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la sicurezza alimentare
LA SICUREZZA ALIMENTARE le origini, la disciplina e i recenti sviluppi AVV. LUCIA RAGAGLINI AVV. GIUSEPPINA ROMANO SOMMARIO: PREMESSA PAG. 3 1. LE ORIGINI DELLA DISCIPLINA EUROPEA SULLA SICUREZZA ALIMENTARE 3 2. LA VIGENTE DISCIPLINA EUROPEA: IL REGOLAMENTO (CE) N. 178/2002 4 2.1. I PRINCIPI E LE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI LEGISLAZIONE ALIMENTARE 4 2.2. EUROPEAN FOOD SAFETY AUTHORITY (EFSA) 5 2.3. LE PROCEDURE DI SICUREZZA: LA TRACCIABILITÀ 6 2.4. LA RESPONSABILITÀ DEI PRODUTTORI 8 3. IL C.D. “PACCHETTO IGIENE” 9 4. LA SICUREZZA ALIMENTARE IN AMBITO INTERNAZIONALE 10 5. LA VIGENTE DISCIPLINA ITALIANA SULLA SICUREZZA ALIMENTARE 11 6. LA NORMATIVA DI SETTORE 13 7. GLI ILLECITI IN MATERIA ALIMENTARE 14 7.1. LE FATTISPECIE DI REATO 16 7.2. LE FRODI ALIMENTARI IN ITALIA 20 2 PREMESSA Il tema della sicurezza alimentare, per la sua centralità nel dispiegarsi quotidiano della vita degli individui, è oggetto di attenzione e disciplina su molteplici livelli: nazionale, sovranazionale (ovvero europeo) ed internazionale. Pertanto, in ragione dell’appartenenza dell’Italia sia all’Unione Europea che alla Comunità Internazionale, si intende illustrare il quadro normativo generale che assiste tale delicata materia, tenendo conto dei vari livelli di intervento. 1. LE ORIGINI DELLA DISCIPLINA EUROPEA SULLA SICUREZZA ALIMENTARE Il legislatore europeo ha iniziato a maturare una crescente attenzione nei confronti del tema della sicurezza alimentare all’indomani di alcuni gravi episodi di contaminazione degli alimenti, come, ad esempio, quelli relativi alla BSE, il fenomeno della c.d. mucca pazza, alla diossina e ad altre vicende di sofisticazione alimentare. Il primo intervento concreto in materia è rappresentato dalla pubblicazione nel 1997, da parte della Commissione Europea, del Libro Verde concernente i “principi generali della legislazione alimentare dell’Unione Europea”. Attraverso il Libro Verde, la Commissione intendeva verificare, aprendo un dibattito a livello europeo, l’adeguatezza della normativa sulla sicurezza alimentare rispetto all’esigenza di tutela dei diritti dei consumatori. L’obiettivo che vi era sotteso consisteva, evidentemente, nel miglioramento delle misure di protezione e garanzia, nell’ottica di salvaguardare la salute degli individui. Il passo successivo fu, nel 2000, la pubblicazione da parte della Commissione del Libro Bianco, con il quale presero corpo le linee direttrici enunciate nel Libro Verde. In particolare, venne affermata: • l’esigenza di rendere rintracciabili tutti i passaggi che formano la filiera del prodotto, from farm to table; • la necessità dei ampliare il campo di intervento del legislatore, estendendo la sicurezza (oltre che agli alimenti) anche ai mangimi degli animali, destinati a divenire a loro volta alimenti rivolti agli individui; 3 • la necessità di creare un apposito ente, ovvero una Autorità alimentare europea dotata di specifiche responsabilità in tema di valutazione dei rischi alimentari; • l’opportunità di attribuire alla Commissione Europea la gestione del rischio alimentare. L’iter preparatorio si è concluso il 28 gennaio 2002 con l’emanazione del Regolamento (CE) n. 178/2002, risultato del procedimento di co-decisione del Parlamento Europeo e del Consiglio. Le principali novità introdotte da detto Regolamento (come si vedrà più approfonditamente infra § 2) si snodano in tre punti essenziali (nel seguito distintamente trattati): • l’introduzione e la statuizione dei principi e delle disposizioni in materia di legislazione alimentare, vincolanti per tutti gli Stati membri; • l’istituzione dell’European Food Safety Authority (c.d. “EFSA”); • la determinazione delle procedure da seguire e rispettare nel campo della sicurezza alimentare. 2. LA VIGENTE DISCIPLINA EUROPEA: IL REGOLAMENTO (CE) N. 178/2002 2.1. I principi e le disposizioni comuni in materia di legislazione alimentare La scelta di affidare la disciplina del settore alimentare ad un provvedimento avente la natura di regolamento (e non di direttiva) è pienamente coerente con l’esigenza e l’urgenza di introdurre dei requisiti generali di sicurezza, idonei a vincolare tutti gli Stati appartenenti all’Unione Europea alle medesime regole, scongiurando, in tal modo, il rischio di normative disomogenee in un settore così delicato, laddove sono coinvolte direttamente la salute e la sicurezza dei consumatori1. In sostanza, si è inteso unificare le regole del mercato e condividere i limiti al suo esercizio, garantendo la prioritaria tutela della salubrità alimentare e, quale effetto aggiuntivo, eliminando gli ostacoli - altrimenti frapposti da discipline nazionali tra loro diverse - al commercio europeo. La natura dell’atto normativo incide non solo sulla diretta applicabilità e sull’obbligatorietà delle prescrizioni in esso contenute, ma anche sull’individuazione dei destinatari diretti: infatti, trattandosi di un atto avente portata generale, le disposizioni che esso reca sono applicabili nei confronti di tutti i soggetti giuridici appartenenti all’Unione, e, quindi, non 1 Qualora, infatti, fosse stata adottata una direttiva anziché un regolamento, gli Stati membri sarebbero stati vincolati al raggiungimento degli obiettivi in essa indicati, ma avrebbero conservato piena autonomia nella scelta delle modalità volte al conseguimento dei risultati fissati in ambito europeo, con il conseguente rischio di approcci normativi eterogenei in un settore così delicato. 