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IL DOLORE DEL NEONATO

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IL DOLORE DEL NEONATO
IL DOLORE DEL NEONATO
Accarigi Elisabetta* – I.P., Baiocchi E., Boretti S., Fallani E.
U.O. T.I.N. - Azienda Ospedaliera “Careggi” – Firenze
Trattare un tema importante e complesso come quello del dolore è sempre difficile, ma diventa
ancora più complicato quando l’ambito di interesse è quello neonatale.
Il problema del dolore nel neonato è stato sottovalutato per molti anni (anche la letteratura su questo
argomento era molto ridotta) ed è da poco tempo che è stato oggetto di sensibilizzazione da parte
del personale sanitario.
Il fatto che le risposte agli stimoli dolorosi nel neonato fossero minime, di breve durata o addirittura
assenti, avevano erroneamente fatto pensare ad una tolleranza da parte del neonato allo stimolo
algologico.
L’Associazione Internazionale per lo studio del dolore ha definito il dolore come “una spiacevole
esperienza sensoriale ed emotiva, associata al danno tissutale reale o potenziale e descrivibile in
termini di tale danno”.
E’ un’esperienza soggettiva ed individuale, non sempre direttamente proporzionale all’entità del
danno tissutale e neanche direttamente collegata alla presenza del danno stesso.
Infatti nei neonati pretermine il tatto (che si sviluppa come primo sistema sensoriale nel feto) è
molto vissuto e può essere mal tollerata persino una carezza.
Questa esperienza del dolore dipende da una complessa interazione di fattori ambientali,
psicologici, sociali, culturali e anamnestici in grado di rendere la sensazione dolorosa o più intensa
o al contrario mitigandola.
Il dolore va quindi distinto dalla nocicezione, intesa come la risposta alla stimolazione dei
nocicettori: infatti anche se la nocicezione può determinare dolore vi può essere dolore senza
nocicezione o viceversa.
CENNI DI FISIOLOGIA
La maturità, sia anatomica che funzionale, del sistema nocicettivo durante la vita
fetale è dimostrato da:
• densità delle terminazioni nervose nocicettive presenti sulla cute dei neonati;
• riconoscimento di specifiche proteine contenute nelle vescicole di particolari tipi di assoni;
• presenza di riflessi e di campi recettivi dei neuroni primari afferenti;
• sviluppo di sinaspi tra le fibre afferenti primarie e gli interneuroni delle corna dorsali del
midollo spinale.
Fin dalla 6^ settimana di gestazione le cellule delle corna posteriori del midollo spinale formano
sinapsi con i neuroni sensitivi che si stanno sviluppando e che raggiungeranno la cute degli arti
circa alla 11^ settimana, il resto del tronco circa alla 15^ e le rimanenti superfici cutanee e mucose
alla 20^.
Al completamento dello sviluppo del neonato, quindi, sono presenti terminazioni nervose
nocicettive distribuite sulla cute, sui muscoli e nella parete degli organi interni, con una densità pari
all’adulto.
Una ulteriore organizzazione della struttura laminare delle cellule delle corna posteriori e le loro
sinapsi , insieme alla comparsa di specifiche vescicole per i neurotrasmettitori, inizia alla 13^
settimana e si completa entro la 30^.
Il processo di mielinizzazione per alcune fibre avviene nel corso della vita intrauterina mentre per
altre soltanto dopo la nascita.
La mancanza di mielinizzazione è stato spesso considerato indice di mancata funzione del sistema
nervoso del neonato, e quindi usato come scusa per concludere che i neonati, soprattutto i
pretermine, non sono capaci di percepire il dolore.
Tra le fibre che trasmettono le sensazioni dolorose nel genere umano di ogni età, vi sono anche le
amieliniche.
L’incompleta maturazione del sistema mielinico quindi sta semplicemente ad indicare che la
velocità di conduzione degli stimoli dolorosi nelle fibre nervose dei neonati è rallentata rispetto a
quella degli adulti: ciò viene però compensato dal fatto che nei neonati questi impulsi devono
percorrere distanze più brevi data la minor lunghezza delle fibre.
Queste fibre sono per la trasmissione di una sensazione di dolore sordo, diffuso, mal localizzabile e
di maggiore intensità.
Studiando il metabolismo cerebrale, si è osservato, inoltre che il feto è in grado di secernere
oppioidi endogeni ed altri ormoni (catecolamine, ormoni steroidei, glucagone, ormone della
crescita)in risposta a stress che permettono di diminuire l’intensità dello stimolo algologico.
Questo apparato, già attivo dalla 15^- 17^ settimana servirebbe a proteggere, in parte, il neonato a
termine durante lo stress del parto sia eutocico che distocico e nel caso di ipossia o infezione.
I dati fin qui esposti dimostrano che le strutture anatomiche della nocicezione non sono
semplicemente immature ma sono differenti nel feto rispetto all’adulto: la trasmissione di uno
stimolo doloroso avviene ugualmente ma ad una velocità ridotta e la risposta sarà di lunga durata,
esagerata o poco localizzata.
Il processo e la capacità di memorizzazione è già sviluppato nel neonato ma diventa difficile
valutare quanto tale capacità incida nello sviluppo del bambino relativamente alle esperienze
dolorose.
Da alcuni studi si valuta che i bambini di peso alla nascita estremamente basso hanno una risposta
meno significativa rispetto agli altri agli stimoli nocicettivi e questo ci fa pensare ad una dinamica
alterata nell’espressività del dolore in funzione del tempo trascorso in TIN .
L’intensità e la ripetitività dei vissuti dolorosi sono fonte di stress, addirittura possono aggravare la
patologia in atto, minacciare la stabilità del neonato stesso e lo sviluppo del SNC fino ad alterare la
futura percezione del dolore o il comportamento e le risposte agli stimoli dolorosi.
Invece si possono notare gli effetti diretti e indiretti del dolore precoce nello sviluppo del
comportamento e neuronale.
Sono stati osservati aumenti di deficit neurologici, disordini comportamentali, problemi
psicosociali, deficit cognitivi e dell’apprendimento, dell’attenzione,della memoria e anche difficoltà
a reagire a situazioni nuove.
Quindi, durante il periodo di permanenza in TIN, lo sviluppo cerebrale può essere minacciato da
stimoli inattesi che incidono negativamente sul normale sviluppo.
E’ naturale, quindi, che una attenzione a limitare precocemente il dolore e lo stress può prevenire
possibili sequele nella crescita.
Dobbiamo porre attenzione sulle procedure routinarie che appropriatamente gestite possono essere
attuate dal personale infermieristico con il risultato di ridurre la dolorosità delle stesse.
Ottimizzare questi interventi può anche voler dire rendere più efficaci le cure messe in atto per
salvare la vita.
Ridurre gli stimoli dolorosi e controllare il dolore è, per la figura professionale che lavora a contatto
con la sofferenza del prematuro in patologia neonatale, in atto di profondo rispetto e umanitario
dovuto.
La vulnerabilità del piccolo paziente deve essere sostenuta dalla nostra capacità affettiva,
professionale e di osservazione.
