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Il ritorno
delle grandi dighe
Dal Vajont alla speculazione finanziaria
Come e perché le grandi dighe
non vanno mai in pensione
Sommario
Il ritorno delle
grandi dighe
scritto da
Caterina Amicucci
1. LE GRANDI DIGHE DOVREBBERO
APPARTENERE ALLA STORIA...
1.1 Le dighe, un mito del Novecento.
1.2 Contro le dighe uno dei primi movimenti globali
BOX DIGHE NARMADA
BOX RACCOMANDAZIONI COMMISSIONE MONDIALI DIGHE
1.3 Facciamo due conti
grafica
Carlo Dojmi di Delupis
prodotto da
Re:Common
via Satrico 3, Roma
www.recommon.org
Novembre 2013
Si ringrazia
Zachary Hurwitz per il
paragrafo sull’HSAP e
tutto International Rivers
per il continuo lavoro di
informazione a servizio dei
movimenti internazionali
contro le grandi dighe
2. INVECE SONO UNA NUOVA TENDENZA
GLOBALE
2.1 Il mercato dell’aria sporca
2.2 La lobby dell’idroelettrico
2.3 Il decennio del dragone
BOX DIGA DELLE TRE GOLE
2.4 La più grande banca è carioca.
BOX BELO MONTE
2.5 A volte ritornano: la nuova strategia energetica della
Banca Mondiale
2.6 La finanziarizzazione dell’economia
BOX HEDGE FUND/PRIVATE EQUITY
3. QUATTRO STORIE DI FIUMI E NON SOLO
3.1. Bujagali e il greenwashing delle istituzioni finanziarie
3.2. Il retaggio coloniale italiano in Etiopia: da Gilgel Gibe
a Millennium
3.3. Le avventure idroelettriche della BEI a Panama
3.4 La politica estera di Enel
Il ritorno delle grandi dighe
1
1. Le grandi dighe dovrebbero
appartenere alla storia...
1.1 Le dighe, un mito del
Novecento
9 ottobre 1963. Ore 22.39.
Duecentosettanta metri
cubi di roccia si staccano dal
Monte Toc, scivolando a più
di cento chilometri orari nel
bacino della diga del Vajont,
ancora in fase di collaudo.
La frana genera un’onda alta 100 metri che
distrugge i centri abitati sulle sponde del
bacino e si riversa nella Valle del Piave, cancellando il paese di Longarone e altri paesi
limitrofi. Il bilancio delle vittime accertate è
di 1917 persone.
Il caso del Vajont è ritenuto, a livello internazionale, una catastrofe umana. È ormai
noto e accertato anche in sede giudiziaria,
nonostante le prescrizioni e le pene irrisorie
dei responsabili, che il fenomeno franoso
era noto e fu volontariamente occultato per
ottenere le autorizzazioni necessarie a far
entrare la diga in funzione.
Non fu sufficiente a destare serie preoccupazioni nemmeno il crollo della diga del
Frejus, nella vicina Francia, che provocò 421
morti. Una tragedia avvenuta proprio nel
1959, anno di inizio del collaudo dell’impianto italiano.
Il Vajont è sicuramente il più noto, ma
non l’unico incidente italiano. Nel 1923 il
2
Il ritorno delle grandi dighe
La diga del Vajont subito dopo il
disastro, 1963, foto Wikipedia
crollo della diga del Gleno, nel bergamasco,
provocò la morte di 500 persone. Nel 1935
il cedimento della diga Molare causò la devastazione delle valli dell’Orba e dello Stura,
uccidendo 111 persone.
Questi solo alcuni dei circa trecento gli
incidenti dovuti a errori nella progettazione
e nella gestione degli impianti che hanno
riguardato le grandi dighe nel secolo scorso.
Le dighe, come la altre grandi infrastrutture,
hanno sempre rappresentato un simbolo del
progresso, della dominazione dell’uomo sulla natura, dell’espressione della tecnica e del
principio fondamentale della chimica: tutto
si trasforma. Trasformare la forza dell’acqua
in elettricità è stato un mito che ha segnato
l’intero Ventesimo Secolo e che purtroppo
non si è ancora sopito.
grandi impianti idroelettrici siano state tra i
40 e gli 80 milioni. Milioni di persone, inoltre, sono state danneggiate dalla costruzione
delle infrastrutture associate e dai cambiamenti ambientali. Oggi l’ecosistema del 60
per cento dei fiumi di tutto il mondo è stato
compromesso in maniera irreversibile.
Inizialmente ci furono le dighe nel Nord del
mondo, poi si cominciò a esportare questa
tecnologia nel Sud globale sotto l’egida dello
sviluppo. L’apice del “delirio da sbarramento” fu raggiunto tra il 1970
e 1980. In 10 anni, furono
Alla fine degli anni
costruite circa 5000 dighe in Novanta, si è stimato
tutto il mondo.
Secondo un recente studio3,
i 50mila bacini esistenti a
livello globale hanno ridotche le persone sfollate to di circa il 30 per cento la
nostra percezione dell’innalper fare spazio ai
zamento del livello dei mari. I
Patrick Mc Cully, ex diretgrandi impianti
fondamentalisti dell’industria
tore dell’organizzazione
International Rivers, nel
idroelettrici siano state idroelettrica arrivano persino
libro “Silenced rivers” (Fiutra i 40 e gli 80 milioni a considerare questo aspetto
come un contributo positivo
mi Imbavagliati)1 cita alcune
cronache locali che descrialla riduzione degli effetti
vono l’esaltazione quasi delirante del primo
causati dai cambiamenti climatici. In realtà
ministro indiano Jawaharlal Nehru duranl’interruzione del ciclo naturale dell’acqua
te l’inaugurazione del Canale Nganal nel
provoca profondi e irreversibili mutamenti
Punjab, tenutasi nel 1954, a testimonianza
ambientali. Gli sbarramenti trattengono i
di come le dighe siano potenti simboli sia
sedimenti dei fiumi, variando la composiziodell’orgoglio patriottico che della supremane chimica dell’acqua e alterando la catena
zia dell’uomo sulla natura.
riproduttiva della fauna ittica.
Con la crescita esponenziale degli impianti
idroelettrici, anche i loro effetti negativi
sono divenuti evidenti. Durante lo scorso secolo, l’impatto delle dighe è stato ampiamente sottovalutato, altri elementi critici legati
a questo tipo di tecnologia sono emersi con
l’evolvere delle problematiche ambientali.
Alla fine degli anni Novanta, si è stimato2
che le persone sfollate per fare spazio ai
1 “Silenced Rivers: The Ecology and Politics of Large
Dams”, Patrick McCully, Paperback, 2001
2 Fonte: World Commission on Dams
I grandi bacini sono in grado di cambiare
il microclima locale, mettendo in pericolo i ghiacciai nelle zone di montagna alle
alte latitudini e favorendo il diffondersi di
malattie quali la malaria e il dengue nelle zone tropicali. Inoltre, in queste zone i
grandi bacini danno vita a due importanti
fenomeni. Il primo è l’evaporazione prodotta
3 “If you look in just the past half century, the observed sea level rise is about 10 centimeters, and the negative effect of the reservoirs in total has been as much 3
centimeters, so in other words, the sea level could have
risen 13 centimeters,” Chao told LiveScience. http://
www.livescience.com/4852-dams-global-sea-level.html
Il ritorno delle grandi dighe
3
Diga delle Tre Gole in Cina, foto NASA
dalle temperature elevate su masse d’acqua
ferma. Si calcola che circa il 7 per cento
delle riserve mondiali di acqua vengano
“bruciate” in questo modo dall’insieme dei
bacini esistenti. Il secondo è l’emissione di
gas serra4. Nonostante gli impianti idroelettrici siano considerati a emissioni zero,
recenti studi hanno dimostrato che questo
non è vero. I bacini rilasciano in atmosfera grandi quantità di metano e di anidride
carbonica e si calcola siano responsabili
per il 4 per cento dei cambiamenti climatici
derivati dalle attività umane. L’alterazione
del flusso naturale del fiume e i quantitativi
4 Per approfondire l’argomento si consiglia la lettura
del fact sheet di International rivers “Dirty Hydro:
Dams and Greenhouse Emissions”, http://www.internationalrivers.org/files/attached-files/dirtyhydro_factsheet_lorez.pdf
4
Il ritorno delle grandi dighe
minimi vitali estremamente bassi che gli
impianti rilasciano a valle degli sbarramenti,
poi, alterano e riducono drasticamente la
biodiversità. Questi sono solo alcuni degli sconvolgimenti ambientali causati dai
grandi impianti idroelettrici. A questi vanno
aggiunti i profondi cambiamenti sociali provocati dai grandi bacini.
L’evacuazione forzata di intere comunità per
far posto ai bacini può provocare la distruzione di floride economie locali in alcuni
casi ed in altri la perdita dell’autonomia delle stesse nel garantirsi la sicurezza alimentare. Esistono ancora oggi popolazioni che
vivono di un’agricoltura basata sulle piene
naturali dei fiumi, proprio come gli antichi
egizi. A queste comunità viene ogni giorno
di più negato il diritto all’esistenza. Molto
spesso la costruzione dei bacini è associata
allo sviluppo dell’agroindustria. Governi e
multinazionali pretendono di stravolgere la
vita delle comunità inserendole forzatamente in un sistema di lavoro salariato e schiavizzante. Mettere a repentaglio la sicurezza
alimentare, ridurre la possibilità di generare
reddito delle comunità locali, saccheggiare
le risorse riducendo la possibilità di accedervi, creando o acuendo conflitti, porta a una
progressiva marginalizzazione e migrazione
verso le grandi megalopoli, per poi vivere ai
margini della società.
Questi irreversibili cambiamenti ambientali
e sociali accompagnano progetti che arrecano un beneficio transitorio alla collettività.
La narrativa impegnata a dipingere l’idroelettrico come una fonte verde e pulita spesso
occulta un’informazione fondamentale. Le
dighe hanno un tempo di vita oltre il quale
smettono di funzionare. I sedimenti trasportati dai fiumi si depositano gradualmente
all’interno dei bacini, riducendo progressivamente il loro volume e quindi la potenza necessaria a far girare le turbine, fino al punto
in cui l’impianto interrompe la produzione.
Secondo il MIT5 la vita media di una diga è
oggi di 50 anni, con la promessa del settore
idroelettrico di estenderla a 90 anni antro
il 2020. Una proiezione teorica che potrà
essere verificata solo a posteriori.
Se i benefici delle dighe sono transitori,
irreversibili sono invece gli impatti sociali e
ambientali, mentre incalcolabili sono i costi
di bonifica di migliaia di dinosauri di cemento che tra poche decine di anni bloccheranno inutilmente il flusso di quasi tutti i fiumi
del mondo.
