...

5. Diga rinascimentale sul fiume Bruna, pp. 75-84

by user

on
Category: Documents
13

views

Report

Comments

Transcript

5. Diga rinascimentale sul fiume Bruna, pp. 75-84
5. LA DIGA
RINASCIMENTALE
SUL FIUME
BRUNA
❨
L
asciata la S.S. 1 Aurelia all’uscita per Giuncarico-Ribolla imboccando la S.P. 20 in direzione di Ribolla, e, dopo aver oltrepassato
sulla sinistra un’area di cava e un bivio con indicazione “Pod. Moscatello”, dopo circa 1 km, subito prima di giungere al ponte sul fiume
Bruna, parcheggiamo le vetture e ci incamminiamo a piedi immettendoci in un ampio sentiero sulla sinistra della strada provinciale.
In alternativa è possibile giungere alla diga provenendo da Castel
di Pietra (v. scheda n. 4): dopo aver disceso la strada che si inerpica
sull’altura del castello, ci immettiamo nella sottostante strada bianca
voltando verso destra; superiamo dopo circa 500 m la Fattoria Vaticano, quindi, tenendosi sulla sinistra, dopo circa 3 km giungiamo
sulla menzionata S.P. 20 in corrispondenza del bivio per Podere
Moscatello; quindi prendiamo a sinistra e, dopo poche centinaia di
metri, arriviamo al punto di partenza per l’escursione alla diga.
L’
oggetto delle indagini è in questo caso piuttosto insolito, poiché
consiste nelle strutture relative a un duplice sbarramento artificiale sul fiume Bruna realizzato nella seconda metà del Quattrocento
allo scopo creare un grande lago artificiale e, quindi, rappresenta
un’opera del tutto eccezionale per i tempi in cui fu concepita e attuata.
A partire dal 1997 l’Insegnamento di Archeologia Medievale dell’Università di Siena ha avviato, con la collaborazione del Comune di Gavorrano, un programma di indagini archeologiche e storico-architettoniche su questo complesso rinascimentale. Il programma di studio ha previsto il rilievo delle strutture, ricerche topografiche e analisi pedologiche
e geo-morfologiche sulla valle per individuare l’ampiezza di entrambi i
bacini artificiali progettati e le ragioni del fallimento di tali iniziative.
Le indagini sono state finalizzate a progetti di valorizzazione della
complessiva area archeologica Muracci-Castel di Pietra, diretti a ricu-
LE INDAGINI
76
Guida alla Maremma medievale
cire il paesaggio tra il castello e la diga, due poli che rappresentano i
contrapposti segni monumentali lasciati sul territorio dal potere signorile
medievale e dal nascente stato rinascimentale. In questo contesto si inserisce anche l’intervento progettuale “In equilibrio sulla Bruna” elaborato
da Giuseppe Bartolini, che prevede la realizzazione di un ponte sospeso
pedonale destinato a ricongiungere, sulla quota originaria, gli spezzoni
superstiti del muraglione più elevato, utilizzando strutture leggere a tensione integrale ancorate alle due estremità della diga.
Attorno alla metà del Quattrocento il Comune di Siena promosse
la realizzazione di una diga in muratura al fine di sbarrare il corso del
torrente Bruna e di ottenere un ampio invaso di acqua dolce destinato
alla pesca, che avrebbe dovuto occupare un vasto tratto di fondovalle
compreso nel territorio di Castel di Pietra (v. scheda 4).
Nella Toscana medievale è ampiamente documentata la presenza di
invasi artificiali di acqua dolce – e, presso il mare, anche salmastra –
destinati eminentemente alla piscicoltura, che venivano denominati
piscine o piscarie; inoltre, assai spesso per un uso simile venivano sfruttati canalizzazioni e invasi (gore e bottacci), destinati primariamente
all’alimentazione di impianti idraulici. È noto, infatti, che durante il
Rinascimento il pesce di vivaio assunse un peso molto importante
nella bilancia alimentare toscana e da più parti emerge che esso veniva
reputato un cibo di grande pregio; si spiega così l’ammirazione che
traspare dalle parole di papa Pio II Piccolomini con le quali, alla metà
del Quattrocento, il pontefice descriveva l’ampia peschiera artificiale
realizzata alle sorgenti del fiume Fiora, sul Monte Amiata, dove – afferma compiaciuto – “s’allevano come in un vivaio trote enormi”.