Semeiologia del dolore
I tipi di dolore sono molteplici e si distinguono in:
dolore acuto
dolore persistente o ripetitivo
dolore post-operatorio
dolore in casi particolari
DOLORE ACUTO
Nel dolore ACUTO sono state evidenziate risposte comportamentali quali: il pianto, l’espressione
del viso, i movimenti corporei e lo stato comportamentale e reazioni fisiologiche quali: alterazioni
cardiovascolari, respiratorie, ormonali e metaboliche.
ESPRESSIONI COMPORTAMENTALI
IL pianto:
Il pianto è uno dei modi più importanti con cui il neonato comunica con chi è in relazione con lui. Il
pianto è caratterizzato da frequenza, durata ed intensità diverse e sembra che le caratteristiche
specifiche del pianto di dolore siano:
- una breve latenza dallo stimolo
- una durata maggiore dopo il primo ciclo di pianto
- un periodo totale di pianto più lungo
- una più elevata frequenza di base
- una maggior intensità nei livelli superiori
- una melodia decrescente o piatta
- vibrazioni e disfonia
Tali caratteristiche attribuiscono al pianto di dolore una qualità di particolare urgenza per ottenere
immediatamente attenzione.
Bisogna comunque tenere conto della diversa sensibilità e temperamento dei neonati per cui in
risposta ad uno stimolo doloroso, si può anche non avere come espressione di dolore, il pianto.
Inoltre ci sono situazioni in cui il pianto non può comunque essere analizzato come in caso di
intubazione tracheale che rende ovviamente impossibile la fonazione ed altri in cui non è attendibile
come nel caso di gravi danni neurologici in cui è impossibile attendersi delle vocalizzazioni normali
e quindi notarne differenze.
Tuttavia il pianto non è una misura attendibile di intensità del dolore ma può piuttosto indicare un
più generale livello di sofferenza.
Espressioni del viso:
Per analizzare meglio l’espressione facciale del neonato è utile far riferimento al Neonatal Facial
Coding System di Grunan e Craig che ci offre una dettagliata descrizione delle reazioni del neonato
all’esperienza dolorosa.
Elementi del “Neonatal Facial Coding System” (NFCS) per l’analisi dell’espressione facciale
del neonato
Azione
Descrizione
Fronte corrugata
Aggrottamento con pieghe e solchi verticali sulla fronte e tra le
sopracciglia per l’abbassamento e la trazione delle sopracciglia.
Occhi serrati
Identificati dalle palpebre aggrottate o strizzate. Vi è un aggrottamento
pronunciato dei cuscinetti grassi attorno agli occhi del bambino.
Naso-labiale
Manifestato principalmente dallo stiramento all’insù e dalla grinza del
solco naso-labiale (una linea o piega che inizia in prossimità delle
narici e scende in basso ed esternamente oltre glia angoli delle labbra).
Labbra aperte
Qualsiasi separazione delle labbra.
Bocca allungata
Caratterizzata da una tensione agli angoli delle labbra associata ad una
pronunciata
trazione verso il basso della mandibola. Spesso si ha uno stiramento
quando la bocca è già molto aperta e vi è una trazione ulteriore della
mandibola.
(verticalmente)
Bocca allungata
(orizzontalmente)
Appare come una netta trazione orizzontale agli angoli della bocca.
Labbra increspate
Le labbra si atteggiano come per pronunciare il suono “oo”.
Lingua tesa
Caratterizzata da una lingua sollevata, a coppa con bordi sottili e tesi.
Di solito si ha inizialmente la lingua tesa evidente e la bocca aperta. In
seguito la bocca può chiudersi lievemente lasciando ancora visibili i
bordi della lingua, che può essere ancora elemento dello score.
Tremolio del mento
Un evidente, rapido movimento di “su e giù” della mandibola.
Protrusione della lingua
Lingua visibile tra le labbra, estesa oltre la bocca.
Come possiamo vedere, nonostante l’immaturità del neonato, ci sono somiglianze tra l’espressione
facciale fra quest’ultimo e un bambino più grande o un adulto come per esempio il corrugare la
fronte, increspare le labbra e oscillare il mento.
La differenza più evidente invece è che mentre l’adulto in risposta al dolore tiene gli occhi aperti, il
neonato li tiene chiusi in modo molto serrato. Sembra che questo possa dipendere dal fatto che il
neonato non è comunque in grado di trarre dall’ambiente informazioni che lo aiuti ad elaborare
l’esperienza dolorosa.
Per concludere, sono due gli aspetti che si presentano costantemente nella mimica facciale di un
neonato con dolore e cioè: la bocca aperta stirata verticalmente con abbassamento della mandibola e
la lingua estesa e sollevata.
Altri studi hanno confermato che non solo i movimenti del viso ma anche altri movimenti del corpo
e in specifico delle gambe e delle braccia possono essere specifici di variabile intensità in reazione
allo stimolo antalgico.
Nel neonato che presenta dolore, possiamo osservare un passaggio delle braccia e delle gambe da
rilassate e calme a tese, diritte, rigide e con rapidi movimenti di estensione/flessione.
Inoltre sono presenti atteggiamenti corporei quali: immobilità, stato di agitazione, movimenti del
capo, inarcamento del dorso, tremori, assunzione di atteggiamenti antalgici.
Stato comportamentale:
L’intensità della risposta del neonato al dolore è influenzata, oltre che dallo stato comportamentale,
dall’interazione complessiva del neonato con l’ambiente esterno.Di rilevante importanza è
l’alterazione che lo stimolo doloroso produce sui ritmi del sonno del bambino. Normalmente il
neonato passa in fase REM circa il 50% del sonno. Stimoli dolorosi provocano alterazione dei
normali ritmi di sonno/veglia e la perdita selettiva del sonno REM. Alcuni studi dimostrano che gli
effetti a lungo termine dei disturbi del ciclo sonno/veglia causati da ripetuti stimoli dolorosi,
influiscono sullo sviluppo comportamentale dei neonati prematuri. I risultati di questi studi sono
preoccupanti, dato che la preservazione del sonno REM è essenziale per la capacità di affrontare lo
stress e per il benessere psicologico.
“Non solo gli stimoli dolorosi alterano i ritmi del sonno, ma i ritmi del sonno alterano la risposta
agli stimoli dolorosi.”
Per la valutazione del comportamento di stress del neonato, possiamo riferirci alla tabella di Al del
1982: Assessment of Preterm Infant Behavior (APBI) che è qui riportata con le modificazioni degli
operatori della divisione Neonatologica del Policlinico Gemelli di Roma nel 1993.