La produzione di energia idroelettrica viene
ancora oggi sponsorizzata per il suo basso
costo. Ciò è vero se si considera esclusivamente il segmento relativo alla costruzione e
alla gestione degli impianti. Nessun progetto
idroelettrico, però, include nei costi le giuste
compensazioni ambientali e sociali generando conflitti in tutto il mondo. Ma, soprattutto, non include le esternalità ambientali,
tra cui la spesa per la bonifica finale, che è
completamente scaricata sulla collettività
(cfr 1.3).
Se tutti questi costi fossero inclusi nella
valutazione di fattibilità economica, i grandi
progetti idroelettrici non sarebbero economicamente sostenibili. Per riepilogare, la
sostenibilità economica delle grandi dighe è
quindi fondata sull’imputare alla collettività
i costi ambientali e sociali.
Oggi possediamo la tecnologia necessaria
per creare impianti che oltre a ridurre gli
impatti ambientali e sociali possono in
futuro essere smantellati con facilità, senza
arrecare cambiamenti irreversibili agli ecosistemi e alle comunità.
Per questo le grandi dighe dovrebbero appartenere alla storia invece di essere, come
vedremo, un nuovo preoccupante trend
globale.
5 Massachusetts Institute of Technology
Il ritorno delle grandi dighe
5
1.2 Contro le dighe uno dei
primi movimenti globali
A partire dalla metà degli anni Ottanta,
un movimento formato da ambientalisti e
da attivisti per i diritti umani e sociali ha
cominciato a collegarsi e strutturarsi su
scala globale, contestando il paradigma delle
grandi dighe e mobilitandosi in solidarietà
con le comunità direttamente colpite dai
progetti idroelettrici nei diversi continenti.
Il movimento anti-dighe ha coniugato da
subito la critica alle proposte per un uso
maggiormente sostenibile, equo ed efficiente
della tecnologia, riuscendo a trasformare la
visione dell’opinione pubblica nei confronti
dei megasbarramenti: da icone di progresso
a simbolo di distruzione.
Nel 1992 il presidente dell’ICOLD6, Wolfgang Pircher, avverte la British Dam Society
che “l’industria delle dighe sta affrontando un
serio e generale contro-movimento che ha già
avuto successo nel ridurre il prestigio dell’ingegneria idroelettrica e questo rappresenta un
problema per la nostra professione”.
Preoccupazione del movimento contro le
grandi dighe, oltre all’impatto ambientale
e sociale degli impianti, è stata, ed è ancora
oggi, il finanziamento pubblico di cui l’industria idroelettrica ha goduto nell’ultimo
mezzo secolo. La Banca Mondiale, la Banca
Europea per gli Investimenti, la Banca Afri6 The International Commission on Large Dams, or
ICOLD, è una organizzazione non governativa internazionale finalizzata a scambiare informazioni relative
allla costruzione e la gestione di dighe e altri impianti
idroelettrici.
6
Il ritorno delle grandi dighe
cana di Sviluppo e altre banche multilaterali
hanno finanziato con munificenza le grandi
dighe, le quali però non hanno portato lo
sviluppo promesso. Al contrario hanno aumentato l’insicurezza alimentare, l’instabilità politica e il degrado ambientale.
Inoltre le grandi dighe hanno contribuito ad
alimentare la corruzione delle élite politiche locali. Numerosi, infatti, sono i progetti idroelettrici che nel tempo sono stati
investiti da scandali di corruzione. Uno su
tutti: la diga di Yacyretà, sul fiume Panama
in Argentina, solo recentemente completata,
e in costruzione dal 1979. Durante la sua
campagna elettorale, Carlos Menem definì
Yacyretà “un monumento alla corruzione”.
Nonostante le ben documentate accuse a
carico di ingegneri, politici e società coinvolte, a oggi nessuno è stato condannato e
ha pagato per l’enorme danno arrecato alle
finanze pubbliche. Un caso simile a molti
altri, e non solo in America Latina.
La svolta sembra arrivare negli anni Novanta. Nel 1993, la Banca Mondiale si ritira
dal faraonico progetto Sardar Sarovar, sul
bacino del fiume Narmada in India, grazie
ad un fortissimo movimento internazionale
di solidarietà con le comunità adivasi colpite
(vedi box1).
Sull’onda dello storico risultato indiano e di
fronte alla crescente opposizione internazionale, la Banca Mondiale e l’IUCN avviano
la Commissione Mondiale sulle Dighe, con
il mandato di valutare l’efficacia dei grandi
impianti idroelettrici nel promuovere lo sviluppo e di individuare linee guida condivise
per la loro pianificazione, costruzione e ge-
BOX 1
Narmada Bachao Andolan
Il movimento di protesta contro le dighe nella valle del Narmada in India
“Affogheremo, ma non ci
muoveremo!”. Questo è lo
slogan del Narmada Bachao
Andolan, il movimento indiano che dalla metà degli anni
Ottanta si oppone al Narmada
Valley Development Project.
Un’opera mastodontica, composta da trenta grandi dighe e
135 impianti di medie dimensioni sul fiume Narmada, che
scorre per 1.300 chilometri
nell’India centrale, attraversando gli stati del Madhya
Pradesh (MP), Maharashtra
e Gujarat. Nella valle del
Narmada vivono 25 milioni di
persone. La lotta delle comunità inizia nel 1985-86 contro
la diga Sardar Sarovar, la più
grande delle trenta previste,
che oggi produce 1450 megawatt e sulla quale c’è stata
una lunga disputa sull’altezza
finale dello sbarramento.
Tema su cui la Corte Suprema
è stata costretta a esprimersi
più volte. Oltre alla Sardar Sarovar, tra le altre, sono state
costruite le dighe Maheshwar,
Maan, Indira Sagar, Bargi,
Goi, Jobat Dam, Omkareshwar. Le comunità continuano a resistere ancora oggi
praticando il jal satyagraha, la
forma di protesta gandhiana
che consiste nello stare im-
Foto: Karen Robinson - International Rivers, Flickr (CC BY-NC-SA 2.0)
mersi per giorni nell’acqua del
fiume. La lotta non violenta
e determinata delle comunità
indiane nel 1991 costrinse
la Banca Mondiale, principale promotrice del Narmada
Valley Development Project,
a istituire una commissione indipendente, la Morse
Commission. Dopo due anni di
lavoro e di indagini, nel 1993
la Banca si vide costretta ad
abbandonare il progetto.
Nell’estate del 2013, delle
forti piogge provocarono
l’evacuazione di 7000 persone,
che hanno finito per perdere le case e i terreni a causa
dell’innalzamento delle acque
del fiume Narmada legato
alla gestione delle due dighe
di Omkareshwar e Indira
Sagar, operate dalla Narmada
Hydroelectric Development
Corporation (NHDC). Immersi nel fiume da 17 giorni e in
condizioni fisiche sempre più
precarie, gli esponenti delle
comunità locali e gli attivisti
della storica organizzazione
hanno atteso che il governo dello Stato del Madhya
Pradesh riconoscesse le loro
ragioni, visto che quanto fatto
dalla NHDC era palesemente
illegale.
Il ritorno delle grandi dighe
7
Le raccomandazioni della
Commissione Mondiale sulle dighe
stione. La commissione è stato uno fra i più
riusciti processi cosiddetti « multistakeholder », ovvero che ha riunito intorno allo
stesso tavolo costruttori, rappresentanti di
comunità locali e della società civile, istituzioni finanziarie e organizzazioni internazionali. Le raccomandazioni della Commissione, rese pubbliche nel 2000, rappresentano
un innovativo quadro normativo finalizzato
a proteggere l’ambiente, i diritti delle comunità colpite e ad assicurare che i benefici dei
progetti siano egualmente distribuiti.
Purtroppo però le raccomandazioni della
Commissione continuano a rimanere lettera
morta e da più di dieci anni la società civile
ne chiede la piena applicazione. Nonostante
le principali istituzioni finanziarie internazionali le abbiano formalmente recepite,
nella pratica esse continuano a essere disattese. Sono diverse le cause di questa mancata volontà di transizione a modelli maggiormente sostenibili. Innanzitutto la forte
lobby dell’industria idroelettrica, la quale
non vuole rinunciare ai profitti sicuri che il
modello centralizzato di produzione e distribuzione dell’energia continua a garantire.
Una lobby che trova alleanza in quei governi
‘oleati’ dalla corruzione tradizionalmente
associata alle mega infrastrutture o che in
tempo di crisi fanno credere ai cittadini di
rilanciare la crescita attraverso grandi opere
inutili e devastanti per l’ambiente e per le
comunità locali. Il tutto spesso e volentieri
avvalendosi dell’ausilio di fondi pubblici
e ‘grazie’ all’incapacità e alla mancanza di
volontà di investire nella riconversione energetica che la tecnologia oggi rende possibile
a un costo ogni giorno più competitivo.
8
Il ritorno delle grandi dighe
La Commissione Mondiale sulle dighe (WCD)
fu costituita nel 1997 su iniziativa della Banca
Mondiale e dell’Unione Internazionale per
la Conservazione della Natura (IUCN) per rispondere alle crescenti proteste locali e internazionali contro le grandi dighe. Il mandato
della commissione era quello di analizzare il
reale contributo allo sviluppo portato dalle
grandi dighe ed elaborare criteri, linee guida
e standard per la progettazione e la gestione
sostenibile dei grandi impianti idroelettrici.
La Commissione ha prodotto un rapporto dal
titolo ”Dighe e Sviluppo”, reso pubblico a
Londra nel 2000 alla presenza di Nelson Mandela e nel quale vengono sollevati numerosi
dubbi sull’effettivo contributo delle dighe al
miglioramento delle condizioni di vita della
popolazioni e sul fatto che i costi sociali e
ambientali vengano adeguatamente presi in
considerazione. La commissione ha proposto
una serie di raccomandazioni finalizzate a
creare un nuovo modello di pianificazione
degli impianti idroelettrici e dei bacini idrici in
generale in base a:
•
•
•
•
la valutazione dell’utilità dell’impianto attraverso un’attenta analisi delle necessità
di stoccare acqua o produrre elettricità;
la valutazione adeguata di tutte le possibili alternative;
il consenso libero, previo e informato
delle comunità colpite dal progetto;
la conservazione delle acque fluviali, dando quindi priorità all’ottimizzazione degli
impianti esistenti.
Il report integrale della commissione mondiale sulle dighe è disponibile sul sito di International Rivers http://www.internationalrivers.
org/resources/dams-and-development-a-newframework-for-decision-making-3939
Narmada, India Water Portal, flickr (CC BY-NC-SA 2.0)
1.3 Facciamo due conti
Uno degli argomenti agitati dai sostenitori
delle dighe è quello dell’economicità dell’energia idroelettrica. Si afferma che l’idroelettrico è di gran lunga ancora la fonte più
economica.
Se nel costo dei grandi progetti idroelettrici
fossero incluse giuste compensazioni sociali
e la corretta implementazione delle misure
ambientali di mitigazione, il prezzo salirebbe notevolmente. In realtà le esternalità
ambientali e sociali vengono costantemente
scaricate sulla collettività.
