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Zoonosi-zecche MANUALE
Zoonosi trasmesse da zecche Rischi occupazionali e misure di prevenzione Dipartimento di Medicina del Lavoro Commissario Straordinario: Antonio Moccaldi Sub Commissario Straordinario: Umberto Sacerdote Zoonosi trasmesse da zecche Rischi occupazionali e misure di preven- Dipartimento di Medicina del Lavoro Centro Ricerca Monte Porzio Catone (Roma) Direttore del Dipartimento: Sergio Iavicoli Manuale realizzato nell’ambito del progetto di ricerca: Valutazione del rischio associato alla presenza di patogeni trasmessi da zecche in ambiente lavorativo (Contributo del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale—Fondo Infortuni; D.M. 3/12/04) 3 Zoonosi trasmesse da zecche Rischi occupazionali e misure di prevenzione a cura di: contributo redazionale: contributo editoriale: Paola Tomao Nicoletta Vonesch Dip. Medicina del Lavoro Dip. Medicina del Lavoro Wanda D’Amico Dip. Medicina del Lavoro Paola Melis Dip. Medicina del Lavoro Donatella Vasselli Dip. Medicina del Lavoro Diego De Merich Dip. Processi Organizzativi Maria Concetta D’Ovidio Dip. Medicina del Lavoro Agnese Martini Dip. Medicina del Lavoro Simona Di Renzi Dip. Medicina del Lavoro Wanda D’Amico 4 Sommario Presentazione Introduzione 1 2 3 4 5 6 7 6 7 L’ambiente Zecche 2.1Cenni storici 2.2Gli ospiti 2.3Agenti patogeni 2.4Tassonomia, sistematica, evoluzione 2.5Ixodidae o zecche dure 2.6Argasidae o zecche molli 2.7Controllo 2.8Raccolta, identificazione e conservazione delle zecche 2.9Controllo della popolazione di zecche 2.9Controllo della popolazione di zecche 2.10Misure di prevenzione 2.11Rimozione della zecca Le malattie infettive trasmesse da zecche 3.1Rickettsiosi: Febbre Bottonosa del Mediterraneo 3.2Ehrlichiosi – Anaplasmosi 3.3Borreliosi di Lyme 3.4Febbre Ricorrente da zecche 3.5Tularemia 3.6Meningoencefalite da zecche (TBE) 3.7Babesiosi 3.8Bartonellosi 3.9Febbre Q L’uomo Le zoonosi 5.1Definizione e principali riferimenti normativi 5.2Le zoonosi occupazionali Evoluzione della normativa italiana in ambito occupazionale Il Rischio Biologico: definizioni e quadro normativo 7.1 Rischio Biologico nel Settore Agricolo – Forestale Approfondimenti Centri per lo studio di zoonosi trasmesse da zecche Schede Zecche Bibliografia Normativa Glossario 9 11 11 11 12 13 16 19 24 24 24 25 32 34 35 38 42 47 49 53 56 62 65 70 71 71 74 79 80 83 89 91 95 106 108 5 Presentazione Tra i compiti istituzionali dell'ISPESL l’attività di ricerca costituisce una parte rilevante ed è caratterizzata da multidisciplinarietà e aggiornamento continuo sulla base delle priorità e dei rischi emergenti. Inoltre sforzi importanti sono sempre stati fatti per promuovere e favorire la più ampia diffusione delle conoscenze nel settore della prevenzione e sicurezza del lavoro, attraverso una valida ed efficace azione di trasferimento dei risultati della ricerca ai settori della produzione e dei servizi. Il rischio biologico ha assunto negli ultimi anni un ruolo preminente in molteplici ambiti occupazionali. Ogni anno muoiono in tutto il mondo circa 320.000 lavoratori a causa delle malattie infettive, di cui 5.000 nell’Unione Europea. Nonostante ciò ancora oggi l’obbligo di valutare i rischi biologici, imposto dalla Direttiva 2000/54/CE, nonché dalla recente emanazione del D.Lgs. 81/08, e degli adempimenti che ne conseguono continuano ad essere disattesi e le conoscenze e le informazioni trasmesse ai lavoratori sui pericoli biologici continuano ad essere piuttosto scarse. Infatti la correlazione tra le malattie infettive e l’attività lavorativa non sempre viene valutata pienamente a causa delle differenti caratteristiche eziologiche e per la complessità dei cicli biologici degli agenti infettivi. Il confine tra gli aspetti lavorativi e non lavorativi risulta ancora oggi spesso incerto, soprattutto in ambito agricolo-forestale. Tra le infezioni occupazionali le zoonosi vettore-trasmesse, in particolare quelle veicolate da zecche, rappresentano un rischio emergente tra i lavoratori. I mutamenti climatici, l’alterazione e la trasformazione degli ecosistemi naturali, la maggiore suscettibilità alle infezioni da parte dell’uomo per i cambiamenti nelle abitudini di vita, di lavoro e di relazione hanno permesso negli ultimi anni una maggiore e diversificata diffusione delle zecche sul territorio nazionale e di conseguenza una circolazione non sempre controllabile dei patogeni da esse trasmesse. Il manuale nasce dalla necessità di fare chiarezza sui rischi reali a cui l’uomo, ed in particolare il lavoratore che opera in ambienti all’aria aperta, può andare incontro qualora venga punto da una zecca. Inoltre l’analisi accurata che viene fatta dei microrganismi patogeni che possono essere veicolati dalle zecche contribuisce alla comprensione del perché è necessario adottare comportamenti specifici, atti ad evitare l’interazione con tali patogeni. Dott. Sergio Iavicoli Direttore del Dipartimento di Medicina del Lavoro 6 Introduzione L’insorgenza e la diffusione delle zoonosi vettore-trasmesse, in particolare quelle veicolate da zecche, rappresentano a tutt’oggi un fenomeno di rilevanza notevole e in progressivo aumento in diverse aree geografiche di più continenti. Secondo una valutazione promossa dall’ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control) la globalizzazione e i cambiamenti climatici e ambientali, sotto forma di temperatura e umidità più elevate, favoriscono il diffondersi di vettori o ospiti intermedi, e in ultima analisi delle infezioni stesse. É ben noto che i fattori climatici possano condizionare la comparsa o la ricomparsa di malattie infettive in determinate aree geografiche in interazione con altri fattori di carattere biologico, socio-economico, ecologico. Il rapporto “Cambiamenti climatici ed eventi estremi: rischi per la salute in Italia”, risultato di una collaborazione tra l’APAT (Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici) e il Centro Europeo per Salute e Ambiente dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha esaminato, tra l'altro, i possibili effetti dei cambiamenti climatici sulla diffusione delle malattie infettive, soprattutto di quelle trasmesse da vettori, ritenute più suscettibili ai cambiamenti climatici stessi e in particolare all'aumento della temperatura media. Tale rapporto evidenzia che l'aumento della temperatura media dovuto ai cambiamenti climatici potrebbe: • contribuire ad ampliare l'area di distribuzione dei vettori indigeni; • ridurre la durata dei cicli di sviluppo dei vettori indigeni; • ridurre la durata della riproduzione del patogeno negli artropodi vettori; • prolungare la stagione idonea alla trasmissione degli agenti patogeni; • favorire l'importazione e l'adattamento di nuovi artropodi vettori; • favorire l'importazione e l'adattamento di nuovi agenti patogeni attraverso vettori o serbatoi. L'Italia, per la sua particolare posizione geografica (tra i Paesi più a sud dell'Europa e ponte ideale tra l'Europa e l'Africa), potrebbe essere particolarmente coinvolta da questo fenomeno e assistere, con l'aumento previsto della temperatura media, a un'amplificazione della densità dei vettori delle malattie infettive, quali zanzare, zecche e pappataci e a variazioni 7 significative nella loro distribuzione geografica, fattori che determinerebbero una maggiore diffusione anche degli agenti patogeni da essi trasportati. In effetti, l'aumento della temperatura media potrebbe avere effetti sull'ampliamento dell'area di distribuzione dei vettori, anche se la probabilità che un vettore proveniente da zone endemiche possa stabilirsi in Italia resta molto bassa, perché richiederebbe la realizzazione di complesse condizioni ecologiche. In tutti i paesi d’Europa, dal 1974 al 2003, si è registrato un aumento medio di incidenza dell’infezione da virus TBE (Tick-Borne Encephalitis) del 400%. In Europa, Russia e Siberia si sono registrati 15.000 casi di TBE per anno; tuttavia si può presumere che il numero di casi non registrati sia molto elevato. Piccoli focolai si sono sviluppati anche in Francia, Svizzera e Austria. In Germania si stima che il numero di casi di malattia di Lyme abbia un range tra 60.000 e 80.000 l'anno. L'unica eccezione è l'Austria, dove il 90% della popolazione è vaccinata contro la TBE e ciò ha portato ad una diminuzione dei casi dai 600-700, rilevati a partire dalla metà degli anni ’70, ai 50-100 casi odierni. Vari sono i fattori che possono contribuire alla diffusione delle malattie trasmesse da zecche. Principalmente: 1 L’ambiente 2 Le zecche 3 L’uomo e i suoi comportamenti 8 Ambiente 1 L’ambiente L’ambiente svolge un ruolo essenziale per la sopravvivenza e lo sviluppo delle zecche. L’habitat preferito delle zecche è rappresentato da luoghi ricchi di vegetazione erbosa e arbustiva con microclima possibilmente fresco e umido, anche se oggi non è raro il loro riscontro in aree con clima decisamente caldo e asciutto, e con vegetazione più rada. Un tasso di umidità > 85%, una temperatura dell’aria compresa tra 6 e 7°C e un gran numero di ospiti per potere effettuare un pasto di sangue, sono i requisiti fondamentali per rendere una zecca "felice". Il forte incremento delle temperature medie si registra in particolare nel nord del mondo, in alcune regioni d'Europa, nord America e nord Africa. Inoltre, l'incremento della quantità media di pioggia sembra giocare a favore della maggiore sopravvivenza delle zecche (regioni con un’elevata presenza di zecche registrano un forte incremento medio nella quantità di precipitazioni). Le infezioni trasmesse da zecche sono più frequenti nei mesi estivi e autunnali e colpiscono prevalentemente escursionisti, campeggiatori, cacciatori, guardie forestali, veterinari, agricoltori e tutti quelli che soggiornano a lungo in campagna o in collina. Questi artropodi vivono abitualmente nell’erba umida, si nutrono di pasti ematici a danno di vari vertebrati e possono entrare accidentalmente in contatto con l’uomo se questi si spinge in mezzo alla vegetazione senza rispettare le norme basilari di un comportamento preventivo; in particolare la presenza di sottobosco cespuglioso (terreni incolti con abbondante erba alta, sentieri poco curati, ecc.) crea delle condizioni microclimatiche favorevoli. Nei Paesi a clima temperato, come il nostro, l’attività delle zecche è massima nei periodi maggio-ottobre. Con l’inizio della bella stagione le zecche abbandonano lo stato di letargo per andare alla ricerca di un pasto di sangue. È sufficiente che l’ospite sfiori la zecca, che questa, si porti sui peli, sulla cute o sugli abiti. 9 L’alternarsi di periodi caldi/freddi ha sempre caratterizzato la storia climatica della Terra e le specie animali e vegetali hanno potuto adattarsi, ma la rapidità con cui avvengono questi cambiamenti rende di fatto impossibile l’adattamento. Come risposta alle mutevoli sollecitazioni climatiche le specie, sia animali che vegetali, hanno mutato la loro distribuzione sul territorio alpino. Nel corso dell’ultimo secolo si è già assistito a un progressivo spostamento ad altitudini maggiori delle specie vegetali al quale, assieme a fattori antropici, ha sicuramente contribuito il cambiamento climatico. Questo trend è destinato sicuramente a progredire; si prevede ad esempio che la linea boschiva potrebbe spostarsi verso l’alto di alcune centinaia di metri nel corso del prossimo secolo. Già allo stato attuale si sta assistendo a un rischio concreto di perdita di biodiversità d’alta quota, soprattutto nivale, dal momento in cui specie sommitali si troveranno a competere con specie più adattabili, in arrivo dalle quote inferiori. Il possibile incremento nella diffusione di particolari insetti patogeni è legato anche al semplice aumento delle temperature. I dati che si riferiscono a quest’ultimo tipo di fenomeno scarseggiano, tuttavia è già stato osservato che alcuni insetti infestanti mostrano una tendenza allo spostamento altitudinale, più pronunciato in particolare nei pendii meridionali delle montagne italiane. Parallelamente, in alcune aree del territorio nazionale, la densità faunistica degli ungulati selvatici ha raggiunto livelli molto elevati, tali da causare notevoli danni alle colture agricole e al patrimonio forestale. In conseguenza di ciò potrebbe aumentare il numero di zecche presenti in questi ambienti, nonché il numero dei casi riportati di morsi di zecche e il rischio di malattie vettore-trasmesse. 10 Zecche 2 Le zecche 2.1 Cenni storici Storicamente le zecche sono state riconosciute come parassiti umani già nell’antica Grecia e descritte da numerosi autori, come Omero e Aristotele, sebbene la prima dimostrazione che esse potessero trasmettere malattie infettive è stata evidenziata alla fine del 19° secolo, quando Smith e Kilbourne scoprirono che il Boophiulus annulatus trasmetteva il protozoo Babesia bigemina (agente della febbre del gatto del Texas). La febbre ricorrente da zecche causata da Borrelia duttonii e trasmessa da Ornithodoros moubata, fu descritta nel 1905, e Ricketts dimostrò che Dermacentor andersoni è responsabile della trasmissione di Rickettsia rickettsii, l’agente noto per la Febbre delle Montagne Rocciose (Rocky Mountain Fever). Nel 1910 il primo caso noto come Febbre del Mediterraneo fu riscontrato a Tunisi da Conor e Bruch, e intorno agli anni ’30 è stato riconosciuto il ruolo di Rhipicephalus sanguineus (zecca marrone del cane) nella trasmissione della malattia. Nel 1929 Francis descrisse l’epidemiologia della tularemia e il ruolo degli artropodi “succhia sangue”, tra cui le zecche. Dopo la seconda guerra mondiale, un numero crescente d’infezioni da virus, protozoi, batteri furono rilevati sia in uomini sia in animali. Negli anni ’80 fu descritta la malattia di Lyme da B. burgdorferi e attualmente la malattia è considerata la più importante malattia vettore trasmessa in Europa e negli Stati Uniti. Più recentemente, un certo numero di rickettsiosi emergenti sono state registrate in ogni parte del mondo, e anche batteri del genere Ehrlichia sono ritenuti agenti patogeni di malattie trasmesse da zecche negli Stati Uniti e in Europa. 2.2 Gli ospiti I due fattori principali che rendono le zecche pericolose sono le variazioni climatiche e gli ospiti. È opinione di numerosi ricercatori che le zecche abbiano una più spiccata predilezione per l’ambiente naturale, anziché per gli ospiti; nei diversi areali in cui vivono possono parassitare rettili, uccelli, piccoli e grossi mammiferi. Alcuni autori ritengono che larve e ninfe parassitino più frequentemente piccoli animali mentre gli adulti preferiscano i grossi mammiferi. In ogni caso esse presentano una bassa specificità di specie per cui, in assenza dell’ospite preferito, possono attaccarsi 11 al primo ospite utile di passaggio: occasionalmente, in questo senso, anche l’uomo può fungere da ospite in ciascuna fase di sviluppo; gli uccelli sembrano essere coinvolti nel trasferimento di focolai endemici a distanza. 2.3 Agenti patogeni La presenza di agenti patogeni nel sangue dei soggetti che forniscono il pasto di sangue è indispensabile affinché le zecche possano fungere da vettori di patologie infettive. La durata del pasto di sangue, ad esempio in una zecca Ixodes ricinus, dipende dal punto in cui si trova il proprio ciclo vitale al momento del morso, e può variare da 2 giorni, in larve, fino a 10 giorni in femmine adulte. Una volta ingerito, il sangue si concentra da due a cinque volte; l’avanzo di acqua è secreto nell’ospite. Questo è il processo decisivo per la trasmissione di tutti gli agenti patogeni tramite le ghiandole salivari per mezzo di un meccanismo a pompa. Gli agenti infettivi che possono essere trasmessi dalle zecche sono numerosi e in parte correlati con le specie di zecche e con l’ambiente in cui queste vivono. Molti batteri e parassiti sono trasmessi da zecche tra cui: Borrelia burgdorferi sensu latu (sl), Coxiella burnetii, Babesia divergens/Babesia microti, Ehrlichia chaffeensis, Bartonella henselae, Francisella tularensis, Anaplasma phagocytophilum, alcune specie di Rickettsia ecc.. Anche il numero di virus patogeni umani rilevato in zecche tipo Ixodes ricinus è molto alto. La più importante famiglia di virus è Flaviviridae, seguita da Bunya-, Reo-, Orthomyxo- e Togaviridae. In Italia, soprattutto centro-meridionale, il Rhipicephalus sanguineus è più frequentemente in causa nella trasmissione di alcune rickettsiosi (R. rickettsii, R. conoriii, R. burnetii) e di diversi virus. Lungo l’arco alpino invece si riscontra più frequentemente Ixodes ricinus come responsabile della trasmissione, oltre che di alcune rickettsiosi, del virus TBE (Tick-Borne Encephalitis), di Borrelia burgdorferi, di Ehrlichia e di alcune Babesie (B. bovis, microti, divergens), agenti di patologie d’interesse sia medico che veterinario. I principali fattori che aumentano l’insorgenza e il numero delle infezioni in questione sono: • la capacità di adattamento e la variabilità dei microrganismi; • l’aumento delle resistenze agli antibiotici e agli antielmintici in nu- 12 • merosi agenti patogeni; la maggiore suscettibilità alle infezioni da parte dell’uomo (invecchiamento, diffusione di immunodeficienze) e degli animali d’allevamento. 2.4 Tassonomia, sistematica, evoluzione Le zecche sono artropodi (ordine Acarina, classe Arachnida) ematofagi “obbligati” (non possono vivere autonomamente senza l’organismo ospitante), che infestano ogni categoria di vertebrati in quasi ogni regione del mondo. L’ordine Ixodida conta circa 900 specie in tutto il mondo raggruppate in tre sole famiglie: Argasidae, Ixodidae e Nuttalliellidae, quest’ultima è rappresentata da una sola specie: Nuttalliella namaqua Bedford, segnalata esclusivamente in sud Africa. Argasidae e Ixodidae possono essere distinte in base a numerosi caratteri morfologici evidenti soprattutto negli stadi ninfali e negli adulti, primo tra tutti la presenza o meno dello scudo dorsale chitinizzato da cui derivano i nomi popolari di zecche “dure” (Ixodidae) e di zecche “molli” (Argasidae). Le zecche compiono il proprio ciclo vitale in un periodo di tempo variabile da meno di un anno, nelle aree tropicali, a oltre tre anni nei climi freddi; sono particolarmente sensibili all’essiccamento e sono presenti specialmente nei pascoli e nei boschi. Ogni specie ha condizioni ambientali ottimali e biotipi che determinano la loro distribuzione geografica. Il ciclo vitale delle zecche attraversa quattro stadi: uovo>larva>ninfa>adulto. Alcune specie compiono l’intero ciclo su uno stesso ospite, oppure su due o tre ospiti diversi, sia nel maschio che nella femmina. rostro rostro scudo occhio occhio scudo Maschio Ixodidae Faccia dorsale Femmina Ixodidae Faccia dorsale 13 2.5 Ixodidae o zecche dure Rappresentano la famiglia più importante degli artropodi in termini numerici e per importanza medica. Le Ixodidae sono caratterizzate dalla presenza di uno scudo dorsale chitinoso, mentre il resto del corpo è in grado di espandersi durante il nutrimento, e da un rostro (apparato buccale della zecca) sporgente e ben visibile dorsalmente. Lo scudo copre tutto il dorso nel maschio, mentre nella femmina è presente solo anteriormente. La parte posteriore del corpo della femmina è costituita da tessuto elastico che consente l'ingestione di grosse quantità di sangue. Gli occhi sono assenti nei generi Ixodes e Haemaphysalis, presenti negli altri. Le zecche dure comprendono in Italia 6 generi: Ixodes, Boophilus, Hyalomna, Rhipicephalus, Dermacentor, Haemaphysalis. Cicli di vita ed ecologia Il ciclo biologico delle Ixodidae consta di quattro stadi: uovo, larva, ninfa, adulto. Per passare da uno stadio all'altro la zecca necessita di un pasto di sangue, che può compiere su uno stesso ospite (parassiti monoxeni) o, più frequentemente, su due o più ospiti (dixeni e eteroxeni), avendo generalmente come primo ospite (per la larva e la ninfa) roditori, uccelli o rettili e come secondo ospite (per la zecca adulta) un mammifero, soprattutto bovini e equini. Una zecca Ixodidae trascorre più del 90% della sua vita attaccata a un ospite; prima di nutrirsi, può vagare parecchie ore intorno ad esso: durante le prime 24-36 ore della fase di attacco, non c’è ingestione di sangue e le attività predominanti sono la penetrazione e l’aggressione. A ogni stadio di crescita la zecca ricerca un ospite. Il rostro è strutturato per forare l’epidermide e agganciare il corpo alla pelle dell’ospite; è dotato di uncini rivolti all’indietro. La zecca non deve pertanto essere strappata a forza durante la rimozione dall’ospite per evitare l’intrappolamento del rostro sotto l’epidermide e il conseguente possibile sviluppo di infezioni. L’assunzione di sangue avviene molto lentamente: le zecche dure possono rimanere attaccate sullo stesso animale per giorni o per settimane, in funzione della specie di zecca e del tipo di ospite. Una volta approvvigionata, la zecca si stacca. 