Assessment of Preterm Infant Behavior (APIB):
Valutazione del comportamento del bambino pretermine (ALS,1982)
Comportamenti di stress e difesa (APIB, 1982)
1)
Segnali di stress del sistema autonomo e viscerale:
a)
clonie
b) pause respiratorie, respiro irregolare
c)
modificazioni del colorito: marezzato, con reticolo venoso evidente, cianotico, grigio
d)
vomito, soffocamento
e)
rigurgiti
f)
singhiozzi
g)
sforzo, tensione, come per movimenti intestinali
h)
boccheggiamento, respiro affannoso (gasping)
i)
tremori e sussulti
j)
tosse
k)
starnuti
l)
sbadigli
m) sospiri
2)
Segnali di stress del sistema motorio:
a) -flaccidità motoria o“fuori tono”
-flaccidità del tronco
-flaccidità delle estremità
-flaccidità facciale(espressione “ a bocca aperta”)
b) - ipertonicità motoria
- con ipertensioni
delle gambe: sedersi per aria; gambe irrigidite
delle braccia: ad aeroplano; a mo’ di saluto
del tronco: arcuato, ad opistotono
movimenti delle dita
smorfie facciali
estensione della lingua
- con iperflessioni
del tronco ed estremità: posizione fetale, stringere il pugno
c)
agitazione, attività diffusa: dimenarsi
d)
frequenti contorsioni
3)
Segnali di stress in relazione allo stato:
a) sonno frequente o stati di veglia con gemiti, contorsioni facciali e sorrisi “da scarica”
b)
agitazione degli occhi,sguardo vagante, instabile
c) pianto o agitazione da sforzo; pianto silenzioso
d)
sguardo fisso
e)
evitamento attivo frequente
f)
stato di allerta spaventato o inquieto; iperallerta
g)
occhio vitreo, vigilanza tesa: stato di vigilanza assopita, dalle palpebre pesanti
h) rapide alterazioni dello stato; frequenti risvegli
i)
irritabilità e scuotimenti diffusi e prolungati
j)
pianto
k)
frenesia e inconsolabilità
l)
insonnia e irrequietezza
REAZIONI FISIOLOGICHE
Oltre alle risposte comportamentali, come abbiamo detto, vi sono delle reazioni fisiologiche al
dolore che sono rappresentate da modificazioni cardiovascolari, respiratorie, ormonali e
metaboliche.
Modificazioni cardiovascolari:
Durante una stimolazione dolorosa, si ha un innalzamento della F.C. rispetto ai valori di base.
Questo aumento dura per alcuni minuti per poi rientrare nei valori normali.
Va in ogni modo tenuto in considerazione lo stato del neonato prima dello stimolo doloroso sia per
l’intensità dell’innalzamento della F.C. che per il tempo necessario al recupero. Modificazioni della
F.C. si rilevano anche durante manovre considerate non dolorose, come ad esempio il cambio del
pannolino, soprattutto in neonati di bassa età gestazionale.
Ci sono inoltre studi che rilevano in neonati sottoposti ad un prelievo dal tallone, un aumento medio
della frequenza cardiaca di 49 batt/m., mentre in neonati sottoposti a circoncisione, stimolo
doloroso indubbiamente più intenso, non vi è stato un aumento più elevato di frequenza cardiaca.
Specifichiamo inoltre, che un aumento della frequenza cardiaca avviene anche in corso di infezione,
febbre e come effetto dell’assunzione di alcuni farmaci (caffeina, teofillina, salbutamolo, inotropi) il
che lo rende un indice di nocicezione relativamente poco attendibile e sicuramente meno valida
rispetto alla pressione arteriosa.
Benché, infatti, anche la P.A. risenta dello stato di agitazione o dell’assunzione di farmaci, è altresì
vero che è meno influenzata da questi fattori rispetto alla F.C.
In uno studio sulla puntura lombare, è stato riscontrato che, mentre nel neonato prematuro (<32 sett.
E.G.) l’aumento della P.A. avviene più nella fase di manipolazione che in corso della procedura in
sé, nel neonato più grande il picco della P.A. avviene durante la procedura stessa.
Modificazioni respiratorie:
Durante lo stimolo doloroso, si verifica tachipnea nel neonato a termine o apnea nel pretermine.
Studi hanno rilevato che durante l’esperienza dolorosa, si ha una riduzione della pressione parziale
di ossigeno e della saturazione, ed un aumento della pressione parziale della CO2. Tali valori
tendono a rientrare nei range normali in tempi piuttosto lunghi. Inoltre tali modificazioni possono
contribuire ad aumentare il rischio di displasia broncopolmonare ed emorragie endocraniche.
In neonati sottoposti a ventilazione meccanica, si possono presentare ampie cadute della saturazione
di ossigeno a causa del “contrasto” con il ventilatore, con conseguente aumento della pressione
intra-toracica che può causare pneumotorace.
Modificazioni ormonali e metaboliche
Come risposta allo stimolo doloroso si ha una produzione di catecolamine immediata ma meno
duratura nel neonato pretermine rispetto a un neonato a termine.
Il cortisolo e l’aldosterone con i relativi precursori aumentano in caso di stress.
In neonati ventilati meccanicamente è stato evidenziato come in corso di aspirazione endotracheale
o fisioterapia respiratoria si ha un aumento di adrenalina e noradrenalina plasmatica che è meno
evidente nei neonati sedati.
Lo stimolo doloroso provoca inoltre un immediato aumento degli ormoni iperglicemizzanti quali le
catecolamine, il glucagone ed il GH. Nonostante l’aumento di produzione di insulina, l’organismo
non riesce a controllare questo innalzamento con rischio di squilibrio metabolico. L’iperglicemia
prolungata porta ad un aumento dei livelli plasmatici di lattato, piruvato, corpi chetonici ed acidi
grassi non esterificati.
Inoltre, l’aumento della glicemia prolungata porta ad un aumento dell’osmolarità plasmatica che è
un fattore di rischio per il circolo cerebrale.
Per rilevare l’intensità della reazione dolorosa gli operatori possono far riferimento alle scale di
valutazione del dolore quali la scala NIPS e la più completa PIPP in modo da aumentare la
consapevolezza di questo problema e poter attivare interventi che riducono le reazioni allo stimolo
doloroso e migliorare così la qualità dell’assistenza ai piccoli pazienti.
PIPP
Metodo
Cartella
Indicatore
Età
gestazionale
0
36 sett.
Osservazione
Attivo/Sveglio
del
neonato Comportamen
per 15 sec.
to
Occhi aperti
Osservazione
dei p.v.
Movimenti
F.C.
facciali
Sat. O2
Incremento da
Frequenza
0 a 4 b/m
Osservazione cardiaca
del
neonato
per 30 sec.
Max
Sat O2
Diminuzione
da 0 a 2,4%
Min
Fronte
Mai
corrugata
0-9%
del
tempo
Strizzamento Mai
degli occhi
0-9%
del
tempo
Corrugament Nessuno
o della ruga
naso-labiale
1
32->35+6gg
2
28->31+6gg
3
28 sett.
