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Il ritorno delle grandi dighe Dal Vajont alla speculazione finanziaria Come e perché le grandi dighe non vanno mai in pensione Sommario Il ritorno delle grandi dighe scritto da Caterina Amicucci 1. LE GRANDI DIGHE DOVREBBERO APPARTENERE ALLA STORIA... 1.1 Le dighe, un mito del Novecento. 1.2 Contro le dighe uno dei primi movimenti globali BOX DIGHE NARMADA BOX RACCOMANDAZIONI COMMISSIONE MONDIALI DIGHE 1.3 Facciamo due conti grafica Carlo Dojmi di Delupis prodotto da Re:Common via Satrico 3, Roma www.recommon.org Novembre 2013 Si ringrazia Zachary Hurwitz per il paragrafo sull’HSAP e tutto International Rivers per il continuo lavoro di informazione a servizio dei movimenti internazionali contro le grandi dighe 2. INVECE SONO UNA NUOVA TENDENZA GLOBALE 2.1 Il mercato dell’aria sporca 2.2 La lobby dell’idroelettrico 2.3 Il decennio del dragone BOX DIGA DELLE TRE GOLE 2.4 La più grande banca è carioca. BOX BELO MONTE 2.5 A volte ritornano: la nuova strategia energetica della Banca Mondiale 2.6 La finanziarizzazione dell’economia BOX HEDGE FUND/PRIVATE EQUITY 3. QUATTRO STORIE DI FIUMI E NON SOLO 3.1. Bujagali e il greenwashing delle istituzioni finanziarie 3.2. Il retaggio coloniale italiano in Etiopia: da Gilgel Gibe a Millennium 3.3. Le avventure idroelettriche della BEI a Panama 3.4 La politica estera di Enel Il ritorno delle grandi dighe 1 1. Le grandi dighe dovrebbero appartenere alla storia... 1.1 Le dighe, un mito del Novecento 9 ottobre 1963. Ore 22.39. Duecentosettanta metri cubi di roccia si staccano dal Monte Toc, scivolando a più di cento chilometri orari nel bacino della diga del Vajont, ancora in fase di collaudo. La frana genera un’onda alta 100 metri che distrugge i centri abitati sulle sponde del bacino e si riversa nella Valle del Piave, cancellando il paese di Longarone e altri paesi limitrofi. Il bilancio delle vittime accertate è di 1917 persone. Il caso del Vajont è ritenuto, a livello internazionale, una catastrofe umana. È ormai noto e accertato anche in sede giudiziaria, nonostante le prescrizioni e le pene irrisorie dei responsabili, che il fenomeno franoso era noto e fu volontariamente occultato per ottenere le autorizzazioni necessarie a far entrare la diga in funzione. Non fu sufficiente a destare serie preoccupazioni nemmeno il crollo della diga del Frejus, nella vicina Francia, che provocò 421 morti. Una tragedia avvenuta proprio nel 1959, anno di inizio del collaudo dell’impianto italiano. Il Vajont è sicuramente il più noto, ma non l’unico incidente italiano. Nel 1923 il 2 Il ritorno delle grandi dighe La diga del Vajont subito dopo il disastro, 1963, foto Wikipedia crollo della diga del Gleno, nel bergamasco, provocò la morte di 500 persone. Nel 1935 il cedimento della diga Molare causò la devastazione delle valli dell’Orba e dello Stura, uccidendo 111 persone. Questi solo alcuni dei circa trecento gli incidenti dovuti a errori nella progettazione e nella gestione degli impianti che hanno riguardato le grandi dighe nel secolo scorso. Le dighe, come la altre grandi infrastrutture, hanno sempre rappresentato un simbolo del progresso, della dominazione dell’uomo sulla natura, dell’espressione della tecnica e del principio fondamentale della chimica: tutto si trasforma. Trasformare la forza dell’acqua in elettricità è stato un mito che ha segnato l’intero Ventesimo Secolo e che purtroppo non si è ancora sopito. grandi impianti idroelettrici siano state tra i 40 e gli 80 milioni. Milioni di persone, inoltre, sono state danneggiate dalla costruzione delle infrastrutture associate e dai cambiamenti ambientali. Oggi l’ecosistema del 60 per cento dei fiumi di tutto il mondo è stato compromesso in maniera irreversibile. Inizialmente ci furono le dighe nel Nord del mondo, poi si cominciò a esportare questa tecnologia nel Sud globale sotto l’egida dello sviluppo. L’apice del “delirio da sbarramento” fu raggiunto tra il 1970 e 1980. In 10 anni, furono Alla fine degli anni costruite circa 5000 dighe in Novanta, si è stimato tutto il mondo. Secondo un recente studio3, i 50mila bacini esistenti a livello globale hanno ridotche le persone sfollate to di circa il 30 per cento la nostra percezione dell’innalper fare spazio ai zamento del livello dei mari. I Patrick Mc Cully, ex diretgrandi impianti fondamentalisti dell’industria tore dell’organizzazione International Rivers, nel idroelettrici siano state idroelettrica arrivano persino libro “Silenced rivers” (Fiutra i 40 e gli 80 milioni a considerare questo aspetto come un contributo positivo mi Imbavagliati)1 cita alcune cronache locali che descrialla riduzione degli effetti vono l’esaltazione quasi delirante del primo causati dai cambiamenti climatici. In realtà ministro indiano Jawaharlal Nehru duranl’interruzione del ciclo naturale dell’acqua te l’inaugurazione del Canale Nganal nel provoca profondi e irreversibili mutamenti Punjab, tenutasi nel 1954, a testimonianza ambientali. Gli sbarramenti trattengono i di come le dighe siano potenti simboli sia sedimenti dei fiumi, variando la composiziodell’orgoglio patriottico che della supremane chimica dell’acqua e alterando la catena zia dell’uomo sulla natura. riproduttiva della fauna ittica. Con la crescita esponenziale degli impianti idroelettrici, anche i loro effetti negativi sono divenuti evidenti. Durante lo scorso secolo, l’impatto delle dighe è stato ampiamente sottovalutato, altri elementi critici legati a questo tipo di tecnologia sono emersi con l’evolvere delle problematiche ambientali. Alla fine degli anni Novanta, si è stimato2 che le persone sfollate per fare spazio ai 1 “Silenced Rivers: The Ecology and Politics of Large Dams”, Patrick McCully, Paperback, 2001 2 Fonte: World Commission on Dams I grandi bacini sono in grado di cambiare il microclima locale, mettendo in pericolo i ghiacciai nelle zone di montagna alle alte latitudini e favorendo il diffondersi di malattie quali la malaria e il dengue nelle zone tropicali. Inoltre, in queste zone i grandi bacini danno vita a due importanti fenomeni. Il primo è l’evaporazione prodotta 3 “If you look in just the past half century, the observed sea level rise is about 10 centimeters, and the negative effect of the reservoirs in total has been as much 3 centimeters, so in other words, the sea level could have risen 13 centimeters,” Chao told LiveScience. http:// www.livescience.com/4852-dams-global-sea-level.html Il ritorno delle grandi dighe 3 Diga delle Tre Gole in Cina, foto NASA dalle temperature elevate su masse d’acqua ferma. Si calcola che circa il 7 per cento delle riserve mondiali di acqua vengano “bruciate” in questo modo dall’insieme dei bacini esistenti. Il secondo è l’emissione di gas serra4. Nonostante gli impianti idroelettrici siano considerati a emissioni zero, recenti studi hanno dimostrato che questo non è vero. I bacini rilasciano in atmosfera grandi quantità di metano e di anidride carbonica e si calcola siano responsabili per il 4 per cento dei cambiamenti climatici derivati dalle attività umane. L’alterazione del flusso naturale del fiume e i quantitativi 4 Per approfondire l’argomento si consiglia la lettura del fact sheet di International rivers “Dirty Hydro: Dams and Greenhouse Emissions”, http://www.internationalrivers.org/files/attached-files/dirtyhydro_factsheet_lorez.pdf 4 Il ritorno delle grandi dighe minimi vitali estremamente bassi che gli impianti rilasciano a valle degli sbarramenti, poi, alterano e riducono drasticamente la biodiversità. Questi sono solo alcuni degli sconvolgimenti ambientali causati dai grandi impianti idroelettrici. A questi vanno aggiunti i profondi cambiamenti sociali provocati dai grandi bacini. L’evacuazione forzata di intere comunità per far posto ai bacini può provocare la distruzione di floride economie locali in alcuni casi ed in altri la perdita dell’autonomia delle stesse nel garantirsi la sicurezza alimentare. Esistono ancora oggi popolazioni che vivono di un’agricoltura basata sulle piene naturali dei fiumi, proprio come gli antichi egizi. A queste comunità viene ogni giorno di più negato il diritto all’esistenza. Molto spesso la costruzione dei bacini è associata allo sviluppo dell’agroindustria. Governi e multinazionali pretendono di stravolgere la vita delle comunità inserendole forzatamente in un sistema di lavoro salariato e schiavizzante. Mettere a repentaglio la sicurezza alimentare, ridurre la possibilità di generare reddito delle comunità locali, saccheggiare le risorse riducendo la possibilità di accedervi, creando o acuendo conflitti, porta a una progressiva marginalizzazione e migrazione verso le grandi megalopoli, per poi vivere ai margini della società. Questi irreversibili cambiamenti ambientali e sociali accompagnano progetti che arrecano un beneficio transitorio alla collettività. La narrativa impegnata a dipingere l’idroelettrico come una fonte verde e pulita spesso occulta un’informazione fondamentale. Le dighe hanno un tempo di vita oltre il quale smettono di funzionare. I sedimenti trasportati dai fiumi si depositano gradualmente all’interno dei bacini, riducendo progressivamente il loro volume e quindi la potenza necessaria a far girare le turbine, fino al punto in cui l’impianto interrompe la produzione. Secondo il MIT5 la vita media di una diga è oggi di 50 anni, con la promessa del settore idroelettrico di estenderla a 90 anni antro il 2020. Una proiezione teorica che potrà essere verificata solo a posteriori. Se i benefici delle dighe sono transitori, irreversibili sono invece gli impatti sociali e ambientali, mentre incalcolabili sono i costi di bonifica di migliaia di dinosauri di cemento che tra poche decine di anni bloccheranno inutilmente il flusso di quasi tutti i fiumi del mondo. La produzione di energia idroelettrica viene ancora oggi sponsorizzata per il suo basso costo. Ciò è vero se si considera esclusivamente il segmento relativo alla costruzione e alla gestione degli impianti. Nessun progetto idroelettrico, però, include nei costi le giuste compensazioni ambientali e sociali generando conflitti in tutto il mondo. Ma, soprattutto, non include le esternalità ambientali, tra cui la spesa per la bonifica finale, che è completamente scaricata sulla collettività (cfr 1.3). Se tutti questi costi fossero inclusi nella valutazione di fattibilità economica, i grandi progetti idroelettrici non sarebbero economicamente sostenibili. Per riepilogare, la sostenibilità economica delle grandi dighe è quindi fondata sull’imputare alla collettività i costi ambientali e sociali. Oggi possediamo la tecnologia necessaria per creare impianti che oltre a ridurre gli impatti ambientali e sociali possono in futuro essere smantellati con facilità, senza arrecare cambiamenti irreversibili agli ecosistemi e alle comunità. Per questo le grandi dighe dovrebbero appartenere alla storia invece di essere, come vedremo, un nuovo preoccupante trend globale. 