14 Una caratteristica particolare delle zecche è la capacità di sopravvivere per alcuni mesi senza alimentarsi, se si trovano in un ambiente con condizioni sfavorevoli. ninfa larva adulti uova Femmina dopo un pasto 15 Ecologia di Ixodes Ricinus Zecca a 3 ospiti: durata del ciclo 3 anni la larva parassita il I° ospite 1 anno la larva cade sul terreno e muta in ninfa larva ninfa uova la ninfa aggredisce il II° ospite e si nutre 2° anno la femmina aggredisce ilI III° ospite 3° anno Femmina adulta 2.6 Argasidae o zecche molli Le Argasidae sono definite zecche molli perché prive di scudo chitinoso dorsale. Sono piuttosto differenti dalle Ixodidae: • il rostro non è visibile dorsalmente negli stadi ninfali e adulti; • le loro ghiandole salivari non producono una sostanza cementante e contengono sostanze anticoagulanti e citologiche, perché impiegano un tempo relativamente breve per nutrirsi; • possono nutrirsi più di dieci volte, durante le quali si riempiono in poche ore. Le specie di argasidi più frequenti sono: Argas reflexus e Ornithodoros coniceps, ectoparassiti temporanei dei colombi. Cicli di vita ed ecologia Notevoli differenze si osservano anche nel ciclo biologico: le zecche 16 Femmina Agasidae rostro apertura genitale ano Faccia dorsale Faccia ventrale molli si sviluppano attraverso numerosi stadi ninfali; a ogni stadio successivo si avvicinano sempre di più alla forma da adulto. La zecca molle si alimenta sull’ospite per periodi che possono variare da pochi minuti a giorni. In aggiunta alla trasmissione di numerosi agenti patogeni, attacchi prolungati (5-7 giorni) di certe specie di zecche possono dare come esito la paralisi dell’ospite. Ciò può essere causato da sostanze neurotossiche prodotte dalle ghiandole salivari. Il ciclo di sviluppo delle zecche molli è solitamente più lungo di quello delle zecche dure e può durare svariati anni (non è ancora chiaro il meccanismo tramite cui le zecche molli possono sopravvivere a lungo senza assumere il pasto di sangue). Durante ciascuno stadio di sviluppo le zecche molli assumono più volte il loro pasto di sangue e le femmine mature sono in grado di deporre le uova più volte nel corso della loro vita. Spesso le zecche molli attendono l’ospite in luoghi riparati: caverne, tane scavate nel terreno, nidi di volatili. 17 Ecologia di Argas reflexus Ixodes ricinus Nelle regioni temperate il ciclo vitale si svolge in 2-4 anni la larva aggredisce un ospite ac co p pi am en to uova la larva dopo il pasto di sangue si lascia cadere e muta in nifa adulti ninfa la ninfa aggredisce un ospite adulto la ninfa dopo il pasto di sangue si lascia cadere e muta in adulto 18 2.7 Controllo Pericolosità delle Zecche Le zecche possono agire non solo come vettori, ma anche come riserve di batteri, quali le rickettsie (febbre esantematica), le borrelie (febbri ricorrenti) o la Francisella tularensis. In questi casi i batteri sono trasmessi per stadi, anche di generazione in generazione, attraverso il deposito ovarico delle femmine. Esistono condizioni ambientali ottimali e biotipi per ogni specie di zecca e questi determinano la distribuzione geografica delle zecche medesime e le aree di rischio per le malattie causate da queste. Molte specie di Ixodidi sono serbatoi per protozoi, virus e batteri: il rischio di trasmissione di malattie cresce in proporzione all’aumento del periodo di attaccamento all’ospite Durante il pasto di sangue le zecche tendono a raggrupparsi in “cluster” rendendo possibile il trasferimento di microrganismi da zecca a zecca tramite meccanismi di “co-feeding”, anche quando si alimentano su ospiti sani. In tal modo oltre alla trasmissione che vede la presenza di una zecca non infetta su un ospite infetto, (una volta infettata la zecca è in grado infettare un nuovo ospite, nel corso del successivo pasto di sangue), va considerata la trasmissione diretta tra zecche che, richiamate da sostanze ferormonali, compiano il pasto di sangue nello stesso cluster; la trasmissione co-feeding prevede la trasmissione da una zecca infetta a una zecca sana durante un pasto di sangue. Come ATTORI, quindi come responsabili diretti di patologie grazie alle tossine presenti nella saliva e non ancora ben riconosciute, esse causano la singolare "paralisi da zecche"; frequente in America e Australia. Questa colpisce persone, cani e bestiame e si manifesta con una grave paralisi che inizia dagli arti posteriori o inferiori e si estende in seguito a tutto il corpo; può avere, non raramente, esito mortale per insufficienza respiratoria o cardiaca. Il mezzo più semplice per eliminare la paralisi è rimuovere la zecca. Le zecche sono inoltre causa di anemia, per il "prelievo" giornaliero di sangue, e di dermatiti causate dalla secrezione salivare. Esse possono attaccarsi all’uomo in numerose zone, ma sono state rinvenute più frequentemente intorno a testa, collo e inguine. La disseminazione delle malattie da zecche richiede la dispersione dei vettori e degli ospiti. Per rendere possibile il mantenimento delle infezioni in nuove aree, le zecche vettori, o gli ospiti-serbatoio, devono trovare ospi- 19 ti o zecche, rispettivamente, che siano sensibili alle infezioni e che possano garantire la sopravvivenza dell’organismo patogeno. Le zecche possono disperdersi nell’ambiente quando gli animali su cui esse si sono lasciate cadere si spostano, ma questo accade solo su brevi distanze, raramente superiori ai 50 metri; possono invece essere disperse su distanze più ampie quando si trovano attaccate a ospiti “viaggiatori”, come nel caso di uccelli in migrazione o mammiferi. L’uomo può contribuire a disperdere le zecche nell’ambiente sia per brevi sia per lunghe distanze, attraverso pratiche di natura agricola, modificando l’habitat delle zecche o ancora mediante la spedizione di un carico di bestiame infestato da zecche. Azione traumatica La zecca, per prelevare il sangue, deve infiggere il proprio apparato buccale nella sottocute dell’ospite. Con la prima coppia di arti foggiata a mo’ di forbice, il parassita incide la pelle senza provocare dolore, perché nella saliva è presente una sostanza a forte azione anestetica. Il rostro è fissato saldamente ai lembi della ferita, grazie ad una sostanza cementante, sempre presente nella saliva della zecca. Azione anemizzante Una volta che si è ben ancorato alla cute dell’ospite, il parassita inizia il pasto. Il prelievo di sangue è facilitato da una sostanza ad azione emorragica secreta dall’acaro con la saliva. La zecca, a differenza della zanzara, non spreca energia per aspirare il sangue ma sfrutta l’onda elastica derivante dall’attività cardiocircolatoria dell’ospite. Essa trattiene la parte corpuscolata del sangue e rigurgita la parte liquida. Questo significa che una zecca acquisisce una grande quantità di materiale ematico, pari a 3–4 volte il proprio peso a digiuno. Nel caso in cui l’ospite è interessato da un certo numero di zecche, va pericolosamente incontro a uno stato di anemia. Azione allergizzante Alcuni ospiti, compreso l’uomo, possono andare incontro a uno stato allergico quando vengono a contatto con la saliva della zecca, con esito talvolta letale se subentra lo shock anafilattico. Azione neurotossica La zecca, sempre tramite la saliva, può inoculare delle sostanze lesive al sistema nervoso nell’ospite, provocando fenomeni di paresi e paralisi. 20 L’azione neurotossica è facilitata dal fatto che essa preferisce localizzarsi nei siti anatomici che, oltre a essere riccamente vascolarizzati, sono allo stesso tempo abbondantemente innervati per cui la lesione nervosa assume una rapida diffusione ascendente. Azione vettoriale di malattie Nel caso in cui l’animale ospite sia portatore di infezioni le zecche, con il prelievo di sangue, assumono gli agenti infettivi, i quali sono inoculati a un altro animale dalla stessa zecca, oppure,tramite l’apparato ovarico, passano alle nuove generazioni di zecche. 21 e? a n o le z e c c h D o v e s i tr o v nei ono nascoste el g n a m Zone rurali ri e h cc e le z esa d In campagna d’erba fresca o secca, in att fili cespugli e nei ’ospite su cui aggrapparsi. ll passaggio de e i centri Aree urbane ndono a colonizzare anch tte dalle Le zecche te verno rimangono prote in elle fessure n e e p e cr abitati dove in le osferiche nel avversità atm strade. iluppo si le dei muri e del ni favorevoli per il loro svle strade, Nelle stagio i muri, i marciapiedi e almente, go muovono lun ei cani, dei gatti e, eventu alla ricerca d dell’uomo. animali ecca che Peli, cute deglite che l’ospite sfiori la z sui suoi E’ sufficien speciali ventose, si porta iti. Da ab a questa, grazie o, nel caso dell’uomo, suglicerca del peli, sulla cutento il parassita inizia la ri questo mome ve poter infiggere il rostro. sito di cute do 22 Quan do si trova Nelle no le stagio ni fred z e c c h e ? forma de le di leta z ec c h e rgo te climat nendo vivono iche s s i prote otto la in una Esse s tte dal vegeta i poss le avv zione ono in ersità 1 0 cm . o sott terrare o le pie fino a tre. una p Con rofond l’inizio ità di abban della donan b e l la sta o lo sta di un gione to di le pasto le zec t a r go e va carbon di sa ch e nno al ngue, ica, da l a r a l icerca ttratte calore provoc ate da c d o a r l p l ’a o nidrid r eo e l movi Per la e mento dalle vibraz germin degli o ambie i o ni azione spiti. ntale o delle u ttimale ova la s i a ggi tempe ra into ratura rno a 1 5 – 20 °C . 23 2.8 Raccolta, identificazione e conservazione delle zecche La raccolta delle zecche può essere effettuata con il metodo della coperta strisciata (dragging sample) che consiste nel raccogliere le zecche allo stato libero trascinando lentamente un panno bianco (1m2) su una superficie di terreno di 100 m2. Il metodo si basa sul caratteristico comportamento (ambushing) di molti Ixodidi, tra cui Ixodes ricinus, che attendono appostati sull’erba, sui cespugli o sulla lettiera, il passaggio di un potenziale ospite cui attaccarsi. Durante il campionamento è bene effettuare diverse fermate di controllo, per impedire il distaccamento delle ninfe e degli adulti dalla coperta, mentre le larve, che solitamente s’insinuano tra le fibre del tessuto, possono essere prelevate alla fine della raccolta. Esse possono essere identificate in conformità alla famiglia, al genere, alla specie di appartenenza, attraverso l’uso di numerose chiavi tassonomiche provenienti da diverse regioni del mondo. Gli stadi prematuri sono spesso difficili da riconoscere e può essere necessario consentire alle zecche di passare allo stadio adulto dell’identificazione definitiva. Le metodiche innovative di biologia molecolare sono in grado di identificare le zecche e ci si attende che già nel prossimo futuro possano essere utilizzate di routine per la genotipizzazione di specie strettamente correlate. Per rilevare rapidamente la presenza delle zecche molli possono essere utilizzate le trappole a ghiaccio secco che emettono anidride carbonica, poste vicino al luogo ove gli animali ospiti sono soliti sostare. 2.9 Controllo della popolazione di zecche La riduzione e il controllo della popolazione delle zecche sono difficili: le modificazioni dell’habitat, la gestione della vegetazione attraverso operazioni di taglio, bruciature, trattamenti erbicidi, nonché il prosciugamento e la bonifica di aree umide rappresentano strategie di controllo, ma i loro effetti durano poco e possono causare seri danni dal punto di vista ecologico. In alcune aree l’esclusione dell’ospite o il calo demografico può produrre una riduzione della densità delle zecche, ma tale soluzione è per lo più impraticabile. L’uso di organofosfati o pesticidi piretroidi, che possono essere combinati con ferormoni, può causare contaminazioni ambientali molto tossiche 24 per uomini e animali, anche quando applicati solo a habitat selezionati. Gli acaricidi possono essere applicati direttamente a ospiti domestici o selvatici al fine di uccidere le zecche già attaccate e interrompere il loro processo di nutrimento. Anche i metodi di controllo biologico delle zecche sono validi. Questi includono lo sviluppo di predatori naturali (coleotteri, ragni e formiche), parassiti (insetti, acari e nematodi) e patogeni batterici delle zecche, il massiccio rilascio di maschi sterilizzati da irradiazioni, nonché l’immunizzazione degli ospiti contro le zecche. Attualmente il controllo delle zecche è per lo più basato sul concetto di gestione integrata dei parassiti, nell’ambito del quale differenti metodi di controllo sono adattati a una zona o contro una specie di zecche, con la dovuta considerazione dei loro effetti sull’ambiente. 2.10 Misure di prevenzione Per la prevenzione occorre predisporre programmi d’intervento che puntino ad un triplice obiettivo: • igiene personale; • igiene ambientale; • igiene degli animali domestici. Relativamente al primo punto è necessaria la sensibilizzazione della popolazione nei confronti del problema attraverso adeguate campagne d’informazione, poiché la migliore protezione contro le malattie trasmesse da zecche è rappresentata dalla capacità di riconoscere, identificare e quindi trattare le zone infettate Ecologia di Rhipicephalus sanguineus e da una particolare attenzione ai primi segni di malattia. Per quanto riguarda l'igiene ambientale e degli animali domestici, bisogna puntare al risanamento delle zone infestate da zecche adulti e al controllo su vasta scala femmina feconda delle popolazioni acarine, che attualmente sta cononinfa scendo livelli seriamente preoccupanti, uova larva 25 non solo per i riflessi sulla salute umana, ma anche nei confronti della salute animale. È bene ricordare che esiste una differenza fondamentale tra ecologia di Rhipicephalus sanguineus, la zecca del cane e Ixodes ricinus, la zecca dei boschi. Rhipicephalus sanguineus è in assoluto la zecca che ha più opportunità di coabitare con l’uomo, avendo come ospite abituale il cane e potendosi moltiplicare abbondantemente nei pressi di cucce e canili. Il biotipo ideale è l’interfaccia casa-giardino con uno o più cani, dove è possibile lo svolgimento dell’intero ciclo di R. sanguineus. In inverno rimane protetta dalle avversità atmosferiche nelle crepe e nelle fessure. Nelle stagioni favorevoli al suo sviluppo, si ritrova lungo i muri, i marciapiedi e le strade, anche all’interno delle abitazioni, alla ricerca dei cani, dei gatti ed eventualmente dell’uomo per un pasto di sangue. Rhipicephalus sanguineus rostro rostro scudo Femmina Faccia dorsale Maschio Faccia dorsale 26 Ixodes ricinus è la zecca del capriolo, di altri ungulati selvatici e domestici e frequenta soprattutto boschi di latifoglie e privilegia esposizioni non dirette. E’ maggiormente attiva dalla primavera all'autunno avanzato, soprattutto nelle ore più calde della giornata. Per la sua bassa specificità è parassita di numerosi animali selvatici e domestici ed occasionalmente anche dell'uomo. In ragione del rischio che possiamo correre nella frequentazione di habitat dove I. ricinus è presente, non essendo realizzabile per ragioni pratiche una disinfestazione su vasta scala, la prevenzione principale consiste nell’evitare la puntura. Dermacentor marginatus ha particolare affinità con il cinghiale ed ovviamente è presente soprattutto nelle aree frequentate da questi animali; si tratta di pascoli o prati di mezza collina, asciutti ed esposti, quindi un habitat diverso da quello di I. ricinus, come differente è il picco massimo della densità dell’adulto, l’unico stadio che sembra parassitare l’uomo, e che raggiunge il massimo nei mesi freddi. In ambiente domestico è fondamentale il regolare sfalcio dei prati e la rimozione di erba e foglie cadute per evitare depositi di materiale e la potatura degli alberi e delle siepi per consentire una maggiore penetrazione dei raggi solari. Le possibilità di esposizione alle zecche possono essere ridotte limitando l’accesso dei roditori alle cantine e alle soffitte delle case e delle baite adibite alle vacanze ed eliminando le potenziali tane dei roditori negli edifici e intorno a questi. Gli animali domestici devono essere periodicamente controllati, ponendo particolare attenzione alla presenza di ninfe, che per le loro ridotte dimensioni possono sfuggire all’ispezione e che in genere tendono a localizzarsi sul capo e nella zona periorbitale. È consigliabile eseguire il trattamento anti zecche a cani e gatti ricorrendo a preparati di pratica applicazione, come spray o spot-on, in genere a base di piretroidi. In caso di infestazione di zone peridomestiche, la deltametrina e i piretroidi in generale, mostrano una buona attività. Per le zecche adattate ad ambienti naturali, il rischio di infestazione da parte dell’uomo è legato alla frequentazione di determinati luoghi e si è visto essere particolarmente elevato nello svolgimento di alcune attività: passeggiate in campagna, camping, ricerca di funghi, pesca e caccia. Quest’ultima attività presenta un ulteriore fattore di rischio legato alla manipolazione di selvaggina spesso massivamente infestata. Come precauzioni risulterà utile indossare indumenti di colore chiaro, che permettono una facile identificazione della zecca. 27 Prevenzione comportamentale Alcune categorie professionali sono particolarmente esposte al morso di zecca come i boscaioli, i contadini, i cacciatori, i forestali, i guardiacaccia, i cercatori di funghi e gli escursionisti. Per questi soggetti esiste una profilassi attiva mediante la vaccinazione per le patologie per le quali il vaccino è disponibile (anti-TBE), ma in caso di escursioni o permanenza in zone a rischio sono consigliabili alcune misure di protezione individuale che possiamo riassumere come segue: Usare repellenti prima di mettersi in cammino nei boschi: gli insetto-repellenti cutanei più efficaci contro le zecche sono il dimetilftolato (DMP) e il ben noto N,N-dietiltoluammide (DEET) principio attivo di molti prodotti in commercio (5-30% di principio attivo). • Il DMP agisce ad una concentrazione del 40% ed ha una durata di azione di circa due ore, non si è rivelato né cancerogeno né mutageno e non presenta particolari problemi per la cute. Il DEET si è rivelato più efficace del DMP in particolar modo contro le zecche. Agisce ad una concentrazione compresa tra 35 e 50% ed è efficace per circa quattro ore; viene deterso dal sudore, dalla pioggia, dallo strofinamento degli abiti, per cui l’applicazione va rinnovata • È considerato piuttosto sicuro essendo in commercio dal 1954; circa il 9% del prodotto viene assorbito sulla cute, ed eliminato in massima parte con le urine, ma può provocare gravi encefalopatie tossiche dopo l’uso prolungato a concentrazioni elevate. Sono stati tuttavia segnalati casi di dermatite allergica e di orticaria da contatto e reazioni anafilattiche. Il prodotto non va applicato su ferite, su cute infiammata, vicino agli occhi, alla bocca e sulle mani dei bambini (l’ingestione può essere mortale) Sugli abiti si può utilizzare lo stesso DEET dove sembra avere un tempo di permanenza di circa due giorni perché fotolabile e facilmente evaporabile. E’ stato recentemente immesso in commercio un nuovo repellente a base di acido 1-pipetidincarbossilico, 2-(2-idrossietil)-,1metilpropilestere dotato di efficacia pari al DEET ma senza azione dannosa su plastica e materiali sintetici. Il prodotto è stato raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO: Report of the 28 fourth WHOPES Working Group Meeting, WHO/CDS/WHOPES/2001.2 Geneva: WHO, 2001) ed è stato autorizzato in molti paesi per adulti e per bambini sopra i 2 anni di età. • La Permetrina, utilizzata nelle infestazioni da pidocchi e nella scabbia, ha un’azione insetticida anche contro le zecche. In USA è utilizzata dall’esercito e sembra avere un’efficacia superiore a quella del DEET e un’azione più prolungata (circa un mese); è utilizzata in spray allo 0,5% e dopo progressiva riduzione di concentrazione, a seguito di ripetuti lavaggi, si verifica una riduzione dell’effetto insetticida ma non di quello repellente. Gli effetti collaterali della Permetrina sono scarsi e costituiti quasi esclusivamente da rash cutanei, eritemi ed edemi, ma non sono riportati in letteratura effetti sistemici. Percorrere sentieri ben battuti: sono da evitare, per quanto possibile, sentieri di montagna poco frequentati, con erbe alte, perché la vegetazione incolta costituisce il sito ideale in cui le zecche attendono il passaggio di qualche animale per potersi aggrappare Evitare luoghi visibilmente frequentati da animali: bisogna evitare percorsi che costituiscono passaggi obbligati per branchi di animali selvatici, perché diventa maggiore il rischio di trovare zecche; tali percorsi possono essere individuati con un po' di pratica, avendo cura di osservare attentamente la vegetazione (cotica erbosa ripetutamente calpestata, rami spezzati o parti vegetali tenere brucate) oppure individuando direttamente le impronte o gli escrementi. Procedere, in caso di lavoro o sosta in aree conosciute come infestate, a periodiche ispezioni degli indumenti e delle parti scoperte (ogni 34 ore) per verificare l’eventuale presenza di zecche: le zecche non si attaccano subito alla pelle, prima di infiggere il rostro camminano sulla pelle in cerca di una posizione favorevole: un controllo frequente riduce la possibilità di essere morsi. Effettuare lavaggi accurati dopo ogni uscita: se una zecca è riuscita a oltrepassare la coltre dei vestiti, ma non si è 29 infissa nell’epidermide umana, è sufficiente un accurato lavaggio corporeo per allontanarla. Effettuare un’ispezione meticolosa del corpo: soprattutto in corrispondenza dei punti con reticolo venoso superficiale più rappresentato (ascelle, inguine, cuoio capelluto, ecc.). : bigliamento b a to a u g e di lana, ad i d ti o s n e u e m r u a d F l’uso d’in to a li na e molto ig s la n o s o s Sc ro g e ion e a lavoraz s o e facile o tt im u tt tt o ra n u sop e tuisc iali ; ciò costi a s to nite di spec n u e m m o la n fi o s e ch r le zecche, pa . appiglio pe di ogni zam e à it m e tr s ’e n coprente e b io r a ti ventose all s e v a re ile l’uso di di individu e Consigliab tt e rm e p hé hiaro, perc . di colore c za di zecche n te e s re p la iuse, porta h c e r tu velocemente a lz che l’uso di ca esso le zec p s Consigliato o lt o m hé umano taloni perc n o a rp p o i c l ra e p d o s superficie la o n feriore dei o in g n à it m e raggiu tr ’es roprio dall p o d n a tr e pen utto se si tt a r i. p n o s lo , ta ti n n a p ua utilizzo di g l’ to a di funghi o li a ig lt s o n c c Co ra la er lvaggina o p e s la ia g g e man bacche. 