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parole profetiche - Pontificio Istituto Giovanni Paolo II

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parole profetiche - Pontificio Istituto Giovanni Paolo II
PAROLE PROFETICHE
La terza tappa del nostro viaggio nell'Antico Testamento è dedicata ai libri profetici. 1
Il Deuteronomio pone sulle labbra di Mosé il seguente annuncio: “Un profeta in mezzo a te,
tra i tuoi fratelli, come me farà sorgere per te il Signore tuo Dio: a lui dovrete dare ascolto” (Dt
18,15); annuncio confermato dal Signore stesso: “Un profeta farò sorgere per loro in mezzo ai loro
fratelli come te:2 porrò le mie parole sulla sua bocca e dirà loro tutto ciò che gli comanderò” (Dt
18,17). Non è intesa qui una figura singola di profeta, ma piuttosto l'istituzione profetica.
Giova ricordare a questo proposito che tale istituzione non è esclusivamente israelitica, ma è
attestata presso altri popoli dell’Antico Oriente, almeno nell’area semitica.3 In materia di profezie il
materiale comparativo di cui disponiamo4 è molto meno esteso di quanto lo sia quello che abbiamo
in materia di legislazione.5
1 Nella divisione tradizionale della Bibbia ebraica si distingue tra Profeti primi e ultimi. I primi sono Giosuè, Giudici,
Samuele e Re (che fanno parte di quelli che nelle Bibbie cristiane sono spesso chiamati libri storici). Gli ultimi sono
Isaia, Geremia, Ezechiele e i Dodici (Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo,
Zaccaria, Malachia). Quando nel presente studio parliamo di libri profetici, intendiamo i Profeti ultimi.
2 “Come” non significa “eguale a”. Secondo Nu 12,6-8 i profeti ricevono la comunicazione della parola divina in
visione o in sogno, a differenza di Mosé che parla con il Signore faccia a faccia. Dalla superiorità di Mosé su ogni
profeta (cfr. Dt 34,10-11) discende la superiorità della legge su ogni profezia. Vedi C. NIHAN , «Un prophète comme
Moïse (Dt 18,15). Genèse et relectures d'une construction deutéronomiste», in La construction de la figure de Moïse,
ed. T. RÖMER, Parigi 2007 (Transeuphratène Supplément 13), 43-76.
3 Nei libri dei Re sono menzionati profeti di Baal (cfr. 1 Re 18,19-40; 2 Re 10,19) e di Ashera (cfr. 1 Re 18,19), attivi
nel regno di Israele all'epoca di Achab.
4 Lo si trova raccolto in Prophets and Prophecy in the Ancient Near East, edd. M. N ISSINEN et alii, Writings of the
Ancient World 12, Atlanta 2003. In lingua italiana abbiamo Le profezie di Mari, ed. L. CAGNI, Testi del Vicino Oriente
Antico 2/2, Brescia 1995.
5 Vedi lo studio di P. MERLO, «Il profetismo nel Vicino Oriente antico: panoramica di un fenomeno e difficoltà
comparative», in Religione biblica e religione storica dell'antico Israele: un monopolio interpretativo nella continuità
culturale, ed. G.L. PRATO , Ricerche Storico Bibliche, Bologna 2009, 55-84.
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Il profeta1 è un uomo (più raramente una donna) cui soprattutto il re si rivolge per sapere
quale è la volontà di Dio in una data situazione. Così Davide consulta Natan per sapere se costruire
un tempio al Signore (cfr. 2 Sm 7,1-3); Achab consulta tutti i profeti per sapere se muovere guerra
agli Aramei (cfr. 1 Re 22,5-17); Ezechia consulta Isaia per sapere se guarirà dalla malattia (cfr. 2 Re
20,1); Giosia consulta Hulda per sapere se si avvereranno le minacce contenute nel libro della legge
ritrovato nel Tempio (cfr. 2 Re 22,12-20). Molto più della legge, la profezia è legata al mondo di
quella che oggi chiamiamo politica.
Il profeta non agisce tuttavia solo quando consultato, ma anche di propria iniziativa. Così
Natan rimprovera a Davide l'uccisione di Uria (cfr. 2 Sm 12,1-12); Achia annuncia a Geroboamo la
futura divisione del regno di Israele (cfr. 1 Re 11,29-39); Isaia si reca da Achaz per invitarlo a non
avere paura dell'alleanza tra i re di Samaria e Damasco (cfr. Is 7,3-6); Geremia si mette sulla porta
del tempio di Gerusalemme e ammonisce alla conversione (cfr. Ger 7,1-15); Amos si reca a Betel
per parlare al popolo (cfr. Am 7,10-17).
I profeti possono accompagnare la parola con l’azione. Vediamo che Ahiyya lacera il suo
mantello e ne dà dieci pezzi a Geroboamo (cfr. 1 Re 11,30), Isaia va in giro scalzo e seminudo (cfr.
Is 20), Geremia si mette sulle spalle un giogo di legno (cfr. Ger 27-28), Ezechiele fa una breccia nel
muro ed esce di notte con un bagaglio da esule sulle spalle (cfr. Ez 12,7). La comunicazione
profetica non era unicamente verbale.
Non mancavano naturalmente profeti disposti ad annunciare ciò che il re desiderava sentire.
Geremia denuncia a chiare lettere questo genere di profeti: “Fino a quando ci saranno in mezzo ai
profeti quelli che profetizzano la menzogna e profetizzano gli inganni del loro cuore? … Che cosa
ha in comune la paglia con il grano? La mia parola non è forse come il fuoco e come il martello che
spacca la roccia?” (Ger 23,25-29). Quelli che la Bibbia ci trasmette sono dunque gli oracoli di certi
profeti, non di tutti. La profezia ufficiale, che Geremia paragona alla paglia, non è stata conservata.
Quella che è giunta fino a noi è soprattutto la profezia critica. Inascoltata dai suoi contemporanei, è
stata custodita in ristrette cerchie di discepoli e riconosciuta dalle generazioni successive.
1 Il termine è un calco del greco profétes, traduzione greca dell’ebraico nāvîʼ. Il senso è: proclamatore, araldo.
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E' importante tenere conto del complesso processo letterario che ha portato alla formazione
dei libri profetici. Le parole dei profeti1 sono state custodite e tramandate dai discepoli, ma non in
modo meccanico: i discepoli potevano glossare le parole del loro maestro per renderle più chiare, o
aggiungerne di nuove che sentivano come attualizzazione e integrazione delle antiche. Questi, che
possiamo chiamare “tradenti”, ossia portatori della tradizione, sono pertanto in realtà coautori.
Dopo di loro sono venuti gli editori, vale a dire coloro che hanno dato la forma finale al libro,
decidendo quali materiali integrare e quali scartare, e in quale ordine disporli. Per quanto concerne
la disposizione, gli editori dei libri profetici adottano in genere uno schema in tre parti: 1) minacce e
richiami ad Israele; 2) annuncio di sventure per le altre nazioni; 3) promesse di salvezza per
Israele.2
Nel nostro studio privilegeremo la forma finale dei libri profetici, senza affrontare il compito
estremamente complesso di sceverare ciò che dei primi autori da ciò che è dei tradenti. In ogni caso
giova tenere presente che più antico non vuol necessariamente dire più autentico, come più recente
non vuol dire più evoluto e maturo. Lo Spirito Santo può affidare un messaggio importante a una
grande personalità come a un anonimo discepolo.
Espositivamente procederemo in ordine grosso modo cronologico: inizieremo da Osea, per
passare poi a Geremia, Ezechiele, le ultime parti di Isaia, e terminare infine con Malachia. Per
l'interpretazione dei passi in cui i profeti fanno uso della simbolica matrimoniale,3 ho trovato validi
suggerimenti metodologici nel libro di L. ALONSO SCHÖKEL Símbolos matrimoniales en la Biblia,
Estudios Bíblicos 13, Estella 1997.
1 Non solo le parole, ma talvolta pure i fatti più significativi della loro vita. Più di tutti il libro di Geremia abbonda di
parti narrative.
2 M. NOBILE individua uno schema diverso: 1) teofania-vocazione; 2) oracoli di giudizio contro Israele-Giuda e contro
le nazioni; 3) instaurazione del culto (cfr. Introduzione all'Antico Testamento, Bologna 1995, 89).
3 Preferisco questo termine a quello di metafora, usato dalla maggior parte degli studiosi che hanno affrontato questi
testi. Mi permetto di segnalare il mio contributo «La simbolica matrimoniale nei profeti dell'Antico Testamento», in
Sufficit gratia tua. Miscellanea in onore del card. Angelo Scola, edd. G. MARENGO e altri, Venezia 2012, 525-538.
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Osea
Iniziamo le nostre letture da Osea ben Beeri, che profetò nel regno di Israele1 all'epoca di
Geroboamo II e dei suoi successori,2 quindi nella seconda metà del secolo VIII a.C. È l'epoca
immediatamente precedente la fine del regno, prima sottomesso e poi soppresso dagli Assiri.
Per la nostra ricerca sono importanti soprattutto i primi tre capitoli del libro. Letterariamente
si tratta di due racconti, in mezzo ai quali è intercalato un poema. Come vedremo, formano una
sorta di trittico. Il primo racconto è scritto alla terza persona:
Il Signore disse ad Osea: va' e prenditi una moglie di prostituzione e figli di prostituzione,
poiché si prostituisce la terra3 invece di andare dietro al Signore. (Os 1,2)
L'ebraico ’ēšet zenûnîm significa alla lettera: “donna di prostituzione”. Come intendere la
specificazione? La Bibbia CEI intende: “che pratica la prostituzione”, e traduce quindi “prostituta”.4
Io preferico intendere: “incline alla prostituzione”,5 cioè a concedersi ad altri uomini.6 La ragione
per cui il profeta riceve l'ordine di scegliersi come moglie una donna con questa inclinazione sta nel
fatto che Israele continua a comportarsi7 con il Signore come una moglie infedele a suo marito.
Quanto ai “figli di prostituzione”, non si tratta sicuramente di figli già esistenti che il profeta
dovrebbe adottare. La frase è brachilogica:8 prendi una moglie e dei figli = prendi una moglie e
avrai dei figli. Che senso ha qui la specificazione “di prostituzione”? Nati dalla prostituzione della
1 Si intende il regno settentrionale, con capitale politica Samaria, dove aveva sede la casa reale, e capitale religiosa
Betel, dove era stato costruito un tempio rivale di quello di Gerusalemme.
2 Il figlio di Geroboamo fu detronizzato dopo sei mesi di regno da Shallum, il quale fu un mese dopo detronizzato da
Menachem, il cui figlio fu detronizzato da Peqach, che regnò venti anni prima di essere detronizzato da Osea ben Ela,
ultimo re di Israele. E' un'epoca di continui colpi di stato.
3 Metonimia: la terra sta per i suoi abitanti.
4 Qualche esegeta ha pensato che si potesse trattare di una prostituta sacra, ovvero di una donna che si accoppiava con i
frequentatori dei santuari di divinità della fertilità. L'ipotesi non merita a mio parere grande credito.
5 Come la “moglie di litigi” di Pr 21,9.19; 24,24; 27,15.
6 zenûnîm non designa solo la prostituzione in senso stretto, ma ogni forma di promiscuità sessuale.
7 Interpreto l'imperfetto tizneh come indicante un'azione durativa, non futura.
8 È la figura stilistica chiamata zeugma.
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loro madre?1 Al versetto seguente si legge però che “gli diede alla luce un figlio”: figlio dunque
suo. Secondo me, “figli di prostituzione” deve essere inteso nel senso di figli in cui sarà attivo lo
“spirito di prostituzione” di cui si parla in Os 4,12 e 5,4, figli che erediteranno dalla madre la sua
inclinazione.
Il profeta esegue il comando divino2 senza fare obiezione:
[3] Andò e prese Gomer bat Divlayim; essa concepì e gli diede alla luce un figlio. [4] Il Signore gli disse: dagli il
nome Izreel, perché ancora poco tempo e farò scontare alla casa di Yehu il sangue di Izreel; farò cessare il regno
della casa di Israele. [5] In quel giorno farò a pezzi l'arco di Israele nella valle di Izreel. (Os 1,3-5)
Il nome della moglie di Osea non sembra avere alcun significato particolare.3 Lo ha invece il
nome del figlio: in una località di nome Izreel il re Yehu aveva infatti massacrato tutta la casa4 di
Achab (cfr. 2 Re 10,11). La dinastia di Yehu ebbe fine nel 753 a.C.: forse è questo l'avvenimento di
cui il nome del primo figlio di Osea è segno profetico. 5 Il nome del primo figlio di Osea evoca il
peccato e annuncia l'imminente fine della casa reale.
[6] Concepì di nuovo e diede alla luce una figlia. Il Signore disse a Osea: dalle il nome lō’ ruḥāmāh, poichè non
proverò più pietà per la casa d'Israele al punto di perdonare loro. [7] Proverò invece pietà per la casa di Giuda e li
salverò per il Signore loro Dio; non li salverò con arco, spada e armi da guerra, cavalli e cavalieri. (Os 1,6-7)
Il verbo rḥm evoca le viscere femminili, e designa un affetto viscerale, come quello di una
madre per i suoi figli, che si commuove per le loro sofferenze ed è sempre pronta a perdonare. In
questo contesto lo si può tradurre con “pietà”. Lō’ è avverbio di negazione; lō’ ruḥāmāh significa
“non le è stata usata pietà”.
1 Così interpreta A. SCHENKER (cfr. Studien zu Propheten, cit., 72-82), secondo il quale Osea ricevette dal Signore
l'ordine di unirsi a (non di sposare) una prostituta, dalla quale dovevano nascere “figli di prostituta”, come tali destinati
all'emarginazione sociale.
2 Evento reale o finzione letteraria? L. ALONSO SCHÖKEL adotta la prima ipotesi, restando aperto alla seconda (cfr.
Símbolos, cit., 155). Io inclino invece alla seconda ipotesi, restando aperto alla prima. Per il nostro studio la questione
non ha grande importanza.
3 Gomer è attestato nella Bibbia come nome di uomo (cfr. Gen 10,2; Ez 38,6). Il verbo gmr significa “essere completo”
o, transitivamente, “completare”. Il nome Divlayim compare solo qui; è conosciuta una località di nome Divlatayim.
4 Si intende la discendenza maschile (settanta figli).
5 Il regno di Israele fu soppresso nel 722 a.C., ma può darsi che Osea lo considerasse già finito con la dinastia di Yehu.
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[8] Svezzò lō’ ruḥāmāh, concepì e diede alla luce un figlio. [9] Disse: dagli il nome lō’ ‘ammî,
poiché voi1 non sarete più il mio popolo e io non sarò 2 più per voi. (Os 1,8-9)
‘ammî significa “popolo mio”. Il nome del terzo figlio di Osea sta dunque a significare che il
Signore non riconosce più Israele come suo popolo, e conseguentemente lo abbandona in mano ai
suoi nemici. Ricordiamo che la soppressione del regno di Israele fu seguita dalla deportazione di
parte della popolazione in altre regioni dell'impero assiro.
I nomi dei tre figli di Osea sono manifestamente profetici,3 indicano cioè avvenimenti che
stanno per prodursi in un futuro imminente: la fine della casa reale, la caduta di Samaria4 e la
deportazione di Israele. Il primo elemento del trittico annuncia dunque eventi negativi.
Il secondo elemento è un poema,5 di grande bellezza. Esso si apre con un'affermazione
positiva, che suona in forte contrasto con ciò che precede:
[1] Il numero dei figli di Israele sarà come la sabbia del mare, che non si può né misurare né numerare. Invece di
dire loro: lō’ ‘ammî, si dirà loro: figli del Dio vivo. [2] I figli di Giuda e i figli di Israele si raccoglieranno
insieme, si daranno un unico capo e saliranno dalla terra;6 sì, grande è il giorno di Izreel. [3] Dite ai vostri
fratelli: ‘ammî, e alle vostre sorelle: ruḥāmāh (Os 2,1-3)
È qui promesso un rovesciamento totale di situazione: i nomi della figlia e del terzo figlio
perderanno la negazione iniziale, e prenderanno senso positivo. Ciò che era stato detto nel capitolo
precedente non era dunque definitivo. Questa non è tuttavia che l'ouverture della sinfonia; il vero
inizio viene adesso, ed è drammatico:
1 Il Signore si rivolge al profeta ed ai suoi ascoltatori.
2 In ebraico lō’’ehyeh. Il contrasto con lō’ ‘ammî fa pensare ad un cambiamento di nome (vedi Es 3,14).
3 Come i nomi dei due figli del suo (quasi) contemporaneo Isaia: “un resto tornerà” (Is 7,3) e “pronto bottino prossimo
saccheggio” (Is 8,1); nomi che annunciano però un futuro di salvezza e non di catastrofe.
4 Le città sono frequentemente rappresentate come ragazze o donne.
5 Segnalo l'analisi di E. GALBIATI: «La struttura sintetica di Osea 2», Studi sull'Oriente e la Bibbia offerti a G. Rinaldi,
Genova 1967, 317-328. GALBIATI avanza l'ipotesi che i versetti iniziali (1-3) e finali (23-25), che promettono il
cambiamento del nome dei figli, siano stati aggiunti da un redattore.
6 Il senso di questa frase è discusso. Una possibile interpretazione è: “spunteranno dalla terra” come l'erba (cfr. Dt
29,32), ossia diventeranno numerosissimi. Il nome Izreel significa “Dio semina”, o “Dio rende fecondo”.
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[4] Accusate vostra madre, accusatela, perché non è più mia moglie e io non sono più suo marito.
Si tolga la prostituzione dalla faccia e l'adulterio dal petto,1
[5] altrimenti la spoglierò nuda e la esporrò come al giorno della sua nascita,
la renderò come il deserto e la ridurrò come terra arida, per farla morire di sete,
[6] e per i suoi figli non proverò pietà, poiché sono figli di prostituzione. (Os 2,4-6)
Il primo emistichio del v. 4 contiene una dichiarazione formale di rottura di matrimonio,
pronunciata dal marito. Ciò che segue induce però a interpretarla più come una minaccia che come
un fatto avvenuto: la moglie si tolga i segni esterni che attestano gli adulteri commessi, se non vuole
che il marito la cacci via di casa senza neanche i vestiti.2 Il denudamento della donna allude alla
desertificazione della terra, che la moglie di Osea personifica fin dall'inizio (cfr. Os 1,2).
La minaccia non ha però avuto effetto, e il divorzio ha avuto luogo:
[7] Sì, ha agito da prostituta la loro madre, ha agito turpemente colei che li ha concepiti.
Sì, ha detto: andrò dietro ai miei amanti, a coloro che mi danno
il mio pane e la mia acqua, la mia lana e il mio lino, il mio olio e le mie bevande.
[8] Perciò assieperò la tua strada3 di spine, murerò il suo muro di cinta perché non trovi più i suoi sentieri;
insegua i suoi amanti ma non li raggiunga, li cerchi ma non li trovi,
[9] e dica: andrò e tornerò dal mio marito di prima, 4 perché allora stavo meglio di ora. (Os 2,7-9)
Rileviamo il contrasto tra il proposito del v. 7 (“andrò dietro ai miei amanti”) e quello del v. 9
(“andrò e tornerò da mio marito”). Il motivo che spinge la donna ad andare con gli amanti non è la
ricerca di soddisfazione sessuale o affettiva, ma di benefici materiali, cibo, bevanda, vestiti.
Analogamente il motivo che la spingerà a tornare col marito non è altro che lo stato di privazione in
cui si verrà a trovare5 quando sarà stata messa nell'impossibilità di avere accesso ai suoi amanti.
1 Forse si allude ai monili menzionati più avanti al v. 15.
2 Su questa pena vedi TOSATO, Matrimonio israelitico, cit., 207 nota. Il denudamento allude alla desertificazione della
terra, che la moglie di Osea personifica fin dall'inizio (cfr. Os 1,2).
3 Passaggio improvviso alla seconda persona singolare (errore di copia o licenza poetica?). Per strada si intende il
percorso abituale che la donna compie per andare dai suoi amanti.
4
Non si tratta di un primo marito opposto a un secondo, dato che la donna ha avuto amanti, ma non altri mariti.
"Primo” non ha il senso di primo di una serie, ma semplicemente di anteriorità cronologica.
5 Come il figlio prodigo della parabola evangelica, che quando si trovò nella miseria “rientrò in se stesso” (Lc 15,17), si
ricordò che in casa di suo padre stava meglio e decise di tornare da lui e chiedergli perdono.
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Poiché il marito desidera che lei torni con lui, fa in modo da provocare precisamente tale stato,
sbarrando fisicamente le strade che portano agli amanti. Il divorzio non è dunque inteso dal marito
come definitivo.
Nel brano seguente il linguaggio figurato cede il posto a quello diretto. Non è più il profeta
che parla della moglie, ma il Signore del suo popolo:
[10] Non ha riconosciuto che io le avevo dato il grano e il mosto e l'olio,
e argento le avevo donato in gran copia, e oro che hanno usato1 per Baal.2
[11] Perciò tornerò indietro,3 tratterrò il mio grano al suo tempo e il mio mosto alla sua stagione,
e porterò via la mia lana e il mio lino con cui copriva la sua nudità;
[12] ora scoprirò la sua stoltezza agli occhi dei suoi amanti, e nessuno la porterà via dalla mia mano.4
[13] Farò cessare ogni sua gioia, le sue feste, i suoi novilunii, i suoi sabati e tutte le sue ricorrenze.
[14] Renderò desolati la sua vigna e il suo fico, di cui aveva detto:
questi sono la paga che mi hanno dato i miei amanti; li ridurrò in boscaglia e in pascolo di bestie selvatiche.
[15] Le farò scontare i giorni dei Baal, ai quali bruciava incenso;
si è ornata di orecchino e collana, è andata dietro ai suoi amanti e di me si è dimenticata,
oracolo del Signore. (Os 2,10-15)
Poiché Israele crede che i buoni raccolti vengano da Baal e non dal Signore, quest'ultimo
manderà sulla terra la carestia, in modo da fare toccare con mano al suo popolo l'inanità della
fiducia che ripone nelle divinità cananee della fertilità.5 Israele ha dato prova di ignoranza (“non ha
riconosciuto che io …”, v. 10) e di perdita di memoria (“di me si è dimenticata”, v. 15), che non
sono ultimamente molto differenti. Ciò che le occorre è ritrovare la conoscenza del suo Dio.
1 Per fare statue, od oggetti di culto. Il plurale, qui come più avanti al v. 20, si riferisce ai figli della donna (fuori di
metafora ai figli di Israele).
2 Con questo nome (il cui significato è “signore”) era chiamata una divinità fenicia e cananea, alla quale era attribuita la
sovranità sulla pioggia, da cui dipendeva la fertilità della terra. Qui è menzionata al singolare, al v. 15 al plurale. Sul
Baal biblico confrontato con il Baal di altre fonti letterarie e archeologiche, vedi P. MERLO, La religione dell'antico
Israele, Roma 2009, 41-43.
3 Invertirò rotta, farò il contrario di ciò che usavo fare prima.
4 Gli amanti assisteranno impotenti.
5 Il libro dei Re racconta che il profeta Elia fece cessare le piogge in Israele per tre anni e mezzo, provocando una grave
carestia, e fece ritornare la pioggia subito dopo che il popolo riunito sul monte Carmelo ebbe riconosciuto che il Signore
era il Dio di Israele (cfr. 1 Re 17-18). La pioggia è un bene vitale in Palestina, terra non irrigata da grandi fiumi.
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Alla parte disciplinare segue quella che possiamo chiamare parte amorosa. Di sua iniziativa il
Signore decide di perdonare al suo popolo le sue trascorse infedeltà e di ricostituire ex novo la
condizione di reciproca appartenenza:
[16] Perciò la persuaderò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore.1
[17] Allora darò a lei i suoi vigneti e farò della valle di Acor un ingresso di speranza. 2
Allora risponderà come ai giorni della sua giovinezza, come il giorno in cui è salita dalla terra di Egitto.
[18] In quel giorno, oracolo del Signore, mi chiamerai ‘marito mio’ 3 e non mi chiamerai più ‘mio baal’.4
[19] Rimuoverò dalla sua bocca i nomi dei Baal e non saranno più ricordati col loro nome. 5
[20] Farò per loro6 un'alleanza con le bestie selvatiche, con gli uccelli del cielo e i rettili del suolo.
Arco e spada e ogni arma di guerra7 farò a pezzi eliminandoli dalla terra, e li farò riposare in tranquillità.
[21] Ti sposerò a me per sempre; ti sposerò a me con giustizia e diritto, dedizione e pietà.
[22] Ti sposerò a me con stabilità,8 e riconoscerai il Signore.9 (Os 2,16-22)
Alla proposta di tornare con il Signore il popolo risponde favorevolmente, come aveva fatto
agli inizi della loro storia comune, dopo l'uscita dall'Egitto. Israele rompe finalmente con i Baal e
torna a riconoscere il Signore come suo Dio, ricevendo in cambio il possesso di terra fertile e la
promessa di protezione dalle aggressioni.
1 Parlare al cuore significa confortare chi è angustiato (cfr. Gen 34,3 e 50,21; Is 40,1; Rt 2,13). In Gdc 19,3 è la tecnica
che il Levita usa per indurre la sua concubina a tornare insieme con lui.
2 In questa valle era stato lapidato un Israelita che non aveva osservato l'anatema (cfr. Gs 7,24-26): il luogo ricordava
dunque un grave peccato commesso immediatamente dopo l'entrata nella terra promessa. Il Signore lo farà diventare un
“ingresso di speranza” (nome che è stato dato a uno dei primi insediamenti ebraici in Palestina).
3 In ebraico ’îšî, “mio uomo” (che compare sulla bocca della donna già al v. 9).
4 La Bibbia CEI traduce: “Baal, mio padrone”. L'ebraico ba‘al indica un uomo avente diritto di signoria, ed è usato
anche per il marito, che nella famiglia patriarcale antica era signore (non padrone) della moglie e dei figli. Il profeta non
vuole però affatto dire che verranno giorni in cui Israele non riconoscerà più la signoria del suo Dio. La sua intenzione è
meramente linguistica: il nome Baal è stato contaminato dal suo uso idolatrico e non deve essere più pronunciato.
5 In vari luoghi della Bibbia ebraica i copisti hanno sostituito ba‘al con bōšet, “ignominia”.
6 I figli di Israele. Il Signore impone a tutti gli animali di non molestare in alcun modo gli Israeliti.
7 Dei nemici. Gli Israeliti non dovranno più temere di essere assaliti da altri popoli.
8 In ebraico’emûnāh, che indica stabilità, verità, fedeltà.
9 Come tuo Dio. La conoscenza in questo preciso contesto non indica tanto comunione o amore, quanto riconoscimento
di appartenenza e dipendenza.
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La rottura con gli amanti rende possibile un nuovo matrimonio. Ai vv. 21-22 per ben tre volte
è ripetuto il verbo ’rś, che indica l'atto con cui un uomo vincola a sé giuridicamente una donna1
versando il mōhar, il dono di matrimonio. Qui i doni sono non meno di cinque: giustizia e diritto,
dedizione e pietà, e infine stabilità.
Il poema si conclude come era iniziato, con i nuovi nomi dei figli:
[23] In quel giorno risponderò,2 oracolo del Signore, risponderò al cielo e lui risponderà alla terra,
[24] e la terra risponderà al grano e al mosto e all'olio, e loro risponderanno a Izreel.
[25] La renderò feconda3 per me nella terra, proverò affetto per lō’ ruḥāmāh
e a lō’ ‘ammî dirò: tu sei il mio popolo, e lui dirà: mio Dio. (Os 2,23-25)
Izreel non ricorderà più il sangue versato, ma diventerà nome di fecondità; lō’ ruḥāmāh si
cambierà in ruḥāmāh e lō’ ‘ammî in ‘ammî. La mutata relazione con la madre si ripercuote in una
mutata relazione con i figli.
Questo lungo poema presenta dunque un marito che non sopporta i continui tradimenti della
moglie, che per questa ragione divorzia, ma con l'intenzione di risposarla quando si sarà decisa a
lasciare i suoi amanti. Non si limita però a mandarla via, ma prende delle misure per impedirle di
incontrarsi con i suoi amanti, in modo che sperimenti l'indigenza e si disponga a ritornare dal
marito. Analogamente il Signore è costretto a trattare molto duramente il suo popolo, perché si
stacchi dal culto di altre divinità, e possa tornare ad essere suo. Il contesto originario della profezia
di Osea è la fine del regno di Israele assoggettato dagli Assiri, che deportarono anche parte della
popolazione ed insediarono nel suo territorio genti di altre regioni del loro impero. Il Signore aveva
però ancora dei progetti per i figli di Israele: dopo averli abbandonati li avrebbe ripresi.