Inoltre è abbastanza difficile capire quanto
costa esattamente l’energia idroelettrica,
visto che i costi hanno enormi variazioni,
le cui cause non sono facilmente compren-
sibili. Di seguito presentiamo una tabella
dei costi di alcuni progetti monitorati dalla
coalizione Counter Balance e dalle sue organizzazioni membre in epoca recente (vedi
tabella in basso).
Quest’ampia forbice dei costi è confermata
da uno studio di IRENA (Agenzia Internazionale per l’energia rinnovabile)7, secondo
il quale l’installazione dei grandi impianti
idroelettrici varia tra i 1.050 e i 7.650 dollari
per kilowatt, generando un costo dell’elettricità medio livellato che oscilla intorno
agli 0,02 dollari per kilowatt/ora. Ma questo
costo non solo, come detto, non include le
giuste compensazioni e le dovute mitigazioni
ambientali, ma soprattutto non tiene conto
7 RENEWABLE ENERGY TECHNOLOGIES: COST
ANALYSIS SERIES, Volume 1: Power Sector, Issue 3/5,
Hydropower, June 2012
Costi di alcuni progetti monitorati dalla coalizione Counter Balance
Progetto
Paese
Potenza
Costo in Euro
Costo per KW
Gilgel Gibe III
Etiopia
1470 MW
1,55 miliardi
1054
Bujagali
Uganda
250 MW
750 milioni
3000
Dos Mares
Panama
117 MW
316 milioni
2700
Lom Pangar
Cameroon
30 MW
306 milioni
10200
Hydroaysèn
Chile
2750 MW
2,62 miliardi
952
Il ritorno delle grandi dighe
9
un costo di installazione di 2mila dollari a
kilowatt/ora negli Stati Uniti e di 4mila in
Europa, generando un costo livellato di 0,71,4 dollari a kilowatt/ora e con una previsioGli Stati Uniti sono l’unico paese ad avere
ne di un’ulteriore flessione del 10 per cento
una casistica rilevante di dighe smantellate.
entro il 20158. Anche il solare concentrato è
Su un totale di circa 79mila dighe, sono 450
quelle rimosse, a un costo variabile tra il 5 e
in grado di produrre elettricità a 0,14 dollari
il 50 per cento dell’esborso necessario per la
a kilowatt/ora, con una flessione prevista del
20-40 per cento entro il 20209.
costruzione. Si tratta soprattutto di piccole dighe, con
La spesa per il fotovoltaico
Le grandi dighe
un’altezza tra i 5 e i 18 metri
resta ancora alta, ma sono
sono considerate
previste variazioni significative
e con una capacità installaimpianti di energia
ta compresa tra gli 0,4 e 10
nei prossimi anni, con il rapido
rinnovabile
megawatt. Per quanto riguarda
deprezzamento del costo dei
nonostante i
i grandi impianti, le cifre sono
moduli.
completamente diverse.
devastanti impatti
Eolico e solare in pochi anni
ambientali e sociali
Significativo il caso delle dighe
avranno prezzi simili all’iche comportano
Elwha (33metri) e Glines
droelettrico, conservando il
Canyon (65 metri), costruite
vantaggio di essere impianti
fra il 1910 e il 1926 prima dell’istituzione
con un costo di reversibilità estremamendell’Olympic National Park nello stato amete esiguo, (ovvero per smontare delle pale
eoliche o dei pannelli fotovoltaici si spende
ricano di Washinghton. Lo US National Park
Service ha stanziato 308 milioni di dollari
molto poco). Per costruire una grande diga
per ricomprare e smantellare le dighe. Una
ci vogliono anni. I progetti che si avviano
cifra pari al 181 per cento del costo di cooggi potrebbero essere antiecomici prima di
struzione di un impianto equivalente, calcoessere completati.
lato al netto della spesa per la riacquisizione.
Un costo enorme per lo Stato, che non può
Ma allora perché le dighe attualmente in conemmeno contare sugli utili pregressi della
struzione nel mondo sono circa 2000 e altre
vendita dell’energia, visto che a partire dagli
migliaia sono in attesa di ottenere i permessi
anni novanta il mercato dell’energia elettrica
ambientali per essere realizzate?
è stato privatizzato in molti paesi.
della spesa per lo smantellamento alla fine
del ciclo vitale dell’impianto.
Il costo reale dell’idroelettrico di grande
scala per la collettività è quindi da considerarsi di due-tre volte superiore a quello che
studi, ricerche e costruttori si affannano a
propagandare. Non appare così competitivo,
se si considera che l’eolico attualmente ha
10
Il ritorno delle grandi dighe
8 Ibidem
9 RENEWABLE ENERGY TECHNOLOGIES: COST
ANALYSIS SERIES, Volume 1: Power Sector Issue 2/5,
Concentrating Solar Power, June 2012
2. ...invece che costituire una
nuova tendenza globale
2.1 Il mercato dell’aria sporca
Tre anni prima delle raccomandazioni
della Commissione Mondiale sulle Dighe, i
rappresentanti di 160 paesi si sono riuniti a
Kyoto, in Giappone, per concordare soluzioni concrete per la lotta ai cambiamenti
climatici. Trentasette paesi a industrializzazione avanzata, ovvero storicamente responsabili dell’inquinamento atmosferico, hanno
firmato un accordo per ridurre del 5,2% le
loro emissione rispetto a quelle del 1990. Per
non colpire gli interessi del settore privato e
continuare a garantirne i profitti, le soluzioni sono state ricercate attraverso dei meccanismi definiti “flessibili”. Essi si basano su
un concetto chiave, ovvero che le emissioni
vanno ridotte globalmente e quindi:
• meglio farlo dove è più economicamente
vantaggioso, ovvero nei paesi in via di
sviluppo;
• chi emette meno può capitalizzare le
emissioni risparmiate e rivenderle a chi
emette di più, che può acquistare questi
veri e propri buoni di emissioni (credito
di carbonio).
Nasce così il mercato dei crediti di carbonio. La CO2 diviene un vero e proprio asset
finanziario che si può comprare e vendere
in borsa alla stregua delle materie prime.
Ma il mercato dell’aria sporca serve solo ad
arricchire gli speculatori. Ai grandi inquinatori, infatti, è stato distribuito un numero
di permessi per inquinare troppo elevato,
disincentivando qualsiasi cambiamento e
neutralizzando la richiesta di permessi, fa-
Impianto di lignite in Romania, foto Bankwatch, Flickr
cendone allo stesso tempo crollare il prezzo.
Sul mercato Europeo un permesso (pari a
una tonnellata di CO2) è passato dai 30 euro
del 2006 agli attuali 4,5 euro10.rendendo di
fatto irrilevante lo scopo primario del meccanismo.
Tra gli strumenti flessibili si annovera il
cosiddetto Meccanismo di Sviluppo Pulito,
che consente ad un impresa privata o a un
soggetto pubblico di un paese impegnato
dal protocollo di Kyoto di realizzare un
progetto finalizzato a limitare le future
emissioni in un Paese in via di sviluppo, in
cambio di un certo quantitativo di “Certificati di Emissioni” (CER). Il quantitativo di
certificati generati è pari alle emissioni che
il progetto realizzato dovrebbe contribuire
ad evitare. Grazie a questi certificati l’impresa o lo Stato interessato può continuare
10 Prezzo EUA dicembre 2012
Il ritorno delle grandi dighe
11
ad emettere CO2, oppure guadagnare dalla
vendita dei certificati sul mercato dei crediti
di carbonio. E non solo. Sulla fluttuazione di
prezzo dei certificati di emissioni si possono
strutturare prodotti derivati e altri strumenti finanziari complessi dai quali è possibile
ricavare ulteriori guadagni.
(circa mille), mentre altri 700 sono in corso
di registrazione.
Siamo nella paradossale situazione in cui
le infrastrutture idroelettriche non vengono più costruite per produrre energia e
soddisfare i bisogni dei cittadini, bensì per
i guadagni finanziari ad esse associati. È
evidente che maggiore è la dimensione e la
Le imprese possono quindi investire in
magnitudine del progetto, maggiori saranno
progetti di energia rinnovabile nei paesi del
i guadagni finanziari associati.
sud del mondo ottenendo un
Le grandi dighe sono Secondo Carbon Market Watch,
triplo guadagno e senza la
le grandi dighe rappresenterannecessità di dover ridurre le
considerate impianti
proprie emissioni. Per fare
di energia rinnovabile, no il 20 per cento dei crediti di
carbonio erogati, a fronte di un
un esempio, una multinaziononostante i
attuale 0,9 per cento di progetti
nale che produce energia in
devastanti
impatti
di energia solare.
Europa attraverso impianti a
carbone può tranquillamente ambientali e sociali
Il mercato del carbonio rapprecontinuare a farlo se costru- che comportano
senta solo uno degli aspetti del
irà delle dighe in Africa. Se
più generale processo di finanziarizzazione
costruirà tante dighe avrà molti certificati
della natura. In un’economia finanziarizdi emissioni che potrà rivendere sul mercato
zata, dove commerciare soldi o rischi è più
primario dei crediti di carbonio e strutturare
remunerativo che scambiarsi beni e servizi,
operazioni finanziarie complesse sul mercaè necessario creare nuove classi di asset.
to secondario.
All’aria sporca è già stato dato un valore
commerciale. Il futuro che ci aspetta, se non
Le grandi dighe sono considerate impianti di
riusciremo a cambiare rotta, sarà la finanenergia rinnovabile, nonostante i devastanti
ziarizzazione di tutte le risorse primarie, a
impatti ambientali e sociali che comportano.
cominciare dall’acqua e dagli ecosistemi.
L’unica condizione imposta dal comitato di
direzione dei CDM, che fa capo alle Nazioni
Unite, è il rapporto fra capacità del bacino
2.2 La lobby dell’idroelettrico
e la potenza installata, con un grado di tolleranza talmente elevato che anche la Diga
L’inesorabile ritorno delle dighe è accompadelle Tre Gole in Cina risulta eleggibile.
gnato dalla generale tendenza di indebolimento degli standard sociali e ambientali. I
Questo meccanismo perverso ha creato
costruttori di dighe percepiscono le norme
un’inarrestabile corsa alla costruzione di
vincolanti come una maggiorazione dei costi
nuove dighe. Quasi un terzo dei progetti
e negli ultimi anni hanno lanciato un’azioregistrati nel 2011 sono progetti idroelettrici
12
Il ritorno delle grandi dighe
ne per affermare un sistema di valutazione
volontario, al fine di evitare casi legali e
onerose compensazioni. Subito dopo la
pubblicazione del lavoro della Commissione
Mondiale sulle dighe, l’Associazione Idroelettrica Internazionale (IHA), che raduna i
principali gruppi di interesse legati all’industria idroelettrica, ha creato le sue proprie
direttive, dandogli il nome di “Linee Guida
di sostenibilità dell’IHA”.