30 2.11 Rimozione della Zecca: Come rimuovere la zecca Se individuate sulla pelle, le zecche vanno prontamente rimosse perché la probabilità di contrarre un'infezione è direttamente proporzionale alla durata della permanenza del parassita sull'ospite. Bisogna comunque tenere presente che non tutte le zecche sono infette. Durante l’operazione, proteggere le mani con guanti o un fazzoletto, per evitare la possibilità di infezione attraverso piccole lesioni della pelle o di autoinoculazione per via congiuntivale o orale. La rimozione della zecca deve essere fatta in modo accurato, facendo attenzione a non causare il distacco dell’ apparato buccale che può rimanere infisso nella cute dell’ospite e rappresentare un possibile punto di ingresso per i microrganismi patogeni. La zecca va afferrata saldamente con una pinzetta il più possibile aderente alla cute, e va rimossa senza strappi mediante una delicata rotazione per evitarne la rottura. L’operazione può essere effettuata presso il Pronto Soccorso. 31 a nterno dell ’i ll a e n a rim e. ella zecca d o tr s o r n ago steril u Se il i d o t iu a con l’ soltanto lo e r t a r r a t p s e , a e ll su pell lli infettanti is d e ando que r it a v c e , a c c Appli e io, ne della z io z a r t s a di iod r e l’ u t in (t dopo lle o la pe ascherare n a m r o lo r o e c b b tre che perché po ) o m o r c o mercur ne. e, i d’infezio n g e s uali aceton q li a e u z n ta s event o s o, etere, re calore o c a c li li ti e p l p a o lc n a No e, uro di etil r lo c r favorire , e a p c a ia c n c o e z m am ulla vaselina s o io m r o clorof , perché e . t e a n li io ig z s o n o sc la rim fatti sono in e r rigurgito, u d i e d c o o r s p s li le a T rif e zecca un a ll e asmission n tr o i n d o c u io d h c in l ris nti mento de u a ente prese te r lm a fo tu n e con v i e ti patogen n e g a li g de . nella zecca Che cosa fare dopo la rimozione della zecca. Alla rimozione della zecca dovrebbe seguire un periodo di osservazione della durata di 30-40 giorni per individuare la comparsa di eventuali segni e sintomi di infezione. La somministrazione di antibiotici per uso sistemico nel periodo di osservazione è sconsigliata, poiché può mascherare eventuali segni di malattia e rendere più complicata la diagnosi. Nel caso in cui, per altre ragioni, fosse necessario iniziare un trattamento antibiotico, è opportuno impiegare farmaci di cui è stata dimostrata l’efficacia nel trattamento delle rickettsiosi e delle borreliosi (ad esempio: doxiciclina, amoxicillina, cefuroxime); il trattamento va continuato per almeno tre settimane. 32 In caso di morso di zecca è bene consultare sempre un medico per ricevere le informazioni in merito al rischio d’infezione. Per ulteriori informazioni è possibile rivolgersi alle Unità Operative di Igiene e Sanità Pubblica dei Dipartimenti di Prevenzione. Come lavorare in sicurezza 1. Prevenzione Comportamentale (vedi pag. 28) 2. Presenza di servizi igienico-assistenziali: • Docce; • Lavabi; • WC; • Spogliatoti; • Armadietti personali a doppio scomparto (abiti da lavoro/abiti personali). 3. Protezione personale: • Indumenti quali tute, guanti, stivali, cappelli e cappucci con copri collo; • Specifici DPI (Dispostivi di Protezione Individuale) vanno utilizzati a seguito dei risultati della valutazione dei rischi (ai sensi del D.Lgs. 81/08). 4. informazione/formazione/addestramento specifici per il personale (ai sensi del D.Lgs. 81/08). 33 Le malattie infettive trasmesse da zecche 3 Le malattie infettive trasmesse da zecche L’ impatto più grande sulla salute pubblica negli Stati Uniti e in Europa è stato riconosciuto con l’emergenza di B. burgdorferi come agente eziologico della malattia di Lyme nel 1982; da allora sono state descritte otto rickettsiosi. Attualmente le zecche sono considerate seconde solo agli insetti in importanza quali vettori d’infezioni umane nel mondo, ma prime nel nord America, come dimostrato dal sempre crescente numero di centri adibiti alla cura delle malattie trasmesse da zecche. Le zecche Ixodidae sono in grado di trasmettere all’uomo numerose e differenti patologie: la febbre bottonosa, l’ehrlichiosi, la febbre Q, la borreliosi di Lyme, la tularemia, la meningoencefalite virale (TBE) e la babesiosi. Le zecche Argasidae sono vettori di patologie meno rilevanti dal punto di vista epidemiologico: le febbri ricorrenti da zecche e la febbre Q. 3.1 Rickettsiosi Le rickettsiosi appartengono al gruppo delle febbri esantematiche e sono causate da Rickettsie, batteri trasmessi da zecche dure ampiamente distribuite in tutto il mondo. Il gruppo delle rickettsiosi comprende: • febbre esantematica delle montagne rocciose, diffusa in tutti gli Stati Uniti; • febbre da morso di zecca africana; • tifo da zecca di Queensland; • febbre da zecca dell’Asia settentrionale; • febbre bottonosa. Le Rickettsiae sono batteri Gram negativi, di dimensioni comprese tra 0,25-0,3 µm di lunghezza e 0,3-0,5 µm di larghezza. Tale microrganismo, a metà strada tra i batteri ed i virus, è un parassita simbionte degli artropodi; il suo ciclo biologico comprende una prima fase che si svolge in alcune specie di artropodi (pidocchio, pulce, zecche) ed una seconda nell'uomo, il quale rappresenta l'unico serbatoio a sangue caldo. Le Rickettsiae sono in grado di sopravvivere a lungo solo all’interno delle cellule, mentre vengono inattivate molto rapidamente nell’ambiente esterno; quasi tutte mostrano una spiccata predilezione per gli endoteli; si riproducono nel citoplasma ospite e più raramente nel nucleo, per scissione binaria. 34 Le Rickettsie infettano e si moltiplicano in quasi tutti gli organi delle zecche, in particolare nelle ghiandole salivari, che consentono loro di essere trasmesse agli ospiti vertebrati durante l’approvvigionamento di sangue. La zecca deve rimanere attaccata almeno per 4-6 ore nutrendosi di sangue, prima che le rickettsie possano riattivarsi e divenire infettive per l’uomo. Solo le Ixodidi sono state riconosciute come vettori di malattie ed è noto che le rickettsie si mantengono all’interno di queste attraverso la trasmissione per stadi e per generazioni. Delle diverse specie di rickettsie esistenti in natura la sola presente nel bacino del Mediterraneo è Rickettsia conorii, agente eziologico della Febbre Bottonosa del Mediterraneo (FBM). Febbre Bottonosa del Mediterraneo La Febbre Bottonosa del Mediterraneo viene trasmessa da diverse specie di zecche dure e soprattutto da Rhipicephalus sanguineus, un parassita abituale di cani e altri animali domestici e selvatici (conigli, lepri, ovini, caprini e bovini). L’agente patogeno della Febbre Bottonosa del Mediterraneo è rappresentato dalla Rickettsia conorii e da altri microrganismi strettamente correlati. Epidemiologia e ciclo biologico La febbre esantematica mediterranea, chiamata febbre “bottonosa” per la caratteristica eruzione cutanea (papulare piuttosto che maculare), causata da Rickettsia conorii, è stata descritta nel 1910 a Tunisi. L’escara nel sito di puntura della zecca fu descritta a Marsiglia nel 1925 da Boinet e Pieri. In Italia, dopo la prima segnalazione nel 1927 in Sicilia da Ingrao, dalla seconda metà degli anni ’70 si è avuto un notevole incremento dei casi soprattutto lungo la costa tirrenica e al sud. Attualmente in Sicilia vengono notificati quasi 500 casi/anno, un quinto dei quali si verifica in età pediatrica. Le altre regioni maggiormente colpite sono: Sardegna, Lazio, Calabria e Campania Caratteristiche cliniche, diagnosi e trattamento La malattia viene trasmessa all’uomo dalla comune zecca del cane Riphicephalus sanguineus, che al momento della puntura trasmette le rickettsie presenti nelle sue ghiandole salivari. 35 La zecca infetta é dunque vettore della malattia e, poiché a seguito dell’infezione non va incontro a morte ma trasmette la rickettsia alla sua progenie, è anche il principale serbatoio. Il cane è semplicemente un ospite occasionale e la sua presenza non è necessaria per la trasmissione dell’infezione all’uomo dal momento che nell’ambiente possono essere presenti zecche nate infette. La presenza degli animali è importante per il mantenimento dell’endemia, dal momento che il passaggio della zecca attraverso i diversi stadi maturativi (larva>ninfa>adulto) è condizionato dalla possibilità di espletare pasti ematici; il principale ruolo del cane è quello di portare in prossimità degli ambienti abitativi le zecche infette. La malattia si presenta nella maggior parte dei casi nel periodo fra maggio ed ottobre. Dopo inoculazione Rickettsia conorii si replica nelle cellule endoteliali dei vasi cutanei in corrispondenza del punto di inoculo, quindi passa in circolo, penetra e si moltiplica nelle cellule endoteliali di tutti i piccoli vasi causando una vasculite generalizzata. Le manifestazioni cliniche, che insorgono dopo un periodo d’incubazione di 6-13 giorni, sono costituite da una triade caratteristica: • la febbre; • la tache noire; • l’esantema maculo papuloso. Nelle prime fasi può essere confusa con l’ehrlichiosi, la meningite e con le infezioni da enterovirus; la febbre insorge improvvisamente con brivido, è elevata, spesso superiore a 39°C, ed è accompagnata da cefalea, artralgie, mialgie. A questi sintomi possono aggiungersi anche fotofobia, nausea, dolori addominali, vomito e diarrea. La cosiddetta “tache noire” all’inizio si presenta come un rilievo di pochi cm di diametro, di colorito rosso scuro, poi rapidamente diviene nerastro al centro trasformandosi in escara necrotica, nell’arco di una settimana guarisce lasciando una piccola cicatrice. La febbre bottonosa può portare complicazioni a carico del sistema cardiovascolare, renale e del sistema nervoso centrale. È letale in un numero molto basso di casi (inferiore al 3%). Le persone a rischio maggiore sono quelle che presentano già condizioni di salute compromesse. 36 Elementi per la diagnosi La diagnosi clinica della FBM è facilitata dalla conoscenza delle caratteristiche epidemiologiche della malattia: la stagione estiva, la provenienza da aree rurali endemiche per la malattia, il contatto con cani ed un eventuale storia di morso di zecca sono tutti fattori che aumentano la probabilità di essere di fronte ad un caso di FBM. La diagnosi clinica può essere confermata da quella di laboratorio, che si basa essenzialmente sulla ricerca degli anticorpi specifici sia di classe IgM che IgG anti-R. conorii con diverse metodiche, la più sensibile e specifica delle quali è l’immunofluorescenza indiretta (IFI). La reazione di WeilFelix, in passato impiegata come principale metodica diagnostica, va oggi preferibilmente abbandonata, in quanto poco affidabile per la sua scarsa specificità. In fase acuta di malattia, poiché è possibile che non si siano ancora formati gli anticorpi, l’IFI può dare esito negativo, è allora necessario effettuare un controllo sierologico in fase di convalescenza. Altre metodiche di laboratorio impiegate in laboratori specializzati sono: • Ricerca di R. conorii all’interno di cellule endoteliali mediante IFI; • Isolamento colturale in vivo (embrioni di pollo) e in vitro (colture cellulari); • PCR su sangue, siero, liquor e materiale bioptico. Terapia Il trattamento antibiotico di elezione della FBM è rappresentato dalle tetracicline in somministrazioni giornaliere per 5-7 giorni, e per almeno 48 ore dopo lo sfebbramento; il cloramfenicolo costituisce l’antibiotico di seconda scelta, che va utilizzato solo se esiste una controindicazione assoluta all’uso delle tetracicline. Il trattamento deve essere iniziato non appena ci siano dei sospetti clinici ed epidemiologici d’infezione, senza attendere conferma di diagnosi dal laboratorio. Per approfondimenti vedi paragrafo 2.10 Misure di prevenzione. Nel caso si fosse punti è fondamentale una pronta e corretta rimozione della zecca (vedi paragrafo 2.11 Rimozione della Zecca). Non esiste un vaccino. 37 Febbre Bottonosa del Mediterraneo Classe di notifica:II (DM 15.12.1990) Sorveglianza in funzione della situazione epidemiologica (D.Lgs 191/06, allegato I, elenco B) Classe di rischio:3 (D.Lgs 81/08, allegato XLV) 3.2 Ehrlichiosi – Anaplasmosi Malattia febbrile che ricorda la Febbre maculosa delle montagne rocciose causata da un batterio simile a una rickettsia del genere Ehrlichia e trasmessa all'uomo dalle zecche. Le Ehrlichie sono batteri obbligati e intracellulari che appaiono come piccole inclusioni citoplasmatiche nei linfociti e nei neutrofili. Le infezioni sono trasmesse all'uomo a volte tramite punture di zecca e a volte per contatto con cani parassitati dalla “zecca marrone”. La maggior parte dei casi è stata identificata nella zona sud-orientale e in quella centro-meridionale degli Stati Uniti. Attualmente si riconoscono varie specie di ehrlichie patogene per l'uomo: • E. sennetsu, responsabile di un quadro di febbre linfoghiandolare descritto in Giappone nei primi anni '50; • E. chaffeensis, agente dell'Ehrlichiosi umana monocitica (HME) osservata negli Stati Uniti e trasmessa dalla zecca Amblyomma americanum; • E. phagocytophila, responsabile dell'Ehrlichiosi Umana Granulocitica (HGE) osservata negli Stati Uniti ed in Europa e trasmessa da zecche del genere Ixodes; • E. edwingii. Le zecche vettore delle ehrlichiosi umane appartengono al genere Ixodes. Il probabile serbatoio ospite dell’E. chaffeensis è il cervo dalla coda bianca (Odocoileus virginianus) e, sebbene i cani domestici possono essere 38 infettati, il loro ruolo preciso come serbatoio di infezioni deve ancora essere stabilito. Piccoli mammiferi, in particolare topi con zampe bianche, sono stati ritenuti responsabili in qualità di serbatoi ospiti dell’agente HGE negli Stati Uniti dell’ovest e centro-occidentale, mentre in Europa i serbatoi dell’agente HGE sono ancora poco conosciuti. Epidemiologia e ciclo biologico Il primo caso umano di ehrlichiosi monocitica è stato descritto nel 1987 e si presume sia stato dovuto all’agente dell’ehrlichiosi canina. L’agente attuale, Ehrlichia chaffeensis, è stato isolato nel 1991 negli Stati Uniti; sempre qui nel 1994 è stato descritto per la prima volta l’HGE. Nel 1999 è stato scoperto che l’agente dell’ehrlichia granulocitica, Ehrlichia edwingii, poteva anche causare malattia nell’ uomo. Nel 2001, sulla base del sequenziamento del gene rRNA 16S, le ehrlichie sono state incluse nel genere Anaplasma e suddivise in tre specie: Anaplasma, Neorickettsia ed Ehrlichia. I casi di ehrlichiosi monocitica si riscontrano prevalentemente negli USA, ove è presente la zecca vettore Amblyomma americanum. L’ehrlichiosi granulocitica, causata da A. phagocytophila, è veicolata da Ixodes scapularis (USA) e Ixodes ricinus (Eurasia), gli stessi vettori che trasmettono Borrelia burgdorferi; l’epidemiologia delle due infezioni risulta, infatti, sovrapponibile. Ben più di 1000 casi di ehrlichiosi granulocitica sono stati registrati negli USA; in Europa solo recentemente, nell’ultimo decennio, i primi dodici casi sono stati individuati in Slovenia, cui sono seguite fino a 50 segnalazioni in Polonia, Svezia, Norvegia, Belgio, Spagna, Repubblica Ceca e anche in Italia. Caratteristiche cliniche, diagnosi e trattamento I batteri del genere Ehrlichia sono noti da molto tempo come patogeni degli animali e solo negli ultimi dieci anni hanno risvegliato l’interesse del microbiologo medico, poiché alcuni di essi (E. chaffeensis, E. canis ed E. phagocytophila) sono stati identificati come responsabili di forme acute febbrili insorte nell’uomo in seguito al morso di zecca. Il decorso dell’ehrlichiosi umana è per lo più subclinico e comunque aspecifico. Il quadro clinico è quello di una malattia multisistemica da moderata a severa: dopo un periodo d’incubazione di 7-10 giorni compaiono febbre, raffreddore, cefalea, mialgie e malessere generale; spesso si aggiungono nausea, inappetenza e perdita di peso. L’anamnesi spesso evi- 39 denzia una recente puntura di zecca o, nel periodo maggio-settembre, la residenza in zone endemiche. L’aspecificità della sintomatologia clinica e la non ancora standardizzata diagnosi microbiologica rendono questa infezione di non facile identificazione, ma di rimarchevole importanza nella diagnosi differenziale verso altre patologie. L'ehrlichia, penetrata nella cute, si diffonde per via linfatica ed ematica raggiungendo le cellule bersaglio del sangue e del sistema reticolare: si possono osservare le caratteristiche “morule”, oltre che in macrofagi, monociti, linfociti e talora poliformonucleati, anche in cellule di midollo osseo, sinusoidi epatici, linfonodi, cordoni splenici, macrofagi del liquor, rene ed epicardio. Meno della metà dei pazienti (più spesso bambini) presentano esantema maculopapulare, talora petecchiale. Nelle forme severe degli adulti è presente tosse, diarrea e linfoadenopatia; nei bambini è possibile osservare edema delle mani o dei piedi, leucopenia, trombocitopenia, elevati livelli plasmatici di transaminasi epatiche (ASAT). Importanti complicanze comprendono insufficienza respiratoria, insufficienza renale, alterazioni del SNC ed emorragie digestive; la letalità è intorno al 2%. Elementi per la diagnosi Con quest’ampio panorama di manifestazioni cliniche, che va dall’assenza di sintomi alla malattia con brusco esordio e rapido exitus, la diagnosi clinica è difficile e quindi diventa di notevole ausilio una rapida e corretta diagnosi di laboratorio anche per accertare la presenza dell'infezione in maniera precoce, prima ancora della risposta anticorpale. Grazie alle metodiche di biologia molecolare oggi è possibile la ricerca diretta di Ehrlichia spp. con la PCR, test precoce, utile per un tempestivo inizio della terapia di elezione. Inoltre la genotipizzazione del gruppo infettante ed il monitoraggio, durante e dopo la cura, aiutano nella prognosi, dando indicazioni sia sulla capacità aggressiva del microrganismo, sia sulla possibilità di una cronicizzazione o sulla eradicazione dello stesso. La diagnosi di laboratorio si ottiene anche mediante l’identificazione delle morule nei leucociti periferici dei pazienti (dopo colorazione di Wright o Giemsa), o con l’ausilio della tecnica di immunofluorescenza indiretta (IFA). 40 Terapia È consigliabile iniziare la terapia prima che i risultati di laboratorio confermino la diagnosi. Se iniziata precocemente, i pazienti generalmente rispondono rapidamente e con esito positivo; in caso di terapia ritardata, possono seguire complicanze serie, comprese superinfezioni virali, micotiche e morte. Possono essere somministrati la tetraciclina, la doxiciclina, ed anche il cloramfenicolo, sebbene anche i chinolonici e la rifampicina si siano dimostrati attivi in vitro; la terapia deve protrarsi per almeno 7 giorni. Non esiste un vaccino. Per approfondimenti vedi paragrafo 2.10 Misure di prevenzione. Nel caso si fosse punti è fondamentale una pronta e corretta rimozione della zecca (vedi paragrafo 2.11 Rimozione della Zecca). Ehrlichiosi – Anaplasmosi Classe di notifica:V (DM 15.12.1990) Sorveglianza in funzione della situazione epidemiologica (D.Lgs 191/06, allegato I, elenco B) Classe di rischio:2 (D.Lgs. 81/08, allegato XLV) 41 3.3 Borreliosi di Lyme La borreliosi di Lyme (BL), detta anche “eritema migrante” o “eritema cronico migrante”, è un’antropozoonosi causata da spirochete appartenenti al complesso Borrelia burgdorferi sensu lato di cui almeno 3 specie sono state identificate come patogene per l’uomo: Borrelia burgdorferi sensu strictu (ss) (presente in Europa e unico agente d’infezione nell’America settentrionale), Borrelia afzelii e Borrelia garinii (presenti in Europa, Asia e Africa). Le tre genospecie possiedono diverso organotropismo e possono provocare diverse manifestazioni cliniche. Le borrelie responsabili della BL vengono trasmesse all’uomo attraverso la puntura di zecche dure appartenenti al genere Ixodes (ricinus, persulcatus, scapularis, pacificus) e forse anche Amblyomma e Dermacentor (zecca del cane). Il serbatoio naturale delle borrelie è costituito da vari vertebrati, quali rettili, uccelli, roditori, mammiferi di media e grossa taglia (alci, cervi, cani, cavalli). Epidemiologia e ciclo biologico La malattia deve la sua attuale denominazione a un’insolita epidemia di artrite giovanile osservata nel 1975 tra gli abitanti della contea di Old Lyme, nel Connecticut (Stati Uniti). Nel 1977 Steere dimostrava la correlazione tra il morso della zecca e la successiva insorgenza di eritema cutaneo e sintomi articolari; una malattia con sintomi simili era stata osservata in Europa ben 100 anni prima. Nel 1982 Burgdorfer e Barbour isolavano una spirocheta (poi denominata Borrelia burgdorferi) nell’intestino della zecca di genere Ixodes e, due anni più tardi, la stessa borrelia veniva isolata nelle lesioni cutanee, nel sangue e nel liquor cefalorachidiano dei pazienti affetti dalla malattia. Successivamente anche la zecca Ixodes scapularis (precedentemente Ixodes dammini) è stata individuata come vettore del microrganismo e la borreliosi di Lyme ed è ora la malattia vettore-trasmessa più comune negli Stati Uniti. In Europa le specie Apodemus sono considerate il più importante serbatoio di B. burgdorferi ss e B. afzelii. Diverse specie di uccelli (tordi, merli, pettirossi, piccioni) sono considerati probabili serbatoi di B. garinii. In Italia la specie di zecca maggiormente responsabile della trasmissione di Borrelia burgdorferi è la Ixodes ricinus. La presenza d’infezione da B. afzelii, B. burgdorferi, B. garinii nelle zecche è stata dimostrata in varie regioni italiane, principalmente nell’area centro-settentrionale (le segnala- 42 zioni dalle regioni dell’Italia centro-meridionale e insulare sono sporadiche). Studi sieroepidemiologici hanno dimostrato la presenza di positività per anticorpi specifici anti-borrelia in percentuali significativamente più alte in soggetti appartenenti a categorie maggiormente esposte a rischio di punture da zecche (forestali, cacciatori) che nella popolazione generale. Differenze nelle manifestazioni cliniche della malattia in pazienti residenti negli Stati Uniti e in quelli provenienti dall’Eurasia si pensa siano dovute a differenze nell’organotropismo delle diverse specie di borrelia in queste zone. Caratteristiche cliniche, diagnosi e trattamento B. afzelii risulta spesso associata all’eritema migrante, ma è anche la causa principale di acrodermatiti croniche atrofizzanti. Un’infezione da B. garinii è frequentemente associata a disturbi neurologici, mentre soggetti infetti da B. burgdorferi ss manifestano più spesso disturbi reumatici. La disseminazione ematica delle borrelie sembra più frequente nelle infezioni diagnosticate negli Stati Uniti, mentre in Europa l’eritema cronico migrante rimane più spesso un’infezione localizzata. La diagnosi di malattia di Lyme, anche se spesso difficile, è strettamente clinica e l'eritema migrante (EM) è l'unica lesione patognomica ma, a causa dei diffusi timori correlati a questa patologia, l'uso dei test sierologici è purtroppo divenuto frequente. Le limitazioni della tecnologia diagnostica spesso portano a confusione piuttosto che fare chiarezza dal momento che i test diagnostici, generalmente usati e disponibili, sono test indiretti che indicano una possibile esposizione all'agente eziologico e non un'infezione attiva in atto. Numerosi sono i fallimenti clinici che derivano dall’utilizzo di test sierologici differenti, soprattutto in pazienti con bassa probabilità di essere affetti da BL. Ciò è spesso vero anche per i test eseguiti nei Laboratori di Riferimento: molte delle attuali controversie sulla diagnosi e terapia della BL possono essere ricondotte direttamente ad una incompleta comprensione delle limitazioni dei test sierologici. Vari studi documentano un’estrema variabilità, sia intra- che inter-laboratorio, dei risultati dei test sierologici per la BL, per non parlare delle notevoli variabilità antigeniche fra i vari ceppi di B. burgdorferi, per cui i risultati falsi negativi e più frequentemente i falsi positivi costituiscono un serio problema. 