Calmo/Sveglio Attivo/dorme
Calmo/Dorme
Occhi aperti
Occhi chiusi
Occhi chiusi
Nessun
movimento
facciale
Incremento da
5 a 14 b/m
Movimenti
facciali
Diminuzione
da 2,5 a 4,9%
Diminuzione
da 5,0 a 7,4%
Minimo
10-39%
tempo
Minimo
10-39%
tempo
Minimo
10-39%
tempo
Nessun
movimento
facciale
Incremento da Incremento di
15 a 24 b/m
25 b/m o più
Modesto
del 49-69%
tempo
Modesto
del 49-69%
tempo
Modesto
del 49-69%
tempo
Diminuzione
oltre 7,5%
Massimo
del 70% e oltre
del tempo
Massimo
del 70% e oltre
del tempo
Massimo
del 70% e oltre
del tempo
Punteggio
DEFINIZIONI OPERATIVE DEL NIPS
ESPRESSIONE FACCIALE
0- muscoli rilassati
1- smorfie
(espressione facciale negativa)
faccia rilassata, espressione neutrale
muscoli facciali contratti, fronte, mento corrugati
PIANTO
0- assenza di pianto
1- piagnucolio
2- pianto forte
silente se il
calmo, assenza di pianto
leggero lamento intermittente
urlo acuto, crescente, continuo (può essere rilevato un pianto
bambino è intubato, evidenziato dai movimenti della bocca e
della faccia)
TIPO DI RESPIRO
0- rilassato
1- variazione del respiro
solito, strozzato, apnee
BRACCIA
0- rilassate/calme
delle braccia
1- flesse/estese
il respiro secondo il modo abituale del neonato
sospensioni del respiro, respiro irregolare, più veloce del
nessuna rigidità muscolare, movimenti occasionali e casuali
braccia tese, dritte, rigida e/o rapida estensione/flessione
GAMBE
0- rilassate/calme
delle gambe
1- Flesse/estese
gambe tese, dritte, rigide e/o rapida estensione/flessione
STATO DI VEGLIA
0- addormentato/sveglio
1- disturbato
calmo, pacifico, vigile o addormentato
vigile, agitato e abbattuto
nessuna rigidità muscolare, movimenti occasionali e casuali
DOLORE PERSISTENTE E RIPETITIVO
Come si è detto precedentemente, dopo la reazione al dolore acuto, si ha un rientro dei valori alla
normalità e il neonato si calma.
Non sempre però questo stato di quiete apparente è segno di miglioramento. E’ quindi importante
saper distinguere fra la fase di recupero del benessere ed il dolore persistente.
In quest’ultimo scompaiono, infatti, le reazioni comportamentali quali il pianto, l’espressione
facciale e i movimenti corporei in quanto il neonato non può mantenere a lungo una risposta di
“lotta o fuga” ma persistono le modificazioni cardiovascolari, respiratorie, ormonali e metaboliche.
Durante la fase di recupero, si nota nel neonato una scarsa reattività a qualsiasi tipo di stimolazione
sia assistenziale sia nocicettivo; questa fase richiede un attento monitoraggio dei parametri vitali ed
il minimal touch.
Il dolore persistente è caratterizzato da una non risoluzione delle alterazioni fisiologiche ed
addirittura, da un peggioramento del quadro clinico.
Si rende quindi necessario individuare le cause di tale dolore ed intervenire.
DOLORE POST OPERATORIO
Questo tipo di dolore ha le stesse reazioni comportamentali e fisiologiche dei dolori
precedentemente trattati.
Nonostante però abbia la stessa semeiologia, ci sono tipi di scale per la valutazione diverse quali: la
scala di Hannallah, la Oxford Surgical Stress Scale e la Cheops.
DOLORE IN CASI PARTICOLARI
Esistono casi in cui il neonato non può manifestare reazioni al dolore nonostante lo avverta.
Bisogna, infatti, ricordarsi che i neonati sottoposti a terapia con pancuronio, che è un miorilassante,
non sono in grado di avere reazioni comportamentali ma provano ugualmente dolore. E’ quindi
importante attivare la stesse manovre di prevenzione allo stimolo doloroso come negli altri neonati.
Per ultimo ma non per questo meno importante è il caso del neonato terminale nel quale le
espressioni comportamentali e fisiologiche sono molto sfumate o quasi assenti. In quest’ultimo caso
evitare dolore al neonato deve diventare obiettivo fondamentale dell’assistenza nel rispetto di una
degna qualità di vita verso un essere umano che rimane tale fino alla fine. (1) (2) (4)
Linee guida sul contenimento del dolore
L’ultimo tabù
“La gente cambia e sorride: la sofferenza resta”
T.S. Eliot
La nostra riflessione prende il suo inizio da queste parole inconfutabili: anche quando si cerca di
nasconderlo e mimetizzarlo il dolore resta.
Come mai adesso che siamo a conoscenza dei meccanismi di trasmissione dello stimolo nocicettivo,
che sono cadute tutte le credenze-schermo che non consideravano possibile il dolore nel neonato e
che siamo in possesso di numerosi strumenti validi ed attendibili per la sua valutazione e la sua
cura, lasciare che il bambino soffra è prassi ordinaria e banale.
La dottoressa Annie Gauvain-Piquard ci dice che “l’ignoranza non basta a spiegarci la crudeltà
collettiva incosciente che si è esercitata (e che si esercita ndr) nei nostri ospedali alle spese di
bambini che nessuno si curava di difendere”. Per questo, ancora prima di parlare di strategie,
metodi, linee guida e quanto altro, abbiamo ritenuto necessario fare una pausa per indagare questo
aspetto e per ribadire che niente è importante quanto credere e sentire che anche il bambino sente
veramente dolore. Questa riflessione, ovviamente, non può prescindere dalla constatazione che nel
mondo adulto, che pure si può avvalere di altri mezzi per comunicare questo importantissimo
aspetto della malattia, le cose non vadano meglio. In uno studio condotto presso Memorial SloanKettering Cancer Center è stato dimostrato che “un numero significativo di pazienti avesse dolore e
che dopo una visita in clinica era normale che i medici non scrivessero nulla dei sintomi di dolore.
E’ stato necessario rendere visibile il dolore definendolo come quinto segno vitale inserendolo tra
pressione e temperatura (…). Questa è stata la base che ha portato alla elaborazione negli U.S.A. di
standard specifici che vengono applicati dagli enti di accreditamento. Adesso per valutare ed
accreditare gli ospedali essi giudicano in quale misura questi hanno considerato il dolore del
paziente e lo hanno curato adeguatamente”. Aggiungiamo che sarebbe ben triste che l’argomento
dolore venisse considerato degno di attenzione solo in funzione di accreditamenti e non di
motivazione etiche, civili ed umane.
Un’indagine europea ha consentito di rilevare che a seconda della regione e dei tipi di strutture fino
al 100% dei malati che chiedono l’eutanasia vi sono spinti da dolori spaventosi ed intollerabili.
Scrive Zavoli in proposito “a quel malato va tolta la disperazione, non la vita; va restituita una
sopportabile misura dell’esistenza, non strappata l’ultima possibilità di viverla; va riconsegnato il
filo seppur debole, ma ancora umano, della speranza, in luogo di quello della condanna.”
In un recente articolo del New England Journal of Medicine si sottolinea come “la maggioranza dei
bambini con malattia terminale, seguiti nelle più prestigiose cliniche nord-americane, muoia tra
sofferenze inaccettabili”. Sandro Spinsanti nella rivista medica Janus 2001 aggiunge “l’aspetto più
paradossale è che il dolore, di per sé, tende a farsi vedere e sentire; chi ha dolore urla in modo
vistoso per dichiarare la propria presenza di creatura sofferente ed attirare l’attenzione su di sé e sul
proprio male. Eppure noi abbiamo l’incredibile capacità di non riuscire a vedere anche la realtà più
evidente”.
