Protocollo diagnostico per la sindrome di Rett - Unisi.it
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Protocollo diagnostico per la sindrome di Rett - Unisi.it
Università degli studi di Siena Scuola di Specializzazione in Genetica Medica PROTOCOLLO DIAGNOSTICO PER LA SINDROME DI RETT Relatore Prof. Alessandra Renieri Tesi di: Dr. Francesca Ariani Anno accademico 2008-2009 INDICE 1. Introduzione 1.1 La sindrome di Rett: panoramica storica pag. 1 1.2 Tratti clinici della forma classica pag. 2 1.3 Tratti clinici delle forme varianti pag. 2 1.4 I geni coinvolti nella sindrome di Rett pag. 4 - MECP2 pag. 4 - CDKL5 pag. 7 - FOXG1 pag. 9 1.5 Obiettivi dello studio pag. 11 2. Materiali e Metodi 2.1 Casistica pag. 12 2.2 Estrazione del DNA genomico pag. 12 2.3 Analisi di mutazioni puntiformi pag. 13 - PCR pag. 13 - DHPLC pag. 16 - Sequenziamento automatico pag. 20 2.4 Analisi di grossi riarrangiamenti pag. 21 - MLPA pag. 21 - PCR quantitativa Real Time pag. 24 2.5 Correlazione genotipo-fenotipo pag. 27 - Raccolta degli Score clinici pag. 27 - Classificazione delle mutazioni pag. 27 - Analisi statistica pag. 27 3. Risultati 3.1 Diagnosi in pazienti con sindrome di Rett classica pag. 30 3.2 Diagnosi in pazienti con la variante di Zappella pag. 32 3.3 Casi familiari Rett pag. 35 3.4 Diagnosi prenatale nella sindrome di Rett pag. 36 3.5 Diagnosi in pazienti classificate come “Forme fruste” pag. 37 3.6 Correlazione tra la mutazione in MECP2 ed il fenotipo pag. 38 3.7 Diagnosi nella variante con epilessia ad insorgenza precoce pag. 41 3.8 Diagnosi in pazienti con la variante congenita pag. 43 3.9 Flow Chart per la diagnosi di sindrome di Rett pag. 45 Appendice I pag. 47 MECP2 deletions and genotype-phenotype correlation in Rett syndrome. Scala E, Longo I, Ottimo F, Speciale C, Sampieri K, Katzaki E, Artuso R, Mencarelli MA, D'Ambrogio T, Vonella G, Zappella M, Hayek G, Battaglia A, Mari F, Renieri A, Ariani F. Am J Med Genet A. 2007 Dec 1;143A(23):2775-84 Appendice II pag. 58 Diagnostic criteria for the Zappella variant of Rett syndrome (the preserved speech variant). Renieri A, Mari F, Mencarelli MA, Scala E, Ariani F, Longo I, Meloni I, Cevenini G, Pini G, Hayek G, Zappella M. Brain Dev. 2009 Mar;31(3):208-16. Appendice III pag. 68 Early-onset seizure variant of Rett syndrome: definition of the clinical diagnostic criteria. Artuso R, Mencarelli MA, Polli R, Sartori S, Ariani F, Pollazzon M, Marozza A, Cilio MR, Specchio N, Vigevano F, Vecchi M, Boniver C, Dalla Bernardina B, Parmeggiani A, Buoni S, Hayek G, Mari F, Renieri A, Murgia A. Brain Dev. 2009 Apr 9. Appendice IV pag. 77 FOXG1 is responsible for the congenital variant of Rett syndrome. Ariani F, Hayek G, Rondinella D, Artuso R, Mencarelli MA, Spanhol-Rosseto A, Pollazzon M, Buoni S, Spiga O, Ricciardi S, Meloni I, Longo I, Mari F, Broccoli V, Zappella M, Renieri A. Am J Hum Genet. 2008 Jul;83(1):89-93. 4. Discussione pag. 83 5. Bibliografia pag. 87 1. INTRODUZIONE 1.1 La Sindrome di Rett: panoramica storica La sindrome di Rett (RTT, OMIM#312750) è una patologia progressiva dello sviluppo neurologico che colpisce principalmente le bambine, con un’incidenza stimata di circa 1/10.000 nati femmina 1. Fu riconosciuta per la prima volta da Andreas Rett, un medico austriaco, a seguito di un’osservazione casuale nella sua sala di aspetto di due bambine che mostravano movimenti stereotipati delle mani molto simili tra loro. A seguito di questa osservazione, Rett, riesaminando le schede di alcune pazienti viste in precedenza, individuò altri casi con caratteristiche comportamentali e anamnesi simili e pubblicò nel 1966 un articolo in lingua tedesca che descriveva questa nuova entità clinica 2 . Tuttavia la pubblicazione fu ignorata per anni. A risvegliare l’interesse e a far riconoscere universalmente l’esistenza della RTT fu uno studio pubblicato in lingua inglese nel 1983 da parte di un gruppo europeo di neurologi infantili 3. Dopo la descrizione dei primi casi, il fenotipo RTT è stato progressivamente ampliato e, oltre alla forma classica, sono state descritte cinque varianti: la variante di Zappella (o variante a linguaggio conservato), la variante con convulsioni ad esordio precoce, la variante congenita, le “forme fruste” e la variante a regressione tardiva 4. Dal punto di vista genetico, dato che la RTT colpisce soprattutto le bambine, i primi studi hanno ipotizzato una trasmissione X-legata dominante con letalità nei maschi emizigoti. Tuttavia, dato che la maggior parte dei casi si presenta in forma sporadica, è stato difficile mappare il locus della malattia attraverso studi di associazione. Nel 1998, grazie allo studio di una serie di rari casi familiari RTT, è stato possibile identificare la regione critica in Xq28 5. Nel 1999 lo screening mutazionale di geni candidati inclusi nella regione ha permesso l’identificazione di MECP2 come causa della forma classica 6. Nei successivi dieci anni sono stati compiuti numerosi passi avanti anche nella comprensione delle cause delle varianti RTT. Nel 2000 è stato dimostrato che anche la variante di Zappella è causata da mutazioni nel gene MECP2 7. Nel 2005 è stato dimostrato che un secondo gene localizzato sempre sul cromosoma X, CDKL5, è coinvolto nella variante con convulsioni ad esordio precoce 8. Recentemente è stato identificato FOXG1, localizzato sul cromosoma 14, come il primo gene autosomico associato alla RTT, in particolare alla variante congenita 9. 1 Questi risultati hanno dimostrato che la RTT presenta eterogeneità genetica oltre che clinica ed hanno fornito le basi molecolari per comprendere i meccanismi patogenetici della malattia e per disegnare strategie terapeutiche mirate. 1.2 Tratti clinici della forma classica La RTT presenta un caratteristico decorso clinico divisibile in quattro stadi 10 . L’anamnesi prenatale e perinatale è normale sebbene, retrospettivamente, possono essere osservati lievi segni della malattia come occasionali movimenti stereotipati o posture distoniche 11 . Dopo un periodo di circa 6-18 mesi, le bambine presentano un arresto dello sviluppo (stadio I, di stagnazione), seguito da una fase di regressione (stadio II). In questo stadio (1-4 anni), si ha perdita delle abilità precedentemente acquisite come l’uso finalistico delle mani e il linguaggio verbale. Inoltre è evidente un rapido declino delle interazioni sociali, associato alla comparsa di tratti autistici. Le bambine manifestano movimenti stereotipati involontari delle mani quali torsione, lavaggio e congiunzione sulla linea mediana. Sono inoltre presenti bruxismo e anomalie del respiro come apnee ed iperventilazione. In questo stadio, si manifesta un rallentamento della crescita della circonferenza cranica che spesso risulta in microcefalia (impropriamente definita microcefalia acquisita). Nello stadio successivo (stadio III), detto di pseudostagnazione (4-7 anni), si assiste ad una diminuzione della sintomatologia autistica e ad un miglioramento nelle interazioni sociali, nonostante che l’incapacità di parlare, l’aprassia e le stereotipie manuali persistano. Diventa più evidente l’iposviluppo somatico, la scoliosi e spesso compaiono crisi convulsive. Caratteristiche spesso presenti sono inoltre stipsi ed estremità fredde. Il quarto e ultimo stadio (5-15 anni) è caratterizzato da un progressivo deterioramento globale che può giungere fino alla condizione di tetraparesi spastica (stadio IV di degenerazione motoria tardiva). 1.3 Tratti clinici delle forme varianti In aggiunta alla forma classica, sono state descritte cinque varianti RTT che differiscono per età d’insorgenza e gravità dei sintomi. La variante di Zappella (Z-RTT) o variante con conservazione del linguaggio (Preserved Speech Variant), descritta per la prima volta da Zappella nel 1992, è la più comune 12 . Tale variante presenta un decorso clinico più favorevole. Le pazienti, diversamente dalle RTT classiche, presentano in genere una circonferenza cranica normale, la cifoscoliosi è più 2 lieve e l’ipoevolutismo somatico è ridotto, talvolta con tendenza al sovrappeso. Durante il terzo stadio, le pazienti acquisiscono nuovamente alcune abilità precedentemente perdute come il linguaggio verbale. Alcune pazienti sono in grado di pronunciare solo poche parole mentre altre riescono a comunicare anche con frasi complesse. Si osserva un miglioramento nell’uso delle mani, sebbene persista una considerevole disprassia e siano presenti i classici movimenti stereotipati. La loro capacità motoria migliora a tal punto che alcune bambine sono anche in grado di salire e scendere le scale autonomamente. Nella variante con convulsioni ad esordio precoce, descritta per la prima volta da Hanefeld nel 1985, il periodo iniziale è mascherato dall’insorgenza di convulsioni, solitamente in forma di spasmi in flessione 13 . La comparsa delle convulsioni è accompagnata da un ritardo dello sviluppo psicomotorio. Solo più tardi le bambine sviluppano le caratteristiche tipiche della RTT come le stereotipie manuali, soprattutto di tipo “hand-mouth”. Inoltre la circonferenza cranica, il peso e l’altezza sono normali nella maggior parte dei casi. Nella variante congenita, il ritardo psicomotorio è evidente sin dai primi mesi di vita, spesso con ipotonia e alterazioni precoci dell’EEG 14 . Nei mesi successivi compaiono i vari stadi precedentemente descritti nella sindrome classica e possono comparire convulsioni generalizzate. Le “forme fruste” sono varianti RTT che non presentano le tipiche caratteristiche della malattia 15 . In genere il primo stadio compare più tardi (1-3 anni). Le bambine mostrano sintomi iniziali più lievi e hanno un deterioramento clinico più protratto nel tempo. Solitamente conservano una qualche forma di linguaggio e le anomalie evolutive sono molto meno evidenti. Le classiche stereotipie delle mani possono essere atipiche o del tutto assenti. Il quadro clinico diventa più simile alla RTT quando queste bambine arrivano all’adolescenza e all’età adulta. Le bambine con la variante a regressione tardiva sono di rarissima osservazione4. In queste varianti, lo stadio I è più protratto nel tempo e la regressione può insorgere durante le scuole elementari. Fino allo sviluppo della fase II le pazienti hanno un semplice ritardo mentale di grado medio. Nei mesi successivi compaiono i vari stadi già descritti nella sindrome classica. 