assicurando una gamma di servizi che concorrono a costruire con loro percorsi di autonomia. Questa tipologia di destinatari è cresciuta negli anni, conseguentemente alle situazioni ed alle politiche internazionali ed europee ed in prevalenza non posseggono la residenza di almeno tre anni. Oggi, possono accedere ai servizi di accoglienza perchè la L.P. 14/1991 e la L.P. 35/1983 non pongono limiti sulla base della residenza (come non fa la legge nazionale 328/2000); e nel prossimo welfare? Desideriamo ricordare che molti interventi socio assistenziali in questa fascia di destinatari non rispondono solo alle finalità di aiuto e di inclusione sociale, ma producono anche un effetto, non secondario, di consolidamento della sicurezza e della coesione sociale nella comunità. Inoltre poniamo alcuni altri interrogativi e dubbi interpretativi rispetto al processo di accertamento del bisogno ed alla possibilità di accesso ai servizi, così come quali ad esempio: • • • • a fronte di ricongiungimento familiare va considerata la residenza del capofamiglia o i congiunti debbono aspettare anch’essi tre anni prima di avere diritto alla totalità degli interventi? Un nucleo che si trasferisca in provincia di Trento per lavoro, che non sia residente da almeno tre anni e che, a fronte di una malattia fortemente invalidante di un componente abbia la necessità di richiedere un aiuto economico oppure un intervento residenziale per superare la condizione di crisi, verrebbe escluso da questa possibilità? Vediamo che le condizioni di lavoro mobile e precario sono in crescita; il problema può avere più incidenza in particolare tra le persone residenti da meno di tre anni: vista anche la volontà espressa dal DDL in merito all’integrazione delle politiche sociali e del lavoro (art. 40) auspichiamo che crescano le opportunità di lavoro dignitoso e continuativo, ma crediamo necessario pensare anche a strumenti idonei a garantire le fasce più deboli dell’attuale mercato del lavoro piuttosto che escluderle ulteriormente. Alcuni esempi di situazioni che non trovano sufficiente protezione di natura economica e sociale : non può accedere all’aiuto economico mensile una persona che non ha tre anni di residenza e che ha lavorato con contratto a termine o precario e si trovi senza occupazione o si ammali e non sia garantita da altre normative nazionali, oppure la persona di 55/60 anni, magari anche donna, che ha oggettiva difficoltà a trovare un’occupazione che la renda autonoma a causa dell’età e/o per la mancanza di una qualificazione professionale interessante per il mercato del lavoro. Nel sistema dei servizi attualmente previsto dal disegno di legge, la persona anche occasionalmente residente sul territorio ha diritto all’accertamento multidisciplinare ed unitario dello stato di bisogno, ma con il criterio della residenza triennale si postula un paradosso, in conseguenza del quale il responsabile del caso e gli operatori dei diversi Servizi non saranno in grado, pur accertato lo stato di bisogno (art. 17), di intervenire attivando i servizi più opportuni e congruenti con le difficoltà individuate, realizzando anche quanto prescritto dall’articolo 16, in virtù dei criteri restrittivi definiti all’art. 6. Proposta Le persone residenti in provincia di Trento hanno diritto a beneficiare di tutti gli interventi previsti dal capo V, nonché di ogni altro intervento individuato dallo Stato, in attuazione dell'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, quale livello essenziale delle prestazioni. Alle persone comunque presenti sul territorio provinciale che non possono avvalersi dei servizi degli enti di provenienza sono garantiti gli interventi previsti ai sensi del comma 1 che abbiano carattere di indifferibilità in relazione allo stato di bisogno Tutela degli utenti; tutela degli operatori All'articolo 2 del testo unificato, (Principi e linee metodologiche), comma 2, punto l), si afferma il “diritto all'informazione e dovere di comunicazione interna ed esterna da parte di tutti i soggetti coinvolti attivamente nel sistema integrato dei servizi sociali, con