L’O.M.S. ha stabilito delle linee guida basate sull’uso di semplici farmaci che vanno inizialmente
dall’uso di antinfiammatori quali l’aspirina e gli altri antireumatici, ai farmaci oppioidi. Sempre
l’O.M.S. utilizza il consumo annuale di analgesici oppiodi in ogni paese come indice sensibile per
una valutazione dell’efficacia dei programmi di controllo del dolore. Dal 1984 al 1997 il consumo
di morfina per uso terapeutico in Italia è raddoppiato, ciò nonostante consumiamo all’incirca lo
stesso quantitativo pro-capite di Andorra, dell’Estonia e del Sud Africa, la Namibia ne consuma un
poco di più, la Polonia e l’Ungheria il doppio. L’80% dei medici italiani (di famiglia, ospedalieri
etc.) secondo un dato del 1999 non possiede un ricettario speciale per la prescrizione di oppioidi.
Antonio Panti presidente dell’ordine dei medici di Firenze, in un articolo su Janus 2001 pubblica il
numero dei medici della Toscana che hanno richiesto i ricettari per l’uso di stupefacenti terapeutici:
a Firenze su 6835 iscritti all’ordine solo 380. Le altre province non vanno meglio.
Il 24 gennaio 2001 il Parlamento Italiano ha approvato le “norme per agevolare l’impiego dei
farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore”. Ci auguriamo che tolta un po’ di burocrazia e
disorganizzazione le cose vadano meglio, ma siamo convinti che si tratti più di un problema
culturale e di formazione che non legislativo, anche se indubbiamente sono necessarie buone leggi
per creare le condizioni in cui lavorare bene. E’ sconsolante e triste tuttavia ascoltare le parole di
Umberto Veronesi, promotore della legge, dopo più di un anno dalla sua approvazione “Abbiamo
creduto e lavorato molto per sviluppare una visione moderna del dolore e devo purtroppo constatare
che questo lavoro è stato abbandonato a sé stesso” e ancora “Il trattamento del dolore è tuttora
trascurato, fatto sorprendente se si pensa alle attuali possibilità di controllo farmacologico del
dolore”.
La dott. Annie Gauvain-Piquard definisce noi operatori sanitari gli attori della negazione. La
troviamo una definizione appropriata osservando il nostro agire quotidiano e molti studi le danno
ragione quando documentano una discordanza tra l’intensità del dolore riferita dal malato e quella
stimata dai curanti. Fattori che sembrano influenzare l’accettazione del parere del malato sono:
l’età, i segni vitali ed il comportamento doloroso (rigidamente catalogato) e così: “I neonati, i
bambini piccoli e le persone con disturbi intellettivi sono particolarmente a rischio di non essere
interpellati, valutati, capiti nel loro dolore” dice Michele Gallucci (medico specialista in oncologia
ed anestesia) citando inoltre un proverbio arabo
“l’esperienza di chi prende colpi è diversa da quella di chi li conta”.
Potremmo aggiungere anche che raramente ci preoccupiamo di contarli.
Cosa è che ci rende così pigri, così ciechi e sordi al dolore altrui, quando siamo invece così solleciti,
fino all’eccesso, nell’uso di analgesici per poter lenire il più piccolo e banale dei dolori quando
questo rischia di insidiare la nostra vita, e le nostre giornate così attive e produttive?
Sartre diceva “Sento il dolore degli altri, dunque sono”.
Una spiegazione a tutta questa negazione ce la da Claudio Blengini “…quasi che a parlarne si
possa distogliere il medico dalla sua missione più importante che è la cura… La medicina
supertecnologica ha perso di vista l’uomo e la sua sofferenza. Nei secoli passati, quando le
possibilità di cura erano ridotte, il prendersi cura, più che il curare era uno degli elementi chiave
della professione sanitaria. Il trionfalismo della scienza medica, negli ultimi decenni, ha quasi
scotomizzato la morte e la sofferenza, archetipi proprio dei limiti che la scienza, in quanto umana,
porta con sé…. E’ mancata e manca tuttora una formazione specifica degli operatori sul problema
che dia a questo sintomo un’adeguata dignità terapeutica. Tra i cittadini poi è scarsa la cultura su
questo problema”.
Riferendosi poi al bambino dice: ”Eppure si è visto come la memoria del dolore tragga le sue radici
dalle esperienze infantili. Ci sono abbondanti dimostrazioni di come sia possibile rendere meno
traumatica l’esperienza dolore nei bambini… Ma per far ciò occorre un po’ di tempo e di attenzione
alla persone che sta dietro ogni malattia. Persona che non sa ancora, o non sa più, esprimersi e
difendersi. Ed ha bisogno di qualcuno che sappia gestire questa tutela.”
Uno dei maggiori innovatori nella terapia del dolore Patrik Wall conclude così il suo libro “Perché
proviamo dolore”: “Sospetto che la disattenzione verso il dolore derivi dall’essere uno degli ultimi
tabù. Non se ne parla volentieri, perché la gente preferisce parlare di realtà su cui può esercitare un
controllo (…) Quando vedo qualcuno che soffre, confesso che provo ancora terrore e preferirei
svignarmela (…) Non credo che qualcuno potrà mai abituarsi al dolore. E’ troppo profondo.”
Ci piace ricordare che il prendersi cura di questo aspetto della malattia non è un di più, non è meno
fondamentale di somministrare un antibiotico prescritto o eseguire correttamente delle manovre
rianimatorie, eppure viene spesso vissuto come superfluo, marginale, e chi lo porta alla ribalta
venga tacciato di sentimentalismo. In tal senso, se la nostra coscienza non bastasse, ci richiama sia
il D.M. 739 del 1994, il nostro codice deontologico e la legge 251/2000.
Un atto dovuto quindi, una responsabilità oltre che professionale civile, sociale e culturale ed un
reato di omissione il volgersi dall’altra parte e risolvere tutto con una scrollata di spalle.
Annie Gauvain-Piquard usa parole dure e cristalline per descrivere la condizione psicologica in cui
vengono relegati i pochi operatori che si permettono di rompere il “tabù dolore”:
“All’origine di tante dimissioni e crisi professionali ci sono stati, e ci sono ancora, questi scontri
feroci e nascosti. Perché chi ha percepito, da solo, l’intensità del dramma umano che si svolge nel
silenzio senza incontrare alcuna eco, si trova a sua volta negato nelle sue più intime convinzioni e
percezioni. Ecco allora che qualcosa vacilla: avrà sognato? Non sarà stato poi così grave? E non gli
rimane che soffocare dentro di sé il disagio, il dubbio intravisto e lo strascico inevitabile di sensi di
colpa. Il dolore appena intravisto, viene ad essere respinto nell’ombra, nelle ideologie e negli
psicologismi: violenza nella violenza. (…)
E’ una strana guerra, violentissima, che si svolge nell’ombra. Ma qual è la posta in gioco? Perché
mai deve essere tanto difficile vedere che un bambino soffre e pensare di poterlo e doverlo aiutare?
Il dolore del bambino ci pone di fronte all’essenza stessa di quello che è il dolore e di quello che è
la medicina, nella sua imperfezione, specchio della società“ (Parigi 1992 la violenza del dolore nel
bambino).
Che mezzi abbiamo allora per affrontare l’evento dolore? Sicuramente informarci, prepararci,
studiare, aver voglia di guardare e soprattutto ascoltare chi abbiamo di fronte, ma anche noi stessi.