3 1.4 I geni coinvolti nella sindrome di Rett MECP2 Circa il 95% delle pazienti affette da RTT classica e il 20-40% delle varianti presentano mutazioni nel gene MECP2 (Methyl-CpG-binding Protein 2) (OMIM#300005) 16. La maggior parte di queste mutazioni insorge “de novo” nella linea germinale paterna 17 . I rari pazienti maschi con fenotipo RTT classico mutati in MECP2 hanno un cariotipo XXY o presentano la mutazione a mosaico 16. Ad oggi, nelle pazienti RTT, sono state descritte più di 200 mutazioni in MECP2 (http://mecp2.chw.edu.au/; http://www.biobank.unisi.it). Esistono otto alterazioni ricorrenti che coinvolgono sequenze CpG (R168X, R255X, R270X, R294X, R106W, R133C, T158M e R306C) e che rappresentano il 65% delle mutazioni puntiformi18. Oltre alle mutazioni puntiformi, anche le delezioni estese di MECP2 rappresentano una causa importante di RTT, soprattutto nei casi con fenotipo classico 19-25 . E’ importante sottolineare che mutazioni in MECP2 sono state identificate anche in fenotipi clinici non RTT come condizioni Angelman-like, ritardi mentali X-legati non sindromici, sindrome PPM-X, autismo ed encefalopatia neonatale 26-31 . Recentemente sono state identificate duplicazioni che comprendono MECP2 in pazienti maschi con grave ritardo mentale, ipotonia, spasticità progressiva, epilessia e infezioni respiratorie ricorrenti 32-34. Il gene MECP2, localizzato nella regione Xq28, è costituito da quattro esoni ed è sottoposto a splicing alternativo che dà origine a due isoforme proteiche (Fig. 1). L’isoforma identificata per prima, denominata MECP2_e2, ha il codone di inizio nell’esone 2 ed è costituita da 487 amino acidi (Fig. 1). Rappresenta l’isoforma ubiquitaria, con espressione elevata nei fibroblasti e nelle cellule linfoblastoidi. Diversamente, l’isoforma MECP2_e1, identificata nel 2004, non include l’esone 2 ed utilizza il codone di inizio nell’esone 1 (Fig. 1) 35,36 . E’ costituita da 498 amino acidi e rappresenta l’isoforma maggiormente espressa nel cervello 35,36. Il gene codifica per una proteina, MeCP2, che storicamente era nota per agire da silenziatore dell’espressione genica. Infatti, è stato dimostrato che MeCP2 si lega alle CpG metilate e, reclutando co-repressori e le iston deacetilasi, è in grado di reprimere la trascrizione genica 37,38. Dopo la pubblicazione della correlazione tra MECP2 e RTT, sono state caratterizzate nuove funzioni della proteina. Nel 2003, è stato dimostrato che MeCP2 ha un ruolo fondamentale nella regolazione dell’architettura globale della cromatina e che, in questa 4 funzione, può agire indipendentemente dalle iston deacetilasi 39 . Uno studio del 2005 ha dimostrato che MeCP2, interagendo con il fattore YB-1, è coinvolto nel processo di splicing dell’mRNA 40. In accordo, nel modello murino di RTT, è stata rilevata la presenza di prodotti di splicing aberranti 40 . Recentemente uno studio di “ChIP on chip”, mirato ad identificare i target neuronali della regolazione epigenetica di MeCP2, ha sorprendentemente dimostrato che la proteina si lega anche a geni attivamente regolati 41 . Inoltre è stato dimostrato che MeCP2 può legarsi anche a siti non metilati, localizzati a notevole distanza dai geni 41 . Attualmente la definizione corretta di MeCP2 è quindi di quella di “regolatore trascizionale” e non più di “repressore trascizionale”. La proteina MeCP2 contiene tre domini funzionali: il dominio MBD (Methyl CpG Binding Domain), il dominio TRD (Tracriptional Repression Domain) contenente un segnale di localizzazione nucleare (NLS) e un dominio C-terminale (Fig. 2). Tramite il dominio MBD, MeCP2 lega il DNA attaccandosi alle citosine metilate e tramite il dominio TRD, reclutando proteine come Sin3A o Ski/NcoR, media la repressione genica. Il dominio C-terminale contiene una sequenza ripetuta di proline altamente conservata che permette il legame con fattori di splicing contenenti domini WW del gruppo II 42. 5 Fig. 1. Struttura genomica di MECP2 e varianti di splicing. La sequenza codificante è rappresentata in giallo. Fig. 2. Struttura della proteina MeCP2 e domini funzionali. MBD: methyl binding domain; TRD: transcription repression domain; NLS: nuclear localisation signal; C-ter: C-terminal domain. I numeri sotto la figura si riferiscono ai residui aminoacidici. 6 CDKL5 Mutazioni nel gene CDKL5 (Cyclin Dependent Kinase-Like 5) (OMIM#300203), localizzato nella regione Xp22, sono state identificate in pazienti con la variante RTT con convulsioni ad esordio precoce sindrome di West 49,50 8,43-48 . CDKL5 risulta inattivato anche in bambine con la . Inoltre mutazioni in CDKL5 sono state identificate in pazienti, sia maschi che femmine, con grave encefalopatia infantile associata ad epilessia51,52. Il gene è costituito da 23 esoni, di cui i primi tre (1, 1a e 1b) non sono tradotti 49. CDKL5 codifica per una proteina ubiquitaria con espressione elevata nel cervello, nei testicoli e nel timo 53. Si tratta di una putativa serina-treonina chinasi che presenta, a livello della regione Nterminale, un dominio catalitico altamente conservato contenente un sito di legame per l’ATP e un sito attivo di fosforilazione (Fig. 3) 54 . Sempre nel dominio catalitico è presente un motivo treonina-X-tirosina (Thr-Xaa-Tyr) la cui doppia fosforilazione è essenziale per l’attivazione della proteina (Fig. 3). L’identificazione di mutazioni in CDKL5 in pazienti con caratteristiche RTT ha portato ad ipotizzare che CDKL5 e MeCP2 facessero parte della stessa via di segnalazione molecolare. A favore di questa ipotesi è stato dimostrato che, a livello cerebrale, Mecp2 e Cdkl5 presentano un profilo di espressione simile sia in termini di spazio che di tempo 43,45 . Inoltre è stato dimostrato che le due proteine interagiscono in vitro e in vivo e che CDKL5 è in grado di fosforilare se stessa e mediare la fosforilazione di MeCP2 in vitro (Fig. 4) 45 . Esperimenti successivi hanno dimostrato che, a seconda della mutazione in CDKL5, l’attività catalitica della proteina può risultare aumentata o diminuita, indicando che una regolazione accurata dei livelli di funzionalità della chinasi sono essenziali per le funzioni cerebrali 55 . Inoltre è stato dimostrato che la porzione C-terminale di CDKL5 regola negativamente l’attività catalitica della proteina e ed è essenziale per la sua localizzazione sub-cellulare 55,56. 7 Fig. 3. Struttura della proteina CDKL5. In azzurro è rappresentato il dominio chinasico con al suo interno il sito di legame per l’ATP (in rosa), il sito attivo di fosforilazione (in viola) e il motivo Thr-Xaa-Tyr (tratteggiato). I numeri sopra la figura si riferiscono ai residui aminoacidici. Fig. 4. Interazione CDKL5-MeCP2. La regione C-terminale di MeCP2 interagisce direttamente con la porzione intermedia di CDKL5. CDKL5 è una chinasi in grado fosforilare se stessa e di mediare la fosforilazione di MeCP2. 8 FOXG1 Recentemente abbiamo identificato il gene responsabile della variante RTT congenita: FOXG1 (Forkhead Box G1) (OMIM#164874) (Appendice IV). Questa scoperta è stata possibile grazie all’utilizzo della tecnica array-CGH che ha permesso di identificare una delezione di circa 3 Mb sul cromosoma 14 (q12) in una bambina con dismorfismi ed un decorso clinico simile alla sindrome di Rett 57 (Fig. 5). Questo ci ha portato ad ipotizzare che un gene contenuto all’interno della regione deleta potesse essere responsabile dei casi RTT senza mutazioni nei due geni noti. Abbiamo quindi studiato il contenuto genico di tale regione ed abbiamo selezionato FOXG1 come candidato in quanto codifica per un fattore trascrizionale che esercita un ruolo fondamentale nelle prime fasi di sviluppo del cervello (Fig. 5). Analizzando tale gene in un gruppo di pazienti RTT senza mutazioni in MECP2 o CDKL5 abbiamo identificato due casi con mutazione “de novo”, entrambi affetti dalla variante RTT congenita (Appendice IV). Il gene FOXG1 è costituito da cinque esoni 58 . L’isoforma maggiormente espressa (NM_005249) utilizza soltanto l’esone 1 mentre sono state identificate quattro isoforme con espressione specifica nel cervello fetale che utilizzano anche gli altri esoni (2-5) 58 . Tali isoforme utilizzano lo stesso sito donatore di splicing localizzato precocemente rispetto a quello dell’isoforma principale 58 . Le isoforme fetali mancano degli ultimi 37 aminoacidi rispetto all’ isoforma principale e hanno diverse regioni C-terminali definite da composizioni alternative di sequenze addizionali esoniche 58. La proteina FoxG1 è costituita da un dominio fork-head (FHD) con cui lega il DNA e da due domini di interazione con fattori di co-repressione: Groucho e JARID1B (Fig. 6) 59,60 . Dato che mutazioni in MECP2 e FOXG1 causano un quadro clinico simile, è stato ipotizzato che le due proteine possano interagire direttamente o indirettamente. Durante lo sviluppo del cervello, FoxG1 raggiunge la sua massima espressione durante la fase embrionale e quindi più precocemente rispetto a MeCP2 che invece è espresso maggiormente a livello post-natale. Questo potrebbe spiegare l’insorgenza precoce dei sintomi rispetto alla forma classica. Tuttavia è stato recentemente dimostrato che, nella corteccia cerebrale, FOXG1 è espresso anche dopo la nascita, seppure a livelli inferiori rispetto alla vita fetale (Appendice IV). Inoltre, a livello di singola cellula, è stato dimostrato che anche la proteina FoxG1 è localizzata nel nucleo ma, a differenza di MeCP2, non sembra essere associata stabilmente alla eterocromatina (Appendice IV). Questi dati, seppur ancora preliminari, sembrano indicare che le vie di segnalazione delle due proteine potrebbero essere in qualche modo interconnesse. 9 E’ però anche possibile che tale connessione non si verifichi e che le due proteine agiscano come fattori di regolazione a diversi stadi di sviluppo nel processo che porta alla completa formazione della corteccia cerebrale, dalle fasi iniziali fino alla determinazione delle connessioni tra neuroni. Fig. 5. Identificazione della delezione sul cromosoma 14 nella paziente con fenotipo RTT-like. a) Profilo array-CGH. Sulla sinistra, è rappresentato l’ideogramma del cromosoma 14. Sulla destra, sono riportati i valori di “log2 ratio” delle sonde in base alla loro posizione lungo il cromosoma. Le sonde con valore sullo zero indicano un uguale rapporto di intensità di fluorescenza tra il campione e il DNA di riferimento. La delezione di circa 3 Mb è indicata dallo sposatamento dei valori verso sinistra. b) Contenuto genico della delezione (UCSC Genome Browser; http://genome.ucsc.edu). La delezione, riportata in verde, contiene cinque geni noti tra cui FOXG1. 10 Fig. 6. Struttura della proteina FoxG1 e domini funzionali. FHD: fork-head domain; GTBD: Groucho-binding domain; JBD: JARID1B binding domain. I numeri sopra la figura si riferiscono ai residui aminoacidici. 