Nel 2007 l’IHA ha organizzato un confronto
con diversi attori, chiamato Sustainability
Assessment Forum (HSAF), per discutere
come migliorare e implementare le linee
guida. La partecipazione è stata limitata a
un esiguo gruppo autoselezionato di industriali, istituzioni, agenzie, finanziatori e ad
alcune Ong.
La società civile dei paesi del sud e le comunità direttamente colpite dai progetti
idroelettrici sono state escluse dal processo,
che si è concluso nel 2011 con l’approvazione di nuove indicazioni per la sostenibilità
nell’industria idroelettrica, l’Hydropower
Sustainability Assessment Protocol (HSAP).
Questo protocollo adotta un approccio
completamente diverso da quello che aveva
ispirato il lavoro della Commissione Mondiale sulle dighe. Esso parte dal presupposto
che l’industria idroelettrica possa autoregolarsi senza danneggiare la crescita economica e adottando metodi tecnici o tecnologici
per risolvere questioni e conflitti ambientali
e sociali. L’HSAP è un sistema di valutazione non obbligatorio a punteggio, che serve
a misurare la performance dei costruttori
durante il processo di pianificazione, co-
Il Congresso mondiale dell’Associazione Idroelettrica
Internazionale. Foto IHA Central Office, Flickr, licenza
CC attribuzione.
struzione, implementazione e gestione degli
impianti. Il meccanismo non prevede alcuna
forma di penalizzazione per i promotori di
progetti che perseguono standard al ribasso,
così come non c’è garanzia sull’indipendenza stessa in merito all’assegnazione dei
punteggi.
Il protocollo viene sostanzialmente utilizzato per eseguire operazioni di greenwashing
delle dighe e garantire ai costruttori un
ritorno di immagine. Ormai da tempo l’IHA
è impegnata in un’azione di lobby finalizzata
ad affossare definitivamente le raccomandazione della Commissione Mondiale delle
dighe, cercando di promuovere l’HSAP.
L’IHA è infatti registrata11 tra le organizzazioni che fanno lobby nei confronti delle
istituzioni europee.
11 http://ec.europa.eu/transparencyregister/public/
consultation/displaylobbyist.do?id=15387877065-85
Il ritorno delle grandi dighe
13
2.3 Il decennio del dragone
il mercato chiave per gli investimenti cinesi
e contribuisce al 44 per cento dei profitti di
Sinohydro all’estero, seguita dall’Asia con il
33 e il Medio Oriente con il 22 per cento.
In poco più di dieci anni, la Cina è divenuta il principale partner commerciale del
continente africano, rimpiazzando spesso il
ruolo delle tradizionali istituzioni finanziarie internazionali.
L’adesione della Cina all’Organizzazione
Mondiale del Commercio, avvenuta nel
2011, ha profondamente cambiato l’economia mondiale e più in generale le relazioni Nord-Sud. Negli ultimi dieci anni, le
riserve liquide in valuta estera del Paese
sono cresciute fino a raggiungere gli attuali
3,2 trilioni di dollari. Fondi
accumulati grazie a un record
L’Africa rappresenta
di surplus commerciale: 160
oggi il mercato chiave
miliardi nel 2011 e 231 miliardi
per gli investimenti
nel 2012, con i quali la Cina
cinesi e contribuisce
ha superato gli Stati Uniti,
al 44 per cento dei
divenendo la prima potenza
profitti di Sinohydro
commerciale globale.
all’estero
Pechino ha usato questo denaro
per comprare titoli di Stato
americani (la Cina detiene oggi circa l’8,5
per cento dell’intero debito estero degli Stati
Uniti), per investire sui mercati finanziari
attraversi la China Investment Coorporation
– un fondo di investimento creato nel 2007
con un budget di 200 miliardi di dollari – e
in moltissime infrastrutture all’estero attraverso l’agenzia di credito all’esportazione
nazionale. Fin dal 1999 il governo cinese ha
promulgato provvedimenti atti a incoraggiare le società nazionali ad operare all’estero.
La Sinohydro è oggi la più grande società
idroelettrica del mondo.
Secondo i dati forniti da International
Rivers, ad agosto 2012 c’erano almeno 308
progetti aperti di dighe in 70 paesi che
vedono il coinvolgimento di società o attori
finanziari cinesi. L’Africa rappresenta oggi
14
Il ritorno delle grandi dighe
A differenza dei paesi e delle
istituzioni occidentali, che
hanno operato nel Sud globale
in nome dello “sviluppo”, imponendo ai paesi beneficiari riforme politiche ed economiche, la
Cina considera ogni altro paese
come un partner commerciale.
Non chiede altro che un buon
ritorno per i capitali investiti. Pechino di fatto è priva delle ambizioni
imperialiste che hanno segnato l’intervento
occidentale nei paesi del Sud del mondo, che
non hanno fatto altro che rinnovare attraverso altri strumenti un sistema coloniale di
sfruttamento.
Questa ondata di investimenti dell’ex Impero di Mezzo nel settore idroelettrico ha
creato tra le istituzioni finanziarie e le società del settore una vera e propria “paranoia
cinese”, costruita sull’assunto che “se non
lo facciamo noi, lo faranno i cinesi... sicuramente peggio!”.
Il decennio del dragone ha contribuito a far
sciogliere come neve al sole le preoccupazioni ambientali e sociali che molto faticosamente le organizzazioni della società civile
erano riuscite a far prevalere.
Diga delle Tre Gole, 14 Marzo 2009, foto Tomasz Dunn, wikimedia (CC BY 2.0)
BOX 2
La diga delle Tre Gole in Cina
La Diga delle Tre Gole,
sullo Jangtze, capace di
produrre 22,5 gigawatt
di energia, è una sorta di
monito permanente per
tutti coloro che intendono
proseguire indisturbati
con il business dei grandi impianti idroelettrici.
Costata oltre 40 miliardi
di dollari, almeno a dar
retta alle cifre ufficiali
del governo cinese, nei 17
anni che ci sono voluti per
realizzarla ha provocato lo
sfollamento di un milione e
300mila persone. Un conto
ancora aperto, secondo
quanto affermano varie
articoli di stampa. È infatti
scontato che in migliaia
dovranno ancora lasciare
le loro abitazioni e causa
della minaccia di frane che
incombe su una vasta area
impattata dalla costruzione
della diga (il cui conseguente bacino artificiale
ha la stessa superficie
dell’isola di Singapore).
Negli ultimi due decenni il
livello di rischio idro-geologico è aumentato del 70
per cento e i costi ambientali e sociali sono ormai
fuori controllo, tanto da
rappresentare uno dei temi
caldi per la nuova leadership cinese.
La qualità dell’acqua del
fiume è nettamente peggiorata. L’Ong statunitense
International Rivers ha potuto stimare che fra il 2000
e il 2005 l’inquinamento
idrico è più che raddoppiato. Questo perché il tratto
dello Yangtze imbrigliato
dal mega sbarramento ha
finito per sommergere fabbriche, discariche e miniere
che non erano state anticipatamente bonificate.
Il ritorno delle grandi dighe
15
2.4 La più grande banca è
carioca
Il Brasile è uno dei più grandi costruttori
di dighe al mondo. L’approvvigionamento
energetico del Paese è altamente dipendente
dall’idroelettrico, con l’80 per cento della
produzione derivante da grandi e piccole
dighe. Il Brasile ospita il più grande polmone
verde del mondo, l’Amazzonia, dove vivono
ancora oggi moltissime comunità indigene.
I governi che si sono succeduti dal duemila a
oggi hanno completamente ignorato le raccomandazioni della Commissione mondiale
sulle dighe, sostenendo che esse rendono
difficile lo sviluppo di nuovi progetti. Brasilia è pronta a sferrare un colpo letale all’Amazzonia, avallando la costruzione sul suo
territorio di sessanta progetti idroelettrici,
inclusa la controversa diga di Belo Monte.
Il motore finanziario dello sviluppo infrastrutturale nazionale e regionale è la Banca
Brasiliana di Sviluppo (BNDES), un istituto finanziario interamente di proprietà
dello Stato che negli ultimi cinque anni ha
triplicato il suo volume d’affari. Oggi è la
più grande banca pubblica al mondo, con un
portfolio di 81 miliardi di euro nel 2012.
Il MAB, movimento brasiliano che riunisce
le comunità negativamente colpite dalla
costruzione delle dighe, ha calcolato che un
milione di persone hanno perso le loro case,
le terre e stravolto completamente il proprio
stile di vita a causa della costruzione di impianti idroelettrici. Nel 70 per cento dei casi
non hanno ottenuto alcuna compensazione
per tutto ciò.
16
Il ritorno delle grandi dighe
Il ruolo del Brasile nella costruzione di dighe
sta crescendo a livello regionale. La banca
brasiliana ha in programma di aumentare
progressivamente i suoi investimenti in
tutta l’America Latina. Alcune multinazionali accusano la BNDES di prestare soldi
a tassi sussidiati alle imprese brasiliane,
alterando la concorrenza. Imprese come
Odebrecht, OAS e Camargo Correa sono oggi
attive in tutta l’America Latina. In particolare Odebrecht è oggi una delle più grandi
multinazionali brasiliane ed è l’impresa che
maggiormente ha beneficiato dal boom delle
infrastrutture nella regione. Nell’ambito del
programma multilaterale IIRSA, finanziato dalla Banca Interamericana di Sviluppo
(IDB), la Corporazione Andina di Sviluppo
(CAF) e il BNDES, l’Odebrecht ha ottenuto
centinaia di milioni di dollari in contratti,
giocando un ruolo chiave nella costruzione
di dighe in tutta l’area. L’Odebrecht è una
delle imprese che genera più conflitti sociali
in America Latina. Spesso è stata accusata
da organizzazioni della società civile e dai
sindacati di violare i diritti umani e quelli
dei lavoratori.
Belo Monte
Con una potenza prevista di 11.233
megawatt e un costo stimato pari a otto
miliardi di euro, la diga di Belo Monte
è concepita per diventare la terza al
mondo dopo quella delle Tre Gole, in
Cina, e di Itaipú, alla frontiera tra Brasile e Paraguay. Per realizzare l’impianto
è prevista l’inondazione di circa 500
chilometri quadrati di foresta amazzonica che colpirà direttamente o indirettamente 66 comuni e 11 terre indigene,
tutelate dalla Costituzione, in un’area in
cui abitano 19mila persone che dovranno essere evacuate e rilocate altrove.
Per questa ragione negli ultimi anni si
sono moltiplicate le proteste a livello
locale, ma anche internazionale.