43 La scarsa presenza di borrelie nei tessuti e nei liquidi circolanti, la loro estrema adattabilità all’ospite e, di conseguenza, la loro difficoltà di adattamento al terreno artificiale, fanno in modo che la diagnosi diretta di malattia di Lyme, mediante l’isolamento di B. burgdorferi in terreno, non sia una pratica diagnostica utilizzata da tutti i laboratori. Rimane tuttavia la prova più certa, in assenza di altre indicazioni, dell’eziologia dell’infezione. L’isolamento di Borrelia burgdorferi dall’uomo ha successo soprattutto se fatto dall’eritema cronico migrante e dal liquor (nei casi di neuroborreliosi). Concludendo appare chiaro che: • l'uso indiscriminato dei test di screening per la BL è di scarso o nullo valore e deve essere evitato; • una reattività sierologica non è sinonimo di malattia dal momento che false positività intervengono frequentemente; • false negatività intervengono altrettanto frequentemente per cui il medico non può escludere la diagnosi di BL solo sulla base di un test negativo o, in pazienti clinicamente molto sospetti, anche sulla base di più test negativi; • in assenza dell'EM nella sua forma tipica, la diagnosi differenziale è difficile. Elementi per la diagnosi La diagnosi di BL è pressoché clinica e i test sierologici per la ricerca di anticorpi specifici, insieme ad un’anamnesi altamente sospetta, aiutano il medico a confermarla. Una metodica di diagnosi diretta, prospettata spesso in alternativa all’isolamento, è costituita dall’amplificazione polimerasica a catena (PCR) di sequenze B. burgdorferi specifiche. L’utilizzo della PCR per la diagnosi di malattia di Lyme ha valore diagnostico solo se associato ad altri dati, sia clinici sia di laboratorio, in quanto tale metodica, allo stato attuale poco standardizzata, non dà indicazioni sulla fase dell’infezione (se acuta o persistente) e non sembra essere correlata all’esito della terapia. L’analisi sierologica è di norma effettuata in conformità alle linee guida dei CDC di Atlanta, che raccomandano un primo test di screening, test immunoenzimatico legato a fase solida (ELISA), test di enzimoimmunologia (EIA) o test d’immunofluorescenza indiretta (IFA), seguito da un test più specifico di conferma (Western Blot o WB). In aggiunta, tenuto conto della complessità antigenica delle spirochete che appartengono al com- 44 plesso B. burgdorferi sl, al fine di aumentare il livello di sensibilità di questo metodo, dovrebbe essere eseguito il WB con più di una genospecie allo stesso tempo, soprattutto perché a fasi diverse della malattia possono corrispondere genospecie differenti. Anche per il WB vi sono almeno tre grosse limitazioni: • spesso può essere negativo durante la fase precoce localizzata di malattia; • una terapia antibiotica, soprattutto se incongrua, instaurata nella fase precoce localizzata, può smorzare o bloccare la risposta immunitaria portando ad una perdita di reattività e creando così una pericolosa causa di falsa sieronegatività anche nella fase disseminata precoce di malattia; • la non standardizzazione dei criteri interpretativi, da cui deriva una variabilità estrema nelle risposte. Reazioni sierologiche falsamente positive sono state riscontrate in soggetti affetti da Lue (anche con VDRL negativa), in pazienti con altre infezioni batteriche (Rickettsia in particolare) e virali (mononucleosi con reazione di Paul Bunnel positiva). Si deve concludere pertanto che il dato sierologico e di laboratorio va considerato un utile e indispensabile ausilio nel procedimento diagnostico della malattia di Lyme, che deve comunque e sempre essere essenzialmente basato sul dato clinico e su una accurata anamnesi. Gli anticorpi anti-Borrelia, prodotti in seguito ad esposizione all’agente infettante, permangono per mesi o per anni, anche qualora il paziente sia stato sottoposto a terapia antibiotica con successo. Inoltre l’immunità nei confronti di borrelia non è protettiva ai fini di una successiva reinfezione. Terapia Nell’ infezione precoce localizzata possono essere somministrati doxiciclina, tetraciclina e amoxicillina e penicillina; nell’infezione precoce disseminata ed infezione cronica tardiva ceftriaxone, cefotaxime, penicillina e cloramfenicolo. La durata della terapia va da 3 a 4 settimane; vi sono ragioni per ritenere che 10 - 14 giorni di terapia siano insufficienti. Per le manifestazioni neurologiche (precoci e tardive) è previsto l’uso del ceftriaxone o della penicillina. Infine l’artrite (intermittente o cronica) è trattata con successo con doxiclina (o amoxicillina). 45 Prevenzione e profilassi Nel caso si fosse punti è fondamentale una pronta e corretta rimozione della zecca (vedi paragrafo 2.11 Rimozione della Zecca). Osservare (tutti i giorni per almeno un mese) sia la lesione cutanea per cogliere l’insorgenza dell'EM, sia la possibile comparsa di altri sintomi per potere così instaurare in tempo utile un adeguato trattamento. È opportuno che tale osservazione venga effettuata non solo dal soggetto punto ma, nei casi sospetti, anche dal medico curante, che sarà così in grado di cogliere l'insorgenza della malattia, e di attivare gli opportuni canali di diagnosi, consulto e terapia ritenuti necessari. Vaccino Negli Stati Uniti sono stati sperimentati due vaccini nei confronti di B. burgdorferi. Entrambi sono stati prodotti con metodiche di ingegneria genetica, utilizzando la proteina ricombinante OspA come immunogeno: il LYMErix (SmithKline Beecham Pharmaceuticals) e l'ImuLyme (Pasteur Mérieux Connaught). Tra questi solo il primo ha ottenuto l'approvazione dalla US Food and Drug Administration per il suo utilizzo in America. Dal 2004 il LYMErix è stato ritirato dal mercato in quanto commercialmente non conveniente. Inoltre non sarebbe stato efficace contro le genospecie di borrelie presenti in Italia e in Europa. Per approfondimenti vedi paragrafo 2.10 Misure di prevenzione. Borreliosi di Lyme Classe di notifica:V (DM 15.12.1990) Sorveglianza in funzione della situazione epidemiologica (D.Lgs 191/06, allegato I, elenco B) Classe di rischio:2 (D.Lgs81/08, allegato XLV) 46 3.4 Febbre ricorrente da zecche Febbre ricorrente è la denominazione applicata a febbri periodiche clinicamente simili ma eziologicamente distinte, può essere causata da molte differenti specie di Borrelie; i vettori prevalenti sono le zecche molli del genere Ornithodorus, in grado di parassitare tanto l’uomo che piccoli animali (roditori). Questa malattia può essere provocata anche dai pidocchi: se trasmessa da zecche può assumere un carattere endemico, se gli agenti sono i pidocchi è invece a carattere epidemico. L'uomo rappresenta un ospite occasionale per questa zoonosi che, peraltro, è presente in varie parti del mondo, tra cui alcuni Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo. Epidemiologia e ciclo biologico La febbre ricorrente da zecche è stata già documentata in tempi antichi e riconosciuta come malattia trasmessa da zecche nel 1905, quando Dutton e Todd dimostrarono la presenza di spirochete in Ornithodoros moubata, in Africa occidentale. In seguito è stato accertato che è causata da almeno 13 specie di Borrelia, trasmesse all’uomo da alcune zecche molli del genere Ornithodoros. Negli USA la malattia è in genere limitata agli Stati dell'ovest, con massima frequenza tra maggio e settembre. Caratteristiche cliniche, diagnosi e trattamento La febbre ricorrente da zecche inizia con l’insorgenza di un acuto picco febbrile, mal di testa, artralgia e tosse. Il periodo d’incubazione va da 3 a 11 giorni (in media 6 giorni). Brividi repentini segnano l'attacco e sono seguiti da febbre elevata, tachicardia, cefalea grave, vomito, dolori muscolari e articolari e spesso da delirio. Precocemente può comparire un'eruzione eritematosa maculare o purpurea al tronco e agli arti; possono essere presenti anche emorragie congiuntivali, sottocutanee o sottomucose, oltre a una lieve leucocitosi polimorfonucleare. Più avanti nel decorso si manifestano ittero, epatomegalia, splenomegalia, miocardite e insufficienza cardiaca. La febbre rimane alta per 3-5 giorni e poi scompare rapidamente a indicare una svolta nel decorso. La durata della malattia va da 1 a 54 giorni (in media 18 giorni). Il paziente è solitamente asintomatico per diversi giorni, fino a 1 settimana o più. La recidiva, da mettere in relazione con lo sviluppo ciclico dei parassiti, si verifica con un brusco ritorno della febbre e, spesso, dell'artralgia e degli altri sintomi e segni descritti; l'ittero è più frequente durante le reci- 47 dive. La malattia scompare nuovamente, ma a intervalli di 1-2 settimane possono susseguirsi 2-10 episodi febbrili analoghi. Gli episodi diventano progressivamente meno gravi e la guarigione è possibile se il paziente sviluppa un'immunità. La febbre ricorrente è stata diagnosticata in tutto il mondo ad eccezione di Australia e Nuova Zelanda. Elementi per la diagnosi La diagnosi è effettuata rilevando la presenza di Borrelia nel sangue periferico dei pazienti affetti da febbre. Questo test ha una sensibilità di circa il 70%, quando si esegue uno striscio di sangue esaminato mediante microscopia in campo oscuro, dopo colorazione con Giemsa o con colorazione di Wright su goccia spessa e su striscio. Le borrelie sono di solito assenti dal sangue negli intervalli tra le recidive. La diagnosi differenziale include artrite di Lyme, malaria, dengue, febbre gialla, leptospirosi, tifo esantematico, influenza e febbri enteriche. Il tasso di mortalità è generalmente dello 0-5%, ma può essere ben più alto nei bambini, nelle donne in gravidanza, negli anziani, negli individui malnutriti o debilitati o durante epidemie di febbre da pidocchi. Terapia La terapia va intrapresa o all'inizio della fase febbrile o durante lo stadio di apiressia. Si somministra tetraciclina o eritromicina, ugualmente efficace è la doxiciclina. Per approfondimenti vedi paragrafo 2.10 Misure di prevenzione. Nel caso si fosse punti è fondamentale una pronta e corretta rimozione della zecca (vedi paragrafo 2.11 Rimozione della Zecca). Febbre ricorrente da zecche Classe di notifica:V (DM 15.12.1990) Sorveglianza in funzione della situazione epidemiologica (D.Lgs 191/06, allegato I, elenco B) Classe di rischio:2 (D.Lgs 81/08, allegato XLV) 48 3.5 Tularemia La Tularemia è una patologia estremamente infettiva. L’agente eziologico è Francisella tularensis, uno dei batteri con più alta infettività che può causare patologie gravi e mortali nell’uomo. Per alcuni ceppi di tipo A è sufficiente l’inoculazione o l’inalazione di dieci batteri per indurre la malattia. Per questo motivo F. tularensis è considerata un potenziale agente di bioterrorismo. Clinicamente si manifesta in modi diversi a seconda della via di contagio e in base alla virulenza dell’agente patogeno. Si può contrarre attraverso il contatto diretto con animali infetti, per l’ingestione di acqua contaminata o di carne poco cotta proveniente da animali infetti, ma anche attraverso la puntura di diversi artropodi, come le zecche. L’impatto maggiore sulla popolazione, in termini di morbilità e mortalità, si ha in seguito all’inalazione di un ceppo altamente virulento. F. turalensis è un piccolo cocco bacillo, aerobico, intra ed extracellulare , Gram–negativo, che si replica nei macrofagi. La posizione tassonomica del genere Francisella è piuttosto complessa: nel passato era stata classificata nei gruppi di Brucella o Pasteurella. La tassonomia attuale considera all'interno del genere Francisella due specie: F. tularensis e F. philomiragia. Nella F. tularensis sono descritte cinque subspecie o biotipi: F.tularensis o neartica, conosciuta anche come tipo A, holarctica biotipo I, holarctica biotipo II, che formano il tipo B, mediaasiatica e novicida, classificata come tipo C. Tali biovarianti differiscono per caratteristiche biochimiche, di virulenza ed epidemiologiche. I biotipi tipo A sono estremamente patogeni per l'uomo, quelli tipo B lo sono molto meno, mentre quelli tipo C sono scarsamente patogeni. Epidemiologia e ciclo biologico La vastità degli ecosistemi coinvolti nel ciclo della tularemia, il numero di specie recettive, la presenza di biotipi a diversa patogenicità, la relativa resistenza di Francisella in natura, specie nei climi freddi, rende veramente complessa una definizione del ciclo di questa malattia. Nel 1911 McCoy descrisse una malattia simile alla peste che colpiva gli scoiattoli della California: l'agente responsabile fu chiamato Bacterium tularense, dal nome della contea di Tulare. La malattia umana fu descritta da Francis nel 1921 come tularemia e, in suo onore, il batterio fu ribattezzato Francisella tularensis. L'infezione è presente nell'emisfero settentrionale, nelle zone comprese fra il 30° e il 70° grado di latitudine: negli Stati U- 49 niti orientali durante l'inverno nel periodo della caccia al coniglio, e in quelli occidentali durante l'estate, in relazione al momento di maggior diffusione delle zecche. In Europa e in Asia sembra che nei tempi passati abbia avuto larga diffusione, visto il gran numero di potenziali specie infette e di vettori. I meccanismi principali della persistenza in natura della tularemia vanno ricercati negli artropodi vettori: le zecche [Amblyomma, Dermacentor, Haemaphysalis, Ixodes, Ornithodoros]. Francisella può essere isolata anche mesi dopo la fine di un’epidemia ed è trasmessa anche per via verticale; le zanzare (generi Aedes, Culex, Anopheles) e i tafani (Chrysops spp.) possono giocare un ruolo non secondario in molti territori. Nell’uomo la tularemia può essere acquisita attraverso la puntura di artropodi infetti, soprattutto nei mesi estivi, oppure la manipolazione di tessuti animali infetti, l’ingestione di acqua o cibo contaminato, l’inalazione di particelle infettive aerosolizzate manipolando, ad esempio, fieno infetto. Le carcasse di animali infetti rappresentano una fonte di primaria importanza anche per quelle specie, come i gatti che, vivendo a stretto contatto con l'uomo, diventano veicolo dell'infezione zoonosica: il semplice contatto con animali malati o morti può provocare l'infezione e questo spiega la maggior frequenza della malattia in categorie come cacciatori, guardia parco, agricoltori e veterinari. Non è da trascurare la possibilità di acquisire la malattia in seguito a manipolazione di materiale infetto o colture batteriche, non a caso è considerata una delle più importanti infezioni che si possono contrarre in laboratorio. Caratteristiche cliniche, diagnosi e trattamento Il periodo medio d’incubazione per la tularemia è di 4-5 giorni. L’esordio è caratterizzato da febbre, brividi, cefalea, malessere, anoressia, affaticamento. A volte insorgono tosse, mialgie, disturbi toracici, vomito, ulcere faringee, dolore addominale, diarrea. La febbre si mantiene elevata per alcuni giorni; segue un breve periodo di defervescenza, con successiva recrudescenza febbrile senza altri sintomi. In assenza di trattamento la febbre permane per circa 30 giorni, e si associano calo ponderale, debilitazione cronica, adenopatia persistente per alcuni mesi. Da un punto di vista clinico sono descritte sei forme: • forma ulcero-ghiandolare (21-87% dei casi): si presenta inizialmente una tumefazione linfonodale e dopo alcuni giorni compare una papu- 50 • • • • • la rossa e dolente in sede di drenaggio dei linfonodi coinvolti. La lesione va incontro a necrosi lasciando un'ulcera con bordo rilevato; ghiandolare (3-20% dei casi): linfoadenopatia senza presenza di ulcere cutanee; oculoghiandolare (0-5% dei casi): i batteri penetrano attraverso la congiuntiva o per contatto con dita contaminate, schizzi o aerosol. I sintomi: fotofobia, lacrimazione seguita da congiuntivite franca con chemosi e papule o ulcere congiuntivali giallastre; faringea (0-12% dei casi): solitamente di origine alimentare per cui spesso vi sono più casi nella stessa famiglia. E' presente faringodinia con faringite o tonsillite essudativa con o senza ulcere. Sono di solito coinvolti i linfonodi regionali; polmonare (7-20% dei casi): quadro polmonare conseguente a inalazione diretta o a disseminazione ematica dei microorganismi, con febbre, tosse, costrizione retro sternale, dolore toracico; tifoidea (5-30% dei casi): forma febbrile non associata ad adenopatia, conseguente a qualsiasi modalità di esposizione. Alcune forme di tularemia possono essere complicate da una diffusione sistemica con quadri di polmonite (comune), sepsi (non comune) o meningite (rara). Elementi per la diagnosi L’identificazione della Francisella deve essere sempre eseguita da laboratori di referenza, altamente specializzati. La malattia è sempre più frequentemente diagnosticata con test sierologici, sebbene i batteri possano essere isolati da emocolture, sputo, campioni di liquor, biopsie di linfonodi, tessuti o colture cellulari mediante immunofluorescenza o tecniche di biologia molecolare, incluse la PCR e le sequenze geniche. (La PCR ha permesso di suddividere gli stipiti di Francisella tularensis in 17 gruppi genetici designati con le lettere da A a Q). Terapia La terapia, in caso sospetto di tularemia, dovrebbe essere iniziata immediatamente. Il farmaco di scelta è la streptomicina, ugualmente efficace è la gentamicina. Si può somministrare cloramfenicolo o tetracicline, fino a normalizzare la temperatura corporea, per 5-7 giorni. Bendaggi umidi di soluzio- 51 ne fisiologica applicati con continuità sono indicati per le lesioni cutanee primarie. Nella tularemia oculare si ottiene sollievo con applicazioni di garze sterili imbevute di soluzione fisiologica calda e con l'uso di occhiali scuri; nei casi gravi si possono instillare 1-2 gocce di omatropina al 2%. La cefalea intensa di regola viene controllata dalla codeina. Prevenzione e profilassi L'estrema infettività della malattia richiede un comportamento adeguato per evitare l’esposizione all'agente eziologico: un corretto abbigliamento per evitare le punture di zecche, l'utilizzo di guanti nella manipolazione di animali o carcasse potenzialmente infetti. Gli operatori di laboratorio debbono evitare ogni manipolazione che possa creare aerosol o dispersione di gocce e seguire tutte le procedure per la protezione del personale e dell’ambiente. I campioni clinici devono essere manipolati in condizioni di contenimento almeno di 2° livello e trasferiti appena possibile in un 3° livello di contenimento se si sospetta F. tularensis. Le superfici contaminate devono essere sterilizzate con l’uso di candeggina al 10%, seguita dopo 10 minuti da soluzione alcolica al 70%. Nell’ambiente esterno F. tularensis sopravvive per lunghi periodi in acqua, nel terreno, nelle carcasse di animali e la sopravvivenza aumenta se la temperatura è bassa. Per quanto riguarda le particelle infettanti disperse artificialmente (per rilascio intenzionale), non è noto per quanto tempo possano sopravvivere all’interno degli edifici o in un centro urbano. I livelli standard di clorazione dell’acqua potabile sono sufficienti a prevenire la contaminazione da F. tularensis. Vaccino Un vaccino vivo attenuato è stato utilizzato dal 1959 per immunizzare il personale di laboratorio a rischio d’infezione e il personale militare, ma non è registrato in nessun Paese. Viene somministrato in unica dose mediante scari-ficazione. Studi su volontari hanno dimostrato una parziale protezione contro batteri aerosolizzati. Per approfondimenti vedi paragrafo 2.10 Misure di prevenzione. Nel caso si fosse punti è fondamentale una pronta e corretta rimozione della zecca (vedi paragrafo 2.11 Rimozione della Zecca). 