1 Non necessariamente vergine, giova sottolinearlo, anche vedova o divorziata. Dall'uso di ’rś non si deduce alcuna
trasformazione della prostituta in vergine illibata.
2 Ai vv. 17-18 era menzionata la risposta della donna pentita e perdonata: “marito mio”. Ora è il turno del Signore di
rispondere, mediante il dono della pioggia e della fecondità della terra.
3 La Bibbia CEI traduce: “li seminerò”. In ebraico abbiamo però un suffisso femminile, che si riferisce chiaramente alla
protagonista femminile del poema. Ciò invita a dare al verbo zr‘ il senso “rendere fecondo”, attestato in Ger 31,27 (vedi
pure Nu 5,28). Esso evoca il nome del primo figlio di Osea, Izreel, che viene perciò a profetizzare la propagazione della
vita, mentre il massacro dei figli di Achab l'aveva reso un nome di morte.
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Quando? A questa domanda risponde Os 3, ovvero il terzo elemento del trittico. Il primo
elemento annuncia la decisione di rompere il legame con Israele, il secondo la decisione opposta di
ricostituirlo, il terzo ha come tema il modo e i tempi di tale ricostituzione. Questa mi sembra essere
l'articolazione logica dell'insieme. 1
Os 3 è un racconto in prima persona, non alla terza come Os 1. Il suo tema è il secondo
matrimonio del profeta con la donna da cui aveva divorziato per adulterio.2 Leggiamo:
[1] Il Signore mi disse: va', ama di nuovo la donna che è stata amata dal compagno3 ma ha commesso adulterio,
come il Signore ama i figli di Israele, anche se si sono volti ad altri dei e hanno amato le focacce d'uva.4 [2] La
ottenni5 per me per quindici sicli d'argento e uno ḥōmer e un letek d'orzo.6 [3] Le dissi: per molti giorni siederai
per me,7 non ti prostituirai e non sarai di un uomo, e pure io verso di te;8 [4] poiché per molti giorni siederanno i
e
figli di Israele, senza re e senza capo, senza sacrificio e senza stele, senza ’ēfôd e t rāfîm.9 [5] Poi i figli di
Israele torneranno a cercare il Signore loro Dio e Davide loro re, ed a guardare con timore10 il Signore e la sua
salvezza11 alla fine di quei giorni. (Os 3,1-5)
1 Non farei risalire la composizione dell'intero trittico all'Osea storico del secolo VIII a.C. Preferisco pensare che essa
sia opera dell'editore finale del libro (in epoca verisimilmente postesilica), che godeva del carisma dell'ispirazione non
meno dell'antico profeta.
2 Il nome non è però riportato, come neppure quello dei figli. Si tratta tuttavia senza dubbio della stessa donna. In Os 1
si parla di prostituzione, in Os 3 di adulterio: diversi termini per indicare lo stesso comportamento.
3 L'ebraico rēa‘ è un termine neutro, che può designare sia l'amante (cfr. Ger 3,1) sia il marito (cfr. Ger 3,20): il
contesto favorisce il marito.
4 Forse designano cibi che venivano consumati durante culti idolatrici.
5 Questo senso del verbo krh è chiaramente attestato in Dt 2,6.
6 Lo ḥōmer corrisponde a circa 450 litri, il letek è mezzo ḥōmer.
7 “Sedere per” significa “sedere in attesa di” (cfr. Ger 3,2).
8 Manca il verbo: si può sottintendere “siederò”, ossia rimarrò in attesa.
9 In Os 10,2 la stele compare in parallelo con l'altare. ’ēfôd e terāfîm sono menzionati insieme anche in Gdc 17,5 e
18,14-20 come oggetti che servivano ai sacerdoti, probabilmente per la divinazione.
10 Letteralmente: “tremare verso”.
11 La Bibbia CEI traduce: “i suoi beni”. Il parallelo col primo emistichio invita a dare a ṭûv il senso di “salvezza”
(rappresentata concretamente da “Davide loro re”).
121
Rileviamo all'inizio l'uso del verbo ’hb, amare, che non deve essere inteso nel senso del
sentimento;1 in questo contesto equivale a sposare.2 La somma versata3 può essere compresa come
un mōhar, eventualmente come un riscatto.4 Come in Os 1,2, anche qui il comando divino è
accompagnato da una motivazione:5 il Signore continua ad amare i figli di Israele malgrado gli
siano stati infedeli. Il profeta obbedisce e risposa la donna da cui aveva divorziato. Le dichiara
tuttavia6 che dovrà attendere molto tempo prima di riprendere la coabitazione. Si tratta
verisimilmente di un periodo di prova: il marito vuole essere sicuro che la moglie abbia perso il
vizio di correre dietro agli uomini. Pure questa disposizione è accompagnata da una motivazione:
come la donna è stata risposata ma dovrà sopportare un periodo di astinenza, così i figli di Israele
saranno dal Signore riaccolti in una relazione di appartenenza, ma non riavranno immediatamente
ciò che hanno perduto.7 Per un periodo molto lungo il popolo rimarrà in attesa che il Signore gli
manifesti pienamente il suo amore.8 Merita di essere rilevato il suggestivo gioco di parole, che la
lingua italiana non consente di riprodurre, tra yēševû (siederanno) e yāšûvû (ritorneranno). Sedere è
la posizione di chi è in lutto (vedi ad esempio Lm 1,1); ritornare è usato per designare il ritorno
spirituale e non solo fisico, quindi la conversione.
Possiamo ricapitolare i dati che abbiamo acquisito. I primi tre capitoli del libro di Osea
mettono in scena un uomo che sposa una donna portata alla promiscuità, la divorzia per le sue
ripetute infedeltà ma poi la risposa, sottomettendola però ad un periodo di prova prima di riprendere
con lei i rapporti coniugali. Tutto ciò egli fa in obbedienza alla volontà di Dio, che si serve di queste
1 Come hanno fatto F.I. ANDERSEN e D.N. FREEDMAN (Hosea, Anchor Bible 24, Garden City 1980), che per questo
dichiarano che “the opening command to love the woman is not fulfilled in the chapter”.
2 In corrispondenza col “ti sposerò” di Os 2,21-22.
3 Il fatto che consista parte in orzo e parte in argento non è casuale, considerando che a suo tempo la donna era stata
privata sia di prodotti della terra che di metalli preziosi (cf. Os 2,10).
4 Il profeta avrebbe venduto la moglie e la ricomprerebbe per risposarla. Il diritto antico-orientale prevedeva che una
moglie potesse essere venduta come schiava per colpa grave (vedi TOSATO, Matrimonio israelitico, cit., 142).
5 In Os 1,2 troviamo la congiunzione causale kî (“poiché la terra si prostituisce …”), in Os 3,1 la preposizione
comparativa ke (“come il Signore ama …”). Il senso però non varia significativamente.
6 Certamente non di sua iniziativa, ma per comando divino (che è però lasciato sottinteso).
7 Il re e il capo alludono ai governanti (che portarono alla rovina Israele), il sacrificio e la stele al culto (idolatrico),
e
’ēfôd e t rāfîm alla divinazione che aveva preso il posto dell'ascolto della parola profetica.
8 L'accenno a “Davide loro re” è inequivocabilmente messianico.
122
vicende per fare comprendere al suo popolo il senso di determinati avvenimenti storici da un lato, e
il senso del vincolo che li lega dall'altro. L'unione coniugale è qui infatti usata come simbolo
dell'appartenenza che lega un Dio ad un popolo e un popolo ad un Dio.
Il lettore contemporaneo della Bibbia può essere sconcertato da una storia di questo genere,
reale o immaginata che sia. Noi viviamo in un mondo in cui l'adulterio non è più considerato un
reato e non è pertanto più colpito da sanzioni, non almeno sanzioni di legge. Oggi un marito tradito
non ha il diritto di denudare pubblicamente la moglie,1 e tanto meno di venderla come schiava. Al
tempo di Osea queste cose invece si potevano fare, e probabilmente si facevano, anche se non
ssppiamo quanto spesso. Ciò il lettore, di oggi come di ieri, deve sapere e tenere presente: per farsi
capire i profeti attingevano alla realtà che li circondava, non alla realtà che circonda noi oggi. Al
loro tempo l'adulterio non era l'affare privato di una coppia, ma un crimine severamente punito, se
flagrante anche con la morte, come abbiamo visto nel capitolo precedente. Ciò lo rendeva atto a
essere usato simbolicamente, per rappresentare le conseguenze dell'infedeltà religiosa.
Divorzio per causa di adulterio, perdono e secondo matrimonio sono gli elementi utilizzati
simbolicamente nel libro di Osea, da un lato per spiegare la storia presente (fine del regno di
Israele), dall'altro per annunciare la storia futura (ritorno e riunificazione con Giuda). Os 1-3 ci offre
una rivelazione della gelosia divina,2 se possiamo usare la parola “gelosia” (che nel libro di Osea
non si incontra mai) per designare l'esigenza di appartenenza esclusiva. Nell'antico Israele il
matrimonio era l'istituzione che meglio di tutte si prestava a rappresentare tale esigenza. Una moglie
era infatti tenuta alla riserva esclusiva di sè a suo marito, fino alla morte di lui o fino al divorzio.
Questo è l'elemento simbolico principale che da Os 1-3 conviene trattenere.
1 C'è chi ritiene che si tratti solo di una figura di linguaggio. Quando un uomo sposa una donna stende su di lei il suo
mantello (vedi Rt 3,9), quando divorzia la spoglia (figurativamente). Dell'uso di infliggere alla moglie colpevole di
adulterio l'umiliazione di andare in strada completamente nuda vi è però documentazione extrabiblica (negli atti di un
processo tenuto nella città sumerica di Nippur). Non è così certo pertanto che si tratti semplicemente di un'immagine, e
non sarei così sicuro che il denudamento dell'adultera fosse applicato solo in altre nazioni dell'antico Oriente e non in
Israele, come ritiene T. SOLÀ, «La metàfora esponsal en els profetes», Revista Catalana de Teologia 28 (2003), 44.
2 Ricordiamo che nel Decalogo il Signore si definisce “un Dio geloso” (Es 20,5; Dt 5,9), severo con coloro che lo
odiano e generoso con coloro che lo amano. Segnalo gli studi di B. RENAUD , Je suis un Dieu jaloux, Parigi 1963
(Lectio Divina 36); Un Dieu jaloux: entre colère et amour, Parigi 2009 (Cahiers Évangile 149).
123
Giova anche registrare il peso simbolico della relazione tra madre e figli. La moglie non è mai
considerata separatamente dai figli che dà al marito. La rottura con lei provoca una rottura con i
figli, e la riconciliazione con lei ha come effetto la riconciliazione con loro. Lei trasmette ai figli la
sua inclinazione all'infedeltà, ma quando si decide a rinunciare agli amanti anche i figli sono
riaccolti dal padre.
124
Geremia
Passiamo ora a Geremia ben Hilqiyya, originario del villaggio di Anatot, a poca distanza da
Gerusalemme. Geremia esercitò il suo ministero profetico un secolo e mezzo dopo Osea, in un
contesto storico non dissimile. L'impero assiro era ormai alla fine, ma il suo posto era stato preso
dai Caldei. Il regno di Giuda fu prima assoggettato e poi soppresso,1 dopo l'infausta ribellione del re
Sedecia. Nel 586 a.C. Gerusalemme fu espugnata, il tempio distrutto, le mura abbattute, parte della
popolazione deportata.
Osea vide la fine del regno di Israele, Geremia la fine del regno di Giuda. Alla luce
dell'analogia di situazione storica, non sorprende affatto che ambedue i profeti facciano ricorso alla
simbolica della relazione coniugale.2 Nel libro di Geremia3 le figurazioni legate a tale simbolica si
incontrano nella sezione Ger 2,1-4,4, che esamineremo per prima.4 In seguito dedicheremo la nostra
attenzione ad altri passi del libro, in cui il matrimonio è usato come immagine espressiva della
continuità di vita della nazione.
Ger 2,1-4,4 si lascia dividere in due grandi parti. La prima (Ger 2) è una denuncia dei peccati
Israele, la seconda (Ger 3,1-4,4) un'esortazione al ritorno, 5 ovvero alla conversione. Cominciamo
dal passo che apre la prima parte:
1 Forse non definitivamente. Il libro dei Re si chiude (cfr. 2 Re 25,27-30) con la notizia che il re Yoyakin (o Yekonia,
come lo chiama Geremia), che Nabuccodonosor aveva deposto e deportato in Babilonia, fu da suo figlio scarcerato e
ammesso alla sua mensa. Forse i Caldei pensavano di rimetterlo in futuro sul trono di Giuda come loro vassallo.
2 Non entro nel problema dell'influenza che la profezia di Osea ha verisimilmente esercitato su quella di Geremia.
Segnalo su questo tema gli studi di A. WEIDER , Ehemetaphorik in prophetischer Verkündigung. Hos 1-3 und seine
Wirkungsgeschichte im Jeremiabuch, Würzburg 1993 (Forschung zur Bibel 71); e di M. SCHULZ-RAUCH , Hosea und
Jeremia. Zur Wirkungsgeschichte des Hoseabuches, Stoccarda 1996 (Calwer Theologische Monographien A 16).
3 Tale libro ci è giunto in due forme, una più lunga che è entrata a far parte della Bibbia ebraica e una più breve che è
servita di base alla traduzione greca (la Settanta). Ambedue hanno valore canonico, ma noi ci serviremo qui solo della
forma lunga, ampliamento e rielaborazione di quella breve, più antica.
4 Secondo G.E. YATES questa sezione ha un ruolo chiave all'interno del libro: cfr. ”«Jeremiah’s Message of Judgment
and Hope for God’s Unfaithful Wife», Bibliotheca sacra 167 (2010), 144-165.
5 Il verbo šwb, tornare, vi compare non meno di undici volte.
125
[1] Mi fu rivolta la parola del Signore: [2] va' e grida agli orecchi di Gerusalemme: così ha detto il Signore: ho
ricordato a tuo favore la tua generosità di quando eri giovane, il tuo amore di quando eri sposa, il fatto che venivi
dietro a me nel deserto, in terra non seminata. [3] Cosa sacra è Israele per il Signore, primizia del suo raccolto:
tutti coloro che ne mangiano ne pagano il fio, una sventura viene su di loro, oracolo del Signore. (Ger 2,1-3)
Prima di accusare il suo popolo, 1 il Signore difende il suo proprio operato: lui non ha mancato
all'alleanza. Si è ricordato del suo popolo (= è intervenuto a suo favore), premiando l'amore che gli
dimostrava2 seguendolo in una terra di grandi privazioni. Gli anni di Israele nel deserto sono dunque
paragonati ai primi tempi della vita matrimoniale.3 In quel periodo Israele seguiva solo il Signore,
che di conseguenza lo trattava come cosa sacra, alla stregua delle primizie del raccolto che a
nessuno è lecito consumare.4 Finché si mantenne fedele, il popolo godette della protezione divina.
Alla memoria divina fa netto contrasto la dimenticanza umana:
Dimentica forse una vergine i suoi ornamenti, una sposa le sue collane?
Ma il mio popolo mi ha dimenticato, per giorni senza numero. (Ger 2,32)
Gli ornamenti e le collane sono quelli che lo sposo ha regalato alla sposa, che li ha indossati il
giorno delle nozze. È molto difficile che una donna dimentichi (= non abbia cari) i suoi gioielli,
anche indipendentemente dalla circostanza in cui li ha portati la prima volta. Il profeta li mette in
parallelo col marito, dal punto di vista dell'affezione di cui sono oggetto. È più facile dimenticare i
gioielli o la persona che li ha regalati? Dopo essersi insediato nella terra di Canaan, Israele ha
dimenticato (= non ha avuto caro) il Signore e si è messa a trescare con altri dei, comportandosi
come la cammella giovane, che corre di qua e di là, o la femmina di onagro, che quando è in calore
va a cercare i maschi (cfr. Ger 2,23-24). Alla radice di questo comportamento sta la mancanza di
memoria, intesa come mancanza di affezione.
1 L'oracolo è indirizzato a Gerusalemme, ma dal suo contenuto risulta chiaro che è in realtà rivolto a tutto Israele.
2 Per sè “il tuo amore di quando eri sposa” potrebbe indicare l'amore che il Signore dimostrava ad Israele in quel
periodo. Ma il secondo emistichio (“venivi dietro a me”) induce ad interpretare in senso opposto: l'amore che Israele
dimostrava al Signore. Tale amore consisteva nel fatto che riconosceva solo lui come suo marito (suo Dio). Già Osea
aveva detto che Israele uscita dall'Egitto chiamava il Signore “mio marito” (cfr. Os 2,17-18).
3 Impropriamente la Bibbia CEI traduce: “al tempo del tuo fidanzamento”. In italiano infatti questo termine designa il
tempo precedente il matrimonio.
4 Vedi Es 34,22; Lv 23,15-22; Nu 28,26; Dt 16,9-12.
126
Esaminiamo ora il passo che apre la seconda parte:
[1] Se un uomo divorzia da sua moglie e lei va via da lui e va in moglie a un altro uomo, tornerà forse di nuovo a
lei? Non diventerebbe forse impura quella terra? Tu ti sei prostituita con molti amanti: tornerai1 forse a me?
Oracolo del Signore. [2] Alza gli occhi verso le piste e guarda: dove non sei stata posseduta?2 Sulle strade ti sei
seduta per loro,3 come l'Arabo nel deserto, e hai reso impura la terra con le tue prostituzioni e la tua perversità.
[3] Sono state trattenute le grandi piogge e non c'è stata neppure la pioggia tardiva; ma fronte di prostituta hai
avuto, hai rifiutato di mostrare vergogna. [4] Da questo momento 4 non hai forse gridato a me: padre mio,5 tu sei
l'amico della mia giovinezza?6 [5] Si mantiene forse per sempre, si conserva in eterno l'ira? Ecco come hai
parlato, ma hai commesso le cose peggiori che hai potuto. (Ger 3,1-5)
Non è fatto il nome del destinatario di questa allocuzione, cui ci si rivolge usando la seconda
persona femminile. Si tratta dello stesso personaggio che pochi versetti prima dichiarava: “sono
innocente”, “non ho peccato” (Ger 2,35). È Israele, che non si rende conto della gravità dei suoi
peccati: ora il Signore glieli mette sotto gli occhi, dipingendoli in modo molto espressivo.
Il v. 1 contiene tre domande retoriche. Le prime due fanno riferimento alla norma che
proibisce ad un uomo che ha divorziato di risposare la ex-moglie se questa ha nel frattempo sposato
un altro (cfr. Dt 24,1-4). La terza domanda si rivolge al popolo, rappresentato come una donna che
si è concessa ad una quantità di uomini:7 può forse tornare al Signore? La funzione delle prime
domande è di fornire la risposta all'ultima, che è chiaramente negativa. Come un marito non ha
diritto di riprendere in moglie la donna da cui ha divorziato se lei ha nel frattempo sposato un altro,
così non ha diritto di tornare col marito una donna che è andata a caccia di amanti, andando a
cercarseli lungo le strade fuori città, dove si appostava come i predoni del deserto.
1 In ebraico abbiamo un infinito assoluto, forma suscettibile di essere interpretata in diversi modi. Come imperativo lo
traducono il Targum, la Peshitta e la Vulgata: “torna”; come indicativo (interrogativo) la Settanta: “sei tornata?”. La
Bibbia CEI traduce: “osi tornare?”; il Signore si mostrerebbe scandalizzato di una pretesa di ritorno.
2 Traduco eufemisticamente un termine ebraico molto crudo.
3 “Sedere per” significa “rimanere in attesa di” (come abbiamo visto in Os 3,3). “Loro” si riferisce ai molti amanti di
cui al versetto precedente.
4 Dalla cessazione delle piogge.
5 In Ger 2,27 Israele rivolge questo stesso appellativo a un idolo di legno.
6 Questa espressione compare anche in Pr 2,17, sempre per designare il marito.
7 Il contrasto tra “un altro uomo” e “molti amanti” è marcato, e retoricamente efficace.
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I vv. 3-5 descrivono il comportamento contraddittorio di questa donna, che si ostina1 ad
andare con altri uomini, ma nel momento del bisogno chiede aiuto al marito e lo supplica di non
conservare a lungo la collera. Quando la pioggia viene a mancare il popolo invoca il Signore, ma
non si distacca da altre divinità.
Il brano immediatamente seguente non è più in poesia, ma in prosa:
[6] Nei giorni del re Giosia il Signore mi disse: hai visto che cosa ha fatto la ribelle Israele? È andata su ogni
monte elevato e sotto ogni albero frondoso per prostituirsi. [7] Ho detto: dopo aver fatto tutte queste cose tornerà
a me, ma non è tornata, e la sua traditrice sorella Giuda ha visto. [8] Ho visto 2 che, benché a causa di tutte le
volte in cui la ribelle Israele aveva commesso adulterio l'avessi scacciata e le avessi dato il suo scritto di
divorzio, la sua traditrice sorella Giuda non ha avuto timore ed è andata pure lei a prostituirsi. [9] Con la
spregevolezza3 della sua prostituzione è divenuta impura con la terra: ha commesso adulterio con la pietra e con
il legno.4 [10] Con tutto ciò la sua traditrice sorella Giuda non è tornata a me con tutto il suo cuore, ma con
falsità, oracolo del Signore. [11] Il Signore mi disse: la ribelle Israele si è dimostrata più giusta della traditrice
Giuda. [12] Va' e proclama verso settentrione queste parole: torna, ribelle5 Israele, oracolo del Signore. Non vi
mostrerò un volto irato, poiché io sono fedele, oracolo del Signore, non conserverò per sempre l'ira. [13]
Riconosci però la tua colpa: hai peccato contro il Signore tuo Dio, hai moltiplicato le tue strade verso stranieri
sotto ogni albero frondoso, non avete ascoltato la mia voce, oracolo del Signore. (Ger 3,6-13)
Diversi elementi apparentano questo brano a quello immediatamente precedente: il divorzio,
la prostituzione/adulterio, il falso ritorno, la non conservazione dell'ira. Il personaggio femminile è
però sdoppiato: la ribelle Israele e la traditrice Giuda. Il peccato di Giuda è giudicato come più
grave di quello di Israele, per il fatto di essere stato commesso dopo avere visto ciò che è successo
ad Israele: un peccato perciò pervicace, che rivela una volontà ostinata di fare il male, chiudendo gli
occhi davanti alle lezioni della storia. Ciò non sembra tuttavia essere detto per accusare Giuda, ma
piuttosto per incoraggiare Israele a prendere la decisione di tornare al Signore.
1 La “fronte” del v. 3 simboleggia la decisione, e peggiorativamente l'ostinazione.
2 La Bibbia CEI traduce: “ha visto”. L'ebraico ha qui la prima persona singolare.
3 Oppure “con la leggerezza”, nel senso morale del termine (Vulgata: facilitate fornicationis suae). La Bibbia CEI
traduce: “con il clamore”, derivando la forma da un'altra radice.
4 Si intendono gli idoli a cui il popolo prestava culto.
5 L'ebraico offre un suggestivo gioco di parole: šûvāh mešûvāh (in violazione della concordanza dei generi, dato che
šûvāh è maschile e mešûvāh femminile).
128
Giova rilevare che questo oracolo è datato “ai giorni di Giosia”, il re che riconquistò i territori
dell'antico regno di Israele e impose con la forza il ritorno alla religione jahwistica. Geremia pare
avere interpretato questa circostanza storica sia come perdono concesso ad Israele per i suoi peccati
trascorsi sia come occasione di conversione.
Rileviamo pure che in questo brano il Signore è rappresentato come un uomo che ha sposato
due sorelle.1 Non è che un'immagine, naturalmente, ma un'immagine che non pare urtare affatto la
sensibilità né del profeta né dei suoi ascoltatori. In quell'epoca la poligamia era sicuramente una
realtà tranquillamente accettata,2 non meno del divorzio.
Leggiamo altri due versetti di questo capitolo:
[19] Io dissi: come vorrei trattarti come3 i figli, darti una terra desiderabile, la più bella eredità delle nazioni.
Dissi: mi chiamerai padre mio, e non tornerai indietro dal seguire me.4 [20] In verità, come una moglie tradisce
suo marito, così voi avete tradito me, casa di Israele, oracolo del Signore. (Ger 3,19-20)
Avevamo già incontrato l'appellativo “padre mio” in Ger 3,4, dove era posto sulle labbra di
una moglie. Qui invece il Signore si rivolge a Israele come ad una figlia, come si evince dalla frase
che esprime il desiderio di trattarla come un figlio maschio nella distribuzione dell'eredità. Ma il
versetto seguente torna a proporre il paragone della moglie, e precisamente della moglie infedele.
Vediamo dunque che il profeta parla ora di moglie ora di figli, intendendo dire la stessa cosa. In Ger
3,14 peraltro, rivolgendosi ai figli errabondi, il Signore dice loro: bā‘altî bākem, che non si deve
tradurre “sono vostro marito”, e neppure “sono il vostro padrone”, come la Bibbia CEI. L'uomo è
ba‘al5 sia nei confronti della moglie che dei figli, nel senso che ha verso di lei e di loro l'obbligo di
mantenerli e proteggerli e il diritto di essere amato ed obbedito. È questo tipo di rapporto che il
profeta ha in mente, non specificamente coniugale o paterno. Egli fa parlare il Signore ora come un
marito ora come un padre, secondo un'ispirazione che è più poetica che strettamente logica.
1 In contrasto con una norma della legge di santità (cfr. Lv 18,18).
2 Ricordiamo che Abramo ebbe due mogli (la seconda di condizione servile), come pure Giacobbe, che sposò le due
figlie di Labano; Mosè pure ebbe due mogli, Zippora e una anonima Kushita. Queste tradizioni non sarebbero state
trasmesse in un mondo in cui la poligamia fosse aborrita.
3 Letteralmente: “collocarti tra”. Per il senso di questa espressione vedi 2 Sam 19,29.
4 Al contrario della donna rappresentata in Ger 3,5.
5 Notiamo che Geremia non condivide la ripugnanza di Osea per questo vocabolo.
129
Esaminiamo da ultimo un versetto che si trova nella pericope che chiude la sezione che stiamo
considerando. Ne riporto solo la prima metà:
Se tornerai, Israele, oracolo del Signore, a me tornerai. (Ger 4,1)
L'articolazione sintattica di questo emistichio è discussa. Alcuni leggono l'ultima frase come
una ripresa enfatica della prima: “se tornerai, Israele, …… (se) a me tornerai, ……”. A me sembra
meglio comprenderle come protasi ed apodosi di un periodo ipotetico. Chiaramente i verbi non
possono avere lo stesso senso, altrimenti saremmo dinanzi ad una tautologia.1 Il profeta gioca qui2
sulla polisemia del verbo šwb. Io sono propenso a dare al primo “tornerai” il senso del ritorno
spirituale, ossia della conversione; al secondo il senso del ritorno al marito di cui in Ger 3,1. Se
Israele torna al Signore staccandosi dagli idoli di pietra e di legno cui si è prostituita, potrà tornare a
godere della sua protezione.
In Ger 3,1 abbiamo incontrato la domanda: “tornerai forse a me?”. Se l'interpretazione sopra
proposta è corretta, Ger 4,1 contiene la risposta: “se ti convertirai, potrai tornare a me”. Ger 3,1 non
enuncia quindi un'impossibilità assoluta. Sul piano delle normali relazioni umane, cui si riferiscono
le disposizioni legislative,3 ci sarebbe impossibilità, ma con il suo popolo il Signore vuole essere
generoso. Ha divorziato legalmente da sua moglie in seguito ai suoi numerosi adulteri (vedi Ger
3,8), ma è disposto a riprenderla se lei riconosce la sua colpa e si pente sul serio, e non soltanto a
parole. L'appello al vero pentimento e all'effettiva conversione ha un ruolo di primaria importanza
nella profezia di Geremia.