particolare riferimento ai servizi erogati, alle condizioni di accesso ai medesimi e alle relative possibilità di scelta per il beneficiario”; all'articolo 20 (Accreditamento), comma 5, si afferma che “i soggetti accreditati sono altresì tenuti ad adottare processi gestionali di qualificazione delle attività prestate che garantiscano in particolare l'accessibilità dei servizi e la tutela delle posizioni soggettive degli utenti”; all'articolo 22 (Modalità di erogazione delle prestazioni), comma 5, si afferma che “la valutazione della qualità del servizio offerto tiene altresì conto... della capacità di coinvolgimento degli utenti e dei soggetti rappresentativi di interessi”; comma 7, si afferma che “l’ente locale può comunque richiedere ai soggetti affidatari, al fine dello svolgimento del servizio: c) il coinvolgimento degli utenti nella valutazione periodica del servizio e dei risultati, anche attraverso l’attivazione di strumenti per la raccolta di suggerimenti e reclami”; all'articolo 27 (Linee guida e criteri della valutazione), comma 3, si afferma che “i nuclei di valutazione raccolgono elementi necessari al processo valutativo (dell'operato dei soggetti rogatori): b) dai soggetti pubblici e privati portatori d'interesse, in particolar modo i destinatari dei servizi”. Riconosciamo, senza alcun dubbio, la valenza delle disposizioni citate. Restiamo però convinti che il tema della partecipazione, del coinvolgimento e della tutela degli utenti debba costituire un elemento centrale da sviluppare nella programmazione, sia a livello provinciale che di comunità. Con una doverosa specifica: la valutazione partecipata e l'attivazione di apposite strutture per i reclami devono riguardare l'insieme del sistema dei servizi (comprese dunque le strutture pubbliche), mentre le previsioni di legge tendono “relegarla” al rapporto tra utenza e soggetti erogatori del terzo settore. Proposta Per questa ragione proponiamo alcune integrazioni all'articolato. All'articolo 10 (Piano sociale provinciale), comma 2, punto b), va esplicitato che nelle linee d'indirizzo e coordinamento per l'esercizio delle funzioni da parte degli enti locali sono compresi anche: • gli indirizzi e i criteri per assicurare la partecipazione dei cittadini e degli utenti al controllo della qualità dei servizi e degli interventi, comprese le modalità di presentazione dei reclami da parte degli utenti; All'articolo 12 (Piani sociali di comunità), comma 3, andrebbe poi affermato che tra i contenuti da inserire nel piano di zona ci sono anche: • le forme e gli strumenti comunicativi per favorire la conoscenza e la valutazione partecipata dei cittadini in merito alle attività, alle prestazioni e ai servizi disponibili; Tutela degli operatori Il comma 1 dell'articolo 20 (Accreditamento), indica, quale requisito per ottenere l'accreditamento, “il rispetto della disciplina normativa e contrattuale nazionale e provinciale di riferimento in materia previdenziale e di lavoro”. E' una previsione che qualifica positivamente il sistema degli affidamenti, a tutela della qualità del servizio e delle condizioni di lavoro degli operatori. Resta però aperto il tema del mantenimento delle tutele e dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici nei cambi d'affidamento Proposta Proponiamo allora una comma aggiuntivo all'articolo 22 (Modalità di erogazione delle prestazioni): 9. L'affidamento dei servizi avviene altresì nel rispetto delle clausole dei contratti collettivi nazionali e degli accordi provinciali e aziendali di riferimento, sia per la parte economica che per la parte normativa, poste a garanzia del mantenimento del trattamento giuridico ed economico dei lavoratori interessati, ivi compresi i soci lavoratori di cooperative. Punti di ascolto del cittadino Art. 42 Punti di ascolto per il cittadino 1. La Provincia promuove l'adozione, da parte degli enti locali, di modalità organizzative idonee a rilevare precocemente i bisogni individuali e le problematiche sociali correlate, nonché ad assicurare il coordinamento e l'integrazione dei servizi alla persona, con particolare riferimento agli interventi previsti dalle politiche sociali, educative, sanitarie e per la sicurezza. 