5 Massachusetts Institute of Technology Il ritorno delle grandi dighe 5 1.2 Contro le dighe uno dei primi movimenti globali A partire dalla metà degli anni Ottanta, un movimento formato da ambientalisti e da attivisti per i diritti umani e sociali ha cominciato a collegarsi e strutturarsi su scala globale, contestando il paradigma delle grandi dighe e mobilitandosi in solidarietà con le comunità direttamente colpite dai progetti idroelettrici nei diversi continenti. Il movimento anti-dighe ha coniugato da subito la critica alle proposte per un uso maggiormente sostenibile, equo ed efficiente della tecnologia, riuscendo a trasformare la visione dell’opinione pubblica nei confronti dei megasbarramenti: da icone di progresso a simbolo di distruzione. Nel 1992 il presidente dell’ICOLD6, Wolfgang Pircher, avverte la British Dam Society che “l’industria delle dighe sta affrontando un serio e generale contro-movimento che ha già avuto successo nel ridurre il prestigio dell’ingegneria idroelettrica e questo rappresenta un problema per la nostra professione”. Preoccupazione del movimento contro le grandi dighe, oltre all’impatto ambientale e sociale degli impianti, è stata, ed è ancora oggi, il finanziamento pubblico di cui l’industria idroelettrica ha goduto nell’ultimo mezzo secolo. La Banca Mondiale, la Banca Europea per gli Investimenti, la Banca Afri6 The International Commission on Large Dams, or ICOLD, è una organizzazione non governativa internazionale finalizzata a scambiare informazioni relative allla costruzione e la gestione di dighe e altri impianti idroelettrici. 6 Il ritorno delle grandi dighe cana di Sviluppo e altre banche multilaterali hanno finanziato con munificenza le grandi dighe, le quali però non hanno portato lo sviluppo promesso. Al contrario hanno aumentato l’insicurezza alimentare, l’instabilità politica e il degrado ambientale. Inoltre le grandi dighe hanno contribuito ad alimentare la corruzione delle élite politiche locali. Numerosi, infatti, sono i progetti idroelettrici che nel tempo sono stati investiti da scandali di corruzione. Uno su tutti: la diga di Yacyretà, sul fiume Panama in Argentina, solo recentemente completata, e in costruzione dal 1979. Durante la sua campagna elettorale, Carlos Menem definì Yacyretà “un monumento alla corruzione”. Nonostante le ben documentate accuse a carico di ingegneri, politici e società coinvolte, a oggi nessuno è stato condannato e ha pagato per l’enorme danno arrecato alle finanze pubbliche. Un caso simile a molti altri, e non solo in America Latina. La svolta sembra arrivare negli anni Novanta. Nel 1993, la Banca Mondiale si ritira dal faraonico progetto Sardar Sarovar, sul bacino del fiume Narmada in India, grazie ad un fortissimo movimento internazionale di solidarietà con le comunità adivasi colpite (vedi box1). Sull’onda dello storico risultato indiano e di fronte alla crescente opposizione internazionale, la Banca Mondiale e l’IUCN avviano la Commissione Mondiale sulle Dighe, con il mandato di valutare l’efficacia dei grandi impianti idroelettrici nel promuovere lo sviluppo e di individuare linee guida condivise per la loro pianificazione, costruzione e ge- BOX 1 Narmada Bachao Andolan Il movimento di protesta contro le dighe nella valle del Narmada in India “Affogheremo, ma non ci muoveremo!”. Questo è lo slogan del Narmada Bachao Andolan, il movimento indiano che dalla metà degli anni Ottanta si oppone al Narmada Valley Development Project. Un’opera mastodontica, composta da trenta grandi dighe e 135 impianti di medie dimensioni sul fiume Narmada, che scorre per 1.300 chilometri nell’India centrale, attraversando gli stati del Madhya Pradesh (MP), Maharashtra e Gujarat. Nella valle del Narmada vivono 25 milioni di persone. La lotta delle comunità inizia nel 1985-86 contro la diga Sardar Sarovar, la più grande delle trenta previste, che oggi produce 1450 megawatt e sulla quale c’è stata una lunga disputa sull’altezza finale dello sbarramento. Tema su cui la Corte Suprema è stata costretta a esprimersi più volte. Oltre alla Sardar Sarovar, tra le altre, sono state costruite le dighe Maheshwar, Maan, Indira Sagar, Bargi, Goi, Jobat Dam, Omkareshwar. Le comunità continuano a resistere ancora oggi praticando il jal satyagraha, la forma di protesta gandhiana che consiste nello stare im- Foto: Karen Robinson - International Rivers, Flickr (CC BY-NC-SA 2.0) mersi per giorni nell’acqua del fiume. La lotta non violenta e determinata delle comunità indiane nel 1991 costrinse la Banca Mondiale, principale promotrice del Narmada Valley Development Project, a istituire una commissione indipendente, la Morse Commission. Dopo due anni di lavoro e di indagini, nel 1993 la Banca si vide costretta ad abbandonare il progetto. Nell’estate del 2013, delle forti piogge provocarono l’evacuazione di 7000 persone, che hanno finito per perdere le case e i terreni a causa dell’innalzamento delle acque del fiume Narmada legato alla gestione delle due dighe di Omkareshwar e Indira Sagar, operate dalla Narmada Hydroelectric Development Corporation (NHDC). Immersi nel fiume da 17 giorni e in condizioni fisiche sempre più precarie, gli esponenti delle comunità locali e gli attivisti della storica organizzazione hanno atteso che il governo dello Stato del Madhya Pradesh riconoscesse le loro ragioni, visto che quanto fatto dalla NHDC era palesemente illegale. Il ritorno delle grandi dighe 7 Le raccomandazioni della Commissione Mondiale sulle dighe stione. La commissione è stato uno fra i più riusciti processi cosiddetti « multistakeholder », ovvero che ha riunito intorno allo stesso tavolo costruttori, rappresentanti di comunità locali e della società civile, istituzioni finanziarie e organizzazioni internazionali. Le raccomandazioni della Commissione, rese pubbliche nel 2000, rappresentano un innovativo quadro normativo finalizzato a proteggere l’ambiente, i diritti delle comunità colpite e ad assicurare che i benefici dei progetti siano egualmente distribuiti. Purtroppo però le raccomandazioni della Commissione continuano a rimanere lettera morta e da più di dieci anni la società civile ne chiede la piena applicazione. Nonostante le principali istituzioni finanziarie internazionali le abbiano formalmente recepite, nella pratica esse continuano a essere disattese. Sono diverse le cause di questa mancata volontà di transizione a modelli maggiormente sostenibili. Innanzitutto la forte lobby dell’industria idroelettrica, la quale non vuole rinunciare ai profitti sicuri che il modello centralizzato di produzione e distribuzione dell’energia continua a garantire. Una lobby che trova alleanza in quei governi ‘oleati’ dalla corruzione tradizionalmente associata alle mega infrastrutture o che in tempo di crisi fanno credere ai cittadini di rilanciare la crescita attraverso grandi opere inutili e devastanti per l’ambiente e per le comunità locali. Il tutto spesso e volentieri avvalendosi dell’ausilio di fondi pubblici e ‘grazie’ all’incapacità e alla mancanza di volontà di investire nella riconversione energetica che la tecnologia oggi rende possibile a un costo ogni giorno più competitivo. 8 Il ritorno delle grandi dighe La Commissione Mondiale sulle dighe (WCD) fu costituita nel 1997 su iniziativa della Banca Mondiale e dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) per rispondere alle crescenti proteste locali e internazionali contro le grandi dighe. Il mandato della commissione era quello di analizzare il reale contributo allo sviluppo portato dalle grandi dighe ed elaborare criteri, linee guida e standard per la progettazione e la gestione sostenibile dei grandi impianti idroelettrici. La Commissione ha prodotto un rapporto dal titolo ”Dighe e Sviluppo”, reso pubblico a Londra nel 2000 alla presenza di Nelson Mandela e nel quale vengono sollevati numerosi dubbi sull’effettivo contributo delle dighe al miglioramento delle condizioni di vita della popolazioni e sul fatto che i costi sociali e ambientali vengano adeguatamente presi in considerazione. La commissione ha proposto una serie di raccomandazioni finalizzate a creare un nuovo modello di pianificazione degli impianti idroelettrici e dei bacini idrici in generale in base a: • • • • la valutazione dell’utilità dell’impianto attraverso un’attenta analisi delle necessità di stoccare acqua o produrre elettricità; la valutazione adeguata di tutte le possibili alternative; il consenso libero, previo e informato delle comunità colpite dal progetto; la conservazione delle acque fluviali, dando quindi priorità all’ottimizzazione degli impianti esistenti. Il report integrale della commissione mondiale sulle dighe è disponibile sul sito di International Rivers http://www.internationalrivers. org/resources/dams-and-development-a-newframework-for-decision-making-3939 Narmada, India Water Portal, flickr (CC BY-NC-SA 2.0) 1.3 Facciamo due conti Uno degli argomenti agitati dai sostenitori delle dighe è quello dell’economicità dell’energia idroelettrica. Si afferma che l’idroelettrico è di gran lunga ancora la fonte più economica. Se nel costo dei grandi progetti idroelettrici fossero incluse giuste compensazioni sociali e la corretta implementazione delle misure