1.5 Obiettivi dello studio Nel corso di questi quattro anni di Scuola di Specializzazione, una parte importante della mia attività è stata dedicata alla diagnosi di sindrome di Rett. In particolare, è stata studiata sia dal punto di vista clinico che molecolare, una casistica di 199 pazienti RTT, di cui 139 con fenotipo classico e 60 varianti. Uno degli obiettivi fondamentali dello studio è stato quello di giungere ad un miglior inquadramento dell’eterogeneità clinica della RTT, definendo dei criteri diagnostici che potessero indirizzare l’analisi molecolare (Appendice II e III). A seconda dello specifico fenotipo clinico, abbiamo effettuato l’analisi mutazionale dei tre geni attualmente noti per essere coinvolti nella RTT: MECP2, CDKL5 e FOXG1 (Appendice I, II, III e IV). L’analisi è stata effettuata mediante DHPLC e sequenziamento automatico per identificare le mutazioni puntiformi e mediante PCR quantitativa Real Time o MLPA per rilevare i grossi riarrangiementi. Questo studio ci ha portato a definire un protocollo diagnostico sia per le forme classiche che per le forme varianti e ad effettuare correlazioni genotipo-fenotipo utili per una migliore definizione della prognosi. 11 2. MATERIALI E METODI 2.1 Casistica La casistica di 199 pazienti RTT è stata raccolta grazie alla collaborazione con l’U.O. di Neuropsichiatria Infantile di Siena. In particolare, la casistica include: 139 pazienti con la forma classica, 45 varianti di Zappella (di cui 3 ad “alto funzionamento”), 6 varianti con convulsioni ad esordio precoce, 3 varianti congenite e 6 “forme fruste”. Le pazienti sono state classificate in RTT classiche o varianti sulla base di criteri internazionali, secondo l’ultima revisione del 2002 61. 2.2 Estrazione del DNA genomico Il DNA è stato estratto da prelievi di sangue periferico (10 ml) in EDTA tramite QIAamp DNA Blood Maxi Kit (Qiagen). Il kit contiene proteinasi (10 mg/ml), buffers, colonne (QIAamp Maxi Columns) e provette da 50 ml. Inizialmente si aggiungono 500 l di proteinasi e 12 ml di Buffer AL. Si vortexa per 15 e si lascia il campione a 70°C per 10. Si aggiungono 10 ml di Etanolo Assoluto e si vortexa. Il contenuto si trasferisce, in due passaggi, nelle colonne e si centrifuga a 3000 rpm per 3. Il sottonatante (il lisato) viene scartato e la colonna viene messa in una nuova provetta da 50 ml. A questo punto si aggiungono 5 ml di buffer AW1 e si centrifuga a 5000 rpm per 1’. La colonna viene posta in una nuova provetta ed il filtrato viene scartato. Si aggiungono 5 ml di buffer AW2 e si centrifuga a 5000 rpm per 15’. La colonna è posta in un nuovo alloggiamento, scartando il filtrato. Si aggiungono 1 ml di buffer AE e si lascia il campione a temperatura ambiente per 5. Infine si centrifuga a 5000 rpm per 5 ed il DNA ottenuto viene quantizzato tramite lettura spettrofotometrica. La lettura della densità ottica (O.D.) viene effettuata a due lunghezze d’onda: 260 nm, per determinare la quantità di DNA, e 280 nm, per valutare la quantità di proteine. Il rapporto tra O.D. a 260 nm e O.D. a 280 nm è un indice della qualità del prodotto ottenuto con l’estrazione e deve assumere valori compresi tra 1.8 e 2.0. 12 2.3 Analisi di mutazioni puntiformi PCR La PCR (Polymerase Chain Reaction) è una tecnica che permette l’amplificazione di specifici frammenti di DNA dei quali si conoscono le sequenze alle due estremità. Questa reazione avviene grazie alla capacità della DNA polimerasi di sintetizzare un filamento di DNA complementare ad una sequenza che utilizza come stampo. Per innescare la sintesi, però, ha bisogno di oligonucleotidi, i primers, che si appaiano al filamento stampo in corrispondenza delle estremità del frammento e funzionano da innesco della reazione. Per l’amplificazione della porzione codificante dei geni MECP2, CDKL5 e FOXG1 sono stati utilizzati i primers riportati rispettivamente in Tab. 1, 2 e 3. Amplicone Forward primer Reverse primer Lunghezza (5’>3’) (5’>3’) (bp) 1 GGAGAGAGGGCTGTGGTAAAAG CATCCGCCAGCCGTGTCGTCCG 389 2 TGTGTTTATCTTCAAAATGT GTTATGTCTTTAGTCTTTGG 365 3A CCTGCCTCTGCTCACTTGT CCCCAGTATGTACCCAG 340 3B AGCCCGTGCAGCCATCAGCC CAAGGGGGGCTGGGGTGGGA 350 4A TTT GTCAGAGCGTTGTCACC GAAGGGTCCTGAAAAGAGGT 380 4B AAACCACCTA AGAAGCCCAA A GACGTGTCTAGCCTATCTTCT 381 4C CAGGTCATGGTGATCAAACG TGAGACTCACCACCACTA 394 4D GGACTGAA GACCTGTAAG AG GTACCTCCTACTTTGTTACAG 396 4E CGGCCGCAGAAAAGTACAA TCAGAGCCCTACCCATAAGGA 209 Tab. 1. Sequenze dei primers per l’amplificazione dei quattro esoni codificanti di MECP2. 13 Amplicone Forward primer Reverse primer Lunghezza (5’>3’) (5’>3’) (bp) 2 AGGTAAGATTGGTTACTAGAG AATAACTAACTGTTCATTGCTC 350 3 TGAGAAGCAATGTCAGTATAG CCTGTACATGCCCACACGC 201 4 CTGGCTTCTTGCTACTCTG TATATCTACCTTCACTGTCCTT 159 5 AGTGTTCTTGGAATTCTTTG GGCAAATGTGCACATTGGC 244 6 CTCTGTATTGGATGAATTATTC TTCTTAAAGACAGTAACATGTG 303 7 TTTATCTTGACACTCCAGA ACTCCTCCAGCAATCAATT 237 8 GCCCATGCGAGAACAGTCATTAC GCAAATGACAATAGAATCAGCAG 394 9 TTATTCACTTGTGTTCTGATGAT CAAATACTGCAGTATTGATTCC 410 10 TATGAATTTGACTGGGATTGG CTATGGTCACATGTAGACAC 275 11 TTGATATTCTGCAATGACTGTG AGCCACCTCCTCCACCTAC 333 12A TTGTGTGTCAGCTATTGAGG GGTTCTGCTGAGATCTGCTG 406 12B CAACAACATACCACACCTTC TTCTCGTGTCACTGTGTCTG 422 12C ACTCCAAGTCTGTGAGCAAC AGATGGACCCTCATCACATC 541 13 GGTTATGGTCCTAGTTCTAC CACTTCAACTTATTTGTGGG 298 14 CAATAGAGTGAGACCCTGTC CTGAGTCGGTGAAAGCAGTG 279 15 AAAAGTCCATCAGTGACTTAC CCTAGCAGGAGAAAGGACAC 262 16 TATAGGAACCTAGTGTCATGC CAACTTTGATTGCCAAGTGC 293 17 CTTGGGTGTGGTTGCATATC CTGTAACATTGAGAGGCTAAG 296 18 CTTGCACATGCTTGCCCTTC CACCCAGCTGTTCAGAGTAG 418 19 ACTCTGGTCAATGGGATGTG CATTCAGTAGTCTAGGGTCG 249 20 TTGGCTTCAGCTGGTGTCTG CATCTGCATTTCTACAGCTC 345 21 CATTAGCCAGAGTGCACCTG AGGAAAACTCAACCTCAGCG 354 Tab 2. Sequenze dei primers per l’amplificazione dei 20 esoni codificanti di CDKL5. Amplicone Forward primer Reverse primer (5’>3’) (5’>3’) Lunghezza (bp) 1A CGTTCGGCACCCACCGGT CAGCCCGTCCGCTTTAGC 459 1B ACCACAACAGCCACCACC CTTCTCGTACTTGCCGTTC 428 1C AACGGCAAGTACGAGAAGC ACGGGTCCAGCATCCAGTA 253 1D CCACAATCTGTCCCTCAAC TGAGTCAACACGGAGCTGT 351 1E TCCTGTCCCTGCACCAC CTCTGCGAAGTCATTGAC 352 1F CTGCTCTGGGACCTACTC TGCAAATGTGTGTAAAACGTT 332 Tab 3. Sequenze dei primers per l’amplificazione dell’unico esone codificante di FOXG1. 14 Dopo aver diluito i primers ad una concentrazione di 50 pmol/µl e i campioni di DNA ad una concentrazione finale di 100 ng/µl, si esegue la reazione di PCR preparando una mix con: tampone di reazione 1X, primer F 0,5 pM/ μl primer R 0,5 pM/ μl dNTPs 2mM MgCl2 1,5 mM Taq polimerasi 0,4 u/μl La mix viene poi aliquotata in provette da 0.2 ml e ad essa vengono aggiunti 100 ng di DNA, in un volume finale di 50 µl. Il programma di amplificazione prevede una denaturazione iniziale a 95°C per 5’, seguita da 35 cicli costituiti da: Denaturazione a 95°C per 1’, in modo da far aprire completamente le due eliche di DNA. Appaiamento (annealing) per 45’’alla temperatura specifica per far appaiare i primers al filamento stampo. Questa temperatura dipende dalla composizione in basi dei primers ed è calcolata con la seguente formula: Td = 4x (G+C)+2x (A+T) Estensione a 72°C per 45’’. In questa fase la Taq-polimerasi si lega al primer e inizia a sintetizzare il nuovo filamento. Dopo i 35 cicli, viene effettuata una estensione finale a 72°C per 5’. Le temperature di annealing utilizzate per l’analisi dei geni MECP2, CDKL5 e FOXG1 sono riportate rispettivamente in Tab. 4, 5 e 6. Alla fine della reazione otteniamo circa un milione di copie del filamento iniziale di DNA. La PCR, infatti, è un processo esponenziale che segue l’equazione: Y = Q x 2n 15 dove Y rappresenta la quantità di prodotto finale, Q è la quantità di substrato iniziale e n è il numero dei cicli di amplificazione. Questo processo esponenziale si arresta dopo la fase ciclica, nella quale la quantità di prodotto finale aumenta esponenzialmente per poi raggiungere un plateau. Dopo la reazione di amplificazione si esegue una corsa elettroforetica del DNA in modo da osservare la qualità dell’amplificato. A tale scopo viene usato un gel di agarosio preparato usando 50 ml di agarosio all’1,2% con etidio bromuro allo 0,006%. Il gel viene fatto solidificare e corso in tampone TAE 1X (Tris acetato 40 mM, EDTA 250 mM) per 20’ a 90V. Dopo la corsa il prodotto di PCR viene visualizzato con un transilluminatore a luce ultravioletta che rende fluorescente l’etidio bromuro che si è intercalato al DNA amplificato. Insieme al prodotto di amplificazione viene fatto correre un marker (DNA Molecular Weight Marker VI, 0.15 – 2,1 kbp) per valutare l’esatta dimensione dell’amplificato stesso. DHPLC La DHPLC (Denaturing High Performance Liquid Chromatography) è una tecnica di separazione ad elevata efficienza e sensibilità, che consente di caratterizzare differenti molecole in base a specifiche caratteristiche chimico-fisiche e steriche. La DHPLC impiega il meccanismo della ripartizione in fase inversa ad accoppiamento ionico 62. L’avvento di questa tecnica nell’analisi mutazionale ha portato numerosi vantaggi, primi tra tutti lo smaltimento rapido di ampie casistiche e l’applicabilità su frammenti di DNA di dimensioni variabili tra le 100 e le 700 pb. Il sistema cromatografico è composto da due fasi: la fase solida o stazionaria, costituita da materiale di riempimento della colonna, e la fase liquida o mobile, costituita dal solvente che scorre attraverso la colonna. La fase stazionaria è costituita da microsfere di polystirene-divinilbenzene ed è elettricamente neutra e idrofobica, per cui i frammenti di DNA, contenenti ioni fosfato carichi negativamente, possono legarsi alla matrice della colonna solo con l’ausilio di una molecola ponte, il TEAA (TriEtilAmmonio Acetato). Il TEAA è una molecola carica positivamente con doppia funzionalità lipofila e idrofila, infatti, mentre la parte apolare della molecola interagisce con la fase stazionaria, la parte polare interagisce con il DNA. Il ruolo del TEAA è quello di circondare la molecola di DNA da analizzare e di farla interagire con la fase stazionaria. Il TEAA è aggiunto in basse quantità (0.1 M) nel tampone, in modo da essere costantemente disponibile. 