4 soltanto agli Stati membri ma anche alle persone fisiche e giuridiche - e, quindi, agricoltori, imprese agroalimentari o comunque soggetti operanti nel settore - aventi sede in un Paese UE. Lo scopo principale della legislazione alimentare2 consiste nella riduzione o nell’eliminazione del rischio per la salute. Per realizzare detto obiettivo è necessario preliminarmente procedere all’analisi del rischio, da effettuare sulla base di dati scientifici, in modo obiettivo e trasparente. Un alimento è rischioso se arreca un danno alla salute umana e/o non può essere destinato al consumo umano. La verifica della sussistenza del rischio è un processo che si articola in tre fasi interconnesse: a) la valutazione del rischio, b) la gestione del rischio, c) la comunicazione del rischio, consistente nello scambio di informazioni e pareri tra gli addetti al settore e i consumatori. Il compimento di tale fondamentale attività è ispirato all’applicazione del principio di precauzione. Il ricorso a detto principio implica una valutazione preventiva del possibile rischio connesso ad un determinato prodotto e la conseguente adozione delle misure più idonee volte ad eliminarlo. La previsione del rischio si fonda non già su dati certi e tecnici ma su valutazioni di opportunità, allorquando i risultati scientifici non sono in grado di definire la portata del rischio e quindi non riconoscono come reale ma neppure escludono l’esistenza di un pericolo per la salute umana. In via precauzionale, quindi, si interviene per annullare la possibilità stessa del pericolo. 2.2. European Food Safety Authority (c.d. “EFSA”) Il Regolamento n. 178/2002, prendendo atto dell’insufficienza del sistema di assistenza scientifica e tecnica per reagire alle gravi contaminazioni dei mangimi e degli alimenti, ha istituito l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, c.d. EFSA (acronimo di European Food Security Authority). L’EFSA, avente sede a Parma, ha Concetto ampio e generale comprensivo di tutte «le leggi, i regolamenti e le disposizioni amministrative riguardanti gli alimenti in generale, e la sicurezza degli alimenti in particolare, sia nella Comunità che a livello nazionale; sono incluse tutte le fasi di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti e anche dei mangimi prodotti per gli animali destinati alla produzione alimentare o ad essi somministrati» (art. 3, n. 1 Reg. 178/2002/CE). 2 5 un raggio di azione esteso e generale, basato sul principio one door, one-key, nell’ottica di accentrare i poteri in capo ad una sola entità e favorire così la certezza e l’univocità delle comunicazioni. In particolare, all’EFSA spetta: • individuare e valutare tutti i rischi connessi ai prodotti alimentari; • diffondere, in modo chiaro e comprensibile, le informazioni attinenti alla sicurezza alimentare, favorendo lo scambio di notizie e comunicazioni3; • formulare pareri scientifici e tecnici nei vari settori che coinvolgono la sicurezza alimentare, fornendo altresì un supporto tecnico alla Commissione europea, se necessario. Così operando, l’Autorità si propone di garantire il corretto funzionamento del mercato interno dei prodotti alimentari. 2.3. Le procedure da seguire per garantire la sicurezza alimentare. In particolare: la tracciabilità degli alimenti e l’etichettatura La tracciabilità degli alimenti è la più utile procedura che consente di identificare i mangimi, gli alimenti e i loro ingredienti, riguardo a tutte le materie prime utilizzate dal produttore, nell’ambito della catena alimentare, ricostruendo in tal modo il loro percorso lungo le fasi della produzione, trasformazione e distribuzione dei mangimi e degli alimenti. In modo, in caso di danni, è anche più agevole individuare gli eventuali responsabili. Infatti, attraverso la tracciabilità si intende controllare l’origine della merce e seguirne l’evoluzione fino all’erogazione al consumatore finale. Tale procedura di sicurezza, studiata per preservare la salute umana, ha l’effetto poi di favorire i produttori che sono responsabilmente attivi nel settore, in quanto ne valorizza l’attività e ne potenzia i risultati positivi. Più precisamente, parliamo di: • “tracciabilità” per definire la descrizione del percorso seguito dal prodotto “dai campi alle forchette”, lungo tutta la catena alimentare dalla raccolta e produzione alla distribuzione; Al riguardo, si segnala l’esistenza di un sistema di allerta rapido RASFF – Rapid Alert System for Food and Feed, volto a diffondere in tempo reale i rischi per la salute pubblica generati da determinati alimenti o mangimi. Si tratta di una rete di scambio di informazioni a cui partecipano la Commissione Europea, l’EFSA e gli Stati membri dell'Unione. Grazie al RASFF, si provvede al ritiro degli alimenti ritenuti nocivi con la collaborazione del Comando Carabinieri della Sanità e degli Assessorati Regionali; inoltre, qualora ricorra un pericolo imminente e grave, oltre al sequestro, si provvede altresì alla diffusione dell’informazione destinata ai consumatori, mediante i mezzi di comunicazione. 3 6 • “rintracciabilità” per definire il percorso inverso, volto a consentire di ripercorrere a ritroso tutte le fasi che precedono la consumazione del prodotto da parte degli utenti avvalendosi delle necessarie informazioni (tracce, appunto). In effetti, per il consumatore l’origine di un prodotto è rintracciabile attraverso l’etichettatura. L’etichetta presente sugli alimenti contiene tutte le informazioni opportune e necessarie per apprendere la provenienza e le caratteristiche merceologiche del prodotto. Anche l’etichettatura è stata oggetto di un intervento normativo a livello sovranazionale, onde uniformare le regole di applicazione in tutti i Paesi membri. Il primo intervento in materia si è avuto con la direttiva 2000/13/CEE, poi sostituita dal Regolamento (UE) n. 1169/2011. Il citato regolamento indica le prescrizioni che i produttori sono obbligati a seguire nel fornire ai consumatori, in modo semplice e facilmente comprensibile, alcune necessarie informazioni. In particolare, l’art. 9 del citato Regolamento stabilisce che, a partire dal 13 dicembre 20144, è obbligatorio indicare sull’etichetta del prodotto: a. la denominazione; b. l’elenco degli ingredienti; c. le sostanze che provocano allergie o intolleranze (arachidi, latte, senape, pesce, cereali contenenti glutine, ecc.); d. la quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti; e. la quantità netta dell’alimento; f. il termine minimo di conservazione o la data di scadenza; g. le condizioni particolari di conservazione e/o le condizioni d’impiego; h. il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore o dell’importatore; i. il paese d’origine o il luogo di provenienza per taluni tipi di carne, il latte o quando la sua omissione potrebbe indurre il consumatore in errore; j. le istruzioni per l’uso, per i casi in cui la loro omissione renderebbe difficile un uso adeguato dell’alimento; k. per le bevande che contengono più di 1,2% di alcol in volume, il titolo alcolometrico volumico effettivo; l. una dichiarazione nutrizionale. Il Regolamento si applica a partire dal 13 dicembre 2014, ad eccezione dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera l) sulla dichiarazione nutrizionale, che si applica a decorrere dal 13 dicembre 2016 e dell’allegato VI, parte B, che si applica a decorrere dal 1o gennaio 2014 sui “Requisiti specifici relativi alla designazione delle «carni macinate»”. 