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Ludwig van Beethoven integrale dei quartetti per archi

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Ludwig van Beethoven integrale dei quartetti per archi
STAGIONE 2005·06
Il tempo
21-23 marzo 2006
Conservatorio G. Verdi
Ludwig van Beethoven
integrale dei
quartetti per archi
7 Quartetti d’archi
dalla Musik-Akademie di Basilea
Walter Levin e Sebastian Hamann docenti
Martedì 21 marzo, Sala Verdi
Ore 18
Quartetto Pavel Haas
Ore 20.30
Quartetto Zemlinsky
Mercoledì 22 marzo, Sala Puccini
Ore 18
Quartetto Amaryllis
Ore 20.30
Quartetto Bennewitz
Giovedì 23 marzo, Sala Puccini
Ore 18
Quartetto SonoS
Quartetto Arco Iris
Quartetto Zemlinsky
Ore 20.30
Quartetto Gémeaux
Consiglieri di turno
21 marzo
Dott.ssa Maria Majno, Prof. Carlo Sini
22 marzo
M° Mario Delli Ponti, Prof. Luciano Martini
23 marzo
Dott. Enzo Beacco, Avv. Gian Battista Origini della Croce
Il ciclo “Integrale dei Quartetti di Beethoven” è sostenuto da
Sponsor istituzionali
Con il patrocinio e il sostegno di
Con il sostegno di
FONDAZIONE CARIPLO
Si ringrazia per il ciclo “Musica da Camera”
Per assicurare agli artisti la migliore accoglienza e concentrazione
e al pubblico il clima più favorevole all’ascolto, si prega di:
• spegnere i telefoni cellulari e altri apparecchi con dispositivi acustici;
• limitare qualsiasi rumore, anche involontario (fruscio di programmi, tosse ...);
• non lasciare la sala prima del congedo dell’artista.
Si ricorda inoltre che registrazioni e fotografie non sono consentite, e che
l’ingresso in sala a concerto iniziato è possibile solo durante gli applausi, salvo
eccezioni consentite dagli artisti.
Ludwig van Beethoven
(Bonn 1770 - Vienna 1827)
Integrale dei quartetti per archi
7 Quartetti Musik-Akademie di Basilea
Walter Levin e Sebastian Hamann docenti
Martedì 21 marzo, Sala Verdi del Conservatorio
ore 18.00
Quartetto Pavel Haas, Praga
Quartetto n. 4 in do minore op. 18 n. 4
Allegro ma non tanto
Andante scherzoso quasi allegretto
Menuetto. Allegretto
Allegro
Quartetto n. 9 in do maggiore op. 59 n. 3
Introduzione. Andante con moto Allegro vivace
Andante con moto quasi allegretto
Menuetto. Grazioso
Allegro molto
Quartetto n. 16 in fa maggiore op. 135
Allegretto
Vivace
Lento assai, cantante e tranquillo
Grave - Allegro Grave ma non troppo tratto Allegro
ore 20.30
Quartetto Zemlinsky, Praga
Quartetto n. 10 in mi bemolle maggiore op. 74
Poco adagio - Allegro
Adagio ma non troppo
Presto - Più presto quasi prestissimo
Allegretto con variazioni
Quartetto n. 11 in fa minore op. 95
Allegro con brio
Allegretto ma non troppo
Allegro assai vivace ma serioso
Larghetto espressivo Allegretto agitato
Quartetto n. 12 in mi bemolle maggiore op. 127
Maestoso - Allegro
Adagio, ma non troppo e molto
cantabile
Scherzando vivace
Finale
Mercoledì 22 marzo, Sala Puccini del Conservatorio
ore 18.00
Quartetto Amaryllis, Berna/Amburgo
Quartetto n. 1 in fa maggiore op. 18 n. 1
Allegro con brio
Adagio affettuoso ed appassionato
Scherzo. Allegro molto
Allegro
Quartetto n. 7 in fa maggiore op. 59 n. 1
Allegro
Allegretto vivace e sempre
scherzando
Adagio molto e mesto
Thème russe. Allegro
Assai sostenuto - Allegro
Allegro ma non tanto
Molto adagio - sentendo nuova forza.