Rivolgiamo ora la nostra attenzione ad un'altra sezione del libro, vale a dire i capitoli 30-31,
una collezione di poemi cui è stato dato il nome convenzionale di “libro della consolazione”. 4
Anche qui troviamo un passo che interessa la nostra ricerca:
1 A meno di non ricorrere a sensi modali: se vuoi tornare, puoi tornare.
2 Lo stesso fenomeno si riscontra in Ger 8,4.
3 Che il profeta non intende minimamente mettere in discussione.
4 Alcuni esegeti ritengono che questi capitoli non siano di Geremia, ma di un anonimo profeta appartenente alla scuola
di Isaia. A mio giudizio, non ci sono argomenti decisivi per negare che siano di Geremia o della sua scuola. Segnalo la
dissertazione di B.A. BOZAK : Life Anew. A Literary-Theological Study of Jeremiah 30-31, Analecta biblica 122, Roma
1991.
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[3] Di amore perenne ti ho amata: perciò per te ho conservato 1 devozione. [4] Di nuovo ti costruirò e sarai
costruita, vergine di Israele. Di nuovo ti adornerai con cembali e uscirai2 in danze festose. [5] Di nuovo pianterai
vigne sui monti di Samaria; i piantatori pianteranno e mangeranno i frutti.3 [6] Sì, un giorno le sentinelle
grideranno sui monti di Efraim: alzatevi, saliamo a Sion, al Signore nostro Dio. (Ger 31,3-6)
Destinatari di queste promesse sono gli Israeliti che avevano subito la deportazione e sono ora
invitati a rioccupare la loro terra (i monti di Samaria, i monti di Efraim). La vergine di Israele non
designa solamente la città di Samaria, ma tutto l'Israele del nord, al quale il Signore assicura la
perennità del suo amore,4 da cui discende la continuità, cioè la rinnovata dimostrazione della sua
devozione. Tre volte ricorre nei vv. 4-5 l'avverbio “di nuovo”, che rimanda ad un passato che torna
a riaccadere. La prima promessa è la costruzione, che non indica solo costruzione di città, ma anche
generazione di figli, mediante la quale si costruiscono le famiglie; la seconda sono i festeggiamenti
per la sconfitta dei nemici, la terza la possibilità di piantare e di consumare ciò che si è piantato. Il
v. 6 profetizza la ripresa dei pellegrinaggi a Gerusalemme: il nuovo Israele ritornato nella sua terra
non sarà più separato politicamente e religiosamente da Giuda.
La vergine di Israele compare di nuovo nello stesso capitolo:
[21] Erigi cippi, posa paletti, poni mente alla strada per cui eri andata. Ritorna, vergine di Israele, ritorna a queste
tue città. [22] Fino a quando continuerai a voltarti indietro, figlia errabonda? Sì, il Signore ha creato una cosa
nuova sulla terra: 5 la femmina circonderà il maschio. (Ger 31,21-22)
I due brani precedenti ci presentano il Signore che invita Rachele a smettere di piangere per i
figli lontani, perché torneranno a casa (cfr. 31,14-16), e che assicura il suo affetto paterno ad
Efraim6 che si dichiara pronto al ritorno (cfr. 31,17-19). Ora il Signore esorta la vergine di Israele a
tornare nelle sue città, facendo a ritroso il cammino che aveva fatto quando se ne era andata.
1 Letteralmente: “prolungato” (vedi Sal 36,11 e 109,12).
2 Dalle città o dai villaggi, come la figlia di Yefte (cfr. Gdc 11,34) e le donne di Israele dopo la vittoria di Davide
contro Golia (cfr. 1 Sm 18,6). Si tratta di danze per celebrare la vittoria contro i nemici.
3 Per questo senso del verbo ḥll, vedi Dt 20,6 e 28,30.
4 Contrapposto all'amore solo giovanile del popolo evocato in Ger 2,2.
5 Non si intende la terra in generale, ma la terra in cui la vergine di Israele è invitata a tornare. Analogamente la “cosa
nuova” che il Signore ha creato non deve essere pensata come qualcosa di mai accaduto prima al mondo, ma qualcosa
di nuovo rispetto alle esperienze precedenti.
6 Figlio del figlio di Rachele. Efraim rappresenta qui gli Israeliti del nord.
131
Il senso dell'ultima frase (in ebraico neqēvāh tesōvēv gāver) è molto oscuro, e una miriade di
spiegazioni sono state proposte. In passato ho pensato che la frase potesse alludere a danze nuziali, 1
in cui le femmine ballassero in cerchio attorno ai maschi o attorno allo sposo; in questo caso la cosa
nuova che il Signore crea nella terra di Israele sarebbe la ripresa dei matrimoni e delle nascite. Oggi
sono più propenso a vedere nel gāver un figlio2 (come in Gb 3,3) e in tesōvēv l'azione di circondare
di cure protettive (come in Dt 32,10); nei due brani precedenti infatti, che parlano di Rachele e di
Efraim, è impiegata una simbolica materna e paterna, non nuziale o coniugale.3 La promessa che il
Signore fa alla vergine di Israele che torna nella sua terra sarebbe quindi la fecondità: le donne
faranno figli maschi4 e li circonderanno di cure materne.
Passiamo ad un altro passo del libro di Geremia:
[1] Venne a me una parola del Signore: [2] non prendere moglie e non avere figli o figlie in questo luogo. [3]
Infatti così ha detto il Signore a proposito dei figli e delle figlie nati in questo luogo, e delle madri che li hanno
dati alla luce e dei padri che li hanno generati in questa terra: [4] di morte dolorosa moriranno, non si farà per
loro né lamento né sepoltura, ma diventeranno letame sulla faccia della terra. Di spada e di fame periranno, e i
loro cadaveri diventeranno cibo per gli uccelli del cielo e per le bestie della terra. (Ger 16,1-4)
A Osea è comandato di prendere in moglie una donna leggera, a Geremia invece di non
prendere moglie del tutto. Perché? Per evitare di avere figli. Perché è meglio non avere figli? Perché
morirebbero di spada o di fame nella guerra con i Caldei. Non si tratta dunque con tutta evidenza di
un celibato di consacrazione al ministero profetico, ma di un segno premonitore del tragico destino
che attendeva di lì a pochi anni il regno di Giuda. Matrimonio vuol dire prossima nascita di figli, e i
figli vogliono dire futuro; rinuncia al matrimonio e alla discendenza vuol dire assenza di futuro.
1 Vedi «Caroselli femminili. A proposito di Ger 31,22», in Dialoghi sul mistero nuziale. Studi offerti al card. Angelo
Scola, edd. G. MARENGO e B. OGNIBENI, Roma 2003 (Studi sulla persona e la famiglia), 217-228; «La ronde des
jeunes filles. A propos de Jr 3,22», in L’Écrit et l’Esprit. Études d‘histoire du texte et de théologie biblique en hommage
à A. Schenker, edd. D. BÖHLER e altri, Friburgo 2005 (Orbis Biblicus et Orientalis 214), 266-272.
2 Così lo comprendeva GEROLAMO , che in Ger 31,22 vedeva una profezia della concezione verginale di Gesù: “absque
viri semine, absque ullo coitu et conceptu, femina circumdabit virum gremio uteri sui” (In Hieremiam, VI, 22).
3 ALONSO SCHÖKEL interpreta tesōvēv gāver nel senso dell'abbraccio coniugale, riferendolo sia ad ogni donna
israelita che abbraccia il proprio marito sia a tutto il popolo che abbraccia il Signore: cfr. Símbolos, cit., 164-165.
4 Quindi capaci a loro volta di generare.
132
Notiamo l'insistenza su “questo luogo” e “questa terra”. Leggiamo per comparazione un passo
della lettera che Geremia scrisse ai Giudei deportati in Babilonia col re Yoyakin:
[5] Costruite case per abitare, piantate frutteti per mangiarne i frutti. [5] Prendete mogli e generate figli e figli.
Prendete mogli per i vostri figli e date in matrimonio le vostre figlie, perchè generino figli e figlie. Diventate
numerosi in quel luogo e non diminuite. [7] Cercate la pace per la città in cui vi ho esiliato, pregate il Signore in
suo favore, poichè nella sua pace è la vostra pace. (Ger 29,5-7)
Il messaggio è chiaro: il vostro soggiorno in terra di Babilonia non sarà breve, vi resterete
come minimo due generazioni.1 Il profeta non vuole che i deportati si facciano illusioni su un
prossimo ritorno nella loro terra, prestando orecchio a false profezie (cfr. Ger 28,1-4): il loro futuro
è in Babilonia, non a Gerusalemme. Per questo vuole che si sposino e facciano figli, perché a loro è
riservato un futuro, non a quelli rimasti in Giudea.2 Il matrimonio è considerato in funzione della
generazione di figli, da cui dipende la continuità nel tempo della nazione.
Vediamo da ultimo un ritornello che si incontra per ben quattro volte nel libro di Geremia: 3
Farò cessare nelle città di Giuda e nelle piazze di Gerusalemme la voce di gioia e allegrezza, la voce dello sposo
e della sposa, poiché un deserto diverrà questa terra. (Ger 7,34)
Ecco farò cessare in questo luogo, davanti ai vostri occhi e ai vostri giorni, la voce di gioia e allegrezza, la voce
dello sposo e della sposa. (Ger 16,9)
Farò smettere tra di loro la voce di gioia e allegrezza, la voce dello sposo e della sposa, la voce della macina e la
luce della lucerna. (Ger 25,10)
Si ascolterà di nuovo in questo luogo … la voce di gioia e allegrezza, la voce dello sposo e della sposa … poiché
farò tornare questa terra come era prima, ha detto il Signore. (Ger 33,10-11)
1 Più avanti (cfr. Ger 29,10) il profeta dice che durerà settanta anni, che non devono probabilmente essere intesi come
una precisa indicazione cronologica, ma piuttosto come un'espressione idiomatica (come le “calende greche” di cui
parlavano i Romani).
2 I deportati non si rendono conto che a loro è toccata la sorte migliore; loro sono i fichi buoni, quelli rimasti a
Gerusalemme i fichi marci (cfr. Ger 24).
3 Un quinto esempio si incontra pure (in lingua greca) nel libro di Baruc (cfr. 2,23), letterariamente connesso a
Geremia. Baruc è un libro deuterocanonico, vale a dire non riconosciuto come canonico da Israele e conseguentemente
neppure dalla cristianità protestante.
133
“Voce di allegria e contentezza, voce dello sposo e della sposa”: credo che sia appropriato
chiamarlo ritornello, visto che questa frase ritorna perfettamente identica ogni volta. In ebraico essa
presenta un effetto di rima: qôl śāśôn weqôl śimḥāh qôl ḥātān weqôl kallāh. Non è impossibile che si
tratti un canto tradizionale che veniva eseguito in occasione delle nozze. Come abbiamo visto nel
capitolo precedente, le nozze erano celebrate come un banchetto festoso, nel quale si mangiava e si
beveva, si cantava e si ballava. La ragione per cui le nozze erano un momento di grande gioia sta
essenzialmente nel fatto che la coabitazione dello sposo con la sposa ha come effetto, almeno
sperato, la nascita di figli, che rappresentano la vita che continua: fino a che nascono figli, la
nazione non è morta. Geremia annuncia prima la cessazione e poi la ripresa dei canti nuziali,
proprio per annunciare prima la morte e poi la rinascita della nazione cui appartiene.
Possiamo a questo punto ricapitolare. Ger 2-3 ci ha presentato un Israele fedele solo all'inizio
della sua relazione con il Signore, ma successivamente resosi ripetutamente colpevole di infedeltà,
per descrivere la quale il profeta non esista a ricorrere a termini assai crudi (cfr. Ger 3,2). Geremia
non si limita però a denunciare i peccati, ma invita alla conversione, anzittutto gli Israeliti del regno
settentrionale, che avevano sperimentato l'abbandono da parte del Signore, dal profeta rappresentato
come un divorzio (cfr. Ger 3,8), ed ora avevano l'occasione di riunirsi con i Giudei, dopo che Giosia
aveva ripreso i territori del nord profittando dell'indebolimento della potenza assira (cfr. 2 Re 23,1520). Lo stesso invito Geremia rivolge ai Giudei suoi conterranei, che giudica ancora più colpevoli
degli Israeliti, per il fatto di non avere tratto alcun insegnamento da ciò che era accaduto un secolo
prima ai loro fratelli del nord.
In Ger 31 abbiamo riconosciuto elementi di una simbolica che più che matrimoniale possiamo
denominare generativa. Israele è infatti interpellato come una vergine,1 ossia una giovane che non
ha ancora marito, alla quale è promessa la costruzione, che non è altro che il fatto di sposarsi ed
avere figli, di formare quindi una famiglia. 2
Quanto sia importante l'elemento della generazione appare inoltre dalla comparazione tra il
divieto fatto a Geremia a sposarsi e l'esortazione dallo stesso Geremia rivolta ai deportati a sposarsi
e fare sposare i propri figli. Geremia non deve sposarsi perché non deve aver figli in una terra
1 Il termine evoca una condizione poco onorevole. Pensiamo alla figlia di Yefte che piange perché deve morire vergine
(cfr. Gdc 11,37-38). Nella cultura antica la ragione d'essere di una donna è divenire moglie e madre.
2 In ebraico biblico il termine più vicino a “famiglia” è bayit, casa.
134
condannata, i deportati devono al contrario sposarsi e moltiplicarsi perché il Signore riserva loro un
futuro. Il matrimonio è la premessa alla nascita di figli; per questo le nozze sono un evento gioioso
per tutta la comunità, e non soltanto per i due sposi.
La simbolica messa in opera da Geremia non appare nei suoi tratti fondamentali diversa da
quella che abbiamo osservato nel libro di Osea. L'elemento che assume maggior rilievo è l'analogia
tra infedeltà coniugale e infedeltà religiosa, che in Geremia è oggetto di una dichiarazione formale
(cfr. 3,20). Ambedue usano il simbolo del divorzio per illustrare il destino patito dal regno di
Israele, divorzio però evocato come non definitivo. Come il Dio di Osea, anche il Dio di Geremia
parla come un marito generosamente disposto al perdono, insistendo però con molta forza sulla
necessità della conversione dell'adultera per essere riaccolta e risposata. Il tema del ritorno, fisico e
spirituale, presente già in Osea, assume un rilievo particolare in Geremia.
Per comando divino Osea prese in moglie una donna portata all'infedeltà, Geremia invece non
prese moglie del tutto. In ambedue i casi il comando divino aveva di mira più i figli che la moglie:
Osea doveva avere figli e figlie inclini anche loro all'infedeltà, Geremia non avere figli per niente.
Si vede quanto la generazione di figli sia parte costitutiva della simbolica matrimoniale, così come i
profeti la impiegano nella loro predicazione. Sposare una donna poco fedele o rinunciare a sposarsi
sono ambedue esperienze molto dolorose per un uomo; non meno doloroso è avere figli indegni, o
non averne del tutto. Il dolore (poco importa se reale o letterario) dei mariti che sono stati Osea o
Geremia fa riflettere su ciò che ha vissuto (se si può usare questo termine) il Dio di Israele davanti
ai tradimenti del popolo che aveva voluto come suo.
Il dolore non è però la parola ultima, ma cederà il passo alla gioia. Osea riscatterà e riprenderà
in casa sua moglie, e i suoi figli riceveranno altri nomi, espressivi della ricostituzione del rapporto
di appartenenza tra il Signore e il suo popolo. Di Geremia non sappiamo se più avanti nella sua vita
gli sia stato concesso di avere moglie e figli. Ci è detto però (cfr. Ger 32) che, quando Gerusalemme
stava per cadere in mano ai Caldei, gli fu comandato di riscattare un campo messo in vendita da suo
cugino, profetizzando con questo atto che nella terra in procinto di divenire luogo di devastazione
sarebbero tornati giorni in cui si sarebbe tornati a piantare e raccogliere. Simbolicamente il possesso
della terra e il possesso della moglie non sono senza relazione.
135
Ezechiele
Vediamo ora Ezechiele ben Buzi, sacerdote come Geremia, a differenza di lui deportato1 in
Babilonia, in una località chiamata Tel Aviv.2 Il suo ministero si svolge tra i deportati, prima e dopo
la ribellione di Sedecia e la conseguente repressione babilonese, che culminò con la presa di
Gerusalemme e la distruzione del Tempio.
La profezia di Ezechiele è dominata dalla necessità di spiegare i tragici avvenimenti del suo
tempo, ovvero la fine della monarchia, la distruzione del tempio, la deportazione del popolo. Perché
il Signore ha lasciato il suo popolo in balia dei suoi nemici? Perché il popolo gli era stato infedele.
Il comportamento del Signore è del tutto giustificato considerando il comportamento di Israele.
A più riprese Ezechiele fa la storia delle infedeltà di Israele. In Ez 20 tale storia è esposta in
linguaggio diretto, in Ez 16 e 23 invece in linguaggio figurato, facendo ricorso alla simbolica della
relazione marito-moglie. Rispetto ai profeti finora studiati, Ezechiele fa un uso assai più esteso di
tale simbolica; al dire di un commentatore, “Ezekiel provided the adulterous wife of Hosea and
Jeremiah with a biography”.3 In realtà l'aspetto biografico è presente già in Osea, ma Ezechiele lo
sviluppa in modo molto diverso. Esamineremo dunque nell'ordine Ez 16 ed Ez 23; successivamente,
vedremo il passo in cui al profeta è proibito di fare lutto per la morte della moglie (Ez 24,15-24).
Ez 16 si lascia dividere in due grandi parti.4 La prima contiene la denuncia dei peccati di
Gerusalemme seguita dalla richiesta della pena di morte per adulterio e infanticidio (vv. 3-43); la
seconda la promessa di una restaurazione (vv. 44-63). In conformità con la nostra impostazione di
fondo, noi studieremo il capitolo come un tutto, senza addentrarci nella questione se le due parti
siano opera di uno o più autori.
1 Al tempo della prima deportazione (597 a.C.), quando il re Yoyakin si arrese ai Caldei (cfr. 2 Re 24,10-17). Il fatto
che Ezechiele sia stato deportato significa che apparteneva ad una famiglia importante.
2 Nome oggi della più popolosa città israeliana.
3 M. GREENBERG , Ezekiel 1-20, The Anchor Bible 22, New York 1983, 299.
4 Un'accurata analisi della sua composizione è offerta da M.G. SWANEPOEL, «Ezekiel 16: Abandoned Child, Bride
Adorned or Unfaithful Wife?», in Among the Prophets. Language, Image and Structure in the Prophetic Books, edd.
PH.R. D AVIES e D.G.A. CLINES, Sheffield 1993 (Journal for the Study of the Old Testament. Supplement Series 144),
84-104.
136
Quale sia lo scopo della prima parte è dichiarato nel versetto introduttivo: denunciare i crimini
commessi da Gerusalemme, alla cui esposizione seguirà naturalmente la richiesta della pena. Prima
dei crimini sono però elencati i benefici ricevuti da Gerusalemme:
[1] La parola del Signore venne a me: [2] figlio d'uomo, fa' conoscere a Gerusalemme le sue nefandezze. [3] Di':
così ha detto a Gerusalemme il Signore Dio: la tua origine e la tua nascita sono dalla terra del Cananeo, tuo padre
fu l'Amorreo e tua madre una Ittita. [4] Quanto alla tua nascita, nel giorno in cui fosti partorita non ti fu reciso il
cordone né fosti lavata con acqua per pulirti,1 né frizionata con sale né avvolta in fasce. [5] Nessun occhio si
posò su di te per farti una sola di queste cose per pietà verso di te, ma fosti gettata in aperta campagna2 per
detestazione della tua vita nel giorno in cui fosti partorita. [6] Passai accanto a te, ti vidi mentre sgambettavi3 nel
tuo sangue4 e ti dissi: nel tuo sangue vivi; ti dissi: nel tuo sangue vivi.5 [7] Numerosa6 come ciò che germoglia
nei campi ti resi, ti moltiplicasti, crescesti e giungesti al colmo della bellezza. I tuoi seni si svilupparono e ti
spuntarono i peli; eri nuda e scoperta. [8] Passai accanto a te e ti vidi: ecco, era il tuo tempo, il tempo degli
amori.7 Stesi su di te un lembo del mio mantello e coprii la tua nudità, ti feci un giuramento ed entrai in alleanza
con te, oracolo del Signore Dio, e diventasti mia. [9] Ti lavai con acqua, ti tolsi di dosso il tuo sangue e ti
spalmai con unguento; [10] ti vestii con una veste ricamata, ti calzai con pelle di tasso, ti cinsi di bisso e ti coprii
di seta. [11] Ti ornai con ornamenti: ti misi dei braccialetti alle braccia e una collana al collo, [12] ti misi un
anello al naso e orecchini agli orecchi, e una corona splendida sulla testa. [13] Ti ornasti d'oro e d'argento, e i
tuoi abiti erano di bisso e seta e ricami; mangiasti farina, miele ed olio e ti facesti molto bella, e ti elevasti alla
regalità. [14] La tua fama si diffuse fra le nazioni a causa della tua bellezza; davvero era perfetta a causa del mio
splendore che avevo posto su di te, oracolo del Signore Dio. (Ez 16,1-14)
1 In ebraico lemiš‘î, termine che compare solo qui nella Bibbia ebraica. La traduzione “per pulirti” (Bibbia CEI: “per
purificarti”) è congetturale, in base al contesto.
2 L'abbandono di un neonato in un luogo abitato suppone la speranza che qualcuno lo raccolga e ne abbia cura, mentre
l'esposizione in aperta campagna indica la volontà di lasciare morire. Tale pratica era abbastanza normale nell'antichità
in caso di neonati deformi (Platone ad esempio la raccomanda: cfr. Repubblica V, 459-461).
3 In ebraico mitbôseset, che viene dal verbo bws che significa propriamente “calpestare”; evoca yebûs, l'antico nome di
Gerusalemme (cfr. Gdc 19,10-11 e 1 Cr 11,4-5).
4 Non è il sangue della neonata, dato che il cordone ombelicale non è stato reciso. L'ipotesi più logica è che per sangue
si intenda la placenta.
5 La Bibbia CEI elimina questa ripetizione, che non c'è nella Settanta. Può trattarsi in effetti di un errore di copia (la
cosiddetta dittografia), ma potrebbe anche essere voluta per dare maggio enfasi alla frase.
6 L'aggettivo non si adatta ovviamente a una bambina, ma allude alla moltiplicazione del popolo in Egitto (cfr. Es 1,7).
La rappresentazione non è interamente coerente, ma ogni tanto vi fa capolino la realtà.
7 La pubertà.
137
A quale scopo ricordare a Gerusalemme, che rappresenta l'intera casa di Israele, i molteplici
benefici da lei ricevuti? Perché il Signore, la parte lesa di cui il profeta si fa portavoce in questo atto
di accusa, ci tiene a ribadire innanzittutto che a lui non può essere rinfacciata alcuna mancanza:1
egli è stato molto generoso con il suo popolo, il che lo rende ovviamente ancora più colpevole.
Il primo beneficio ricordato è la vita in luogo della morte. Quando il Signore passò la prima
volta accanto a Gerusalemme, vide una neonata abbandonata in aperta campagna perchè morisse. I
suoi genitori non provavano per lei dunque alcun sentimento di pietà: non per nulla erano un
Amorreo e una Ittita,2 ossia due delle nazioni che abitavano la terra di Canaan prima della conquista
israelitica.3 Della neonata nuda e coperta di sangue4 ebbe pietà invece il Signore, che con la sua
parola la salvò dalla morte.5
Il secondo beneficio ottenuto da Gerusalemme è il matrimonio. Il Signore passò una seconda
volta accanto a Gerusalemme, anni dopo, quando aveva raggiunto l'età da marito. Era ancora nuda e
coperta di sangue6 come il giorno della sua nascita, ma il Signore stese su di lei il suo mantello,
gesto che equivale a una dichiarazione di matrimonio,7 come attestato da Rt 3,9.
1 Lo stesso schema abbiamo osservato in Ger 2.
2 Ciò può valere per la tua città di Gerusalemme, non per il popolo di Israele, che discende da Giacobbe e dalle due
figlie di Labano. Ciò che interessa evidentemente al profeta è mettere in rilievo che il popolo che il Signore salvò dalla
morte e con cui fece alleanza era un popolo con un pessimo patrimonio genetico. Amorrei e Ittiti, come abbiamo visto
nel capitolo precedente, fanno parte delle nazioni con cui Israele non deve mescolarsi.
3 Mi riferisco naturalmente alla presentazione biblica. La storiografia recente mette fortemente in dubbio che vi sia mai
stata una conquista di Canaan da parte di Israele. Vedi in proposito P. MERLO, Breve storia di Israele e di Giuda,
Torino 2010, 12-14.
4 Il sangue del parto causa un'impurità, che dura sessantasei giorni nel caso della nascita di una femmina (cfr. Lv 12,5).
In altri contesti il sangue evoca l'ingiustizia: in Ez 22,2 e 24,6 Gerusalemme è chiamata “città del sangue”.
5 Nella frase “nel tuo sangue vivi” M. MALUL ha voluto vedere una formula legale di adozione: cfr. «Adoption of
Foundlings in the Bible and Mesopotamian Documents: A Study of Some Legal Metaphors in Ezekiel 16:1-7», Journal
for the Study of the Old Testament 46 (1990), 97-126. Per una critica di questa spiegazione vedi S.T. KAMIONKOWSKI,
«‘In Your Blood, Live’ (Ezekiel 16:6): A Reconsideration of Meir Malul’s Adoption Formula», in Bringing the Hidden
to Light. Studies in Honor of S.A. Geller, edd. K.F. KRAVITZ e D.M. SHARON , Winona Lake 2007, 103-113.
6 Al v. 9 leggiamo che il Signore la lavò per toglierle “il suo sangue”.
7 Segnalo l'articolo di P.A. KRUGER, «The Hem of the Garment in Marriage: The Meaning of the Symbolic Gesture in
Ruth 3:9 and Ezekiel 16:8», Journal of Northwest Semitic Languages 12 (1984), 79-86.
138
Le due frasi seguenti pongono un problema. Il giuramento e l'alleanza in esse menzionate
devono essere intesi come elementi della simbolica matrimoniale,1 o escono dal registro simbolico
per evocare fatti reali (l'alleanza che venne stipulata tra il Signore ed Israele)? Per quanto concerne
il giuramento, non ci è noto se la stipulazione dell'accordo matrimoniale contemplasse un vero e
proprio giuramento da parte del marito. Il verbo šb‘ però può anche significare semplicemente
promettere (solennemente), ed è certo che con il matrimonio l'uomo si assumeva precisi impegni nei
confronti della donna che prendeva in moglie. In Ez 20,6 leggiamo appunto che il Signore promise
agli Israeliti di farli uscire dall'Egitto e di condurli in una terra che produce in abbondanza latte e
miele. Quanto all'alleanza, od obbligo come sarebbe forse meglio tradurre la parola ebraica berît,2
presenta forti analogie col matrimonio, dato che ambedue comportano impegni vincolanti. Sia il
giuramento che l'alleanza menzionati in Ez 16,8 possono pertanto essere senza difficoltà compresi
in riferimento al patto matrimoniale.
La stessa cosa vale per la frase finale “diventasti mia”. Con il matrimonio una donna diventa
moglie di un uomo, quindi diventa sua, appartiene a lui e a nessun altro. L'appartenenza esclusiva è
l'obbligo principale che si assume una moglie nei confronti del marito, che invece non lo assume
verso di lei. Tale è l'obbligo che Israele si assunse nei confronti del Signore ai piedi del monte
Sinai, quando divenne suo popolo, a lui consacrato, a lui appartenente in esclusiva.
Un marito, come sappiamo da Es 21,10, ha l'obbligo di vestire e nutrire la moglie. I vv. 10-13
descrivono appunto come il Signore mantenne i suoi impegni. Gerusalemme ebbe il meglio sia in
fatto di cibo che di abbigliamento: la ragazza che non aveva uno straccio da mettersi addosso si
trovò vestita e adorna di gioielli come una regina.3 Essa però approfittò della sua bellezza per darsi
alla prostituzione, concedendosi a chiunque passava accanto a lei:4
1 Come lo è il mōhar che abbiamo visto evocato in Os 2,21-22.
2
Questa è la tesi che sostiene E. KUTSCH, Verheißung und Gesetz. Untersuchungen zum sogenannten «Bund» im Alten
Testament, Beihefte zur Zeitschrift für die alttestamentliche Wissenschaft 131, Berlino 1973. Per una storia della ricerca
sul concetto di alleanza nell'Antico Testamento, si può consultare E.W. N ICHOLSON, God and His People. Covenant
and Theology in the Old Testament, Oxford 1986.