16 Il principio su cui si basa la DHPLC è la differente interazione che le molecole da separare mostrano nei confronti del materiale cromatografico, sotto la modulazione chimica e meccanica dei tamponi. Il risultato è che il tempo di ritenzione in colonna dei frammenti, varia in funzione della qualità e quantità delle interazioni che essi stabiliscono con la fase stazionaria. Le molecole caratterizzate da un minor numero di interazioni vengono eluite più velocemente e viceversa. Quando un frammento di DNA è sottoposto ad analisi mediante DHPLC si possono verificare due situazioni: - Nel caso in cui il frammento in esame non presenti mutazioni puntiformi, dopo un ciclo di denaturazione e successiva rinaturazione, si formeranno molecole di omoduplex, cioè molecole costituite da due filamenti perfettamente appaiati tra loro, in grado di instaurare un numero elevato di interazioni con la colonna, risultando quindi stabilmente legati ad essa. La presenza di molecole di omoduplex risulterà, all’analisi mediante DHPLC, in un unico picco di eluizione. - Nel caso vi sia una mutazione puntiforme, dopo denaturazione e successiva rinaturazione, si formeranno oltre alle molecole di omoduplex, molecole di eteroduplex, costituite da due filamenti di DNA non perfettamente appaiati tra loro per la presenza di una “bolla” di mis-appaiamento nel punto della mutazione (Fig. 7). La presenza di questa bolla rende meno stabile la molecola all’interno della colonna, in quanto diminuisce il numero di interazioni tra il frammento e la fase stazionaria, quindi il tempo di eluizione sarà inferiore rispetto alle molecole di omoduplex. Di conseguenza se un frammento presenta una mutazione saranno visibili un picco alterato o più picchi addizionali corrispondenti alle molecole di eteroduplex (Fig. 7). 17 Fig. 7. Nella parte superiore della figura, è rappresentata la formazione delle molecole di omoduplex ed eteroduplex dopo denaturazione e successiva rinaturazione del DNA in presenza di una mutazione in eterozigosi. Nella parte inferiore della figura, sono rappresentati i quattro picchi che nel cromatogramma corrispondono alle molecole di omoduplex ed eteroduplex. Per l’analisi al DHPLC il prodotto di PCR viene quindi denaturato a 95˚C, rinaturato a 65˚C per 10’ e raffreddato a 4˚C per favorire la formazione di eventuali eteroduplex. Le provette contenenti i prodotti di PCR possono essere poste direttamente nell’autocampionatore del sistema, che provvede a prelevare, in condizioni standard, 5 l di amplificato (circa 20-50 ng di DNA) ed iniettarlo nel sistema per l’analisi. Per ogni frammento è necessario calcolare la temperatura di melting (temperatura di “quasi denaturazione”), che verrà poi utilizzata per l’esame dei campioni. La temperatura di melting dipende da una serie di caratteristiche, tra cui la lunghezza del frammento e la sua composizione in paia basi, e viene calcolata da un apposito software (WaveMaker Software) che visualizza i domini contenuti nella sequenza e propone le temperature di analisi. Una volta scelta la temperatura di lavoro per ogni amplicone (Tab. 4, 5 e 6), si procede ad analizzare i campioni dello screening. L’analisi dei frammenti 1A e 1B del gene FOXG1 non è stata effettuata tramite DHPLC, ma direttamente tramite sequenziamento poiché la loro sequenza presenta un contenuto troppo alto di ripetute. Questo, durante la fase di rinaturazione, provoca un appaiamento sfalsato dei filamenti complementari e il cromatogramma che ne risulta contiene picchi addizionali che non permettono l’analisi mutazionale. 18 Amplicone Temperatura di annealing (°C) Temperatura/e di melting (°C) 1 60 63.8, 68.8 2 60 59 3A 69 59 3B 72 64 4A 62 61, 62 4B 63 64, 65 4C 61 63 4D 62 64 4E 60 61, 62 Tab. 4. Temperature di annealing (PCR) e melting (DHPLC) per l’analisi di MECP2. Amplicone Temperatura di annealing (°C) Temperatura/e di melting (°C) 2 58 55, 57 3 58 55 4 58 57 5 54 57 6 59 55 7 56 8 55 53 55.8, 57 9 55 10 59 55 57 11 62 53, 56 12A 60 56, 59 12B 60 57, 60 12C 60 57 13 60 57,59 14 64 57, 60 15 60 56 16 59 53 17 60 59 18 62 61 19 60 59 20 62 61 21 60 59, 63 Tab. 5. Temperature di annealing (PCR) e melting (DHPLC) per l’analisi di CDKL5. 19 Amplicone Temperatura di annealing (°C) Temperatura/e di melting (°C) 1A 61 - 1B 58 - 1C 62 63, 63.4 1D 59 64.8, 65.8, 66.8 1E 61 64.3, 65.1, 66.1 1F 57 58.2, 60.2, 64.5 Tab. 6. Temperature di annealing (PCR) e melting (DHPLC) per l’analisi di FOXG1. I frammenti 1A e 1B sono stati direttamente analizzati tramite sequenziamento. Per monitorare le separazioni ottenute in colonna si utilizza uno spettrofotometro corredato di microcella a flusso, dove l’eluito passa in continuazione e ne viene effettuata la lettura all’ultravioletto a 260 nm. Il segnale di assorbanza viene tradotto in intensità (mV). Il risultato viene registrato dal PC e riportato sotto forma grafica nel cromatogramma. Sequenziamento automatico I campioni con profili di eluizione alterati sono stati analizzati mediante sequenziamento automatico (Abi Prism 310, Applera) in modo da caratterizzare la mutazione. La metodica del sequenziamento si basa sull’utilizzo, nella reazione di amplificazione, di una miscela di deossinucleotidi e di dideossinucleotidi trifosfato marcati con quattro fluorocromi distinti (ddNTP*). I ddNTP* sono privi del gruppo –OH in posizione 3’. Questa sostituzione fa sì che la DNA polimerasi, che richiede tale gruppo –OH per aggiungere il successivo nucleotide al filamento in crescita, non possa proseguire la sintesi del filamento. La tecnica prevede l’allestimento di una miscela di reazione contenente il prodotto di PCR purificato utilizzando un kit di purificazione (Jet QUICK - Genomed), un primer specifico, deossinucleotidi, dideossinucleotidi marcati con 4 diversi fluorocromi e una DNA polimerasi termoresistente che permette la sintesi del nuovo filamento. I campioni vengono amplificati mediante PCR nelle seguenti condizioni: Denaturazione a 96C per 10’’ Denaturazione a 96C per 10’’ Annealing alla temperatura specifica (60) per 10’’ Estensione a 60 per 4’ 25 cicli 20 Le fasi intermedie vengono ripetute per 25 cicli. Alla fine della reazione si otterranno una serie di frammenti di DNA di lunghezza diversa, terminanti tutti con un diverso dideossinucleotide marcato con uno specifico fluorocromo. In seguito le sequenze vengono precipitate con ETOH assoluto e Na+ Acetato, in modo tale da ottenere la separazione completa dei frammenti di DNA. Dopo la precipitazione, le sequenze vengono risospese in 20 μl di acqua e caricate all’interno del sequenziatore ABI310 (Applera). Si tratta di un sequenziatore monocapillare: i campioni, separati elettroforeticamente, vengono letti da un laser che riconosce il dideossinucleotide marcato. Si ottiene così un cromatogramma nel quale ogni nucleotide è rappresentato da un picco di uno specifico colore: rosso per la Timina, verde per l’Adenina, blu per la Citosina, nero per la Guanina. Le mutazioni si osservano confrontando una sequenza di un frammento wild-type con quella del nostro campione. Le mutazioni in omozigosi si evidenziano con un picco nella sequenza del campione di un colore differente rispetto a quello del picco corrispondente nella sequenza di controllo. Le mutazioni in eterozigosi, invece, si visualizzano con la presenza di due picchi sovrapposti di colore diverso. 2.4 Analisi di grossi riarrangiamenti MLPA La metodica MLPA (Multiplex Ligation-dependent Probe Amplification) permette di rilevare i cambiamenti del numero di copie presenti nel DNA in esame. Il principio su cui si basa tale tecnica è l’amplificazione simultanea di sonde ibridizzate su regioni target. Ciascuna sonda MLPA è costituita da un oligonucleotide sintetico e un oligonucleotide derivato da DNA fagico M13. L’oligonucleotide sintetico contiene una sequenza universale all’estremo 5’ e una regione complementare alla sequenza target all’estremo 3’ (Fig. 8). L’altro oligonucleotide contiene una regione complementare alla sequenza target all’estremo 5’, una sequenza sintetica detta stuffer di lunghezza variabile e una sequenza universale all’estremo 3’ (Fig. 8). In seguito all’ibridazione, i due oligonucleotidi vengono uniti dall’enzima ligasi. Dal momento che le sonde contengono estremità 3’ e 5’ universali possono essere amplificati contemporaneamente con una sola coppia di primers e in un’unica reazione di PCR. La sequenza stuffer fornisce una diversa lunghezza a ciascuna sonda (Fig. 8). 21 a b Oligonucleotide derivato da M13 Oligonucleotide sintetico Primer X Sequenza stuffer Primer Y Esone A Esone B Sequenza da bridizzare d c Y Ligazione Ligazione A X Y Esone A Esone B B X Fig. 8. Principio della tecnica MLPA. a) Rappresentazione schematica di una sonda MLPA. Gli oligonucleotidi sintetici contengono la sequenza riconosciuta dal primer universale Y (in nero), mentre il frammento derivato da M13 contiene la sequenza specifica per il primer universale X (in nero) e la sequenza stuffer (in rosso). La sequenza target è indicata di blu; b) Ibridazione della sonda MLPA con il DNA. Il DNA genomico è denaturato e le due parti di ogni sonda MLPA sono ibridizzate sulla sequenza di riferimento; c) Reazione di legazione. Solo le sonde perfettamente appaiate vengono legate da una ligasi termostabile; d) Reazione di PCR. Tutte le sonde legate sono amplificate tramite PCR utilizzando un’unica coppia di primers (X e Y). Il prodotto di amplificazione di ciascuna sonda ha una lunghezza caratteristica, per cui ciascun frammento è riconoscibile in seguito a separazione mediante elettroforesi capillare. Per l’analisi del gene MECP2 è stato utilizzato il kit P015 (MRC Holland, Amsterdam). Le sonde contenute in questo kit consentono di analizzare tutti e 4 gli esoni di MECP2 e i geni vicini: IRAK1, L1CAM e SYBL1. Per l’analisi del gene CDKL5 è stato utilizzato il kit P189 (MRC Holland, Amsterdam). Le sonde contenute in questo kit consentono di analizzare tutti e 20 gli esoni codificanti di CDKL5. In più consente di analizzare alterazioni nel numero di copie in altri due geni: NTNG1 e ARX. L’analisi MLPA si compone di tre fasi: denaturazione-ibridazione, ligazione e PCR 63. 