52 Tularemia Classe di notifica:II (DM 15.12.1990) Sorveglianza in funzione della situazione epidemiologica (D.Lgs 191/06, allegato I, elenco B) Classe di rischio: tipo A: 3; tipo B: 2 (D.Lgs81/08, allegato XLV) 3.6 Meningoencefalite da zecche (TBE) La meningoencefalite da zecche (TBE - Tick Borne Encephalitis) o meningoencefalite primaverile-estiva, è una malattia virale acuta del sistema nervoso centrale causata da un arborvirus appartenente al genere Flavivirus, molto simile ai virus responsabili della febbre gialla e della dengue. Diversi animali selvatici o domestici quali roditori, caprioli, ovini, caprini sono, come l’uomo, ospiti del virus e contribuiscono al mantenimento del ciclo di trasmissione dell’infezione; gli uccelli, molto probabilmente, contribuiscono a trasportare passivamente zecche infette anche a notevole distanza durante le loro migrazioni. Le zecche (in particolar modo Ixodes ricinus e Ixodes persulcatus) rivestono un’importanza maggiore nella trasmissione della forma centroeuropea, sia come vettori che come serbatoi; anche le zecche del genere Dermacentor (zecca del cane) e Haemaphysalis possono trasmettere l'infezione. La zecca ospita il virus e funge essenzialmente da vettore mentre piccoli roditori rappresentano i principali ospiti intermedi che favoriscono il mantenimento del ciclo vitale del virus; altri animali sono infettati ma non sembrano avere un ruolo importante. L'agente responsabile dell'infezione è un virus appartenente alla famiglia dei Flaviviridae che è stato isolato per la prima volta nel 1937. Il virus può infettare in maniera cronica la zecca e sopravvivere durante il ciclo vitale della stessa. La femmina di zecca adulta infetta può trasmettere l'infezione anche alle successive generazioni per via transovarica. Il periodo dell'anno in cui si evidenzia la maggiore incidenza dell'infezione è quello che va da aprile a novembre, e i luoghi considerati a maggiore rischio so- 53 no le zone boschive o rurali, nelle quali sia stata identificata la presenza di zecche infette o siano stati segnalati casi d’infezione nell'uomo. I mesi primaverili, estivi e autunnali dopo un’estate calda e umida sono i periodi a maggiore rischio, in quanto corrispondono alla massima attività delle zecche. La trasmissione del virus da uomo a uomo non è mai stata riportata, mentre vi sono casi di trasmissione dell'infezione dalla madre infetta al feto per via transplacentare. L'infezione può essere contratta anche con l'ingestione di latte non pastorizzato proveniente da animali infetti, in modo particolare da capre. Epidemiologia e ciclo biologico La TBE è endemica in alcuni paesi dell’Europa orientale e meridionale (in Italia è presente soprattutto nelle regioni nordorientali, quali Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige), infetta varie specie animali (ovini, roditori) ed è occasionalmente trasmessa all’uomo dal morso della zecca. L’encefalite da morso di zecca è stata identificata per la prima volta in Italia nel 1994 in provincia di Belluno. Dal punto di vista epidemiologico oggi la TBE è presente in focolai endemici in molti Paesi dell’Europa centro orientale e settentrionale, Italia compresa. L'infezione è frequente nelle aree boschive di molti Paesi dell'Europa, dell'Unione Sovietica e dell'Asia in concomitanza alla diffusione territoriale della zecca del genere I. ricinus e I. persulcatus. Negli ultimi trent’anni la meningoencefalite da zecche è diventata un problema crescente per la salute pubblica con circa 13.000 casi ogni anno. L’aumento delle temperature ne ha favorito la diffusione. Il numero di casi d’infezione che vengono segnalati ai sistemi di sorveglianza delle malattie infettive nei vari Paesi è variabile di anno in anno, ma si tratta sempre di parecchie migliaia. La TBE è presente in Austria, Germania, Slovenia, Estonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Polonia, Svizzera, Ucraina. L’Austria è il Paese con il tasso di vaccinazione più elevato in Europa. Anche se con minor frequenza la malattia è segnalata in Bulgaria, Romania, Danimarca, Francia, Finlandia e Svezia. Infezioni sporadiche sono state riportate anche in Albania, Grecia, Italia, Norvegia e Turchia. L'encefalite da zecca riportata in Russia, Cina, Corea e Giappone è causata da un virus simile, conosciuto come “Russian Spring-Summer Encephalitis Virus” o RSSE; si tratta di una malattia analoga alla meningoencefalite 54 da zecca europea, anche se caratterizzata da un quadro clinico di solito più severo. Caratteristiche cliniche, diagnosi e trattamento. Il periodo d’incubazione può andare da 2 a 28 giorni e, nella forma classica, la TBE mostra un caratteristico andamento a due fasi cliniche: nella prima (fase viremica) si manifestano febbre e altri sintomi di tipo similinfluenzali. Questi sintomi scompaiono dopo alcuni giorni, e l’infezione lascia poi un’immunità che dura per tutta la vita, ma nel 5-15% delle persone che si ammalano, durante i 4-6 giorni successivi all’insorgere dei sintomi, si sviluppa una meningite e l’infezione può anche propagarsi al cervello, provocando una meningoencefalite. I sintomi includono irrigidimento della nuca, torpore mentale e paralisi. Stanchezza, problemi di concentrazione, di memoria, di sonno e vertigini possono perdurare per settimane o mesi; scompaiono generalmente nella maggior parte dei casi. Nelle forme gravissime sono possibili dei postumi permanenti. Nei bambini e nei soggetti più giovani la TBE mostra generalmente un decorso più mite, con progressivo aumento della severità al progredire dell’età. Il decesso avviene in una persona su 100, soprattutto tra gli anziani. Elementi per la diagnosi La sola sintomatologia non permette di distinguere le infezioni dovute al virus della TBE o ad altri Arborvirus, da quelle legate a Enterovirus e ad altri virus neurotropi. I criteri per la diagnosi di laboratorio sono i seguenti: • dimostrazione di IgM specifiche nel siero; • aumento pari o superiore a 4 volte del titolo anticorpale specifico per virus TBE; • isolamento del virus, o dimostrazione della sua presenza, da siero, liquor o campioni di tessuto. Terapia Non esiste una specifica terapia farmacologica. In caso di comparsa di meningite o di encefalite è richiesta l'ospedalizzazione del paziente al fine di eseguire una terapia di supporto. Il numero d’infezioni causate dal virus è notevolmente aumentato nel corso degli ultimi anni. Benché il rischio di ammalarsi dopo un’infezione sia basso, le persone che risiedono 55 in una zona infetta o che vi soggiornano, presentano un rischio di sviluppare delle complicazioni gravi e/o eventualmente permanenti. Non essendo disponibile un trattamento specifico contro questa malattia, la vaccinazione è il mezzo più efficace per evitarne le conseguenze. Vaccino Il vaccino contro la TBE, da tempo in uso in molti Paesi dell’Europa centrale e settentrionale, è stato recentemente registrato anche in Italia con procedura di mutuo riconoscimento comunitario. Il ciclo vaccinale di base prevede la somministrazione di tre dosi (tempo 0, 1-3 mesi, 9-12 mesi) con richiami a cadenza triennale. Esiste anche la possibilità di eseguire un ciclo accelerato di vaccinazione, che però non garantisce gli stessi risultati del ciclo classico, in termini di risposta anticorpale. Si stima che l’immunità persista una decina d’anni, dopo di che è necessario un richiamo. Dovrebbero essere vaccinati tutti gli adulti e i bambini, di regola dai sei anni, che risiedono o soggiornano anche solo temporaneamente in una regione dove sono presenti zecche infette. L’indicazione alla vaccinazione nei bambini piccoli deve essere valutata individualmente considerando i reali rischi d’esposizione . I vaccini sono molto ben tollerati. Reazioni locali (rossore, dolore, tumefazione) sul punto dell’iniezione sono osservate in circa un terzo delle persone vaccinate. Scompaiono dopo 1-2 giorni. Sono pure state descritte reazioni generali come mal di testa, stanchezza, dolori muscolari e dolori articolari. La febbre è rara. Una reazione allergica grave (shock anafilattico) è possibile ma rara (1-2 per 1.000.000 dosi) con gli attuali vaccini. Le complicazioni neurologiche gravi sono rarissime (da 1 su 70.000 a 1 su 1.000.000 di dosi). Le zecche richiedono calore e umidità per essere attive. Il rischio d’infezione esiste durante tutta l’estate. L’inverno è quindi il periodo ideale per la vaccinazione, benché sia possibile vaccinarsi in qualsiasi momento. Informazioni più dettagliate sulle caratteristiche del vaccino, la sua efficacia, le controindicazioni e i possibili effetti collaterali saranno fornite dal personale operante nei centri vaccinali delle Aziende Sanitarie. Per approfondimenti vedi paragrafo 2.10 Misure di prevenzione. Nel caso si fosse punti è fondamentale una pronta e corretta rimozione della zecca (vedi paragrafo 2.11 Rimozione della Zecca). 56 Meningoencefalite da zecche (TBE) Classe di notifica:II (DM 15.12.1990) Sorveglianza in funzione della situazione epidemiologica (D.Lgs 191/06, allegato I, elenco B) Classe di rischio:3** (D.Lgs 81/08, allegato XLV) 3.7 Babesiosi Babesiosi o anche chiamata “piroplasmosi”, è una nota patologia d’importanza veterinaria che colpisce prevalentemente bestiame, cavalli e cani. Le babesiosi sono malattie parassitarie sostenute da emoprotozoi intraeritrocitari, parassiti dei globuli rossi (in alcune specie anche dei linfociti) del genere Babesia, la cui trasmissione è assicurata da artropodi ematofagi rappresentati da zecche dure (Ixodidae). Le diverse specie di Babesia possono interessare numerosi animali domestici e selvatici; in particolare: bovini (B. bigemina, B. bovis, B. divergens e B. major), ovini e caprini (B. motasi e B. ovis), equini (B. caballi e B. equi), suini (B. perroncitoi e B. trautmanni), canidi (B. canis e B. gibsoni), felidi (B. felis), roditori (B. microti) e ungulati selvatici (B. capreoli e B. odocoilei). La trasmissione di questi protozoi è strettamente correlata alla presenza dei vettori specifici, ectoparassiti temporanei che vivono liberi nell'ambiente e che, tranne alcune eccezioni, compiono il proprio ciclo biologico e nutrizionale coinvolgendo un ampio ventaglio di ospiti. La conoscenza delle specie di zecche che sono coinvolte nella trasmissione di Babesia è di primaria importanza per comprendere l'epidemiologia delle babesiosi e intraprendere qualsiasi programma di controllo dei protozoi. Il vettore di Babesia sono le zecche dure (della famiglia Ixodidae) appartenenti a diversi generi: Boophilus, Dermacentor, Haemaphysalis, Hyalomna, Ixodes e Rhipicephalus. La circolazione di Babesia negli animali domestici e, accidentalmente, nell'uomo, sarebbe favorita dalla presenza di serbatoi selva- 57 tici e dalla progressiva "sovrapposizione" tra habitat domestici e selvatici. Negli ultimi anni si è anche verificato un incremento: del numero di ungulati selvatici a seguito delle campagne di protezione e ripopolamento, con conseguente incremento degli ectoparassiti e, fra questi, di zecche del genere Ixodes; • degli stati immunodepressivi nell’uomo legati a patologie (AIDS), a terapie anti-rigetto e a chemioterapia per patologie tumorali; • della promiscuità tra animali domestici e selvatici che spesso utilizzano lo stesso habitat; • di persone che, per trovare occasioni di svago, si avvicinano ad ambienti "naturali" dove però possono essere presenti zecche e il ciclo della babesia può completarsi . La presenza nell'ambiente di serbatoi selvatici e di zecche dotate di plasticità trofica (Ixodes ricinus, I. dammini, Rhipicephalus spp, ecc.) potrebbe rappresentare l'anello di congiunzione tra animali e uomo nella catena degli ospiti di tali importanti zoonosi. Questo suggerisce che le infezioni da Babesia nell'uomo possano essere più diffuse di quanto si possa credere. • Epidemiologia e ciclo biologico Il termine Babesia deriva da Victor Babes, che nel 1888 identificò il protozoo negli eritrociti di bovini colpiti da febbre ed emoglobinuria. Nel 1893 Smith e Kilbourne scoprirono che il protozoo era trasmesso da zecche e che era responsabile della febbre del Texas nei bovini. Le babesiosi nell'uomo rappresentano un problema emergente in Sanità Pubblica. La prima segnalazione di piroplasmosi umana è avvenuta ad opera di Wilson e Chowning nel 1904, tuttavia solo nel 1957 Skrabalo e Deanovic segnalarono, in Yugoslavia, il primo caso certo di babesiosi umana da B. divergens, parassita del bovino. Da allora sono stati riconosciuti quali agenti primari di malattia nell'uomo, oltre a B. divergens in Europa e B. microti negli USA, anche tre varianti: i tipi WA1 e CA1, diversi da B. microti ma correlati a specie osservate in animali selvatici e nel cane, nello Stato di Washington e in California rispettivamente, e MO1 correlato con B. divergens in Missouri. Per quanto riguarda l'Europa a partire dal 1957 si sono avute 31 segnalazioni di babesiosi umana, 23 delle quali causate da B. divergens principalmente in soggetti splenectomizzati. 58 Anche B. bovis, B. canis, B. microti e Babesia spp. sono stati segnalati quali agenti di babesiosi umana, ma l'identificazione di tali specie era esclusivamente basata su caratteristiche morfologiche. Recentemente sono stati segnalati in Italia e in Austria due casi umani sostenuti da una variante denominata "European Union 1" (EU1), correlata con B. divergens, ma con caratteristiche molecolari mai descritte in precedenza. Le infezioni da Babesia sono diffuse in Africa, Asia e America dove costituiscono, ancora oggi un grave problema sanitario coinvolgendo animali di grande interesse zoo-economico e rappresentando uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo della zootecnia. Nei Paesi europei a clima temperato (in particolare Spagna, Portogallo, Francia, Italia) le babesiosi sono presenti sia negli animali da reddito sia in quelli da compagnia. Costituisce un fattore rilevante nella trasmissione di Babesia il comportamento alimentare delle zecche (zecche mono, di e trifasiche) e le vie di trasmissione. In particolare si può avere: • Trasmissione transovarica: riguarda la maggior parte delle specie. L’infezione primaria viene acquisita solo dalla femmina adulta che la trasmette per via ovarica alla generazione successiva. Per varie specie di Babesia (B. ovis, B. canis, B. major) le zecche (Haemophysalis, Rhipicephalus) possono rimanere infettive per diverse generazioni. • Trasmissione trans-stadiale: B. microti e B. equi sono le uniche specie conosciute trasmesse per questa via. I parassiti sono ingeriti come larve o ninfe e trasmessi come sporozoiti allo stadio successivo ninfale o adulto. Si può avere una coinfezione con Borrelia burgdorferi, l’agente causale della malattia di Lyme, e tale evento può aumentare la gravità di entrambe le malattie. Caratteristiche cliniche, diagnosi e trattamento. Fra le infezioni ematiche trasmesse da zecche le piroplasmosi rivestono particolare interesse per la gravità delle forme cliniche che possono indurre. Si tratta di una malattia severa caratterizzata da febbre, anemia ed emoglobinuria che può avere esito fatale se non trattata. La comparsa dell'infezione, in genere, ha andamento stagionale e corrisponde al periodo (maggio-ottobre) di maggiore attività delle zecche. I parassiti inoculati dalla zecca infetta invadono gli eritrociti dell'ospite dove si moltiplicano, 59 distruggendoli. L’andamento della malattia dipende dalla specie di Babesia e dallo stato immunitario dell’ospite, dall’età e dalla razza. Alcuni parassiti possono rimanere in stato di quiescenza all’interno dei macrofagi per diversi anni o per tutta la vita dell’ospite in base alla specie di Babesia. L'infezione asintomatica può persistere per mesi o anni e rimanere subclinica durante tutto il suo corso in persone altrimenti sane, specialmente in quelle con meno di 40 anni. Una situazione di stress (patologie concomitanti, terapie cortisoniche) può indurre nuovamente la diffusione e la moltiplicazione intraeritrocitaria del parassita. Nell'uomo immunocompetente la malattia generalmente ha decorso asintomatico e può essere evidenziata solo attraverso studi sieroepidemiologici. Quando la malattia è sintomatica, i segni cominciano dopo 1 o 2 settimane d’incubazione e sono caratterizzati da malessere, stanchezza, brividi, febbre, mialgia e artralgia, che possono durare per settimane. Possono verificarsi epatosplenomegalia con ittero, anemia da lieve a moderatamente grave, neutropenia e trombocitopenia. La fase di convalescenza è molto lunga. La risposta immunitaria protettiva è in grado di tenere sotto controllo la riproduzione del protozoo, ma non di eliminarlo e soprattutto non protegge contro reinfezioni. L'infezione può essere potenzialmente letale in soggetti asplenici, in cui la babesiosi ricorda la malaria trasmessa da Plasmodium falciparum. Elementi per la diagnosi La diagnosi viene effettuata dopo l’identificazione del parassita mediante: • Striscio di sangue, fissato e colorato con Giemsa, Leishman o colorazione di Field. Consente una diagnosi precoce, il rischio di falsi positivi è pressoché inesistente e permette la diagnosi differenziale per specie (babesie grandi/piccole);Uno svantaggio è rappresentato dalla difficoltà di poter individuare i globuli rossi infetti se la parassitemia è molto bassa. • Goccia spessa: emolisi dei globuli rossi previa immersione in acqua prima della colorazione. Le forme tetragone o a canestro o una gran quantità di parassiti extraeritrocitari sono utili indizi diagnostici. 60 Sono inoltre disponibili esami sierologici e metodi per ricercare nel sangue il DNA del parassita dopo amplificazione tramite reazione a catena polimerasica (PCR). La diagnosi può anche essere eseguita inoculando il sangue del paziente in criceti o in gerbilli, e monitorando poi i roditori per la parassitemia. Terapia Molti pazienti richiedono solo una terapia sintomatica, ma una terapia specifica è indicata per i casi gravi con persistente febbre elevata, parassitemia in rapido aumento ed ematocrito in netta diminuzione. La terapia raccomandata è il chinino associato a clindamicina per 7-10 giorni. L’associazione azitromicina + atovaquone è ancora in fase di studio. Non esiste un vaccino. Per approfondimenti vedi paragrafo 2.10 Misure di prevenzione. Nel caso si fosse punti è fondamentale una pronta e corretta rimozione della zecca (vedi paragrafo 2.11 Rimozione della Zecca). Babesiosi Classe di notifica:V (DM 15.12.1990) Sorveglianza in funzione della situazione epidemiologica (D.Lgs 191/06, allegato I, elenco B) Classe di rischio: 2 (D.Lgs. 81/08, allegato XLV) 61 3.8 Bartonellosi Il termine bartonellosi indica un gruppo di malattie diffuse sia in campo umano sia veterinario, causate da un bacillo appartenente al genere Bartonella. Tra queste la malattia da graffio del gatto (Cat Scratch Disease - CSD) è una zoonosi emergente e ubiquitaria segnalata per la prima volta nell’uomo nel 1931, ma la cui eziologia è stata definitivamente chiarita solo agli inizi degli anni ’90, quando Bartonella henselae è stata identificata quale agente eziologico della malattia. Il serbatoio naturale del microrganismo è il gatto, anche se non può essere tralasciata la potenziale infettività del cane (tramite graffi o morsi) o di piccoli roditori. Un ruolo centrale nella diffusione dell’infezione tra i gatti è svolto dalla pulce (Ctenocephalides felis) anche se recentemente è stato dimostrato che zecche quali Ixodes pacificus e Ixodes ricinus possono ospitare il microrganismo e quindi essere potenzialmente in grado di trasmetterlo attraverso il pasto di sangue. Epidemiologia e ciclo biologico Il fervore di studi che ha portato in questi ultimi anni al riassetto tassonomico delle bartonelle, ha consentito il riordino della famiglia delle Bartonellaceae, nella quale oltre all’unica specie nota da diversi decenni (B. bacilliformis) sono state inserite via via sia alcune specie già in precedenza inquadrate come appartenenti al genere Rochalimea (R. quintana, R. vinsonii, R. henselae) che numerose altre (per un totale, al momento, di oltre una dozzina). Di queste specie, descritte in differenti animali serbatoio (gatti, conigli, topi), alcune sono state segnalate associate a patologie dell’uomo tra cui B. vinsonii subsp. rupensis descritta in un caso di batteriemia e febbre. La B. henselae (recentemente Rochalimea henselae) causa due distinte sindromi: la malattia o febbre da graffio del gatto - CSD negli adulti e nei bambini, e infezioni disseminate nei pazienti immunocompromessi. Gli agenti eziologici della CSD oggi noti sono: • Bartonella henselae responsabile della maggior parte dei casi umani della quale sono stati individuati 2 tipi (tipo 1 e tipo 2); • Afipia felis il cui ruolo è molto marginale; • Bartonella clarridgeiae moderatamente diffusa sia nei gatti sia nell’uomo; 62 • Bartonella koehlerae scoperta recentemente nel gatto ma che non è a oggi correlata a infezione o malattia nell’uomo. La CSD, la bartonellosi più diffusa nel territorio italiano, è trasmessa in maniera diretta attraverso il morso o il graffio del gatto, e in maniera indiretta attraverso le feci infette delle pulci che parassitano il gatto. Studi recenti effettuati nel Nord Italia, in Polonia e in alcuni Paesi dell’Europa Centrale, hanno rilevato il potenziale ruolo delle zecche come vettore di trasmissione di bartonellosi. Si parla, pertanto di bartonellosi come patologia emergente nell’uomo. Le patologie che riguardano l'uomo sono state riscontrate con una certa frequenza in numerosi Paesi europei e in USA, dove si registrano circa 24.000 casi l’anno. In Italia i dati ufficiali sono molto frammentari nonostante numerosi casi vengono segnalati nelle cliniche pediatriche, negli istituti di malattie infettive o negli ambulatori di medicina generale. Caratteristiche cliniche, diagnosi e trattamento. La CSD è considerata la causa più comune di adenopatia cronica benigna in bambini e giovani adulti. Da 3 a 10 giorni dopo il contatto con l'animale, o dal morso di zecca, nel punto d’inoculazione compare una lesione cutanea pustolosa, papulosa o vescicolosa, che può persistere per giorni o settimane, guarendo senza lasciare cicatrici. Il segno clinico dominante è una linfoadenopatia regionale dolente, che compare di solito entro 2 settimane. Più dell'80% dei linfonodi interessati sono localizzati al capo, al collo e agli arti inferiori; hanno un diametro di 1-5 centimetri e appaiono arrossati e dolenti. Sebbene il 10-20% progredisca verso la suppurazione, la maggior parte regredisce entro 2-6 mesi. Febbricola, malessere, cefalea, anoressia, mal di gola e artralgie possono far confondere tale malattia con la mononucleosi infettiva. L'11-12% dei casi è caratterizzato dalla sindrome oculoglandulare di Parinaud, che consiste in una congiuntivite granulomatosa autolimitante, cha sua volta si associa a una linfadenopatia ipsilaterale, per lo più preauricolare. Talora il