E’ possibile, ci chiederemo, riuscire a virare le sorti di questa lotta che ci vede spesso sconfitti o
inermi? Una bella e costruttiva chiave di lettura viene data da Enrico Albini e Sandro Brini: “Il
dolore, nelle sue componenti più diverse, appare come un enigma che spinge alla ricerca e
all’interrogazione di sé stessi: può, alla fine, condurre a una più profonda conoscenza della propria
interiorità, poiché molto spesso nella sofferenza la nostra mente si affina, aprendosi a nuovi
orizzonti e a nuove profondità. (…) A rimanere accanto ai propri sentimenti, a riavvicinarsi a sé, ad
avere interessi per sé stessi, a sviluppare un ascolto attento ai pensieri, alle immagini interne, al
personale progetto esistenziale. Da questo punto di vista il dolore, come l’amore, è apertura a una
visione differente della nostra esistenza. La ricerca, la speranza e la capacità di attribuire un senso
agli eventi dolorosi è l’unica strategia a nostra disposizione per fronteggiare l’angoscia e contenere
le fantasie di morte.”
Dichiarazione di consenso per la prevenzione e la gestione del dolore nel neonato
Il Gruppo Internazionale del Dolore Neonatale Basato sull’Evidenza ha redatto le linee guida per la
gestione del dolore del neonato. Pubblicate nel 2001 sono la risultanza di studi eseguiti sulle
procedure più utilizzare nelle terapie intensive neonatali (T.I.N.), infatti molte sono le procedure
assistenziali, diagnostiche e terapeutiche in grado di provocare dolore nel neonato.
E’ da sottolineare la pertinenza infermieristica degli interventi nelle singole procedure che dimostra
il ruolo che l’infermiere ha nella gestione della sensazione algogena.
Puntura del tallone
• Se possibile proferire il prelievo venoso perché meno doloroso, più efficace e preciso. La
venipuntura può non essere eseguibile nei nati di peso estremamente basso;
• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura
(0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);
• Usare il contenimento e le facilitazioni;
• Considerare il contatto pelle – pelle con la madre;
• Uso di lancette autoscatto (piede ben caldo)
L’uso di Emla è controindicato perché vasocostringe.
Inserzione di ago cannula
• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura
(0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);
• Usare il contenimento e le facilitazioni;
• Applicare la crema EMLA sul sito di inserzione (quando non urgente);
• Considerare l’uso di un farmaco oppioide, se l’accesso intravenoso è disponibile;
• Considerare un approccio simile per la venipuntura.
Inserzione di un catetere arterioso
• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura
(0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);
• Usare il contenimento e le facilitazioni;
• Applicare la crema Emla sul sito di inserzione;
• Considerare l’infiltrazione sottocutanea di lidocaina;
• Considerare un approccio simile per una puntura arteriosa.
Inserzione di un catetere venoso centrale
• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura
(0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);
• Usare il contenimento e le facilitazioni;
• Applicare la crema Emla sul sito d’inserzione, se non urgente;
• Considerare l’infiltrazione sottocutanea di lidocaina;
• Considerare un’infusione lenta di un farmaco oppioide (morfina o fentanyl);
• Considerare l’uso di un’anestesia generale per la procedura.
Inserzione di un catetere ombelicale (venoso/arterioso)
• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura
(0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);
• Usare il contenimento e le facilitazioni;
• Evitare di porre punti di sutura o una pinza emostatica sulla pelle intorno all’ombellico.
Puntura periferica arteriosa o venosa
• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura
(0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);
• Usare il contenimento e le facilitazioni;
• Applicare la crema Emla sul sito d’inserzione;
• Considerare l’infiltrazione sottocutanea di lidocaina; evitare un’eventuale iniezione
intravascolare;
• Considerare l’uso di farmaci oppiodi, se è disponibile un accesso venoso.
Inserimento di un catetere centrale per via periferica
• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura
(0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);
• Usare il contenimento e le facilitazioni;
• Applicare la crema Emla sul sito d’inserzione, quando non urgente;
• Considerare l’uso di oppiodi, se è disponibile un accesso venoso.
Puntura lombare
• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura
(0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);
• Usare il contenimento e le facilitazioni;
• Applicare la crema Emla sul punto dove avverrà la puntura;
• Considerare l’infiltrazione sottocutanea di lidocaina.
Iniezione intramuscolare o sottocutanea
• Evitare questa procedura e somministrare i farmaci per via venosa, ogni volta sia possibile.
Se necessario:
• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura
(0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);
• Usare il contenimento e le facilitazioni;
• Applicare la crema Emla sul sito di iniezione.
Intubazione endotracheale
Ci sono molte varianti nell’approccio di questa tecnica e l’efficacia di una sulle altre non è
supportata da evidenze scientifiche.
• Usare in maniera combinata atropina solfato e ketamina;
• Usare in maniera combinata atropina solfato, tiopentone sodico e succinilcolina;
• Usare una combinazione di atropina solfato, morfina o fentanyl, e un miorilassante non
depolarizzante (pancuronio, vercuronio, rorcuronio);
• Considerare l’uso topico di lidocaina spray, se possibile;
• Sono frequentemente usate altre combinazioni di farmaci.
L’intubazione tracheale, senza l’uso d’analgesia o sedazione, deve essere eseguita solo per la
rianimazione in sala risveglio e per tutte le altre situazioni in cui un accesso venoso non è reperibile.
Aspirazione endotracheale
Questa procedura è molto stressante e può essere associata, dato le risposte fisiologiche che evoca,
ad una manovra delle più dolorose:
• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura
(0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);
• Usare il contenimento e le facilitazioni;
• Considerare l’uso in infusione continua di farmaci oppioidi (morfina) o lenti boli intermittenti di
farmaci oppioidi (fentanyl, meperidina, alfentanyl).
Posizionamento sondino naso-gastrico
• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura
(0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);
• Usare il contenimento e le facilitazioni;
• Avere modi gentili nell’esecuzione della tecnica ed usare un’appropriata lubrificazione del tubo.
Introduzione di un drenaggio toracico
• Prevenire il bisogno di una ventilazione o di un’intubazione, nei neonati in respiro spontaneo;
• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura
(0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);
• Usare il contenimento e le facilitazioni;
• Considerare l’infiltrazione sottocutanea di lidocaina;
• Considerare un’infusione lenta di farmaci oppiodi (morfina o fentanyl);
• Altri metodi possono includere l’uso d’agenti anestetici di rapida azione.
Circoncisione
• Usare una pinza emostatica appropriata;
• Applicare sul sito d’incisione la crema Emla;
• Eseguire il blocco del nervo dorsale del pene, o il blocco causale, o l’infiltrazione locale con
lidocaina;
• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura
(0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);
• Considerare l’uso di paracetamolo per il dolore postoperatorio.
Analgesia per le procedura di routine in T.I.N.
• Usare saccarosio/glucosio 12/24% per via orale due minuti prima dell’inizio della procedura
(0.1 – 0.4 ml nel neonato pretermine; 1 – 2 ml nel neonato a termine);
• Usare il contenimento e le facilitazioni;
• Se il neonato è ventilato, infondere, in continuo, basse dosi di morfina o fentanyl.
Non esistono evidenze scientifiche che dimostrano che il neonato non possa essere sedato senza
pericolo, per molte settimane o mesi.