3 La frase “ti elevasti alla regalità” forse contiene un'allusione all'epoca d'oro di Davide e Salomone.
4 Forte contrasto con i due precedenti passaggi del Signore accanto alla neonata abbandonata (v. 6) e poi alla ragazza
cresciuta (v. 8).
139
[15] Ma confidasti nella tua bellezza e ti prostituisti per la tua fama,1 riversando la tua prostituzione su chiunque
passava: a lui sia!2 [16] Prendesti parte delle tue vesti, ti facesti variopinti santuari3 e su di esse4 ti prostituisti:
cose mai accadute e mai più avverranno!5 [17] Prendesti i tuoi ornamenti, fatti con l'oro e l'argento che ti avevo
dato, ne facesti statue maschili e ti prostituisti con loro. [18] Prendesti le tue vesti ricamate e le copristi, e offristi
loro il mio olio e il mio incenso. [20] Il cibo che ti avevo dato, la farina, l'olio e il miele di cui ti avevo nutrito, li
offristi loro in aroma gradevole,6 e ciò avvenne,7 oracolo del Signore Dio. Prendesti i figli e le figlie che mi
avevi generato e li immolasti loro perché se ne cibassero. Era forse poco 8 la tua prostituzione? [21] Hai scannato
i miei figli e li hai offerti loro in olocausto.9 [22] Quanto a tutte le tue nefandezze e prostituzioni, non ti sei
ricordata dei giorni della tua gioventù, quando eri nuda e scoperta e sgambettavi nel tuo sangue. (Ez 16,15-22)
Ciò che è qui descritto come prostituzione è l'idolatria. Registriamo quattro “prendesti”: vesti
per farne tessuti per adornare santuari, gioielli per farne statue, vesti ricamate da mettere addosso a
queste statue, figli e figlie per offrirli loro in sacrificio. Notiamo che ciò che Gerusalemme prende è
sempre qualcosa che le è stato donato dal Signore. Tali sono anche i figli, di cui non si era parlato
nella sezione precedente, es apprendiamo ora l'esistenza. Proprio l'uccisione rituale dei bambini è
presentata come il culmine di tutte le prostituzioni di Gerusalemme. Non per nulla la sezione si
chiude richiamando l'episodio iniziale della storia, vale a dire l'esposizione della neonata perchè
1 Approfittando della tua fama.
2 La Bibbia CEI omette interamente questa frase, che manca nella Settanta. Il contrasto con la finale del v. 8 (“fosti a
me”) milita a favore della sua presenza nel testo originale. Il suo senso è certamente molto oscuro; il Targum vi legge
una negazione: “cosa che non dovevi fare”; la Vulgata traduce alla seconda singolare: ut eius fieres.
3 La Bibbia CEI traduce: “alture”; il termine designa costruzioni, non rilievi naturali del terreno.
4 Sulle vesti, usate come coperte.
5 Traduzione congetturale di una frase molto oscura, che la Bibbia CEI omette per intero, anche se attestata da tutte le
antiche versioni, che la interpretano in modi molto diversi.
6 Gli dei erano immaginati gradire l'aroma che si innalzava da ciò che si faceva bruciare sull'altare.
7 Anche qui la Bibbia CEI omette la frase, malgrado la sua attestazione nelle versioni antiche.
8 Era forse poco = non era forse sufficiente. Non bastava avere offerto farina, olio e miele, bisognava offrire in cibo agli
idoli anche la carne dei bambini.
9 Letteralmente: “facendoli passare” attraverso il fuoco.
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morisse. Quando si è messa a praticare sacrifici umani1 Gerusalemme ha dimenticato che lei stessa
da piccola era stata lasciata morire dai suoi genitori.
La sezione seguente rincara la dose:
[23] Dopo tutta la tua perversità, guai guai a te, oracolo del Signore Dio, [24] ti costruisti un'alcova e ti facesti un
podio in ogni piazza, [25] ad ogni capo di strada costruisti il tuo podio e avvilisti la tua bellezza, allargasti le
gambe2 per chiunque passava e moltiplicasti le tue prostituzioni. [26] Ti prostituisti con gli Egiziani, i tuoi vicini
grandi di carne,3 e moltiplicasti le tue prostituzioni per provocarmi. [27] Allora stesi la mia mano contro di te e
ridussi la tua regola,4 ti consegnai in balia delle tue nemiche, le figlie dei Filistei,5 che si adontavano dal tuo
comportamento disgustoso. [28] Ti prostituisti con gli Assiri senza saziarti, ti prostituisti con loro ma ancora non
fosti sazia. [29] Moltiplicasti la tua prostituzione fino alla terra dei mercanti, i Caldei, ma neppure con ciò fosti
sazia. [30] Come era malato il tuo cuore,6 oracolo del Signore Dio, quando facevi tutte queste cose, azione di
donna che si prostituisce di propria volontà; [31] quando costruivi la tua alcova ad ogni capo di strada e il tuo
palco facevi in ogni piazza, spregiando il compenso non eri come la prostituta, [32] ma la donna adultera che
invece di suo marito prende estranei. [33] A tutte le prostitute si dà una paga, tu invece desti la paga ai tutti i tuoi
amanti, e li corrompesti perché venissero da te da ogni luogo, alle tue prostituzioni. [34] Facevi il contrario delle
donne nelle tue prostituzioni: non si veniva dietro a te per fornicare, ma perché davi un compenso, mentre nessun
compenso era dato a te; facevi il contrario. (Ez 16,23-34)
Al v. 25 ricompare il “chiunque passava”, già incontrato al v. 15. Qui però coloro ai quali
Gerusalemme concede i suoi favori non sono statue maschili come al v. 17, ma Egiziani, Assiri e
Caldei. Più che l'idolatria Ezechiele prende qui di mira le alleanze che i re di Israele e di Giuda
fecero con le grandi potenze alle quali si sottomisero per avere protezione, pagando loro tributo.7
Per comprendere la denuncia del profeta bisogna tenere presente che nel contesto dell'epoca dietro
1 Il libro dei Re menziona sacrifici umani offerti da Achaz (cfr. 2 Re 16,3) e Manasse (cfr. 2 Re 21,3); Giosia dichiarò
impuro il Tofet nella valle di Hinnom così che nessuno vi celebrasse sacrifici umani (cfr. 2 Re 23,10).
2 Questo gesto, menzionato pure nel poema di Gilgamesh, è da intendere come esibizionistico, allo scopo di adescare i
passanti.
3 Il termine può avere senso eufemistico (carne = membro virile).
4 Si intende probabilmente la razione di cibo.
5 Le città filistee. Il libro delle Cronache ci informa che al tempo di Achaz i Filistei occuparono alcune città di Giuda
(cfr. 2 Cr 28,18).
6 Traduzione congetturale di una frase difficile, che le versioni antiche hanno interpretato in modi diversi. Vocalizzando
diversamente si potrebbe ottenere il senso: “come è piena la collera nei tuoi riguardi”.
7 Il fatto non risulta solo dalla Bibbia (vedi ad esempio 2 Re 16,7-9 e 18,14-16), ma anche da fonti epigrafiche assire.
141
ai popoli e ai re stanno le divinità che li proteggono:1 chiedere l'aiuto di un re equivale a considerare
il suo Dio più capace di salvare del proprio Dio.
Interessante è il fatto che Gerusalemme sia dichiarata peggiore di una prostituta, dal momento
che la prostituta agisce spinta dal bisogno di guadagnare, bisogno che Gerusalemme assolutamente
non aveva, poiché il Signore l'aveva colmata di beni. Peggiore della prostituta è l'adultera che agisce
mossa dal solo desiderio di andare a letto con altri uomini che suo marito. Mentre la moglie di Osea
correva dietro agli amanti per ricevere dei beni (vedi Os 2,7), la Gerusalemme di Ezechiele è invece
dipinta come una ninfomane.
Alla denuncia segue logicamente la requisitoria:
[35] Perciò ascolta la parola del Signore, prostituta. [36] Così ha detto il Signore Dio: poiché hai riversato il tuo
bronzo2 e scoperto la tua nudità nelle tue prostituzioni, per i tuoi amanti e per tutti gli idoli delle tue nefandezze,
e in cambio del sangue dei tuoi figli che hai offerto loro, [37] ecco io radunerò tutti i tuoi amanti con i quali ti sei
sollazzata, tutti quelli che hai amati oltre a tutti quelli che hai odiati3; li radunerò contro di te da ogni parte,
scoprirò per loro la tua nudità e vedranno tutta la tua nudità. [38] Ti condannerò alla condanna delle adultere e di
quelle che versano sangue, ti renderò sangue di furore e di gelosia. [39] Ti metterò nelle loro mani: abbatteranno
la tua alcova e demoliranno i tuoi podii, ti spoglieranno delle tue vesti, ti prenderanno i tuoi gioielli e ti
lasceranno nuda e scoperta. [40] Solleveranno contro di te la folla e ti colpiranno con pietre e ti squarceranno con
le loro spade. [41] Incendieranno le tue case ed eseguiranno la sentenza contro di te sotto gli occhi di molte
donne.4 Ti farò smettere di prostituirti e non darai più compensi. [42] Placherò così il mio furore contro di te e la
mia gelosia si allontanerà da te, mi calmerò e non sarò più adirato. [42] Poiché non ti sei ricordata dei giorni
della tua gioventù e mi hai provocato con tutte queste azioni, ecco farò ricadere sulla testa il tuo comportamento,
oracolo del Signore Dio, e non potrai commettere l'infamia oltre a tutte le tue nefandezze. (Ez 16,35-43)
Nel diritto israelitico (e antico-orientale in genere) la pena era stabilita dalla parte offesa. Qui
il marito incollerito per i ripetuti adulteri subiti e il padre addolorato per l'uccisione di molti figli
chiede che la moglie ninfomane e la madre assassina sia denudata, lapidata e fatta a pezzi a colpi di
1 Da questo punto di vista è istruttivo il discorso del gran coppiere del re di Assiria sotto le mura di Gerusalemme
riportato da 2 Re 18,28-35 e Is 36,13-20.
2 Si intende il denaro.
3 Quelli che hai tenuti e quelli che hai lasciati, cioè i nuovi e i vecchi.
4 Le donne rappresentano città, le quali a loro volta rappresentaziono le nazioni.
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spada. Esecutori della sentenza saranno proprio gli amanti ai quali Gerusalemme si era concessa,1
ovvero le nazioni con cui aveva fatto alleanza. La pena richiesta è dunque la morte, ma il finale (ti
farò smettere di prostituirti, non potrai aggiungere infamia a nefandezze) mostra che non sarà
applicata in tutta la sua portata. Gerusalemme patirà saccheggi e incendi, ma sopravviverà.
Passiamo ora alla seconda parte del capitolo, che molti studiosi attribuiscono a discepoli e
continuatori. Se è un'aggiunta, non è però un'aggiunta maldestra,2 e merita in ogni caso di essere
considerata e studiata come parola profetica, al pari della prima parte. Notiamo che le due parti sono
collegate dall'accenno iniziale all'ascendenza amorrea e ittita:
[44] Ecco, ogni dicitore di proverbi dirà su di te il proverbio: tale madre, tale figlia. [45] Tu sei figlia di tua
madre, che detestava suo marito e i suoi figli; tu sei sorella delle tue sorelle, che detestavano i loro mariti e i loro
figli. Vostra madre era Ittita e vostro padre Amorreo. [46] Tua sorella più grande, Samaria, con le sue figlie3
abita alla tua sinistra; tua sorella più piccola abita alla tua destra,4 Sodoma con le sue figlie. [47] Non sei andata
per le loro vie e hai commesso le loro nefandezze,5 ma in pochissimo tempo ti sei corrotta più di loro in tutte le
tue vie. [48] Come è vero che io vivo, oracolo del Signore Dio, tua sorella Sodoma con le sue figlie non ha fatto
quello che hai fatto tu con le tue figlie. [49] Ecco quale fu la colpa di tua sorella Sodoma: lei e le sue figlie
avevano stato elevato, pane a sazietà e tranquilla sicurezza, ma non presero per mano il povero e il misero; [50]
insuperbirono e fecero ciò che è nefando ai miei occhi, e io le annientai quando lo vidi.6 [51] Samaria non fece
neppure la metà dei tuoi peccati. Tu hai commesso più nefandezze di loro, e hai rese giuste le tue sorelle con le
nefandezze che hai commesso. [52] Porta dunque il peso della tua onta per aver agito in favore delle tue sorelle:
avendo tu commesso peccati più nefandi di loro, esse sono più giuste di te. Vergognati dunque e porta il peso
della tua onta, poiché hai rese giuste le tue sorelle. (Ez 16,44-52)
In Ez 16,3 si parlava solo del padre e della madre di Gerusalemme, mentre qui si parla anche
di due sorelle, Samaria e Sodoma.7 Tutte e tre le città sono segnate da ciò che hanno ricevuto dalla
1 In totale contrasto col diritto, per il quale l'amante è colpevole come l'adultera. Questo elemento si situa nell'ambito
della rievocazione storica (Gerusalemme distrutta dai Caldei), non dell'uso della simbolica coniugale.
2 Condivido la valutazione di SWANEPOEL: “The whole pericope forms a meaningful unit” (Ezekiel 16, cit., 100).
3 Le città più piccole che dipendono dalla capitale.
4 Sinistra e destra guardando ad oriente: quindi nord e sud.
5 La frase deve essere intesa nel senso: non ti sei limitata ad andare e a commettere.
6 Reminiscenza di Gen 18,21.
7 Una più grande e una più piccola di Gerusalemme, non per età ma per estensione di territorio.
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madre1 come carattere ereditario: la detestazione sia del marito che dei figli, la propensione dunque
all'adulterio e all'infanticidio. Di Sodoma si denuncia in realtà una colpa di altro genere, quella di
non avere soccorso i poveri; di Samaria ci si limita a dire che non fatto neppure la metà del male
fatto da Gerusalemme. Delle tre la peggiore è dunque Gerusalemme, che ha commesso peccati tali
che al suo confronto Sodoma e Samaria appaiono giuste. Ciò è detto evidentemente per aggravare il
senso di colpa di Gerusalemme.
A questo punto inaspettatamente incontriamo una promessa:
[53] Cambierò la loro sorte, la sorte di Sodoma e delle sue figlie e la sorte di Samaria e delle sue figlie, e
cambierò la tua sorte in mezzo a loro, [54] così che tu porti la tua onta e ti vergogni di tutto ciò che hai fatto a
loro consolazione.2 [55] Tua sorella Sodoma e le sue figlie torneranno al loro stato di prima, Samaria e le sue
figlie torneranno al loro stato di prima, tu e le tue figlie tornerete al vostro stato di prima. [56] Tua sorella
Sodoma non era forse sempre sulla tua bocca3 nei giorni del tuo stato elevato, [57] prima che fosse svelata la tua
perversità? Ora è venuto il tempo del disprezzo delle figlie di Aram e di tutte quelle che la circondano, le figlie
dei Filistei, che ti deridono ovunque. [58] Della tua infamia e delle tue nefandezze hai portato il peso, oracolo del
Signore. [59] In verità così ha detto il Signore Dio: agirò con te secondo come hai agito,4 tu che hai disprezzato
la maledizione5 violando l'alleanza. [60] Ma mi ricorderò della mia alleanza con te nei giorni della tua gioventù e
la confermerò in tuo favore come alleanza perenne. [61] Ti ricorderai delle tue azioni e ti vergognerai, quando
riceverai le tue sorelle, maggiori di te e minori di te,6 che ti darò come figlie, ma non dalla tua alleanza.7 [62]
Confermerò la mia alleanza in tuo favore e riconoscerai che io sono il Signore. [63] Ti ricorderai, ti vergognerai
e non potrai più aprire bocca dalla vergogna, quando ti perdonerò tutto ciò che hai fatto, oracolo del Signore Dio.
(Ez 16,53-63)
1 Non dal padre. Sembra che solo la madre fosse giudicata capace di trasmettere a figli la sua indole (vedi Os 2,2).
2 Consistente nel fatto che non saranno più considerate le città più colpevoli della terra.
3 Come oggetto di disprezzo.
4 Castigandoti per le tue azioni.
5 Le maledizioni legate alla violazione dell'alleanza: vedi Lv 26,14-46 (che ha vari elementi in comune con il passo che
stiamo esaminando) e Dt 28,15-68.
6 Malgrado il plurale, si tratta sempre di Samaria e di Sodoma.
7 “La tua alleanza” è da comprendere come “la mia alleanza con te” del versetto precedente. Che cosa significhi “non
dalla tua alleanza” (v. 61) non è molto chiaro. Il senso che secondo me meglio conviene al contesto è: “non in
conseguenza dell'obbligo che ho nei tuoi confronti”, del tutto gratuitamente quindi.
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Sodoma, Samaria e Gerusalemme hanno tutte commesso gravi peccati e sono state punite.
Verrà però per tutte e tre il tempo di un ritorno al loro stato di prima (prima della punizione).1
Gerusalemme ha violato l'alleanza e ne pagherà caramente il prezzo, ma il Signore la riconferma.
L'accenno ai “giorni della tua gioventù” (v. 60) fa capire che si tratta della stessa alleanza del v. 8,
che abbiamo visto può essere compresa in senso matrimoniale. Come Osea prima di lui, Ezechiele
promette dunque un nuovo matrimonio tra il Signore e il suo popolo.
Colpisce l'insistenza sul tema della vergogna e dell'umiliazione. Nel presente Gerusalemme è
invitata a provare vergogna davanti alle sue sorelle, che ha superato in malvagità e perversione.
Deve portare la sua onta, senza protestare ma riconoscendola pienamente giustificata. Ma anche in
futuro, quando il Signore vorrà ristabilirla nel suo precedente stato di pace e benessere, non dovrà
vantarsene come di qualcosa di meritato, ma continuare a vergognarsi dei suoi peccati di prima, che
non dovrà dimenticare. Gerusalemme dovrà tenere chiusa quella bocca con cui era solita parlare di
Sodoma come di esempio di ingiustizia. Il perdono da parte del Signore non genera grande gioia,
come spontaneamente ci si aspetterebbe, ma piuttosto mantiene in uno stato di contrizione.
Abbiamo notato che la promessa di restaurazione arriva improvvisa. Il lettore non se l'attende,
dopo la lunga serie di accuse, espresse in linguaggio anche violento, che gli sono state messe
davanti. Non solo improvvisa, ma non è neppure motivata. Perché il Signore decide di perdonare
colei tanto gravemente ha mancato nei suoi confronti? Troviamo una risposta in Ez 20, dove il
Signore dichiara di agire per il suo nome (cfr. Ez 20,9.14.22.44), vale a dire per la sua reputazione,
per dimostrare alle nazioni di non essere un Dio incapace di salvare. Il Signore è geloso del suo
nome di salvatore: perdonerà a Gerusalemme, malgrado tutti i suoi peccati, per dimostrare al mondo
di essere in grado di salvare il suo popolo. Il suo proposito è santificare (= dimostrare la santità)2 il
suo nome, profanato agli occhi delle nazioni. Il motivo che lo spinge a perdonare non è l'amore per
il suo popolo, ma piuttosto l'amore per se stesso. La grande fortuna di Gerusalemme è che il Signore
abbia legato a lei il suo nome.
1 La restaurazione di Sodoma stupisce, dato che la città e le sue sorelle (Gomorra, Adma e Zevoim) erano state
cancellate dalla faccia della terra secoli e secoli prima. In Ez 47,8-12 si legge che dal tempio di Gerusalemme sgorgherà
acqua così abbondante che scorrerà fino al Mar Morto e renderà fertile tutta la regione (dove un tempo era Sodoma).
2
Questo senso del verbo santificare in relazione al nome divino si incontra anche nella preghiera insegnata da Gesù ai
suoi discepoli (il “Padre nostro”).
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In Ez 16 il verbo “amare” non compare mai avendo il Signore come soggetto.1 È però vero
che il passo in cui si parla del secondo incontro con Gerusalemme, non più neonata abbandonata ma
bella ragazza in età da marito, lascia intravvedere una dimensione erotico-affettiva. Nulla si dice
però, a differenza che in Ger 2,3, dell'attaccamento iniziale di Gerusalemme al suo sposo. Il Dio di
Ez 16 è più un Dio geloso che un Dio innamorato. È però vero che la gelosia suppone l'amore, come
scrive D.I. Block: “the harshness of divine judgment can be appreciated only against the backdrop
of his grace … the zeal of his anger is a reflex of the intensity of his love”. 2
La storia degli adulteri di Gerusalemme è raccontata nuovamente in Ez 23, insieme con quella
degli adulteri di Samaria. Possiamo distinguere due grandi parti, il cui inizio (v. 2 e v. 36) è marcato
dalle parole rivolte al “figlio d'uomo”, come il Signore chiama il profeta. La prima parte si lascia
dividere in due sezioni, una narrativa (vv. 5-20) in cui il Signore racconta le fornicazioni commesse
di due sorelle, Ohola e Oholiva, nomi simbolici3 con cui sono designate rispettivamente Samaria e
Gerusalemme, e una oracolare (vv. 21-35), in cui il profeta si rivolge a una sola delle due, Oholiva,
per annunciarle il castigo che la attende. La seconda parte denuncia di nuovo i crimini di ambedue
le sorelle e annuncia la condanna che spetta loro. In Ez 23 manca la promessa finale di perdono, a
differenza che in Ez 16.
Anche qui tratteremo il capitolo nella forma in cui si presenta a noi oggi, senza avventurarci
nel tentativo di sceverare ciò che può essere di Ezechiele e ciò che può essere intervento posteriore.
Neppure affronteremo la complessa questione se Ez 23 sia una rielaborazione di Ez 16, o viceversa.
Cominciamo la nostra lettura dalla sezione narrativa:
[1] Mi fu rivolta una parola del Signore: [2] figlio d'uomo,4 vi erano due donne, figlie della stessa madre.1 [3] Si
prostituirono in Egitto, nella loro gioventù si prostituirono; là fu premuto il loro petto, là fu palpato il loro seno
1
Compare sei volte al participio, per indicare gli “amanti” di Gerusalemme.
2
The Book of Ezekiel 1-24 (New International Commentary on the Old Testament), Grand Rapids 1997, 504.
3 ’oholāh puù significare “una tenda” o “la sua tenda”; ’oholîvāh “una tenda in lei” o “la mia tenda in lei”. Non è però
evidente che cosa rappresenti la tenda: luogo della presenza del Signore? luogo di culti idolatrici? Nella Genesi
incontriamo il nome femminile Oholivama, nell'Esodo il nome maschile Oholiav.
4 La Bibbia CEI traduce: “figlio dell'uomo”, che richiama, inevitabilmente ma illogicamente, il figlio dell'uomo di cui si
parla nel libro di Daniele e nei Vangeli. Una traduzione forse migliore potrebbe essere: “figlio di Adamo”. In ebraico
manca in ogni caso l'articolo; il senso non è altro che “individuo umano”.
146
di vergini. [4] I loro nomi sono: Ohola quello della più grande e Oholiva quello di sua sorella. Divennero mie
mogli e generarono figli e figlie. Quanto ai loro nomi, Ohola è Samaria e Oholiva è Gerusalemme. (Ez 23,1-4)
Qui abbiamo solo due sorelle, in luogo delle tre che abbiamo incontrato in Ez 16. Sodoma è
sparita, sono rimaste Samaria e Gerusalemme, che insieme rappresentano l'intero popolo di Israele.
Di ambedue è detto che si prostituirono in Egitto quando non erano ancora sposate. Pure in Ez 20,8
si parla di culto prestato dagli Israeliti a divinità egiziane, di cui invece nulla è detto nel Pentateuco.
Il fatto che le due sorelle si prostituissero non impedì tuttavia al Signore di prenderle entrambe in
moglie e di avere da loro figli e figlie. Notiamo a questo proposito che il tema della donna presa in
moglie malgrado fosse nota la sua inclinazione a prostituirsi apparenta Ezechiele ad Osea.
La storia continua col racconto delle prostituzioni commesse dall'una e dall'altra sorella dopo
il matrimonio:
[5] Ohola si prostituì concedendosi ad altri anziché a me.2 Si accese di libidine per i suoi amanti, i guerrieri
Assiri, [6] vestiti di violetto, capitani e ufficiali, tutti giovani attraenti, cavalieri montati su cavalli. [7] Si diede
alla prostituzione con loro, col fiore di tutti i figli di Assur, e con tutti quelli per cui si era accesa di libidine, con
le loro sozzerie3 si rese impura. [8] Non abbandonò la sua prostituzione cominciata in Egitto, quando giacevano
con lei nella sua gioventù, palpavano il suo seno di vergine e riversavano su di lei la loro prostituzione. [9]
Perciò l'ho messa in mano ai suoi amanti, in mano ai figli di Assur, per i quali si era accesa di libidine. [10] Essi
scoprirono la sua nudità, presero i suoi figli e le sue figlie e uccisero lei di spada. Divenne famosa tra le donne,
per la condanna eseguita su di lei. [11] Sua sorella Oholiva la vide e rese corrotta la sua libidine più di lei, e la
sua prostituzione più della prostituzione di sua sorella. [12] Si accese di libidine per i figli di Assur, capitani e
ufficiali, guerrieri magnificamente vestiti, cavalieri montati su cavalli, tutti giovani attraenti. [13] Vidi che si era
resa impura: la stessa via per ambedue. [14] Fece delle aggiunte alla sua fornicazione. Vide uomini scolpiti sulla
parete, statue di Caldei, scolpite e dipinte di vermiglio, [15] cinti di cintura ai fianchi, coperti di turbanti al capo,
con l'aspetto di guerrieri, con la sembianza dei figli di Babilonia, i Caldei, terra della loro nascita. [16] Fu presa
da libidine per loro a prima vista e inviò loro messaggeri in Caldea.4 [17] I figli di Babilonia andarono da lei al
letto degli amori e la resero impura con le loro prostituzioni; si rese impura con loro e la sua anima si allontanò
1 Non è detto se anche dello stesso padre. Si parla solo della madre (a differenza che in Ez 16), lasciando intendere che
è da lei che le figlie hanno preso l'inclinazione a concedersi promiscuamente a molti uomini.
2 In ebraico taḥtay. La Bibbia CEI traduce: “mentre era mia”, interpretando la preposizione nel senso “sotto” (sotto
l'autorità del marito); io la interpreto nel senso “in luogo di”.
3 Il vocabolo ebraico designa propriamente il prodotto della defecazione. Ezechiele lo usa spesso per designare gli idoli.
4 Reminiscenza di 2 Re 20,12-19 e Is 39.
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da loro.1 [18] Scoprì le sue prostituzioni e scoprì la sua nudità: si allontanò da lei la mia anima come si era
allontanata da sua sorella. [19] Moltiplicò le sue prostituzioni, ricordando i giorni della sua giovinezza, quando si
prostituiva in terra di Egitto. [20] Fu presa da libidine per i loro concubini,2 la cui carne era carne3 di asini e il
cui getto era getto di cavalli. (Ez 23,10-20)
L'elemento che assume maggior rilievo in questa descrizione è il fatto che entrambe le sorelle
si danno alla fornicazione di propria iniziativa, per l'attrazione fisica che provano per gli uomini.
Ciò che hanno fatto da vergini in Egitto continuano a farlo anche dopo, incuranti dei loro obblighi
di donne sposate. Ambedue sono affamate di sesso, soprattutto Gerusalemme, che va a cercare i
Caldei solo per aver visto le loro immagini dipinte sui muri. Delle due è lei la più colpevole, che
non si limita ad imitare la sorella, ma la supera in depravazione (tema già incontrato in Ez 16).
Di Samaria il castigo è raccontato, mentre quello di Gerusalemme sta per essere annunciato.