Andante
Alla marcia, assai vivace - Più allegro Presto
Allegro appassionato
Quartetto n. 15 in la minore op. 132
ore 20.30
Quartetto Bennewitz, Praga
Quartetto n. 5 in la maggiore op. 18 n. 5
Allegro
Menuetto
Andante cantabile
Allegro
Quartetto n. 8 in mi minore op. 59 n. 2
Allegro
Molto adagio
Allegretto
Finale. Presto
Quartetto n. 13 in si bemolle maggiore op. 130 con
Grande Fuga op. 133 come ultimo movimento
Adagio ma non troppo - Allegro
Presto
Andante con moto ma non troppo.
Poco scherzando
Alla danza tedesca. Allegro assai
Cavatina. Adagio molto espressivo
Grande Fuga
Giovedì 23 marzo, Sala Puccini del Conservatorio
ore 18.00
Quartetto SonoS, Basilea
Quartetto n. 2 in sol maggiore op. 18 n. 2
Allegro
Adagio cantabile - Allegro - Tempo I
Scherzo. Allegro
Allegro molto, quasi presto
Quartetto n. 3 in re maggiore op. 18 n. 3
Quartetto Arco Iris, Friburgo
Allegro
Andante con moto
Allegro
Presto
Quartetto n. 13 in si bemolle maggiore op. 130
Finale. Allegro
Quartetto Zemlinsky, Praga
Sylvia Zucker II viola
Quintetto per archi in do maggiore op. 29
per 2 violini, 2 viole e violoncello
Allegro moderato
Adagio molto espressivo
Scherzo. Allegro
Finale. Presto
ore 20.30
Quartetto Gémeaux, Lucerna
Quartetto in fa maggiore op. 14 n. 1
(Versione di Beethoven della Sonata per pf. in mi magg. op. 14 n. 1)
Allegro
Allegretto
Rondò. Allegro comodo
Allegro con brio
Adagio ma non troppo
Scherzo. Allegro
Adagio - Allegretto quasi allegro Adagio - Allegretto - Poco adagio Prestissimo
Quartetto n. 6 in si bemolle maggiore op. 18 n. 6
Quartetto n. 14 in do diesis minore op. 131
Adagio, ma non troppo e molto
espressivo
Allegro molto vivace
Allegro moderato
Andante, ma non troppo e molto
cantabile
Presto
Adagio quasi un poco andante
Allegro
Quartetto n. 4 in do minore op. 18 n. 4
Una grande integrale come quella proposta in questi tre giorni, con tutti i
quartetti di Beethoven eseguiti a distanza ravvicinata, invita, anzi obbliga, a
fare riflessioni che di regola si riescono a evitare quando l’ascolto si limita a un
pezzo solo, come spesso succede nei normali concerti di stagione. Viene subito
la domanda sul ruolo del genere quartetto nel quadro complessivo della
produzione beethoveniana. Ci si chiede, ancora una volta, se i quartetti
esprimono la continuità dello sforzo creativo all’interno di un processo evolutivo
che non conosce soste. O se invece davvero ben rappresentano quei momenti di
rottura essenziali che segnano il brusco passaggio da uno stile all’altro, come ci
porta a credere una radicata tradizione critica.
Osservata dall’esterno, la sequenza dei quartetti, così ben articolata in tre
gruppi distinti (i sei dell’età giovanile, i cinque della prima maturità, i sei degli
anni estremi), sembra confermare la tesi di chi distingue in tre “maniere” l’arte
di Beethoven. Con accademico piglio classificatorio, analizzando separatamente
i singoli lavori, si cercano e si trovano le differenze, le discontinuità rispetto agli
stili precedenti o successivi. Si privilegia l’individualità di ciascun quartetto,
cioè il risultato finale, relegando sullo sfondo il processo che lo ha generato.