• Considerare una terapia a base di paracetamolo
• Ridurre gli stress acustici, termici e ambientali in genere.
………… e in Italia?
In Italia le linee guida per la terapia del dolore nel neonato sono state redatte nel 2002 dal Gruppo di
Studio sul Dolore del neonato della Società Italiana di Neonatologia (S.I.N.).
La lentezza dei progressi dell’Italia rispetto agli altri Paesi è dovuta alle varie componenti culturali
e normative che sono ora in rapida evoluzione.
Durante gli incontri nazionali del gruppo di studio è stata presa la decisione di estendere le linee
guida sulle condizioni algogene che si presentano più frequentemente nelle T.I.N.:
- analgesia nell’intubazione endotracheale del neonato (intubazione d’urgenza, Intubazione
elettiva);
- analgesia durante la ventilazione meccanica;
- analgesia nel neonato sottoposto ad intervento chirurgico.
Il Gruppo di Studio sul Dolore del neonato della S.I.N., nel documento delle linee guida definisce
quelle internazionali “molto generiche”.
Non concordiamo con questo giudizio poiché:
1. tale documento prende in considerazione numerose procedure tutt’altro che “minori” e
infrequenti;
2. in esso si specificano e sottolineano strategie e facilitazione che noi consideriamo fondamentali,
mentre nel documento italiano viene dato molto spazio alla descrizione del presidio
farmacologico.
Analizziamo qui di seguito nello specifico le procedure ed i dispositivi che possono essere gestiti
dal personale infermieristico in autonomia professionale.
Essi possono essere quindi schematicamente suddivisi in:
A) procedure atte a ridurre lo stimolo doloroso (saccarosio/glucosio, succhiotto, anestetico locale,
care);
B) dispositivi tecnologici non invasivi (dispositivo automatico di incisione, misuratore
transcutaneo della bilirubina, liquido adesivo chirurgico, microprovette per la raccolta di
sangue capillare).
Verranno qui di seguito analizzati soltanto alcuni di questi strumenti.
A-1 Saccarosio / glucosio
A-2 Succhiotto
Nel 1991 Blass e Hoffmeyer hanno proposto l’uso del saccarosio come analgesico per il neonato.
Studi su ratti neonati avevano infatti dimostrato che l’assunzione orale di zucchero o latte riduceva
le risposte da stress e che tale effetto veniva annullato dalla preventiva somministrazione di
naloxone: l’analgesia da zucchero si realizzerebbe pertanto attraverso la mediazione degli oppiodi
endogeni. La somministrazione di zucchero (2 ml al 12%) a neonati sani durante la circoncisione
riduce l’incidenza e la durata del pianto.
Presso l’ospedale di Poissy (Francia) sono stati studiati 150 neonati nati da 24 ore con un indice di
Apgar uguale od inferiore a 7. La procedura consisteva nella venopuntura.
Questi neonati sono stati trattati in modo differente prima dell’esecuzione di una stessa procedura
dolorosa e sono stati suddivisi in sei gruppi:
1^ nessun trattamento
2^ neonati trattati con 2 ml di H2O per os
3^ neonati trattati con 2 ml di glucosio 30% 2’ prima della procedura
4^ neonati trattati con 2 ml di saccarosio 30% 2’ prima della procedura
5^ neonati trattati con solo succhiotto
6^ succhiotto + 2 ml di saccarosio 30% 2’ prima della procedura
Il dolore è stato misurato con la scala di DAN osservando quindi espressione facciale, movimenti
del corpo e lamento generale del neonato.
Lo studio ha dimostrato che il metodo migliore di riduzione del dolore è dato dall’associazione
della soluzione di saccarosio al succhiotto (Field T., Goldon E.).
Non è ancora chiaro perché si ha questo effetto. Probabilmente lo zucchero innesca il rilascio degli
oppioidi endogeni presenti naturalmente nell’organismo e la sensazione tratta succhiando è così
forte che distrae il neonato dalla procedura dolorosa (eccedenza di dominanza sensitiva su tutte le
altre sensazioni).
Lo studio conclude invitando ad utilizzare tali metodi in caso di stimolo algogeno di lieve entità
poiché semplici, non invasivi, sicuri e poco costosi. (6)
A-3 Anestetici locali
Un anestetico locale può essere molto utile in età neonatale per ridurre l’impatto doloroso di molte
manovre invasive: incannulamento di vene ed arterie, posizionamento di cateteri centrali,
rachicentesi, toracentesi e paracentesi.
L’analgesia di superficie si ottiene grazie ad un’emulsione di anestetici (lidocaina e prilocaina al
5%) che viene assorbita per via transdermica e raggiunge così concentrazioni sufficienti per
l’analgesia.
In commercio sono disponibili più preparazioni (disco e crema).
Entrambe vengono applicate su cute integra con medicazione occlusiva; nel disco essa è
preconfezionata.
L’inizio, la profondità e la durata dell’analgesia dipendono dallo spessore epidermico e cutaneo
della zona di applicazione, dalla perfusione ematica sottostante e dal tempo di contatto fra cute e
miscela.
L’effetto analgesico locale è dovuto al rilascio dei due componenti della miscela negli strati
epidermici. Successivamente il farmaco si assimila a livello dei nocicettori e delle terminazioni
nervose.
Per ottimizzare l’effetto analgesico il prodotto dovrebbe essere applicato almeno 30-60’ prima della
procedura (l’effetto persiste per circa 2 ore dopo la sua rimozione). (7)
Unico limite legato all’uso della miscela è il possibile aumento della metaemoglobinemia nel
neonato. Non sembra comunque che tale aumento superi il range della normalità. (8) (9) (10)
B-1 Dispositivi di incisione automatici
E’ documentato che la venopuntura è la procedura meno dolorosa e più efficace per ottenere un
campione di sangue nei neonati a termine. (11)
Questo tipo di procedura può non essere sempre applicabile nei nati di peso estremamente basso per
lo scarso patrimonio venoso e per i valori pressori che non sempre consentono di ottenere campioni
di sangue non coagulato.
Ne consegue che è necessario ricorrere frequentemente alla puntura del tallone anche se è
dimostrato che è causa di stress e non è esente da rischi infettivi.
E’ utile dunque individuare tecniche nuove che siano in grado di ridurre il dolore di questa
manovra.
Nella maggior parte dei paesi sviluppati si utilizzano dispositivi ad autoscatto. Nei paesi in via di
sviluppo si utilizzano aghi G 21 – 24 poiché facilmente disponibili e meno costosi. L’ago induce
più dolore e più rischi infettivi poiché non vi è controllo sulla profondità di penetrazione nel tessuto.
Nel 1997 presso l’ospedale Re Edward Memorial Hospital di Mumbai (India) è stato eseguito uno
studio su 40 neonati di età gestazionale compresa fra 28 e 36 settimane con peso alla nascita
compreso fra 880 g e 2000 g in respirazione spontanea. In tutti i neonati sono stati monitorizzati
frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, saturazione dell’ossigeno, pressione arteriosa ed
espressione facciale. La puntura del tallone è stata effettuata con aghi G 21 – 24, lancette e
dispositivi di incisione automatici. I risultati dello studio hanno dimostrato che ogni tecnica di
puntura del tallone, tranne quella con dispositivi autoscatto, provoca un aumento della frequenza
cardiaca media, un aumento significativo della pressione arteriosa diastolica con la puntura del
tallone indotta da ago, ed una diminuzione della saturazione dell’ossigeno con l’utilizzo delle
lancette.