Prende infatti la parola il profeta, che da ascoltatore si fa messaggero, rivolgendosi direttamente a
Gerusalemme:
[21] Ti venne in mente la turpitudine della tua gioventù, quando fino dai tempi dell'Egitto palpavano il tuo seno,
per voglia del tuo giovane petto. [22] Perciò, Oholiva, così ha detto il Signore Dio: ecco io suscito contro di te i
tuoi amanti da cui si è allontanata la mia anima e li farò venire contro di te da ogni parte, [23] i figli di Babilonia
e tutti i Caldei, Peqod, Shoa e Qoa4 e tutti i figli di Assur, tutti giovani attraenti, tutti capitani e ufficiali, tutti
guerrieri e celebri cavalieri, [24] verranno contro di te muniti5 di cocchi e carri e con riunione di popoli; scudi
grandi e piccoli ed elmi schiereranno contro di te all'intorno. Porrò davanti a loro il giudizio e ti giudicheranno
con il loro giudizio. [25] Porrò la mia gelosia contro di te e ti tratteranno con furore: ti priveranno del naso e
degli orecchi e il resto di te cadrà di spada; prenderanno i tuoi figli e le tue figlie e il resto di te sarà divorato dal
fuoco. [26] Ti spoglieranno delle tue vesti e prenderanno i tuoi gioielli. [27] Farò cessare la tua turpitudine da te
e la tua prostituzione dalla terra d'Egitto: non alzerai più gli occhi verso di loro, non ricorderai più l'Egitto. [28]
Sì, così ha detto il Signore Dio: ecco, ti consegno in mano a coloro che hai preso in odio, in mano a coloro dai
1 Provò repulsione per loro.
2 Traduco al maschile il sostantivo pilegeš, che altrove designa sempre la concubina. La Vulgata lo interpreta come un
astratto: “super concubitu eorum”. Il suffisso possessivo si riferisce a coloro con cui la ragazza fornicava in Egitto: pare
dunque che Assiri e Caldei siano chiamati spregiativamente concubine dell'Egitto.
3 Il termine ha il medesimo senso eufemistico che abbiamo riscontrato in Ez 16,26.
4 Probabilmente nomi di tribù assoggettate dai Caldei.
5 L'ebraico presenta qui un vocabolo raro. La Bibbia CEI traduce a partire dalla Settanta: “dal settentrione”. Preferisco
l'interpretazione della Vulgata (instructi) e del Targum.
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quali si è allontanata la tua anima. [29] Ti tratteranno con odio e prenderanno tutti i tuoi beni, e ti lasceranno
nuda e scoperta; saranno svelate la nudità delle tue prostituzioni, la tua turpitudine e le tue prostituzioni. [30]
Così sarai trattata per la tua prostituzione dietro le nazioni, perchè ti sei resa impura con le loro sozzure. [31] Hai
camminato sulla via di tua sorella, la sua coppa porrò nelle tue mani. [32] Così ha detto il Signore Dio: berrai la
coppa di tua sorella, profonda e larga; sarai motivo di risa e di beffe, poiché sarà grande per capacità. [33] Sarai
piena di ebbrezza e di cordoglio. Coppa di desolazione e di sterminio era la coppa di tua sorella Samaria. [34] La
berrai, la tracannerai, ne rosicchierai i cocci, ti lacererai i seni, poichè io ho parlato. Oracolo del Signore Dio.
[35] Perciò così ha detto il Signore Dio: poiché mi hai dimenticato e mi hai gettato dietro le spalle, sconterai pure
tu la tua turpitudine e le tue prostituzioni. (Ez 23,21-35)
La formula “così ha detto il Signore Dio” (vv. 22, 28, 32, 35) permette di riconoscere quattro
oracoli, di decrescente lunghezza. Il tema dei primi due è la punizione che Gerusalemme sta per
ricevere da coloro che sono stati suoi amanti (così già in Ez 16), mentre gli ultimi due insistono sul
fatto che Gerusalemme subirà lo stesso castigo subito a suo tempo da Samaria.
La sezione oracolare di Ez 23 all'inizio e alla fine tratta delle due sorelle insieme, nella parte
centrale di una sola delle due.1 Anche qui il discorso di apre con la narrazione-denuncia di crimini
commessi:
[36] Il Signore mi ha detto: figlio d'uomo, non giudicherai tu Ohola e Oholiva? Non denuncerai le loro
nefandezze? [37] Hanno commesso adulterio e vi è sangue sulle loro mani; hanno commesso adulterio con le
loro sozzure, perfino i figli che mi hanno generato li hanno offerti loro in cibo. [38] Anche questo mi hanno
fatto: nello stesso giorno hanno reso impuro il mio santuario e profanato i miei sabati. [39] Quando hanno
immolato i loro figli alle loro sozzure, sono venute nello stesso giorno al mio santuario profanandolo: ecco ciò
che hanno fatto nella mia casa. [40] Inoltre hanno mandato a chiamare uomini che sarebbero venuti da lontano,
cui è stato mandato un messaggero. Ecco sono venuti, coloro per i quali hai fatto il bagno, ti sei dipinta gli occhi,
ti sei ornata dei tuoi ornamenti, [41] e ti sei stesa su un letto lussuoso, davanti al quale stava una tavola
imbandita, su cui hai posto il mio profumo e il mio unguento.2 [42] Accanto a lei il vociferare di una moltitudine
spensierata; e oltre a una gran quantità di uomini ne sono stati fatti venire dal deserto, che hanno messo loro 3
braccialetti alle braccia e una splendida corona sul capo. [43] Ho detto: a colei che si è logorata si addice forse
1 Il nome non è fatto, ma si tratta senz'altro di Gerusalemme.
2 I possessivi possono essere compresi nel senso della provenienza (profumo e unguento che io le avevo dato), o della
destinazione (profumo e unguento che spettavano a me).
3 In ebraico troviamo un suffisso femminile: sono intese dunque delle donne.
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l'adulterio?1 Ora si prostituiscono, le sue prostituzioni e lei.2 [44] Sono andati con lei come si va con una
prostituta: così sono andati con Ohola e con Oholiva, donne di turpitudine. (Ez 23,36-44)
Un elemento nuovo rispetto alla prima parte è che qui non si parla solo di adulterio, ma anche
di infanticidio sacrificale (associazione già riscontrata in Ez 16). Pure nuovo è l'accenno al fatto che
i sacrifici umani hanno causato la profanazione del tempio e del sabato. 3
Alla denuncia fa seguito il giudizio:
[45] Uomini giusti le giudicheranno come si giudicano le adultere e quelle che versano il sangue. Infatti hanno
commesso adulterio e vi è sangue sulle loro mani. [46] Sì, così ha detto il Signore Dio: fare salire contro di loro
una massa4 e consegnarle al terrore e al saccheggio. [47] Scaglieranno pietre contro di loro in massa e le faranno
a pezzi con le loro spade; i loro figli e le loro figlie uccideranno e le loro case daranno alle fiamme. [48] Farò
cessare una turpitudine dalla terra, e tutte le donne ne trarranno ammonimento a non agire conformemente alla
vostra5 turpitudine. [49] Faranno ricadere la vostra turpitudine su di voi e sconterete i peccati delle vostre
sozzure. Allora saprete che io sono il Signore Dio. (Ez 23,45-49)
Poco prima (cfr. vv. 22-28) erano gli amanti di Gerusalemme a eseguire la sentenza contro di
lei. Qui invece, inaspettatamente, si parla di uomini giusti che pronunciano la sentenza e di una
massa che esegue la lapidazione, anche se la frase sullo sterminio dei figli e l'incendio delle case fa
piuttosto pensare ad un esercito che conquista una città.
Ez 23 si conclude così, con l'annuncio della punizione delle due sorelle per i loro peccati,
senza alcuna esortazione alla conversione o promessa di perdono. Ciò fa notevole contrasto con la
profezia di Geremia sulle due sorelle, Israele e Giuda (Ger 3,6-11), la minore delle quali supera in
prostituzione6 la maggiore. In Geremia però la pena per l'infedeltà è il divorzio (cfr. Ger 3,8), non la
morte, e il brano si conclude con l'invito al ritorno (cfr. Ger 3,12-13). Un'altra importante differenza
rispetto a Geremia è che Ezechiele non menziona l'amore di Gerusalemme per il Signore al tempo
1 Traduzione approssimativa di un testo ebraico difficile, probabilmente corrotto.
2 Frase incomprensibile. Il testo è senz'altro corrotto.
3 Come è noto, Ezechiele annette grande importanza alla santità del sabato.
4 Si intende una massa di persone appositamente convocata per un compito (qui la lapidazione).
5 Improvviso passaggio alla seconda persona plurale.
6 La prostituzione di Geremia consiste però nei culti idolatrici, mentre quella di Ezechiele soprattutto nelle alleanze con
le potenze straniere.
150
del deserto (cfr. Ger 2,2); per lui fin dall'inizio Gerusalemme ha manifestato la sua natura di
prostituta, fornicando già nel periodo in cui abitava in Egitto.
Ezechiele appare dunque più duro di Geremia.1 Non dobbiamo però dimenticare che il suo
libro si chiude con la visione della nuova Gerusalemme e delle sue dodici porte (cfr. Ez 48,30-34 e
con la proclamazione del nuovo nome della città: “il Signore è là”. La visione di Ezechiele è certo
fortemente dualista: 2 la Gerusalemme del presente è corrotta, santa è la Gerusalemme del futuro.
Ez 23 è stato fatto oggetto di feroci critiche da parte dell'esegesi femminista, offesa da quella
che considera una rappresentazione degradante della sessualità femminile, e scandalizzata di vedere
rappresentate scene di violenza contro le donne. 3 A questa critica si può rispondere in primo luogo
che la Bibbia non è in generale aliena dalla rappresentazione della violenza, nei libri storici come in
quelli poetici. Nel Salterio, che è una raccolta di preghiere, è noto che vi sono i salmi cosiddetti
imprecatori, che non per nulla non sono riportati per intero nella Liturgia delle ore, per non urtare
appunto la sensibilità dei lettori di animo delicato. In alcuni di essi sono evocate scene anche più
raccapriccianti4 di quelle che si leggono in Ezechiele.
Il problema è dunque più ampio che quello posto da Ez 23. È un problema ermeneutico: che
cosa deve fare un lettore o una lettrice credente davanti a passi che urtano profondamente la sua
sensibilità? Esprimere riprovazione e manifestare sdegno? O piegare religiosamente la testa e
venerare come parola divina frasi ed espressioni che suonano offensive della dignità della donna?
Forse esiste una via di mezzo tra una lettura indignata e una lettura meramente devota della Sacra
Scrittura. La Bibbia non è un libro di edificazione, non almeno alla maniera dei Fioretti di san
Francesco, e non contiene solo buone parole e buoni esempi. La Bibbia è uno specchio intero
dell'umano, non racconta dell'uomo (e della donna) come dovrebbe essere, ma come è in realtà. La
Bibbia è realista, intensamente realista, non idealista; se rappresenta la violenza è perché fa parte
della realtà. Sta al lettore di fare le necessarie distinzioni, e comprendere, o cercare di comprendere
1 Le cui profezie, almeno alcune, è probabile che conoscesse; Geremia aveva infatti relazioni con i deportati. Non solo
Ez 23 prende spunto da Ger 3,6-11, ma anche Ez 34,1-1 da Ger 23,1-4.
2 Come quella dell'Apocalisse di Giovanni, che ad Ezechiele si è in molti punti ispirata.
3 La letteratura su questo tema è abbondante. Citerò qui solamente G. BAUMANN, Liebe und Gewalt. Die Ehe als
Metapher für das Verhältnis JHWH-Israel in den Prophetenbüchern, Stoccarda 2000 (Stuttgarter Bibelstudien 185).
4 Ad esempio lo sfracellamento di bambini contro la roccia menzionato alla fine del salmo 137.
151
un messaggio, andando oltre il livello rappresentativo. A mio modo di pensare, giova mantenere lo
scarto che esiste da un lato tra la rappresentazione e la realtà, e dall'altro tra la rappresentazione ed il
messaggio; in altri termini, accettare la rappresentazione e nello stesso tempo prenderne le distanze.
L'alternativa è praticare la censura,1 che è quello che non pochi oggi si ritengono autorizzati a fare
in nome di un'ermeneutica reader-centered, che non respingo in via di principio, ma non posso
approvare quando prende forme censorie.
Concludiamo il nostro studio con il brano in cui ad Ezechiele viene comandato di non fare il
lutto per la morte di sua moglie:
[15] Venne a me una parola del Signore: [16] figlio d'uomo, sto per toglierti il desiderio dei tuoi occhi2 con una
morte repentina,3 ma non farai lamento e non piangerai e non scorreranno le tue lacrime. [17] Gemerai a voce
bassa,4 non farai il lutto per i morti. Ti cingerai il turbante e ti infilerai i sandali ai piedi,5 non ti coprirai fino ai
baffi6 e non mangerai il pane altrui.7 [18] Parlai8 al popolo al mattino e mia moglie morì alla sera, e al mattino9
feci come mi era stato comandato. [19] Il popolo mi disse: non non ci spiegherai che cosa sono questi fatti per
noi, perché tu faccia così? [20] Dissi loro: è venuta a me una parola del Signore: [21] di' alla casa di Israele: così
ha detto il Signore Dio: sto per profanare10 il mio santuario, vanto della vostra forza,11 desiderio dei vostri occhi
1 È ciò che si propone A. BRENNER : “I want to espose, thus in effect censure, any representation of violence against
negatively depicted female images, even in the Hebrew Bible, as propaganda and pornography” (The Intercourse of
Knowledge. On Gendering Desire and Sexuality in the Hebrew Bible, Leida 1977, 172).
2 Ciò che gli occhi desiderano guardare. Tale espressione si incontra anche in 1 Re 20,6 e Lam 2,4.
3 In ebraico maggēfāh, che indica un flagello che colpisce all'improvviso, come la peste che colpì Israele a causa della
fornicazione con le figlie di Moab (cfr. Nu 25,8-9).
4 In ebraico dōm, che la Vulgata traduce tacens (creando un evidente ossimoro). Il verbo non si deve intendere nel
senso del vero e proprio silenzio, ma del mormorio.
5 Chi era colpito da una disgrazia lasciava i capelli sciolti, eventualmente cosparsi di polvere o cenere, e camminava
scalzo. In Ger 16,6 sono menzionate incisioni sul corpo e rasatura dei capelli.
6 Vedi Lv 13,45 e Mi 3,7. Barba e baffi erano considerati un ornamento del viso dell'uomo.
7 Letteralmente: “il pane degli uomini”. Forse si intende il cibo preparato dai parenti o dai vicini, che lo portano a
coloro che, essendo in lutto, non fanno da mangiare per manifestare il loro dolore (vedi Ger 16,7).
8 Presumibilmente riferendo ciò che il Signore gli aveva detto.
9 Si intende il mattino seguente (in ambedue le occorrenze).
10 Permettendo che vi entrino i nemici.
11 Forza di cui vi vantate. Il tempio era considerato una protezione sicura contro qualsiasi nemico.
152
e commozione della vostra anima; i vostri figli e le vostre figlie che avete lasciato 1 cadranno di spada. [22]
Farete come ho fatto io2: non vi coprirete fino ai baffi e non mangerete il pane altrui. [23] I vostri turbanti
rimarranno sulle vostre teste e i vostri sandali ai vostri piedi. Non farete lamento e non piangerete, ma vi
struggerete per le vostre colpe e griderete3 l'uno con l'altro. [24] Ezechiele sarà per voi un segno: farete in tutto
come ha fatto lui. Quando ciò 4 accadrà, saprete che io sono il Signore Dio. (Ez 24,15-24).
Ezechiele riceve una parola divina che gli preannuncia la morte improvvisa di una persona
cara, e gli comanda di non eseguire in tale circostanza le pratiche tradizionali di lutto. La persona
cara si rivela essere la moglie del profeta, che muore e viene pianta dal marito solo privatamente. In
risposta alla domanda del popolo sulle ragioni di tale comportamento contrario ai costumi, il profeta
riferisce una seconda parola divina: il Signore annuncia ai deportati l'imminente profanazione del
tempio di Gerusalemme e la morte violenta dei loro figli rimasti in patria, eventi ai quali essi
dovranno reagire nello stesso modo in cui hanno visto Ezechiele reagire alla morte di sua moglie.
Abbiamo quindi due elementi di cui tenere conto. Il primo è la corrispondenza tra gli eventi
luttuosi: per Ezechiele la morte improvvisa della moglie, per il popolo la profanazione del tempio e
la morte dei figli. L'uno prefigura l'altro, la moglie essendo cara al marito quanto lo sono ad ogni
israelita sia il tempio di Gerusalemme sia i propri figli. Il secondo elemento è la corrispondenza tra i
comportamenti: in ambedue i casi dolore privato, ma non pratiche sociali di lutto. Perché astenersi
da tali pratiche? Per il profeta la ragione è illustrare anticipatamente ai deportati quello che dovrà
essere il loro comportamento futuro; per i deportati è l'universalità dall'evento doloroso, tale da non
consentire la pratica del lutto. Il lutto è infatti l'occasione in cui la comunità porta conforto alla
persona che è nel dolore. Quando tutti sono egualmente colpiti, non c'è nessuno che possa portare
conforto.5
1 Non erano state dunque deportate le famiglie al completo. La prima deportazione era stata una misura provvisoria,
quasi una presa di ostaggi.
2 La prima persona sorprende, come se la frase fosse detta da Ezechiele e non dal Signore.
3 Il verbo indica un suono forte, come il ruggito del leone o il fragore delle onde del mare.
4
La profanazione del santuario.
5 In questo modo deve essere probabilmente compreso Ger 16,6-7 (e anche Sal 78,64).
153
Una diversa spiegazione è stata proposta recentemente da D. LIPTON,1 la quale pensa ad un
lutto deprecatorio, come quello di Davide2 quando si ammalò il bambino nato dal suo adulterio con
Betsabea (cfr. 2 Sam 12,16-17). Il Signore annuncia il castigo che sta per colpire il suo popolo e
non vuole che nessuno cerchi di indurlo a compassione. La distruzione di Gerusalemme e del
tempio è stata già decisa, e nessuna manifestazione di pentimento può più impedirla. 3
Un lettore ingenuo può scandalizzarsi del fatto che Dio faccia morire una moglie e soffrire un
marito al solo scopo di dare una lezione ad una comunità. Una simile obiezione non tiene conto
dello scarto che esiste tra il fatto e la sua rappresentazione letteraria. I rapporti di causa ed effetto
non devono essere concepiti meccanicamente.4 Non è necessario rappresentarsi un Dio cinico, e
neppure un profeta che cade in stato di shock alla morte della moglie.5
Ricapitoliamo. Abbiamo considerato innanzittutto i due capitoli del libro di Ezechiele in cui il
profeta racconta i peccati del popolo come i tradimenti di una moglie. Rispetto ad Osea e anche a
Geremia, abbiamo visto che Ezechiele calca la mano nella sua rappresentazione, dipingendo
l'adultera come una inguaribile ninfomane, assai peggiore di una normale prostituta. All'accusa di
adulterio inoltre egli aggiunge quella di infanticidio, dato che in Israele sono stati anche praticati
sacrifici umani. Ciò spiega, o almeno concorre a spiegare, perché egli rappresenti in modo così
feroce la punizione della peccatrice.
Manca inoltre in Ezechiele il tema dei primi tempi in cui il popolo era fedele al suo Dio,
presente invece in Osea e Geremia. Ohola e Oholiva fornicavano già in Egitto. Israele è una “casa
1 Cfr. «Early Mourning? Petitionary Versus Posthumous Ritual in Ezekiel XXIV», Vetus Testamentum 56 (2006), 185202.
2 Ciò che fa Davide è però un digiuno, non un lutto. Per questa ragione non mi persuade interamente la spiegazione
della LIPTON .
3 Tema molto ezechieliano. Si consideri per analogia il rifiuto dell'intercessione dei giusti in favore dei peccatori (cfr.
Ez 14,20).
4 “Language does not simply have a descriptive function … Language does not necessarily represent the mechanism of
act and consequence” (K.L. WONG, The Idea of Retribution in the Book of Ezekiel, Vetus Testamentum Supplements
87, Leida 2001, 246).
5 Sui supposti disturbi psicologici di Ezechiele c'è tutta una letteratura, invero assai fantasiosa. Citerò qui solo D.J.
HALPERIN, Seeking Ezekiel. Text and Psychology, University Park 1993.
154
di ribellione” (Ez 2,5.6; 3,9.26.27; 12,2.3), geneticamente portata a ribellarsi al suo Dio.1 Rispetto a
Osea e Geremia Ezechiele dà meno spazio al tema della conversione e del perdono.2 Ciò dipende
forse dall'importanza della teodicea nella sua profezia: la distruzione di Gerusalemme è stato da
parte del Signore un atto di giustizia. Questo tragico evento spiega forse anche perché egli faccia
giocare proprio alla città, anziché al popolo come Osea e Geremia, 3 la parte della moglie prostituta.
Un punto che merita di essere rilevato è l'accenno esplicito all'alleanza in Ez 16,8 e 60, in
relazione alla prima e seconda stipulazione del matrimonio del Signore con Gerusalemme. Dall'uso
del termine alleanza in questo contesto non si può dedurre che il matrimonio fosse concepito come
una specie del genere alleanza, ma sicuramente tra le due realtà vi era una forte analogia, tale da
giustificare pienamente la rappresentazione dell'infedeltà religiosa come adulterio.
Abbiamo visto in seguito il brano in cui Ezechiele obbedisce al comando divino di non fare il
lutto per la morte della moglie. Dal punto di vista simbolico questo brano non è di poca importanza,
giacché il matrimonio vi è assunto non come esempio di relazione che impone alla moglie l'obbligo
della fedeltà, ma come luogo dell'affetto più grande. La moglie è presentata come ciò che è più caro
ad un uomo. Ciò mostra quanto l'analisi dei testi simbolici debba essere cauta, e non lasciarsi
andare ad emettere giudizi frettolosi. I profeti attingono liberamente a diversi tipi di fatti e di
esperienze, nessuno dei quali deve essere assolutizzato come se fosse l'unico canale espressivo.
Ezechiele non è un fanatico sanguinario che gode nel vedere lapidate le adultere, e neppure
necessariamente un marito innamoratissimo.4 È un profeta che per comunicare attinge ad un vasto
repertorio simbolico, che il lettore è chiamato a comprendere nella varietà che lo caratterizza.
1 Non va però dimenticato però che Ezechiele è il profeta che ha dato maggior rilievo alla responsabilità personale (vedi
Ez 18).
2 Nei capitoli che abbiamo studiato, si intende. Altrove Ezechiele disegna grandi prospettive, di conversione (cfr. Ez
33) e di purificazione e trasformazione (cfr. Ez 36).
3 È vero che pure Geremia si indirizza a Gerusalemme (cfr. Ger 2,2). Le due sorelle infedeli sono però Israele e Giuda,
non Samaria e Gerusalemme (cfr. Ger 3,6-11). In Geremia la città non personifica l'intera nazione allo stesso modo che
in Ezechiele.
4 “Desiderio dei tuoi occhi” è un'espressione alquanto convenzionale, che non deve essere sovraccaricata di contenuti
sentimentali impropri.
155
Isaia
Il libro attribuito al profeta Isaia comprende 66 capitoli, i quali manifestamente non sono tutti
del medesimo autore. In Is 7 ad esempio è menzionato il re Achaz, che visse nella seconda metà del
secolo VIII a.C., in Is 44 il re persiano Ciro, che visse nel secolo VI a.C. Isaia è pertanto il nome del
fondatore o iniziatore di una scuola profetica, e il libro che porta il suo nome racchiude oracoli del
fondatore (a volte chiamato Isaia storico) e di suoi successori (a volte chiamati Deutero-Isaia e
Trito-Isaia). Se nella nostra esposizione trattiamo di Isaia dopo Geremia ed Ezechiele, è perché i
passi che prenderemo in esame risalgono con buona probabilità all'epoca postesilica.
Cominciamo da un brano che si trova all'inizio del libro:
[21] Come mai1 è diventata una prostituta la città fedele? Era piena di diritto, la giustizia vi dimorava, ora invece
degli assassini.2 [22] Il tuo argento è diventato scorie, il tuo vino si è annacquato. [23] I tuoi capi sono ribelli3 e
compagni di ladri, tutti amano ricompense e inseguono regali; non giudicano in favore dell'orfano e il reclamo
della vedova non giunge fino a loro. (Is 1,21-23)
La città non è nominata, ma si tratta certamente di Sion (= Gerusalemme), menzionata al v. 8.
Non è la prima volta che incontriamo il tema della città che si comporta come una prostituta, ma qui
dobbiamo registrare una importante differenza: qui la prostituzione non allude al culto prestato ad
altre divinità, ma alla corruzione e all'ingiustizia. Ne deduciamo che la figura della prostituta non
evoca solamente la promiscuità sessuale, ma anche il mercanteggiamento e l'avidità.4
All'ingiustizia e non all'idolatria allude pure il cosiddetto cantico della vigna (Is 5,1-7). Esso si
presenta come composto da un coltivatore per la vigna da lui piantata, e si chiude spiegando che la
vigna è “la casa di Israele”.5 Non è un cantico d'amore, 6 ma una querela: il profeta rappresenta il
1 Più che di un'interrogazione, si tratta di un'esclamazione di dolore (= ahimé!).
2 Il termine è da intendere in senso figurato, designante coloro che commettono ingiustizie a danno dei più deboli.
3 Alla legge divina.
4 Notiamo a questo proposito che anche le città di Tiro (cfr. Is 23,16) e di Ninive (cfr. Na 3,4) sono chiamate prostitute.
5 Anche in Is 3,14 la vigna è usata come immagine del popolo (oppresso dai suoi capi).
6 La traduzione “mio cantico d'amore” che in Is 5,1 offre la Bibbia CEI è frutto di una modificazione vocalica apportata
al testo ebraico, il cui senso è: “cantico del mio diletto”.
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Signore come un vignaiolo a tal punto deluso dalla sua vigna,1 che malgrado tutte le cure ricevute
produce uve di pessima qualità, da decidere di abbandonarla.2
Il tema della fornicazione e dell'adulterio compare una sola volta nel libro di Isaia, nella sua
terza parte, composta al tempo della dominazione persiana:
[3] Voi, venite qui, figli di una strega,3 progenie di un adultero e di una fornicatrice. [4] Di chi vi prendete
gioco? Contro chi spalancate la bocca e allungate la lingua? Non siete forse figli di peccato, progenie di falsità?
[5] Voi che vi date al piacere4 fra i terebinti, sotto ogni albero frondoso? Voi che immolate i bambini nelle valli,
sotto le cavità rocciose? [6] Tra le pietre levigate del torrente è la tua5 parte, loro stesse sono la tua sorte. Proprio
a loro hai offerto libagioni, hai presentato offerte. Per queste cose dovrei provare piacere? [7] Su un monte alto
ed elevato hai posto il tuo giaciglio, proprio là sei salita per fare sacrifici. [8] Dietro alla porta e lo stipite hai
posto il tuo memoriale.6 Allontanandoti da me ti sei spogliata, sei salita, hai allargato il tuo giaciglio. Hai fatto
alleanza con loro,7 hai amato il loro giaciglio, la mano 8 hai guardato. [9] Ti sei recata dal re9 con olio, hai
moltiplicato i tuoi profumi; hai inviato lontano i tuoi messaggeri, sei discesa fino agli inferi. [10] Per la
lunghezza della tua strada ti sei stancata, ma non hai detto: non c'è speranza. Hai trovato la vitalità della tua
mano, per questo non hai perso le forze. [11] Di chi hai avuto paura e timore, tanto da mentire? Di me non ti sei
ricordata, non mi hai posto nel tuo cuore. Non sto forse zitto da molto tempo? Di me non hai timore. [12] Io farò
conoscere la tua giustizia e le tue opere, ma non ti gioveranno. [13] Alle tue grida10 ti salvino coloro che si
raccolgono attorno a te. Tutti loro li porterà via il vento, un soffio li prenderà. Chi confiderà in me possederà la
terra, erediterà il mio santo monte. (Is 57,3-13)
1 La vigna può evocare la donna amata: vedi Ct 8,12. La moglie è detta “vite feconda” (Sal 128,3).
2 Il tema della vigna è ripreso in Is 27,2-5, dove il Signore promette di riprendere a custodire e proteggere la sua vigna.
In Is 65,8 non si parla di vigna, ma di un grappolo succoso che non sarà distrutto; il grappolo allude probabilmente ad
una minoranza all'interno del popolo.
3 La stregoneria era proibita in Israele (vedi Lv 19,26.31 e Dt 18,11).
4 Letteralmente: “vi scaldate”.
5 In ebraico abbiamo qui un suffisso di genere femminile. Di qui fino alla fine del brano tutte le seconde persone sono
di genere femminile.