ambientali di mitigazione, il prezzo salirebbe notevolmente. In realtà le esternalità ambientali e sociali vengono costantemente scaricate sulla collettività. Inoltre è abbastanza difficile capire quanto costa esattamente l’energia idroelettrica, visto che i costi hanno enormi variazioni, le cui cause non sono facilmente compren- sibili. Di seguito presentiamo una tabella dei costi di alcuni progetti monitorati dalla coalizione Counter Balance e dalle sue organizzazioni membre in epoca recente (vedi tabella in basso). Quest’ampia forbice dei costi è confermata da uno studio di IRENA (Agenzia Internazionale per l’energia rinnovabile)7, secondo il quale l’installazione dei grandi impianti idroelettrici varia tra i 1.050 e i 7.650 dollari per kilowatt, generando un costo dell’elettricità medio livellato che oscilla intorno agli 0,02 dollari per kilowatt/ora. Ma questo costo non solo, come detto, non include le giuste compensazioni e le dovute mitigazioni ambientali, ma soprattutto non tiene conto 7 RENEWABLE ENERGY TECHNOLOGIES: COST ANALYSIS SERIES, Volume 1: Power Sector, Issue 3/5, Hydropower, June 2012 Costi di alcuni progetti monitorati dalla coalizione Counter Balance Progetto Paese Potenza Costo in Euro Costo per KW Gilgel Gibe III Etiopia 1470 MW 1,55 miliardi 1054 Bujagali Uganda 250 MW 750 milioni 3000 Dos Mares Panama 117 MW 316 milioni 2700 Lom Pangar Cameroon 30 MW 306 milioni 10200 Hydroaysèn Chile 2750 MW 2,62 miliardi 952 Il ritorno delle grandi dighe 9 un costo di installazione di 2mila dollari a kilowatt/ora negli Stati Uniti e di 4mila in Europa, generando un costo livellato di 0,71,4 dollari a kilowatt/ora e con una previsioGli Stati Uniti sono l’unico paese ad avere ne di un’ulteriore flessione del 10 per cento una casistica rilevante di dighe smantellate. entro il 20158. Anche il solare concentrato è Su un totale di circa 79mila dighe, sono 450 quelle rimosse, a un costo variabile tra il 5 e in grado di produrre elettricità a 0,14 dollari il 50 per cento dell’esborso necessario per la a kilowatt/ora, con una flessione prevista del 20-40 per cento entro il 20209. costruzione. Si tratta soprattutto di piccole dighe, con La spesa per il fotovoltaico Le grandi dighe un’altezza tra i 5 e i 18 metri resta ancora alta, ma sono sono considerate previste variazioni significative e con una capacità installaimpianti di energia ta compresa tra gli 0,4 e 10 nei prossimi anni, con il rapido rinnovabile megawatt. Per quanto riguarda deprezzamento del costo dei nonostante i i grandi impianti, le cifre sono moduli. completamente diverse. devastanti impatti Eolico e solare in pochi anni ambientali e sociali Significativo il caso delle dighe avranno prezzi simili all’iche comportano Elwha (33metri) e Glines droelettrico, conservando il Canyon (65 metri), costruite vantaggio di essere impianti fra il 1910 e il 1926 prima dell’istituzione con un costo di reversibilità estremamendell’Olympic National Park nello stato amete esiguo, (ovvero per smontare delle pale eoliche o dei pannelli fotovoltaici si spende ricano di Washinghton. Lo US National Park Service ha stanziato 308 milioni di dollari molto poco). Per costruire una grande diga per ricomprare e smantellare le dighe. Una ci vogliono anni. I progetti che si avviano cifra pari al 181 per cento del costo di cooggi potrebbero essere antiecomici prima di struzione di un impianto equivalente, calcoessere completati. lato al netto della spesa per la riacquisizione. Un costo enorme per lo Stato, che non può Ma allora perché le dighe attualmente in conemmeno contare sugli utili pregressi della struzione nel mondo sono circa 2000 e altre vendita dell’energia, visto che a partire dagli migliaia sono in attesa di ottenere i permessi anni novanta il mercato dell’energia elettrica ambientali per essere realizzate? è stato privatizzato in molti paesi. della spesa per lo smantellamento alla fine del ciclo vitale dell’impianto. Il costo reale dell’idroelettrico di grande scala per la collettività è quindi da considerarsi di due-tre volte superiore a quello che studi, ricerche e costruttori si affannano a propagandare. Non appare così competitivo, se si considera che l’eolico attualmente ha 10 Il ritorno delle grandi dighe 8 Ibidem 9 RENEWABLE ENERGY TECHNOLOGIES: COST ANALYSIS SERIES, Volume 1: Power Sector Issue 2/5, Concentrating Solar Power, June 2012 2. ...invece che costituire una nuova tendenza globale 2.1 Il mercato dell’aria sporca Tre anni prima delle raccomandazioni della Commissione Mondiale sulle Dighe, i rappresentanti di 160 paesi si sono riuniti a Kyoto, in Giappone, per concordare soluzioni concrete per la lotta ai cambiamenti climatici. Trentasette paesi a industrializzazione avanzata, ovvero storicamente responsabili dell’inquinamento atmosferico, hanno firmato un accordo per ridurre del 5,2% le loro emissione rispetto a quelle del 1990. Per non colpire gli interessi del settore privato e continuare a garantirne i profitti, le soluzioni sono state ricercate attraverso dei meccanismi definiti “flessibili”. Essi si basano su un concetto chiave, ovvero che le emissioni vanno ridotte globalmente e quindi: • meglio farlo dove è più economicamente vantaggioso, ovvero nei paesi in via di sviluppo; • chi emette meno può capitalizzare le emissioni risparmiate e rivenderle a chi emette di più, che può acquistare questi veri e propri buoni di emissioni (credito di carbonio). Nasce così il mercato dei crediti di carbonio. La CO2 diviene un vero e proprio asset finanziario che si può comprare e vendere in borsa alla stregua delle materie prime. Ma il mercato dell’aria sporca serve solo ad arricchire gli speculatori. Ai grandi inquinatori, infatti, è stato distribuito un numero di permessi per inquinare troppo elevato, disincentivando qualsiasi cambiamento e neutralizzando la richiesta di permessi, fa- Impianto di lignite in Romania, foto Bankwatch, Flickr cendone allo stesso tempo crollare il prezzo. Sul mercato Europeo un permesso (pari a una tonnellata di CO2) è passato dai 30 euro del 2006 agli attuali 4,5 euro10.rendendo di fatto irrilevante lo scopo primario del meccanismo. Tra gli strumenti flessibili si annovera il cosiddetto Meccanismo di Sviluppo Pulito, che consente ad un impresa privata o a un soggetto pubblico di un paese impegnato dal protocollo di Kyoto di realizzare un progetto finalizzato a limitare le future emissioni in un Paese in via di sviluppo, in cambio di un certo quantitativo di “Certificati di Emissioni” (CER). Il quantitativo di certificati generati è pari alle emissioni che il progetto realizzato dovrebbe contribuire ad evitare. Grazie a questi certificati l’impresa o lo Stato interessato può continuare 10 Prezzo EUA dicembre 2012 Il ritorno delle grandi dighe 11 ad emettere CO2, oppure guadagnare dalla vendita dei certificati sul mercato dei crediti di carbonio. E non solo. Sulla fluttuazione di prezzo dei certificati di emissioni si possono strutturare prodotti derivati e altri strumenti finanziari complessi dai quali è possibile ricavare ulteriori guadagni. (circa mille), mentre altri 700 sono in corso di registrazione. Siamo nella paradossale situazione in cui le infrastrutture idroelettriche non vengono più costruite per produrre energia e soddisfare i bisogni dei cittadini, bensì per i guadagni finanziari ad esse associati. È evidente che maggiore è la dimensione e la Le imprese possono quindi investire in magnitudine del progetto, maggiori saranno progetti di energia rinnovabile nei paesi del i guadagni finanziari associati. sud del mondo ottenendo un Le grandi dighe sono Secondo Carbon Market Watch, triplo guadagno e senza la le grandi dighe rappresenterannecessità di dover ridurre le considerate impianti proprie emissioni. Per fare di energia rinnovabile, no il 20 per cento dei crediti di carbonio erogati, a fronte di un un esempio, una multinaziononostante i attuale 0,9 per cento di progetti nale che produce energia in devastanti impatti di energia solare. Europa attraverso impianti a carbone può tranquillamente ambientali e sociali Il mercato del carbonio rapprecontinuare a farlo se costru- che comportano senta solo uno degli aspetti del irà delle dighe in Africa. Se più generale processo di finanziarizzazione costruirà tante dighe avrà molti certificati della natura. In un’economia finanziarizdi emissioni che potrà rivendere sul mercato zata, dove commerciare soldi o rischi è più primario dei crediti di carbonio e strutturare remunerativo che scambiarsi beni e servizi, operazioni finanziarie complesse sul mercaè necessario creare nuove classi di asset. to secondario. All’aria sporca è già stato dato un valore commerciale. Il futuro che ci aspetta, se non Le grandi dighe sono considerate impianti di riusciremo a cambiare rotta, sarà la finanenergia rinnovabile, nonostante i devastanti ziarizzazione di tutte le risorse primarie, a impatti ambientali e sociali che comportano. cominciare dall’acqua e dagli ecosistemi. L’unica condizione imposta dal comitato di direzione dei CDM, che fa capo alle Nazioni Unite, è il rapporto fra capacità del bacino 2.2 La lobby dell’idroelettrico e la potenza installata, con un grado di tolleranza talmente elevato che anche la Diga L’inesorabile ritorno delle dighe è accompadelle Tre Gole in Cina risulta eleggibile. gnato dalla generale tendenza di indebolimento degli standard sociali e ambientali. I Questo meccanismo perverso ha creato costruttori di dighe percepiscono le norme un’inarrestabile corsa alla costruzione di vincolanti come una maggiorazione dei costi nuove dighe. Quasi un terzo dei progetti e negli ultimi anni hanno lanciato un’azioregistrati nel 2011 sono progetti idroelettrici 12 Il ritorno delle grandi dighe ne per affermare un sistema di valutazione volontario, al fine di evitare casi legali e onerose compensazioni. Subito dopo la pubblicazione del lavoro della Commissione Mondiale sulle dighe, l’Associazione Idroelettrica Internazionale (IHA), che raduna i principali gruppi di interesse legati all’industria idroelettrica, ha creato le sue proprie direttive, dandogli