Ascoltata dall’interno, in modo concentrato e completo, senza fissarsi sulla
cronologia, la serie ci porta invece a percepire un senso di evoluzione e unità di
linguaggio che induce a cercare (e a trovare) i legami profondi che uniscono
lavori tanto differenti. Per scoprire che i salti temporali non sono altro che il
frutto di contingenze spicciole quali commissioni estemporanee e necessità
editoriali. Mentre fortissimi restano i legami verticali (fra un quartetto e l’altro)
e orizzontali (con gli altri generi), e sempre all’insegna della continuità. Lo
dimostrano benissimo le (in apparenza) contraddittorie impaginazioni dei due
concerti che troviamo in questa prima giornata. Nel primo caso si potrebbe
leggere l’apoteosi della discontinuità, con tre lavori che rappresentano
altrettante maniere, nettamente distanziate nel tempo. Ma non è così. Lo
affermano le vicende che portarono alla realizzazione delle tre partiture.
Si può dire che tutto parte dalle iniziative del conte Anton Georg Apponyi (17511817) che era un grande intenditore di musica da camera, oltre che un generoso
mecenate. Le importanti serie di quartetti op. 71 e 74 di Haydn nascono su sua
commissione. È uno dei primi, con il conte Waldstein, a capire le grandi
potenzialità del giovane pianista-compositore Beethoven arrivato nel 1792 a
Vienna dalla provinciale Bonn. E non perde l’occasione per stimolarne la
creatività. Apponyi chiede a Beethoven, che fino ad allora non ha mai composto
quartetti, di scriverne uno per un compenso prefissato. Il conte dichiara pure
che, contrariamente alle consuetudini, non vuole tenersi il diritto esclusivo di
esecuzione del lavoro per sei mesi prima della pubblicazione e che non pretende
neppure di avere la dedica. Nonostante le sue ripetute insistenze, per due volte
Beethoven declina la proposta, ma la sostituisce una volta con un gran trio per
archi (op. 3) e un’altra con un quintetto (op. 4). Le resistenze di Beethoven si
capiscono. È arrivato a Vienna un anno dopo la morte di Mozart e ha cominciato
a farsi strada proprio negli anni in cui escono i grandi capolavori per orchestra
e per quartetto di Haydn. Pur consapevole dei propri mezzi, perfino arrogante,
il giovane Beethoven prova un po’ di timore nell’affrontare i generi più nobili,
sinfonia e appunto quartetto. Dunque prende tempo. Consolida la sua fama di
pianista pubblicando una lunga serie di sonate per pianoforte. Si cimenta con
variabile applicazione in generi di minor prestigio come trii e quintetti e sonate
per violino e pianoforte. Studia contrappunto, schizza fughe per quartetto
d’archi, copia di proprio pugno lavori di Haydn. Tre anni dopo Apponyi, è il
principe Lobkowitz a chiedere quartetti a Beethoven, e ha successo, perché i
tempi sono maturi. Anzi, per un paio di anni (1798-1800), molte energie creative
di Beethoven si concentrano sulla composizione di quartetti per archi. E
siccome due anni sono un periodo lungo, non ci si deve stupire se il taglio e lo
stile dei singoli lavori sono molto più vari di quanto non suggerisca il fatto che i
suoi primi sei quartetti escano in un’unica raccolta a stampa (sia pure divisa in
due quaderni di tre) classificata come op. 18. Semmai sorprende che nell’op. 18
la linea non sia evolutiva ma involutiva. Ovvero che il primo quartetto in ordine
cronologico di composizione (il n. 3 in re maggiore, databile 1798) sia il più
originale e avanzato e che quelli successivi risultino via via sempre più legati
alla tradizione, sia pure con tutta una serie di contraddizioni talvolta reali e
talvolta solo apparenti che testimoniano il tormento della creazione e il costante
rapporto con le maniere del tempo.