6 Non è chiaro di che cosa si tratti (un'insegna?).
7 Il pronome non ha antecedenti chiari. Si devono supporre degli amanti.
8 Potrebbe essere un eufemismo per indicare l'organo sessuale maschile.
9 Appellativo di una divinità?
10 Si intendono grida di aiuto.
157
I primi tre versetti sono indirizzati a dei figli, gli otto seguenti ad un personaggio femminile
senza nome, che logicamente deve designare la loro madre. Questa figura non rappresenta però, a
differenza che nei profeti di cui ci siamo occupati precedentemente, l'intera collettività del popolo di
Israele, ma piuttosto una parte di esso, che praticava ancora culti di fertilità, sacrifici di bambini e
forse culto dei morti. 1
Più interessanti per la nostra ricerca sono i passi in cui Gerusalemme, o Sion come anche la
chiama il profeta, è rappresentata come moglie e madre allo stesso tempo. L'intreccio di questi due
aspetti conferisce grande intensità poetica al seguente passo:
[14] Sion ha detto: mi ha abbandonata il Signore, il Signore mi ha dimenticata. [15] Dimentica forse una donna il
suo piccino,2 cessando di provare affetto per il figlio delle sue viscere? Anche se li dimenticassero,3 io non ti
dimenticherò. [16] Ecco sulle palme delle mani ti ho incisa,4 le tue mura sono davanti a me sempre. [17] I tuoi
figli5 sono venuti in fretta, i tuoi distruttori e i tuoi devastatori sono usciti da te. [18] Alza gli occhi intorno e
guarda: tutti loro si sono radunati e sono venuti da te. Come è vero che io vivo,6 oracolo del Signore, indosserai
tutti loro come ornamento, li cingerai come sposa.7 (Is 49,14-18)
Il v. 14 è un tipico lamento-accusa, e implicitamente una richiesta di intervento. Dobbiamo
infatti ricordare che nella Bibbia la memoria non è primariamente rivolta al passato, ma al presente:
ricordare qualcuno significa interessarsi di lui, fare qualcosa per lui, mentre dimenticare equivale a
trascurare, non fare nulla per. È indubitabile che qui Sion parla come una moglie abbandonata e
trascurata dal marito. 8
1 Segnalo lo studio di C. N IHAN, «Trois cultes en Esaïe 57,3-13 et leur signification dans le contexte religieux de la
Judée à l'époque perse», Transeuphratène 22 (2001), 143-167.
2 Il termine ebraico designa un bambino ancora in età di allattamento (che in Israele si prolungava fino a tre anni).
3 Il plurale si riferisce alle ipotetiche donne che dimenticano i loro figli.
4 Più che ad un tatuaggio, penserei ad una raffigurazione delle mura di Gerusalemme incisa su coccio e tenuta in mano.
5 Il grande rotolo di Isaia di Qumran e le versioni antiche portano “i tuoi costruttori” (in ebraico bōnayik), che differisce
da “i tuoi figli” (bānayik) solo per una vocale. La vocalizzazione “costruttori” può essere stata facilitata dal seguente “i
tuoi distruttori”, oltre che dal fatto che nel versetto precedente si parla delle mura della città.
6 Formula di giuramento.
7 Il paragone tra i figli e le pietre preziose che la sposa porta il giorno delle nozze si basa sull'assonanza tra “pietre” e
“figli” in ebraico (’avānîm - bānîm; utilizzata anche da Giovanni il Battista, cfr. Mt 3,9; Lc 3,8).
8 Un analogo lamento, ma non posto sulle labbra di una donna, si trova in Lam 5,20.
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La risposta del Signore colpisce per il fatto che non fa appello alla simbolica coniugale, ma
materna.1 La madre infatti rappresenta meglio del marito, e di qualsiasi figura maschile, l'affetto e la
capacità di commuoversi, ed è precisamente questo che il Signore promette a Sion. Egli non nega di
avere abbandonato, ma di avere dimenticato. Ci sono madri che dimenticano i loro figli,2 ma il
Signore non ha dimenticato Gerusalemme: le sue mura, abbattute dai Caldei quando presero la città,
sono sempre sotto il suo sguardo, il che significa che vuole che siano ricostruite. Più che alle mura
però il Signore pensa ai figli di Sion, che ritornano nella loro città e nella loro terra. L'accenno del
v. 15 alla madre che non può dimenticare il bimbo che ha allattato prepara poeticamente la strada
alla promessa del v. 18: Sion riabbraccerà i suoi figli, se ne farà vanto come la sposa delle pietre
preziose di cui si adorna nel giorno delle nozze. Se il vanto di uomo (ciò per cui è pubblicamente
lodato) è sua moglie, il vanto di una donna sono i suoi figli.
In risposta dunque alla protesta di Sion per essere stata abbandonata, il Signore la invita a
guardare i suoi figli che tornano da lei, più numerosi di prima. Nel tempo in cui le erano stati tolti
essi si sono infatti moltiplicati: Sion ritrova quindi più figli di quelli che lei stessa aveva messo al
mondo (cfr. Is 49,21). Il dono che il Signore le fa riprendendola con sè è ridarle i figli perduti ed
altri ancora. Per comprendere questo tratto del simbolismo dobbiamo tenere presente che in caso di
divorzio i figli restavano con il padre, non con la madre. Come abbiamo avuto occasione di dire nel
capitolo precedente, i figli erano a quel tempo considerati generati dal seme paterno, mentre la
madre non faceva che nutrirli, dapprima nel suo stesso corpo e poi, dopo il parto, nella casa.
Giuridicamente erano quindi figli del padre, e in caso di divorzio3 rimanevano con lui. In caso di
riconciliazione, e di nuovo matrimonio, una madre poteva però ritornare ad averli vicino a sé.
L'abbandono di cui Sion si lamenta è dunque il divorzio? O un altro genere di abbandono? La
risposta a questa domanda non è facile. Leggiamo il passo seguente:
1 Segnalo lo studio di S.J. DILLE , Mixing Metaphors. God as Father and Mother in Deutero-Isaiah, Londra 2004
(Journal for the Study of the Old Testament. Supplement Series 398).
2 Diversi passi biblici evocano il caso di madri che costrette dalla fame mangiano la carne dei loro figli: vedi Dt 28,57;
2 Re 6,28-29; Lam 4,10.
3 Evento pertanto traumatico per la donna, assai più che per l'uomo.
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Così ha detto il Signore: dove è lo scritto di divorzio di vostra madre che ho mandata via? O a quale dei miei
creditori vi ho venduti? Per i vostri peccati siete stati venduti, per le vostre colpe è stata mandata via vostra
madre. (Is 50,1)
Questo versetto contiene due domande e due affermazioni, disposte in forma chiastica. Le due
affermazioni sono chiare: a causa delle loro colpe i figli di Sion sono stati venduti e la loro madre è
stata scacciata. Delle due domande la seconda è chiaramente retorica: il Signore non ha sicuramente
debiti nei confronti di nessuno, e non ci sono dunque creditori ai quali è stato costretto a vendere i
suoi figli.1 Se è retorica anche la prima domanda, come è molto probabile,2 il senso viene ad essere:
non c'è nessun documento di divorzio rilasciato dal Signore a Sion. Si dice però, ed è ripetuto nel
secondo emistichio, che Sion šulleḥāh, è stata mandata via: che cosa vuol dire? Cacciata di casa
senza darle il documento di divorzio prescritto da Dt 24,1-2? Dobbiamo dunque intendere che il
rilascio di tale documento non era obbligatorio?3 Non disponiamo purtroppo di elementi sufficienti
per rispondere a questo interrogativo.4 Notiamo però che nel secondo emistichio è detto che la
madre è stata mandata via per colpa dei figli, quindi non per colpa sua. Ricordando che in Dt 24,1 è
esplicitamente menzionata una mancanza della moglie come motivo del divorzio, si può pensare
che precisamente a questo, all'assenza di colpa, miri la dichiarazione sull'inesistenza del documento
di divorzio. Mentre in Os 2,4-6 sono i figli che pagano per le colpe della madre, qui è al contrario la
madre che paga per le colpe dei figli. 5 Il cambiamento di prospettiva è radicale: i figli non sono più
esortati a reclamare contro la loro madre (cfr. Os 2,4), ma a prendere coscienza delle loro proprie
colpe.
1 Sulla vendita dei figli per pagare dei debiti si veda 2 Re 4,1, o Ne 5,5.
2 Se non è retorica, il senso è: andate a prendere il documento di divorzio e leggete ciò che vi è scritto. C'è chi ha
pensato che in tale documento fosse specificato il motivo per cui il marito lasciava la moglie, cosa di cui non abbiamo la
minima prova. Il documento rabbinico di divorzio non contiene nulla del genere.
3 Poiché il documento di divorzio aveva come scopo più importante quello di consentire alla donna di risposarsi, non
rilasciarglielo era una grave ingiustizia nei suoi confronti.
4 Nei tre contratti matrimoniali del V secolo a.C. (cronologicamente non lontani dall'epoca cui si può presumere che
risalga Is 50,1) trovati nell'archivio della colonia giudaica dell'isola Elefantina si parla di dichiarazione orale di divorzio
davanti alla comunità, non di documento scritto; ma l'argomento è lungi dall'essere conclusivo. C'è d'altra parte chi
ritiene che i Giudei di Elefantina si conformassero al diritto egiziano, non giudaico.
5 La colpa di un figlio nei confronti del padre è essenzialmente la ribellione alla sua autorità.
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L'intreccio dinamico tra la simbolica materna e matrimoniale si osserva pure nel brano che ci
accingiamo ora ad esaminare: 1
[1] Esulta, sterile che non ha partorito, prorompi in esultanza e grida, donna che non ha sofferto le doglie, poiché
i figli della desolata saranno2 più numerosi dei figli della maritata, ha detto il Signore. [2] Allarga lo spazio della
tua tenda, i teli della tua dimora si distendano, non lesinare, allunga le tue corde, rinforza i tuoi pioli. [3] Infatti a
destra e a sinistra ti estenderai, la tua discendenza entrerà in possesso dell'eredità di nazioni, città desolate
ripopoleranno. [4] Non temere, poiché non sarai più umiliata, non abbatterti, poiché non sarai più disonorata.
L'umiliazione del tuo nubilato dimenticherai, il disonore della tua vedovanza non ricorderai più. [5] Infatti ha
deciso di essere tuo marito colui che ti ha fatta: Signore degli eserciti è il suo nome; ha deciso di riscattarti il
santo di Israele: Dio di tutta la terra è chiamato. [6] Infatti come una moglie abbandonata e afflitta nello spirito 3
ti ha chiamata il Signore, e una moglie di gioventù 4 quando è ripudiata,5 ha detto il tuo Dio. [7] Per un breve
istante ti avevo abbandonata, ma con grande pietà ti raccoglierò. [8] In un impeto d'ira6 ti avevo nascosto per un
istante il mio volto,7 ma con devozione perenne ho avuto pietà di te, ha detto colui che ti ha riscattata, il Signore.
[9] Sì, come le acque di Noé8 questo tempo è per me, quando giurai che non avrei più lasciato che le acque di
Noé sommergessero la terra; così giuro di non adirarmi più con te e di non parlarti più minacciosamente. [10] Se
anche si smuovessero le montagne e le colline vacillassero, non si smuoverà da te la mia devozione e la mia
alleanza di pace non vacillerà, ha detto colui che ha avuto pietà di te, il Signore. (Is 54,1-10)
1 Segnalo la tesi dottorale di A. BORGHINO , La nuova alleanza in Is 54. Analisi esegetico-teologica, Roma 2005 (Tesi
Gregoriana. Serie teologica 118).
2 La Bibbia CEI traduce: “sono”. In ebraico la copula manca, come quasi sempre nelle frasi nominali. Il contesto
consiglia però di interpretare al futuro.
3 L'ebraico offre un'allitterazione: ‘azûvāh wa‘aṣûvat rûaḥ. L'abbandono (con o senza documento di divorzio) da parte
del marito è causa di profonda afflizione.
4 La moglie sposata in gioventù, quindi la prima moglie (vedi Mal 2,14.15 e Pr 5,18).
5 La Bibbia CEI interpreta la frase come un'interrogativa retorica di senso negativo: “viene forse ripudiata la donna
sposata in gioventù?” E' un'esegesi suggestiva, ma grammaticalmente difficile, in quanto postula un senso interrogativo
della congiunzione kî di cui abbiamo pochissimi esempi nella Bibbia ebraica. Tutte le versioni antiche interpretano la
frase in senso non interrogativo.
6 Altra allitterazione: šeṣef qeṣef.
7 Vedere il volto di qualcuno significa essere ammessi alla sua presenza; nascondere il volto a qualcuno significa non
ammetterlo alla propria presenza.
8 Il Targum e la Vulgata traducono: “i giorni di Noè”.
161
La stessa formula ricorre quattro volte in questo passo, sempre in fine di versetto, variamente
ampliata: “ha detto il Signore” (v. 1); “ha detto colui che è il tuo Dio” (v. 6); “ha detto colui che ti
ha riscattata, il Signore” (v. 8); “ha detto colui che ha avuto pietà di te, il Signore” (v. 10). I suffissi
di seconda persona sono femminili, senza che sia fatto il nome1 di colei cui è indirizzato questo
oracolo; è chiaro che è la stessa cui era indirizzato quello precedentemente esaminato di Is 49,1418, vale a dire Sion.
Registriamo due esortazioni. La prima è ad esultare perchè la condizione di privazione di figli
è sul punto di cessare: la sterile verrà ad avere più figli della sposata. Questa non è una massima
sapienziale, ma una profezia: Sion avrà più figli di quanti ne aveva prima di essere abbandonata,
tanto che dovrà allargare gli spazi per ospitarli.2 La seconda esortazione è a non temere, perché sta
per avere fine la condizione di donna non maritata. Tale condizione è qualificata come umiliante e
disonorevole, in ossequio ai canoni sociali a quel tempo vigenti. Un buon parallelo è offerto da Is
4,1: “in quel giorno sette donne3 afferreranno un solo uomo, dicendo: mangeremo il nostro pane,
vestiremo le nostre vesti, pur di essere chiamate con il tuo nome4: togli il nostro disonore”. Pur di
avere marito, si rassegneranno a condividerlo con altre sei mogli; non solo, ma rinunceranno ai loro
diritti, ossia di essere mantenute (nutrite e vestite) dal marito. L'onore viene prima delle necessità
materiali e dei diritti stessi.
Al v. 5 è importante distinguere i predicati dai soggetti. Poiché nella frase nominale di solito il
predicato precede il soggetto, ritengo che “colui che ti ha fatta” e “il santo di Israele” siano i
soggetti; di ambedue sono detti i nomi: “Signore degli eserciti” e “Dio di tutta la terra”. I predicati
sono ambedue dei participi: esprimono pertanto un'azione, non uno stato.5 Poiché il participio
ebraico non è temporalmente determinato, il problema è come intendere tale azione, se riferita al
futuro,6 come ai vv. 3-4, o invece al passato, come al v. 6. Io ritengo che il profeta intenda un'azione
1 Il Targum Yonatan lo introduce (Gerusalemme) sia al v. 1 che al v 10. L'apostolo Paolo cita Is 54,1 in riferimento alla
Gerusalemme di lassù (cfr. Gal 4,27).
2 La stessa cosa era stata detta in Is 49,20-21.
3 Nubili o vedove.
4 Essere chiamate: "moglie di …”
5 Così la Vulgata: dominabitur tui; GEROLAMO segue qui SIMMACO.
6 Come invece suggerisce la Bibbia CEI: “tuo sposo è il tuo creatore, tuo redentore il Santo di Israele”.
162
già avvenuta: colui che ha creato Sion ha deciso di riprenderla in moglie, il Santo di Israele ha
deciso di riscattarla.
È l'unica volta in tutta la Bibbia che sposare (in ebraico b‘l) e riscattare (g’l) compaiono in
parallelo, ed è logico domandarsi che cosa abbiano di comune, in questo contesto determinato,
queste due azioni. Ciò che Israele chiamava riscatto1 è un'operazione mediante la quale un uomo
interviene a favore di un altro uomo a lui legato da rapporti di parentela, per fare sì che recuperi la
libertà se a causa dei debiti è finito in stato di servitù, o recuperi le proprietà se è stato costretto ad
alienarle.2 Anche il matrimonio leviratico, come vedremo meglio quando studieremo il libro di Rut,
può essere considerato una forma di riscatto, dato che consente ad un defunto di avere discendenza
e alle sue proprietà di non finire in mano altrui. Il matrimonio normale, in quanto strappa una donna
da una condizione umiliante, come era nell'antico Israele la condizione di non maritata, ha qualcosa
in comune col riscatto. Nel caso di una donna che un marito risposa dopo averla divorziata, o
riprende con sé dopo averla cacciata di casa, il matrimonio viene a essere un atto che la ristabilisce
nella condizione onorevole di prima, e le consente di abitare di nuovo con i suoi figli. Tale è
appunto, come abbiamo visto, la condizione di Sion, che il profeta dipinge come abbandonata dal
marito e privata dei figli. Si può dire che risposandola, o comunque riprendendola con sé, il Signore
la riscatta dallo stato di abbandono ed avvilimento in cui si era venuta trovare.
Il v. 6 conferma questa interpretazione. Vi si dice infatti che il Signore ha chiamato Sion
come una moglie abbandonata e afflitta, vale a dire nella sua condizione3 presente di abbandono ed
afflizione. Per comprendere il senso della chiamata rivolta a Sion, il miglior parallelo è offerto da Is
43,1: «Così ha detto il Signore tuo creatore, Giacobbe, tuo plasmatore, Israele: non temere, perché ti
ho riscattato; ti ho chiamato per nome, tu sei mio». Vi sono quattro elementi di corrispondenza con
Is 54,4-6: la qualifica del Signore come creatore, l'esortazione a non temere, la proclamazione di
avvenuto riscatto, la chiamata. Siamo dunque autorizzati a comprendere la chiamata a Sion nello
stesso senso: ti ha chiamata = ti ha detto che sei (di nuovo) sua. È una dichiarazione di matrimonio,
più precisamente di ricostituzione del matrimonio.
1 In latino redemptio, da cui l'italiano “redenzione”. Non ho voluto usare però questo termine, che nella lingua corrente
ha assunto un senso univocamente religioso.
2 Vi è anche il riscatto del sangue, che consiste nel vendicarne la morte se è stato ucciso. In quel tempo l'unica, o
almeno la principale protezione della vita era assicurata dalla vendetta di cui si incaricavano i parenti dell'ucciso.
3 Questo è il senso della preposizione k- (= come) al v. 6: non introduce una comparazione, ma una qualità reale.
163
Col v. 7 prende la parola il Signore in prima persona, per dichiarare a Sion di avere cambiato
politica nei suoi confronti spinto dalla grande pietà1 (raḥamîm gedôlîm in ebraico) che prova per lei.
Egli insiste sulla corta durata del castigo inflitto a Sion (un breve istante, un istante), comparata alla
lunghissima durata della disposizione generosa (ḥesed in ebraico) che d'ora in poi le dimostrerà.
L'abbandono era durato una cinquantina d'anni: un battito di ciglia in confronto alla perennità della
generosità che intende ora manifestare a Gerusalemme. Tale perennità è illustrata da un precedente
storico, ovvero il giuramento fatto a Noé e ai suoi figli dopo la fine del diluvio (vedi il v. 9). Non
succederà mai più che il Signore abbandoni di nuovo Sion, come non è più successo che le acque
abbiano interamente ricoperto la terra.
In questo poema la parte relativa alla sterile che avrà molti figli, più breve (vv. 1-3), precede
quella riguardante l'abbandonata ripresa dal marito, più lunga (vv. 4-10). Tematicamente le due
parti sono connesse dai due participi del verbo b‘l, quello passivo (sposata) del v. 1 e quello attivo
(ti ha sposata) del v. 5. Questa disposizione ha una logica: prima l'effetto, poi la causa. Sion non
potrebbe riavere i figli perduti (anzi più di quelli che aveva perduti) se il marito non avesse voluto
riprenderla come moglie.
Passiamo ad un altro brano, dove si fa uso di una simbolica non coniugale, ma nuziale:
[10] Gioisco nel Signore, si rallegra l'anima mia nel mio Dio, poiché mi ha rivestita di vesti di salvezza, con
manto di giustizia mi ha avvolta,2 come lo sposo si mette un turbante da sacerdoti3 e come la sposa si adorna dei
suoi monili. [11] Infatti, come la terra produce il suo germoglio e come la piantagione fa germogliare ciò che vi è
stato seminato, così il Signore Dio farà germogliare giustizia e lode davanti a tutte le nazioni. (Is 61,10-11)
All'inizio di questa pericope il Targum inserisce la frase: “dice Gerusalemme”. Questa glossa
è grammaticalmente accettabile, daro che in ebraico la prima persona dei verbi e dei suffissi non ha
una forma maschile distinta da quella femminile. Non vi è ovviamente certezza, ma io giudico
probabile che l'interpretazione targumica abbia colto nel segno. Chi parla non è il profeta, ma Sion,
che proclama la sua gioia per la salvezza e la giustizia (qui praticamente sinonimi) di cui il Signore
1 La Bibbia CEI preferisce tradurre: “immenso amore”.
2 Il verbo ebraico propriamente significa: “agisce da sacerdote”. Il contesto invita a pensare ad un copricapo splendido
come quello che indossavano i sacerdoti durante il culto.
3 La Bibbia CEI traduce: “mi ha rivestito … mi ha avvolto”. Io ho preferito tradurre al femminile.
164
l'ha rivestita. La gioia che le dà indossare tali vesti è paragonata alla gioia che agli sposi dà mettersi
gli ornamenti caratteristici del giorno delle nozze.
A questo brano è strettamente collegato il seguente:
[1] In favore di Sion non tacerò e in favore di Gerusalemme non starò zitto, fino a quando uscirà come splendore
la sua giustizia e la sua salvezza come torcia arderà. [2] Le nazioni vedranno la tua giustizia e tutti i re la tua
gloria, sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del Signore indicherà, [3] e sarai una corona magnifica
nella mano del Signore e un diadema regale nella palma del tuo Dio. [4] Non sarai più detta ‘abbandonata’ 1 e la
tua terra ‘desolazione’, ma sarai detta ‘mio compiacimento’ 2 e la tua terra ‘posseduta’, perché in te si compiacerà
il Signore e la tua terra sarà posseduta. [5] Sì, come un giovane prende possesso di una vergine, prenderanno
possesso di te i tuoi figli; come uno sposo gioisce per una sposa, gioirà per te il tuo Dio. (Is 62,1-5)
Il profeta inizia proclamando la sua intenzione di non smettere di parlare in favore di Sion
fino a quando la salvezza e giustizia che le sono state promesse non risplendano nel mondo. Poi si
rivolge alla città alla seconda persona singolare, per annunciarle la sua glorificazione agli occhi di
tutte le nazioni. A tale evento si accompagnerà un nome nuovo, dal significato direttamente opposto
al precedente. T. ANDERSEN vuole vedere nel cambiamento di nome un elemento del rito delle
nozze,3 ma non consta da nessuna fonte che in questa occasione alle spose venisse imposto un
nuovo nome personale.4 Non si tratta peraltro di nomi personali, ma di appellativi.5 Notiamo che
vengono attribuiti nuovi nomi non solo alla città, ma anche alla terra che la circonda,6 non più
desolata ma posseduta, e quindi coltivata e resa feconda.
1 Portava questo nome la madre del re Giosafat (cfr. 1 R 22,42 e 2 Cr 20,31).
2 Portava questo nome la madre del re Manasse (cfr. 2 R 21,1). H.M.G. W ILLIAMSON considera significativo il fatto
che tanto il vecchio quanto il nuovo nome di Gerusalemme siano nomi di regine madri: cfr. «Isaiah 62:4 and the
Problem of Inner-Biblical Allusions», Journal of Biblical Literature 119 (2000), 734-739.
3 Cfr. «Renaming and Wedding Imagery in Is 62», Biblica 67 (1986), 75-80.
4 Sara ha continuato a chiamarsi Sara anche dopo essere divenuta moglie di Abramo. L'unico caso in cui un marito
impone il nome alla moglie è quello del primo uomo, che la chiamò Eva (cfr. Gen 3,20), in quanto destinata ad essere
madre di tutti i viventi. Non si tratta però di un secondo nome che prende il posto del precedente: “donna” (Gen 2,23) è
infatti nome comune, non personale.
5 Così in Os 2,18 il Signore vuole essere chiamato ‘mio uomo’ e non ‘mio baal’. Naomi chiede (cfr. Rt 1,20) alle donne
di Betlemme di non rivolgersi più a lei col suo nome personale (= dolcezza), ma con l'appellativo Mara (= amarezza).
6 In Osea ricordiamo che sono i figli, non la madre, a ricevere un nome nuovo.
165
Quattro volte in questo brano ricorre il verbo b‘l, che qui ho preferito tradurre “possedere”
anziché “sposare” come in Is 54,5. La ragione sta nel fatto che qui il suo soggetto ed oggetto è la
terra, non Sion. Inoltre non volevo al v. 5 tradurre: “ti sposeranno i tuoi figli”, come fa l'ultima
edizione (2008) della Bibbia CEI. Nella precedente edizione (1974) la traduzione era: “ti sposerà il
tuo creatore”, o “ti sposerà il tuo architetto”. Bisogna dire che tale edizione correggeva il testo
trasmesso, che in tutti i testimoni (non solo l'ebraico, ma anche le antiche versioni) porta “i tuoi
figli”, e non “il tuo architetto” né “il tuo creatore”. La correzione può anche essere solo vocalica: da
bānayik (“i tuoi figli”) a bōnayik (“i tuoi costruttori”, plurale suscettibile di essere interpretato come
singolare). Corretta in questo modo, la frase pare inserirsi meglio nel suo contesto immediato, ed
offre inoltre un suggestivo parallelo con Is 54,7, dove si parlava del creatore che prende moglie.
Ciononostante approvo la scelta dell'ultima edizione di tornare al testo trasmesso, che non è così
incomprensibile come è parso a molti esegeti. Il verbo b‘l, come abbiamo già avuto occasione di
dire, non significa infatti solo o primariamente sposare, ma anche prendere sotto la propria autorità,
vale a dire protezione e cura. La traduzione “ti sposeranno i tuoi figli”1 è dunque fuorviante: non è
intesa qui alcuna forma di matrimonio tra i figli e la loro madre, che non è qui peraltro chiaramente
la città, sibbene la terra.2 Ciò che si intende dire è che i figli di Gerusalemme prenderanno possesso
della loro terra, la coltiveranno e la renderanno di nuovo feconda.
Tale evento è messo in paragone con quello di un giovane che prende possesso di una vergine,
facendola sua sposa. Dove gioca la comparazione? Sulla gioia, come è detto esplicitamente nel
secondo emistichio. Come uno sposo gioisce del fatto di avere finalmente con sé la sua sposa, così
il Signore gioisce3 del fatto che Gerusalemme sia la città del suo compiacimento. Tale evento è sul
punto di compiersi, come appare al v. 3, dove Sion è detta una corona nella mano del Signore, non
ancora sul suo capo.
Poco più avanti il profeta parla ancora del futuro nome di Sion (propriamente della “figlia di
Sion”, Is 62,11):
1 La Settanta traduce: “i tuoi figli verranno a abitare con te”; la Vulgata: habitabunt in te filii tui.
2 Al versetto precedente è la terra, non la città, che riceve il nome be‘ûlāh, “posseduta”. In inglese si potrebbe tradurre
husbanded, dato che husbandry significa coltivazione.
3 L. ALONSO SCHÖKEL comprende tale gioia nel senso del piacere sessuale, ragione per cui giudica questo passo uno
dei più audaci dell'Antico Testamento (Símbolos, cit., 74).
166
Saranno chiamati ‘popolo di santità’, ‘riscattati del Signore’; e sarai chiamata: ‘cercata’, ‘città non abbandonata’.