il nome di “Linee Guida di sostenibilità dell’IHA”. Nel 2007 l’IHA ha organizzato un confronto con diversi attori, chiamato Sustainability Assessment Forum (HSAF), per discutere come migliorare e implementare le linee guida. La partecipazione è stata limitata a un esiguo gruppo autoselezionato di industriali, istituzioni, agenzie, finanziatori e ad alcune Ong. La società civile dei paesi del sud e le comunità direttamente colpite dai progetti idroelettrici sono state escluse dal processo, che si è concluso nel 2011 con l’approvazione di nuove indicazioni per la sostenibilità nell’industria idroelettrica, l’Hydropower Sustainability Assessment Protocol (HSAP). Questo protocollo adotta un approccio completamente diverso da quello che aveva ispirato il lavoro della Commissione Mondiale sulle dighe. Esso parte dal presupposto che l’industria idroelettrica possa autoregolarsi senza danneggiare la crescita economica e adottando metodi tecnici o tecnologici per risolvere questioni e conflitti ambientali e sociali. L’HSAP è un sistema di valutazione non obbligatorio a punteggio, che serve a misurare la performance dei costruttori durante il processo di pianificazione, co- Il Congresso mondiale dell’Associazione Idroelettrica Internazionale. Foto IHA Central Office, Flickr, licenza CC attribuzione. struzione, implementazione e gestione degli impianti. Il meccanismo non prevede alcuna forma di penalizzazione per i promotori di progetti che perseguono standard al ribasso, così come non c’è garanzia sull’indipendenza stessa in merito all’assegnazione dei punteggi. Il protocollo viene sostanzialmente utilizzato per eseguire operazioni di greenwashing delle dighe e garantire ai costruttori un ritorno di immagine. Ormai da tempo l’IHA è impegnata in un’azione di lobby finalizzata ad affossare definitivamente le raccomandazione della Commissione Mondiale delle dighe, cercando di promuovere l’HSAP. L’IHA è infatti registrata11 tra le organizzazioni che fanno lobby nei confronti delle istituzioni europee. 11 http://ec.europa.eu/transparencyregister/public/ consultation/displaylobbyist.do?id=15387877065-85 Il ritorno delle grandi dighe 13 2.3 Il decennio del dragone il mercato chiave per gli investimenti cinesi e contribuisce al 44 per cento dei profitti di Sinohydro all’estero, seguita dall’Asia con il 33 e il Medio Oriente con il 22 per cento. In poco più di dieci anni, la Cina è divenuta il principale partner commerciale del continente africano, rimpiazzando spesso il ruolo delle tradizionali istituzioni finanziarie internazionali. L’adesione della Cina all’Organizzazione Mondiale del Commercio, avvenuta nel 2011, ha profondamente cambiato l’economia mondiale e più in generale le relazioni Nord-Sud. Negli ultimi dieci anni, le riserve liquide in valuta estera del Paese sono cresciute fino a raggiungere gli attuali 3,2 trilioni di dollari. Fondi accumulati grazie a un record L’Africa rappresenta di surplus commerciale: 160 oggi il mercato chiave miliardi nel 2011 e 231 miliardi per gli investimenti nel 2012, con i quali la Cina cinesi e contribuisce ha superato gli Stati Uniti, al 44 per cento dei divenendo la prima potenza profitti di Sinohydro commerciale globale. all’estero Pechino ha usato questo denaro per comprare titoli di Stato americani (la Cina detiene oggi circa l’8,5 per cento dell’intero debito estero degli Stati Uniti), per investire sui mercati finanziari attraversi la China Investment Coorporation – un fondo di investimento creato nel 2007 con un budget di 200 miliardi di dollari – e in moltissime infrastrutture all’estero attraverso l’agenzia di credito all’esportazione nazionale. Fin dal 1999 il governo cinese ha promulgato provvedimenti atti a incoraggiare le società nazionali ad operare all’estero. La Sinohydro è oggi la più grande società idroelettrica del mondo. Secondo i dati forniti da International Rivers, ad agosto 2012 c’erano almeno 308 progetti aperti di dighe in 70 paesi che vedono il coinvolgimento di società o attori finanziari cinesi. L’Africa rappresenta oggi 14 Il ritorno delle grandi dighe A differenza dei paesi e delle istituzioni occidentali, che hanno operato nel Sud globale in nome dello “sviluppo”, imponendo ai paesi beneficiari riforme politiche ed economiche, la Cina considera ogni altro paese come un partner commerciale. Non chiede altro che un buon ritorno per i capitali investiti. Pechino di fatto è priva delle ambizioni imperialiste che hanno segnato l’intervento occidentale nei paesi del Sud del mondo, che non hanno fatto altro che rinnovare attraverso altri strumenti un sistema coloniale di sfruttamento. Questa ondata di investimenti dell’ex Impero di Mezzo nel settore idroelettrico ha creato tra le istituzioni finanziarie e le società del settore una vera e propria “paranoia cinese”, costruita sull’assunto che “se non lo facciamo noi, lo faranno i cinesi... sicuramente peggio!”. Il decennio del dragone ha contribuito a far sciogliere come neve al sole le preoccupazioni ambientali e sociali che molto faticosamente le organizzazioni della società civile erano riuscite a far prevalere. Diga delle Tre Gole, 14 Marzo 2009, foto Tomasz Dunn, wikimedia (CC BY 2.0) BOX 2 La diga delle Tre Gole in Cina La Diga delle Tre Gole, sullo Jangtze, capace di produrre 22,5 gigawatt di energia, è una sorta di monito permanente per tutti coloro che intendono proseguire indisturbati con il business dei grandi impianti idroelettrici. Costata oltre 40 miliardi di dollari, almeno a dar retta alle cifre ufficiali del governo cinese, nei 17 anni che ci sono voluti per realizzarla ha provocato lo sfollamento di un milione e 300mila persone. Un conto ancora aperto, secondo quanto affermano varie articoli di stampa. È infatti scontato che in migliaia dovranno ancora lasciare le loro abitazioni e causa della minaccia di frane che incombe su una vasta area impattata dalla costruzione della diga (il cui conseguente bacino artificiale ha la stessa superficie dell’isola di Singapore). Negli ultimi due decenni il livello di rischio idro-geologico è aumentato del 70 per cento e i costi ambientali e sociali sono ormai fuori controllo, tanto da rappresentare uno dei temi caldi per la nuova leadership cinese. La qualità dell’acqua del fiume è nettamente peggiorata. L’Ong statunitense International Rivers ha potuto stimare che fra il 2000 e il 2005 l’inquinamento idrico è più che raddoppiato. Questo perché il tratto dello Yangtze imbrigliato dal mega sbarramento ha finito per sommergere fabbriche, discariche e miniere che non erano state anticipatamente bonificate. Il ritorno delle grandi dighe 15 2.4 La più grande banca è carioca Il Brasile è uno dei più grandi costruttori di dighe al mondo. L’approvvigionamento energetico del Paese è altamente dipendente dall’idroelettrico, con l’80 per cento della produzione derivante da grandi e piccole dighe. Il Brasile ospita il più grande polmone verde del mondo, l’Amazzonia, dove vivono ancora oggi moltissime comunità indigene. I governi che si sono succeduti dal duemila a oggi hanno completamente ignorato le raccomandazioni della Commissione mondiale sulle dighe, sostenendo che esse rendono difficile lo sviluppo di nuovi progetti. Brasilia è pronta a sferrare un colpo letale all’Amazzonia, avallando la costruzione sul suo territorio di sessanta progetti idroelettrici, inclusa la controversa diga di Belo Monte. Il motore finanziario dello sviluppo infrastrutturale nazionale e regionale è la Banca Brasiliana di Sviluppo (BNDES), un istituto finanziario interamente di proprietà dello Stato che negli ultimi cinque anni ha triplicato il suo volume d’affari. Oggi è la più grande banca pubblica al mondo, con un portfolio di 81 miliardi di euro nel 2012. Il MAB, movimento brasiliano che riunisce le comunità negativamente colpite dalla costruzione delle dighe, ha calcolato che un milione di persone hanno perso le loro case, le terre e stravolto completamente il proprio stile di vita a causa della costruzione di impianti idroelettrici. Nel 70 per cento dei casi non hanno ottenuto alcuna compensazione per tutto ciò. 16 Il ritorno delle grandi dighe Il ruolo del Brasile nella costruzione di dighe sta crescendo a livello regionale. La banca brasiliana ha in programma di aumentare progressivamente i suoi investimenti in tutta l’America Latina. Alcune multinazionali accusano la BNDES di prestare soldi a tassi sussidiati alle imprese brasiliane, alterando la concorrenza. Imprese come Odebrecht, OAS e Camargo Correa sono oggi attive in tutta l’America Latina. In particolare Odebrecht è oggi una delle più grandi multinazionali brasiliane ed è l’impresa che maggiormente ha beneficiato dal boom delle infrastrutture nella regione. Nell’ambito del programma multilaterale IIRSA, finanziato dalla Banca Interamericana di Sviluppo (IDB), la Corporazione Andina di Sviluppo (CAF) e il BNDES, l’Odebrecht ha ottenuto centinaia di milioni di dollari in contratti, giocando un ruolo chiave nella costruzione di dighe in tutta l’area. L’Odebrecht è una delle imprese che genera più conflitti sociali in America Latina. Spesso è stata accusata da organizzazioni della società civile e dai sindacati di violare i diritti umani e quelli dei lavoratori. Belo Monte Con una potenza prevista di 11.233 megawatt e un costo stimato pari a otto miliardi di euro, la diga di Belo Monte è concepita per diventare la terza al mondo dopo quella delle Tre Gole, in Cina, e di Itaipú, alla frontiera tra Brasile e Paraguay. Per realizzare l’impianto è prevista l’inondazione di circa 500 chilometri quadrati di foresta amazzonica che colpirà direttamente o indirettamente 66 comuni e 11 terre indigene, tutelate dalla Costituzione, in un’area in cui abitano 19mila persone che dovranno essere evacuate e rilocate altrove. Per questa ragione negli ultimi anni si sono moltiplicate le proteste a livello locale, ma anche internazionale. Nel 2012 un rapporto del Comitato di Esperti sull’Applicazione delle Convenzioni e delle Raccomandazioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) ha stabilito che il governo brasiliano