Un fiume, tre laghi pescosi
Sin dall’Antichità e già a partire dalla sua sorgente, le acque del
fiume Bruna erano utilizzate per l’allevamento ittico. Infatti, il
Bruna trae origine dal lago dell’Accesa, un modesto specchio d’acqua dal perimetro di poco inferiore ai due chilometri e profondo
meno di 40 m, ma molto pescoso di carpe, lucci, tinche, anguille e
persici, grazie soprattutto alla particolare caratteristica che, come
vuole la tradizione locale, questa acqua “non gela mai”. È noto, del
resto, che il vescovo di Massa, proprietario del castello di Accesa e
dell’omonimo lago già nell’XI secolo, si arricchì dei frutti della pesca qui esercitata sino all’età moderna, quando presso le sue rive
abitavano numerose famiglie di pescatori.
Inoltre, il fiume Bruna dava origine, nei pressi del proprio sbocco
al mare, a quella che era la “peschiera” per antonomasia di tutta la
Toscana meridionale, vale a dire la Piscaria o “Lago di Castiglione”,
nomi che assunse nel Medioevo il grande specchio d’acqua costiero
esteso nell’attuale pianura di Grosseto – che in età classica era conosciuto sotto il nome di “Prile” – e di cui rimane traccia nell’attuale
area umida della “Diaccia Botrona”. Durante il Medioevo questa
enorme Pescaia si componeva di un esteso complesso di laghi, stagni
e acquitrini alimentati dal Bruna e da altri affluenti minori, che rico-
La diga rinascimentale sul fiume Bruna
priva la piana compresa tra i Monti d’Alma e la foce dell’Ombrone.
Almeno dalla tarda età longobarda vi veniva raccolto sale e prodotto
pesce in abbondanza, e la sua rilevanza fu tale da conferire il proprio
nome ai principali castelli che sorsero lungo le sue sponde: Castiglione della Pescaia e Monte Pescali.
Nel basso Medioevo il principale mercato di consumo della produzione ittica del Lago di Castiglione era rappresentato dalla città e
dallo stato di Siena; nonostante il Comune senese avesse instaurato
sin dal XII secolo forti legami con alcune grandi comunità affacciate su di esso (vale a dire Grosseto e Montepescali), la città della
Balzana non estese il proprio raggio di azione ai centri affacciati
sulla sponda settentrionale, inseriti nel dominio pisano, neanche
approfittando della dissoluzione di quest’ultimo verificatasi alla
fine del Trecento, poiché queste comunità nel corso dei secoli XV e
XVI furono in parte inglobate nello stato di Piombino (Buriano,
Badia al Fango) e in parte subirono il dominio politico fiorentino e
aragonese (Castiglione della Pescaia).
Tutto ciò rendeva incerto e difficoltoso per Siena fruire della produzione ittica del Lago di Castiglione, proprio quando nella seconda
metà del Quattrocento una serie di eventi politici rendevano difficile
e sgradito il ricorso a importazioni di pesce dal Lago Trasimeno, poi-
77
La costa e gli
specchi d’acqua
nel XVII secolo
(collezione
Graziani)
78
Disegno di Jacopo
di Mariano detto
“Il Taccola”
(da Adams 1984)
(sopra) e rilievo e
ruderi a fine
Ottocento (da Del
Rosso 1905) (sotto)
Guida alla Maremma medievale
ché il Comune di Perugia,
cui apparteneva questo vivaio, aveva imposto una
nuova tassa sulle esportazioni, che comportava per
l’economia senese un ulteriore esborso annuo di migliaia di fiorini.
In tale contesto maturò
in seno al gruppo di tecnici
e scienziati che gravitava
attorno al governo senese
l’ardito progetto di realizzare all’interno dello Stato
cittadino un ampio bacino
artificiale, specificamente
destinato all’allevamento di
pesce d’acqua dolce. L’idea
venne concepita e prospettata già nella prima metà
del Quattrocento (come
mostra un disegno di Iacopo di Mariano detto il
Taccola) e trovò un modello sia nei tentativi volti alla realizzazione di una diga nel Lago di Castiglione, condotti per iniziativa fiorentina dall’architetto Michelozzo
di Bartolomeo Michelozzi, sia nelle opere attuate direttamente dal Comune di Firenze per la realizzazione del “Lago di Fucecchio”.
Dal canto proprio, l’impresa senese venne concretizzata e posta in
atto a partire dal 1468, quando Pietro di Cecco e Pietro dell’Abbaco,
i due esperti incaricati di individuare il sito più adatto per la sua reapianta
alzata
La diga rinascimentale sul fiume Bruna
lizzazione, scelsero l’alta valle del fiume Bruna, nel punto in cui questo corso d’acqua piega verso ovest e, insinuandosi in una strettoia tra
due gruppi di colline, entra nella pianura grossetana.