2. L'adozione del modello organizzativo di cui al comma 1 è volta altresì a razionalizzare i servizi pubblici già presenti, a potenziare l'offerta con nuovi servizi e a facilitare il coordinamento in rete con gli sportelli sociali attivati dal terzo settore di cui all'articolo 3, comma 3, lettera d). 3. Tali modalità organizzative si concretizzano nell'attivazione di punti di ascolto per il cittadino, ai quali le persone in stato di disagio possono rivolgersi per una prima analisi delle loro problematiche, per un orientamento in merito alle possibili soluzioni e, ove possibile, per una risposta. 4. Gli enti locali che intendono attivare i punti di ascolto ne disciplinano la costituzione, le funzioni e l'organizzazione sulla base delle specifiche esigenze del territorio di competenza. Si condivide la finalità dei punti di ascolto per il cittadino, di “rilevare precocemente i bisogni individuali e le problematiche sociali correlate, nonché ad assicurare il coordinamento e l’integrazione dei servizi alla persona, con particolare riferimento agli interventi previsti dalle politiche sociali, educative, sanitarie, per la sicurezza”. ci si chiede però come questo possa declinarsi con gli altri servizi e presidi previsti in legge e presenti sul territorio della Comunità di Valle. Non si capisce dal testo come i punti di ascolto potrebbero inserirsi in un assetto generale del sistema dei servizi e degli interventi gestiti dell’ente locale. Se è chiaro che i punti di ascolto facilitano il “coordinamento in rete con gli sportelli sociali attivati dai soggetti del terzo settore” come precisato nel secondo comma dell’articolo, non risulta altrettanto chiara la relazione di questi con il servizio sociale professionale e il segretariato sociale, che per funzioni e compiti potrebbero creare sovrapposizione di soggetti e di interventi. Ad esempio: all’art. 29: “gli interventi del servizio sociale professionale consistono nell’attività di valutazione (….) e attività di supporto alle persone in difficoltà al fine di individuare e attivare possibili soluzioni ai loro problemi” mentre l’ art. 42 sono previsti i punti di ascolto per il cittadino “ai quali le persone in stato di disagio possono rivolgersi per una prima analisi delle loro problematiche, per un orientamento in merito alle possibili soluzioni e, ove possibile, per una risposta”. I punti di ascolto, come formulati in legge, potrebbero quindi configurarsi come “uno strumento di accesso ai servizi socio-assistenziali” alla stregua del segretariato sociale, con il rischio di ingenerare disorientamento nella persona in stato di disagio, qualora fossero presenti differenti e molteplici sportelli sul territorio. Inoltre il modello organizzativo richiamato al secondo comma contrasta con l’assenza in legge di qualsiasi riferimento a modelli organizzativi funzionali alla gestione ed organizzazione delle prestazioni e servizi socio-asssistenziali da parte dei diversi soggetti indicati in legge, in virtù della potestà di organizzazione dei servizi pubblici riconosciuta dalla legge 3/2006 alle Comunità di valle. Proposta Per quanto detto proponiamo lo stralcio dell’articolo. In alternativa si propone di inserire i punti di ascolto come progetto a carattere sperimentale: “punti d'ascolto potranno essere attivati a titolo di sperimentazione per 2 anni con conseguente valutazione prima di essere realizzati sull'intero territorio provinciale” Integrazione Socio Sanitaria Art. 38 Integrazione socio-sanitaria 1. Ai fini dell'integrazione tra le politiche sociali e sanitarie la Provincia promuove l'adozione degli strumenti di coordinamento organizzativo di cui all'articolo 43, all'interno di ambiti territoriali omogenei, allo scopo di dare risposte unitarie a bisogni complessi. 