Ne è un perfetto esempio il quartetto che apre il programma. Che è scritto in
do minore. Do minore è per definizione una tonalità notturna, drammatica,
tragica. Dunque il Quartetto n. 4 risulterebbe il più romantico della serie op. 18
(gli altri cinque sono in tonalità maggiore), ovvero il più moderno, anche perché
fu probabilmente l’ultimo ad essere completato. Su un sillogismo di questo tipo
si basa molta della fortuna che il Quartetto ha subito riscosso presso gran parte
di pubblico e critica. Ma il primo a dubitare del valore del Quartetto è lo stesso
Beethoven che nei suoi ultimi anni lo bolla con una definizione a dir poco
ingenerosa: «Non è che merda, buona per il porco pubblico». Dal canto suo,
l’illustre Hugo Riemann (1910) porta acqua al mulino di chi sostiene che il
Quartetto in do minore fu certo scritto per ultimo, ma in gran fretta,
recuperando materiali stesi in gioventù a Bonn, prima ancora che Beethoven si
stabilisse a Vienna. L’ argomentazione è sostenuta da circostanziati riferimenti
ad altri lavori giovanili (il curioso Duetto per due occhiali obbligati del 1795-98,
incompiuto per viola e violoncello) e a dotte comparazioni con quartetti di
Cannabich, Stamitz, Toeschi. La scelta della tonalità minore sarebbe infine
dovuta non già a stimolo interiore ma a una precisa consuetudine editoriale del
tempo. Non c’è dubbio che la struttura dei quattro movimenti del Quartetto in
do minore sia gracile e priva di innovazione. L’ iniziale “Allegro ma non tanto”
ha i soliti due temi che però sono accostati bruscamente, sviluppati in modo
sommario e ripresi senza elaborazione ulteriore. Eppure la linea melodica del
primo tema ha una bella espressività e la stretta conclusiva ha indubbia
efficacia. Dal punto di vista costruttivo, è certo più curato il secondo movimento,
in forma sonata con tanto di sviluppo importante e decoroso disegno
contrappuntistico. Il fatto che si tratti di un “Andante scherzoso quasi
allegretto” e non di un tradizionale “Adagio” fa comunque nascere il sospetto di
un riciclaggio. Tanto più che il terzo movimento è un normale “Minuetto”,
tributario del Mozart delle ultime sinfonie. Il rondò finale segue senza deroghe
le convenzioni classiche e si sforza, peraltro con ottimi risultati, di inventare
effetti e di strappare consensi. L’inserimento di un inciso zingaresco e il
travolgente “prestissimo” finale di questo “Allegro” hanno contribuito non poco
a garantire alla popolarità dell'intero lavoro. È comunque evidente che non c'è
progresso stilistico e soprattutto che non si prospetta un vero futuro.
Beethoven se ne rende ben conto e per qualche anno sospende la composizione
di quartetti, torna a sperimentare con il prediletto pianoforte e un po’ alla volta
comincia a schizzare i contorni della rivoluzionaria Terza sinfonia.
Quartetto n. 9 in do maggiore op. 59 n. 3
I circa cinque anni che passano fra la pubblicazione dei sei quartetti op. 18 e dei
tre dell’op. 59 sono segnati da cambiamenti drammatici sia per la vita che per
l’arte di Beethoven. Sono gli anni delle prime cocenti delusioni affettive. È il
tempo in cui Beethoven scopre che il suo debole disturbo auditivo giovanile si
sta trasformando in sordità e ormai gli impone di chiudere l’attività di
concertista di pianoforte che lo ha reso famoso e gli ha spalancato i saloni
aristocratici della Vienna di fine Settecento. La crisi è tremenda e porta al
disperato Testamento di Heiligenstadt (1802) con annessa voglia di farla finita.
Ma anche la reazione, per nostra fortuna, è tremenda per forza e
determinazione. La genialità dell’artista prevale sulle sventure dell’uomo.
Basta estrarre qualche titolo dal catalogo delle opere compiute fra 1802 e 1806
per rendersene conto: le Sonate per pianoforte op. 31 n. 2 (“Tempesta”), op. 53
(“Waldstein”) e op. 57 (“Appassionata”); le prime due versioni del Fidelio; la
Sonata “a Kreutzer” per violino e pianoforte; e - si direbbe soprattutto - la
Terza sinfonia. È la cosiddetta “seconda maniera”, quella “eroica”, che esplode
e spazza via ogni residuo settecentesco dalla musica di Beethoven. Tutto
diventa più grande, esce di proporzione, violenta le possibilità fisiche degli
strumenti e dei complessi, crea timbri, forme, contrasti. Anche il genere
quartetto non si sottrae al nuovo stile. Anzi finalmente trova la via per superare
gli argini che avevano addomesticato l’originale spinta innovativa nell’op. 18.