22 Fase 1: denaturazione e ibridazione Diluire il campione di DNA a 100 ng/µl e aggiungere TE fino ad un volume di 5 µl Denaturare il DNA per 5’ a 98°C e raffreddare fino a 25°C Aggiungere 1,5 µl di Salsa Probe-mix e 1,5 µl di MLPA buffer Denaturare a 95°C per 1’ e ibridare a 60°C per 16 h (overnight). Fase 2: ligazione Portare la temperatura a 54°C Aggiungere 32 µl di ligasi mix (3 µl di Ligasi-65 buffer A, 3 µl di Ligasi-65 buffer B, 25 µl di acqua bidistillata e 1 µl di Ligasi-65) Incubare 15’ a 54°C Incubare 5’ a 98°C per inattivare la ligasi Fase 3: PCR Aggiungere 4 µl di Salsa PCR Buffer 10X e 26 µl di acqua bidistillata a 10 µl di prodotto di legazione Caricare in macchina da PCR e portare a 60°C Aggiungere a ciascun campione 10 µl di Polimerasi-mix (2 µl di Salsa Enzyme Diluition Buffer, 5,5 µl di acqua bidistillata e 0,5 µl di Salsa Polymerase) Programma di PCR: - 30’’ a 95°C - 30’’ a 60°C 33 cicli - 60’’ a 72°C - 20’ a 72°C Al termine della reazione di PRC, 0,75 µl del prodotto di amplificazione sono addizionati a 0,75 µl di acqua, 0,5 µl di ROX e 12 µl di formammide deionizzata. I campioni vengono poi incubati a 94°C per 2’, raffreddati in ghiaccio ed infine caricati nel sequenziatore ABI-310 (Applied Biosystems) per la separazione dei frammenti e l’analisi tramite software Genescan. I dati vengono poi copiati su un file Excel (Microsoft) dove i risultati finali vengono calcolati tramite software “Coffalyser”(MRC Holland). Le alterazioni vengono 23 considerate significative se il valori presentano una deviazione maggiore del 30% rispetto al controllo. PCR quantitativa Real Time E’ una tecnica che consente di effettuare un’analisi quantitativa della sequenza target durante ogni ciclo di amplificazione. Per il monitoraggio della reazione di amplificazione è impiegata una molecola reporter fluorescente. Nei saggi Taq Man, le sonde sono costituite da oligonucleotidi di 20-25 bp con un fluorocromo legato all’estremità 5’ e un inibitore della fluorescenza detto “quencher” legato all’estremità 3’ (Fig. 9). Oltre alla sonda, i saggi Taq Man includono due primers complementari a regioni fiancheggianti la sonda. Data la specificità per la sequenza target, la sonda si appaia al templato di partenza ed ai prodotti di amplificazione nella regione compresa tra i primers forward e riverse. Durante la fase di estensione la Taq polimerasi modificata, grazie all’attività 5’ esonucleasica, frammenta la sonda che trova ibridata al templato, liberando il fluorocromo dal silenziamento del quencher (Fig. 9). La fluorescenza emessa, che viene registrata dallo strumento, è quindi direttamente correlata al livello di amplificazione del target. Il fluorocromo emette un segnale ogni volta che viene sintetizzato un nuovo filamento, per cui si ha una proporzionalità diretta tra la quantità di segnale e la quantità di amplificato. 24 a) R b) Q Primer forward 3’ 5’ 5’ 3’ R Q 3’ 5’ 5’ 3’ Primer reverse c) d) Primer forward R 3’ 5’ R Q Q Primer forward Primer reverse 5’ 3’ 3’ 5’ Primer reverse 5’ 3’ Fig. 9. Principio di funzionamento dei saggi TaqMan. a) La sonda presenta un fluorocromo in posizione 5’ (R=reporter) e un quencher (Q) in posizione 3’ che sopprime la fluorescenza del reporter finchè la sonda rimane intatta. b) Durante la reazione di PCR i primers e la sonda si legano al DNA e ha inizio la polimerizzazione del nuovo filamento. c) Quando la Taq polimerasi raggiunge la sonda la degrada grazie alla sua attività esonucleasica 5’-3’, provocando la separazione del reporter dal quencher. d) A questo punto la fluorescenza del reporter può essere rilevata dallo strumento non essendo più silenziata dal quencher. Per ogni campione analizzato, la fluorescenza relativa all’amplificazione del gene d’interesse viene paragonata a quella di un gene di riferimento (RNAseP). Inoltre la fluorescenza del campione test viene normalizzata rispetto a quella di un campione di controllo a genotipo noto. L’apparecchio ABI PRISM 7000 Sequence Detection System permette di rilevare in tempo reale l’accumularsi del prodotto durante il processo di PCR tramite il monitoraggio della fluorescenza emessa. Durante ciascun ciclo di PCR vengono collezionate immagini multiple dell’intera piastra da 96 pozzetti, rappresentate attraverso un diagramma in cui sulle ascisse è riportato il numero di cicli, sulle ordinate l’intensità di fluorescenza. Il diagramma della fluorescenza rispetto al numero dei cicli mostra un andamento sigmoide. Nei cicli finali, i substrati di reazione iniziano a scarseggiare, i prodotti di PCR non raddoppiano e la curva comincia ad appiattirsi. Il punto sulla curva in cui la quantità di fluorescenza comincia ad aumentare in modo esponenziale è definito “ciclo soglia” o Threshold Cicle (Ct). Tale valore cambia al variare della quantità di templato di partenza. Attraverso la comparazione del Ct viene calcolato il numero di copie geniche relativo. 25 Per il gene FOXG1, abbiamo deciso di utilizzare la tecnica di PCR quantitativa in quanto l’isoforma principale è codificata da un singolo esone e l’utilizzo di sonde multiple, che rappresenta il vantaggio principale dell’MLPA, non era necessario. In particolare, abbiamo utilizzato un saggio Taq Man contenente i primers e la sonda riportati in Tab. 7. Primers (5’>3’) Sonda TaqMan (5’>3’) GCCACAATCTGTCCCTCAACA TGAAGGTGCCGCG CCACTACG GACGGGTCCAGCATCCAGTA Tab 7. Sequenze dei primers e della sonda disegnati per l’analisi quantitativa di FOXG1. L’analisi di ogni campione è stata effettuata in 4 repliche del volume finale di 50 μl ciascuna. La miscela di reazione, oltre ai primers e alla sonda specifici, include: - Taqman Universal PCR Master Mix 1X, contenente Taq polimerasi, desossinucleotidi e buffer di reazione - DNA genomico in quantità appropriata (100 ng) - Gene di riferimento RNaseP - Acqua fino a volume La miscela viene aliquotata in una piastra da 96 pozzetti, che viene centrifugata 5’ a 3500 rpm per eliminare eventuali bolle d’aria. La piastra viene successivamente caricata sull’apparecchio “ABI PRISM 7000 Sequence Detection System” e viene effettuato il seguente programma di PCR universale: 50°C 2’ 95°C 10’ 60°C 1’ 95°C 15’ E 40 cicli di: 26 Alla fine della PCR, i dati possono essere esportati sotto forma di un file Excel per essere analizzati secondo il metodo di Livak 64. 2.5 Correlazione genotipo-fenotipo Raccolta degli score clinici In 158 pazienti mutate in MECP2 appartenenti alla nostra casistica è stato calcolato uno score clinico utilizzando un sistema modificato da altri precedentemente riportati in letteratura (Tab. 8) 65-67 . Tale sistema prende in considerazione 22 diversi tratti clinici (Tab. 8). Per ognuno di questi tratti è stato assegnato uno score di gravità: 0 (fenotipo lieve), 1 (fenotipo intermedio) e 2 (fenotipo severo) (Tab. 8). La somma dei singoli valori fornisce uno score clinico totale che varia a seconda della gravità del fenotipo (intervallo:0-44). Classificazione delle mutazioni Le mutazioni in MECP2 sono state classificate in quattro gruppi diversi: A) delezioni estese e troncanti precoci, che portano alla perdita del dominio TRD e/o MBD; B) missenso nel dominio MBD; C) missenso nel dominio TRD; D) troncanti tardive portano alla perdita della regione C-terminale. Analisi statistica Per verificare le correlazioni esistenti tra genotipo e fenotipo sono stati eseguiti i seguenti test: Il test del χ2 per comparare il tipo di mutazione in MECP2 con i singoli score clinici (Tab. 8); Il test di Kruskal-Wallis (KW) per confrontare il tipo di mutazione in MECP2 con lo score totale (0-44). 27 Clinical Sign Score Head 2 1 0 Postnatal microcephaly Deceleration of head growth No deceleration of head growth at age of 5 Weight 2 1 0 Below 3rd percentile 3rd - 25th percentile Above 25th percentile Height 2 1 0 Below 5th percentile 5th - 25th percentile Above 25th percentile Age of regression 2 1 0 Before 18 months Between 18 months and 3 years After 3 years Hand stereotypy 2 1 0 Dominating or constant Mild or intermittent None Voluntary hand use 2 1 0 None Reduced or poor Quite good hand use Sitting 2 1 0 Never learned to sit Loss of ability to sit Sitting unsupported at age of 5 Walking 2 1 0 Never learned to walk Loss of ability to walk Walking unsupported at age of 5 Age of walk 2 1 0 Never After and equal to 18 months Before 18 months Speech 2 1 0 Never spoken Loss of ability to speak More than 10 words at age of 5 Age of increasing words 2 1 0 Never After 6 years Before 6 years Level of speech 2 1 0 Absent Single words Phrases 28 Level of phrases 2 1 0 Absent Simple phrases Complex phrases Epilepsy 2 1 0 Barely or not controlled by therapy Controlled by therapy No epilepsy at age of 5 GI disturbances 2 1 0 Severe Mild Absent Breathing disorders 2 1 0 Severe Mild Absent Cold estremities 2 1 0 Severe Mild Absent Sphinter control 2 1 0 Absent Partial Complete Genu valgu/Pes planus 2 1 0 Severe Mild Absent Kyphosis 2 1 0 Severe Mild Absent Scoliosis 2 1 0 Severe Mild Absent Intellectual disability 2 1 0 Apparently profound IQ<20 Apparently severe IQ: 20-40 IQ>40 Tab. 8. I 22 tratti clinici presi in esame e i corrispettivi scores di gravità. 29 3. RISULTATI 3.1 Diagnosi in pazienti con sindrome di Rett classica Per l’analisi molecolare del gene MECP2 abbiamo messo a punto un test che impiega la DHPLC e il sequenziamento diretto per l’identificazione delle mutazioni puntiformi e l’MLPA per i riarrangiamenti estesi (Esoni 1-4). Nelle pazienti con RTT classica, questa protocollo ha portato all’ identificazione di un totale di 131 mutazioni (131/139; 94%), di cui 114 mutazioni puntiformi e 17 grosse delezioni (Fig. 10). Le mutazioni puntiformi sono localizzate quasi esclusivamente negli esoni 3 e 4 del gene. Nell’esone 1, abbiamo identificato un solo caso con mutazione puntiforme (c.47_57del; p.Gly16GlufsX36) (Appendice I) e nell’esone 2 non abbiamo rilevato nessuna alterazione. Gli otto “hot spot” rappresentano il 64% (73/114) delle mutazioni totali (Tab. 9). Dal punto di vista funzionale, 84 (64%) mutazioni sono troncanti precoci, cioè portano alla perdita del dominio TRD e/o MBD, 34 (30%) sono mutazioni missenso nei domini MBD o TRD e 13 (11%) sono troncanti tardive, cioè portano alla perdita della regione C-terminale (Fig. 12). Per quanto riguarda i riarrangiamenti identificati tramite MLPA, la maggior parte (14/16) include gli esoni 3 e/o 4 e solo tre casi comprendono gli esoni 1 e 2 (parte pubblicati in Appendice I). Inoltre tre delezioni includono, oltre a MECP2, anche il gene adiacente centromerico IRAK1 (Appendice I). L’esame clinico non ha mostrato differenze tra queste tre pazienti e le altre con delezione. Si è potuto solo osservare che 2/3 mostrano una leggera discordanza tra l’età ossea e l’età cronologica (Appendice I). Dato che IRAK1 è coinvolto tramite NFKB nella differenziazione degli osteoclasti, abbiamo ipotizzato che la delezione potesse essere responsabile dell’alterato processo di ossificazione (Appendice I). 30 Fig. 10 Risultati dell’applicazione del test diagnostico messo a punto tramite combinazione di DHPLC ed MLPA per la rilevazione di mutazioni in MECP2 nelle pazienti con fenotipo classico. Cambiamento nucleotidico Cambiamento aminoacidico Casi mutati Percentuale 316C>T 397C>T 473C>T 502C>T 763C>T 808C>T 880C>T 916C>T Totale R106W R133C T158M R168X R255X R270X R294X R306C 2 2 10 14 14 13 10 8 114 2% 2% 9% 12% 12% 11% 9% 7% 64% Tab. 9. Frequenza degli 8 hot spot mutazionali in MECP2 nelle pazienti con fenotipo classico. 