decorso è grave con encefalopatia in circa l'1-7% dei casi, anomalie ematologiche, artrite ed eritema nodoso, mielite trasversa, paralisi del VII, neuroretinite, coinvolgimento di milza, polmoni, fegato e cute. Forme gravi sono state segnalate in diversi pazienti con AIDS. La lesione cutanea e la linfadenopatia scompaiono spontaneamente nell'arco di 2-6 mesi. 63 Elementi per la diagnosi La diagnosi di laboratorio si basa essenzialmente: • sull’esame diretto del materiale bioptico linfonodale (con il metodo dell’impregnazione argentica di Warthin-Starry); • sull’emocoltura (solitamente il tempo di osservazione delle colture in laboratorio, tranne che per pochissime eccezioni, non si protrae per più di 7-10 giorni dal momento dell’inoculo del campione.); • sui test sierologici, come EIA (Enzyme IimmunoAassay) e IFA (ImmunoFluorescence Assay); • sui metodi molecolari, come la Polymerase Chain Reaction (PCR). Terapia La terapia per la maggior parte dei pazienti deve essere conservativa: applicazione locale di calore e analgesici. Se il linfonodo è fluttuante (come nel 10-20% dei casi), un'aspirazione con siringa allevia generalmente il dolore. La terapia antibiotica non è chiaramente efficace e non è stata valutata in prospettiva; la sensibilità degli antibiotici in vitro spesso non si correla ai risultati clinici. Rifampicina, ciprofloxacina, gentamicina e cotrinossazolo (TMP-SMX), claritromicina e azitromicina sembrano avere generalmente efficacia clinica, ma con ognuno di essi sono stati riportati fallimenti. Non esiste un vaccino. Per approfondimenti vedi paragrafo 2.10 Misure di prevenzione. Nel caso si fosse punti è fondamentale una pronta e corretta rimozione della zecca (vedi paragrafo 2.11 Rimozione della Zecca). . Bartonellosi Classe di notifica:V (DM 15.12.1990) Sorveglianza in funzione della situazione epidemiologica (D.Lgs 191/06, allegato I, elenco B) Classe di rischio:2 (D.Lgs 81/08, allegato XLV) 64 3.9 Febbre Q L'agente causale è Coxiella burnetii, microrganismo intracellulare obbligato caratterizzato da due fasi antigeniche: la fase I virulenta che si trova in natura e la fase II virulenta ottenuta in laboratorio, dopo diversi passaggi su uova o colture cellulari. Coxiella burnetii causa generalmente infezioni asintomatiche in numerose specie animali, ma principalmente negli animali da allevamento (bovini e ovini) e nei loro parassiti (zecche), che eliminano poi gli agenti patogeni in grande quantità e per lungo tempo con le deiezioni (urine, feci, latte) e con i prodotti da loro derivati (pelli, lana, carne). Per la sua elevata resistenza agli agenti chimico-fisici, la coxiella sopravvive nei prodotti animali e contamina a lungo l’ambiente (può sopravvivere nel terreno per 4-5 mesi, nella carne refrigerata per un mese, nel latte e nell’acqua per oltre due anni). L’infezione può quindi trasmettersi all’uomo per contatto con gli animali infetti (interessando quindi in prevalenza agricoltori, allevatori, veterinari, macellatori) attraverso la via inalatoria (polveri di stalle), alimentare (latte non pastorizzato, carne cruda), transcutanea (contatto con pelli o lana) o a seguito del morso delle zecche infette (Rhipicephalus sanguineus, Dermacentor variabilis, D. andersoni), che depongono sulla cute le feci contenenti i microorganismi. E’ stato calcolato che particelle infettanti possono essere trasportate dal vento anche per alcuni chilometri. Coxiella burnetii si mantiene in natura anche attraverso un ciclo animale-zecca. Diversi artropodi, roditori, altri mammiferi e uccelli sono infettati naturalmente e possono giocare un ruolo nell’infezione umana. E’ anche possibile che la trasmissione avvenga attraverso l’assunzione di latte consumato crudo e per mezzo di trasfusioni ematiche o di midollo osseo. Epidemiologia e ciclo biologico La febbre Q fu descritta per la prima volta in Australia nel 1935 da Derrick, ma è a tutt’oggi considerata una malattia a diffusione mondiale. I bovini, gli ovini, le capre e altri animali sono i serbatoi, pertanto la febbre Q è una malattia professionale per quelli che lavorano nell'industria della carne e del latte. La malattia nell'uomo avviene in seguito ad inalazione di aerosol contenente il microrganismo. Caratteristiche cliniche, diagnosi e trattamento La febbre Q nella fase iniziale è simile a parecchie malattie infettive, come influenza o altre infezioni virali, salmonellosi, malaria, epatite e bru- 65 cellosi; in seguito presenta segni e manifestazioni simili a molte forme di polmonite batterica, virale e da micoplasmi. La diagnosi viene posta su base clinica e per dimostrazione di anticorpi nel siero del paziente; importante è risalire a un eventuale contatto con zecche, animali o prodotti animali infetti. Il periodo d’incubazione, condizionato dalla carica infettante, è solitamente di 2-3 settimane. L'esordio è improvviso con febbre, grave cefalea, brividi, malessere generale, mialgia e, spesso, dolori al torace. La febbre può raggiungere i 40°C e persiste da una a tre settimane e oltre. Non è associata a esantema. Una tosse non produttiva e un'evidenza radiografica di polmonite si sviluppano durante la seconda settimana di malattia. Nei casi gravi si ha spesso consolidamento lobare e l'aspetto generale dei polmoni assomiglia a quello della polmonite batterica. Tuttavia le alterazioni istologiche nella polmonite della febbre Q assomigliano a quelle della psittacosi e di alcune polmoniti virali; un infiltrato interstiziale intenso attorno ai bronchioli e ai vasi sanguigni si estende alle pareti alveolari adiacenti e sono numerose le cellule del plasma. I lumi bronchiolari possono contenere leucociti polimorfonucleati. Circa 1/3 dei pazienti con febbre Q protratta sviluppa epatite, caratterizzata da febbre, malessere generale, epatomegalia con dolore addominale al quadrante superiore destro e talvolta ittero. I campioni bioptici del fegato mostrano diffusi cambiamenti granulomatosi e permettono l'identificazione della C. burnetii con immunofluorescenza. Esistono inoltre diverse forme di febbre Q cronica, con epatite cronica ed endocardite. L'epatite da febbre Q cronica andrà distinta da altre malattie granulomatose del fegato (p. es., dalla sarcoidosi, dall'istoplasmosi, dalla brucellosi, dalla tularemia e dalla sifilide). L'endocardite provocata dal C. burnetii è grave,ma rara. Clinicamente assomiglia all'endocardite batterica subacuta, con interessamento, il più delle volte, della valvola aortica. Le emocolture di routine sono costantemente negative. La febbre Q è raramente fatale (1% nei casi non trattati e anche più bassa nei casi trattati). Elementi per la diagnosi La C. burnetii può essere isolata dal sangue. Anticorpi specifici agglutinanti e fissazione del complemento (FC) compaiono durante la convale- 66 scenza. I test di agglutinizzazione sono più sensibili dei test FC; anche le analisi con anticorpi fluorescenti sono utili. Gli anticorpi contro i microrganismi in fase I sono prodotti soltanto raramente nei soggetti in fase acuta di malattia ma, quando presenti, indicano l'esistenza di una febbre Q cronica. Prevenzione e profilassi Le norme profilattiche principali sono le seguenti: • isolare gli animali infetti; • operare una valida vaccinazione del bestiame; • effettuare sempre la pastorizzazione del latte; • lavare e disinfettare accuratamente gli indumenti utilizzati nella manipolazione di materiale potenzialmente infetto. Terapia Per quanto sia un’infezione generalmente autolimitante, la febbre Q richiede comunque un trattamento antibiotico volto a prevenire complicanze o cronicizzazione: abitualmente si utilizzano doxiciclina o tetracicline per 14 giorni. In alternativa si possono somministrare eritromicina o ciprofloxacina. Nella febbre Q cronica con endocardite è invece consigliata una terapia protratta (almeno 18 mesi) con doxiciclina associata a idrossiclorochina. Vaccino In Italia non esiste un vaccino in commercio, ma è reperibile negli Stati Uniti. Si tratta di un vaccino inattivato preparato da C. burnetii coltivato su sacco vitellino. È fortemente raccomandato per i laboratoristi che lavorano con i ceppi vivi di C. burnetii. Si deve ancora prendere in considerazione la vaccinazione per i lavoratori dei mattatoi e altri lavoratori a rischio, incluso chi svolge ricerche su pecore gravide. Al fine di evitare gravi reazioni locali, la somministrazione del vaccino deve essere preceduta da un test di sensibilità cutanea con una piccola dose di vaccino diluito, e comunque non deve essere somministrato in soggetti con un test di fissazione del complemento positivo o una storia indicativa di Febbre Q. Per approfondimenti vedi paragrafo 2.10 Misure di prevenzione. Nel caso si fosse punti è fondamentale una pronta e corretta rimozione della zecca (vedi paragrafo 2.11 Rimozione della Zecca). 67 Febbre Q Classe di notifica:V (DM 15.12.1990) Sorveglianza in funzione della situazione epidemiologica (D.Lgs 191/06, allegato I, elenco B) Classe di rischio:3 (D.Lgs 81/08, allegato XLV) 68 Uomo 4 L’uomo L’uomo può fungere da “ospite” intermedio occasionale in tutte le fasi di sviluppo delle zecche. Questo ruolo può riguardare soggetti esposti per motivi lavorativi (forestali, boscaioli, contadini ecc.) o ludici (escursionisti, cacciatori, pescatori ecc.). Nel corso dell’ultimo secolo l’essere umano si è reso responsabile di una serie di interventi nel contesto ambientale, sociale ed economico quali: • cambi d’uso del territorio e dei sistemi di produzione agrozootecnici; • sconvolgimenti degli habitat della fauna selvatica; • aumento delle attività umane; • maggior frequenza di viaggi; • ampia circolazione di animali e prodotti di origine animale. Tali interventi hanno contribuito ad alterare la distribuzione, la presenza e la densità di specie ospiti e dei vettori. Conseguentemente, il numero delle malattie emergenti e riemergenti, incluse le zoonosi, è fortemente aumentato. Alcuni agenti patogeni, trasmessi da animali selvatici e/o mantenuti in ambiente silvestre, hanno assunto un’importanza sempre crescente in ragione del loro impatto sulla fauna selvatica stessa, sulla salute umana, sulle specie zootecniche. Il coinvolgimento dell’uomo si è accentuato negli ultimi anni anche a causa dell’aumento del turismo di massa, per la maggiore frequenza dei viaggi nazionali e internazionali, della pratica di sport all’aria aperta, del progressivo abbandono della campagna da parte dei contadini, dei comportamenti spesso incongrui che dimostrano una scarsa conoscenza del pericolo da parte dei frequentatori occasionali delle zone a rischio. Altri importanti fattori di natura socioeconomica responsabili di patologie infettive emergenti comprendono: • globalizzazione dell’economia, con scomparsa delle barriere doganali e liberalizzazione del commercio di animali e prodotti di origine animale; • cambiamenti demografici (crescita della popolazione e urbanizzazione) e delle abitudini di vita; • sviluppo economico e mutamenti nei modelli di utilizzo del territorio (colture intensive e monocolture); 69 • • • • • • • progresso tecnologico e cambiamenti nelle tecnologie industriali (filiere alimentari); aumento delle situazioni di prossimità con animali (allevamenti di grosse dimensioni); incremento del volume e della velocità degli scambi commerciali; flussi migratori di persone, con possibile introduzione di nuovi patogeni e di nuove abitudini alimentari; guerre e conflitti interni, che riducono gli investimenti in sanità pubblica e bloccano i piani di profilassi nel bestiame; povertà e disuguaglianze sociali; inadeguatezza dei sistemi di sanità pubblica. 70 Zoonosi 5 Le zoonosi: 5.1 Definizione e principali riferimenti normativi Il primo a utilizzare il termine zoonosi (“infezione da veleni animali contagiosi”) è stato il medico tedesco Rudolf Virchow, nel 1855. Nel 1824 Antonio Alessandrini aveva parlato di “idrofobia e altre malattie non meno appiccicaticce”, mentre Bruno Galli Valerio pubblicò, nel 1894, un manuale intitolato “Zoonosi: malattie trasmissibili dall’animale all’uomo”. Nel 1959 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce le zoonosi “infezioni naturalmente trasmesse tra animali vertebrati e l’uomo”. Alla luce di studi più recenti, l’accezione del termine è stata ampliata e determinata più precisamente, (Mantovani, 2001) per cui si parla di “danno alla salute e/o alla qualità della vita umana causato da relazione con (altri) animali vertebrati o invertebrati commestibili o tossici”. Le zoonosi rappresentano uno dei problemi di salute pubblica più complessi e importanti in quanto è emerso che circa il 60% dei patogeni umani utilizza gli animali come serbatoi naturali. La complessità riguarda anche la sorveglianza e la gestione delle infezioni zoonotiche, dovendo considerare le vie di diffusione di queste malattie, che spesso coinvolgono anche gli alimenti e l’ambiente, attraverso la contaminazione dei cibi e delle acque. Per questo la collaborazione tra gli esperti di salute pubblica, di sicurezza alimentare e dell’ambiente, nonché l’integrazione tra medici e veterinari rappresentano la strategia vincente per affrontare queste malattie. Le zoonosi sono patologie classificabili in quattro categorie: • ortozoonosi o zoonosi dirette: il ciclo vitale del microorganismo si mantiene in natura grazie a una singola specie vertebrata (rabbia, brucellosi, antrace); • ciclozoonosi: il ciclo vitale del microorganismo richiede più di una specie di ospite vertebrato (echinococcosi); • metazoonosi: il mantenimento del ciclo vitale del microorganismo richiede specie sia vertebrate che invertebrate (malattia di Lyme, peste); 71 saprozoonosi: quando l’ospite è un vertebrato e il serbatoio o sede di sviluppo del microorganismo non è una specie animale (listeriosi, varie micosi). L’attenzione al rispetto delle misure di sorveglianza delle zoonosi e degli agenti zoonotici è stata recentemente ribadita dal Decreto Legislativo 4 aprile 2006, n.191 (D.Lgs 191/06), in attuazione della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 novembre 2003, n.99 (Direttiva 2003/99/CE). • Scopo del decreto è garantire: • la sorveglianza delle zoonosi e degli agenti zoonotici; • la sorveglianza della resistenza agli antimicrobici ad essi correlata; • l’indagine epidemiologica dei focolai di tossinfezione alimentare; • lo scambio d’informazioni relative alle zoonosi e agli agenti zoonotici. Nell’allegato I sono elencate le zoonosi e gli agenti zoonotici da sottoporre a differenti flussi di sorveglianza, secondo il seguente schema: A. zoonosi ed agenti zoonotici da sottoporre a sorveglianza: • Brucellosi e relativi agenti zoonotici; • Campilobatteriosi e relativi agenti zoonotici; • Echinococcosi e relativi agenti zoonotici; • Listeriosi e relativi agenti zoonotici; • Salmonellosi e relativi agenti zoonotici; • Trichinellosi e relativi agenti zoonotici; • Tubercolosi causata da Mycobacterium bovis; • Escherichia coli che produce verocitotossine. B. elenco delle zoonosi e degli agenti zoonotici da sottoporre a sorveglianza in funzione della situazione epidemiologica: 1. zoonosi virali • Calicivirus; • Virus dell’epatite A; • Virus dell’influenza; • Rabbia; • Virus trasmessi da artropodi. 72 2. zoonosi batteriche • Borreliosi e relativi agenti zoonotici; • Botulismo e relativi agenti zoonotici; • Leptospirosi e relativi agenti zoonotici; • Psittacosi e relativi agenti zoonotici; • Tubercolosi diverse da quelle di cui alla parte A; • Vibriosi e relativi agenti zoonotici; • Yersiniosi e relativi agenti zoonotici. 3. zoonosi da parassiti • Anisakiasis e relativi agenti zoonotici; • Criptosporidiosi e relativi agenti zoonotici; • Cisticercosi e relativi agenti zoonotici; • Toxoplasmosi e relativi agenti zoonotici. 4. altre zoonosi e agenti zoonotici. Per la sorveglianza delle zoonosi è fondamentale identificare quali animali e quali alimenti costituiscono la principale fonte di infezione. Nel 2004 l’EFSA (European Food Safety Authority – Autorità europea per la sicurezza alimentare) ha predisposto alcuni modelli per il rilevamento degli agenti zoonotici, al fine di armonizzare il flusso informativo dei dati (inviati dagli Stati Membri) relativi alle zoonosi nel settore veterinario, raccolti sulla base della Direttiva 2003/99/CE. I dati relativi ai casi umani, invece, sono acquisiti dall’ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control – Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie). In Italia, il Ministero della Salute insieme con il Centro di Referenza per l’Epidemiologia Veterinaria (COVEPI – Centro Operativo Veterinario per l’Epidemiologia, la Programmazione e l’Informazione, istituito presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise), ha progettato e realizzato un Sistema informativo nazionale delle zoonosi, nel quale vengono raccolti dati rilevanti ai fini della sorveglianza e del controllo delle zoonosi sul territorio nazionale. 73 5.2 Le zoonosi occupazionali Le zoonosi occupazionali rappresentano un aspetto peculiare della tematica delle zoonosi e recentemente hanno suscitato ampio interesse da parte di medici e veterinari. Caccia, pesca, agricoltura, addomesticamento, allevamento sono da sempre gli ambiti lavorativi maggiormente interessati da questo tipo di patologie. Le zoonosi che per prime sono state riconosciute come collegate al lavoro con animali e dunque storicamente più citate risultano essere quelle che si manifestano con lesioni cutanee evidenti e caratterizzate da brevi periodi d’incubazione (dermatomicosi, scabbia, carbonchio cutaneo, morva), mentre altre, connotate da segni clinici poco evidenti, hanno incontrato ostacoli nell’approccio all’identificazione e relativa classificazione come malattie professionali. Alcune zoonosi, infatti, hanno lunghi periodi d’incubazione (tubercolosi, echinococcosi cistica), o si presentano con lesioni interne a lenta evoluzione come le micosi profonde, portando inevitabilmente a una sottostima delle medesime. L’interesse per queste malattie era inizialmente rivolto alle vie e alle modalità d’infezione, successivamente si è esteso e diversificato, prendendo in considerazione le misure di controllo e la prevenzione in ambito occupazionale. Infatti nel corso degli anni ha cominciato ad affermarsi la convinzione che la salute animale, la salute dell’uomo e l’economia rappresentano i tre pilastri fondamentali di una zootecnia moderna, efficiente e sana. Quanto detto induce a fare le seguenti considerazioni: 1) i luoghi di lavoro inidonei per gli animali allevati lo sono anche per l’uomo, con conseguenze socio-economiche negative per i singoli, per le aziende e per i consumatori; 2) la prevenzione delle malattie occupazionali (e tra queste le zoonosi) rappresenta: • uno strumento di tutela dei lavoratori; • un fattore di promozione quali - quantitativa delle produzioni animali; • un fattore di promozione di un corretto rapporto uomo-animaliambiente. Per quanto riguarda il riconoscimento delle zoonosi occupazionali da parte di esperti di Sanità Pubblica, si ricordano tre tappe importanti: 74 Riunione congiunta OMS/FAO di esperti in Sanità Pubblica Veterinaria - SPV (1975): • le zoonosi vengono riconosciute come rischi professionali; • si ribadisce la necessità di conoscenze specifiche necessarie per prevenzione e controllo; • le zoonosi vengono classificate da un punto di vista socio-economico nel modo seguente: a) zoonosi con gravi effetti sulle produzioni animali; b) zoonosi con gravi conseguenze per l'uomo e per gli animali dal punto di vista economico; c) zoonosi con gravi conseguenze per l’uomo, ma di scarsa gravità per gli animali. Riunione OMS sulle zoonosi batteriche e virali (1982): • si giunge a una classificazione delle attività lavorative e delle popolazioni a elevato rischio di zoonosi; • si definisce anche una classificazione delle zoonosi per attività lavorativa del settore agro-zootecnico. Riunione congiunta OMS/FAO/OIE di esperti in SPV sul “futuro” della SPV nel XXI secolo (1999): il controllo delle malattie occupazionali associate al lavoro con animali è considerato una parte emergente e importante delle attività e competenze della SPV. 75 Tabella riassuntiva dei principali provvedimenti adottati dalla Comunità Europea nel campo delle malattie infettive e delle zoonosi Testo Normativo Contenuto Direttiva 92/117/CEE Direttiva concernente misure di protezione contro zoonosi specifiche e specifici agenti zoonotici in animali e prodotti di origine animale, al fine di prevenire epidemie derivanti da infezioni e intossicazioni prodotte da cibo. La direttiva riguarda il controllo delle infezioni sia negli animali che negli esseri umani. Decisione 2119/ 98/CE Istituzione di un network europeo per la vigilanza epidemiologica e il controllo delle malattie trasmissibili nell’ambito della comunità europea, al fine di promuovere la collaborazione tra gli Stati membri e rafforzare il coordinamento delle malattie infettive. Viene altresì fornita una lista indicante le malattie trasmissibili, tra cui molte zoonosi. Decisione 2000/96/CE Vengono specificate le malattie trasmissibili che dovrebbero essere oggetto di sorveglianza e controllo da parte dei network europei, attraverso una raccolta e analisi standardizzata dei dati specifica per ogni malattia e per ogni network che se ne occupa. L’art. 8 è particolarmente importante perché sottolinea l’importanza di condurre un’azione di vigilanza congiunta, su animali ed esseri umani, che unisca i due provvedimenti precedenti, al fine di omogeneizzare la sorveglianza e sviluppare definizioni che derivino dallo studio e classificazione di entrambe le casistiche, animale e umana. 