Sappiamo per certo che Beethoven non ha mai rinunciato pensare a nuovi
quartetti, per evidente necessità interiore. La spinta definitiva viene però dal
conte Andrej Kyrillovič Rasumovskij (1751-1836) che, arrivato a Vienna nel
1790 come ambasciatore di tutte le Russie, amante della musica e buon
violinista, nota subito il giovane Beethoven e ne diventa grande ammiratore. Gli
piacciono i Quartetti op. 18 e attorno al 1803 gli commissiona alcuni quartetti
contenenti “temi russi”. Beethoven riflette per circa tre anni ma non dimentica
la richiesta del conte russo. Senza strafare e non cedendo a folklorismi di
maniera, inserisce un paio di motivi russi in partitura. Nel primo quartetto c’è
un Thème russe che serve da motivo conduttore nel rondò finale. Nel secondo
quartetto è citato il canto tradizionale “Gloria a Dio nei cieli, gloria” nel “Trio”
dello “Scherzo”, affidato alla voce chiara del violino, privato di ogni
connotazione cerimoniale e trasformato in spunto leggero, svettante sul rapido
disegno di accompagnamento. Proprio il contrario di quanto farà Musorgskij
oltre mezzo secolo dopo utilizzando lo stesso motivo per costruire la grandiosa
scena dell’incoronazione del Boris Godunov. Altre concessioni alle richieste e ai
gusti (certamente classici e non rivoluzionari) del conte russo non ci sono. Il
terzo e ultimo quartetto ne è infatti totalmente privo. Beethoven segue progetti
tutti suoi, in cui ancora una volta si scopre il legame fortissimo del genere
quartetto con il resto della sua sperimentazione e creazione artistica. L’op. 59
n. 3 termina con un grandioso fugato. Non è una fuga vera e propria; è facile
riconoscere la scarsa familiarità del compositore con le tecniche della polifonia
classica; talvolta l’intenzione sopravanza la capacità di realizzazione; si vede
bene l’influenza del Clavicembalo ben temperato di Bach, frequentato e amato
da Beethoven per tutta la vita; l’equilibrio formale pare migliorabile. Il
Quartetto op. 59 n. 3 è comunque un esperimento cruciale. Per la prima volta
Beethoven intuisce che il contrappunto barocco può diventare drammatico; e
che può assolvere magnificamente alla funzione di scaricare le tensioni
accumulate nei movimenti precedenti dai meccanismi propri della forma
sonata. I frutti di questa intuizione matureranno molto più tardi, e saranno
dirompenti: nel finale della Sonata per pianoforte op. 106 “Hammerklavier”,
nella Grande Fuga per quartetto d’archi op. 133, nelle Variazioni su un tema
di Diabelli op. 120. Intuizioni che prefigurano soluzioni proprie dei lavori
dell’ultima maturità beethoveniana abbondano comunque anche nei tre
movimenti precedenti. La catena di dissonanze (settime diminuite)
nell’introduzione al primo movimento può essere vista come un embrione della
monumentale apertura alla Sonata per pianoforte op. 111, l’ultima dell’intera
serie. Le correlazioni intervallari fra diversi principi melodici, che fanno sì che
nel corpo principale del primo movimento sia difficile distinguere fra primo e
secondo (e terzo, e quarto...) tema, sono caratteristiche inconfondibili di molti
primi movimenti dei quartetti cosiddetti della “ultima maniera”. E al di là della
novità sostanziale di un pizzicato di violoncello che coordina ma anche separa, e
di incisi collaterali ora immobili o visionari o perfino prolissi, il secondo
movimento non fa altro che trattare melodia e timbro in modo preschubertiano, dunque avveniristico, sia pure nel rispetto della simmetria
centrale. Come terzo movimento abbiamo un “Minuetto” e non un aspro
“Scherzo”, come succede negli altri lavori della terna op. 59 e nella maggioranza
della produzione coeva. Ma è un “Minuetto” fuori dal tempo, certo non classico,
bensì visionario, a suo modo nuovo e assai imperfetto se confrontato con i frutti
dell’ultima stagione. Forse hanno ragione i critici che vedono nel Quartetto in
do maggiore op. 59 n. 3 una minore chiarezza formale e una visibile ambiguità
di contenuto. Chi invece ama le situazioni in cui le certezze del passato sono
confuse dalle nebbie del futuro, troverà il lavoro affascinante. E lo considererà
il vero ponte fra la “seconda” e “terza maniera” di Beethoven (sempre che a tale
distinzione si riconosca un senso reale).