4 7 Certamente, i nuovi obblighi sull’etichettatura e, specialmente l’indicazione del paese di origine o provenienza, qualora vi sia il rischio di confusione per i consumatori, hanno l’effetto di rafforzare la tutela dei prodotti Made in Italy, in particolare allorquando sugli alimenti compaiono illustrazioni e immagini che inducono, erroneamente, a ritenere che il prodotto sia italiano. Si aggiunga, inoltre, che lo stesso Regolamento consente ai produttori di apporre in etichetta, oltre alle informazioni obbligatorie, anche informazioni volontarie, ovvero delle indicazioni che siano idonee a fornire maggiori delucidazioni sul prodotto così da renderlo più appetibile per il consumatore. È necessario, però, che tali informazioni attengano a caratteristiche proprie del prodotto e che non siano ambigue oppure confuse. A ben vedere, tali misure innovative - introdotte con l’obiettivo di proteggere l’interesse primario della salute - si rivelano anche uno strumento utile a stimolare la competitività nel settore agricolo e alimentare. 2.4. La responsabilità dei produttori alimentari La qualità e la salubrità dei prodotti alimentari dipendono direttamente dal rispetto delle regole di condotta dettate in tema di igiene alimentare da parte dei soggetti che partecipano alle varie fasi che compongono la filiera. Per tale motivo, sul produttore alimentare, ovverosia sul soggetto – persona fisica o giuridica - che opera nel settore, grava il compito di assicurare l’osservanza delle norme sulla sicurezza alimentare. Infatti, attraverso l’adozione di misure di controllo e autocontrollo, si annulla o si riduce il rischio di contaminazione derivante da fattori biologici (quali, ad esempio, virus, batteri, muffe), fisici (ad es. corpi estranei) o chimici (sostanze chimiche come, ad es., pesticidi o detergenti). Su un piano strettamente giuridico, il regime di responsabilità del produttore alimentare è disciplinato dalla direttiva 85/374/CEE5 che regola, in generale, la responsabilità per danno da prodotto difettoso. Ne consegue che la soglia della responsabilità in capo al produttore alimentare è alquanto elevata, onde tutelare adeguatamente un bene giuridico primario, quale è la salute e la vita umana. Il produttore incorre, infatti, in una responsabilità oggettiva: il prodotto alimentare, sia allo stato naturale che trasformato6, determina l’insorgere di responsabilità a carico del produttore per il solo accertamento del danno conseguente al difetto del prodotto, a La Direttiva è stata attuata in Italia prima dal DPR 24.05.1988 n. 224 (emendato dal D.lgs. 2.02.2001 n. 25) e, successivamente, dal Codice del Consumo (D.lgs. n. 206/2005), parte IV, titolo II, agli articoli dal 114 al 127. 6 In passato la Direttiva includeva nel proprio ambito applicativo soltanto i prodotti agricoli trasformati, escludendo i prodotti naturali del suolo, dell’allevamento, della pesca e della caccia; l’ampliamento è avvenuto nel 1999 con la Direttiva n. 34 che ha modificato la Direttiva 85/374/CEE. 5 8 prescindere dalla sussistenza del dolo o della colpa, (salva, in ogni caso, la facoltà del produttore di fornire la prova liberatoria7). In via generale, un prodotto si considera difettoso quando non è sicuro o meglio “quando non offe la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze”8. Sulla base del dettato normativo, ne consegue che il produttore alimentare è tenuto ad un’obbligazione di sicurezza in favore del consumatore, ovverosia all’obbligo di controllare con costanza e diligenza l’intero processo produttivo ed sarà destinatario di conseguenze giuridiche anche qualora non abbia voluto o causato l’illecito. 3. IL C.D. “PACCHETTO IGIENE” In aggiunta al Regolamento n. 178/2002, il legislatore europeo ha emanato altri atti normativi al fine di disciplinare alcuni settori particolari della materia alimentare. Si tratta del c.d. pacchetto igiene, composto dal Regolamento (CE) n. 852/2004 sull’igiene dei prodotti alimentari, n. 853/2004 sull’igiene dei prodotti alimentari di origine animale, n. 854/2004 relativo ai controlli ufficiali sui prodotti di origine animale, n. 882/2004 relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali. Tali atti rendono obbligatori i controlli sui beni alimentari e l’applicazione di regole di igiene mediante il ricorso al sistema di analisi del rischio noto come Hazard Analysis and Critical Control Points (HACCP). La prova liberatoria che esclude la responsabilità oggettiva del produttore alimentare, consiste nel provare che: “a) non ha messo il prodotto in circolazione; b) tenuto conto delle circostanze, è lecito ritenere che il difetto che ha causato il danno non esistesse quando l’aveva messo in circolazione o sia sorto successivamente; c) che non ha fabbricato il prodotto per la vendita o qualsiasi altra forma di distribuzione a scopo economico, né l’ha fabbricato o distribuito nel quadro della sua attività professionale; d) che il difetto è dovuto alla conformità del prodotto a regole imperative emanate dai poteri pubblici; e) che lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento in cui ha messo in circolazione il prodotto non permetteva di scoprire l’esistenza del difetto; f) nel caso del produttore di una parte componente, che il difetto è dovuto alla concezione del prodotto in cui è stata incorporata la parte o alle istruzioni date dal produttore del prodotto” (art. 7, Direttiva 85/374/CEE). 8 “Un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui: a) la presentazione del prodotto, b) l’uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato, c) il momento della messa in circolazione del prodotto.” (art. 6, Direttiva 85/374/CEE). 