76 Testo Normativo Decisione 2000/57/CE Contenuto Vengono descritte le procedure per lo scambio di informazioni significative sulle malattie in questione da parte degli Stati membri tramite un sistema di allarme precoce e risposta tempestiva (EWRS-Early Warning and Response System) che ciascun Paese può attuare usando il suo sistema di sorveglianza nazionale, per poi sottoporre annualmente alla Comunità un report sui risultati ottenuti e le procedure utilizzate. Decisione 2002/253/CE Vengono redatte le “definizioni di caso” per la corretta compilazione di report sulle malattie trasmissibili da comunicare ai vari network della comunità. Esse consistono nella descrizione clinica della malattia e nei criteri per la diagnosi e la classificazione. Ciò costituisce un primo passo per stabilire un valido confronto tra i Paesi membri, nel rispetto dei trend epidemiologici di ciascuno e dell’emergenza di zoonosi rilevanti. In aggiunta, dovrebbero essere sviluppate e concordate metodologie di sorveglianza comuni. Decisione 2003/534/CE Viene sottolineata la necessità di un’azione di monitoraggio da parte dei network europei anche su quelle malattie causate da agenti espressamente creati allo scopo di massimizzare e diffondere deliberatamente malattie e mortalità (bioterrorismo). Cinque malattie trasmissibili, tra cui la Febbre Q e la Tularemia, vengono aggiunte alla lista di quelle di competenza dei network europei, per ciò che concerne l’azione di controllo, e vengono formulate specifiche definizioni “di casi”. 77 Testo Normativo Decisione 2003/534/CE Decisione2003/542/CE Direttiva 2003/99/CE Sostituisce la direttiva 92/117/CEE RECEPITA IN ITALIA DA: D. Lgs. 4 aprile 2006 n.191 Oggetto e campo di applicazione Garantire una adeguata sorveglianza delle zoonosi, degli agenti zoonotici e della resistenza agli antimicrobici ad essi correlata e un’adeguata indagine epidemiologica dei focolai di tossinfezione alimentare, per consentire di raccogliere le informazioni necessarie ad una valutazione Contenuto Viene sottolineata la necessità di un’azione di monitoraggio da parte dei network europei anche su quelle malattie causate da agenti espressamente creati allo scopo di massimizzare e diffondere deliberatamente malattie e mortalità (bioterrorismo). Cinque malattie trasmissibili, tra cui la Febbre Q e la Tularemia, vengono aggiunte alla lista di quelle di competenza dei network europei, per ciò che concerne l’azione di controllo, e vengono formulate specifiche definizioni “di casi”. Vengono elencate in maniera dettagliata le malattie trasmissibili, in particolare le zoonosi, per le quali sono stati creati network ad hoc. La decisione inoltre regola i rapporti tra gli uffici nazionali di riferimento negli Stati membri con autorità designate, e richiama l’attenzione sulle procedure da mettere in atto per migliorare la comparabilità dei dati. Vengono descritte le modalità secondo le quali devono essere raccolti i dati sull’insorgenza di zoonosi e agenti zoonotici negli animali e nel cibo, in modo da determinare evoluzioni e tipologie di zoonosi negli Stati membri su base annuale. In particolare i dati sugli esseri umani dovrebbero essere raccolti per lo più sulla base della legislazione elaborata in proposito dai singoli network. Ogni Stato membro è tenuto a sviluppare programmi di monitoraggio per le zoonosi a rischio maggiore per la salute umana. Inoltre il sistema di monitoraggio dovrebbe facilitare la scoperta di zoonosi emergenti, non solo provenienti da animali domestici, ma anche da fauna selvatica e animali casalinghi. Le zoonosi da monitorare sono incluse in una lista: otto zoonosi sono obbligatoriamente sottoposte al monitoraggio (lista A); altre dovrebbero essere monitorate in conformità alla situazione epidemiologica presente in ogni paese. L’autorità 78per la sicurezza alimentare (EFSA) è tenuta ad esaminare i dati raccolti e a preparare la relativa relazione comunitaria di sintesi. 6 Evoluzione della normativa italiana in ambito occupazionale La legislazione italiana riguardante le malattie occupazionali o professionali si è evoluta attraverso gli anni. In sintesi vale la pena ricordare che nel 1956 viene emanato il DPR 19 marzo 1956, n.303, il quale sanciva le “Norme generali per l’Igiene del Lavoro”, incluse le misure di prevenzione. Nel 1965 viene pubblicato il “Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali” (DPR. 30 giugno 1965 n.1124), pietra miliare della normativa sociale a tutela dei lavoratori. Viene chiarita la distinzione tra malattia professionale (processo morboso per esposizione prolungata ad agenti nocivi durante il lavoro) e infortunio (evento accidentale che si verifica per una causa violenta in occasione del lavoro, dal quale sia derivata un’inabilità temporanea o assoluta che comporti l’astensione dal lavoro per più di tre giorni); le zoonosi sono considerate infortuni, creando di fatto gravi difficoltà al risarcimento assicurativo. Nel DM 27 aprile 2004 (“Elenco delle malattie per le quali e' obbligatoria la denuncia, ai sensi e per gli effetti dell'art. 139 del testo unico, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e successive modificazioni e integrazioni”) vengono comprese, tra le malattie da agenti biologici la cui origine lavorativa è di elevata probabilità, diverse zoonosi. Il suddetto elenco è stato sostituito da quello allegato al Decreto 14 gennaio 2008 (Lista 1- malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità - gruppo 3). Il Decreto 9 aprile 2008 sancisce le “Nuove tabelle delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura”. Nel decreto vengono indicati i periodi massimi di indennizzabilità dalla cessazione della lavorazione per molte malattie, tra cui l’asma bronchiale causata da derivati animali, acari delle derrate e del pollame, miceti. Il Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n.626 (D.Lgs 626/94) e successive modifiche e integrazioni, emanato in recepimento di direttive comunitarie, rappresenta la vera svolta per la tutela e salute dei lavoratori, nonché per la prevenzione dei diversi rischi connessi ad attività lavorative, incluso il Rischio Biologico (RB). Il Titolo VIII tratta espressamente tale rischio, presente in tutti gli ambiti in cui vi sia esposizione ad agenti biologici, incluse le attività che comportano contatto con animali o loro organi e prodotti derivati. 79 Il D.Lgs 626/94 è stato ultimamente sostituito dal Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n.81 (D. Lgs. 81/2008). 7 IL Rischio Biologico: definizioni e quadro normativo Con il termine rischio biologico s’intende la possibilità di contrarre una malattia infettiva nel corso di un’attività lavorativa che comporta esposizione ad agenti biologici. Il Titolo X del DLgs 81/08 definisce agente biologico “qualsiasi microrganismo, anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni”. Gli agenti biologici possono essere batteri, virus, parassiti, funghi; nel decreto sono stati classificati solo quelli in grado di “provocare malattie infettive in soggetti umani”. La classificazione (allegato XLVI) è stata stilata sulla base della loro pericolosità, valutata sia nei confronti dei lavoratori che della popolazione generale, la quale tiene conto delle caratteristiche di un microrganismo di seguito riportate: • infettività - capacità di penetrare e moltiplicarsi nell’ospite; • patogenicità - capacità di produrre malattia a seguito di infezione; • trasmissibilità - capacità di essere trasmesso da un soggetto infetto a uno suscettibile; • neutralizzabilità - disponibilità di efficaci misure profilattiche per prevenire la malattia o terapeutiche per la sua cura. Gli agenti biologici sono suddivisi in quattro gruppi di rischio: • agente biologico del gruppo 1: un agente che presenta poche probabilità di causare malattie in soggetti umani; • agente biologico del gruppo 2: un agente che può causare malattie in soggetti umani e costituire un rischio per i lavoratori; è poco probabile che si propaghi nella comunità; sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche; • agente biologico del gruppo 3: un agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e che costituisce un serio rischio per i lavoratori; l’agente biologico può propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche e terapeutiche; • un agente biologico del gruppo 4: un agente che può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori. Può 80 presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità e non sono disponibili, di norma efficaci misure profilattiche e terapeutiche. Una corretta classificazione dei microrganismi è un punto cruciale perché da questa derivano direttamente le misure di sicurezza da adottare e le conseguenti sanzioni nel caso che tali misure non vengano rispettate. Va precisato che non tutte le esposizioni agli agenti biologici esitano in una malattia in quanto alla realizzazione di tale evento concorrono molteplici fattori tra cui la consistenza numerica dell’agente infettante, l’aggressività del microrganismo e le capacità difensive dell’ospite. La dinamica del processo infettivo comprende varie tappe: la contaminazione da parte dei microrganismi delle superfici cutanee o delle mucose; la penetrazione nei tessuti profondi e l’accesso al circolo ematico e linfatico; la localizzazione in determinati organi e/o tessuti; l’instaurarsi di un rapporto dinamico tra microrganismo e ospite, con risposta attiva da parte del sistema immunitario di quest’ultimo. Solo dopo che l’infezione ha interessato un certo numero di cellule o determinati organi vitali si ha la comparsa della sintomatologia clinica e l’inizio della malattia. Diverse sono le modalità attraverso le quali gli agenti biologici possono raggiungere l’organismo umano in ambito occupazionale: • per via parenterale: inoculazione diretta del microrganismo nei liquidi biologici o nel sangue circolante dell’ospite (AIDS, epatite virale B e C ..); • per via aerea: disseminazione di goccioline contenenti microrganismi (tubercolosi..) ; • per contatto diretto: agenti patogeni presenti su un organismo infetto possono infettare la superficie corporea di un soggetto suscettibile (scabbia..) • per contatto indiretto: attraverso il morso di un animale infetto o la puntura di un artropode Ematofago - i cosiddetti vettori - (infezione rabbica, malattia di Lyme…); attraverso veicoli quali indumenti contaminati, strumenti utilizzati per pratiche mediche; • per via oro-fecale: ingestione di alimenti o bevande contaminati (tifo..). 81 Le principali figure coinvolte nelle diverse procedure per il mantenimento della salute e della sicurezza dei lavoratori, istituite con il D.Lgs. 626/94 e tuttora presenti nel D.Lgs. 81/08, sono: il lavoratore, il datore di lavoro, gli addetti al servizio di prevenzione e protezione dei lavoratori, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, il medico competente. Il Titolo X del D.Lgs. 81/08, inerente l’esposizione ad agenti biologici, sancisce una serie di obblighi per il datore di lavoro che includono la valutazione del rischio, l’adozione di misure tecniche, organizzative e procedurali, le misure igieniche e di emergenza, l’informazione e la formazione dei lavoratori, la sorveglianza sanitaria, l’istituzione dei registri degli esposti e degli eventi accidentali nonché dei casi di malattia e decesso. La valutazione del rischio (VdR) è un processo complesso atto a valutare la probabilità che si verifichino eventi indesiderati in particolari circostanze ben definite di utilizzo di agenti pericolosi, nella fattispecie di agenti biologici. Questo processo è basato sulla ricerca di tutte le informazioni disponibili relative alle caratteristiche dell’agente biologico e delle modalità lavorative ed in particolare deve tener conto: • della classificazione degli agenti biologici (All. XLVI); • delle malattie che possono essere contratte; • dei potenziali effetti allergici e tossici; • del sinergismo nell’uso di differenti agenti. I risultati della valutazione devono essere riportati nel cosiddetto documento, una relazione con data certa in cui devono essere specificati, tra le altre cose, i criteri adottati per la valutazione stessa, le misure di prevenzione e protezione e i dispositivi di protezione individuale adottati, il programma delle misure opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza, l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere. La VdR e il conseguente documento devono essere rielaborati in occasione di modifiche del processo produttivo o dell’organizzazione del lavoro significative o in relazione al grado di evoluzione tecnica; in seguito a infortuni significativi o quando la sorveglianza sanitaria ne evidenzi la necessità. In tema di malattie trasmesse da zecche il Ministero della Salute nel 2000 ha emanato una circolare riguardante l’epidemiologia e le misure di prevenzione di queste infezioni: la Circolare n.10 del 13 luglio 2000, ag- 82 giornamento di una norma precedente focalizzata unicamente sulla Borreliosi di Lyme e la meningoencefatile (Circolare n.19 del 10 luglio 1995). Nella Circolare del 2000 sono specificate le misure di profilassi comportamentale, fondate sull’informazione e sull’educazione sanitaria della popolazione generale e delle categorie professionali potenzialmente esposte al rischio di punture da zecche. Va inoltre ricordato che anche le malattie da morso di zecca sono sottoposte a notifica. La notifica delle malattie infettive rappresenta un importante strumento di Sanità Pubblica, in quanto permette di intervenire tempestivamente su focolai epidemici o singoli casi di malattie diffusive, al fine di prevenire il diffondersi o il ripetersi di queste. Il Decreto Ministeriale del 5 luglio 1975 è il primo documento emanato dal Ministero della Sanità (oggi Ministero del Lavoro, della Salute, e delle Politiche Sociali), che elenca le malattie infettive per le quali è resa obbligatoria la notifica. Successivamente il Decreto Ministeriale 15 dicembre 1990 ha catalogato le malattie infettive in 5 classi di notifica, caratterizzate da procedure di notifica differenti sulla base della gravità della malattia. Il Sistema Informatizzato di Malattie Infettive (SIMI), istituito grazie alla collaborazione tra l’Istituto Superiore di Sanità e il Ministero della Salute, ha lo scopo di informatizzare il flusso delle notifiche di malattie infettive e rendere disponibili i dati in formato elettronico (http://www.simi.iss.it). 7.1 Rischio Biologico nel Settore Agricolo Forestale Il settore agricolo costituisce ancora oggi, nel nostro Paese, una notevole parte della realtà produttiva, impiegando un numero significativo di lavoratori. Questo settore va visto nel contesto di un mercato interno europeo molto più ampio rispetto al passato (da 380 a 454 milioni di persone con l’allargamento a dieci nuovi Stati membri nel 2004) è destinato a incrementare ulteriormente la sua crescita per effetto dell’adesione di nuovi Paesi, caratterizzati in larga parte da una forte predominanza del settore agricolo. La popolazione agricola è aumentata nel 2004 di 4 milioni e la superficie agricola utilizzata (SAU) è cresciuta del 30% (da 130 milioni di ettari a circa 168). Tra il 1993 e il 2003 la SAU è scesa dell’8,4% in Italia e, secondo recenti dati Eurostat, la superficie agricola disponibile per abitante/paese si attesta oggi sugli 0,26 ettari procapite. Nel 2004 il numero complessivo degli occupati è aumentato dello 0,8% rispetto al 2003. Il settore agricolo ha mostrato un incremento dell’occupazione (0,4%). Il rapporto tra lavoro 83 agricolo e popolazione è mutato rapidamente nel corso degli ultimi dieci anni: nel 1994, per ogni unità di lavoro agricolo vi erano circa 32 abitanti, mentre nel 2004 sono saliti a 46. Il sistema produttivo italiano e in particolare il settore agricolo sono stati caratterizzati, infatti, da un processo di sostituzione del fattore lavoro a favore dell’input di capitale (investimenti in macchine, attrezzature, impianti) e degli input intermedi (mezzi tecnici di uso corrente, servizi ecc) [Rapporto sullo Stato dell’Ambiente (R.S.A.) 2005]. In Italia si sta assistendo ad un trend decrescente degli infortuni sul lavoro agricolo, rilevato già da molti anni (Dati INAIL luglio 2008): le denunce sono state circa 57mila, in flessione nel 2007 del 9,4% rispetto al 2006. In diminuzione anche i casi mortali, che si attestano intorno alle 100 unità, ma che sembrano profilare, sulla base dei dati relativi ai primi mesi, un certo aumento per il 2008. Ovviamente gli infortuni denunciati interessano soprattutto patologie che colpiscono il sistema osteo-articolare e muscolo-tendineo. Oggi l’impiego corretto di attrezzature necessarie alla distribuzione di fitofarmaci può ridurre l’esposizione dell’operatore agli agenti chimici, diminuendo la probabilità di insorgenza di patologie professionali per effetto dell’assorbimento attraverso la cute, dell’inalazione o dell’ingestione del prodotto. Ma nel mondo agricolo, oltre a queste patologie legate ad agenti fisici o chimici, vanno ricordate le zoonosi, che vengono trattate dall’INAIL come infortuni. Oltre alla difficoltà oggettiva nell’individuazione delle precise modalità di contagio da agenti biologici, nella misurazione ambientale dei microrganismi e quindi nella stima dei livelli di contaminazione microbica relativa a differenti ambiti lavorativi, nel settore agricolo si osserva spesso la mancanza di un’adeguata opera di prevenzione dai rischi lavorativi. Ciò è legato a una serie di motivi: molte delle aziende agricole sono a gestione familiare, con conseguente difficoltà di accesso alle risorse e alle figure professionali che nel corso degli ultimi anni hanno profondamente cambiato la prevenzione in altri ambienti di lavoro quale quello industriale; particolarmente difficile sembra essere l’informazione e la formazione sulla prevenzione dei rischi lavorativi in tale settore. Va tenuto presente che molte attività rurali sono condotte in ambienti non confinati, il rischio si estende spesso dal singolo al gruppo familiare e vi è una maggiore diffusione del lavoro minorile rispetto ad altri settori produttivi. 84 La tutela dei lavoratori dai rischi biologici in agricoltura è quindi un obiettivo di particolare rilievo. Numerosissime sono le possibili infezioni correlate alle attività agricole e in particolare quelle che inducono il lavoratore a svolgere la propria attività a contatto diretto con la natura e con gli animali (giardinieri, boscaioli, allevatori, veterinari, guardie forestali). Molti degli sforzi della ricerca nel settore della prevenzione e della sicurezza in agricoltura si sono concentrati nel campo dei pesticidi, dell’ergonomia e dei rischi collegati ai macchinari, mentre gli studi che trattano il rischio biologico sono molto limitati. Due importanti fattori che vanno presi in considerazione allorché si valuta il rischio in tale ambito riguardano: • le sorgenti di rischio di esposizione ad agenti biologici; • le modalità di trasmissione delle infezioni occupazionali. Nel settore agricolo-forestale l’esposizione agli agenti biologici avviene ogniqualvolta un soggetto venga a contatto sul luogo di lavoro con: • animali; • artropodi-vettori; • allergeni; • materiali naturali o di natura organica quali terra, argilla, derivati da piante; • derivati di origine animale; • generi alimentari; • polveri organiche; • rifiuti; • acque di scarico. Tra le molteplici categorie lavorative interessate ricordiamo: • contadini; • allevatori; • veterinari; • forestali; • addetti alla pastorizia; • conciatori, tosatori; • addetti alla produzione e alla manipolazione degli alimenti; • addetti alla macellazione delle carni; • addetti al commercio e ai trasporti di animali vivi e di carni; • addetti alla piscicoltura; 85 • operatori ecologici e addetti agli impianti di smaltimento rifiuti; • addetti alla depurazione delle acque di scarico; • laboratoristi. 