31 3.2 Diagnosi in pazienti con la variante di Zappella La casistica raccolta include 45 pazienti RTT con variante di Zappella (Z-RTT) o variante con conservazione del linguaggio. In questo gruppo, tre casi mostrano un recupero delle capacità manuali e cognitive talmente eccezionale che le pazienti sono state classificate come varianti di Zappella “ad alto funzionamento”. Dato che anche la variante di Zappella è causata da mutazioni in MECP2, per la diagnosi molecolare abbiamo applicato lo stesso test genetico della forma classica. L’analisi ha permesso di individuare un totale di 24 mutazioni (24/45; 53%), di cui tre nei casi Z-RTT “ad alto funzionamento” (Fig. 11). Si tratta di 23 mutazioni puntiformi ed una sola delezione estesa che include gli esoni 3 e 4 (Fig. 11) (Appendice I e II). Per quanto riguarda le mutazioni puntiformi, le otto alterazioni ricorrenti rappresentano il 46% (11/24) del totale delle mutazioni identificate (Tab. 10). In particolare, la mutazione R133C, identificata in 6 casi, è l’hot spot più rappresentato (25%) (Tab. 10) (Appendice II). Dal punto di vista funzionale, abbiamo identificato una (4%) mutazione troncante precoce, 13 (54%) mutazioni missenso nei domini MBD o TRD e 10 (42%) troncanti tardive (Fig. 12). Inoltre lo studio di questa casistica di pazienti ci ha portato a definire dei criteri clinici che possano aiutare a formulare la diagnosi di variante di Zappella (Tab. 11) (Appendice II). 32 Fig. 11. Risultati dell’applicazione del test diagnostico per la rilevazione di mutazioni in MECP2 nelle pazienti con variante di Zappella. Fig. 12 Percentuale di mutazioni troncanti precoci, missenso e troncanti tardive nelle pazienti classiche e con variante di Zappella. Si può osservare che la tendenza di distribuzione delle mutazioni troncanti è opposta nei due fenotipi clinici. 33 Cambiamento Cambiamento nucleotidico aminoacidico Casi mutati Percentuale 316C>T R106W 1 4% 397C>T R133C 6 25% 473C>T T158M 1 4% 916C>T R306C 3 13% 24 46% Totale Tab. 10. Frequenza degli 8 hot spot mutazionali in MECP2 nelle pazienti con variante di Zappella. Criteri maggiori 1) Decorso clinico di sindrome di Rett con regressione dopo il terzo anno di età (età media di regressione: 1 anno e 9 mesi) e terzo stadio della malattia prolungato (quarto stadio ritardato). 2) Stereotipie manuali come nella Rett classica 3) Riduzione delle abilità manuali più lieve rispetto alla Rett classica 4) Recupero del linguaggio ad un età media di 6 anni con utilizzo di parole singole o frasi complesse 5) Circonferenza cranica, peso e altezza normali nella maggior parte dei casi 6) Deficit intellettivo più lieve rispetto alla Rett classica con QI che può arrivare fino a 50. Criteri di supporto 1) Comparsa di epilessia più rara rispetto alla Rett classica 2) Disfunzioni dell’apparato neurovegetativo come disturbi gastrointestinali, irregolarità del respiro ed estremità fredde più rare rispetto alla Rett classica 3) Scoliosi e cifosi più lievi rispetto alla Rett classica 4) Comparsa di comportamenti autistici Tab. 11. Criteri clinici per la diagnosi di variante di Zappella. 34 3.3 Casi familiari Rett La nostra casistica include due rari casi familiari RTT. Si tratta di due coppie di sorelle con la stessa mutazione in MECP2, inattivazione del cromosoma X bilanciata e fenotipo diverso (Fig. 13). Infatti, in ciascuna coppia, una sorella è affetta dalla forma classica e l’altra dalla variante di Zappella. Nel primo caso familiare la mutazione c.1157_1188del è presente anche nel DNA della madre asintomatica (Fig. 13). Nel secondo caso invece la delezione, che include gli esoni 3 e 4, è presente in entrambe le sorelle, ma è assente nel DNA dei genitori (Fig. 13). E’ stato quindi ipotizzato che uno dei due genitori possa essere portatore di mosaicismo germinale. Riportiamo una descrizione clinica dettagliata del Caso 2 in cui la variabilità fenotipica della Rett è particolarmente evidente (Appendice I). Caso 2. Sono giunte alla nostra osservazione due sorelle di 26 e 32 anni: la secondogenita con sindrome di Rett classica e la primogenita con diagnosi clinica di variante di Zappella “ad alto funzionamento”. La secondogenita è nata a termine dopo gravidanza normo-decorsa. Ha avuto un normale sviluppo staturo-ponderale e psicomotorio nel primo anno di vita. Dall’età di 14 mesi ha mostrato una regressione psicomotoria caratterizzata da chiusura di tipo autistico di breve durata, associata a crisi convulsive generalizzate, stereotipie delle mani e deambulazione atassica. Non ha mai acquisito il linguaggio. Attualmente presenta microcefalia postnatale, scoliosi toracica, stipsi, alterazioni del respiro con episodi di respiro intenso seguito da apnea, estremità fredde e crisi convulsive non controllate dalla terapia. La paziente non è in grado né di stare seduta da sola né di deambulare ed è attualmente nel IV stadio della sindrome di Rett. La primogenita è nata prematura all’ottavo mese di gestazione. Fin dai primi mesi di vita è stato notato un ritardo dello sviluppo psicomotorio: ha camminato autonomamente a 2 anni e mezzo e ha pronunciato le prime parole a 2 anni. Attualmente la paziente ha una andatura atassica, ha un comportamento socievole, e riesce ad esprimersi con frasi semplici. Presenta stereotipie manuali, non ha mai avuto crisi convulsive ed ha una circonferenza cranica nella norma. 35 Fig. 13. Alberi genealogici dei due casi familiari RTT. I simboli bianchi corrispondono ai soggetti asintomatici, i simboli neri alle pazienti con RTT classica e i simboli grigi alle pazienti con variante di Zappella. Per ogni membro della famiglia è riportato il genotipo e la specifica mutazione. wt: wild type. a) Caso 1. Le sorelle RTT hanno ereditato la mutazione c.1157_1188del dalla madre asintomatica. b) Caso 2. La mutazione (delezione degli esoni 3 e 4) non è presente nel DNA dei genitori. 3.4 Diagnosi prenatale nella sindrome di Rett Anche se solitamente la RTT è dovuta a mutazioni “de novo”, abbiamo identificato un caso in cui la mutazione è presente anche nella madre apparentemente asintomatica. La madre quindi presenta un alto rischio di trasmettere la mutazione (50%) nell’eventualità di una seconda gravidanza. Tuttavia, vista l’occorrenza di mosaicismo germinale, abbiamo ritenuto opportuno offrire la diagnosi prenatale nel caso di future gravidanze a tutte le coppie con una figlia con diagnosi clinica e molecolare di sindrome di Rett, anche quando i genitori risultavano non portatori della mutazione. Abbiamo eseguito tale test su 15 coppie (8 con DNA estratto da villi coriali e 7 con DNA estratto da amniociti) e in un caso abbiamo identificato nel feto di sesso femminile la stessa mutazione (c.567insA) della sorella RTT (Fig. 14) (Fig. 15). La coppia ha deciso di interrompere la gravidanza e di donare i tessuti fetali per scopi di ricerca al nostro istituto. 36 I II III Ewing sarcoma Fig. 14. Albero genealogico della famiglia. Fig. 15. Analisi DHPLC. I prodotti di PCR corrispondenti al campione estratto da villi (III-6) e alla sorella affetta (III-5) mostrano un profilo di eluizione alterato rispetto ai prodotti corrispondenti alla madre (II-4), al padre (II-6) e ad una miscela 1:1 costituita dal DNA del padre e da un controllo maschio (II-6+C). 3.5 Diagnosi in pazienti classificate come “forme fruste” Dato che in letteratura sono stati descritti alcuni casi di “forme fruste” con mutazione in MECP2, per la diagnosi molecolare abbiamo applicato lo stesso test utilizzato per la RTT classica e la variante di Zappella. Tale analisi ci ha portato ad identificare 5/6 (83%) casi con mutazione in MECP2 (Tab. 12). 37 Cambiamento nucleotidico Cambiamento aminoacidico Casi mutati 397C>T R133C 2 455C>G P152R 1 808C>T R270X 1 1163del17 P388fs 1 Tab. 12. Mutazioni in MECP2 identificate nelle pazienti classificate come “forme fruste”. 3.6 Correlazione tra la mutazione in MECP2 ed il fenotipo All’interno della casistica, abbiamo valutato 158 pazienti RTT con mutazione in MECP2 prendendo in considerazione 22 segni clinici distintivi ed assegnando ad ognuno di essi uno score progressivo da 0 a 2, secondo la severità del fenotipo (Tab. 8). Tali segni clinici sono stati correlati con il tipo di mutazione in MECP2, al fine di stabilire se esistesse una correlazione significativa. L’analisi statistica con il test non parametrico Kruskal-Wallis ha evidenziato una correlazione significativa (p=0.003) tra il tipo di mutazione e lo score clinico totale (0-44). In particolare, i fenotipi più gravi sono associati a mutazioni troncanti precoci e grosse delezioni del gene (gruppo A), fenotipi di gravità media a mutazioni missenso nei domini MBD (gruppo B) e TRD (gruppo C), e infine fenotipi più lievi sono correlati a mutazioni troncanti tardive (gruppo D) (Tab. 13). E’ stato successivamente applicato il test del χ2 per correlare il tipo di mutazione in MECP2 con gli score di gravità per le singole caratteristiche fenotipiche (Tab. 8). L’analisi ha rivelato una correlazione significativa con: head growth (p=0.024), presence of speech (p=0.000), age of speech (p=0.025), level of speech (p=0.010), level of phrases (p=0.027), cold extremities (p=0.023), sphincter control (p=0.002) (Tab. 14). Per quanto riguarda il tratto “head growth”, le mutazioni troncanti precoci/delezioni (gruppo A) e le mutazioni missenso (gruppi B e C) sono maggiormente rappresentate in pazienti con microcefalia post-natale (Score=2), mentre le mutazioni troncanti tardive (gruppo D) nei pazienti con circonferenza cranica nella norma (Score=0). Lo stesso andamento è stato osservato per il tratto “Presence of speech”(p=0.000). Infatti le mutazioni dei gruppi A, B e C sono maggiormente rappresentate in pazienti con assenza di linguaggio, mentre le mutazioni del gruppo D in pazienti che hanno mantenuto un certo grado di capacità verbali (Score=0). Per i tratti “Age of increasing words”, “Level of speech” e “Level of phrases” le mutazioni 38 troncanti precoci/delezioni (gruppo A) e le mutazioni missenso nel dominio MBD (gruppo B) sono maggiormente rappresentate in pazienti con fenotipo più severo (Score=2). Le mutazioni del gruppo A sono associate a fenotipo più severo (Score=2) anche per il segno clinico “Sphincter control”. Infine le mutazioni troncanti precoci (A) e missenso nel dominio TRD (C) sono state riscontrate maggiormente in pazienti con estremità fredde (Score=1/2), mentre le mutazioni missenso nel dominio MBD (B) e le troncanti tardive (D) sembra siano correlate con l’assenza del segno clinico (Score=0). Mutazioni in MECP2 Score totale A (troncanti precoci e delezioni) 26.5 ± 7.4 B (mutazioni missenso nel dominio MBD) 22.2 ± 7.6 C (mutazioni missenso nei dominio TRD) 24.12 ± 9.5 D (mutazioni troncanti tardive) 19.3 ± 7.9 Tab. 13. Correlazione tra il tipo di mutazione in MECP2 e lo score clinico totale. 