7 9 L’intervento del legislatore ripercorre la medesima ratio del regolamento n. 178/2002, introducendo una disciplina generale, rivolta a tutti i produttori, siano essi organizzati nella forma di industria alimentare ovvero di produttori attivi nella produzione e distribuzione di prodotti agricoli non trasformati, i cc.dd. “produttori primari” (esclusi dalla disciplina delle norme di igiene dal sistema previgente). Con l’ampliamento dell’ambito di applicazione degli obblighi di autocontrollo anche alla produzione primaria è stata coperta l’intera catena agroalimentare. Tali obblighi di autocontrollo implicano il rispetto da parte delle aziende agricole di una corretta prassi operativa, volta a garantire che i prodotti alimentari siano ottenuti in condizioni igieniche adeguate, con l’adozione di misure di controllo di agenti contaminanti e/o di malattie, e con la previsione dell’obbligo di informare l’autorità competente qualora si tema l’esistenza di un pericolo idoneo a nuocere la salute umana. 4. LA SICUREZZA ALIMENTARE IN AMBITO INTERNAZIONALE Il Codex Alimentarius A livello internazionale la tutela della sicurezza alimentare è attuata trasversalmente da due organizzazioni delle Nazioni Unite: il WHO - World Health Organization istituita per garantire la tutela della salute umana, concetto questo ampio e generale comprensivo di un benessere fisico e mentale, e dalla FAO – Food and Agricolture Organization il cui obiettivo è la riduzione della fame cronica tra le popolazioni e lo sviluppo dei settori dell’alimentazione e dell’agricoltura. Mediante la cooperazione tra il WTO e la FAO è stato pubblicato il “Codex Alimentarius”, una sorta di testo unico contenente gli standard di sicurezza e di qualità degli alimenti, regole di condotta elaborate con il fine precipuo di preservare la salute del consumatore ed orientare il mercato dei prodotti alimentari alla luce dei principi di correttezza e trasparenza. Su un piano giuridico, le pratiche generali e i principi di igiene inseriti nel Codex Alimentarius non sono vincolanti, ma certamente ne è raccomandata la consultazione. The Sanitary and Phytosanitary Agreement (SPS Agreement) L’accordo SPS ha lo scopo di consentire agli Stati appartenenti alla Comunità Internazionale di emanare le misure ritenute necessarie a proteggere la salute umana, animale o vegetale all’interno del territorio, in modo 10 che tali misure non costituiscano mezzi arbitrari, discriminatori o ingiustificati per restringere surrettiziamente il commercio internazionale. Qualora un Paese partecipante al WHO adotti una misura sanitaria o fitosanitaria potenzialmente lesiva del commercio internazionale e non conforme alle norme indicate dall’accordo SPS, potrà essere chiamato a giustificare la propria misura di fronte ad un Panel del Dispute Settlement Body (DSB) e, ove la misura sia ritenuta illegittima anche a seguito del giudizio di secondo grado emesso dall’Appellate Body, sarà tenuto a rimuovere il provvedimento contestato e a compensare il Paese “vittima” della perdita subita. Nel caso in cui lo Stato soccombente rifiuti di farlo, i Paesi “vincitori” potranno essere autorizzati (da un nuovo Panel) ad attuare misure di ritorsione, corrispondenti alla perdita sofferta. Le constatazioni scientifiche come fondamento delle decisioni amministrative costituiscono il cuore dell’Accordo SPS, giacché attraverso la procedura di risk assessment consentono agli Stati di deviare dagli standard internazionali emanando una misura più severa, e permettono agli organi d’aggiudicazione di verificare che la misura sia ragionevole, necessaria e, come si vedrà, anche proporzionata. Il principio della “suitability” e quello della “necessity” richiedono che la misura sia adeguata, efficace e necessaria a raggiungere lo scopo per cui è stata emanata, tanto da escludere misure alternative. Tale verifica (“proportionality test”), è svolta sulla base di valutazioni scientifiche (come previsto dall’art. 2.2 dell’Accordo SPS). 5. LA VIGENTE NORMATIVA ITALIANA SULLA SICUREZZA ALIMENTARE In ambito nazionale, il riferimento normativo in materia di sicurezza alimentare è rappresentato, in primo luogo, dalla legge n. 283 del 30 aprile 1962 “Modifica degli articoli 242, 243, 247, 250 e 262 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”, nonché da Decreto del Presidente della Repubblica del 26 marzo 1980, n. 327 recante l’“attuazione della Legge 283/1962, e successive modificazioni, in materia di disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande” La portata di tale normativa, recante la disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, oltre ad essere alquanto datata, è stata notevolmente ridimensionata nel corso degli anni, a seguito di molteplici interventi modificativi ed abrogativi. La lacunosità della disciplina nazionale della sicurezza alimentare può essere spiegata per vari fattori. In primo luogo, va considerato che nel nostro ordinamento giuridico la disciplina dell’alimentazione appartiene al 11 novero di materie di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni, con la conseguenza che allo Stato spetta la definizione della “cornice” entro i cui confini le Regioni sono chiamate a legiferare. In secondo luogo, il tema della sicurezza alimentare ha assunto, nel corso del tempo, una natura sempre più extraterritoriale, tale da richiedere un diverso approccio da parte del legislatore: così da un lato, il metodo di intervento non deve concentrarsi solo su verifiche a posteriori circa la ricorrenza dei requisiti di sicurezza ma deve consistere nel definire ex ante le misure necessarie a prevenire i rischi alimentari (attraverso l’indicazione di regole di condotta, di verifiche da effettuare nel corso del processo alimentare); d’altro lato, è emersa l’esigenza di affidare detto intervento al legislatore europeo, per definire regole vincolanti e comuni a tutti i Paesi membri che operano sul mercato europeo. In particolare: il superamento dell’autorizzazione sanitaria per le imprese alimentari L’art. 2 della L. n. 283 del 1962 subordinava l'esercizio di attività nel settore alimentare all’ottenimento di un’autorizzazione sanitaria, la quale accertasse la presenza dei requisiti igienico-sanitari, previsti dalle leggi e dai regolamenti. L’entrata in vigore del Regolamento (CE) n. 852/2004 del pacchetto igiene ha sostituito detta autorizzazione Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA, già