Nel 2012 un rapporto del Comitato di
Esperti sull’Applicazione delle Convenzioni e delle Raccomandazioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro
(OIL) ha stabilito che il governo brasiliano ha violato i diritti delle popolazioni
indigene della regione amazzonica di
Xingu. Nello studio si evidenzia come
non siano state condotte le consultazioni con le comunità impattate dai lavori
di realizzazione del mega impianto
idroelettrico, in piena violazione della
Convenzione Internazionale numero
169 (in particolare del suo articolo 15)
sul consenso previo, informato e libero
su progetti di questo tipo. La Convenzio-
Belo Monte, “A Call to President Dilma”, Xingu
River, Brazil (15 giugno, 2012) (Photo credit: Atossa
Soltani/ Amazon Watch / Spectral Q) Licenza CC BYNC-SA 2.0
ne è stata ratificata dal Brasile nel 2002
ed è entrata a far parte della normativa
nazionale dopo un decreto del Presidente Lula nel 2004.
Come visto, il progetto è altamente
controverso, tanto che i lavori sono stati
spesso bloccati da corti federali brasiliane - al momento di andare in stampa
c’è il nulla osta per i lavori, dopo che la
Corte Suprema ha ribaltato un precedente pronunciamento di un tribunale
federale. Oltre agli evidenti impatti
socio-ambientali, nell’estate del 2013
sono spuntate fuori anche le accuse di
traffico di esseri umani, delle quali si
sta occupando il competente comitato
parlamentare.
Il ritorno delle grandi dighe
17
2.5 A volte ritornano: la
nuova strategia energetica
della Banca Mondiale
I progetti idroelettrici regionali possono servire
a espandere il mercato e a facilitare la creazione di di sistemi di interconnessione elettrica,
abbassando i costi per tutti”.
La Banca Mondiale è stata per molti anni
il più grande finanziatore al mondo della
costruzione di grandi dighe, avendo investito
in 550 grandi progetti idroelettrici in 92 paesi. La World Bank è stata la protagonista dei
peggiori disastri mondiali legati alle politiche di sviluppo i cui effetti nefasti sopravvivono ancora oggi.
A gennaio 2012, il gruppo Banca Mondiale
ha inoltre approvato un ulteriore documento, la strategia di investimenti nel settore
delle infrastrutture12, diviso in tre capitoli
e in cui i banchieri di Washington si impegnano a veicolare altre risorse finanziarie,
provenienti anche da investitori privati, per
continuare a promuovere i partenariati pubblico-privati, ovvero la privatizzazione delle
infrastrutture e dei servizi a esse collegati.
Le ragioni dietro questo rinnovato impegno
sono essenzialmente quattro:
Come già accennato (vedi capitolo 1), negli
anni novanta la Banca ha dovuto affrontare
dure critiche per gli impatti dei suoi progetti. Di conseguenza, il finanziamento al settore idroelettrico si è notevolmente ridotto,
scendendo nel quinquennio 2000-2004 a 2,4
miliardi di euro. Un taglio di circa il 30 per
cento rispetto ai cinque anni precedenti.
Ma negli ultimi anni la tendenza sta cambiando. In risposta alla crisi economica globale, l’istituzione ha lanciato due programmi
finalizzati a dare una spinta alla costruzione
di infrastrutture: l’ “Infrastructure Recovery
and Assets Platform” e l’ “Infrastructure
Crisis Facility”.
Nell’aprile del 2011, ha approvato la sua
nuova strategia energetica. In un documento
dal titolo “Dare energia allo sviluppo sostenibile” la Banca scrive: “C’è un potenziale di
sviluppo enorme nella produzione di energia
idroelettrica. Circa i 4/5 del potenziale idroelettrico nei paesi in via di sviluppo devono ancora
essere sfruttati. In Africa si sale al 90 per
cento, mentre nel Sud Est Asiatico siamo al 70.
18
Il ritorno delle grandi dighe
• la competizione della Cina;
• utilizzare la leva della crisi per dare una
risposta alle multinazionali occidentali;
• la narrativa legata ai cambiamenti cli-
matici, che annovera l’energia idroelettrica tra le rinnovabili, senza tenere
in considerazione alcuna le esternalità
ambientali e sociali;
• la crescente finanziarizzazione dell’eco-
nomia, che richiede nuovi asset sui quali
investire sul mercato primario e secondario (vedi paragrafo 4.1).
La serie storica di dati relativa agli investimenti della World Bank negli ultimi anni
mostra come essa abbia utilizzato la crisi
finanziaria per far schizzare gli investimen12 “Transforming Bank Group Engagement in Infrastructure”, World Bank
Table 1: World Bank Group Energy Portfolio by Financing Source, FY2007-FY2011 (US$ Millions)
Institution
FY2007
FY2008
FY2009
FY2010
FY2011
FY2012
2,137
4,778
6,648
10,367
6,064
5,634
552
2,427
3,569
8,140
4,755
3,017
1173
1,932
2,155
1,356
1,200
1,853
Climate Finance
287
333
363
619
100
301
Others4
125
86
561
253
9
463
1,308
2,782
1,650
2,354
1,998
2,054
3,862
7,670
8,332
12,947
8,181
8,177
World Bank
IBRD1
IDA
2
3
IFC
5
MIGA6
417
Total Energy Financing
110
33
225
119
489
Table 2: World Bank Group Energy Portfolio by Region, FY2007-FY2011 (US$ Millions)
Region
Sub-Saharan Africa
East Asia and the Pacific
FY2007
FY2008
FY2009
FY2010
FY2011
FY2012
1,224
1,261
1,754
5,281
1,156
1,813
251
1,505
1,229
990
2,116
968
Europe and Central Asia
518
1,194
2,295
1,182
2,384
2,331
Latin America and the Caribbean
489
1,157
801
1,948
1,331
551
368
360
806
1,050
67
748
947
2,158
1,446
2,495
1,062
1,710
Middle East and North Africa
South Asia
Multi-Region Projects
7
Total Energy Financing
65
35
-
-
64
55
3,862
7,670
8,332
12,947
8,181
8,177
Fonte: Sito web della Banca Mondiale. http://web.worldbank.org/WBSITE/EXTERNAL/TOPICS/EXTENERGY2/0,,contentMDK:21651596~menuP
K:4140787~pagePK:210058~piPK:210062~theSitePK:4114200,00.html
ti nel settore energetico nell’anno 2010 e,
coerentemente con quanto enunciato nella
strategia energetica del 2011, lo spostamento regionale dei finanziamenti verso l’Africa
Sub-Sahariana e il Sud Est Asiatico.
In Africa quasi tutti i progetti finanziati nel
2012 riguardano lo sviluppo di grandi linee
di trasmissioni nazionali e regionali, mentre
in Asia un quarto degli investimenti realizzati sono andati a beneficio di un’unica opera
in Pakistan, il progetto idroelettrico di Tar-
bela, che consiste nell’installazione di 1410
megawatt su una diga già esistente.
La Banca Mondiale, nonostante il suo potere
economico e politico sia stato ridimensionato a favore del settore privato, come vedremo nel capitolo successivo, continua ancora
oggi a investire risorse pubbliche in progetti
esclusivamente a favore dei ricchi13
13 “La banca dei ricchi. Perché la World Bank non ha
sconfitto la povertà”, Luca Manes e Antonio Tricarico,
Terre di mezzo, 2008
Il ritorno delle grandi dighe
19
2.6 La finanziarizzazione
dell’economia
Viviamo nell’epoca del capitalismo finanziario, dove piuttosto che commerciare beni e
servizi, ai fini dell’accumulazione di capitale
è molto più vantaggioso scambiare denaro,
rischi e altri prodotti associati. Questo, in
breve, è ciò che viene comunemente definito
“Finanziarizzazione dell’Economia”. Oggi
tutti i campi della vita (la casa, le pensioni,
la scuola) sono mediati dai mercati finanziari e non solo dal mercato. La finanziarizzazione è molto di più che la semplice
evoluzione della mercificazione. Essa riduce
tutto il valore scambiato – sia esso tangibile,
intangibile, presente o futuro, un servizio
o un bene – in uno strumento finanziario
trasferibile o in un suo derivato.
Stunt davanti alla sede del Forum on Natural Capital, Edimburgo,
Novembre 2013. Foto Ric James, World Development Movement
La finanziarizzazione trasforma il funzionamento dei sistemi economici operando su
tre differenti livelli: la struttura e le operazioni dei mercati finanziari, l’approccio delle
corporation non finanziarie, le politiche economiche. La finanziarizzazione sta oggi penetrando tutti i beni primari (commodities)
e si sta espandendo dai sistemi riproduttivi
(pensioni, salute, istruzione, abitazioni) alla
gestione delle risorse naturali. L’approccio
finanziarizzato e di mercato alla questione
climatica e il suo effetto nell’accelerare la
costruzione di nuovi impianti idroelettrici
è già stato precedentemente affrontato. Ma
non è l’unico.
private equity, che hanno già acquisito un
ruolo centrale nel settore a livello globale.
Le infrastrutture idriche e idroelettriche
sono ormai il bersaglio fisso di tali fondi così
come le infrastrutture energetiche. Solo un
dato di riferimento: fra il 2002 e il 2007 il
settore privato ha investito in infrastrutture nei paesi in via di sviluppo 603 miliardi
di dollari, a fronte dei 64,6 miliardi della
Cina e dei 72,9 miliardi erogati attraverso i
programmi di assistenza esterna dai 33 paesi
dell’OCSE. Possiamo considerare questa
dinamica una terza “era” delle partnership
pubblico-privati che segue la svendita del
patrimonio pubblico e la creazione dello
strumento PPP (partnership pubblico private) per sostenere il business delle imprese
private.
Il finanziamento delle infrastrutture, infatti,
sta attirando sempre più l’interesse di attori
finanziari speculativi come hedge funds e
In questa terza fase il mercato si organizza
per finanziare infrastrutture che servono
interessi privati. Due esempi sul fronte
20
Il ritorno delle grandi dighe
Hedge fund e private equity
I fondi speculativi (in inglese hedge
funds) detti anche in italiano fondi hedge, nascono negli Stati Uniti negli anni
cinquanta. La definizione di “finanza
creativa” è spesso associata alle operazioni speculative che tali fondi possono consentire. Più nel dettaglio hanno l’obiettivo
di produrre rendimenti costanti nel tempo, con una bassa correlazione rispetto
ai mercati di riferimento, tramite investimenti ad alto rischio finanziario, ma
con possibilità di ritorni molto fruttuosi.
Sono contraddistinti dal numero ristretto
di soci partecipanti e dall’elevato investimento iniziale richiesto. Sono soggetti ad
una normativa che, per quanto riguarda
la prudenza, è più limitata rispetto a quella che vincola gli altri operatori finanziari.
italiano e internazionale: il fondo italiano di
Private Equity F2I, che ha rilevato il 40 per
cento di Mediterranea, società del Gruppo
IREN, nata dalla fusione dei tre principali
gestori del servizio idrico dell’ATO genovese, e il controverso progetto della diga di
Bujagali, alle sorgenti del Nilo in Uganda
contro il quale le comunità locali si battono
da 15 anni, finanziato oltre che dalla Banca
Mondiale e dalla Banca Europea per gli investimenti dall’hedge fund Blackstone.