2. La Giunta provinciale, con proprie deliberazioni, individua criteri, modalità e strumenti per assicurare l'integrazione dell'azione dei servizi sociali e di quelli sanitari, qualora lo stato di bisogno da affrontare sia connotato da condizioni che richiedono l'intervento congiunto dei servizi. Le suddette deliberazioni possono individuare, tra l'altro: a) specifici criteri e modalità per l'accertamento e la valutazione dello stato di bisogno e del grado di non autosufficienza, nonché per la definizione del profilo funzionale della persona interessata e del progetto individualizzato d'intervento; b) composizione e modalità di funzionamento di specifiche unità valutative multidisciplinari da costituire sul territorio per i fini di cui alla lettera a); c) caratteristiche, contenuti e modalità di erogazione degli interventi integrati, con particolare riferimento all'assistenza domiciliare integrata (ADI). 3. Le prestazioni sanitarie comprese nei livelli essenziali ed aggiuntivi di assistenza sanitaria da erogare nell'ambito dei servizi sociali sono effettuate: a) ove possibile, direttamente dai servizi dell'Azienda provinciale per i servizi sanitari; in tal caso, l'azienda, in relazione alla tipologia e all'intensità della terapia, persegue l'intesa con il soggetto erogatore dei servizi sociali, che è altresì sentito in merito all'individuazione del personale sanitario da incaricare; b) in alternativa, da professionisti esterni all'azienda dipendenti dei soggetti erogatori dei servizi sociali o convenzionati con essi; in tal caso gli oneri relativi alle prestazioni sono comunque posti a carico del fondo sanitario provinciale, previa intesa con l'azienda. 4. Le prestazioni di cui al comma 3 sono erogate secondo modalità e condizioni definite con deliberazione della Giunta provinciale. 5. Le disposizioni di quest'articolo si applicano anche alle residenze sanitarie assistenziali disciplinate dalla legge provinciale 28 maggio 1998, n. 6 (Interventi a favore degli anziani e delle persone non autosufficienti o con gravi disabilità). Art. 39 Commissione provinciale per l'integrazione socio-sanitaria 1. Ai fini di cui all'articolo 38, comma 1, la Provincia istituisce la commissione provinciale per l'integrazione socio-sanitaria quale proprio organo consultivo, in particolare per quanto riguarda l'individuazione dei criteri per il coordinamento e la reciproca integrazione degli strumenti programmatori in materia sociale e sanitaria di cui all'articolo 10, comma 3. 2. La commissione è nominata dalla Giunta provinciale, rimane in carica per la durata della legislatura ed è composta da: a) l'assessore competente in materia di politiche sociali; b) l'assessore competente in materia di politiche sanitarie; c) il dirigente di una struttura provinciale competente in materia di politiche sociali; d) il dirigente di una struttura provinciale competente in materia di politiche sanitarie; e) un rappresentante dei servizi sociali degli enti locali; f) un rappresentante dell'Azienda provinciale per i servizi sanitari. 3. Le modalità di funzionamento della commissione, ivi compresi la scelta del presidente e la possibilità di partecipazione alle riunioni di ulteriori tecnici ed esperti, sono disciplinate dalla Giunta provinciale con propria deliberazione. Osserviamo con piacere che nelle diverse stesure la materia dell’integrazione socio sanitaria è stata meglio approfondita: • specificando in un articolo introdotto ex novo (Art. 39. Commissione provinciale per l’integrazione socio sanitaria)un organismo che assuma la responsabilità in materia; • introducendo il criterio del coordinamento organizzativo all’interno di ambiti territoriali omogenei (Art. 38 comma 1) • individuando al comma 2 dell’art. 38 tre aree specifiche oggetto di deliberazioni della Giunta provinciale: la non autosufficienza, la composizione di U.V.M. per l’accertamento e la valutazione dello stato di bisogno e per la definizione dei profili funzionali e dei progetti individualizzati, l’Assistenza domiciliare integrata (ADI). Si tratta di settori nei quali l’integrazione socio sanitaria è già in atto, specificatamente in riferimento ai bisogni nell’area della non autosufficienza nelle diverse età. Invece rileviamo con preoccupazione il fatto che siano trascurati settori dove l’integrazione socio sanitaria è altrettanto