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Giuseppe Pichierri: Ritorni di armonie VINCENZA MUSARDO TALÒ Pur tra le celebrazioni della critica nazionale e gli ambìti riconoscimenti che le sue tele sono solite ricevere ovunque facciano la loro apparizione, solitario come un eremita, lontano dai fasti accademici, vive e opera Giuseppe Pichierri, uno dei più acclarati maestri del realismo figurativo di cui l’arte contemporanea si adorna. Non a caso e a ragione, da ogni parte viene definito come “una voce eccellente nella pittura contemporanea”. Già nella 42.a Fiera del Levante, a Bari, vide accostare due sue tele a quelle di De Chirco, Guttuso, Fiume, Dalì e altri grandi della pittura del Novecento, mentre i suoi quadri, presentati in diverse esposizioni della Biennale di Venezia, della Quadriennale romana e alcune gallerie milanesi, hanno sempre ricevuto, unanimemente, apprezzabili encomi da critici di valore. Cresciuto tra le pieghe preziose della divina pittura cinquecentesca e vagamente influenzato dalla luce impressionista, egli ha saputo raggiungere una incontrovertibile maturità artistica, tanto che nessuna delle magie di cui è capace un pennello gli appare sconosciuta o impossibile. La sua è una pittura emozionale, altamente lirica, una pittura dell’anima, pur nella manifesta fisionomia realista dei soggetti effigiati. Egli è capace, come il migliore dei poeti, di scandire le variegate e meravigliose sinfonie del sentimento attraverso il complesso impianto ideativo, che sempre offre alla tela un contenuto chiaro di significati validi e universali, perché il Pichierri non tradisce mai né il decoro delle forme e tanto meno quello etico. La sua arte è epifania del reale, è fascinosa contemplazione della storia, di vissuti archetipi, di miti della memoria, in cui si avvertono le suggestioni e l’influenza del passato, capaci tuttavia di non irridere l’inquietante e sofferente atmosfera del presente. Dunque, pittura di memoria che si fa lirica rievocazione e religiosa attenzione delle figure e degli elementi di una civiltà passata, incentrata sul valore dell’uomo, l’amore per la terra, la casa e il lavoro e il rispetto del sacro. Arte come intelligente recupero di un umanesimo autentico, sempre strategicamente comunicativa; arte come presenza, come solida testimonianza, arte che si fa documento per quello stretto legame dell’animo dell’Artista ai valori della tradizione e della cultura, in specie quella propria di un sociale umile, oppresso dal silenzio della storia e piegato da un sofferto vivere e sopravvivere quotidiano. E’ questa la lucida filosofia che legittima e corrobora ogni sua tela. E’ questa la virile concezione dell’Artista, che guida alla comprensione della sua arte. Mai l’osservatore – dinanzi a un’opera del maestro Pichierri – potrà avvertire il vuoto desolato o il silenzio urlante della solitudine; al contrario, immediato e palpabile corre veloce quel caldo condensato di suggestivi messaggi, che si originano dalle sue magistrali raffigurazioni di un reale metafisico, di un reale sublime. Perché le sue sono pitture dell’anima, pitture del tempo liricamente trasfigurato; pitture che hanno prestato il volto della memoria e il senso del razionale a quel secondo mezzo secolo di Novecento, uno spaccato epocale in cui l’uomo, nella complessità di mutamenti epilettici e nella sofferta frantumazione valoriale, si è trovato solo e sperduto, naufrago senza ancoraggi, condannato dal tormento lacerante della sua stessa storia. E così, attraverso un’arte lontana da astrazioni moderniste – attraverso un’enfasi creativa, lontana da tormentati processi di selezione - in immagini di inusitata energia espressiva, ecco sfilare e collocarsi tra il reale e il patrimonio emozionale dell’Artista, un serto ricchissimo di temi pittorici che adornano e sostanziano le sue tele. Fine e acuto osservatore della natura, ne trasferisce le bellezze in rosee albe incantate e tramonti infuocati, in cieli luminosi, solari, o plumbei e nevosi, in marine dai caleidoscopici blu e dalle vaghe tinte smeraldine, in paesaggi che riflettono il narrato di un accadimento dell’anima che si incontra con una natura, colta in quel suo eterno flusso vitale. E poi, bianchi vicoli antichi, civettuoli balconi e davanzali colorati di gerani, presi in prestito dall’umile tessuto urbano dei centri storici delle terre del Sud, scorci di architetture contadine dalla sinfonica assonanza di linee e di colori, che appaiono come cattedrali incastonate nel verde degli ulivi secolari e, infine, immagini desolate di aridi pascoli pugliesi, colti nei colori di un’estate rovente, che tutto brucia. Numerose appaiono, nel repertorio pittorico di questo Artista, quelle che si dicono nature morte. Nel contemplarle, io le dico “nature vive”, perché tale tema pittorico viene effigiato dal Pichierri, regalando un’anima a ogni oggetto della composizione. Composizione che sempre è straordinaria, in quella sorta di magica atemporalità, capace di accostare – attraverso il richiamo di memorie intimamente meditate – elementi di famiglie diverse, vuoi un lume antico