Sempre più spesso questi fondi speculativi si trovano a “collaborare” con banche
pubbliche, come d’altra parte auspicato
nella strategia della Banca Mondiale (vedi
paragrafo precedente). La Banca Europea
per gli Investimenti sembra aver sancito una
solida partnership con uno dei più grandi
fondi privati al mondo, Blackstone. Insieme
hanno finanziato oltre alla controversa diga
di Bujagali anche Ruzizi III.
Il private equity è un’attività finanziaria
mediante la quale un investitore istituzionale rileva quote di una società target
(obiettivo), sia acquisendo azioni esistenti
da terzi, sia sottoscrivendo azioni di nuova emissione e apportando nuovi capitali
all’interno della target.
Il private equity include tutti gli investimenti in società non quotate su mercati
regolamentati. Le società target possono
anche essere quotate, ma intenzionate ad
abbandonare la borsa, ed in questo caso
si parla di public private equity. Gli investimenti in private equity raggruppano un
ampio spettro di operazioni, in funzione
sia della fase nel ciclo di vita aziendale
che l’azienda target attraversa durante
l’operazione di private equity, sia della
tecnica di investimento usata.
Il ritorno delle grandi dighe
21
3. Quattro storie di fiumi e non solo
3.1. Bujagali e il
greenwashing delle
istituzioni finanziarie
il consorzio iniziò comunque le operazioni
di esproprio, che sono ancora oggi oggetto di
contenziosi legali.
L’idea fu riesumata qualche anno dopo,
trovando il pieno sostegno di tutte le principali istituzioni finanziarie internazionali e
dell’hedge fund Blackstone. Costo dell’operazione 900 milioni di dollari, di cui seicento
in risorse pubbliche provenienti da Banca
Mondiale, Banca Europea per gli investimenti, Banca Africana di Sviluppo. Il tutto
per la produzione a regime di 250 megawatt.
Anche in questo caso un costo elevatissimo,
considerato lo scarso investimento sulle
Il mega-sbarramento di Bujagali sorge
misure di mitigazione ambientale e sociale.
a poca distanza del Lago Vittoria, sulle
La costruzione della diga viene affidata alla
sorgenti del Nilo Bianco. In quell’area sono
Salini Costruttori S.p.A.,
già operativi due vecchi
molto attiva nella cemenFin dall’inizio le comunità
impianti idroelettrici,
tificazione del continente
Nalubali e Kira. La storia locali, la coalizione Counter
inizia alla fine degli
Balance e altre organizzazioni africano.
anni Novanta, quando si
internazionali hanno segnalato Fin dall’inizio le comuforma il primo consorzio
i numerosi problemi legati
nità locali, la coalizione
costruttore composto
al
progetto
per
scongiurare
Counter Balance e altre
dalle società scandinaorganizzazioni internal’arrivo di finanziamenti
ve Skanska, Veidekke e
zionali hanno segnalato i
General Electric Energy
pubblici.
numerosi problemi legati
e dalla francese Alstom
al progetto per sconPower. L’impianto sarebgiurare l’arrivo di finanziamenti pubblici.
be poi dovuto essere gestito dall’americana
Innanzitutto la scomparsa delle rapide di
AES, a quel tempo la più grande società di
Bujagali, un sito di estremo valore naturaligenerazione e distribuzione di elettricità al
stico, sacro per le comunità locali e impormondo. Il consorzio cessò la sua attività nel
tante risorsa turistica, in quanto noto in tut2003, dopo un’esistenza a dir poco travato il mondo per la pratica del rafting. E poi
gliata. Gradualmente tutti i suoi membri
il preoccupante dato del lago Vittoria che
si ritirarono, travolti dalle indiscrezioni su
ha visto il suo livello abbassarsi negli ultimi
un caso di corruzione rivelato dal quotidiaanni di mezzo metro e la costa ritirarsi in
no Uganda Confidential, che adombrava
alcuni punti di 200 metri. Dei tre Stati che si
la possibilità che la AES avesse pagato una
affacciano sul lago Vittoria, Kenya e Tanzatangente all’allora ministro dell’Energia. Ma
Quella della diga di Bujagali è una vera e
propria saga che, oltre ad aver distrutto un
angolo di paradiso, importante risorsa turistica dell’Uganda, ha messo ancora una volta
a nudo l’ipocrisia delle istituzioni finanziarie
internazionali e dei loro presunti meccanismi di ricorso, volti a proteggere i diritti
delle popolazioni locali.
22
Il ritorno delle grandi dighe
Uganda. Foto Caterina Amicucci
nia hanno sostenuto che la ragione di questa
ennesima catastrofe naturale sia da ricercare
nella costruzione di diverse grandi dighe sul
corso del Nilo Ugandese, principale emissario del lago, mentre l’Uganda attribuisce il
processo in atto ai cambiamenti climatici.
In ogni caso un dato è certo, il livello dell’acqua si sta abbassando e ciò potrebbe essere
la causa del parziale funzionamento delle
due dighe già esistenti a monte di quella di
Bujagali. Il dubbio che il nuovo impianto
non riesca a generare l’elettricità prevista
non è ancora stato fugato da nessun tecnico
e nemmeno da dati pubblici sul primo anno
di funzionamento della diga, inaugurata in
pompa magna nell’agosto del 2012 dal presidente Yoweri Museveni e da uno dei soci
del consorzio di gestione Bujagali Energy
Limited, l’Aga Khan.
Tutti gli appelli sono rimasti inascoltati e
nel 2007 è iniziata una battaglia a colpi di
ricorsi verso i finanziatori internazionali.
Una triste parabola che racconta dell’inutilità di questi meccanismi, che non solo creano
aspettative nelle comunità locali, ma si trasformano in una gran perdita di tempo.
L’Inspection Panel della Banca Mondiale,
sollecitato dalle comunità locali, pubblica il suo rapporto alla fine del 2008. Un
documento durissimo, che smonta pezzo
per pezzo l’intero progetto, arrivando ad
affermare che “i benefici economici sono
molto inferiori a quanto sostenuto dal management della banca e c’è un alto rischio
che il progetto non riesca a raggiungere gli
obiettivi di sviluppo sostenibile [...] Non ci
sono prove evidenti che la diga possa avere
un impatto economico positivo sulle famiglie a più basso reddito […] Sarebbe meglio
Il ritorno delle grandi dighe
23
Uganda. Foto Caterina Amicucci
prendere in considerazione la costruzione di
un’infrastruttura più piccola e meno rischiosa […]”.
E per finire: “In un Paese dove solo il 5 per
cento della popolazione è connesso alla rete
nazionale e c’è un elevato tasso di povertà,
sarebbe del tutto ragionevole che si prestasse la dovuta attenzione alle opzioni di media
e piccola scala (e non solo all’opzione idroelettrica), che in teoria potrebbero costituire
una risposta adeguata alla povertà, soprattutto nelle zone rurali.
Il rapporto rimane sostanzialmente lettera
morta. Il board della Banca, che lo approva
nel maggio del 2009, non predispone nessuna azione volta a modificare, ripensare o
sospendere il progetto. I lavori di costruzione proseguono indisturbati fino al completamento dell’opera.
Ancora più ridicolo il fronte europeo. Già
nella decisione di approvazione di finanziamento presa dalla BEI nel 2007 la Banca si
era impegnata a vincolare l’erogazione del
contributo all’esito dell’indagine dell’Inspec-
24
Il ritorno delle grandi dighe
tion Panel della Banca Mondiale. Impegno
ovviamente mai rispettato. Il meccanismo
prevede un doppio grado di giudizio, il
primo interno alla Banca stessa, il cosiddetto
“ufficio ricorsi”, che ha l’obbligo di condurre
un’analisi sul rispetto delle linee guida della
stessa banca entro sei mesi. Il secondo è
l’Ombudsman, o mediatore europeo, al quale
ci si rivolge se l’esito dell’indagine del meccanismo interno non soddisfa il ricorrente.
La coalizione Counter Balance ha presentato
il ricorso sul caso di Bujagali al meccanismo
interno della BEI nel novembre del 2009.
Esattamente due anni dopo, l’ufficio ricorsi
della banca non aveva ancora reso pubblici i
risultati dell’investigazione interna. In questo periodo la banca ha continuato a sborsare le tranche previste dal contratto fino, alla
completa erogazione del prestito.
Counter Balance e le comunità locali rappresentate dalla ONG ambientalista ugandese
NAPE si sono quindi rivolte all’Ombudsman
denunciando i tentativi interni alla banca
di ostacolare la pubblicazione del rapporto. L’ufficio dell’Ombudsman europeo ha
aperto un’indagine sul tema e predisposto
un’ispezione, svoltasi il 17 gennaio 2013, e
durante la quale ha preso visione di tutta
la corrispondenza interna della staff della
Banca relativa al ricorso su Bujagali.
Il Rapporto di ispezione inviato ai ricorrenti a maggio 2013 dice “ L’Ombudsman
Europeo ha identificato alcune e-mail che
sembrano confermare gli argomenti dei
ricorrenti relativi al ritardo subito dalla
pubblicazione del documento, in particolare
l’assenza delle risorse umane adeguate a
gestire i ricorsi e pressioni interne.”
Purtroppo però le conclusioni dell’ufficio del
mediatore europeo sono deludenti. Pur riconoscendo le difficoltà create dallo staff nella
pubblicazione del report, l’Ombudsman
plaude alla banca per aver preso alcune
misure amministrative interne per risolvere
questi problemi, tra le quali l’approvazione
di linee guida interne e il rafforzamento
dello staff dell’ufficio ricorsi.
Intanto la BEI pubblica il rapporto conclusivo ammettendo che alcuni elementi sono
stati identificati ma non adeguatamente
valutati in sede di valutazione di progetto
ma non attribuisce alla banca nessuna violazione e nessuna responsabilità. Durante i
due anni impiegati dalla banca ad esaminare
il ricorso la BEI, eroga il prestito e la diga
viene completata.
La vicenda di Bujagali insegna che i meccanismi di ricorso e ispezione delle istituzioni
finanziarie ed europee sono solo operazioni
di greenwashing, che molto raramente producono risultati favorevoli ai cittadini e le
comunità locali.
4.2. Il retaggio coloniale
italiano in Etiopia: da Gilgel
Gibe a Millennium
Sull’affare Gilgel Gibe si è scritto, detto e
fatto molto negli scorsi anni. Si tratta di
una serie di dighe, alcune progettate, altre
realizzate, sul fiume Omo, nel sud dell’Etiopia. Per una trattazione completa del caso
si rimanda ai rapporti14 prodotti nell’ambito
della campagna STOPGIBE315 promossa
da International Rivers, CounterBalance e
Survival International.
In questa sede vogliamo ripercorrere i tratti
essenziali della vicenda ed evidenziarne gli
sviluppi relativi all’attualità.