ha violato i diritti delle popolazioni indigene della regione amazzonica di Xingu. Nello studio si evidenzia come non siano state condotte le consultazioni con le comunità impattate dai lavori di realizzazione del mega impianto idroelettrico, in piena violazione della Convenzione Internazionale numero 169 (in particolare del suo articolo 15) sul consenso previo, informato e libero su progetti di questo tipo. La Convenzio- Belo Monte, “A Call to President Dilma”, Xingu River, Brazil (15 giugno, 2012) (Photo credit: Atossa Soltani/ Amazon Watch / Spectral Q) Licenza CC BYNC-SA 2.0 ne è stata ratificata dal Brasile nel 2002 ed è entrata a far parte della normativa nazionale dopo un decreto del Presidente Lula nel 2004. Come visto, il progetto è altamente controverso, tanto che i lavori sono stati spesso bloccati da corti federali brasiliane - al momento di andare in stampa c’è il nulla osta per i lavori, dopo che la Corte Suprema ha ribaltato un precedente pronunciamento di un tribunale federale. Oltre agli evidenti impatti socio-ambientali, nell’estate del 2013 sono spuntate fuori anche le accuse di traffico di esseri umani, delle quali si sta occupando il competente comitato parlamentare. Il ritorno delle grandi dighe 17 2.5 A volte ritornano: la nuova strategia energetica della Banca Mondiale I progetti idroelettrici regionali possono servire a espandere il mercato e a facilitare la creazione di di sistemi di interconnessione elettrica, abbassando i costi per tutti”. La Banca Mondiale è stata per molti anni il più grande finanziatore al mondo della costruzione di grandi dighe, avendo investito in 550 grandi progetti idroelettrici in 92 paesi. La World Bank è stata la protagonista dei peggiori disastri mondiali legati alle politiche di sviluppo i cui effetti nefasti sopravvivono ancora oggi. A gennaio 2012, il gruppo Banca Mondiale ha inoltre approvato un ulteriore documento, la strategia di investimenti nel settore delle infrastrutture12, diviso in tre capitoli e in cui i banchieri di Washington si impegnano a veicolare altre risorse finanziarie, provenienti anche da investitori privati, per continuare a promuovere i partenariati pubblico-privati, ovvero la privatizzazione delle infrastrutture e dei servizi a esse collegati. Le ragioni dietro questo rinnovato impegno sono essenzialmente quattro: Come già accennato (vedi capitolo 1), negli anni novanta la Banca ha dovuto affrontare dure critiche per gli impatti dei suoi progetti. Di conseguenza, il finanziamento al settore idroelettrico si è notevolmente ridotto, scendendo nel quinquennio 2000-2004 a 2,4 miliardi di euro. Un taglio di circa il 30 per cento rispetto ai cinque anni precedenti. Ma negli ultimi anni la tendenza sta cambiando. In risposta alla crisi economica globale, l’istituzione ha lanciato due programmi finalizzati a dare una spinta alla costruzione di infrastrutture: l’ “Infrastructure Recovery and Assets Platform” e l’ “Infrastructure Crisis Facility”. Nell’aprile del 2011, ha approvato la sua nuova strategia energetica. In un documento dal titolo “Dare energia allo sviluppo sostenibile” la Banca scrive: “C’è un potenziale di sviluppo enorme nella produzione di energia idroelettrica. Circa i 4/5 del potenziale idroelettrico nei paesi in via di sviluppo devono ancora essere sfruttati. In Africa si sale al 90 per cento, mentre nel Sud Est Asiatico siamo al 70. 18 Il ritorno delle grandi dighe • la competizione della Cina; • utilizzare la leva della crisi per dare una risposta alle multinazionali occidentali; • la narrativa legata ai cambiamenti cli- matici, che annovera l’energia idroelettrica tra le rinnovabili, senza tenere in considerazione alcuna le esternalità ambientali e sociali; • la crescente finanziarizzazione dell’eco- nomia, che richiede nuovi asset sui quali investire sul mercato primario e secondario (vedi paragrafo 4.1). La serie storica di dati relativa agli investimenti della World Bank negli ultimi anni mostra come essa abbia utilizzato la crisi finanziaria per far schizzare gli investimen12 “Transforming Bank Group Engagement in Infrastructure”, World Bank Table 1: World Bank Group Energy Portfolio by Financing Source, FY2007-FY2011 (US$ Millions) Institution FY2007 FY2008 FY2009 FY2010 FY2011 FY2012 2,137 4,778 6,648 10,367 6,064 5,634 552 2,427 3,569 8,140 4,755 3,017 1173 1,932 2,155 1,356 1,200 1,853 Climate Finance 287 333 363 619 100 301 Others4 125 86 561 253 9 463 1,308 2,782 1,650 2,354 1,998 2,054 3,862 7,670 8,332 12,947 8,181 8,177 World Bank IBRD1 IDA 2 3 IFC 5 MIGA6 417 Total Energy Financing 110 33 225 119 489 Table 2: World Bank Group Energy Portfolio by Region, FY2007-FY2011 (US$ Millions) Region Sub-Saharan Africa East Asia and the Pacific FY2007 FY2008 FY2009 FY2010 FY2011 FY2012 1,224 1,261 1,754 5,281 1,156 1,813 251 1,505 1,229 990 2,116 968 Europe and Central Asia 518 1,194 2,295 1,182 2,384 2,331 Latin America and the Caribbean 489 1,157 801 1,948 1,331 551 368 360 806 1,050 67 748 947 2,158 1,446 2,495 1,062 1,710 Middle East and North Africa South Asia Multi-Region Projects 7 Total Energy Financing 65 35 - - 64 55 3,862 7,670 8,332 12,947 8,181 8,177 Fonte: Sito web della Banca Mondiale. http://web.worldbank.org/WBSITE/EXTERNAL/TOPICS/EXTENERGY2/0,,contentMDK:21651596~menuP K:4140787~pagePK:210058~piPK:210062~theSitePK:4114200,00.html ti nel settore energetico nell’anno 2010 e, coerentemente con quanto enunciato nella strategia energetica del 2011, lo spostamento regionale dei finanziamenti verso l’Africa Sub-Sahariana e il Sud Est Asiatico. In Africa quasi tutti i progetti finanziati nel 2012 riguardano lo sviluppo di grandi linee di trasmissioni nazionali e regionali, mentre in Asia un quarto degli investimenti realizzati sono andati a beneficio di un’unica opera in Pakistan, il progetto idroelettrico di Tar- bela, che consiste nell’installazione di 1410 megawatt su una diga già esistente. La Banca Mondiale, nonostante il suo potere economico e politico sia stato ridimensionato a favore del settore privato, come vedremo nel capitolo successivo, continua ancora oggi a investire risorse pubbliche in progetti esclusivamente a favore dei ricchi13 13 “La banca dei ricchi. Perché la World Bank non ha sconfitto la povertà”, Luca Manes e Antonio Tricarico, Terre di mezzo, 2008 Il ritorno delle grandi dighe 19 2.6 La finanziarizzazione dell’economia Viviamo nell’epoca del capitalismo finanziario, dove piuttosto che commerciare beni e servizi, ai fini dell’accumulazione di capitale è molto più vantaggioso scambiare denaro, rischi e altri prodotti associati. Questo, in breve, è ciò che viene comunemente definito “Finanziarizzazione dell’Economia”. Oggi tutti i campi della vita (la casa, le pensioni, la scuola) sono mediati dai mercati finanziari e non solo dal mercato. La finanziarizzazione è molto di più che la semplice evoluzione della mercificazione. Essa riduce tutto il valore scambiato – sia esso tangibile, intangibile, presente o futuro, un servizio o un bene – in uno strumento finanziario trasferibile o in un suo derivato. Stunt davanti alla sede del Forum on Natural Capital, Edimburgo, Novembre 2013. Foto Ric James, World Development Movement La finanziarizzazione trasforma il funzionamento dei sistemi economici operando su tre differenti livelli: la struttura e le operazioni dei mercati finanziari, l’approccio delle corporation non finanziarie, le politiche economiche. La finanziarizzazione sta oggi penetrando tutti i beni primari (commodities) e si sta espandendo dai sistemi riproduttivi (pensioni, salute, istruzione, abitazioni) alla gestione delle risorse naturali. L’approccio finanziarizzato e di mercato alla questione climatica e il suo effetto nell’accelerare la costruzione di nuovi impianti idroelettrici è già stato precedentemente affrontato. Ma non è l’unico. private equity, che hanno già acquisito un ruolo centrale nel settore a livello globale. Le infrastrutture idriche e idroelettriche sono ormai il bersaglio fisso di tali fondi così come le infrastrutture energetiche. Solo un dato di riferimento: fra il 2002 e il 2007 il settore privato ha investito in infrastrutture nei paesi in via di sviluppo 603 miliardi di dollari, a fronte dei 64,6 miliardi della Cina e dei 72,9 miliardi erogati attraverso i programmi di assistenza esterna dai 33 paesi dell’OCSE. Possiamo considerare questa dinamica una terza “era” delle partnership pubblico-privati che segue la svendita del patrimonio pubblico e la creazione dello strumento PPP (partnership pubblico private) per sostenere il business delle imprese private. Il finanziamento delle infrastrutture, infatti, sta attirando sempre più l’interesse di attori finanziari speculativi come hedge funds e In questa terza fase il mercato si organizza per finanziare infrastrutture che servono interessi privati. Due esempi sul fronte 20 Il ritorno delle grandi dighe Hedge fund e private equity I fondi speculativi (in inglese hedge funds) detti anche in italiano fondi hedge, nascono negli Stati Uniti negli anni cinquanta. La definizione di “finanza creativa” è spesso associata alle operazioni speculative che tali fondi possono consentire. Più nel dettaglio hanno l’obiettivo di produrre rendimenti costanti nel tempo, con una bassa correlazione rispetto ai mercati di riferimento, tramite investimenti ad alto rischio finanziario, ma con possibilità di ritorni molto fruttuosi. Sono contraddistinti dal numero ristretto di soci partecipanti e dall’elevato investimento iniziale richiesto. Sono soggetti ad una normativa che, per quanto riguarda la prudenza, è più limitata rispetto a quella che vincola gli altri operatori finanziari. italiano e internazionale: il fondo italiano di Private Equity F2I, che ha rilevato il 40 per cento di Mediterranea, società del Gruppo IREN, nata dalla fusione dei tre principali gestori del servizio idrico dell’ATO genovese, e il controverso progetto della diga di Bujagali, alle sorgenti del Nilo in Uganda contro il quale le comunità locali si battono da 15 anni, finanziato oltre che dalla Banca Mondiale e dalla Banca Europea