DIA), con un evidente obiettivo di semplificazione volto a consentire all’operatore alimentare di intraprendere l’attività con una semplice comunicazione e seguendo le indicazioni fornite dai rispettivi Comuni di destinazione. *** In conclusione, appare opportuno sottolineare che, stante la prevalenza dell’applicazione delle norme di fonte europea rispetto alla norma nazionali, il riferimento normativo cardine in materia resta il Regolamento (CE) n. 178/2002 sulla legislazione alimentare e il pacchetto di regolamenti del 2004 relativi alle norme sull’igiene. La normativa italiana, nazionale e regionale, si applica quindi in quanto compatibile. Si aggiunga, inoltre, che detti testi normativi rappresentano la disciplina generale del settore, oltre ad essi vi sono poi ulteriori interventi normativi di dettaglio (infra § 6), volti a disciplinare specifici aspetti e ambiti, rispetto ai quali si riscontra una costante e prolifica elaborazione normativa. 12 6. LA NORMATIVA DI SETTORE La normativa di dettaglio sui singoli prodotti alimentari è alquanto estesa; in particolare tra i principali riferimenti normativi è possibile reperire i seguenti, in materia di: Additivi, Aromi, Enzimi (Regolamento (CE) n. 1333/2008 e s.m.i., relativo agli additivi alimentari, Regolamento (CE) n. 1334/2008 e s.m.i. relativo ad aromi e ingredienti con proprietà aromatizzanti alimentari, Regolamento (CE) 1332/2008 relativo agli enzimi alimentari, Regolamento (UE) n. 231/2012 e s.m.i. che stabilisce le specifiche degli additivi alimentari); Acque (D.lgs. n. 31 del 2001 relativo all’attuazione della Direttiva 98/83/CE sulla qualità delle acque destinate al consumo umano); Cacao e Cioccolato (Direttiva 2000/36/CE recepita in Italia con il D.lgs. n. 178 del 2003); Carni (Regolamento (CE) n. 1760/2000 sul sistema di identificazione e di registrazione dei bovini e relativo all’etichettatura delle carni bovine e dei prodotti a base di carni bovine, e s.m.i., Regolamento (CE) n. 2160/2003 sul controllo della salmonella e di altri agenti zoonotici specifici negli alimenti, Regolamento (CE) n. 2075/2005 e s.m.i. recante norme specifiche applicabili ai controlli ufficiali relativi alla presenza di Trichina nelle carni, Regolamento (UE) n. 1308/2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007, Regolamento (CE) 119/2009 sull’importazione di carni di leporidi selvatici, di alcuni mammiferi selvatici e di conigli di allevamento, Regolamento (CE) 206/2010 e s.m.i. - elenchi di Paesi terzi, territori o loro parti per importazione di animali e carni fresche, e condizioni di certificazione veterinaria); Cereali e prodotti derivati (Legge n. 580 del 1967 e s.m.i. sulla disciplina per la lavorazione e commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari; il DPR n. 187/2001 “Regolamento per la revisione della normativa sulla produzione e commercializzazione di sfarinati e paste alimentari; il Decreto Ministeriale del 22 luglio 2005 per la produzione e la vendita di taluni prodotti dolciari (quali panettone, pandoro, colomba, amaretto e savoiardo); Integratori alimentari (D.lgs. n. 169 del 2004 sull’attuazione della Direttiva 2002/46/CE relativa agli integratori alimentari); Latte e prodotti derivati (Decreto legislativo n. 175 del 2011 sull’attuazione della Direttiva 2007/61/CE relativa a taluni tipi di latte conservato totalmente o parzialmente disidratato destinato all'alimentazione umana); Miele (D.lgs. n. 179 del 2004 recante attuazione della Direttiva 2001/110/CE concernente la produzione e la commercializzazione del miele); Olio (Regolamento (UE) n. 29/2012 contenente norme di commercializzazione dell’olio di oliva, Legge n. 9 del 2013 recante norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli d’oliva vergini); Vini e aceti, alcolici (Legge n. 1354 del 1962 sulla disciplina igienico-sanitaria della produzione e del commercio della birra, Regolamento (CE) n. 110/2008 contenente la definizione, designazione, presentazione, etichettatura e protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose e abrogazione del Regolamento (CEE) 1576/89). 13 7. GLI ILLECITI IN MATERIA ALIMENTARE Come si è visto il diritto alimentare si struttura attraverso la produzione di norme articolate in diversi ambiti (comunitario e nazionale). Si tratta di un settore “sensibile” ad istanze di sicurezza e di tutela, a volte dipendenti da emergenze contingenti, legate alle ansie ricorrenti provocate dalla globalizzazione dei mercati e dei rischi. A tali istanze fanno da contraltare norme di carattere sanzionatorio, sia penale che amministrativo, caratterizzate da una gradualità sanzionatoria della tutela (si va dal delitto, alla contravvenzione, all’illecito depenalizzato, all’illecito amministrativo). La sicurezza alimentare si pone come un interesse funzionale (bene intermedio) alla salute che, in ultima analisi, è il bene tutelato, da un lato, con fattispecie che guardano al pericolo, dall’altro con fattispecie collegate con il concetto di rischio. Con riferimento al rischio si possono individuare fattispecie orientate alla prevenzione, di rischi noti, e fattispecie orientata alla precauzione, collegate a rischi ignoti che allo stato delle conoscenze non possono escludersi (ad esempio, emblematica, la disciplina sugli OGM). La sicurezza alimentare si pone come interesse funzionale alla salute, bene fondamentale di rilevanza costituzionale. A questo proposito merita precisare che la salute pubblica deve considerarsi un bene giuridico autonomo rispetto a quello dei diritti dei singoli alla salute individuale, che rileva come un vero e proprio diritto sociale e collettivo. La tutela della salute pubblica nel settore alimentare, dunque, si concreta tipicamente attraverso la configurazione di reati di pericolo, caratterizzati dall’anticipazione della tutela penale ad un momento anteriore all’insorgere del danno. Il pericolo per la salute pubblica sussiste non solo se il prodotto alimentare esponga a pericolo “il consumatore medio”, ma anche quando la sostanza, pur essendo innocua per la maggioranza dei consociati, sia lesiva in relazione a soggetti appartenenti a categorie meritevoli di speciale protezione, quali i bambini, i portatori di particolari malattie, gli anziani o coloro