o una lucerna che accompagnano un cesto di fichi appena colti, freschi tralci succosi di uve mediterranee, affacciati a una finestra di casa, il rosso esaltato di un’anguria invitante, uno stelo di evanescente lucernaria che adorna il tavolo dell’artista e altri oggetti dal sapore del tempo andato; insomma, quotidiani oggetti recuperati dall’umile repertorio dei complementi di arredo delle case contadine del primo Novecento e che nelle composizioni del Picchieri assumono sembianze preziose, quasi regali. Ma quel che dimostra il vero temperamento di artista, ciò che veramente dà alla sua ricerca esiti formali alti, quel che più evidenzia la tensione vigorosa della pittura di Giuseppe Pichierri è la ricca produzione dal tema figurativo. Tanto, perché questo poeta del pennello è fondamentalmente un artista del figurativo, un artista maturo, che ha interiorizzato e rielaborato una simile disciplina alle migliori scuole pittoriche della storia dell’arte, raggiungendo una magistrale padronanza di ogni mezzo artistico ed espressivo, utile alla produzione del figurativo. I più ambiti riconoscimenti dalla critica nazionale gli sono stati conferiti proprio in relazione a opere dal tema figurativo. Dunque, una visione costante dell’uomo: è questo il tema dominante della sua arte. Egli contempla ed effigia, con somma perizia, le diverse stagioni dell’umano vivere, ma il tema che esprime con più forti convincimenti valoriali è l’insieme delle suggestive sembianze della vecchiaia, sentita non come tempo di solitudine e malinconie segrete, ma come un’età di mite saggezza, come il tempo in cui si ricompongono i disordinati moti dell’anima e i ricordi vengono ad addolcire i volti rugosi dall’espressione serena. E così, i ritratti dei vecchi, al maschile e femminile, tanto amati da questo Artista, costituiscono, credo, la parte più corposa della sua produzione. Sono contadini colti nel rituale dei lavori della terra, artigiani intenti nelle loro botteghe, viandanti, famiglie riunite nella stanza del camino, figure parentali antiche, nel mentre sono intente all’umile desco serotino, illuminate dalla luce tremula di una lucerna; sono volti di vecchie madri, consumati dal tempo e dal dolore, dalla miseria e dal lavoro; e valgono un documento soprattutto le tele che effigiano una sorta di incontri ravvicinati tra vecchie e nuove generazione (nonni e nipoti, come in “La stanza del focolare”). Così pure non mancano quei ritratti di sapore antico, colti in atmosfere nostalgiche, che ripropongono figure femminili di vecchie contadine, filatrici, merlettaie e ricamatrici. A latere, scorre e si svolge, poi, un’attività di ritrattista accreditato e ricercato per quella sua divina capacità di dare vita, emozioni e sentimenti alle fattezze del soggetto, sempre riprodotte con effetti palpitanti e quasi tridimensionali, che colpiscono e a volte stupiscono l’osservatore e il committente. Sono oli e pastelli di inusitata bellezza (valga per tutti l’esempio dell’opera “Mia moglie”), sempre sorretti e legittimati da una rigorosa e severa tecnica disegnativa, che pare insuperabile, e che si contemplano come icone di raro equilibrio formale e coloristico. E vorrei ancora esprimere il senso sublime del sacro che informa le opere di soggetto religioso a firma del Pichierri. In verità non sono numerose, sono soprattutto Cristi in croce dal forte realismo figurativo e cromatico, capaci di scatenare nell’animo di chi li osserva un accostamento profondo col divino; sono intensi Ecce Homo, umiliati nel corpo straziato, i cui volti - scavati e carichi di un drammatico sentire – trasmettono il dolore e la tragedia della Redenzione. Sono Madonne dolcissime, ieratiche, un pezzo di celestiale paradiso affacciato in terra, i cui lineamenti vengono derivati dalle più belle scuole di mistica mariana e dal vago sentire della religiosità popolare. Il cammino della sua evoluzione artistica ha portato, così, a una pittura libera e vigorosa, disciplinata, inequivocabilmente estranea a quelle lotte, quei rapporti sofferti che a volte si intuiscono tra un artista e la sua tela. La concezione attenta della spazialità, che sempre ubbidisce ai canoni severi della prospettiva, un classicismo in tono di moderato manierismo, l’acuta capacità di leggere e rappresentare brani di vissuto vero, autentico, fanno del Pichierri uno spirito intelligente, di raro equilibrio interiore. In ultima analisi, direi che la sua è una pittura che si riconosce per la potenza evocatrice del segno, per l’uso energico e virile del colore, per un linguaggio cromatico fatto di vibrazioni luminose, per quella prevalenza di tonalità calde, avvolgenti. Questo, perché i suoi colori, pur nella pennellata forte e compatta, sembrano scrivere poesie, nel mentre si originano dalla capacità che l’Artista possiede, di gestire e veicolare un magico sentire di emozioni sulla tela, accostato al senso di una forza vitale unica, che rende la sua arte capace di riscattarci – in una sinfonia di fluide armonie - dalle impalpabili ansie che annientano l’io e dalle striscianti inquietudini dell’animo contemporaneo.