(Is 62,12)
Qui si parla esplicitamente della città, non della terra. Il nome con cui sarà chiamata è
“cercata”, in ebraico derȗšāh, che evoca foneticamente gerûšāh, divorziata.1 In Is 50,1 ricordiamo
che il Signore negava di aver mai dato il documento di divorzio a Sion, mentre qui l'allusione ad un
passato divorzio è chiaramente riconoscibile. Ciò che conta è comunque che questa situazione,
divorzio legale o semplice separazione che sia, appartiene ormai al passato. Gerusalemme è stata
abbandonata, ma ora il Signore la desidera di nuovo come moglie.2
Possiamo arrestare qui la nostra investigazione. Una prima constatazione si impone: il tema
delle fornicazioni di Israele o di Gerusalemme, così marcato nei profeti che abbiamo studiato finora,
gioca un ruolo assolutamente secondario nel libro di Isaia. Non lo si incontra che nella pericope di
Is 57,3-13, dove non qualifica peraltro un comportamento dell'intera nazione. Quanto all'accenno di
Is 1,21 alla città fedele divenuta prostituta, non pare alludere al culto di altre divinità, ma piuttosto
all'avidità di guadagno, da cui deriva l'ingiustizia.3 Nei poemi dedicati a Sion che abbiamo via via
esaminato, la città non è presentata come una peccatrice, né incallita né pentita, ma come una donna
profondamente afflitta per l'abbandono del marito e la perdita dei figli. Non è invitata a convertirsi,
ma a gioire per la ripresa della relazione coniugale ed il ricongiungimento con i figli. Se in Is 40,2 si
dichiara a Gerusalemme che ha finito di espiare le sue colpe, in 50,1 si dice che è stata mandata via
dal marito per le colpe dei figli. Siamo lontani dalle terribili invettive di Ezechiele; Gerusalemme
appare più vittima che colpevole. Il fatto si spiega probabilmente col mutato contesto storico: la
profezia non è più chiamata a misurarsi con i catastrofici eventi della distruzione della città e del
tempio, nonché della deportazione della casa reale e dell'aristocrazia civile e religiosa, ma con la
prospettiva del rimpatrio e della costruzione di un nuovo ordine al posto del precedente. Lo sguardo
non è più rivolto al passato, ma al futuro: “non ricordate più le cose di prima, alle cose antiche non
ponete più mente. Ecco che sto per fare una cosa nuova: già germoglia, non la riconoscete?” (Is
43,18-19).
1 Con questo senso preciso questo verbo si incontra in Lv 21,7.14; 22,13; Nu 30,10: Ez 44,22.
2 Questo è infatti qui il senso di “cercare”. In Ger 30,17 si dice di Sion che “nessuno la cerca”.
3 È vero che l'ingiustizia è, almeno implicitamente, vista come conseguenza dell'allontanamento dal Dio di Israele.
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Un secondo punto che dobbiamo rilevare è la stretta connessione tra la simbolica sponsale e
quella materna. Nei profeti che abbiamo studiato in precedenza la figura della madre non è associata
a quella della moglie,1 mentre nei poemi di Sion le due figure sono strettamente legate. Ciò non ha
nulla di stupefacente, se si considera che il matrimonio israelitico, come abbiamo visto nel capitolo
precedente, ha come fine essenzialmente l'acquisizione di una discendenza. In Israele si diventava
mariti per diventare padri, e corrispettivamente si diventava mogli per diventare madri. L'affetto del
marito non compensa la mancanza di figli, come mostrano la richiesta disperata di Rachele a
Giacobbe: “dammi dei figli, altrimenti morirò2” (Gen 30,1), e il voto di Anna che pur di avere un
figlio promette di non tenerlo con sé, ma lo offre al Signore (cfr. 1 Sm 1,11). L'evento del divorzio,
come abbiamo ricordato, era traumatico per la donna, poiché i figli rimanevano con il padre che li
aveva generati, non con la madre che li aveva solo dati alla luce. Un marito che riprendeva con sé la
moglie le dava allo stesso tempo la gioia di rivedere i suoi figli. Si comprende pertanto molto bene
come Gerusalemme sia rappresentata come una donna desolata per la perdita dei figli ancor più che
per l'abbandono del marito, e invitata a gioire più per la possibilità di riavere i figli più che il marito.
Stupire può invece che Osea, Geremia3 ed Ezechiele non menzionino la perdita dei figli tra le
punizioni che toccano alla moglie ripudiata per la sua infedeltà.
Giova a questo proposito considerare che i profeti usano i simboli in funzione poetica, per la
loro forza espressiva, senza preoccupasi più di tanto della coerenza di tutti gli aspetti implicati. La
ragione per cui in Isaia la simbolica materna ha un peso più grande che in altri profeti sta forse nel
fatto che in Isaia ha particolare rilievo il tema della gioia. Volendo rappresentare efficacemente la
gioia, pochi simboli possono infatti reggere il confronto con la madre che riabbraccia i figli.4
1 Se non negativamente, in Osea, che presenta una madre che trasmette ai figli le sue cattive inclinazioni (cfr. Os 1,2); e
in Ezechiele, che accusa Gerusalemme di avere immolato i suoi figli per offrirli in sacrificio (cfr. Ez 16,20-21 e 23,37).
2 Preferisco morire: la frase non è da comprendere come un proposito di suicidio.
3 Il quale è pure capace di dare voce poetica al pianto di Rachele per i figli perduti (cfr. Ger 31,15).
4 In fatto di simbolica materna, è doveroso menzionare il libro di Baruc, una sezione del quale (4,5-5,9) è interamente
dedicata a Gerusalemme, presentata come una madre che rimprovera i figli, li esorta al pentimento, prega per loro, li
incoraggia a sperare, e alla fine riceve la consolazione del loro ritorno. Letterariamente lo si può considerare una sorta di
appendice all'edizione greca di Geremia, come la storia di Susanna è un'appendice all'edizione greca di Daniele. Questa
sua natura periferica fa sì che sia poco letto anche tra coloro che gli riconoscono valore canonico, il che è un peccato.
168
L'accento posto sulla gioia è il terzo elemento che mettiamo in luce in questa ricapitolazione
della nostra investigazione del libro di Isaia. Il dato che più colpisce a questo proposito è quella che
possiamo chiamare reciprocità, o almeno corrispondenza di gioia tra Sion e il Signore. Non solo
Sion infatti gioisce per il Signore (cfr. Is 61,10), ma anche il Signore per Sion (cfr. Is 62,5). Questo
ultimo elemento, la gioia divina, merita di essere posto in massimo rilievo, in considerazione della
sua originalità all'interno dell'Antico Testamento. Lo si può forse considerare il punto in cui il libro
di Isaia è più vicino al Vangelo.1
1 “Vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte”(Lc 15,10).
169
Malachia
Concludiamo la nostra rassegna della letteratura profetica con un passo di Malachia, 1 il cui
ministero si situa storicamente al tempo della dominazione persiana.
Letterariamente il libro di Malachia si presenta suddiviso in sei unità, che hanno tutte la forma
di una discussione2 tra il Signore e il suo popolo. La terza di queste discussioni (Mal 2,10-16) è di
grande interesse per il nostro studio. Il suo tema generale è marcato da cinque ricorrenze del verbo
bgd, “agire slealmente”. Il profeta rinfaccia al popolo, e specificamente ai sacerdoti, pratiche che
taccia di proditorie. Leggiamo la prima delle sue accuse:
[10] Non abbiamo tutti noi un solo padre? Non ci ha creati un solo Dio? Perché ha agito slealmente3 ognuno con
suo fratello profanando l'alleanza4 dei nostri padri? [11] Giuda ha agito slealmente5 e un abominio è stato
commesso in Israele e a Gerusalemme. Giuda ha profanato ciò che è sacro 6 al Signore, che ha amato,7 e ha
sposato la figlia di un dio straniero. [12] Recida il Signore all'uomo che lo avrà commesso chi è desto e
risponde8 dalle tende di Giacobbe, e chi presenta un'offerta al Signore degli eserciti. (Mal 2,10-12)
1 E' incerto se sia nome proprio, o designazione di un anonimo profeta (l'ebraico mal’ākî significa “mio messaggero”).
Gerolamo identifica Malachia con Esdra, basandosi su una tradizione rabbinica (attestata nel Talmud, megilla 15 a).
2
Si intende una discussione giudiziale. Il diritto di Israele prevedeva che una persona che si riteneva lesa da un'altra la
convocasse davanti a testimoni per esporre le proprie ragioni ed ottenere soddisfazione. Nella loro predicazione i profeti
hanno largamente attinto a questa istituzione giuridica.
3
In ebraico nivgad. Questa vocalizzazione è quella del perfetto nifal alla terza persona singolare. Molti lo interpretano
tuttavia come un imperfetto qal alla prima persona plurale (dovrebbe essere nivgod), e gli danno il senso di azione
abituale: “continuiamo ad agire slealmente”.
4
In Sal 55,21 e 89,34 profanare l'alleanza equivale a infrangerla.
5
In ebraico il verbo è alla terza persona femminile, mentre il soggetto (Giuda) è di genere maschile. Probabilmente si
tratta di un semplice errore di copia (homeoteleuton). J. O'BRIEN vede invece qui una decostruzione di genere: cfr.
«Judah as Wife and Husband : Deconstructing Gender in Malachi», Journal of Biblical Literature 115 (1996), 243-252.
6
Si può intendere l'alleanza, menzionata come profanata al versetto precedente; oppure il luogo sacro, ossia il santuario
(così la Bibbia CEI); o anche il popolo consacrato al Signore.
7
Il soggetto più probabile del verbo è il Signore.
8
Traduco letteralmente l'ebraico ‘ēr we‘ōneh, forse un'espressione idiomatica per designare i sopravvissuti. Il Targum e
la Peshitta traducono: “figlio e nipote”; la Vulgata: magistrum et discipulum (interpretazione attestata nel Talmud). La
Bibbia CEI pare intendere l'espressione come un merismo: “chiunque egli sia”.
170
Il problema esegetico principale è l'identificazione di ciò che al v. 11 è denominato “figlia di
un Dio straniero”. Alcuni esegeti1 spiegano tale espressione come designante una divinità di genere
femminile: l'azione sleale di cui il profeta accusa Giuda sarebbe il culto prestato a tale divinità,2
descritto come l'azione di un uomo che prende moglie. Per parte mia, considero assolutamente
improbabile che una divinità, sia pure femminile, possa essere oggetto di un verbo come b‘l, che
significa primariamente “avere autorità sopra”. Un popolo non sposa un Dio, ma ne è sposato (=
preso sotto la sua ala protettrice e salvatrice). L'idea che Malachia, unico tra tutti i profeti, impieghi
la simbolica della relazione coniugale a rovescio, facendo del Signore il partner femminile, è a mio
giudizio priva di ogni verisimiglianza. Respingo dunque nettamente l'esegesi che vede in Mal 2,1012 la condanna del sincretismo religioso.
La spiegazione alternativa è quella di prendere il termine “figlia” in senso collettivo, e di
vedervi la designazione di donne appartenenti ad una nazione che non venera il Dio di Israele.3 La
slealtà commessa da Giuda (= dagli uomini di Giuda) consiste dunque nella pratica dei matrimoni
misti,4 che Malachia non teme di denunciare come profanazione dell'alleanza stretta tra il Signore e
gli antenati della nazione, nonché di ciò che è sacro al Signore. Su coloro che commettono tale
abominio il profeta scaglia una maledizione, che sembra consistere nel fatto di essere cancellati dal
popolo di Israele e di non potere più presentare offerte al Signore. Mal 2,10-12 si deve con ogni
probabilità collocare nel contesto storico dell'opposizione contro i matrimoni misti che si sviluppò
in Giuda al tempo di Esdra e Neemia.5
Il tema dell'offerta chiude la prima e apre la seconda parte della pericope:
1 Per primo C.C. TORREY , «The Prophecy of Malachi», Journal of Biblical Literature 17 (1898), 1-15; recentemente,
M.A. SHIELDS, «Syncretism and Divorce in Malachi 2,10-16», Zeitschrift fur die Alttestamentliche Wissenschaft 11
(1999), 68-86.
2
Però Mal 2,10 parla di azione sleale commessa da Giudei nei confronti di altri Giudei, non dal popolo nei confronti del
Signore. Mal 2,11 dice che Giuda ha agito slealmente, ma non specifica contro chi; dice che con questo modo di agire
ha profanato ciò che è sacro per il Signore. Slealtà non significa solamente o primariamente infedeltà coniugale.
3
La figlia del Dio straniero del v. 11 è in marcato contrasto con i figli dell'unico Dio e padre del v. 10.
4
In questo senso interpreta esplicitamente il Targum aramaico.
5
Non necessariamente prima delle iniziative prese da Esdra e Neemia per sradicare da Giuda i matrimoni misti, delle
quali non sappiamo quanto abbiano avuto successo.
171
[13] Questa seconda cosa andate facendo: coprire di lacrime l'altare del Signore, di pianti e di lamenti, per il
fatto che1 non prende più in considerazione l'offerta e riceve cosa gradita dalle vostre mani. [14] Voi avete detto:
perché? Perché il Signore ha agito da testimone fra te e la moglie della tua gioventù, con la quale hai agito
slealmente, con lei che è la tua compagna e la donna della tua alleanza. [15] Non uno ha fatto 2 e per lui3 resto di
spirito. Che cosa l'uno? Desidera discendenza di Dio. Custodite il vostro spirito e non agisca4 slealmente con la
moglie di gioventù.5 [16] Che odia il divorzio, ha detto il Signore Dio di Israele, e che la violenza copra6 la sua
veste, ha detto il Signore degli eserciti. Custodite il vostro spirito e non agite slealmente. (Mal 2,13-16)
Il verbo “coprire” compare all'inizio e alla fine della sezione, con chiaro effetto di inclusione.
Il popolo copre di lacrime l'altare senza rendersi conto che le sue vesti sono coperte di violenza,
senza capire pertanto la ragione per cui le sue offerte non sono più gradite al Signore.7 Il profeta la
spiega: il Signore agisce così nella sua funzione di testimone, ossia accusatore (di chi ha commesso
il reato) e difensore (della parte lesa).8 Il reato di cui è qui questione è la slealtà verso la moglie di
gioventù. Il tema dell'azione sleale connette le due parti della pericope: ai vv. 10-11 si parla di
slealtà tra fratelli, figli dello stesso padre, ai vv. 14-15 della slealtà dei mariti verso le proprie mogli.
In che cosa esattamente consiste tale slealtà il profeta non precisa. Poiché “moglie di gioventù”,
come abbiamo visto in Is 54,6, equivale a prima moglie, è logico supporre che sia inteso il divorzio
ingiustificato.9
1
Oppure: “al punto che”. La preposizione ebraica può essere intesa in senso sia consecutivo che causale. Per il senso
consecutivo si pronuncia M. ZEHNDER, «A Fresh Look at Malachi II 13-16», Vetus Testamentum 53 (2003), 224-259.
Chi copre di lacrime l'altare sarebbero le vittime dell'azione sleale, ossia le mogli.
2
Sottinteso: “ciò”, cioè un'azione sleale nei confronti della moglie.
3
Sottinteso: “vi sarà”.
4
Sorprende trovare la terza singolare anziché la seconda plurale.
5
L'ebraico ha: “della tua gioventù” (assimilazione al versetto precedente).
6
Oppure: “che si copra di violenza”.
7
Di offerte non gradite si parla anche in Mal 1,10.
8
Per questo senso del termine si veda anche Mal 3,5. Il momento in cui il Signore agisce da testimone non è dunque il
momento in cui sono stipulati gli impegni reciproci tra il marito e la moglie, ma in cui essi sono violati. Labano dichiara
a Giacobbe che se in futuro umilierà le sue figlie prendendo altre mogli oltre a loro “Dio sarà testimone fra me e te”
(Gen 31,50), ossia interverrà per fare giustizia.
9
Ricordiamo di avere già incontrato il verbo “agire slealmente” in Es 21,8, dove si vieta ad un uomo di vendere una
concubina che gli è venuta a dispiacere, perché sarebbe un'azione sleale verso di lei. Vendita non è divorzio, e moglie
non è concubina, ma tra le due situazioni ed azioni l'analogia è chiara.
172
La “donna della tua gioventù” è detta “donna della tua alleanza”. Quale alleanza è qui intesa?
L'alleanza matrimoniale, risponde G.P. HUGENBERGER, che ha dedicato a questo tema la sua tesi
dottorale:1 “donna della tua alleanza” significa “donna con cui tu hai fatto alleanza” nel momento in
cui tu l'hai sposata. Altri ritengono invece che sia intesa l'alleanza tra il Signore e il suo popolo:
“donna della tua alleanza” significa “donna che è al pari di te legata al Signore in alleanza”, in
quanto appartiene alla stessa nazione. Questa esegesi non mi convince: mi sembra abusivo attribuire
al termine “alleanza” il senso di “comunità dell'alleanza”.2 Non vi è dubbio che la moglie della
gioventù di cui si parla qui sia una figlia di Israele e non di un'altra nazione, ma da ciò non discende
che “la tua alleanza” del v. 14 debba per forza essere la stessa cosa che “l'alleanza dei nostri padri”
del v. 10. In Abdia 7 “uomini della tua alleanza” significa “uomini con i quali avevi fatto alleanza”,
che avevi preso sotto la tua protezione e che avrebbero dovuto ripagarti con la fedeltà. “Donna della
tua alleanza” non deve essere compreso diversamente: “donna cui con cui hai fatto alleanza”, che
che hai preso sotto la tua autorità e protezione maritale. Il fatto che nel medesimo versetto troviamo
“donna della tua gioventù” e “donna della tua alleanza” milita a favore di questa interpretazione.
Invece che “donna della tua alleanza” sarebbe forse meglio tradurre “donna del tuo obbligo”, donna
nei riguardi della quale hai contratto un obbligo. Chi prende una donna in moglie si assume un
obbligo verso di lei, obbligo di cui non si può disfare senza valido motivo. Manteniamo tuttavia la
traduzione “donna della tua alleanza”, intendendo però il termine nel senso dell'obbligo che un
uomo assume con la donna che prende in moglie.
Alla denuncia del crimine segue la minaccia di sanzione divina, intesa a dissuadere i criminali
dal continuare il loro comportamento. Tale è sicuramente il senso generale dei vv. 15-16, come già
del v. 12 nella prima parte. Purtroppo sono due versetti estremamente oscuri, a causa probabilmente
di guasti nella trasmissione del testo. Ne offriremo tuttavia una spiegazione, o più modestamente un
tentativo di spiegazione, di cui dovranno essere tenuti ben presenti i limiti intrinseci, derivanti dallo
stato del testo.
1
Marriage as a Covenant: A Study of Biblical Law and Ethics Governing Marriage, Developed from the Perspective of
Malachi, Vetus Testamentum Supplements 52, Leida 1994.
2
“Covenantal community”, secondo A. VAN DER WOUDE («Malachi's Struggle for a Pure Community: Reflections on
Malachi 2:10-16», Tradition and Re-interpretation in Jewish and Early Christian Literature: Essays in Honour of
J.C.H. Lebram, edd. J.W. VAN HENTEN e altri, Studia Post-Biblica 36, Leida 1986, 69).
173
Esaminiamo prima il v. 15. Il secondo emistichio è discretamente comprensibile: il profeta
ammonisce a non agire slealmente così da custodire il proprio spirito. Spirito in questo contesto
deve significare lo spirito che mantiene l'uomo in vita, come in Gb 10,12. Il pericolo che corre chi
agisce slealmente con la propria moglie sembra quindi essere niente meno che la perdita della vita.
Oscure sono invece le frasi che compongono il primo emistichio, che ho scelto di rendere nel modo
più letterale possibile. Ne sono state proposte innumerevoli spiegazioni, che non vale qui la pena
recensire. Ne menzionerò una sola, quella adottata dalla Bibbia CEI: “Non fece egli un essere solo
dotato di carne e soffio vitale? Che cosa cerca quest'unico essere, se non prole da parte di Dio?” La
negazione iniziale è intesa in senso interrogativo (retorico); il soggetto (sottinteso) del verbo è Dio,
l'oggetto è ’ēḥād, “uno”, possibile allusione a ciò che Dio creò perché diventasse uno (bāśār ’eḥād,
“una carne”, Gen 2,24). Nella frase immediatamente seguente si modifica una vocale: še’ēr (carne)
invece di še’ār (resto);1 in questo modo al posto di “un resto di spirito a lui” si ottiene “carne spirito
a lui”.2 Nella frase introdotta dal pronome interrogativo, ’ēḥād, preceduto dall'articolo, è il soggetto
cui è attribuita l'azione di “cercare” (= desiderare, chiedere) una discendenza da parte di Dio.
Questa esegesi non mi persuade, per più di un motivo. Il più importante è la modificazione
vocalica sopra esposta, che non ha il minimo appoggio né nell'ebraico né nelle antiche versioni. Per
parte mia, preferisco spiegare il testo trasmesso senza ricorrere a correzioni puramente congetturali.
Propongo dunque di comprendere la prima frase di Mal 2,15 in senso non interrogativo, rispettando
inoltre gli accenti congiuntivi che offre il testo massoretico: “non uno” è da leggere come “neppure
uno”, ed è soggetto del verbo, il cui oggetto è sottinteso: “neppure uno ha fatto (ciò)”, cioè ha agito
slealmente. “Un resto di spirito” può essere compreso come un resto di vita: nessuno che abbia
agito slealmente conserverà la sua vita. Non vedo qui alcuna allusione al racconto della creazione
dell'uomo e della donna. Quanto a hā’ēḥād, “l'uno”, che funge da soggetto nella frase introdotta dal
pronome interrogativo, l'articolo mi induce a vedervi una designazione di colui che all'inizio della
pericope (Mal 2,10) è detto unico Dio e unico padre del popolo a lui consacrato. Ciò che egli chiede
a tale popolo è di essere “discendenza di Dio”, che non credo sia cosa diversa dalla “discendenza
santa” che Esdra non vuole si mescoli con i popoli della terra (cfr. Esd 9,2).
1
Questa correzione è stata suggerita la prima volta da A. VAN HOONACKER, Les douze petits prophètes, Parigi 1908.
2
La Nova Vulgata Editio promulgata nel 1979 promuove questa interpretazione: unitatem fecit carnis et spiritus.
174
Passiamo ora ad esaminare il v. 16. Qui la difficoltà risiede soprattutto nelle prime tre parole:
kî śānē’ šallaḥ. Tutte e tre sono passibili di diverse interpretazioni. kî è una congiunzione, che può
avere diversi sensi: asseverativo, dichiarativo, causale, ipotetico. śānē’ è un perfetto qal alla terza
persona singolare: “odia”, “detesta”.1 šallaḥ può essere imperativo piel di seconda singolare oppure
infinito costrutto piel:2 “divorzia” o “divorziare”. Sotto śānē’ i massoreti hanno posto un accento
congiuntivo, che esclude l'interpretazione di šallaḥ come imperativo, adottata invece dalla Vulgata:
si odio habueris, dimitte.3 Così facendo occorre però interpretare alla seconda persona pure śānē’,
rivocalizzandolo śōnē’ come se fosse un participio4 e sottintendendo un “tu” cui appoggiarlo. Così
sembra aver fatto la Settanta, che traduce: “se odiando divorzi”. Ambedue le versioni danno senso
ipotetico a kî e leggono i verbi alla seconda persona singolare; la Settanta però li coordina, mentre
la Vulgata ne fa la protasi e l'apodosi di un periodo ipotetico. Questa costruzione trova appoggio in
un manoscritto frammentario dei dodici profeti trovato nella quarta grotta di Qumran, che porta: ky
’m śnth šlḥ, “ma se la detesti divorzia”.
Il primo problema che occorre risolvere non è esegetico, ma di critica testuale. I. HIMBAZA
ritiene che il frammento di Qumran5 conservi il testo originale, mentre il testo consonantico che è
alla base della puntuazione massoretica sarebbe il risultato di un ritocco apportato da mano farisaica
in funzione antidivorzistica.6 A me non risulta che i Farisei fossero antidivorzisti, anche se Shimon
ben Shetah nel I secolo a. C. ha introdotto norme che rendevano meno facile divorziare. A me pare
più probabile l'ipotesi contraria, vale a dire che il testo di Mal 2,16 sia stato ritoccato (frammento di
Qumran) o tradotto (Settanta, Targum) in modo da non mettere il passo profetico in contrasto col
passo del Deuteronomio (24,1-4) che autorizza il divorzio.
1
La Bibbia CEI traduce alla prima persona: “io detesto”.
2
A. VAN DER WOUDE corregge in šālaḥ, perfetto qal, e lo interpreta come abbreviazione di šālaḥ yād, “trattare con
ostilità”. Secondo lui Malachia non dice nulla sul divorzio: cfr. «Malachi's Struggle», cit., 65-71.
3
Così pure il Targum aramaico, mentre la Peshitta siriaca omette la frase.
4
W. RUDOLPH ha proposto di interpretare śānē’ come aggettivo verbale: cfr. «Zu Mal 2,10-16», Zeitschrift für die
alttestamentliche Wissenschaft 93 (1981), 85-90. Sarebbe però l'unica volta in cui śn’ ha l'aggettivo verbale anzichè il
participio.
5
6
Datato paleograficamente nella seconda metà del II secolo a. C.
Cfr. «Le débat sur le divorce en Malachie 2:16a et l'ambivalence de la LXX», Bulletin of the International
Organization of Septuagint and Cognate Studies 42 (2009), 68-79.
175
Accettando come originale il testo del frammento qumraniano, ci troveremmo davanti una
frase in cui il Signore esorta un marito a divorziare in caso di odio (= sopravvenuta avversione) per
colei che poco prima è stata definita “donna della tua alleanza”. In che cosa consisterebbe allora la
slealtà nei suoi riguardi? Nel fatto di continuare a tenerla con sé malgrado l'avversione? È una
spiegazione ben poco convincente.1
Valutazioni quindi tanto di critica testuale quanto di esegesi ci consigliano di accettare il testo
consonantico e la puntuazione dei massoreti. 2 Ci si presentano allora due possibilità interpretative.
La prima è di leggere šallaḥ come complemento oggetto di śānē’, 3 i1 cui soggetto logico è lo stesso
della frase seguente, ovvero il Signore.4 Letto in questo modo, Mal 2,16 ci offre una parola del
Signore che dichiara di odiare l'azione di divorziare (e quindi coloro che la commettono), in quanto
azione violenta (= profondamente ingiusta). L'infinito šallaḥ prosegue nel perfetto inverso wekissāh,
“e copre”, 5 il cui soggetto logico è colui che compie l'azione di divorziare.
La seconda possibilità è quella di spiegare šallaḥ come infinito che prosegue il perfetto
śānē’,6 il cui soggetto è indefinito (= chiunque). Per questa soluzione opta HUGENBERGER: “if one
hates and divorces … he covers his garments with violence…”.7 Letto in questo modo, Mal 2,16
non fa dire al Signore che odia il divorzio, ma che l'uomo che divorzia solo per disgusto per la
moglie copre i suoi abiti8 (= sé stesso) di violenza.
1
Il diritto matrimoniale dell'epoca non fa affatto obbligo ad un marito di nutrire affetto per sua moglie.
2
Vedi l'analisi di D. BARTHELEMY in Critique textuelle de l'Ancien Testaments, vol. III, Orbis Biblicus et Orientalis
50/3, Friburgo-Gottinga 1992, 1032-1034.
3
Un altro esempio di infinito usato come complemento oggetto si trova in Sal 101,3: “odio l'agire dei delinquenti”.
4
Un altro esempio di frase con verbo alla terza persona seguita da “ha detto il Signore” si incontra in Mal 1,9.
5
Grammaticalmente un perfetto inverso può continuare un infinito.
6
Si danno esempi di questa costruzione.
7
Marriage, cit., 76. Similmente interpreta la Nova Vulgata: “si quis odio dimittit … operit iniquitas vestimentum
eius…”.
8
Non vedo ragioni per interpretare levûšô come “el propi mantell matrimonial”, come fa T. SOLÀ, «L'exigèncie de
fidelitat monogàmica en Malaquies 2,10-16», El matrimoni i l'ùs del béns en la Bíblia, ed. A. PUIG I TÀRRECH , Scripta
biblica 8), Barcellona 2008, 101-126.
176
Qualsiasi di queste due interpretazioni si adotti, non credo che Mal 2,16 sia da comprendere
come una riprovazione del divorzio in assoluto, 1 ma del divorzio ingiusto. Nel capitolo precedente
abbiamo potuto vedere come il matrimonio in Israele sia concepito come un sistema di diritti e di
doveri per ambedue i coniugi. Un uomo che ha preso una donna in moglie non deve divorziarla se
lei non ha mancato ai suoi doveri. Se lo fa, commette una grave ingiustizia, di cui il Signore si fa
vindice: questo è ciò che, secondo me, intende dire Malachia. Il profeta non si pone dunque affatto
in contrasto con la legge di Mosè, nella quale il divorzio è un diritto riconosciuto ad ambedue i
coniugi in caso di inadempienza ai propri obblighi. Il fatto che sia un diritto non implica che possa
essere esercitato arbitrariamente.