Gli autori concludono il lavoro affermando che i dispositivi automatici sono la tecnica meno
dolorosa per la puntura del tallone. (12)
In conclusione si può sostenere che i dispositivi di incisione a scatto sono un presidio efficace nella
riduzione del dolore da puntura del tallone: il volume totale di sangue raccolto è significativamente
maggiore rispetto a quello ottenuto con altri dispositivi; il tempo richiesto per la raccolta del
campione di sangue e la spremitura del tallone sono ridotti e la sua efficacia aumenta se associato
ad altri interventi infermieristici per il contenimento del dolore. (13)
E’ abolito inoltre il rischio di punture accidentali da parte degli operatori. Il presidio è quindi
conforme alla Legge n.626/94 che regola la salute e la sicurezza dei lavoratori negli ambienti di
lavoro.
Tabella 1
ESECUZIONE
INCISIONE
FORZA ESERCITATA
DOLORE
SANGUINAMENTO
N°
INCISIONI
PER
REALIZZARE IL PRELIEVO
TEMPO PER RACCOLTA
CAMPIONE
RISCHIO
DI
COAGULAZIONE
DEL
CAMPIONE
EMOSTASI
ESITI CICATRIZIALI
RISCHIO
DI
PUNTURE
ACCIDENTALI
DISPOSITIVO
AUTOMATICO
. facile
. automatica
. piccola
. superficiale
Molla
Ridotto
Rapido
AGO
1
Ridotto
spesso > 1
aumentato
Ridotto
aumentato
Lenta
Assenti
Assente
rapida
presenti
presente
. facile
. manuale
. piccola
. profonda
operatore
aumentato
lento
B-2 Misurazione transcutanea della bilirubinemia
Il monitoraggio della bilirubinemia si esegue mediante prelievo capillare di sangue dal tallone ogni
12 – 24 ore.
Il prelievo di sangue dal tallone è particolarmente doloroso, non esente da rischi infettivi e,
occasionalmente, causa di periostite calcaneare. Inoltre la misurazione mediante bilirubinometri non
è sempre molto precisa.
Recentemente, per la misurazione transcutanea della bilirubina, è stata brevettata una
apparecchiatura che utilizza il principio della spettrofotometria, vale a dire la misurazione
dell’assorbimento di luce di una data lunghezza d’onda all’attraversamento dei tessuti. Tale luce
viene quindi captata dal fotorilevatore che la analizza.
Tale apparecchiatura può essere utilizzata anche in corso di fototerapia previa applicazione di un
piccolo adesivo opaco agente da schermo, in modo da preservare così quella zona di cute
dall’esposizione ai raggi ultravioletti.
Consiste nell’applicare lo strumento sulla fronte o sullo sterno e nel leggerne il risultato.
La misurazione transcutanea non è influenzata né dal colore della cute, né dall’età gestazionale e
postnatale. Richiede pochi secondi, non è invasiva ed è indolore. (14)
B-3 Liquido adesivo chirurgico – Asportatore di adesivo
Tale presidio è utile per fissare cerotti e medicazioni alla cute del neonato per periodi protratti e per
ridurre l’utilizzo di suture. E’ molto impiegato perché agisce come protettore cutaneo riducendo
così arrossamenti e irritazioni causati dall’adesivo di cerotti e bendaggi.
Evita estubazioni spontanee e/o accidentali, dislocamento di cateteri venosi, di aghi epicranici e di
sonde oro-gastriche ed imprevisti cambi di medicazioni.
Questo perché tale presidio è in grado di fissare cerotti su capelli e lanugo, su cute oleosa ed in
presenza di secrezioni (nasali, salivazione, diaforesi). E’ possibile applicarlo anche ai neonati
collocati in termoculla ad elevata umidità.
B-4 Microprovette per la raccolta di sangue capillare
Semplice sistema per prelievo di campione di sangue capillare per eseguire:
- emocromo e gruppo sanguigno con microprovetta contenente EDTA K;
- elettroliti, bilirubina, enzimi, transaminasi, glicemia, creatinina, urea, proteine, amilasi con
microprovetta contenente litioeparina.
Si può prelevare un volume totale fino a 300 µl grazie alla forma particolare del sistema.
Il volume di sangue prelevato è significativamente ridotto rispetto al metodo tradizionale; il tempo
necessario per l’esecuzione della manovra è minimo e la procedura può essere eseguita da un
singolo operatore.
CONCLUSIONI
La prevenzione e la riduzione del dolore nel neonato devono essere obiettivi primari da parte degli
operatori sanitari. (15)
Viene fatto esplicito riferimento alla funzione palliativa dell’assistenza infermieristica nel D.M.
739/94; la legge 42/99 enuncia che l’infermiere in piena autonomia si attiva per “alleviare i
sintomi” ed infine la legge 251/2000 sottolinea che l’infermiere svolge con autonomia professionale
“attività dirette alla prevenzione, alla cura ed alla salvaguardia della salute individuale e collettiva
(…)”.
Sono stati dimostrati deficit neurologici, cognitivi, mnemonici e disordini comportamentali nei
neonati pretermine sottoposti a ripetute ed intense manovre dolorose.
E’ doveroso quindi adattare l’assistenza infermieristica all’obiettivo di ridurre le esperienze
dolorose del neonato, come presupposto per garantirne non solo la sopravvivenza, ma anche il suo
benessere. E’ stato visto come ciò può portare ad un miglioramento del quadro clinico.
Accanto ai presidi farmacologici vi sono alcuni strumenti tecnologici di pertinenza infermieristica
che possono svolgere, a questo proposito, un ruolo importante. La loro applicazione va
“personalizzata” in base alle esigenze ed alle caratteristiche personali del neonato stesso.
BIBLIOGRAFIA
(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
(6)
(7)
(8)
Moroni M., Il dolore nel nato pretermine, Università degli studi di Firenze Facoltà di
Medicina e Chirurgia, Corso di perfezionamento “Assistenza Infermieristica in
anestesia, analgesia e terapia del dolore”, Firenze, Anno Accademico 2000/2001;
Rivista Italiana di Nursing Pediatrico-Neonatologico, Neonatologica Infermieristica,
Edizione Medico-Scientifiche, volume 5, Pavia, 1993;
Rivista Italiana di Nursing Pediatrico-Neonatologico, Neonatologica Infermieristica,
Edizione Medico-Scientifiche, volume 10, Pavia, 1998;
Ivani G., Terapia del dolore nel bambino, SEE, Firenze, 2000;
Legge 10 agosto 2000, n. 251;
G.Cocchi “Embriogenesi ed anatomia dei centri del dolore e delle vie di conduzione”,
Isituto Clinico di Pediatria Preventiva e Neonatologia , Università degli Studi di
Bologna
Fitzgerald M. Developmentof pain mechanism. British medical Bulletin 1991
Anand K.J.S. “Developmental character and long term consequences of pain in infants
and children “1997.
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