per gli investimenti dall’hedge fund Blackstone. Sempre più spesso questi fondi speculativi si trovano a “collaborare” con banche pubbliche, come d’altra parte auspicato nella strategia della Banca Mondiale (vedi paragrafo precedente). La Banca Europea per gli Investimenti sembra aver sancito una solida partnership con uno dei più grandi fondi privati al mondo, Blackstone. Insieme hanno finanziato oltre alla controversa diga di Bujagali anche Ruzizi III. Il private equity è un’attività finanziaria mediante la quale un investitore istituzionale rileva quote di una società target (obiettivo), sia acquisendo azioni esistenti da terzi, sia sottoscrivendo azioni di nuova emissione e apportando nuovi capitali all’interno della target. Il private equity include tutti gli investimenti in società non quotate su mercati regolamentati. Le società target possono anche essere quotate, ma intenzionate ad abbandonare la borsa, ed in questo caso si parla di public private equity. Gli investimenti in private equity raggruppano un ampio spettro di operazioni, in funzione sia della fase nel ciclo di vita aziendale che l’azienda target attraversa durante l’operazione di private equity, sia della tecnica di investimento usata. Il ritorno delle grandi dighe 21 3. Quattro storie di fiumi e non solo 3.1. Bujagali e il greenwashing delle istituzioni finanziarie il consorzio iniziò comunque le operazioni di esproprio, che sono ancora oggi oggetto di contenziosi legali. L’idea fu riesumata qualche anno dopo, trovando il pieno sostegno di tutte le principali istituzioni finanziarie internazionali e dell’hedge fund Blackstone. Costo dell’operazione 900 milioni di dollari, di cui seicento in risorse pubbliche provenienti da Banca Mondiale, Banca Europea per gli investimenti, Banca Africana di Sviluppo. Il tutto per la produzione a regime di 250 megawatt. Anche in questo caso un costo elevatissimo, considerato lo scarso investimento sulle Il mega-sbarramento di Bujagali sorge misure di mitigazione ambientale e sociale. a poca distanza del Lago Vittoria, sulle La costruzione della diga viene affidata alla sorgenti del Nilo Bianco. In quell’area sono Salini Costruttori S.p.A., già operativi due vecchi molto attiva nella cemenFin dall’inizio le comunità impianti idroelettrici, tificazione del continente Nalubali e Kira. La storia locali, la coalizione Counter inizia alla fine degli Balance e altre organizzazioni africano. anni Novanta, quando si internazionali hanno segnalato Fin dall’inizio le comuforma il primo consorzio i numerosi problemi legati nità locali, la coalizione costruttore composto al progetto per scongiurare Counter Balance e altre dalle società scandinaorganizzazioni internal’arrivo di finanziamenti ve Skanska, Veidekke e zionali hanno segnalato i General Electric Energy pubblici. numerosi problemi legati e dalla francese Alstom al progetto per sconPower. L’impianto sarebgiurare l’arrivo di finanziamenti pubblici. be poi dovuto essere gestito dall’americana Innanzitutto la scomparsa delle rapide di AES, a quel tempo la più grande società di Bujagali, un sito di estremo valore naturaligenerazione e distribuzione di elettricità al stico, sacro per le comunità locali e impormondo. Il consorzio cessò la sua attività nel tante risorsa turistica, in quanto noto in tut2003, dopo un’esistenza a dir poco travato il mondo per la pratica del rafting. E poi gliata. Gradualmente tutti i suoi membri il preoccupante dato del lago Vittoria che si ritirarono, travolti dalle indiscrezioni su ha visto il suo livello abbassarsi negli ultimi un caso di corruzione rivelato dal quotidiaanni di mezzo metro e la costa ritirarsi in no Uganda Confidential, che adombrava alcuni punti di 200 metri. Dei tre Stati che si la possibilità che la AES avesse pagato una affacciano sul lago Vittoria, Kenya e Tanzatangente all’allora ministro dell’Energia. Ma Quella della diga di Bujagali è una vera e propria saga che, oltre ad aver distrutto un angolo di paradiso, importante risorsa turistica dell’Uganda, ha messo ancora una volta a nudo l’ipocrisia delle istituzioni finanziarie internazionali e dei loro presunti meccanismi di ricorso, volti a proteggere i diritti delle popolazioni locali. 22 Il ritorno delle grandi dighe Uganda. Foto Caterina Amicucci nia hanno sostenuto che la ragione di questa ennesima catastrofe naturale sia da ricercare nella costruzione di diverse grandi dighe sul corso del Nilo Ugandese, principale emissario del lago, mentre l’Uganda attribuisce il processo in atto ai cambiamenti climatici. In ogni caso un dato è certo, il livello dell’acqua si sta abbassando e ciò potrebbe essere la causa del parziale funzionamento delle due dighe già esistenti a monte di quella di Bujagali. Il dubbio che il nuovo impianto non riesca a generare l’elettricità prevista non è ancora stato fugato da nessun tecnico e nemmeno da dati pubblici sul primo anno di funzionamento della diga, inaugurata in pompa magna nell’agosto del 2012 dal presidente Yoweri Museveni e da uno dei soci del consorzio di gestione Bujagali Energy Limited, l’Aga Khan. Tutti gli appelli sono rimasti inascoltati e nel 2007 è iniziata una battaglia a colpi di ricorsi verso i finanziatori internazionali. Una triste parabola che racconta dell’inutilità di questi meccanismi, che non solo creano aspettative nelle comunità locali, ma si trasformano in una gran perdita di tempo. L’Inspection Panel della Banca Mondiale, sollecitato dalle comunità locali, pubblica il suo rapporto alla fine del 2008. Un documento durissimo, che smonta pezzo per pezzo l’intero progetto, arrivando ad affermare che “i benefici economici sono molto inferiori a quanto sostenuto dal management della banca e c’è un alto rischio che il progetto non riesca a raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile [...] Non ci sono prove evidenti che la diga possa avere un impatto economico positivo sulle famiglie a più basso reddito […] Sarebbe meglio Il ritorno delle grandi dighe 23 Uganda. Foto Caterina Amicucci prendere in considerazione la costruzione di un’infrastruttura più piccola e meno rischiosa […]”. E per finire: “In un Paese dove solo il 5 per cento della popolazione è connesso alla rete nazionale e c’è un elevato tasso di povertà, sarebbe del tutto ragionevole che si prestasse la dovuta attenzione alle opzioni di media e piccola scala (e non solo all’opzione idroelettrica), che in teoria potrebbero costituire una risposta adeguata alla povertà, soprattutto nelle zone rurali. Il rapporto rimane sostanzialmente lettera morta. Il board della Banca, che lo approva nel maggio del 2009, non predispone nessuna azione volta a modificare, ripensare o sospendere il progetto. I lavori di costruzione proseguono indisturbati fino al completamento dell’opera. Ancora più ridicolo il fronte europeo. Già nella decisione di approvazione di finanziamento presa dalla BEI nel 2007 la Banca si era impegnata a vincolare l’erogazione del contributo all’esito dell’indagine dell’Inspec- 24 Il ritorno delle grandi dighe tion Panel della Banca Mondiale. Impegno ovviamente mai rispettato. Il meccanismo prevede un doppio grado di giudizio, il primo interno alla Banca stessa, il cosiddetto “ufficio ricorsi”, che ha l’obbligo di condurre un’analisi sul rispetto delle linee guida della stessa banca entro sei mesi. Il secondo è l’Ombudsman, o mediatore europeo, al quale ci si rivolge se l’esito dell’indagine del meccanismo interno non soddisfa il ricorrente. La coalizione Counter Balance ha presentato il ricorso sul caso di Bujagali al meccanismo interno della BEI nel novembre del 2009. Esattamente due anni dopo, l’ufficio ricorsi della banca non aveva ancora reso pubblici i risultati dell’investigazione interna. In questo periodo la banca ha continuato a sborsare le tranche previste dal contratto fino, alla completa erogazione del prestito. Counter Balance e le comunità locali rappresentate dalla ONG ambientalista ugandese NAPE si sono quindi rivolte all’Ombudsman denunciando i tentativi interni alla banca di ostacolare la pubblicazione del rapporto. L’ufficio dell’Ombudsman europeo ha aperto un’indagine sul tema e predisposto un’ispezione, svoltasi il 17 gennaio 2013, e durante la quale ha preso visione di tutta la corrispondenza interna della staff della Banca relativa al ricorso su Bujagali. Il Rapporto di ispezione inviato ai ricorrenti a maggio 2013 dice “ L’Ombudsman Europeo ha identificato alcune e-mail che sembrano confermare gli argomenti dei ricorrenti relativi al ritardo subito dalla pubblicazione del documento, in particolare l’assenza delle risorse umane adeguate a gestire i ricorsi e pressioni interne.” Purtroppo però le conclusioni dell’ufficio del mediatore europeo sono deludenti. Pur riconoscendo le difficoltà create dallo staff nella pubblicazione del report, l’Ombudsman plaude alla banca per aver preso alcune misure amministrative interne per risolvere questi problemi, tra le quali l’approvazione di linee guida interne e il rafforzamento dello staff dell’ufficio ricorsi. Intanto la BEI pubblica il rapporto conclusivo ammettendo che alcuni elementi sono stati identificati ma non adeguatamente valutati in sede di valutazione di progetto ma non attribuisce alla banca nessuna violazione e nessuna responsabilità. Durante i due anni impiegati dalla banca ad esaminare il ricorso la BEI, eroga il prestito e la diga viene completata. La vicenda di Bujagali insegna che i meccanismi di ricorso e ispezione delle istituzioni finanziarie ed europee sono solo operazioni di greenwashing, che molto raramente producono risultati favorevoli ai cittadini e le comunità locali. 