Le opere per la realizzazione dell’invaso (1470-1492)
I lavori preparatori presero avvio dopo l’inizio del 1470 quando il
Comune cittadino appaltò l’opera a Matteo di Iacopo e Adamo di
Domenico, due maestri muratori originari delle valli comasche. Tuttavia, nella primavera del 1471 si discuteva ancora del progetto, poiché i diversi esperti incaricati di provvedere e sovrintendere all’esecuzione delle opere non avevano trovato un accordo sull’ampiezza della
superficie inondabile e sull’entità delle strutture di sbarramento.
In base al piano originario si intendeva sbarrare il corso del fiume
attraverso un semplice muraglione rettilineo della lunghezza di solo
200 m circa e dell’altezza massima, dal livello del terreno, di12 m abbondanti; il profilo del muro doveva essere fortemente rastremato,
poiché si prevedeva uno spessore basamentale superiore ai 10 m, ridotto a poco meno di 6 m sulla sommità. Inoltre, su suggerimento
degli appaltatori che giudicavano la sua mole inadeguata a sostenere la
pressione delle acque, si decise di addossare a valle della struttura di
sbarramento rettilinea sei colossali contrafforti e un enorme rinforzo
centrale dotato di una base di oltre 6 x 5 m, tutti elementi dei quali
oggi non riusciamo a scorgere traccia.
Con questi primi aggiustamenti progettuali ebbero inizio i lavori, che proseguirono per alcuni anni, durante i quali tra grandissime difficoltà ambientali vennero profusi enormi sforzi e considerevoli risorse economiche. Le opere subirono una pluriennale battuta d’arresto dopo il 1473, in seguito alla morte dell’appaltatore
dei lavori Adamo di Domenico e a complesse vicende amministrative conclusesi con l’affidamento dell’incarico ad altri imprenditori
edili, questa volta senesi, oltretutto in un contesto politico instabile caratterizzato dagli episodi bellici che interessarono tutta la re-
79
Ricostruzione
tridimensionale
dei ruderi
(G. Bartolini)
80
Guida alla Maremma medievale
gione. Alcuni resoconti del 1481 denunciano i danni prodotti durante gli anni di stasi del cantiere dall’erosione delle acque e lasciano presumere che, proprio per supplire agli inconvenienti verificatisi, si attuasse quel ridimensionamento del progetto tradottosi
nell’abbandono dei lavori sulla muraglia rettilinea a vantaggio
della realizzazione di una diga semicircolare, di assai minore altezza, che si innestava a monte nel muraglione principale. Questa
seconda soluzione ingegneristica, molto valida e fortemente innovativa, è stata ricondotta a un intervento progettuale di Francesco
di Giorgio Martini, sebbene nei suoi trattati non compaiano argini dalla concezione così avanzata e nonostante che i documenti
d’archivio attestino un interessamento dell’architetto sostanzialmente marginale e limitato alle fasi conclusive dell’opera.
Il compimento e il crollo della diga (dicembre 1492)
Negli ultimi giorni del 1492 la diga rovinò, squarciandosi al centro, nonostante fosse entrata in funzione solo da poco tempo e non
avesse ancora completamente assolto la sua funzione di sbarramento
delle acque. Alcuni cronisti attribuirono la causa del crollo a una
piena di straordinaria portata che avrebbe travolto lo sbarramento,
trasportandone frammenti anche a grande distanza e determinando
la morte di “huomini e bestiame” che si trovavano sulla sua strada;
un testimone contemporaneo, il diarista senese Allegretto Allegretti,
attribuì invece il collasso dell’opera alla sua imperfetta realizzazione,
dovuta alla mala fede dei responsabili del cantiere, che non avrebbero portato a termine il “muro” a regola d’arte, “bensì acciabattolo
per guadagnare più assai”. Tuttavia, sulla base dell’osservazione delle
strutture superstiti, della conformazione geologica dei luoghi e di alcuni riferimenti documentari, sembra più probabile che il cedimento sia stato causato dallo scorrimento sotterraneo delle acque
che minò la resistenza dello sbarramento scalzandone le inadeguate
fondamenta. Il governo senese negli anni successivi considerò a più
riprese la possibilità di ripristinare la diga e anche Baldassarre Peruzzi venne interessato alla progettazione di un nuovo argine: ancor
oggi, infatti, si conservano sei splendidi disegni dell’architetto rinascimentale che illustrano altrettanti progetti di ripristino, nessuno
dei quali, però, venne attuato.