importante se non essenziale, perché i bisogni di tipo sanitario sono inestricabilmente intrecciati con i bisogni di tipo psico relazionale, con quelli relativi al benessere familiare ed all’ integrazione sociale non solo nel momento dell’ analisi e della valutazione dello stato di bisogno, ma ancora di più durante il percorso di aiuto. Per lo più si tratta di situazioni personali e familiari ad alta complessità, spesso anche multiproblematiche, nelle quali l’approccio per competenze separate non solo indebolisce l’efficacia dei singoli servizi, ma può anche contribuire a meccanismi di cronicizzazione e di resistenza al cambiamento. Questa consapevolezza deve guidare la costituzione di équipe multidisciplinari che sappiano davvero assicurare “la presa in carico unitaria” auspicata all’art. 16 e la valutazione delle diverse esigenze di cui parla l’art. 17 al comma 2. L’art. 38 NON prende in considerazione bisogni che coinvolgono prevalentemente i minori e le loro famiglie oppure gli adulti, per problemi legati alle diverse dipendenze, al disagio psichico adulto ed infantile, per bisogni di tipo relazionale – psicologico, nei quali sempre di più si pone la questione di non ricalcare i tradizionali modelli medici nell’approccio ai problemi e della necessità di risorse ad alta integrazione socio sanitaria, sia per gli aspetti operativi, metodologici, organizzativi che per gli aspetti di tipo finanziario. In questi ambiti è limitante definire l’attività con termini quali “prestazioni” e “terapie” (vedi all’Art. 38 comma 3 lettera a), perché richiamano criteri meramente sanitari ed aziendalistici e definiscono prassi ed approcci che non agevolano certamente un pensiero interdisciplinare. Analogamente, prevedere che le prestazioni possano essere erogate - come cita la lettera b) del comma 3 art. 38 – dall’Azienda sanitaria oppure dai soggetti erogatori con oneri a carico del fondo sanitario (se concordati) introduce un criterio organizzativo di tipo finanziario/amministrativo (chi deve pagare) ma non postula un principio ed una linea metodologica che avrebbero dovuto invece essere dichiarati con forza e che potevano essere indicati anche negli articoli generali di impianto della legge (l’integrazione socio sanitaria non si esaurisce nel coordinamento delle politiche indicato alla lettera h) dell’art. 2, comma 2.). Non viene citato il Consultorio familiare, che per sua natura è un servizio ad alta integrazione socio sanitaria e che interviene soprattutto in fase precoce e nei confronti dei singoli o delle famiglie non ancora in stato di sofferenza conclamata o grave. Anziché cogliere l’occasione della legge per dare vigore e nuova sostanza, anche educativa e promozionale, a questo tipo di servizio pubblico, esso viene dato per scontato come servizio sanitario mentre nella prassi attuale vengono finanziati Centri del privato sociale perché assicurino le risposte a valenza psico-relazionale…. Un accenno al coordinamento ed all’integrazione dei servizi alla persona con gli interventi previsti dalle politiche sociali, sanitarie, ( oltre che educative e della sicurezza) viene ripreso anche all’art. 42 comma 1 Punti di ascolto per il cittadino: per la complessità che abbiamo appena sopra ricordato, escludiamo che un punto di ascolto, ove si effettua una prima analisi delle problematiche, debba e sappia assicurare interventi integrati che non vadano a sovrapporsi agli interventi dei servizi preposti. Inoltre, in assenza di chiarezza, nuove iniziative di primo acchito interessanti ed innovative rischiano di eludere antiche inadempienze politico- istituzionali, come è purtroppo accaduto, ad esempio, per i Consultori in Trentino: per vocazione uno dei presidi per il primo ascolto dei cittadini, per l’intervento precoce, per attività di tipo preventivo e promozionale, ma di fatto impoveriti delle funzioni generali che le leggi istitutive avevano loro attribuito. Proposta: Nel DDL devono essere indicate le macro aree di bisogno che richiedono alta integrazione socio sanitaria ai diversi livelli: programmatorio, organizzativo, gestionale ed