4.2. Il retaggio coloniale italiano in Etiopia: da Gilgel Gibe a Millennium Sull’affare Gilgel Gibe si è scritto, detto e fatto molto negli scorsi anni. Si tratta di una serie di dighe, alcune progettate, altre realizzate, sul fiume Omo, nel sud dell’Etiopia. Per una trattazione completa del caso si rimanda ai rapporti14 prodotti nell’ambito della campagna STOPGIBE315 promossa da International Rivers, CounterBalance e Survival International. In questa sede vogliamo ripercorrere i tratti essenziali della vicenda ed evidenziarne gli sviluppi relativi all’attualità. I protagonisti della storia sono da un lato un governo dalla dubbia caratura democratica, capeggiato dall’allora presidente Meles Zenawi, nel frattempo deceduto, esponente di un’oscura oligarchia politica riunita nel partito di governo Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front (EPRDF). Una realtà politica che tiene in mano il Paese da tredici anni, perseguitando e incarcerando oppositori politici e giornalisti, con il pieno sostegno di Europa e Stati Uniti, che vedono nell’Etiopia un importante baluardo antislamico. 14 “L’affare Gilgel Gibe: tutto quello che la cooperazione non dovrebbe fare” (http://stopgibe3.it/?p=18) e « Fino all’ultima goccia. Un’analisi dell’impatto della diga Gilgel Gibe 3 sul lago Turkana in Kenya » (http:// stopgibe3.it/?p=393) 15 www.stopgibe3.it, www.stopgibe3.org Il ritorno delle grandi dighe 25 Dall’altro lato c’è un’azienda italiana, la Salini Costruttori S.p.A. Una società che dai tempi dell’inizio della vicenda Gibe, che risale ai primi anni duemila, ha fatto molta strada, realizzando una vera e propria scalata al settore delle costruzioni nel nostro Paese, iniziata con l’acquisizione della Todini Costruzioni nel 2010 e arrivando a conquistare, attraverso la recente fusione, quella che già era la più grande società di costruzioni di infrastrutture in Italia, l’Impregilo. Oggi il gruppo Salini-Impregilo ha una sorta di monopolio nazionale, mentre all’estero agisce anche in cordata con i suoi diretti concorrenti, come nel caso del mega appalto da sei miliardi di euro per la costruzione della metro di Riyadh ottenuto insieme ad Ansaldo STS. La Salini costruttori vanta una vera e propria alleanza strategica con i governi dell’EPRDF. A partire dalla fine degli anni Novanta, si aggiudica i contratti di costruzione degli impianti Gilgel Gibe I, II e III, della diga di Beles, fino ad arrivare al recente megaprogetto conosciuto con due nomi a dir poco pomposi: diga Millennium o della grande Grande Rinascita. Gilge Gibe I, un impianto di 184 megawatt, viene finanziato principalmente dalla Banca Mondiale e dalla Banca Europea per gli Investimenti. Il secondo impianto inaugura la pratica della trattativa diretta, sparisce la gara d’appalto, impresa e governo si accordano direttamente su progetti e contratti. La Banca Mondiale si ritira ed entra in scena la Cooperazione Italiana, che per Gilgel Gibe II elargisce al governo etiope un prestito di ben 220 milioni di euro, solo pochi mesi 26 Il ritorno delle grandi dighe Etiopia, valle del fiume Omo. 2007. Foto Caterina Amicucci dopo averne cancellati trecento nell’ambito dell’inizitiva HIPC16. La costruzione dell’impianto Gibe II attraversa numerosi problemi, incluso il crollo del tunnel subito dopo l’entrata in funzione dell’impianto17. 16 L’iniziativa Heavily Indebted Poor Countries (HIPC), ha avuto lo lo scopo di cancellare il debito dei paesi maggiormente indebitati sotto alcune condizioni legati alla lotta alla povertà. Il programma fu iniziato nel 1996, congiuntamente dal Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. 17 « Il colosso di argille », servizio del TG3 del 3 febbraio 2010, www.stopgibe3.it Ma gli impianti di Gilgel Gibe I e II sono Com’è ormai prassi di questo sodalizio italoben poca cosa di fronte al colossale progetto etiope, non c’è stata nessuna gara d’appalto, Gilgel Gibe III. Uno sbarramento gigannessuno studio di fattibilità e di valutazione te sul fiume Omo, finalizzato a produrre di impatto ambientale previo e chi osa levare 1750 megawatt da esportare in Kenya, che critiche viene sbattuto in carcere. Nel 2012, trasformerà definitivamente l’ecosistema dal International Rivers ha commissionato a un quale dipendono a valle milioni di persone, ricercatore in loco, la cui identità è anonima comunità tribali che vivono di un’agricoltuper ragioni di sicurezza, un rapporto per ra stagionale legata alle piene naturali del raccogliere informazioni sul campo19. fiume. Governo e impresa pretendono di utiIl progetto è infatti circondalizzare fondi pubblici per to da un alone di segretezza realizzare questo scempio: Gilgel Gibe III prevede e dall’ambizione dell’Etiopia 250 milioni dalla Coopera- uno sbarramento di farcela da sola, al punto zione italiana, cento dalla gigante sul fiume Omo, BEI, altri 150 dalla Banca finalizzato a produrre 1750 da lanciare i bond millennium per finanziare l’opera, Africana di Sviluppo. La megawatt da esportare in facendo appello soprattutto campagna STOPGIBE III all’orgoglio nazionale degli riesce nell’intento di bloc- Kenya, che trasformerà definitivamente etiopi all’estero. L’iniziativa care tutti i fondi pubblici però non sembra aver racdi istituzioni “occidentali”, l’ecosistema dal quale colto il consenso auspicato e ma il governo decide di dipendono a valle milioni non è chiaro come il governo proseguire comunque, cre- di persone troverà i soldi necessari. L’Eando un’inedita partnertiopia è ancora oggi il quinto ship tra Salini costruttori beneficiario mondiale dei fondi di aiuto allo e investimenti cinesi. La diga è tutt’ora in sviluppo. Nel 2011, ha ricevuto 3,6 miliarcostruzione. Intanto la furia distruttrice del di di dollari per assistenza umanitaria che governo Etiope non si ferma. corrispondono al 12 per cento del PIL. Nel 2010, l’organizzazione Human Rights Watch Verso la fine del marzo 2011, il presidente (HRW) ha invitato il DAG (Development Zenawi annuncia di voler costruire la diga Assistance Group), un coordinamento dei più grande d’Africa. Un progetto da 5250 26 principali donatori in Etiopia, a indagare megawatt sul Nilo Blu. Contemporaneamensull’utilizzo dei fondi da parte della autorite la Salini annuncia di essersi aggiudicata il tà etiopi. Il gruppo, guidato da istituzioni “più grande contratto mai siglato da un’imeuropee e americane, non ha ritenuto degne presa italiana all’estero”18. Valore:3,3 miliardi di euro (successivamente di attenzione le critiche di HRW e non ha superato dalla metro di Riyadh). aperto alcun procedimento. 18 http://www.salini.it/news/salini-costruira-la-piugrande-diga-dafrica-2 19 http://www.internationalrivers.org/files/attachedfiles/grandren_ethiopia_2013.pdf Il ritorno delle grandi dighe 27 4.3. Le avventure idroelettriche della BEI a Panama La Banca Europea per gli Investimenti opera in America Latina dal 1993, dietro un mandato periodico affidatogli dal Consiglio dell’Unione Europea che si chiama ALA (Mandato Asia e America Latina). Il mandato è necessario, in quanto la missione statutaria della Banca è il finanziamento all’interno dell’Unione Europea. Le operazioni fuori dall’UE devono quindi essere ciclicamente autorizzate, in genere ogni sei anni, dalle istituzioni politiche dell’Unione che definiscono anche il tetto finanziario complessivo per ogni area geografica. Tra il 1993 e il 2012, nell’ambito del mandato ALA, la banca ha investito un totale di 10,5 miliardi di euro. Il primo paese beneficiario dell’America Latina è Panama. Una realtà di appena tre milioni e mezzo di abitanti, riconosciuta come centro nevralgico del riciclaggio di denaro sporco e sicuro paradiso fiscale per le società registrate sul suo territorio. Il paese vanta anche la zona franca commerciale di Colon, seconda per importanza solo a quella di Hong Kong, con un volume di affari che si aggira sui 20 miliardi annui. Degli 831 milioni di euro investiti a Panama dalla BEI, la maggior parte ha riguardato il settore delle infrastrutture. Basta passeggiare per la capitale, che oggi vanta uno skyline che non ha nulla da invidiare a una città degli Stati Uniti, per capire quale sia la mole di capitali finiti nel settore immobiliare negli 28 Il ritorno delle grandi dighe ultimi dieci anni. Ma la bolla immobiliare è esplosa anche qui e l’intrepido Ricardo Martinelli, una sorta di Berlusconi panamense, che governa il paese dal 2009, si è prodigato affinché l’enorme mole di cash flow fosse dirottato sul settore delle infrastrutture, incluse quelle idroelettriche. Nonostante il paese produca già quasi il doppio di elettricità rispetto alla domanda interna nei momenti di picco, le nuove licenze accordate per la costruzione di nuovi impianti sono arrivate a essere oltre cento. Una di queste riguarda il progetto di Barro Blanco nella provincia di Chiriquì, divenuta negli ultimi anni una meta privilegiata dei pensionati statunitensi. Questo fenomeno ha avuto un impatto piuttosto forte sulle comunità locali, trasformando profondamente la cultura, gli stili di vita e lo stesso territorio. Nel Chiriquì vivono diversi gruppi indigeni, il più numeroso è quello dei Ngobe-Buglè. Sulle rive del fiume Tabasarà si trovano circa cinquemila indigeni, che dal 1999 si oppongono a questo progetto. Nello scorso decennio dispute legali e convinte proteste avevano portato la Corte Suprema a sospenderlo. Con l’ascesa di Martinelli, il progetto riprende vigore. Si tratta di una diga alta 61 metri, che dovrebbe produrre 28,8 megawatt, inondando 258 ettari di terra. La società Genisa viene creata appositamente per la realizzazione dell’impianto e nel 2008 presenta la richiesta della licenza, che ottiene nel tempo record di cinque mesi. La valutazione di impatto ambientale non solo non prende in considerazione l’impatto della diga sulle comunità, ma omette completamente la loro esistenza. Nel 2009, l’impresa si rivolge alla BEI per un prestito di 40 milioni di Euro, ma chiede anche fondi alla lFMO, la banca di sviluppo olandese, e alla Kfw, la sua omologa tedesca. Nell’estate del 2010, il movimento di solidarietà con gli indigeni M10 presenta un ricorso alla Bei denunciando le mancate consultazioni delle comunità e le falle dello studio di impatto. Contemporaneamente la rete europea Counter Balance annuncia una missione sul campo. L’ufficio ricorsi della BEI ritiene ammissibile la denuncia e prepara a sua volta una missione nel paese. Una settimana prima del quasi concomitante arrivo degli attivisti e degli ispettori della banca, la società Genisa ritira la