Una volta abbandonata ogni speranza di ricostruzione, i resti della
diga furono utilizzati come una ‘steccaia’ che, innalzando artificialmente il letto del fiume di circa 3 m, favoriva l’adduzione dell’acqua
per alimentare un impianto idraulico posto più a valle sulla riva destra; perciò, tra i monumentali ruderi dello sbarramento venne tagliato un “gorello”, destinato a condurre in quota le acque fluviali sino
al sottostante “Mulino del Muro”. Il sito dell’antico sbarramento,
inoltre, si configurò per il bestiame come uno dei migliori attraversamenti del fiume e, come tale, i responsabili della Dogana dei Paschi
definirono alle due estremità dell’antica diga ampie recinzioni ove i
pastori potevano ricoverare temporaneamente le greggi transumanti,
in attesa del momento propizio per condurle a guado sulla sponda
opposta del fiume.
La diga rinascimentale sul fiume Bruna
81
N
elle memorie del
granduca Leopoldo II di Lorena (18241859) si legge: “È un
fatto che il vasto lago che
fu ad arte ristagnato
nella valle della Brona
ruppe sue difese, ed invase il piano di Grosseto.
Del muro gigantesco che
a traverso la valle del
Bruna fu costruito a rincollare a grande altezza
le acque, sono gli avanzi
tuttora presso Pietra, e
sono memorie della grande devastazione prodotta della discesa repentina
di tanta raccolta d’acque che mandò davanti a sé e case e terreni, ed è
probabile chiudesse colle materia la via ad Ombrone e desse potente impulso a quel fiume a mutare suo corso. Colmò allora verso mezzodì e,
chiusa poi al seno di mar di Castiglioni la vasta foce, questo si cambiò in
padule”. Le parole del granduca, pur nell’ingenuità dell’interpretazione
delle cause del dissesto idraulico che caratterizzava la Maremma in età
moderna e la cui soluzione costituiva una delle principali preoccupazioni
del governo lorenese, se da un lato rilevano un atteggiamento non rassegnato verso un fenomeno che viene inteso come provocato artificialmente
da un evento fortuito e come tale reversibile per opera dell’uomo, dall’altro sono anche il frutto della suggestione provocata in Leopoldo II dagli
imponenti ruderi della diga rinascimentale.
L
asciata la strada provinciale, dopo pochi minuti di cammino si
manifestano le prime avvisaglie della grande diga rinascimentale: enormi blocchi di muratura tenuti insieme da ottima calce, divelti in antico dalla furia delle acque giacciono oggi conficcati profondamente nel terreno presso il greto del fiume. Più oltre, immersi
nella ricca vegetazione ripuaria, si ergono altissimi i resti del duplice
sbarramento fluviale
travolti dalla Bruna che
rendono tangibile la
straordinaria imponenza di questa opera ingegneristica rinascimentale. Al momento, non
è dato identificare
quanto l’attuale piano
di campagna sia più
elevato rispetto a quello
quattrocentesco in conseguenza dell’apporto
deposizionale dei detriti
Sopra e sotto:
disegni progettuali
di Baldassarre
Peruzzi (da
Rilievi e
fabbriche 1982)
ALLA RADICE
DELLA PALUDE
LA VISITA
82
Disegni
progettuali di
Baldassarre
Peruzzi (da
Rilievi e
fabbriche 1982)
Guida alla Maremma medievale
e, quindi, non è possibile
determinare in quale misura l’altezza attuale dei
diversi tratti di diga possa
essere inferiore rispetto a
quella originaria. La duplice barriera è costituita
da un più elevato muraglione ad andamento
rettilineo, cui si collega
una ulteriore struttura
muraria curva con la convessità rivolta a monte, in
grado di scaricare verso le
estremità la pressione esercitata dalle acque sul tratto centrale, conferendo all’intero sbarramento una maggiore resistenza.
Proseguendo la nostra marcia lungo il greto fluviale, incontriamo per primi i resti del muraglione rettilineo che su questo lato
del fiume si conservano per una lunghezza di circa 40 m, dimensioni considerevoli ma modeste rispetto alla misura complessiva di
quest’argine che superava i 280 m. Nei tratti conservati il muro
presenta uno spessore basamentale di oltre 10 m che si assottiglia
progressivamente verso la sommità; sulla cresta si riconosce ancora
il piano stradale percorribile dai carri, poiché nei tratti superstiti i
fenomeni erosivi non hanno inciso in modo significativo sul manufatto che ha mantenuto l’altezza originaria.
Nel punto più alto, l’antica diga si eleva dal piano di campagna attuale per oltre 12 m e si presenta come costituita da un muro a sacco
con paramenti in pietra e una potente anima in calce che ingloba anche ciottoli di fiume; l’uso di mattoni sembra piuttosto ridotto, nonostante che l’area fosse ricca di argilla, acqua e combustibile, elementi in grado di assicurare una consistente produzione laterizia.