che assumono abitualmente determinati farmaci. Il sistema sanzionatorio relativo alla frode alimentare si articola su tre livelli di tutela. Il primo livello è costituito dalla disciplina prevista dal Codice Penale, dalle norme che tutelano l’incolumità pubblica rispetto alle frodi (libro II, Tit. VI, capo II), nonché le norme che tutelano l’economia pubblica, l’industria e il commercio (libro II, Tit. VIII). Il secondo livello è costituito dalla legge n. 283 del 1962 sulla disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari. 14 Il terzo livello, infine, è composto dalle normative specifiche di settore, riguardanti le modalità di conservazione di determinati prodotti alimentari, norme che prevedono una serie di illeciti amministrativi (ciò in seguito alla depenalizzazione operata con la riforma del 1999). Da notare, in generale, che le fattispecie speciali di natura amministrativa soccombono comunque dinanzi alle fattispecie penali. Inoltre le disposizioni depenalizzate individuano comunque comportamenti che possono facilmente essere ricondotti tra i delitti individuati dal codice penale (primo livello di tutela) o tra le contravvenzioni individuate dalla L. 283/1962. I reati alimentari sono procedibili d’ufficio. Inoltre i reati che attentano alla pubblica incolumità sono puniti anche a titolo di colpa. Tra questi: l’avvelenamento di acque o di sostanze alimentari (art. 439 c.p.), l’adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari o di altre cose in danno della salute pubblica (art. 440 e 441 c.p.), il commercio di sostanze alimentari contraffatte o alterate o comunque nocive (art. 442 e 444 c.p.). I reati di frode in commercio, invece riguardano la vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine (art. 516 c.p.) e la contraffazione delle etichette, comprese quelle che indicano la provenienza geografica o la denominazione di origine dei prodotti agro alimentari (artt. 517-517-quater c.p.). Tutti questi reati di frode in commercio sono reati presupposto per l’applicazione della c.d. responsabilità amministrativa delle imprese, ai sensi dell’art. 25 – bis n.1 del d.lgs. 231 del 2001 (come modificato dalla legge 99 del 2009). La Legge n. 99 del 2009 mira, oltre che a una completa e effettiva lotta alla contraffazione, anche alla tutela della correttezza delle relazioni commerciali, mediante l’introduzione nel testo del d. lgs. 231/2001 anche dell’art. 25 – bis.1, che dispone la responsabilità amministrativa degli enti in caso di consumazione di alcuni reati contro l’industria e il commercio. Le contraffazioni e le alterazioni pur non provocando necessariamente un pericolo alla salute delle persone, minano la buona fede del consumatore, che dovrebbe invece costituire la giusta premessa di ogni forma di relazione commerciale. La Legge 283/62 (in particolare artt. 5 e 6), tutela in via immediata l’igiene, la genuinità e l’integrità degli alimenti e, in generale, la sicurezza e la qualità degli alimenti, e, in via mediata, la salute dei consumatori. Il modello di tutela individuato dalla legge. in esame è collegato al concetto di rischio come potenzialmente offensivo e quindi si occupa di situazioni di mera disobbedienza: ad esempio con riferimento al superamento di limiti-soglia o alla mera inosservanza di regolamenti o provvedimenti amministrativo o di procedure di autorizzazione. Non sono trascurabili, poi, le previsioni sanzionatorie contenute nel D.lgs. 206 del 2005 c.d. Codice del Consumo, laddove è stabilito che le fattispecie di pubblicità ingannevole riguardanti prodotti suscettibili di porre 15 in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori, vengono sanzionate dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) in misura proporzionata al fatturato dell’azienda alimentare; l’intervento sanzionatorio dell’AGCM, nel tener conto della gravità e della durata della violazione, determina l’irrogazione di sanzioni comunque non inferiori ad Euro 50.000 e la pubblicazione del provvedimento e, quindi, produce conseguenti gravi ricadute in termini di immagine per l’Azienda. Da ultimo merita ricordare i più recenti e significativi interventi del legislatore, che hanno introdotto diverse sanzioni sia amministrative che penali, merita ricordare quelli in tema di organismi geneticamente modificati e quelli in tema di controlli in materia di sicurezza alimentare. In dettaglio: d.lgs. 224/03, attuazione della direttiva 2001/18/CE concernete l’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati; il d.lgs. 169/04, attuazione della direttiva 2002/46/CE relativa agli integratori alimentari; il d.l. 279/04 recante disposizioni urgenti per assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica; il d.lgs. 70/05, che introduce la disciplina sanzionatoria per le violazioni dei Regolamenti (CE) n. 1829/2003 e 1830/2003, relativi, rispettivamente, agli alimenti e mangimi geneticamente modificati e la tracciabilità e l’etichettatura di OGM; d.lgs. 190/06, disciplina sanzionatoria per le violazioni del regolamento (CE) n. 178/2002 che stabilisce i principi e i requisiti della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel settore; il d.lgs. 193/07, attuazione della direttiva 2004/41/CE relativa ai controlli in materia di sicurezza alimentare e applicazione dei regolamenti comunitari nel medesimo settore. 7.1. Le fattispecie di reato In particolare, tra le più rilevanti ipotesi di violazione contenute nel Codice Penale è possibile annoverare quelle di seguito illustrate: Art. 439 c.p. Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari. L’art. 439 c.p. punisce con la reclusione non inferiore a quindici anni chiunque avvelena, ovverosia introduce sostanza letali o tossiche per l’uomo in acque o sostanze destinate all’alimentazione umana che non sono state ancora attinte o distribuite per il consumo. Il delitto in questione è punito anche a titolo di colpa ai sensi dell’articolo 452 c.p. 16 Art. 440 c.p. Adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari. L’art. 440, primo comma, c.p. punisce con la reclusione da tre a dieci anni chiunque “corrompe” e cioè modifica la composizione naturale di una sostanza destinate all’alimentazione umana, rendendola nociva, o la “adultera”, ossia ne altera fraudolentemente la genuinità. Ai sensi del secondo comma dello stesso articolo, è punita la “contraffazione” di sostanze alimentari, ovvero la creazione ex novo di una sostanza alimentare che è diversa da ciò che sembra di essere. Art. 441 c.p. Adulterazione o contraffazione di altre cose in danno della pubblica salute. Ai sensi dell’art. 441 c.p. è punito chiunque adultera o contraffà in modo pericoloso per la salute pubblica (non sostanze alimentari, ma) contenitori, involucri o recipienti di sostanze alimentari. Affinché la condotta integri reato è necessario che tali involucri, recipienti o contenitori siano destinati al commercio. Art. 442 c.p. Commercio di sostanze alimentari contraffate o adulterate. Ai sensi dell’articolo 442 c.p. sono sanzionate le condotte consistenti nella detenzione per il commercio, messa in commercio, ovvero nella distribuzione per il consumo di acque o sostanze alimentari adulterate, contraffate o avvelenate in modo pericoloso per la salute pubblica. Art. 444 c.p. Commercio di sostanze alimentari nocive. Ai sensi dell’articolo 444 c.p. viene punito con la reclusione da sei mesi a 3 anni, chiunque detiene per il commercio, pone in commercio ovvero distribuisce per il consumo sostanze destinate all’alimentazione, non contraffate né adulterate, ma pericolose alla salute pubblica. La pericolosità per la salute pubblica non deriva dall’originalità della sostanza alimentare, ma da qualsiasi alterazione successiva che ha contribuito a rendere tali sostanze nocive per la salute pubblica. Art. 515 c.p. Frode nell'esercizio del commercio. L’art. 515 si riferisce ai casi in cui nell’esercizio di un’attività commerciale venga consegnata all’acquirente una cosa per un’altra, o diversa per origine, provenienza, qualità e quantità, da quella dichiarata o pattuita (così, ad esempio, se l’esercente consegna prosciutto crudo non di Parma al richiedente quello specifico prodotto la cui denominazione d’origine è riservata dall’art. 1 della legge n. 26/1990 esclusivamente a prodotti aventi 17 determinate caratteristiche e prerogative, sia merceologiche, sia formali ). La pena prevista per la frode in commercio è la reclusione fino a due anni, ovvero la multa fino a Euro 2.065. Art. 516 c.p. Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine. Ai sensi dell’articolo 516 c.p. chiunque pone in vendita come genuine sostanze alimentari non genuine, viene punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a Euro 1.032,00. Art. 517 c.p. Vendita di prodotti industriali con segni mendaci. Chi pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi atti a indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, inducendoli a sceglierlo perché confidano nella qualità del marchio, viene punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino € 20.000,00. Art. 517-bis c.p. Circostanza aggravante. L’articolo in esame prevede che le pene stabilite dagli articoli 516 e 517 sono aumentate se i fatti da essi previsti hanno ad oggetto alimenti o bevande la cui denominazione di origine o geografica o le cui specificità sono protette dalle norme vigenti. Negli stessi casi, il giudice, nel pronunciare condanna, può disporre, se il fatto è di particolare gravità o in caso di recidiva specifica, la chiusura dello stabilimento o dell’esercizio in cui il fatto è stato commesso da un minimo di cinque giorni ad un massimo di tre mesi, ovvero la revoca della licenza, dell’autorizzazione o dell’analogo provvedimento amministrativo che consente lo svolgimento dell’attività commerciale nello stabilimento o nell’esercizio stesso. Art. 517-quater c.p. Contraffazione di indicazioni geografiche denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari. La disposizione in esame punisce con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000 chiunque contraffà o comunque altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari. La stessa pena si applica a chi, al fine, di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i medesimi prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatte. 18 Riguardo alle fattispecie criminose previste dalla Legge n. 283/1962, è opportuno segnalare che: • l’art. 4 stabilisce che chi produce, prepara, detiene, vende o pone in vendita sostanze destinate all’alimentazione, materiali e oggetti destinati a venire a contatto con sostanze alimentari è tenuto a fornire gratuitamente al personale sanitario i campioni di tali sostanze. La mancata ottemperanza integra contravvenzione punita con pena pecuniaria; • l’art. 5 vieta di impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo, sostanze alimentari che: o siano state private, anche parzialmente, di elementi nutritivi o mescolate a sostanze di qualità inferiore o comunque trattate in modo da variarne la composizione naturale, salvo quanto previsto da leggi o regolamenti speciali; o siano in cattivo stato di conservazione; o abbiano cariche microbiche superiori ai limiti stabiliti da regolamenti o da ordinanze ministeriali; o siano insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione; o abbiano subito l’aggiunta di additivi chimici di qualsiasi natura non autorizzati; o contengano residui di prodotti usati in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze alimentari immagazzinate, tossici per l’uomo; • l’art. 11 vieta di produrre, detenere per il commercio, porre in commercio od usare utensili da cucina o da tavola, recipienti o scatole per conservare sostanze alimentari, nonché qualsiasi altro oggetto destinato a venire a contatto diretto con sostanze alimentari, che siano: o di piombo, zinco o di leghe contenenti più del 10% di piombo ad eccezione dei tubi per l’acqua potabile; o stagnati internamente con stagno contenente piombo al di sopra dell'1%; o rivestiti internamente con strati vetrificati, verniciati o smaltati, che, messi a contatto per 24 ore con una soluzione all'1% di acido acetico, cedano piombo alla temperatura ordinaria; o saldati con lega di stagno-piombo, con contenuto di piombo superiore al 10%; sono, tuttavia, tollerate, per la saldatura esterna dei recipienti, leghe contenenti piombo in misura superiore al 10%, purché le aggraffature da saldare siano realizzate in modo da garantire la 19 impenetrabilità da parte della lega saldante; e costituiti da materiale