richiesta di finanziamento, ufficialmente per un rischio reputazionale legato all’ispezione. Spiegazione raffazzonata e difficile da credere per una società creata appositamente per la realizzazione dell’impianto. Su diversi siti di giornalismo investigativo viene suggerito che Ricardo Martinelli sia azionista di Genisa e di un altro controverso progetto mine- rario, l’enorme miniera d’oro di Petaquilla. Ma Panama, si sa, protegge con l’assoluta confidenzialità tutti gli investitori, a maggior ragione se sono capi politici. Fortunatamente nel caso di Barro Blanco l’alleanza fra comunità locali e attivisti internazionali è fino ad oggi riuscita nell’intento di ostacolare la realizzazione dell’opera, nonostante essa penda ancora come una spada di Damocle, insieme a numerosi progetti minerari, sul futuro delle comunità indigene della valle de fiume Tabasara. Nel caso dell’impianto di Dos Mares, purtroppo si è arrivati troppo tardi. Si tratta di una cascata di tre turbine pensate per produrre 115 megawatt sul bacino del fiume Chiriquì, dove l’acqua viene canalizzata da un fiume all’altro. Il progetto è della multinazionale francese GDF-Suez, per un costo di 422 milioni di dollari, di cui 211 provenienti dalle casse della BEI. Una spesa elevata per una tipologia di impianto che non solo non prevede una grossa infrastruttura, ma che è stata realizzata attraverso tecnologie di basso costo. I canali di adduzione sono infatti scavati nella terra e ricoperti di plastica. Già nel 2010 la missione sul campo di Counter Balance aveva potuto verificare che, nonostante l’impianto non fosse ancora in funzione, i fogli di plastica che ricoprivano il fondo dei canali si erano deteriorati e galleggiavano sull’acqua. Il progetto è stato inizialmente contestato dagli allevatori locali a causa dell’accaparramento di terra da parte dell’impresa. Una quantità eccessiva rispetto alle dimensioni dell’impianto, che ha dato adito al sospetto Il ritorno delle grandi dighe 29 di speculazione per altri fini. Le contestazioni sono state sopite dall’impresa attraverso i consolidati strumenti di acquisto del consenso. A ottobre del 2011 le turbine di una delle tre centrali sono franate a causa delle forti piogge e a testimonianza della scarsa qualità dell’impianto, che è entrato in funzione solo recentemente. di Angra in Brasile, l’immenso parco eolico nell’istmo di Oaxaca in Messico che si uniscono alla consolidata presenza diretta di ENEL Green Power in Guatemala. Progetti contro i quali le comunità indigene e non dell’America Latina si battono da anni20 e sui quali appare rilevante esaminare gli interessi e l’approccio dell’ENEL. La compagnia di Viale Regina Margherita compra Endesa proprio perché il business della 4.4. La politica estera di ENEL società spagnola è cruciale. Da un lato un mercato in espansione i cui utili compensaA giugno del 2009 l’ENEL acquista da Acciono la flessione sul fronte italiano e spagnolo, na il restante 25 per cento per cento di Endall’altro la possibilità di accedere al Mecdesa, completando il controllo di quella che canismo di Sviluppo Pulito (cfr capitolo 2) era l’impresa elettrica spagnola e di cui oggi e di poter compensare le emissioni provola compagnia italiana detiene il 92 per cento cate dalle centrali a carbone in Italia, dove delle azioni. Il costo totale dell’operazione è l’ENEL gestisce otto impianti che producono di 12 miliardi di euro. La transazione è curacomplessivamente 8 gigawatt di energia eletta da una cordata di banche guidata dall’istitrica. Il tutto per un quantitativo di anidride tuto di credito spagnolo Santander. Quattro carbonica immesso in atmoanni dopo, l’utile di ENEL crolla sfera pari a 10 milioni di tonCon Endesa, l’ENEL del 79 per cento, passando dai non fa solo un pessimo nellate l’anno. La più grande 4,1 miliardi dell’anno preceè la centrale di Civitavecchia, dente a 860 milioni. Il motivo è affare, ma eredita il che genera 1,8 gigawatt e semplice, Endesa è stata acqui- retaggio coloniale le cui emissioni potrebbero sita a un prezzo doppio rispetto dell’impresa spagnola essere compensate con la al valore ragionevole dell’imprein America Latina. realizzazione di 15 dighe pari sa, proprio nello stesso periodo a quella di El Quimbo attualin cui la banca spagnola rifila mente in costruzione sul fiume Maddalena l’Antonveneta al Monte dei Paschi di Siena nello stato colombiano del Huila. per quei 10 miliardi di euro che sono all’origine del crack della banca toscana. Con Endesa, l’ENEL non fa solo un pessimo affare, ma eredita il retaggio coloniale dell’impresa spagnola in America Latina. Progetti come le dighe di Hidroaysén nella Patagonia e le centrali idroelettriche nelle aree Mapuche del sud del Cile, la diga di El Quimbo in Colombia, la centrale nucleare 30 Il ritorno delle grandi dighe Non si vuole in questa sede trattare i singoli casi di conflitto tra l’ENEL e le comunità locali in America Latina, per i quali si rimanda a diverse pubblicazioni esistenti21, quanto 20 Per approfondimenti : www.stopenel.org, www. patagoniasenzadighe.org, www.patagoniasinrepresas. org, www.quimbo.com.co 21 Per una panoramica sui conflitti ambientali pro- Guatemala. Foto Caterina Amicucci piuttosto sottolineare alcuni aspetti del modus operandi di Endesa/ENEL in questi paesi. La multinazionale italiana, controllata al 31 per cento dal ministero dell’Economia e delle Finanze e il cui dividendo nel 2012 è stato 440 milioni di euro, nelle sue operazioni in America Latina presenta dei punti veramente oscuri. In Guatemala l’ENEL ha costruito l’impianto idroelettrico di Palo Viejo, nella regione Maya Ixiles del Quichè, facendo affari con un sanguinario latifondista. La licenza per la costruzione dell’impianto è stata rilasciata dalle autorità competenti alla società “Agricola Cafetalera Palo Viejo”, di proprietà di Pedro Celestino Brol, a fronte di un vocati da ENEL all’estero consultare la pubblicazione «ENEL-L’energia per chi? A Quale costo?», http://www. recommon.org/enel-energia-per-chi-a-quale-costo/ versamento di 40 mila dollari nel 2008 e poi modificata a fronte di altri 40 mila dollari. Ma che cos’è la Cafetelera Palo Viejo? Chi è Pedro Celestino Brol e che cosa c’entra con l’ENEL? Pedro Brol è un accaparratore di terra che nel corso del secolo scorso ha messo insieme 14 mila ettari, i più fertili dei municipi di San Juan Cotzal e Uspantán sottraendoli alle comunità contadine e indigene attraverso raggiri e beneficiando delle leggi che nel secolo scorso hanno favorito l’accumulazione privata. Oggi il fondo è noto come Finca San Francisco e vi si coltiva caffè, facendo ricorso allo sfruttamento dei lavoratori e al lavoro minorile. Durante il conflitto degli anni Ottanta, la famiglia Brol partecipò attivamente alla repressione contro la popolazione Ixil e Quiché ospitando nella tenuta un distaccamento militare Il ritorno delle grandi dighe 31 dell’esercito ed eseguendo direttamente esecuzioni extragiudiziarie, massacri e rapimenti. L’impianto elettrico di Palo Viejo è situato dentro la Finca San Francisco. Nel 2008, l’Enel ha acquistato il progetto dall’Agricola Cafetalera di Palo Viejo (ACPV) riconoscendo alla famiglia Brol un ammontare, pari a 3,36 milioni di dollari,corrisposto alla data della firma dell’accordo, relativo all’usufrutto delle proprietà immobiliari su cui si sviluppa il progetto idroelettrico di Palo Viejo, e una royalty annuale pari all’8,5 per cento dei ricavi dalla vendita di energia prodotta dall’impianto. Anche in Colombia ENEL non si dimostra un’impresa portatrice di sviluppo e prosperità per le comunità locali. Il governo di Alvaro Uribe nel 2008 recupera il progetto idroelettrico di El Quimbo, un’idea che risale agli anni settanta ma scartata nel 1997 dal ministero dell’Ambiente, che non la ritiene fattibile a causa dei costi sociali ed economici troppo elevati e per l’impatto che la distruzione di un’area agricola di tale importanza avrebbe avuto sul paese. Si tratta infatti di una mega-diga destinata ad inondare 8.300 ettari di terra fertile, dove vivono e lavorano 13.000 persone. Nel 2008, Uribe, senza consultare i municipi e le comunità interessate come previsto dalla legge ed in assenza della licenza ambientale, dichiara l’area di utilità pubblica e pochi giorni prima della fine del suo mandato approva una legge che consente la rinegoziazione delle misure prevista dalla valutazione di impatto ambientale. Quando l’ENEL subentra a Endesa, le compensazioni e le misure di 32 Il ritorno delle grandi dighe mitigazione vengono rinegoziate al ribasso a scapito dei contadini, dei pescatori e dei lavoratori locali, che si rifiutano di abbandonare le loro terre e sono stati più volte sgomberati dalle forze speciali dell’esercito e dal battaglione “energetico” stanziatosi nell’area a protezione del cantiere. In Cile l’ENEL si distingue per l’intenzione di distruggere una porzione di Patagonia con la costruzione di 5 dighe sui fiumi Baker e Pascua e di una linea di trasmissione di 2500 chilometri, che dovrebbe portare l’energia elettrica dall’estremo sud all’estremo nord del paese per alimentare il settore estrattivo minerario. Fortunatamente del progetto Hidroaysèn per ora c’è solo una valutazione di impatto ambientale approvata, che non comprende nemmeno la linea di trasmissione. Il rallentamento dell’iter progettuale è stato possibile grazie a una grandissima mobilitazione nazionale e internazionale. La maggioranza dei cileni si dichiara contraria al progetto e anche per questo il consorzio Hidroaysèn, formato al 51 per cento da Endesa/ENEL e per il restante 49 dall’impresa cilena Colbùn, ha cercato di influenzare l’opinione delle istituzioni e delle comunità locali attraverso la distribuzione di ingenti somme di denaro ai municipi interessati, alle associazioni di cittadini e perfino a degli individui. Queste iniziative sono state giustificate dall’impresa come programmi di responsabilità sociale, ma ultimamente sembra abbiano anche perso vigore a causa dell’incertezza che aleggia intorno all’intero progetto. Forse si potrà riuscire a salvare almeno la Patagonia.