Quartetto n. 16 in fa maggiore op. 135
Con il Quartetto op. 135 siamo giunti al numero estremo della lunga serie dei
quartetti. Chi si aspetta una evidente continuazione degli esperimenti condotti
nei precedenti (e abnormi) casi delle op. 130, 131, 132 e Grande Fuga op. 133,
non può che rimanere sorpreso. L’op. 135 è infatti uno dei lavori più equilibrati
e compatti in senso classico mai scritti da Beethoven. Un ritorno all’antico si
direbbe, non necessariamente per riprendere slancio per sperimentazioni
future, forse solo per ritrovare le radici. Torna la costruzione in quattro
movimenti. Pure l’organizzazione interna del materiale sembra voler
recuperare antiche simmetrie. Il primo movimento riprende a grandi linee lo
schema della “forma sonata” con esposizione, sviluppo e ripresa impostati su
due temi principali ben distinti. Nulla però è ovvio e scontato. Sono tanti gli
eventi musicali inattesi che punteggiano questo “Allegretto”. La libertà delle
soluzioni adottate, il frequente ricorso al contrappunto e soprattutto l’evidente
mancanza di contrasto drammatico segnalano in ogni battuta che il concetto
stesso di sonata ha ormai subito un’evoluzione irreversibile.
Il movimento successivo, “Vivace”, è una specie di “Scherzo” fantastico, con
strane asimmetrie di ritmo, improvvisi salti del primo violino, cavernosi
interventi del violoncello, formule di accompagnamento ostinatamente
riproposte. Il tutto è concluso in modo brusco e imprevedibile. Il terzo
movimento è uno dei più intimi mai scritti da Beethoven, attento nell’evitare
ogni indebito innalzamento del tono di voce. In tutto il movimento ricorre una
sola melodia, affidata al primo violino, interrotta da una misteriosa sezione
centrale, ripresa con lievi variazioni fino alla poetica conclusione.
Il finale porta la dicitura Der schwer gefasste Entschluss (La grave decisione)
subito seguita da una frase a domanda e risposta Muß es sein? Es muß sein! Es
muß sein! (Deve essere? Ebbene sia! Ebbene sia!). Domanda e risposta sono
tradotte in musica in modo singolare. Il movimento inizia con un “Grave”
pensoso e problematico, su una cellula tematica ascendente di tre note: è la
domanda. Spariti i dubbi, giunge la risposta: la cellula tematica della domanda
viene rovesciata e, da interrogativa, diventa affermativa, anzi perentoria, quasi
imperiosa quando viene ribadita. A questo punto inizia l’“Allegro”, che si snoda
con passo convinto e sicuro fino al “pianissimo” della coda conclusiva, che è
raccordata al movimento principale proprio dalla ripresa dell’iniziale botta e
risposta. Il testo musicale del movimento non lascia dunque trasparire alcun
speciale disagio e procede sereno fino alla conclusione, straordinariamente
poetica. Il curioso finale cui si è accennato sopra completa nel migliore dei modi
un lavoro tutt’altro che minore e mal riuscito. È invece uno dei più incisivi e
innovativi quartetti per archi di Beethoven, grazie alla modernità di una
scrittura che sarà ampiamente ripresa nell’ancora lontano Novecento, da
Schönberg, Bartók, Stravinskij.
Quartetto n. 10 in mi bemolle maggiore op. 74
Il secondo programma della serata propone l’ascolto di tre quartetti isolati e
adiacenti. Isolati perché nascono a distanza di anni l’uno dall’altro. Adiacenti
perché consecutivi e a loro modo legati da un medesimo rispetto delle regole
classiche e dei tradizionali equilibri formali. A dimostrazione ulteriore della
profonda unità di concezione e di evoluzione che troviamo in tutti i quartetti di
Beethoven, indipendentemente dai tempi e dalle circostanze di composizione.