I protagonisti della storia sono da un lato un
governo dalla dubbia caratura democratica, capeggiato dall’allora presidente Meles
Zenawi, nel frattempo deceduto, esponente
di un’oscura oligarchia politica riunita nel
partito di governo Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front (EPRDF).
Una realtà politica che tiene in mano il Paese da tredici anni, perseguitando e incarcerando oppositori politici e giornalisti, con il
pieno sostegno di Europa e Stati Uniti, che
vedono nell’Etiopia un importante baluardo
antislamico.
14 “L’affare Gilgel Gibe: tutto quello che la cooperazione non dovrebbe fare” (http://stopgibe3.it/?p=18)
e « Fino all’ultima goccia. Un’analisi dell’impatto della
diga Gilgel Gibe 3 sul lago Turkana in Kenya » (http://
stopgibe3.it/?p=393)
15 www.stopgibe3.it, www.stopgibe3.org
Il ritorno delle grandi dighe
25
Dall’altro lato c’è un’azienda italiana, la
Salini Costruttori S.p.A. Una società che
dai tempi dell’inizio della vicenda Gibe, che
risale ai primi anni duemila, ha fatto molta
strada, realizzando una vera e propria scalata al settore delle costruzioni nel nostro Paese, iniziata con l’acquisizione della Todini
Costruzioni nel 2010 e arrivando a conquistare, attraverso la recente fusione, quella
che già era la più grande società di costruzioni di infrastrutture in Italia, l’Impregilo.
Oggi il gruppo Salini-Impregilo ha una sorta
di monopolio nazionale, mentre all’estero
agisce anche in cordata con i suoi diretti
concorrenti, come nel caso del mega appalto
da sei miliardi di euro per la costruzione
della metro di Riyadh ottenuto insieme ad
Ansaldo STS.
La Salini costruttori vanta una vera e
propria alleanza strategica con i governi
dell’EPRDF. A partire dalla fine degli anni
Novanta, si aggiudica i contratti di costruzione degli impianti Gilgel Gibe I, II e III,
della diga di Beles, fino ad arrivare al recente megaprogetto conosciuto con due nomi a
dir poco pomposi: diga Millennium o della
grande Grande Rinascita.
Gilge Gibe I, un impianto di 184 megawatt,
viene finanziato principalmente dalla Banca
Mondiale e dalla Banca Europea per gli
Investimenti. Il secondo impianto inaugura
la pratica della trattativa diretta, sparisce la
gara d’appalto, impresa e governo si accordano direttamente su progetti e contratti. La
Banca Mondiale si ritira ed entra in scena la
Cooperazione Italiana, che per Gilgel Gibe
II elargisce al governo etiope un prestito
di ben 220 milioni di euro, solo pochi mesi
26
Il ritorno delle grandi dighe
Etiopia, valle del fiume Omo. 2007. Foto Caterina Amicucci
dopo averne cancellati trecento nell’ambito
dell’inizitiva HIPC16.
La costruzione dell’impianto Gibe II attraversa numerosi problemi, incluso il crollo
del tunnel subito dopo l’entrata in funzione
dell’impianto17.
16 L’iniziativa Heavily Indebted Poor Countries
(HIPC), ha avuto lo lo scopo di cancellare il debito dei
paesi maggiormente indebitati sotto alcune condizioni
legati alla lotta alla povertà. Il programma fu iniziato
nel 1996, congiuntamente dal Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale.
17 « Il colosso di argille », servizio del TG3 del 3 febbraio 2010, www.stopgibe3.it
Ma gli impianti di Gilgel Gibe I e II sono
Com’è ormai prassi di questo sodalizio italoben poca cosa di fronte al colossale progetto
etiope, non c’è stata nessuna gara d’appalto,
Gilgel Gibe III. Uno sbarramento gigannessuno studio di fattibilità e di valutazione
te sul fiume Omo, finalizzato a produrre
di impatto ambientale previo e chi osa levare
1750 megawatt da esportare in Kenya, che
critiche viene sbattuto in carcere. Nel 2012,
trasformerà definitivamente l’ecosistema dal
International Rivers ha commissionato a un
quale dipendono a valle milioni di persone,
ricercatore in loco, la cui identità è anonima
comunità tribali che vivono di un’agricoltuper ragioni di sicurezza, un rapporto per
ra stagionale legata alle piene naturali del
raccogliere informazioni sul campo19.
fiume. Governo e impresa pretendono di utiIl progetto è infatti circondalizzare fondi pubblici per
to da un alone di segretezza
realizzare questo scempio: Gilgel Gibe III prevede
e dall’ambizione dell’Etiopia
250 milioni dalla Coopera- uno sbarramento
di farcela da sola, al punto
zione italiana, cento dalla
gigante sul fiume Omo,
BEI, altri 150 dalla Banca
finalizzato a produrre 1750 da lanciare i bond millennium per finanziare l’opera,
Africana di Sviluppo. La
megawatt
da
esportare
in
facendo appello soprattutto
campagna STOPGIBE III
all’orgoglio nazionale degli
riesce nell’intento di bloc- Kenya, che trasformerà
definitivamente
etiopi all’estero. L’iniziativa
care tutti i fondi pubblici
però non sembra aver racdi istituzioni “occidentali”, l’ecosistema dal quale
colto il consenso auspicato e
ma il governo decide di
dipendono a valle milioni
non è chiaro come il governo
proseguire comunque, cre- di persone
troverà i soldi necessari. L’Eando un’inedita partnertiopia è ancora oggi il quinto
ship tra Salini costruttori
beneficiario mondiale dei fondi di aiuto allo
e investimenti cinesi. La diga è tutt’ora in
sviluppo. Nel 2011, ha ricevuto 3,6 miliarcostruzione. Intanto la furia distruttrice del
di di dollari per assistenza umanitaria che
governo Etiope non si ferma.
corrispondono al 12 per cento del PIL. Nel
2010, l’organizzazione Human Rights Watch
Verso la fine del marzo 2011, il presidente
(HRW) ha invitato il DAG (Development
Zenawi annuncia di voler costruire la diga
Assistance Group), un coordinamento dei
più grande d’Africa. Un progetto da 5250
26 principali donatori in Etiopia, a indagare
megawatt sul Nilo Blu. Contemporaneamensull’utilizzo dei fondi da parte della autorite la Salini annuncia di essersi aggiudicata il
tà etiopi. Il gruppo, guidato da istituzioni
“più grande contratto mai siglato da un’imeuropee e americane, non ha ritenuto degne
presa italiana all’estero”18.
Valore:3,3 miliardi di euro (successivamente
di attenzione le critiche di HRW e non ha
superato dalla metro di Riyadh).
aperto alcun procedimento.
18 http://www.salini.it/news/salini-costruira-la-piugrande-diga-dafrica-2
19 http://www.internationalrivers.org/files/attachedfiles/grandren_ethiopia_2013.pdf
Il ritorno delle grandi dighe
27
4.3. Le avventure
idroelettriche della BEI a
Panama
La Banca Europea per gli Investimenti
opera in America Latina dal 1993, dietro un
mandato periodico affidatogli dal Consiglio
dell’Unione Europea che si chiama ALA
(Mandato Asia e America Latina). Il mandato è necessario, in quanto la missione statutaria della Banca è il finanziamento all’interno dell’Unione Europea. Le operazioni fuori
dall’UE devono quindi essere ciclicamente
autorizzate, in genere ogni sei anni, dalle
istituzioni politiche dell’Unione che definiscono anche il tetto finanziario complessivo
per ogni area geografica.
Tra il 1993 e il 2012, nell’ambito del mandato ALA, la banca ha investito un totale
di 10,5 miliardi di euro. Il primo paese
beneficiario dell’America Latina è Panama.
Una realtà di appena tre milioni e mezzo di
abitanti, riconosciuta come centro nevralgico del riciclaggio di denaro sporco e sicuro
paradiso fiscale per le società registrate sul
suo territorio. Il paese vanta anche la zona
franca commerciale di Colon, seconda per
importanza solo a quella di Hong Kong,
con un volume di affari che si aggira sui 20
miliardi annui.
Degli 831 milioni di euro investiti a Panama
dalla BEI, la maggior parte ha riguardato il
settore delle infrastrutture. Basta passeggiare per la capitale, che oggi vanta uno skyline
che non ha nulla da invidiare a una città
degli Stati Uniti, per capire quale sia la mole
di capitali finiti nel settore immobiliare negli
28
Il ritorno delle grandi dighe
ultimi dieci anni. Ma la bolla immobiliare è
esplosa anche qui e l’intrepido Ricardo Martinelli, una sorta di Berlusconi panamense,
che governa il paese dal 2009, si è prodigato
affinché l’enorme mole di cash flow fosse
dirottato sul settore delle infrastrutture,
incluse quelle idroelettriche.
Nonostante il paese produca già quasi il
doppio di elettricità rispetto alla domanda interna nei momenti di picco, le nuove
licenze accordate per la costruzione di nuovi
impianti sono arrivate a essere oltre cento.
Una di queste riguarda il progetto di Barro
Blanco nella provincia di Chiriquì, divenuta
negli ultimi anni una meta privilegiata dei
pensionati statunitensi. Questo fenomeno ha
avuto un impatto piuttosto forte sulle comunità locali, trasformando profondamente la
cultura, gli stili di vita e lo stesso territorio.
Nel Chiriquì vivono diversi gruppi indigeni,
il più numeroso è quello dei Ngobe-Buglè.
Sulle rive del fiume Tabasarà si trovano
circa cinquemila indigeni, che dal 1999 si
oppongono a questo progetto. Nello scorso
decennio dispute legali e convinte proteste
avevano portato la Corte Suprema a sospenderlo.
Con l’ascesa di Martinelli, il progetto riprende vigore. Si tratta di una diga alta 61 metri,
che dovrebbe produrre 28,8 megawatt, inondando 258 ettari di terra.
La società Genisa viene creata appositamente per la realizzazione dell’impianto e nel
2008 presenta la richiesta della licenza, che
ottiene nel tempo record di cinque mesi. La
valutazione di impatto ambientale non solo
non prende in considerazione l’impatto della
diga sulle comunità, ma omette completamente la loro esistenza.
Nel 2009, l’impresa si rivolge alla BEI per
un prestito di 40 milioni di Euro, ma chiede
anche fondi alla lFMO, la banca di sviluppo
olandese, e alla Kfw, la sua omologa tedesca.
Nell’estate del 2010, il movimento di solidarietà con gli indigeni M10 presenta un
ricorso alla Bei denunciando le mancate
consultazioni delle comunità e le falle dello
studio di impatto. Contemporaneamente
la rete europea Counter Balance annuncia
una missione sul campo. L’ufficio ricorsi
della BEI ritiene ammissibile la denuncia e
prepara a sua volta una missione nel paese.