86 ZOONOSI TRASMESSE DA ZECCHE Per quanto riguarda le zoonosi trasmesse da zecche, di seguito è riportata una tabella riassuntiva delle patologie presenti nel nostro Paese, degli agenti biologici, dei vettori e dei serbatoi che ne costituiscono la causa, nonché delle professioni che sono risultate essere maggiormente a rischio di contrarle. Malattia FEBBRE BOTTONOSA DEL MEDITERRANEO EHRLICHIOSI BORRELLIOSI DI LYME FEBBRE RICORRENTE DA ZECCHE TULAREMIA Agente biologico Vettori e Serbatoi Rickettsia conoriii Zecche di cani e altri animali domestici e selvatici (conigli e lepri, ma anche ovini, caprini e bovini) Ehrlichia Zecche di animali selvatici e domestici Borrelia burgdorferi Zecche di animali selvatici Borrelia spp. Zecche molli del genere Ornithodorus possono parassitare tanto l’uomo che piccoli animali (roditori) Francisella tularensis (tipo A) 87 Sangue, tessuti, secrezioni o morsi di animali infetti, artropodi Professioni a rischio veterinari addetti ai canili contadini allevatori forestali allevatori cacciatori guardiacaccia agricoltori agricoltori forestali taglialegna cacciatori guardiacaccia sportivi agricoltori forestali cacciatori guardiacaccia forestali agricoltori veterinari laboratoristi Malattia MENINGOENCEFALITE DA ZECCHE BABESIOSI BARTONELLA FEBBRE Q Agente biologico Vettori e Serbatoi Flavivirus (Tickborne encephalitis) Zecche di animali selvatici e domestici Babesia spp. Zecche provenienti da animali domestici e selvatici; in particolare: bovini ovini e caprini equini, suini, cani, roditori e ungulati Bartonella henselae Coxiella burnetii Morso o graffio del gatto, e in maniera indiretta,le feci infette delle pulci che parassitano il gatto, potenzialmente anche zecche Zecche e/o tessuti placentali, fluidi di uccelli o escrezioni di animali infetti (pecore, capre, animali selvatici) 88 Professioni a Rischio cacciatori guardiacaccia agricoltori vigili del fuoco allevatori forestali cacciatori guardiacaccia veterinari operatori sanitari laboratoristi laboratoristi giardinieri addetti al macello agricoltori allevatori conciatori CENTRI PER LO STUDIO DI ZOONOSI TRASMESSE DA ZECCHE Per quanto concerne la distribuzione geografica delle patologie vettore-trasmesse in Italia, diverse sono a tutt’oggi le regioni interessate da questo fenomeno. L’impegno sanitario delle singole Autorità preposte varia a seconda delle dimensioni e delle caratteristiche che assume il fenomeno nelle situazioni territoriali in cui nasce e si sviluppa, nonché delle nuove problematiche emergenti connesse al controllo degli agenti zoonotici stessi. Di seguito riportiamo alcuni dei principali Centri per lo studio, la sorveglianza epidemiologica, la diagnosi e la cura delle patologie vettore-trasmesse. Istituzione Centro/Attività Contatti Università degli Studi di Trieste. Dipartimento Scienze Biomediche Laboratorio Spirochete Trieste Cooperazione transfrontaliera Friuli Venezia Giulia / Slovenia per valutare il potenziale rischio d'infezione per Borreliosi di Lyme ed altre malattie trasmesse da zecca http://dfp.units.it/ spirochete http://dfp.univ.trieste.it/ spirolab Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell'Emilia Romagna Brescia Centro di Referenza Nazionale per la tularemia (Decreto Ministeriale 4 ottobre 1999) [email protected] www.bs.izs.it Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta Torino Centro di Referenza Nazionale per le Malattie degli Animali Selvatici (CERMAS) Regione Veneto U.L.S.S. n. 1 Belluno Osservatorio per lo studio , la sorveglianza e la prevenzione delle infezioni trasmesse da zecche Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie Padova Centro di Referenza Nazionale per la Ricerca Scientifica sulle malattie infettive nell’interfaccia uomo/animale(Decreto Ministeriale 7 maggio 2008 G.U. 23 agosto 2008) 89 [email protected] www.izsto.it www.osservatoriozecch e.it www.izsvenezie.it Istituzione Regione Emilia Romagna Dipartimento di Sanità Pubblica GISML - Gruppo Italiano per lo Studio della Malattia di Lyme Faenza (RA) Centro/Attività Centro di Riferimento Regionale per lo Studio e la Sorveglianza Epidemiologica della Borreliosi di Lyme Contatti [email protected] [email protected] [email protected]. it Ospedale Civico e Benfratelli Unità Operativa di Malattie Infettive Palermo Centro di Riferimento Regionale per: Rickettsiosi, Leishmaniosi ,Brucellosi, Infezioni del Sistema Nervoso (Decreto Assessoriale n° 283,14 marzo 2002) www.ospedalecivicop a.org/infettive Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Medicina Clinica e delle Patologie Emergenti Palermo Centri di Riferimento Regionale Laboratorio di Diagnostica Speciale per le Patologie Emergenti Ricerche sieroepidemiologiche nell'ambito delle Rickettsiosi www.patologieemerge nti.net Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia Palermo Presso l’Istituto è stato istituito il Centro di Referenza Nazionale per Anaplasma, Babesia, Rickettsia, e Theileria (C.R.A.Ba.R.T.) (Decreto Ministeriale 8 maggio 2002) www.izssicilia.it/izssi/ crabart 90 Schede zecche Di seguito vengono riportate alcune schede relative a diverse specie di zecche presenti in Italia, che possono veicolare agenti biologici patogeni per l’uomo. Le schede riportano alcune specie di zecche sia molli (Argasidae ) che dure (Ixodidae ). La distribuzione geografica si riferisce alle segnalazioni riportate nelle varie regioni (sul territorio nazionale). Per eventuali approfondimenti relativi ai vari aspetti di ciascuna specie, si rimanda ai testi, alle pubblicazioni ed ai siti web riportati in bibliografia. Ixodidae o “zecche dure” Rappresentano la “famiglia” più importante degli artropodi in termini numerici e per importanza medica. Sono caratterizzate dalla presenza di uno scudo dorsale chitinoso, e in Italia comprendono 6 generi: Ixodes, Boophilus, Hyalomna, Rhipicephalus, Dermacentor, Haemaphysalis. 91 Ixodes ricinus Distribuzione geografica: presente in tutte le regioni d’ Italia Habitat: foreste mesofile di latifoglie – prato e bosco Ospiti: può aggredire ospiti molto diversi: mammiferi di grande e piccola taglia, uccelli e persino rettili. Aggredisce anche l’uomo. Agente patogeno Babesia divergens Borrelia burgdorferi Patologia Indotta Babesiosi Borrelliosi di Lyme Anaplasma phagocytophilum Ehrlichiosi Rickettsia helvetica Rickettsiosi Francisella tularensis Virus TBE (Tick Borne Encephalitis virus) Tularemia Meningoencefalite da zecche ioe le reg tt s tu u e in in u sente ang ica: pre halus s Richep ione geograf lla zona uz rtica de ” proe s e Distrib id estica a pa sem ni d’Itali zecca di step la forma “dom bituali dell’a ; : Habitat neo-sahariana si dei ricoveri s a e r rr medite e nei p è in i canili e n a nidi, ma ri, r a e c i sp o le n a ne so mmife rincip ospite p ospiti di elezio sta serie di ma gli va Ospiti: ire una d e r g g a i grado d o l’uomo. tta s ia Indo e r g p o l o t a com P o iosi atogen p e t Ricketts n e Ag Q riii Febbre ia cono Ricketts i burneti Coxiella 92 Ixodes acuminatis Distribuzione geografica: presente in svariate regioni d’Italia (Piemonte, Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria) ad eccezione delle isole Habitat: ambiente forestale Ospiti: è parassita dei micromammiferi, sia insettivori che roditori. Aggredisce l’uomo raramente.. Agente patogeno Patologia Indotta Borrelia burgdorferi Borrelliosi di Lyme Francisella tularensis Tularemia Coxiella burnetii Febbre Q Dermacento r marginatu s Distribuzio ne geografi ca: presente ni dell’ Italia in tutte le re ad eccezion gioe di Valle d nezia Giulia ’Aosta, Friu ) li VeHabitat: qu erceti, pasc oli e prati fre Ospiti: gli sch stadi imma turi parassita i e umidi miferi e talv no piccoli m olta uccelli; ami adulti si rin ne specie d vengono su i ungulati, n a o lc n uché su canid Può aggred i;. ire l’uomo. Agente pato ge no Francisella tularensis Patologia In d Tularemia 93 otta Argasidae o “zecche molli” Le Argasidae sono definite zecche molli in quanto prive di scudo chitinoso dorsale, sono presenti in Italia con due generi: Argas e Ornithodorus. dell’ e regioni ll e n te s n u e res flex Argas re ne geografica: p io z le u na ie in amDistrib settentrio he nelle picciona e le a tr n c rno deItalia ce ne, oltre e, all'inte n ie a v n rb ri u i s e elle are Habitat: , anche n ai suoi ospiti le prera ru te bien tra i quali tati d n i, e ll u e q c c e u fr i d nti gli ambie pecie è parassita stici. s e m la o d i: i ion Ospit bi e i picc m . lo o o c m i dilige che l’uo redire an Può agg atoge Agente p urnetii Coxiella b Indotta Patologia Febbre Q no 94 Bibliografia Zecche e Clima Bertolini R, Menne B. Cambiamenti climatici ed eventi estremi: rischi per la salute in Italia. Programma Speciale per l’Ambiente e la Salute. Organizzazione Mondiale della Sanità Ufficio Regionale per l’Europa. 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Attuazione della direttiva 2003/99/CE sulle misure di sorveglianza delle zoonosi e degli agenti zoonotici. Gazzetta Ufficiale n.119 del 24 maggio 2006. Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n.81. Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n.123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Gazzetta Ufficiale n.101 del 30 aprile 2008 - Supplemento Ordinario n. 108. Decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n.303. Norme generali per l'igiene del lavoro. Gazzetta Ufficiale n.105 del 30 aprile 1956 - Supplemento Ordinario. Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n.1124. Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Gazzetta Ufficiale. n.257 del 13 ottobre 1965 - Supplemento Ordinario. Decreto Ministeriale 15 dicembre 1990. Sistema informativo delle malattie infettive e diffusive. Gazzetta Ufficiale n.6 del 8 gennaio 1991. Decreto Ministeriale 27 aprile 2004. Elenco delle malattie per le quali e' obbligatoria la denuncia, ai sensi e per gli effetti dell'art. 139 del testo unico, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n.1124, e successive modificazioni e integrazioni. Gazzetta Ufficiale n.134 del 10 giugno 2004. Decreto Ministeriale 14 gennaio 2008. Elenco delle malattie per le quali e' obbligatoria la denuncia ai sensi e per gli effetti dell'articolo 139 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n.1124, 106 e successive modificazioni e integrazioni. Gazzetta Ufficiale. n. 29 del 4 febbraio 2008. Decreto Ministeriale 9 aprile 2008. Nuove tabelle delle malattie professionali nell'industria e nell'agricoltura. Gazzetta Ufficiale n.169 del 21 Luglio 2008. Direttiva 2003/99/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio 17 novembre 2003. Misure di sorveglianza delle zoonosi e degli agenti zoonotici, recante modifica della decisione 90/424/CEE del Consiglio e che abroga la direttiva 92/117/ CEE del Consiglio Gazzetta ufficiale dell'Unione europea [IT] L 325/31 del 12 dicembre 2003. 107 Glossario Acaricida - preparato tossico in grado di uccidere gli acari. Acaro - piccolo artropode, comprendente diverse specie, spesso parassiti. Acrodermatite cronica atrofizzante - dermatosi ad evoluzione lentissima, caratterizzata dalla comparsa di placche eritematose sulla superficie dorsale degli arti. Questo eritema si accompagna all’inizio con un’infiltrazione, poi compare atrofia della pelle. Adenopatia - ingrossamento delle linfoghiandole presente specialmente in particolari regioni del corpo come ascelle, inguine e collo. Agente eziologico - microrganismo causa dell’instaurarsi di un processo infettivo. Anemia - caduta del tasso di emoglobina, proteina presente nei globuli rossi (eritrociti) nel sangue. Antibiotico - sostanza di origine naturale (comunemente prodotta da batteri o funghi) o di sintesi in grado di uccidere o inibire la crescita di microrganismi. E’ generalmente usata per combattere le infezioni causate dai batteri. Anticorpo - proteina prodotta in risposta all’ingresso nell’organismo ospite di una sostanza estranea, l’antigene, con cui si lega in modo altamente specifico formando il complesso antigene-anticorpo che induce una risposta immunitaria. Antielmintici - categoria di farmaci utili a eliminare svariati tipi di vermi o elminti, che possono infestare l’organismo. Antigene - molecola normalmente di natura proteica che, se introdotta nell’organismo, induce la formazione di anticorpi. Artropode - animale invertebrato caratterizzato da uno scheletro esterno. Artropode vettore - organismo in grado di trasferire germi patogeni da un ospite ad un altro. Batterio intracellulare - batterio che vive all’interno delle cellule ospiti. Batterio obbligato - batterio che deve necessariamente vivere all’interno delle cellule ospiti. Bioaerosol - particelle aerodisperse formate da entità biologiche o parti di esse quali batteri, virus, lieviti e muffe in grado di rimanere in sospensione nell’aria per periodi prolungati. Biodiversità - insieme di tutte le forme, animali o vegetali, geneticamente dissimili presenti sulla terra e degli ecosistemi ad essi correlati. Biotipo - gruppo di esseri viventi con caratteristiche morfologiche e fisiologiche geneticamente omogenee. Cellula endoteliale - cellula che costituisce un particolare tipo di tessuto epi- 108 teliale presente nei vasi sanguigni e linfatici. Chitinizzato - composto da chitina, proteina che costituisce il corpo esterno, (esoscheletro o cuticola) degli artropodi. Ciclo vitale - insieme delle fasi di accrescimento e maturazione che portano da un individuo alla formazione di un altro individuo della stessa specie. Cluster - gruppo di unità simili o vicine tra loro. Co-feeding - trasmissione di virus o batteri da una zecca all’altra che si nutrono simultaneamente su di uno stesso ospite. Congiuntiva - membrana mucosa che ricopre il bulbo oculare e la parte interna delle palpebre; ha la funzione di proteggere il bulbo oculare, soprattutto la cornea, nonché di facilitare il suo scorrimento e di quello delle palpebre nelle fasi di ammiccamento. Deltametrina - insetticida e acaricida della categoria dei piretroidi. Dispositivi di protezione individuale - qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi in grado di minacciare la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo, rispondenti alle norme tecniche EN. Ectoparassita - parassita vegetale o animale che vive sulla superficie esterna dell’ospite. Ematofago - animale che si nutre del sangue di un ospite. Endemia - in epidemiologia, termine indicante la presenza costante di una certa malattia o di un certo microrganismo in una data area geografica. Eritema migrante - lesione della pelle che inizialmente si manifesta come una piccola papula rossa ma poi si diffonde per il corpo. Eritrocita - (globulo rosso) cellula del sangue adibita al trasporto dell'ossigeno dai polmoni verso i tessuti e di una parte dell'anidride carbonica dai tessuti ai polmoni e che provvede all'espulsione del gas all'esterno del corpo. Esantema maculo-papuloso - lesione eruttiva della cute da infezione o da sensibilizzazione allergica costituita da maculo-papule, macchioline di colore rosso, lievemente rilevate al tatto, a margini frastagliati, con tendenza a confluire tra loro assumendo l’aspetto di grosse macchie. Esantema petecchiale - lesione eruttiva della cute da infezione o da sensibilizzazione allergica accompagnata da petecchie, piccole manifestazioni cutanee emorragiche di colore rosso-violaceo. Escara necrotica - lesione tissutale che si forma in un processo di necrosi in seguito ad evento traumatico, ustione, flogosi, causticazione; le zone maggiormente colpite sono la cute e le mucose. Essudazione - produzione di essudato, liquido infiammatorio extravascolare con elevata concentrazione proteica che si raccoglie nei tessuti del corpo sotto- 109 posti a un processo d'infiammazione. Fattori antropici - processi mediante i quali l’uomo modifica l’ambiente naturale per renderlo più consono ai propri fini. Febbre esantematica - febbre accompagnata da esantema, lesione eruttiva della cute da infezione o da sensibilizzazione allergica. Ferormonali - detto di sostanze chimiche secrete da apposite ghiandole di un organismo animale che, percepite attraverso l’olfatto da individui della stessa specie, ne attivano particolari reazioni comportamentali (es.: accoppiamento, fuga). Flogosi - infiammazione, meccanismo di difesa non specifico innato, che costituisce una risposta protettiva, conseguente all'azione dannosa di agenti fisici, chimici e biologici, il cui obiettivo è l'eliminazione della causa iniziale di danno cellulare o tissutale. Gene : unità ereditaria presente in una posizione definita e fissa di un particolare cromosoma. I geni sono responsabili dell’ereditarietà dei caratteri permettendo la trasmissione in forma inalterata delle informazioni in essi contenute alle generazioni successive. Genoma - intera informazione genetica presente in una cellula o in un organismo. Genospecie - specie microbica caratterizzata da un peculiare patrimonio genetico. Genotipizzazione - processo che permette di determinare il genotipo di un organismo mediante saggio biologico. Genotipo - profilo genetico di un individuo, ovvero la totalità dei geni presenti nel suo genoma. Habitat - ambiente naturale in cui vive, si sviluppa e si riproduce una specie animale o vegetale, in quanto adattata alle specifiche caratteristiche fisiche di questo. Immunità - stato di resistenza specifica di un organismo verso un determinato antigene (per esempio un agente patogeno). Infezione subclinica - infezione che decorre in forma inapparente. Insetticida - sostanza chimica utilizzata per allontanare o uccidere insetti di vario genere, dannosi o fastidiosi. Larva - embrione che conduce vita libera e che diventerà adulto attraverso una o più metamorfosi (trasformazioni di forma e di struttura) raggiungendo lo stadio adulto. Lesione patognomica - lesione a carattere particolare e tipico di una patologia. Linfoadenopatia - ingrossamento dei linfonodi (organi del sistema linfatico) di qualsiasi natura. 110 Linfociti - cellule presenti nel sangue facenti parte del sistema immunitario. Liquor cefalorachidiano - nei vertebrati rappresenta il liquido di aspetto limpido che riempie i ventricoli encefalici e il canale ependimale del midollo spinale, ed è inoltre presente al di sotto della meninge profonda, per tutto il nevrasse e nei mammiferi negli spazi subaracnoidali. Macrofago - cellula del sangue implicata nelle risposte immunitarie. Malattia infettiva - malattia determinata da agenti patogeni che entrano in contatto con un individuo causando infezioni. Microclima - zona geografica locale in cui il clima differisce in modo significativo da quello delle zone circostanti. Microrganismo - qualsiasi organismo animale o vegetale, procariote o eucariote, di dimensioni microscopiche. Sono microrganismi batteri, funghi, protozoi, virus ed alghe. Monocita - cellula del sangue coinvolta nelle risposte immunitarie. Nematode - verme con corpo cilindrico. Ninfa - stadio giovanile che si manifesta nel corso dello sviluppo postembrionale di alcuni Artropodi (es. Acari e Insetti) e che in generale precede lo stadio di adulto. Organotropismo - capacità di un microrganismo di infettare un organo specifico. Organofosfati - sostanze che inibiscono irreversibilmente l'acetilcolinesterasi, enzima essenziale alla funzionalità nervosa degli insetti, dell'uomo e di molte altre specie animali. Ospite - organismo che interagisce biologicamente con il parassita. Parassita - organismo che vive in/su un altro individuo definito ospite; trae il proprio nutrimento dall’ospite al quale in una certa misura arreca danni. Parassitemia - presenza di parassiti nel sangue. Pasto ematico - pasto di sangue. Patogeno - qualsiasi microrganismo in grado di causare malattia. Patologia - qualunque malattia, sia dell'uomo che degli animali o delle piante. Pesticidi - sostanze o prodotti chimici capaci di controllare, limitare, respingere o distruggere gli organismi viventi (microrganismi, animali o vegetali) considerati come nocivi, o di opporsi al loro sviluppo. Piretroidi - classe di insetticidi e acaricidi di sintesi. Profilassi - insieme delle misure preventive idonee a limitare o eradicare le malattie, in particolare quelle infettive. Rash cutaneo - eruzione cutanea a rapida insorgenza con effetto di rossore e prurito. E’ generalmente transitoria; compare all'inizio di alcune malattie infettive o per cause tossiche. Scarificazione - incisione degli strati più superficiali della cute o delle muco- 111 se, non seguita da fuoriuscita di sangue. Scissione binaria - meccanismo di riproduzione asessuata che genera organismi assolutamente identici tra di loro e a quello generante. Serbatoio - qualsiasi persona, specie animale o vegetale o substrato inanimato (terreno, sostanze), habitat normale di un microrganismo patogeno. Nel serbatoio l’agente infettivo vive e si moltiplica così da poter essere trasmesso ad un altro ospite recettivo. Shock anafilattico - forma più grave e potente delle reazioni allergiche; se non trattato può portare alla morte. Simbionte - organismo vivente che vive insieme ad un altro traendo vantaggio reciproco dalla convivenza (simbiosi). Sistema linfatico - insieme di cellule e organi dai quali dipendono le reazioni di immunità specifica. Soggetto asplenico - soggetto privo di milza a causa di asportazione chirurgica o assenza congenita. Soggetto splenectomizzato - soggetto sottoposto ad asportazione chirurgica della milza. Specie (procariotica) - definita come un insieme di individui che presentano caratteristiche fenotipiche (biochimiche, metaboliche, strutturali) comuni, condividono gli stessi habitat, hanno una percentuale di ibridizzazione DNADNA > 70% ed una identità della sequenza del gene codificante l'RNA ribosomiale 16S (gene rrnB) > 97%. Spirochete - genere di batteri gram negativi a forma di spirale, asporigeni e mobili. Sono forme a vita libera nel fango e nelle acque, oppure parassiti e patogeni di animali e dell’uomo, in cui causano spirochetosi, leptospirosi e sifilide (generi Borrelia, Leptospira, Treponema, Cristispira). Spot on - modalità di somministrazione di preparati utilizzati nel trattamento di anti zecche per cani e gatti. Tache noire - lesione escariotica che si forma nella sede di puntura della zecca. E' caratterizzata da una crosta nerastra circondata da un alone eritematoso; la crosta poi cade lasciando un' ulcera; a volte la taiche noire può assumere sin dall'inizio le caratteristiche di una papula con una piccola depressione crateriforme centrale. Non provoca dolore e raramente dà prurito. Teratogeni - agenti chimici, fisici o biologici che danneggiano direttamente il feto. Trasmissione transovarica - trasmissione di batteri, virus e protozoi attraverso le uova. Tumefazione linfonodale - gonfiore tissutale di uno o più linfonodi causato da essudazione e infiltrazione intracellulare che segnala un’infiammazione. Ulcera - lesione della pelle o di un tessuto epiteliale, a lenta o difficoltosa o 112 assente cicatrizzazione. Ungulato selvatico - mammifero (cavallo, cervo, daino) munito di uno zoccolo che ricopre anteriormente le falangi delle dita. Vaccinazione - inoculazione di vaccino, in modo da indurre una risposta immunitaria attiva analoga a quella che si verifica nell’infezione naturale, ma senza esporre l’organismo ai pericoli di quest’ultima. Vaccino - preparato contenente materiale costituito da microrganismi o parti di essi, opportunamente trattato, che viene inoculato in un organismo per indurlo a produrre anticorpi specifici. Virus neurotropo - virus che si localizza nel sistema nervoso. Zona endemica - territorio dove è costantemente presente o molto frequente una determinata malattia. Zoonosi - malattia infettiva o parassitaria degli animali che può essere trasmessa all’uomo direttamente (contatto con la pelle, peli, uova, sangue o secrezioni) o indirettamente (tramite insetti vettori o ingestione di alimenti infetti). Zoonosi vettore-trasmesse - zoonosi trasmesse da un organismo che funge da vettore in grado di trasmettere un determinato virus, batterio, parassita da un ospite all’altro (zanzare, zecche ecc.). 113 Photo Credits http://www.flickr.com Finito di stampare nel mese di gennaio 2009 IIDEA GRAFICA S.r.l. tel. 06.2280158 [email protected] La riproduzione anche parziale su qualsiasi mezzo è consentita se citata la fonte: “ISPESL, Dipartimento di Medicina del Lavoro” ISBN 978-88-6230-046-9