Ancora più evidente risulta il rapporto con il resto della produzione, sia essa
sinfonica, vocale, da camera, per pianoforte. Insomma abbiamo un’altra
dimostrazione che il genere quartetto è perfettamente integrato nel gran
quadro dell’arte beethoveniana, che non è una terna di arcipelaghi dispersa in
mare, lontana dalla terraferma. Perfettamente integrato nel suo tempo è infatti
il Quartetto forse meno eseguito e dunque meno popolare, l’op. 74. Lo scarso
successo di vendita della prima edizione a stampa della terna op. 59 è l’unica
ragione per cui Beethoven raffredda i suoi entusiasmi per il ritrovato amore per
il quartetto. Per avendo scritto all’editore Breitkopf «sto meditando di
dedicarmi quasi completamente a questo tipo di composizione», per oltre tre
anni abbandona il genere. Sono tre anni di grande attività, di consolidamento
però, non di innovazione. In particolare Beethoven sembra assaporare la
faticata conquista di una vena lirica che fino ad allora gli era in parte mancata.
Nascono infatti in quel tempo il Concerto per violino, il Quarto concerto per
pianoforte, Quarta e Sesta sinfonia. Ci sono importanti eccezioni (Quinta
sinfonia, Quinto concerto per pianoforte, ouverture Coriolano) ma pare chiara
la volontà di rilassarsi e di recuperare serenità classiche. Il Quartetto op. 74,
composto nel 1809, è un po’ il coronamento di questa vocazione.
I suoi quattro movimenti hanno sempre dimensioni giuste e scrittura
appropriata. L’introduzione lenta al primo movimento pone le sue domande e si
dà le risposte in modo lineare e si direbbe civile ed equilibrato, senza ricorrere
alle frizioni e alle ansie dell’introduzione dell’op. 59 n. 3. L’“Allegro” che segue è
un bell’esempio di forma sonata con le sezioni di esposizione, sviluppo e ripresa
ben riconoscibili e coerenti. Non ci sono contrasti drammatici, neppure nella
lunga fase di sviluppo, anche perché il tema principale è lirico e il secondo tema
non è che una variante melodica del primo. L’accompagnamento aereo, fatto di
arpeggi e di pizzicati disposti con l’eleganza del grafico oltre che con
l’invenzione del musicista, ha dato all’intero lavoro il fortunato sottotitolo “delle
arpe”. Oltre al frequente pizzicato, caratterizza il primo movimento la
straordinaria conclusione, posta dopo una non meno inattesa serie di evoluzioni
concertanti del primo violino. Un’altra bella melodia domina il secondo
movimento, riproposta tre volte con accorti arricchimenti di scrittura, connessa
da sapienti ponti armonici, sostenuta da soffici controcanti. Non ci sono scarti
ritmici, non armonie stridenti. Beethoven cerca (e trova) cantabilità ed
espressione. Il “Presto” (che è poi uno “Scherzo” nell’accezione corretta del
termine) ha contorni netti, salta da un registro all’altro, non si ferma mai, crea
un eccellente contrasto con la placida calma dell’“Adagio”. Il trio centrale (che
torna una seconda volta) è un curioso esercizio di contrappunto doppio, un po’
ironico, mai sarcastico. Allo “Scherzo” segue direttamente il finale “Allegretto
con variazioni”. Il tema si riconosce bene in ciascuna delle sei variazioni, anche
se è poco più di una formula ritmico-armonica, e non certo un’ampia melodia.
Cambiano solo fraseggi, incontri strumentali, formule di accompagnamento,
volumi e qualità di suono. Insomma Beethoven rende un evidente omaggio allo
stile classico, riannodando i rapporti con Haydn e Mozart, con la propria op. 18,
forse convinto che le sperimentazioni dell’op. 59 siano prive di sbocchi reali.
Quartetto n. 11 in fa minore op. 95 “Serioso”
Se si bada alla sola cronologia, il Quartetto in fa minore op. 95 appartiene di
sicuro al periodo centrale della produzione beethoveniana. Fu composto nel
1810, pochi mesi dopo il completamento del Quartetto op. 74 immediatamente
precedente. Un tempo maggiore (cinque anni) lo separano dalla terna op. 59 ma
è di ben dodici anni la distanza dal quartetto successivo (op. 127) che apre la
straordinaria ultima serie. Se si osserva lo stile, la situazione risulta meno
definita. Il primo movimento è da iscrivere con sicurezza fra le opere più
febbrili, se non proprio “eroiche” di Beethoven. Non ci sono gruppi tematici, ma
segmenti appena sbozzati e subito giustapposti, senza passaggi intermedi,
ponti, collegamenti. Il nevrotico e dissociato primo motivo si salda direttamente
sull’inquieto secondo (esposto dalla viola e subito modificato dalle altre voci).