39 Mutazioni Mutazioni Mutazioni Mutazioni gruppo A gruppo B gruppo C gruppo D N°pazienti N°pazienti N°pazienti N°pazienti (%) (%) (%) (%) Head P value 0.024 Postnatal microcephaly 55 (70%) 19 (52%) 9 (64%) 9 (32%) Deceleration of head growth 9 (11%) 9 (24%) 3 (22%) 7 (25%) No deceleration of head growth 15 (19%) 9 (24%) 2 (14%) 12 (43%) at age of 5 0.000 Speech Never spoken 37 (47%) 18 (49%) 6 (43%) 5 (18%) Loss of ability 36 (46%) 5 (13%) 6 (43%) 9 (32%) More than 10 words at age of 5 6 (7%) 14 (38%) 2 (14%) 14 (50%) Age of increasing words 0.025 Never 47 (90%) 20 (72%) 6 (75%) 12 (52%) After 6 years 1 (2%) 2 (7%) 0 3 (13%) Before 6 years 4 (8%) 6 (21%) 2 (25%) 8 (35%) Level of speech 0.01 Absent 38 (73%) 13 (46%) 4 (50%) 8 (35%) Single words 12 (23%) 10 (36%) 2 (25%) 7 (30%) Phrases 12 (4%) 5 (18%) 2 (25%) 8 (35%) TLevel of phrases 0.027 Absent 2 50 (96%) 23 (82%) 6 (75%) 16 (70%) Single phrases 0 1 (4%) 1 (13%) 4 (17%) Complex phrases 0 2 (4%) 4 (14%) 1 (12%) 3 (13%) Cold extremities 0.023 Severe 20 (38%) 7 (25%) 3 (38%) 4 (17%) Mild 25 (48%) 8 (29%) 4 (50%) 9 (39%) Absent 7 (14%) 13 (46%) 1 (12%) 10 (44%) Sphincter control 0.002 Severe 43 (38%) 11 (25%) 5 (38%) 9 (17%) Mild 4 (48%) 9 (29%) 2 (50%) 8 (39%) Absent 5 (14%) 8 (46%) 1 (12%) 6 (44%) Tab. 14 Correlazioni significative tra il tipo di mutazione in MECP2 e gli score di gravità per le singole caratteristiche fenotipiche. 40 3.7 Diagnosi nella variante con epilessia ad insorgenza precoce Dall’anno 2005, in cui è stato dimostrato che la variante RTT con epilessia ad insorgenza precoce è causata da mutazioni in CDKL5, abbiamo messo a punto un test diagnostico che prevedesse sia l’analisi di mutazioni puntiformi (DHPLC e sequenziamento) che di grossi riarrangiamenti (MLPA) in tutta la porzione codificante del gene. Tale approccio ha permesso l’identificazione di 9 mutazioni puntiformi (9/16; 56%) (Fig. 16) (Appendice III). Si tratta in tutti i casi di mutazioni “de novo”, in eterozigosi, assenti nel DNA dei genitori. In particolare, abbiamo identificato cinque mutazioni troncanti e quattro mutazioni missenso (Fig. 16). Tra le mutazioni troncanti, due interrompono il dominio chinasico mentre le altre tre eliminano la porzione C-terminale (Fig. 16). Per quanto riguarda le mutazioni missenso, tutte colpiscono residui aminoacidici altamente conservati localizzati all’interno del dominio catalitico (Fig. 16). Nessun riarrangiamento esteso del gene è stato rilevato tramite MLPA. La casistica raccolta ci ha permesso di caratterizzare in modo dettagliato il fenotipo RTT associato alle mutazioni in CDKL5 e di elaborare dei criteri utili per la diagnosi di variante con epilessia ad insorgenza precoce (Tab. 15) (Appendice III). Fig. 16. Mutazioni in CDKL5. Sono state identificate 4 mutazioni missenso (in alto) e 5 mutazioni troncanti (in basso). In azzurro è rappresentato il dominio chinasico, in rosa il sito di legame per l’ATP, in viola il sito attivo di fosforilazione. Tratteggiato è riportato il motivo Thr-Xaa-Tyr. 41 Criteri maggiori 1) Storia pre-natale normale 2) Irritabilità, soporosità e difficoltà di suzione nel periodo perinatale. 2) Epilessia precoce, con insorgenza tra la prima settimana ed il quinto mese di vita. 3) Stereotipie manuali 4) Sviluppo psicomotorio severamente compromesso 5) Grave ipotonia Criteri di supporto 1) Spasmi infantili all’insorgenza o durante il corso delle crisi epilettiche 2) Scarso contatto visivo e risposta assente nelle interazioni sociali 3) Assenza di linguaggio 4) Assenza di abilità manuali 5) Assenza di scoliosi 6) Circonferenza cranica normale alla nascita che rimane normale o che subisce una leggera decelerazione della crescita 7) Peso e altezza normali 8) Disfunzioni neurovegetative come disturbi gastrointestinali, irregolarità del respiro ed estremità fredde raramente osservate Tab. 15. Criteri per la diagnosi di variante RTT con epilessia ad insorgenza precoce. 42 3.8 Diagnosi in pazienti con la variante congenita Recentemente abbiamo dimostrato che la variante RTT congenita è associata a mutazioni nel gene FOXG1 (Appendice IV). Il test di screening che abbiamo messo a punto prevede l’impiego di DHPLC e successivo sequenziamento per la rilevazione di mutazioni puntiformi e della PCR quantitativa Real Time per l’identificazione dei grossi riarrangiameti. Questo test ci ha permesso di individuare mutazioni in FOXG1 in 2/3 pazienti con variante congenita della nostra casistica (Appendice IV). Si tratta di due mutazioni “de novo” che interrompono la proteina a diversi livelli. Nel caso 1, una mutazione di stop p.W255X (c.765G>A) altera il dominio funzionale FH (fork-head) e quindi la capacità della proteina di legare il DNA (Appendice IV). Nel caso 2 invece la delezione c.969delC (p.S323fsX325) porta alla perdita del dominio di interazione con JARID1B e al misfolding del dominio di legame con Groucho (Appendice IV). Inoltre entrambe le mutazioni interrompono le quattro isoforme proteiche espresse in modo specifico nel cervello durante la vita embrionale. Stiamo attualmente estendendo l’analisi del gene FOXG1 ad una casistica di pazienti RTT negative per mutazioni in MECP2 e CDKL5 raccolta grazie a collaborazioni internazionali. Fino ad oggi, abbiamo identificato quattro nuove pazienti mutate, tutte classificate come varianti RTT congenite (Fig. 17) (Renieri A. dati non pubblicati). In tre casi abbiamo potuto verificare l’origine “de novo” delle mutazioni, mentre in un caso il DNA dei genitori non era disponibile. Si tratta di due mutazioni troncanti (p. S185fsX454 e p.Y208X) e di due mutazioni missenso (p.N227K e p.F215L), tutte localizzate all’interno del dominio di legame al DNA (Fig. 17). Al fine di chiarire il quadro clinico associato a mutazioni in FOXG1, abbiamo confrontato il fenotipo di questi quattro nuovi casi con quello delle due pazienti precedentemente identificate appartenenti alla casistica italiana. Le pazienti, di età compresa tra 3 e 22 anni, presentano un decorso clinico suggestivo per diagnosi di variante RTT congenita. In tutti casi si riscontra un esordio precoce della sindrome (3 mesi) con importante deflessione della velocità di crescita della circonferenza cranica che si esplica in una microcefalia severa, apparentemente più marcata rispetto a quello della forma classica (Fig. 18). Le bambine mostrano movimenti stereotipati tipici della RTT, come “hand washing” e “hand-mouth” (Fig. 18). Tuttavia sono presenti anche movimenti ripetitivi della lingua e movimenti distonici degli arti superiori che si osservano raramente nella RTT classica. Lo sviluppo motorio è severamente compromesso ed il linguaggio è assente. Al contrario della 43 RTT classica, il contatto visivo è scarso. L’epilessia rappresenta un segno variabile: due pazienti non hanno mai avuto crisi, due presentano epilessia controllata da terapia e due epilessia farmaco-resistente. La maggior parte delle pazienti presenta sintomi neurologici e neurovegetativi tipici della RTT come anomalie del respiro, estremità fredde e bruxismo. Le anomalie scheletriche come la scoliosi e la cifosi sono gravi . La risonanza magnetica ha evidenziato ipoplasia del corpo calloso in quattro pazienti. Fig. 17. Mutazioni identificate in FOXG1 e loro localizzazione rispetto ai domini funzionali della proteina. In celeste è rappresentato il dominio fork-head, in viola il dominio di interazione con le proteine Groucho e in rosso il dominio di legame con JARID1B. Le due mutazioni contrassegnate con l’asterisco sono quelle riportate in Appendice IV. 44 Fig. 18. Immagini di tre delle nuove pazienti mutate in FOXG1. a) Caso #4 (p.Y208X). Sono evidenti le stereotipie manuali di tipo “hand-mouth”. b) Caso #1 (p.N227K). Si può notare la grave microcefalia (COF inferiore a -6 DS). c) Caso #2 (p.F215L). La paziente presenta un fenotipo più lieve dal punto di vista motorio. Infatti riesce a stare in piedi con supporto. 3.9 Flow Chart per la diagnosi di sindrome di Rett Il nostro studio, effettuato su una casistica di 199 pazienti RTT, ci ha portato ad elaborare una flow chart che possa essere di aiuto per i centri che vogliono iniziare ad effettuare la diagnosi molecolare di questa patologia (Fig. 19). A seconda della diagnosi clinica si procede con l’analisi dei tre geni attualmente noti: MECP2, CDKL5 o FOXG1. In tutti e tre i casi, in base alla frequenza degli eventi mutazionali, si consiglia di effettuare prima l’analisi di mutazioni puntiformi tramite DHPLC e sequenziamento diretto e in un secondo step la ricerca di grosse delezioni tramite MLPA o PCR quantitativa. Per quanto riguarda MECP2, dato che le mutazioni si concentrano principalmente negli esoni 3 e 4, è opportuno prima effettuare l’analisi di tali esoni e, solo in una seconda fase, degli esoni 1 e 2. Se l’applicazione di tale strategia diagnostica non porta all’identificazione della causa molecolare, si procede alla rivalutazione clinica della paziente e si considera l’opportunità di estendere l’analisi anche agli altri due geni. 45 Fig. 19. Flow chart per la diagnosi di RTT classica e varianti. 46 APPENDICE I 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 APPENDICE II 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 APPENDICE III 68 69 70 71 72 73 74 75 76 APPENDICE IV 77 78 79 80 81 4. DISCUSSIONE La sindrome di Rett rappresenta una delle cause più comuni di ritardo mentale nelle bambine 16 . Dopo la descrizione dei primi casi, il fenotipo RTT è stato progressivamente esteso dalla forma classica fino a cinque varianti con diversi gradi di severità 4. Per molto tempo MECP2 è stato considerato l’unico gene responsabile della malattia. Tuttavia più recentemente sono stati identificati altri due geni coinvolti: CDKL5, associato alla variante con convulsioni ad esordio precoce e FOXG1, responsabile della variante congenita 8,9. In questo studio, riportiamo la nostra esperienza diagnostica in una casistica di 199 pazienti RTT: 139 con fenotipo classico e 60 varianti (45 varianti di Zappella, 6 “forme fruste”, 6 varianti con convulsioni ad esordio precoce e 3 varianti congenite). In base all’inquadramento clinico, è stata effettuata l’analisi mutazionale di uno dei tre geni noti. Se tale indagine non ha portato all’identificazione della mutazione, è stata valutata, caso per caso, l’opportunità di effettuare l’analisi anche di uno o entrambi gli altri geni. Riguardo alle tecniche di analisi, abbiamo deciso di impiegare la DHPLC seguita da sequenziamento diretto per l’identificazione delle mutazioni puntiformi e l’MLPA o la PCR quantitativa Real Time per la rilevazione dei riarrangiamenti estesi. Tale strategia diagnostica ha portato all’ identificazione del difetto molecolare in 170/199 (85%) pazienti della casistica. L’analisi del gene MECP2 nelle pazienti con RTT classica ha portato all’identificazione di mutazioni nel 94% dei casi, in accordo con i più recenti dati di letteratura 68,69. Mutazioni in MECP2 sono state rilevate anche nella quasi totalità delle pazienti classificate come “forme fruste” (5/6). Diversamente, nelle pazienti con variante di Zappella, l’applicazione dello stesso test diagnostico ha portato all’identificazione di mutazioni in MECP2 in una percentuale di casi significativamente inferiore (53%). Questi risultati indicano che, nelle pazienti classiche e nelle “forme fruste”, MECP2 rappresenta probabilmente l’unico gene coinvolto. La frazione di pazienti ancora senza mutazione può essere dovuta ai limiti di sensibilità delle tecniche d’indagine. Infatti, per esempio, la DHPLC presenta un livello di sensibilità che, seppur molto elevato (95%), non raggiunge il 100%. Inoltre le pazienti negative potrebbero avere mutazioni in regioni di MECP2 non indagate dalle attuali strategie diagnostiche, come ad esempio il promotore o le sequenze introniche. Tali mutazioni potrebbero influire sul livello di espressione della proteina o creare prodotti di splicing aberranti. Diversamente, nelle pazienti con variante di Zappella, il basso tasso di rilevazione di mutazioni suggerisce la possibilità del coinvolgimento di uno o più geni diversi da MECP2. 