Possiamo a questo punto concludere. Come abbiamo visto, il tema di fondo di Mal 2,10-16 è
l'azione sleale, la mancanza all'impegno preso. La prima slealtà menzionata dal profeta è il fatto di
sposare donne non israelite, il che costituisce una mancanza non solo nei confronti del Dio che ha
fatto alleanza con i padri di Israele, ma contro i fratelli israeliti, ai quali viene fatto il torto di non
sposare le loro figlie. La seconda slealtà è il fatto di divorziare dalla propria moglie, che senza
alcuna colpa si vede privata della protezione di un marito. Non è inverisimile che le due slealtà
siano tra loro collegate:2 il profeta si scaglia contro coloro che divorziano dalla loro moglie israelita
per sostituirla con una donna di altra nazione (e religione). Ciò spiegherebbe perché per primo sia
condannato il matrimonio con donne straniere, e per secondo il divorzio dalla propria moglie: agli
occhi del profeta il reato più grave è il primo, che viene considerato profanazione dell'alleanza tra il
Signore e il suo popolo da un lato, e del santuario dall'altro. Il divorzio ingiustificato dalle mogli
israelite è una colpa supplementare, che aggiunge gravità alla prima.
Mal 2,10-16 è praticamente l'unico passo in tutta la letteratura profetica in cui il matrimonio è
trattato per sé stesso, e non come elemento utile a comprendere per analogia la natura e le esigenze
del rapporto di appartenenza reciproca che lega Israele al suo popolo. L'ottica in cui è guardato è, in
consonanza con il carattere generale della predicazione profetica, quella della giustizia. Malachia
denuncia due ingiustizie che erano commesse in materia matrimoniale nella Giudea del suo tempo.
1
Così invece C. GRANADOS GARCIA : cfr. «Monogamia y monoteísmo. Claves para una lectura de Ml 2,19-16»,
Estudios bíblicos 68 (2010), 9-29. GRANADOS fa appello ad una (supposta) tradizione monogamica che distingueva
Israele dagli altri popoli del Vicino Oriente.
2
Così ritiene ad esempio C. LOCHER , «Altes und Neues zu Maleachi 2,10-16», Mélanges D. Barthélemy, edd. P.
CASETTI e altri, Friburgo (Sv.) 1981 (Orbis biblicus et orientalis 38), 241-269.
177
La prima è il costume di unirsi in matrimonio con donne di altra nazione, la seconda è il divorzio da
una moglie incolpevole. Potremmo dire che il primo pronunciamento è a favore della famiglia, e
precisamente della sua vocazione ad essere culla dell'identità religiosa della nazione. Il secondo
pronunciamento è a difesa dei diritti della donna sposata, che il profeta chiama donna dell'alleanza,
ossia donna con cui un uomo ha fatto alleanza nel momento in cui l'ha presa come moglie ed ha
assunto nei suoi confronti gli obblighi di un marito. Non è contestato l'istituto del divorzio in sé
stesso, ma il suo abuso a danno della donna.
Scarso fondamento ha, secondo me, l'idea che Malachia abbia inteso fondare la sua denuncia
del divorzio arbitrario sul passo biblico in cui l'uomo e la donna sposati sono detti formare una sola
carne. Il testo di Mal 2,15 è sicuramente corrotto, e in ogni caso molto difficile da interpretare. Il
riferimento a Gen 2,24 è una pura possibilità, ma tutt'altro che una certezza. Lo studioso deve
accettare i limiti della documentazione di cui è in possesso, senza cedere a suggestioni di ordine
teologico più che esegetico. La teologia biblica del matrimonio deve avere basi solide, e non può
appoggiarsi su passi la cui esegesi è così problematica.
Scarso fondamento ha pure, a mio giudizio, l'interpretazione che vuole stabilire una relazione
tra la slealtà del popolo nei confronti del Signore e la slealtà dei mariti nei confronti delle loro
mogli, in forza della quale relazione in Malachia il Signore apparirebbe simbolicamente come una
moglie ripudiata, anziché come un marito tradito, come nei profeti precedentemente considerati.1
Per essere pertinente il paragone dovrebbe essere fatto non col marito tradito, ma col marito che
divorzia dalla moglie infedele, simbolo usato da Osea e Geremia, come abbiamo visto. Abbiamo
pure letto della sofferenza della moglie di gioventù divorziata, in Is 54,6: ma là si trattava di un
divorzio causato dall'infedeltà della moglie, di cui non vi è minima traccia in Malachia. La slealtà di
cui il profeta accusa Giuda non è l'idolatria, come in Ger 3,20 o 5,11, ma la pratica di legarsi in
matrimonio con donne straniere, profanando l'alleanza del Signore. Chi divorzia senza motivo dalla
moglie sposata in gioventù viola anche lui un'alleanza, quella stipulata con lei, e per questo sarà
severamente punito. La prospettiva di Malachia è punitiva: egli minaccia la punizione divina sia a
coloro che sposano donne di altra religione sia a coloro che divorziano dalla propria moglie. Non
vedo in ciò alcuna base per vedere simbolicamente il Signore come vittima di un divorzio.
1
Così T. SOLA (cfr. op. cit., 125).
178
Riepilogo
Al termine di questa escursione nella letteratura profetica dell'Antico Testamento tentiamo di
raccogliere gli elementi più significativi. Espositivamente li disporremo secondo tre aree tematiche:
la denuncia di ingiustizie, l'uso della simbolica coniugale, le azioni segno.
Per quanto concerne il primo punto, abbiamo constatato che tra tutti i profeti solo l'ultimo,
Malachia, denuncia ingiustizie in materia matrimoniale. La critica sociale, se così la possiamo
chiamare, dei profeti non tocca che occasionalmente il matrimonio. Tra i crimini abitualmente
commessi nel regno di Israele Amos denuncia quello di figlio e padre che hanno rapporti sessuali
con la stessa ragazza, 1 profanando con ciò il santo nome del Signore (cfr. Am 2,7); Osea e Geremia
rilevano la frequenza degli adulteri e della fornicazione (cfr. Os 4,14 e Ger 5,7-8); Michea si scaglia
contro coloro che cacciano di casa le donne e privano di onore i loro bambini2 (cfr. Mi 2,9). Sono
riferimenti brevi; l'unico ampio è quello di Malachia. Il passo è purtroppo, come abbiamo rilevato,
di difficile comprensione, a causa della cattiva conservazione del testo. Sembra tuttavia di potervi
riconoscere prima una denuncia della pratica dei matrimoni con donne straniere da un lato, e poi del
divorzio; più precisamente del divorzio immotivato, se l'esegesi da noi proposta è corretta. Il primo
abuso è di estrema gravità agli occhi del profeta, che lo condanna come profanazione dell'alleanza
tra Dio e il suo popolo. Il secondo abuso è condannato come violazione dell'alleanza tra un uomo e
sua moglie. Malachia non fa accenno alcuno all'amore coniugale, ciò che lo preoccupa è la
giustizia. Chi divorzia senza che la moglie gliene abbia dato motivo commette una grave ingiustizia
verso di lei, e Dio, difensore dei deboli e degli innocenti, gliene chiederà conto.
Per quanto riguarda il secondo punto, abbiamo constatato quanto sia frequente l'uso simbolico
della relazione coniugale. Per indurre Israele a riconoscere la sua infedeltà, Osea mette in scena una
moglie3 che, pur amata dal marito, corre dietro ad altri uomini per avere dei regali; per spiegare la
caduta del regno in mano nemica, un marito geloso che mette la moglie in condizioni di privazione
per costringerla a tornare da lui; per annunciare un futuro ritorno, un marito che risposa la moglie da
1 Forse una concubina. Ricordiamo la proibizione di avere rapporti sessuali con la moglie del proprio padre (cfr. Dt
23,1 e 27,20; Lv 18,8 e 20,11) o del proprio figlio (cfr. Lv 18,15 e 20,12).
2 Forse si tratta di prepotenze verso vedove ed orfani.
3 Forse la sua stessa moglie, se la storia ha, come è possibile, una base reale.
179
cui ha divorziato, imponendole però un tempo di prova prima di riprendere le relazioni coniugali.
Geremia paragona il popolo ad una moglie che tradisce il marito ad ogni occasione e se ne dichiara
pentita senza esserlo realmente. Ezechiele racconta la storia di Gerusalemme, salvata dalla morte
subito dopo essere nata, più tardi sposata e innalzata al rango di regina, poi ripetutamente adultera e
infine crudelmente punita: tutto ciò a giustificazione della sua caduta in mano ai Caldei. Per
illustrare il ritorno dall'esilio, la scuola di Isaia usa la figura di un marito che si impietosisce e
riprende con sé la moglie da cui aveva divorziato. 1
Perché l'infedeltà religiosa è rappresentata come un'infedeltà coniugale? A scopi persuasivi,
innanzittutto. L'adulterio era a quell'epoca considerato, in Israele come in tutto l'antico Oriente, un
crimine di estrema gravità.2 Tale non era invece la pratica di venerare contemporaneamente più di
una divinità. Per convincere gli Israeliti che tale pratica era peccaminosa i profeti la paragonano
all'adulterio, che tutti allora ritenevano un comportamento inaccettabile, un vero e proprio delitto.
Per persuadere bisogna far leva su sentimenti e convinzioni comuni, su ciò che è da tutti accettato.
Retoricamente la rappresentazione del culto prestato ad altre divinità come un atto di adulterio era
un'arma efficace. Il fattore retorico spiega pure probabilmente perché i profeti impiegano con molto
maggiore frequenza il vocabolario della prostituzione o fornicazione (verbo znh e i suoi derivati)
che quello dell'adulterio (n’p e i suoi derivati). Fornicare è più ampio che commettere adulterio, in
quanto indica qualsiasi rapporto sessuale consumato fuori dal matrimonio, equiparato all'unione con
una prostituta, che non ha altro scopo che quello di procurare piacere, e non di avere figli e costruire
una famiglia. Per quali ragioni dunque Israele, che è rappresentata come una moglie legittima, è
tacciata di prostituta3 piuttosto che di adultera? Per ragioni retoriche: il termine è più offensivo. 4
1 Non includiamo in questa rassegna Malachia, dal momento che non ci ha convinto l'esegesi secondo la quale Mal
2,11 sarebbe da comprendere in senso simbolico.
2 Un “grande peccato” (Gen 20,9) lo considera il filisteo Abimelec, un “grande male” (Gen 39,9) l'ebreo Giuseppe.
3 Non prostituta sacra o ierodula, come diversi esegeti hanno affermato, senza fondamento solido. L'esistenza stessa del
fenomeno della prostituzione sacra o cultuale è oggi messa in discussione: vedi però lo studio di J. DAY, «Does the Old
Testament Refer to Sacred Prostitution and Did it Actually Exist in Ancient Israel?», in Biblical and Near Eastern
Essays: Studies in Honour of K. J. Cathcart, edd. C. MC CARTHY e J.F. HEALEY , Londra 2004 (Journal for the Study
of the Old Testament Supplements 375), 2-21.
4 Forse gioca un ruolo anche il fatto che la prostituzione, più dell'adulterio, evoca una molteplicità di partners.
180
Proprio perché considerato reato, l'adulterio era assai severamente punito, come abbiamo visto
nel capitolo precedente. Ciò pure viene molto utile ai profeti, soprattutto Osea ed Ezechiele, i quali
hanno presentato la fine del regno di Israele e rispettivamente di Giuda, come un castigo inflitto dal
Signore al suo popolo per il culto da lui pervicacemente reso ad altre divinità. In questa prospettiva
la simbolica della relazione matrimoniale è utilizzata a fini di teodicea: come un marito ha diritto di
punire la moglie adultera, così il Signore di castigare il suo popolo per la sua infedeltà religiosa. Né
Israele né Giuda possono pertanto accusare il loro Dio per averle lasciate in balia degli Assiri o dei
Caldei. A causa dei loro ripetuti tradimenti hanno perso ogni diritto a essere protette e difese.
Il Signore non è però presentato unicamente in veste di giudice severo. Nell'antico Israele,
l'adulterio era presumibilmente un comportamento non molto frequente, sicuramente meno che ai
nostri tempi. Molto raro1 doveva essere il caso di un marito che riprendesse con sé la moglie che si
era resa colpevole di tale reato.2 Proprio per la sua eccezionalità i profeti lo usano per fare
comprendere per contrasto la grandezza del perdono divino. Dio non ama il suo popolo come un
marito sua moglie, ma molto di più: “Io sono Dio e non uomo” (Os 11,9).
Chiaramente, perché la simbolica matrimoniale potesse fare presa ci doveva essere una chiara
analogia tra la relazione che lega una moglie al marito e la relazione che legava Israele al suo Dio.
Si può anzi dire con F. MARTIN: “The obligation of exclusive fidelity on the part of Israel, and the
promise of protection and care on the part of Yhwh found its closest human counterpart in the
marriage relation between man and woman”.3 La relazione coniugale si prestava eccellentemente a
essere comparata all'alleanza tra il Signore ed Israele. Perché? Perché nel diritto israelitico, e anticoorientale in genere, il matrimonio comportava l'obbligo per la moglie di una riserva esclusiva di sé
al marito (e non viceversa). Questo è il punto essenziale che accomuna la relazione matrimoniale
alla relazione tra il Signore ed Israele: l'obbligo di appartenenza esclusiva non reciproca.
1 Anzi scandaloso, come fa giustamente notare R. ZIMMERMANN: cfr. Geschlechtermetaphorik und Gottesverhältnis.
Traditionsgeschichte und Theologie eines Bildfelds in Urchristentum und antiker Umwelt, Tubinga 2001
(Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testament II/122), 143.
2 Il libro dei Giudici racconta di un Levita che andò a persuadere la concubina che lo aveva lasciato a tornare a vivere
con lui (cfr. Gdc 19,2-3). L'ebraico parla di “prostituzione” (probabilmente adulterio) della concubina; la Settanta dice
che la concubina “si mise in collera” col marito.
3 «Israel as the Spouse of Yhwh», Anthropotes 16 (2000), 130.
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Non vogliamo qui addentrarci nella questione storica sull'origine e sviluppo di questo tratto
distintivo della religione di Israele.1 Per il nostro assunto è sufficiente rilevare che secondo i profeti
Israele appartiene al suo Dio con la stessa esclusività con cui una moglie appartiene a suo marito. Il
matrimonio non interessa loro se non come illustrazione del primo comandamento del Decalogo:2
“tu non avrai altri dei oltre a me3” (Es 20,3; Dt 5,7). Naturalmente il matrimonio così come era
concepito e vissuto al loro tempo; il matrimonio moderno, in cui i coniugi hanno stessi diritti e
medesimi doveri, difficilmente gli avrebbe fornito elementi utili ad illustrare il rapporto tra il
Signore e il suo popolo. Nell'istituto matrimoniale come è configurato nel nostro sistema giuridico,
e ancor più come è concretamente vissuto dai coniugi, manca infatti l'elemento essenziale della
dipendenza della moglie dal marito.4
Questo fatto non deve essere mai dimenticato se non si vuole cadere in gravi equivoci nella
comprensione del messaggio dei profeti. Solo così si spiega perché nelle loro rappresentazioni il
Signore è sempre il marito e il popolo sempre la moglie. Nella realtà fattuale commettono adulterio
i mariti e commettono adulterio le mogli, ma nelle rappresentazioni profetiche solo la moglie,
perché simbolicamente il popolo può essere rappresentato solo dalla moglie, perché solo lei è tenuta
alla fedeltà coniugale. Inoltre solo il popolo viene meno ai suoi obblighi, mai il Signore.
Un altro elemento ancora merita di essere rilevato. Rappresentare il popolo come una moglie
significa mettere in evidenza il suo bisogno di protezione. La donna senza marito è una donna non
protetta, esposta a sopraffazione e violenza. Le truci scene dipinte da Ezechiele sulla violenza degli
ex-amanti servono a far comprendere quanto sia decisiva la protezione divina. Senza il suo Dio un
popolo è indifeso, come una donna davanti ai guerrieri nemici che devastano una città.
1 Rimando al già citato studio di P. MERLO , La religione dell'antico Israele, Roma 2009.
2 Non a caso citato nel libro di Osea (cfr. 13,4).
3 La Bibbia CEI traduce: “di fronte a me”. Io preferisco dare alla preposizione ‘al il senso “oltre a” (= in aggiunta a),
che ha un ottimo parallelo in Gen 31,50, dove Labano ingiunge a Giacobbe di non prendere altre mogli oltre a Lea e
Rachele.
4 Non posso condividere la tesi di A.-M. PELLETIER , secondo la quale la relazione “sposo-sposa” afferma la parità, al
contrario di tutte le altre relazioni (pastore-gregge, re-popolo, vignaiolo-vigna) usate simbolicamente dai profeti: cfr.
Creati maschio e femmina. La differenza luogo dell'amore, Siena 2010, 58. La PELLETIER rimanda al concetto di “una
sola carne” attestato in Gen 2, che non sappiamo se fosse conosciuto dai profeti, e dove in ogni caso nulla è detto in
merito ad una supposta parità tra i coniugi.
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Coloro che sono infastiditi dal poema di Osea o dalle scenografie di Ezechiele perché
presentano la donna in posizione socialmente inferiore e moralmente deteriore dovrebbero tenere
conto dei limiti del linguaggio. Non del matrimonio hanno voluto parlare i profeti, ma della fedeltà
divina contrapposta all'infedeltà umana. Il matrimonio, come altre realtà umane, è usato per parlare
di Dio. È dunque usato come linguaggio, e ogni linguaggio ha i suoi limiti. Mi sembra tuttavia
decisamente fuori luogo parlare di pornografia profetica, come è stato fatto.1
Come ha i suoi limiti, il linguaggio ha d'altra parte il suo valore e la sua bellezza. Occorre
certo un'avvertenza critica, per non sopprimere la differenza che corre tra la figura e la realtà. La
configurazione sociale e giuridica del matrimonio è profondamente cambiata dai tempi di Osea ad
oggi. Tuttavia il valore della fedeltà e la grandezza del perdono non hanno perso significato. Le
rappresentazioni profetiche, comprese nel loro contesto storico e non proiettate anacronisticamente
nel mondo di oggi, hanno ancora oggi grande valore.2 Il linguaggio, con tutti i suoi limiti, costruisce
la vita. Una teologia biblica del matrimonio non può ignorare le prospettive offerte dal linguaggio e
limitarsi alla ricostruzione storica dell'istituto matrimoniale ai tempi biblici.
Un'altra avvertenza occorre ancora avere, ed è quella di non assolutizzare i simboli. I profeti
non si sono serviti unicamente della simbolica coniugale nella loro polemica contro l'idolatria, che
non è soltanto equiparata all'adulterio, ma anche accusata di essere comportamento in sé stesso
irrazionale.3 Inoltre i profeti non hanno paragonato la relazione tra il Signore ed Israele solamente
alla relazione tra un marito e una moglie, ma anche alla relazione genitori-figli (vedi ad esempio Os
11,1-2, o Ger 31,19), che non è meno importante e significativa dell'altra. Ezechiele ha presentato il
Signore come un pastore che si prende cura delle sue pecore (cfr. Ez 34,11-16), e pure questo
paragone ha il suo valore e la sua pregnanza, anche se nella società di oggi il mestiere del pastore ha
un rilievo piuttosto modesto.
1 Vedi ad esempio J. C. EXUM, “Prophetic Pornography”, Plotted, Shot, and Painted: Cultural Representations of
Biblical Women, Sheffield 1996, 102-128.
2 Un'accurata analisi di tali rappresentazioni (che non include però Ezechiele) è offerta da R. ABMA , Bonds of Love.
Methodic Studies of Prophetic Texts With Marriage Imagery, Assen 1999 (Studia semitica neerlandica 40).
3 Vedi a questo proposito I. CARBAJOSA PÉREZ, «Dos delitos ha cometido mi pueblo: las imágenes de Jer 2,10-13 en
la argumentación del profeta», Estudios bíblicos 58 (2000), 435-473; «Las imágenes sapienciales en el discurso
profético», Verdad y vida 233 (2002), 97-116.
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L'analogia matrimoniale non è l'unica, e la sua importanza non deve essere esagerata come se
rappresentasse il vertice sommo e insuperato della rivelazione biblica. Tampoco conviene trattarla
come simbolo onnicomprensivo della relazione tra il Signore e il suo popolo. Dio è tanto marito
quanto padre e quanto re. In passato la teologia ha dato rilievo soprattutto alla paternità divina, e ciò
può avere in parte oscurato altri aspetti e dimensioni. Non mi pare tuttavia che la teologia abbia
particolare convenienza a sottolineare l'aspetto sponsale e coniugale come se fosse l'unico o il più
importante. Dio resta pur sempre un mistero e le parole umane sono sempre solo balbettamenti. Non
deve essere dimenticata la lezione di Agostino: Si comprehendis, non est Deus (Sermo 117).
Veniamo infine a considerare quelle che abbiamo chiamato azioni segno. I profeti non hanno
comunicato solo con la parola, ma anche con azioni cariche di significato. Soprattutto Geremia ed
Ezechiele1 si sono serviti di questa tecnica comunicativa, compiendo azioni che non potevano non
impressionare la comunità in mezzo alla quale vivevano. In questa categoria rientra senz'altro anche
il matrimonio di Osea, che prese in moglie una donna per temperamento non portata alla fedeltà:
scelta indubbiamente strana da parte di un uomo che si vuole sposare, che aveva appunto lo scopo
di lanciare al popolo un messaggio. Da una moglie portata alla promiscuità non possono nascere che
figli con la stessa inclinazione: Osea voleva che i figli di Israele capissero che quando il Signore tra
tutti i popoli della terra aveva scelto loro come suo popolo, non aveva scelto gente dalla moralità
elevata, ma al contrario incline al tradimento. Dovevano capire questo per poter capire ciò che il
Signore stava facendo con loro nel momento storico che stavano attraversando.
Geremia ricevette dal Signore il comando di non prendere moglie del tutto, né fedele né
infedele: anche lui in funzione dei figli,2 e precisamente per non averne. Niente moglie, niente figli:
scelta suicida, in un tempo in cui un uomo vede nel fatto di avere figli la possibilità di continuare a
vivere dopo la morte.3 Ma proprio questo era il messaggio che il profeta voleva lanciare:
Gerusalemme sta vivendo i suoi ultimi giorni. Niente futuro per Geremia, niente futuro per
Gerusalemme. Altri passi del libro aprono però le porte alla speranza: il Signore costruirà di nuovo
1 Segnalo lo studio di K.G. FRIEBEL, Jeremiah's and Ezekiel's Sign-Acts: Rhetorical Nonverbal Communication,
Sheffield 1999 (Journal for the Study of the Old Testament. Supplementary Series 284).
2 Non ritengo che la rinuncia di Geremia al matrimonio avesse lo scopo di rappresentare simbolicamente la decisione
del Signore di non avere più un suo proprio popolo.
3 In Ger 22,30 il profeta parla dell'uomo che non ha figli (più precisamente figli che succedono al padre) come di un
essere inutile, come lo è un vaso rotto.
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la vergine Israele, ossia la renderà di nuovo feconda. La voce dello sposo e della sposa ora tace, ma
verranno i giorni in cui risuonerà di nuovo.
Ezechiele ricevette l'annuncio della morte improvvisa di sua moglie e il comando di piangerla
privatamente, rinunciando alle pratiche tradizionali di lutto, il cui scopo era di fornire conforto.
Tutto ciò allo scopo di preparare la comunità dei deportati alla notizia della distruzione del tempio e
della morte dei loro figli rimasti a Gerusalemme. Il messaggio è: sarete tutti colpiti e non potrete
confortarvi l'un l'altro. Messaggio tutt'altro che lieto, chiaramente, ma la letizia non è la tonalità
dominante della profezia di Ezechiele. Ciò non significa che non abbia anche lui aperto orizzonti di
speranza, con accenti e linguaggio a lui propri.
Voglio aggiungere ancora una notazione, prima di chiudere questo capitolo. Assai sovente le
disposizioni legislative e le parole profetiche sono messe in opposizione. Le determinazioni
giuridiche in genere appaiono aride e anguste e non sembrano contenere alcuna teologia; il diritto
matrimoniale veterotestamentario in specie appare assai imperfetto, e comunque superato. La parola
profetica appare al contrario spiritualmente ricca e teologicamente profonda; per quanto concerne
specificamente il matrimonio, spalanca orizzonti affascinanti, mostrandoci niente meno che un Dio
innamorato del suo popolo.
Credo che l'analisi da noi condotta mostri quanto tale opposizione sia più apparente che reale.
Da un lato giova rilevare che i profeti non si collocano fuori (tanto meno contro) il quadro giuridico
ed istituzionale del mondo in cui vivono. Neppure Malachia, il cui detto sul divorzio è spesso citato,
ha inteso innovare rispetto alla normativa in vigore nella Giudea del suo tempo. Il divorzio appare
tranquillamente accettato, come pure la poligamia.1 D'altro lato, nell'apprezzamento della parola
profetica conviene distinguere il contenuto concettuale dalla modalità espressiva. I profeti sono
spesso anche poeti, a volte anche grandi poeti. Ciò non è naturalmente un limite, ci mancherebbe
altro. Non c'è ragione di giudicare un limite la bellezza delle parole e delle immagini, che deve
tuttavia essere tenuta distinta dal contenuto che attraverso di esse viene espresso. Nella sua Teologia
dell'Antico Testamento W. BRUEGGEMANN ha scritto pagine suggestive su alleanza e pathos, in
particolare sul “pathos sponsale-parentale di Yahweh”.2 Io sono personalmente meno incline a dare
1 Abbiamo visto come Geremia ed Ezechiele non hanno difficoltà a rappresentare il Signore come bigamo, avendo egli
sposato due sorelle, e che Geremia lo presenta come un marito che ha consegnato alla moglie l'atto di divorzio.
2 Brescia 2002, 399. L'originale americano è del 1997.
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rilievo alla pateticità, o passionalità se si preferisce, di certe parole o frasi. Certo, il Dio dell'Antico
Testamento si qualifica come un Dio geloso (cfr. Es 20,5 e 34,14; Dt 4,24; 5,9 e 6,15), ma ciò non
significa altro che egli pretende di essere l'unico Dio riconosciuto e adorato dal suo popolo. Noi
siamo tutti in qualche modo figli del Romanticismo, e tendiamo a dare a parole come amore e
gelosia connotati sentimentali e passionali che nel lessico biblico1 non sono loro propri. Non mi
spingerò fino a sostenere che “amore” nella bocca dei profeti non è altro che un termine tecnico, ma
sicuramente ha anche un senso giuridico che non conviene ignorare. La Bibbia, e i Profeti in
particolare, non ci guadagnano ad essere letti romanticamente.
Tra legge e profezia non vi è opposizione, ma complementarietà. Non intendo con ciò negare
che la profezia apra orizzonti nuovi rispetto alla legge. Il fatto che i profeti si siano serviti del
legame matrimoniale per illustrare la relazione tra Dio e il suo popolo non è privo di conseguenze.
Scrive P. Grelot: “questa evocazione, religiosa per essenza, getta una luce retrospettiva sulla realtà
umana che le serve da punto di partenza”.2 La parola profetica illumina la realtà in un modo di cui i
profeti stessi, limitati come ogni essere umano di ogni tempo, non erano consapevoli. Anche se il
suo oggetto diretto è la rivelazione del mistero di Dio, indirettamente la profezia mostra quello che
la relazione coniugale può divenire se si lascia modellare dall'amore divino.
L'apostolo Pietro definisce la profezia “lucerna che splende in un luogo scuro” (cfr. 2 Pt 1,19),
che serve solo fino a quando non si leva il giorno. L'apostolo Paolo la paragona allo specchio in cui
uno vede confusamente (cfr. 1 Co 13,12), in attesa di vedere faccia a faccia.3 Mi sembra che anche
riguardo al matrimonio la profezia svolga un ruolo preparatorio e anticipatorio, aprendo la strada
alla rivelazione futura.
1 Il lessico veterotestamentario dell'amore deve essere studiato, distinguendo accuratamente l'amore elettivo (espresso
dalla radice ’hb) dall'amore dovuto (ḥsd), nonché dall'amore compassionevole (rḥm). Le traduzioni nelle nostre lingue
moderne tendono a oscurare queste differenze.
2 La coppia umana, cit., 61.
3
Come vedeva Mosé, a differenza dei profeti (cfr. Nu 12,8).
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