nella cui composizione si trovi più di tre centigrammi di arsenico per 100 grammi di materiale; o di materie plastiche o di qualsiasi altro prodotto che possano cedere sapori od odori che modifichino sfavorevolmente le proprietà organolettiche e rendano nocive le sostanze alimentari. • l’art. 13 tutela la “buona fede del consumatore” e vieta di offrire in vendita o propagandare per mezzo della stampa od in qualsiasi altro modo, sostanze alimentari, adottando denominazioni o nomi impropri, frasi pubblicitarie, marchi o attestati di qualità o genuinità da chiunque rilasciati, nonché disegni illustrativi tali da sorprendere la buona fede o da indurre in errore gli acquirenti circa la natura, sostanza, qualità o le proprietà nutritive delle sostanze alimentari stesse o vantando particolari azioni medicamentose. A ciò si aggiungano le specifiche disposizioni che disciplinano le modalità di produzione e conservazione dei singoli prodotti alimentari (supra § 6). Le ipotesi più frequenti di frodi alimentari a danno dei consumatori consistono in false dichiarazioni sull’origine e/o sulle caratteristiche del prodotto, in indicazioni ingannevoli, nella non corrispondenza dei prodotti agli ingredienti dichiarati o nella mancata segnalazione di ingredienti “indesiderati”, in modifiche della data di scadenza o di preferibile consumo. 7.2. Le frodi alimentari in Italia In proposito, è interessante analizzare il report 2013 del Dipartimento dell’Ispettorato Centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF), appartenente al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, dal quale è possibile ricavare un quadro delle frodi alimentari che si verificano più spesso in Italia. L’ICQRF, è un organo deputato a svolgere controlli sulla qualità agro-alimentare nonché a sanzionare gli illeciti riscontrati: nel 2013 sono state inoltrate più di 300 notizie di reato all’Autorità Giudiziaria, più di 5.000 gli illeciti rilevati, sono stati eseguiti 500 sequestri per un valore complessivo di circa 37 milioni di Euro. L’ICQRF è particolarmente attento alle produzioni di qualità regolamentata (ad es., vini, prodotti DOP, IGP, produzioni da agricoltura biologica) allo scopo di rendere affidabili i prodotti italiani sia sul mercato nazionale che internazionale. In particolare, è interessante rilevare quali sono stati i principali illeciti accertati nel corso del 2013: • Per i vini: 20 o sofisticazione di vini generici e talora a DOC per zuccheraggio e/o annacquamento; o detenzione di prodotti vitivinicoli “in nero”, non giustificati dalla documentazione ufficiale di cantina; o commercializzazione di vini qualificati a DOC risultati di composizione difforme dai prodotti originariamente certificati; o produzione, vendita o distribuzione di vini a DOP e a IGP non conformi ai requisiti stabiliti dai rispettivi disciplinari di produzione o violazioni delle disposizioni in materia di designazione e presentazione; o violazioni di carattere documentale, riconducibili a inadempienze agli obblighi di tenuta della documentazione ufficiale di cantina. • Per gli oli e i grassi: o commercializzazione come extravergini di oliva di oli ottenuti per miscelazione con oli lampanti e deodorati o con oli di semi; o oli di oliva extravergini risultati all’esame organolettico o all’analisi di categoria inferiore al dichiarato; o commercializzazione come olio extravergine di oliva italiano da agricoltura biologica di prodotto privo della certificazione prevista e di incerta origine, tramite emissione di falsa documentazione per attestarne la provenienza; o violazioni delle norme sull’etichettatura e sulla presentazione degli oli di oliva per omissioni di indicazioni obbligatorie, irregolare utilizzo di indicazioni facoltative, impiego ingannevole della designazione di origine; • o violazioni di carattere documentale per mancata o irregolare tenuta dei registri di carico e scarico; o oli vegetali ottenuti da semi diversi dal dichiarato e di minor valore economico. Per i formaggi: o commercializzazione di formaggi di bufala o di pecora, sia a DOP che generici, ottenuti con impiego parziale di latte vaccino; o presenza di grassi diversi da quelli del latte in mozzarelle e scamorze; o utilizzo di conservanti non consentiti o non dichiarati in formaggi generici e talora anche in formaggi a DOP; o impiego, nella produzione di formaggi a DOP, di latte sprovvisto dei prescritti requisiti di rintracciabilità attestanti l’origine e provenienza; 21 o usurpazione, imitazione o evocazione di una denominazione protetta per designare formaggi generici; o irregolarità nel sistema di etichettatura dei formaggi per omissione di indicazioni obbligatorie, denominazione di vendita non conforme, informazioni non corrette, non trasparenti o ingannevoli per il consumatore. • Per cereali e derivati: o commercializzazione di riso di varietà diversa dal dichiarato o con difetti superiori alle tolleranze di legge; o commercializzazione di pane, pasta secca e sfarinati aventi caratteristiche di composizione non conformi ai valori previsti per legge; o prodotti tradizionali da forno contenenti grassi diversi dal burro; o commercializzazione, presso un negozio cinese, di pasta secca ottenuta con farina di grano tenero e con irregolare denominazione di vendita; o violazioni relative al sistema di etichettatura per omissione di indicazioni obbligatorie, utilizzo non conforme della denominazione di vendita, irregolarità nell’elencazione degli ingredienti, mancata indicazione dell’ingrediente caratterizzante, impiego di locuzioni ingannevoli o evocanti prodotti a denominazione protetta. *** Concludendo, possiamo affermare che le misure ora delineate dimostrano un piano d’azione sempre più vigile e prudente che produce il positivo effetto di tutelare di più e meglio i prodotti italiani, di salvaguardare l’eccellenza in campo agro-alimentare del nostro Paese. Infatti, se da un lato il rispetto della legislazione alimentare implica l’osservanza di regole di condotta particolarmente stringenti, d’altro lato proprio tale rigidità rappresenta il punto di forza per i produttori italiani, che consente loro di affermarsi sempre più sul mercato alimentare nonché di consolidarne l’affidabilità in tutto il mondo. Lucia Ragaglini Giuseppina Romano 22