operativo, finanziario. Ovvero: • Area consultoriale, ivi comprese le diverse attività attinenti il sostegno e l’assistenza alla famiglia ed alla maternità, comprese la mediazione familiare ed i sostegni alla genitorialità fragile,la protezione dei minori e la loro tutela anche mediante l’affidamento familiare e l’adozione, la protezione di minori e donna dalle diverse forme di violenza, anche sessuale e di pedofilia. • Area dei bisogni psicologici e relazionali, sia dell’individuo che nel nucleo familiare o di convivenza. • Area del disagio psichico, adulto e minorile, comprese le problematiche dell’età adolescenziale. • Area delle dipendenze, senza limitarsi alle dipendenze più note quali l’alcoolismo e la tossicodipendenza. • Area della non autosufficienza, nelle diverse età (vedi UVM, profilo funzionale ecc..) • Area delle cure palliative (vedi ADI) • Le nuove tematiche sulla salute legate all’immigrazione Volontariato Art. 3 Sussidiarietà e soggetti attivi del sistema provinciale delle politiche sociali (…) a) le famiglie; b) i cittadini, singoli o associati in organizzazioni spontanee; c) le aziende pubbliche di servizi alla persona; d) il terzo settore, comprensivo di cooperative sociali, organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, enti di patronato, imprese sociali nonché di fondazioni e altri soggetti privati non a scopo di lucro aventi finalità coerenti con gli obiettivi di questa legge; e) le organizzazioni sindacali operanti a livello provinciale. 4. In relazione ai rispettivi ambiti di competenza, gli enti locali e la Provincia coinvolgono i soggetti di cui al comma 3 ciascuno secondo le proprie specificità, nella programmazione, nella gestione e nella valutazione degli interventi di cui al capo V. 5. In particolare, gli enti locali e la Provincia valorizzano il ruolo della famiglia, tenendo conto dei bisogni e dei diritti dei singoli nell'ambito dei rapporti familiari e dei rapporti delle famiglie con la società; riconoscono il ruolo del terzo settore nell'attuazione di processi di crescita del capitale sociale della comunità; assicurano l'informazione e la concertazione con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello provinciale. Riconoscono altresì l'apporto peculiare del volontariato nella realizzazione del sistema integrato delle politiche sociali, in ragione del suo contributo alla risposta ai bisogni e della sua capacità di rafforzare la coesione sociale attraverso la realizzazione di reti a sostegno delle situazioni di marginalità e di disagio e attraverso l'offerta, anche in raccordo con i servizi sociali e con i soggetti affidatari, di aiuti di base e di prestazioni elementari, ancorché occasionali. Riteniamo opportuno, modificare il 5 comma ove viene esplicitato il ruolo del volontariato sociale, ruolo che ci sembra relegato all’operatività elementare (ricordiamo, ad esempio, che molto, spesso i consigli di amministrazione sono formati da volontari che sono persone esperte e qualificate che gestiscono materie complesse), mancando dell’accezione più culturale che il mondo del volontariato ha portato e porta all’interno della società civile. Proposta 5 bis) Gli enti locali e la Provincia riconoscono l'apporto peculiare del volontariato sociale nella realizzazione del sistema integrato delle politiche sociali, in ragione del suo contributo alla risposta ai bisogni e della sua capacità di rafforzare la coesione sociale attraverso la realizzazione di reti di sostegno. A tal fine si valorizzano le iniziative che promuovano: a) la costruzione di una cultura del volontariato mirata all’informazione, alla sensibilizzazione, all’educazione sociale ed alla partecipazione dei cittadini, attraverso servizi specifici ed iniziative rivolte alla comunità; b) la formazione del volontariato sociale, anche in raccordo con il settore sanitario e scolastico, al fine di incrementare l’integrazione del sistema dei servizi alla persona e la coesione sociale; c) l’attività e la presenza del volontariato sociale, anche per attività di base e complesse, sia nei servizi pubblici sia in quelli di terzo settore.