Una settimana prima del quasi concomitante arrivo degli attivisti e degli ispettori della
banca, la società Genisa ritira la richiesta di
finanziamento, ufficialmente per un rischio
reputazionale legato all’ispezione. Spiegazione raffazzonata e difficile da credere per
una società creata appositamente per la
realizzazione dell’impianto. Su diversi siti
di giornalismo investigativo viene suggerito
che Ricardo Martinelli sia azionista di Genisa e di un altro controverso progetto mine-
rario, l’enorme miniera d’oro di Petaquilla.
Ma Panama, si sa, protegge con l’assoluta
confidenzialità tutti gli investitori, a maggior
ragione se sono capi politici.
Fortunatamente nel caso di Barro Blanco
l’alleanza fra comunità locali e attivisti
internazionali è fino ad oggi riuscita nell’intento di ostacolare la realizzazione dell’opera, nonostante essa penda ancora come
una spada di Damocle, insieme a numerosi
progetti minerari, sul futuro delle comunità
indigene della valle de fiume Tabasara.
Nel caso dell’impianto di Dos Mares, purtroppo si è arrivati troppo tardi. Si tratta
di una cascata di tre turbine pensate per
produrre 115 megawatt sul bacino del fiume
Chiriquì, dove l’acqua viene canalizzata da
un fiume all’altro. Il progetto è della multinazionale francese GDF-Suez, per un costo
di 422 milioni di dollari, di cui 211 provenienti dalle casse della BEI. Una spesa elevata per una tipologia di impianto che non
solo non prevede una grossa infrastruttura,
ma che è stata realizzata attraverso tecnologie di basso costo. I canali di adduzione
sono infatti scavati nella terra e ricoperti di
plastica. Già nel 2010 la missione sul campo
di Counter Balance aveva potuto verificare
che, nonostante l’impianto non fosse ancora
in funzione, i fogli di plastica che ricoprivano il fondo dei canali si erano deteriorati e
galleggiavano sull’acqua.
Il progetto è stato inizialmente contestato
dagli allevatori locali a causa dell’accaparramento di terra da parte dell’impresa. Una
quantità eccessiva rispetto alle dimensioni
dell’impianto, che ha dato adito al sospetto
Il ritorno delle grandi dighe
29
di speculazione per altri fini. Le contestazioni sono state sopite dall’impresa attraverso i consolidati strumenti di acquisto del
consenso. A ottobre del 2011 le turbine di
una delle tre centrali sono franate a causa
delle forti piogge e a testimonianza della
scarsa qualità dell’impianto, che è entrato in
funzione solo recentemente.
di Angra in Brasile, l’immenso parco eolico nell’istmo di Oaxaca in Messico che si
uniscono alla consolidata presenza diretta di
ENEL Green Power in Guatemala.
Progetti contro i quali le comunità indigene e non dell’America Latina si battono da
anni20 e sui quali appare rilevante esaminare
gli interessi e l’approccio dell’ENEL. La
compagnia di Viale Regina Margherita compra Endesa proprio perché il business della
4.4. La politica estera di ENEL
società spagnola è cruciale. Da un lato un
mercato in espansione i cui utili compensaA giugno del 2009 l’ENEL acquista da Acciono la flessione sul fronte italiano e spagnolo,
na il restante 25 per cento per cento di Endall’altro la possibilità di accedere al Mecdesa, completando il controllo di quella che
canismo di Sviluppo Pulito (cfr capitolo 2)
era l’impresa elettrica spagnola e di cui oggi
e di poter compensare le emissioni provola compagnia italiana detiene il 92 per cento
cate dalle centrali a carbone in Italia, dove
delle azioni. Il costo totale dell’operazione è
l’ENEL gestisce otto impianti che producono
di 12 miliardi di euro. La transazione è curacomplessivamente 8 gigawatt di energia eletta da una cordata di banche guidata dall’istitrica. Il tutto per un quantitativo di anidride
tuto di credito spagnolo Santander. Quattro
carbonica immesso in atmoanni dopo, l’utile di ENEL crolla
sfera pari a 10 milioni di tonCon
Endesa,
l’ENEL
del 79 per cento, passando dai
non fa solo un pessimo nellate l’anno. La più grande
4,1 miliardi dell’anno preceè la centrale di Civitavecchia,
dente a 860 milioni. Il motivo è affare, ma eredita il
che genera 1,8 gigawatt e
semplice, Endesa è stata acqui- retaggio coloniale
le cui emissioni potrebbero
sita a un prezzo doppio rispetto dell’impresa spagnola
essere compensate con la
al valore ragionevole dell’imprein America Latina.
realizzazione di 15 dighe pari
sa, proprio nello stesso periodo
a quella di El Quimbo attualin cui la banca spagnola rifila
mente in costruzione sul fiume Maddalena
l’Antonveneta al Monte dei Paschi di Siena
nello stato colombiano del Huila.
per quei 10 miliardi di euro che sono all’origine del crack della banca toscana.
Con Endesa, l’ENEL non fa solo un pessimo affare, ma eredita il retaggio coloniale
dell’impresa spagnola in America Latina.
Progetti come le dighe di Hidroaysén nella
Patagonia e le centrali idroelettriche nelle
aree Mapuche del sud del Cile, la diga di El
Quimbo in Colombia, la centrale nucleare
30
Il ritorno delle grandi dighe
Non si vuole in questa sede trattare i singoli
casi di conflitto tra l’ENEL e le comunità locali in America Latina, per i quali si rimanda
a diverse pubblicazioni esistenti21, quanto
20 Per approfondimenti : www.stopenel.org, www.
patagoniasenzadighe.org, www.patagoniasinrepresas.
org, www.quimbo.com.co
21 Per una panoramica sui conflitti ambientali pro-
Guatemala. Foto Caterina Amicucci
piuttosto sottolineare alcuni aspetti del
modus operandi di Endesa/ENEL in questi
paesi. La multinazionale italiana, controllata
al 31 per cento dal ministero dell’Economia
e delle Finanze e il cui dividendo nel 2012 è
stato 440 milioni di euro, nelle sue operazioni in America Latina presenta dei punti
veramente oscuri.
In Guatemala l’ENEL ha costruito l’impianto idroelettrico di Palo Viejo, nella regione
Maya Ixiles del Quichè, facendo affari con
un sanguinario latifondista. La licenza per
la costruzione dell’impianto è stata rilasciata dalle autorità competenti alla società
“Agricola Cafetalera Palo Viejo”, di proprietà di Pedro Celestino Brol, a fronte di un
vocati da ENEL all’estero consultare la pubblicazione
«ENEL-L’energia per chi? A Quale costo?», http://www.
recommon.org/enel-energia-per-chi-a-quale-costo/
versamento di 40 mila dollari nel 2008 e poi
modificata a fronte di altri 40 mila dollari.
Ma che cos’è la Cafetelera Palo Viejo? Chi
è Pedro Celestino Brol e che cosa c’entra
con l’ENEL? Pedro Brol è un accaparratore
di terra che nel corso del secolo scorso ha
messo insieme 14 mila ettari, i più fertili
dei municipi di San Juan Cotzal e Uspantán
sottraendoli alle comunità contadine e indigene attraverso raggiri e beneficiando delle
leggi che nel secolo scorso hanno favorito
l’accumulazione privata. Oggi il fondo è
noto come Finca San Francisco e vi si coltiva
caffè, facendo ricorso allo sfruttamento
dei lavoratori e al lavoro minorile. Durante
il conflitto degli anni Ottanta, la famiglia
Brol partecipò attivamente alla repressione
contro la popolazione Ixil e Quiché ospitando nella tenuta un distaccamento militare
Il ritorno delle grandi dighe
31
dell’esercito ed eseguendo direttamente
esecuzioni extragiudiziarie, massacri e rapimenti.
L’impianto elettrico di Palo Viejo è situato
dentro la Finca San Francisco. Nel 2008,
l’Enel ha acquistato il progetto dall’Agricola
Cafetalera di Palo Viejo (ACPV) riconoscendo alla famiglia Brol un ammontare, pari a
3,36 milioni di dollari,corrisposto alla data
della firma dell’accordo, relativo all’usufrutto delle proprietà immobiliari su cui si sviluppa il progetto idroelettrico di Palo Viejo,
e una royalty annuale pari all’8,5 per cento
dei ricavi dalla vendita di energia prodotta
dall’impianto.
Anche in Colombia ENEL non si dimostra
un’impresa portatrice di sviluppo e prosperità per le comunità locali. Il governo
di Alvaro Uribe nel 2008 recupera il progetto idroelettrico di El Quimbo, un’idea
che risale agli anni settanta ma scartata nel
1997 dal ministero dell’Ambiente, che non
la ritiene fattibile a causa dei costi sociali ed
economici troppo elevati e per l’impatto che
la distruzione di un’area agricola di tale importanza avrebbe avuto sul paese. Si tratta
infatti di una mega-diga destinata ad inondare 8.300 ettari di terra fertile, dove vivono
e lavorano 13.000 persone. Nel 2008, Uribe,
senza consultare i municipi e le comunità
interessate come previsto dalla legge ed in
assenza della licenza ambientale, dichiara
l’area di utilità pubblica e pochi giorni prima
della fine del suo mandato approva una
legge che consente la rinegoziazione delle
misure prevista dalla valutazione di impatto ambientale. Quando l’ENEL subentra
a Endesa, le compensazioni e le misure di
32
Il ritorno delle grandi dighe
mitigazione vengono rinegoziate al ribasso
a scapito dei contadini, dei pescatori e dei
lavoratori locali, che si rifiutano di abbandonare le loro terre e sono stati più volte
sgomberati dalle forze speciali dell’esercito
e dal battaglione “energetico” stanziatosi
nell’area a protezione del cantiere.
In Cile l’ENEL si distingue per l’intenzione
di distruggere una porzione di Patagonia con
la costruzione di 5 dighe sui fiumi Baker e
Pascua e di una linea di trasmissione di 2500
chilometri, che dovrebbe portare l’energia
elettrica dall’estremo sud all’estremo nord
del paese per alimentare il settore estrattivo
minerario. Fortunatamente del progetto
Hidroaysèn per ora c’è solo una valutazione
di impatto ambientale approvata, che non
comprende nemmeno la linea di trasmissione. Il rallentamento dell’iter progettuale
è stato possibile grazie a una grandissima
mobilitazione nazionale e internazionale. La
maggioranza dei cileni si dichiara contraria
al progetto e anche per questo il consorzio
Hidroaysèn, formato al 51 per cento da
Endesa/ENEL e per il restante 49 dall’impresa cilena Colbùn, ha cercato di influenzare
l’opinione delle istituzioni e delle comunità
locali attraverso la distribuzione di ingenti
somme di denaro ai municipi interessati,
alle associazioni di cittadini e perfino a
degli individui. Queste iniziative sono state
giustificate dall’impresa come programmi
di responsabilità sociale, ma ultimamente
sembra abbiano anche perso vigore a causa
dell’incertezza che aleggia intorno all’intero
progetto. Forse si potrà riuscire a salvare
almeno la Patagonia.
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