82 Per quanto riguarda la correlazione genotipo-fenotipo, effettuata in 158 pazienti con mutazione in MECP2, l’analisi statistica ha rivelato che mutazioni troncanti precoci e grandi delezioni sono associate a un fenotipo più grave, mentre mutazioni troncanti tardive ad un fenotipo più lieve. Le mutazioni missenso, invece, sono associate a fenotipi di media gravità, in particolare mutazioni nel dominio TRD portano ad un fenotipo più grave rispetto alle missenso nel dominio MBD. Questo può essere dovuto al fatto che mutazioni missenso nel dominio MBD portano ad un legame meno efficiente di MeCP2 al DNA, ma permettono alla proteina di mantenere la sua funzione di repressore trascrizionale. Al contrario, mutazioni missenso nel dominio TRD potrebbero influire sulla funzione di regolatore trascrizionale di MeCP2 e quindi avere effetti più gravi. Questi risultati sono stati ottenuti comparando i quattro gruppi di mutazioni con lo score clinico totale. La correlazione tra i singoli segni clinici e il tipo di mutazione in MECP2 ha portato risultati significativi solo per alcune caratteristiche fenotipiche. Molto interessante è il dato che riguarda il linguaggio. Infatti le mutazioni troncanti tardive sembrano avere un significato prognostico favorevole essendo associate a migliori abilità nel linguaggio verbale. Recenti studi di correlazione genotipofenotipo, effettuati su casistiche più ampie, hanno ulteriormente suddiviso i gruppi di mutazioni in MECP2 prendendo in considerazione singolarmente le otto mutazioni puntiformi ricorrenti 70,71 . Questi studi hanno confermato che i grossi riangiamenti sono associati ad un quadro più grave, mentre le delezioni troncanti tardive sono correlate ad un fenotipo più lieve 70,71 . In più, hanno dimostrato che il livello di gravità del fenotipo clinico varia anche in base ai singoli hot spot mutazionali70,71. In particolare, la mutazione p.R133C sembra essere associata ad un fenotipo più lieve 70,71 . Questo dato è in accordo con l’alta frequenza della mutazione p.R133C che abbiamo rilevato nel gruppo delle pazienti con variante di Zappella (Appendice II). Tuttavia la mutazione in MECP2, così come lo stato di inattivazione del cromosoma X, non sono fattori sufficienti a spiegare la variabilità clinica che si osserva nelle pazienti RTT. Questo emerge chiaramente dai casi familiari inclusi nella nostra casistica in cui due coppie di sorelle presentano la stessa mutazione in MECP2, inattivazione del cromosoma X bilanciata e fenotipo diverso. Per quanto riguarda lo stato di inattivazione del cromosoma X, tuttavia è importante sottolineare che l’analisi viene effettuata su sangue e quindi potrebbe non rappresentare la situazione nel tessuto cerebrale. Considerando questi dati, è stato ipotizzato che altri geni detti “modificatori” possano influenzare il fenotipo clinico RTT. A tal proposito, recentemente, è stato dimostrato che il polimorfismo funzionale p.Val66Met nel gene BDNF, 83 un target riconosciuto di MeCP2, è in grado di esercitare un effetto protettivo nei confronti dell’epilessia nelle pazienti RTT mutate72. Nel primo caso familiare, la mutazione patogenetica (c.1157_1188del) presente nelle due sorelle RTT è stata identificata anche nella madre apparentemente asintomatica. Questo potrebbe essere dovuto all’effetto di un’inattivazione del cromosoma X sbilanciata totalmente a favore dell’allele normale. Questo risultato sottolinea l’importanza di effettuare il test genetico anche nei genitori sani per identificare i rari casi che presentano la mutazione e che quindi hanno un alto rischio di ricorrenza (50%). Nel secondo caso familiare invece la mutazione (delezione degli esoni 3 e 4) è assente nel DNA dei genitori, suggerendo che uno dei due possa essere portatore di mosaicismo germinale. Data la possibilità di mosaicismo germinale, la nostra Unità offre il test prenatale nell’eventualità di una seconda gravidanza a tutte le famiglie RTT, anche con mutazione apparentemente “de novo”. L’analisi prenatale effettuata su 15 campioni ci ha portato ad identificare un caso positivo (1/15; 7%). Considerando la nostra esperienza, la condizione di mosaicismo non è quindi da considerare un evento così raro nella RTT. Tuttavia il numero di casi su cui abbiamo effettuato il test è ancora troppo basso per stabilire una percentuale che sia utile nella pratica clinica. Lo studio della casistica di pazienti affette dalla variante di Zappella ha permesso la definizione di criteri utili per la diagnosi clinica (Appendice II). L’esigenza di elaborare dei criteri specifici nasce dall’osservazione che questa variante RTT è difficilmente diagnosticabile e spesso le pazienti affette vengono erroneamente classificate come ritardi mentali o come forme di autismo. Questo può portare ad errori nella valutazione del rischio di ricorrenza, della prognosi e delle possibili terapie rieducative. La check list diagnostica che abbiamo elaborato sottolinea che la variante di Zappella presenta, come la RTT classica, una evoluzione a quattro stadi, ma che le fasi di regressione e di degenerazione motoria tardiva sono significativamente ritardate (Appendice II). Il decorso clinico è più favorevole, specialmente per quanto riguarda il linguaggio verbale. Inoltre le pazienti sviluppano le stereotipie tipiche della forma classica, ma presentano migliori abilità manuali. Il deficit intellettivo è più lieve rispetto alla RTT classica con QI che può arrivare fino a 50. Nella maggior parte dei casi la circonferenza cranica è normale, l’ipoevolutismo somatico è ridotto, la scoliosi e la cifosi sono più lievi. L’epilessia è meno frequente e le disfunzioni dell’apparato neurovegetativo sono raramente osservate. Infine, la maggior parte delle bambine presenta tratti autistici. 84 Nelle pazienti con mutazioni in CDKL5 o FOXG1, dato la bassa numerosità dei campioni, non è stato possibile effettuare una correlazione genotipo-fenotipo. Tuttavia l’identificazione di un numero sempre maggiore di pazienti mutati sta fornendo preziose informazioni circa il quadro clinico associato a mutazioni nei due geni (Appendice III e IV). Nelle pazienti mutate in CDKL5, il segno clinico più importante è rappresentato dalla comparsa precoce di epilessia, con insorgenza tra la prima settimana ed il quinto mese di vita e spesso in forma di spasmi in flessione. Altri segni importanti risultano: grave ipotonia, stereotipie manuali, scarso contatto visivo e circonferenza cranica, peso e altezza normali. Nelle pazienti mutate in FOXG1 invece il segno distintivo è rappresentato dall’insorgenza precoce della sindrome (3 mesi). Caratteristiche prominenti risultano inoltre: microcefalia severa, stereotipie manuali, movimenti distonici degli arti superiori, scarso contatto visivo, corpo calloso sottile, sintomi neurologici e neurovegetativi tipici della RTT. FOXG1 rappresenta il primo gene autosomico responsabile di un fenotipo RTT. Questo implica l’identificazione anche di pazienti maschi mutati. Il fatto che sino ad oggi abbiamo caratterizzato solo femmine con mutazione in FOXG1 dipende probabilmente da un bias di accertamento. Infatti, sino alla revisione dei criteri clinici internazionali nel 2002, il sesso femminile veniva considerato un criterio necessario per la diagnosi di RTT 73. Questo studio ci ha portato ad elaborare una flow chart per la diagnosi di RTT. Tuttavia questo protocollo non deve essere considerato come uno schema rigido. Nel futuro l’avanzamento delle tecnologie e le nuove scoperte scientifiche potranno rimodellare questo percorso diagnostico come è successo nel corso gli ultimi anni. Inoltre per arrivare ad una diagnosi corretta è fondamentale una stretta collaborazione tra i medici che effettuano la consulenza genetica e il personale di laboratorio. Per esempio, la non identificazione del difetto molecolare dopo un primo test di screening deve portare ad un’attenta rivalutazione delle caratteristiche cliniche della paziente per stabilire, di volta in volta, l’opportunità di estendere l’analisi anche agli altri geni coinvolti nella RTT e ottenere il miglior risultato in termini di rapporto costo-beneficio. 85 5. BIBLIOGRAFIA 1. Percy AK. Rett syndrome. Current status and new vistas. Neurol Clin 2002;20(4):1125-41. 2. Rett A. 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Grazie alla Prof. Alessandra Renieri per tutti gli insegnamenti e per avermi fornito gli strumenti per poter realizzare grandi sogni… Grazie alle “super senior” del gruppo, Mirella, Ilaria M., Ilaria L., Francesca e Maria Antonietta, per aver condiviso con me il peso delle responsabilità e per aver avuto sempre un atteggiamento collaborativo, che mi ha fatto sentire parte di una vera squadra… Grazie alle nuove “senior” Rosangela ed Eleni per il loro entusiasmo e per la loro tenacia… spero che le loro molteplici qualità non le portino troppo lontane da noi… Grazie alle mie “young”, Ariele, Mariangela, Roberta, Dalila e Vittoria per i grandi risultati che con passione hanno raggiunto…e poi senza di loro la vita in Genetica non sarebbe così divertente! Grazie a Chiara e a Katia, che non lavorano più con noi, ma che hanno lasciato un segno indelebile... Grazie a Vera per la ventata d’aria fresca che ha portato… Grazie alla mia famiglia e a Paolo per il loro immenso amore… 91