A monte del muraglione principale si dipana una seconda possente diga ad arco di cerchio, la cui altezza supera i 6 m sul piano
di campagna; la sua quota più ridotta è indice di quanto in una seconda fase venne ridimensionato il progetto
originario, con la conseguente riduzione della superficie valliva che si intendeva allagare. La diga
curvilinea era caratterizzata da uno spessore inferiore (circa 8 m), ma venne realizzata utilizzando
una tecnica costruttiva
migliore (era dotata, tra
l’altro, di numerosi robusti contrafforti) e questa
La diga rinascimentale sul fiume Bruna
struttura risulta effettivamente meglio conservata,
tanto che sono facilmente
riconoscibili le chiuse e le
tracce delle paratie destinate alla pesca e alla regolamentazione dell’afflusso
idrico.
Attualmente l’attraversamento del fiume è possibile solo a guado in
condizioni di particolare
siccità, ma è stato elaborato un progetto di valorizzazione teso al ricongiungimento degli spezzoni superstiti del
muraglione rettilineo, ricollegando le due sponde del Bruna in
quota mediante un ponte pedonale in strutture leggere, che consentirebbe di leggere più agevolmente i manufatti rinascimentali e
di apprezzare a pieno il valore paesaggistico della valle.
Al presente, comunque, per visitare la porzione meglio conservata
della struttura rinascimentale, vale a dire quella ubicata sulla sponda sinistra del Bruna, è necessario tornare sui nostri passi sino alla strada
provinciale e imboccarla dirigendosi verso sinistra. Superato il moderno ponte sul fiume e percorse in direzione Ribolla poche centinaia
di metri di strada asfaltata in lieve salita imbocchiamo sulla sinistra una
strada bianca e ci dirigiamo alla volta di un gruppo di case coloniche
(Casa Muccaia) forse costruite in corrispondenza dei quartieri utilizzati
dai maestri costruttori della diga.
Oltrepassati questi edifici rurali il viottolo si immette direttamente
sull’antica strada carreggiabile allestita dai costruttori sullo sbarramento diritto, che ancora ne percorre la sommità per parecchie decine
di metri. Da questo lato del Bruna, infatti, l’argine rettilineo è conservato per un tratto che misura poco meno di 100 m e si inoltra verso il
fiume giungendo a superare l’altezza degli alberi vicini, sino a sovrastarne ampiamente le chiome. Volgendo lo sguardo verso est, possiamo in qualche misura
renderci conto di quanto
ampio fosse il tratto di vallata che si intendeva allagare realizzando lo sbarramento rettilineo, poiché lo
specchio d’acqua artificiale
avrebbe dovuto estendersi
a monte della diga per
tutta la pianura posta a
una quota inferiore al nostro punto di vista. Pochi
metri prima della voragine
che interrompe lo sbarra-
83
Disegni
progettuali di
Baldassarre
Peruzzi (da
Rilievi e
fabbriche 1982)
84
Progetto di
passerella
pedonale nel
fiume Bruna
(G. Bartolini)
I terreni a valle
della diga in un
cabreo del
XVIII secolo (da
Montemassi e
Roccatederighi,
1983)
Guida alla Maremma medievale
mento (oltre la quale si
scorge, immerso nella
vegetazione, un altro
spezzone di muro risparmiato dai crolli) si diparte il tratto settentrionale del più modesto
sbarramento curvilineo
realizzato a monte. Dopo averlo individuato
dall’alto possiamo visitarne da vicino le strutture tornando sui nostri
passi e discendendo il
declivio verso il torrente.
Passiamo in prossimità della parete esterna, seminascosta dalla
vegetazione, sino a
incontrare un varco nell’argine costituito da una grande apertura coperta da una volta in muratura. Sebbene non sia del tutto chiara la
funzione di questo passaggio posto nel fianco settentrionale della
diga, possiamo presumere che facesse parte di un sistema di chiuse
realizzate allo scopo di
regolamentare il deflusso delle acque dal
lago artificiale (esistono
infatti tracce di una
analoga apertura anche
sul fianco meridionale).
Entrati nello spazio
racchiuso tra i due
sbarramenti in muratura osserviamo l’ordinata serie di potenti
contrafforti che sostenevano internamente la
diga curvilinea e, prima
di riprendere la via del
ritorno, possiamo soffermarci ad apprezzare
la peculiare fisionomia
paesaggistica del luogo,
legata anche alle particolari condizioni vegetazionali connesse alla
presenza delle imponenti strutture antiche.
Fly UP