Poi, più che sviluppo, si ha attrito di materiali differenti. Mai prima Beethoven
aveva proposto modulazioni tanto dirette e brutali. Senza che l’ascoltatore
abbia il tempo di riflettere e assorbire, il movimento finisce. Questo “Allegro con
brio” è uno dei più brevi mai scritti da Beethoven, ma non dà l’impressione di
essere una miniatura, e tanto meno un lavoro minore. L’“Allegretto ma non
troppo” successivo è un poco più ampio e anche più sereno. Sono indimenticabili
l’inciso iniziale del violoncello (tante volte ripetuto, quasi fosse un segno
d’interpunzione), gli addensamenti dissonanti, in particolare il tema della viola
subito ripreso in polifonia, come nei quartetti dell’ultima “maniera”. L’“Allegro
assai vivace”, che poi è uno “Scherzo”, attacca subito e ha un nerbo che viene
dalla ritmica elementare e dalle aspre transizioni armoniche. Nella parte
centrale l'angoloso disegno del primo violino fa da spettrale complemento al
corale degli altri strumenti. Un “Larghetto espressivo” di otto battute
introduce l’“Allegro agitato” conclusivo, pagina fra le più straordinarie mai
scritte da Beethoven per quartetto d’archi. L’appassionata, ma delicatissima,
linea melodica trova sulla sua corsa brividi improvvisi e fremiti misteriosi che
ne intaccano le certezze positive e il contagioso entusiasmo. Poi, quasi per non
essere preso troppo sul serio, Beethoven aggiunge un folgorante “Allegro”,
brusco, inaspettato, per fare punto. Ci accorgiamo così che il Quartetto si è
sviluppato e concluso in un tempo brevissimo, che lo rende lavoro fra i più
concisi, asciutti e antiretorici dell’intera produzione beethoveniana. Col senno
di poi scopriamo che la conclusione del primo movimento apre le porte agli
aforismi del Quartetto op. 131, che il fugato del secondo movimento è come una
prova generale dell’attacco della stessa op. 131, che l’“Allegro agitato” richiama
l’“Alla marcia” dell’op. 132, e infine che lo straordinario finale è la filigrana del
meraviglioso “Allegro appassionato” con cui si conclude pure l’op. 132. Ma è
appunto senno di poi. Lo stesso Beethoven non riesce subito a capire la portata
di queste sue intuizioni di metà 1810, o forse è sconvolto dagli orizzonti
espressivi che gli si spalancano, quasi all'improvviso. E si ritrae. Per altri dodici
anni non scrive quartetti. Aspetta anche qualche anno prima di far eseguire e
di pubblicare l’op. 95. La prima esecuzione ha luogo solo nel maggio del 1814 a
cura del quartetto Schuppanzigh. La stampa (Steiner, Vienna) è del 1816. Porta
la dedica per Nikolaus Zmeskall von Domanovecz, un funzionario imperiale,
buon violoncellista e amante della musica da camera, amico anche di Haydn che
pure gli aveva dedicato numerosi lavori. Il sottotitolo “Serioso” fu attribuito al
Quartetto op. 95 direttamente da Beethoven.
Quartetto n. 12 in mi bemolle maggiore op. 127
Fra il completamento del Quartetto op. 95 (estate 1810) e i primi abbozzi del
successivo, op. 127 (metà 1822), passano dunque ben dodici anni. È un periodo
lungo, denso di avvenimenti per Beethoven e per il mondo che lo circonda, ed è
profondamente infelice. Inizia con lo straordinario e segreto rapporto con
Antonie Brentano (l’Immortale Amata) durato dall’autunno 1811 all’inverno
1812 quando lei deve trasferirsi a Francoforte al seguito della famiglia e del
marito. Prosegue con i grandi rivolgimenti storici e sociali che portano alla fine
dell’impero napoleonico, alla Restaurazione, alla nascita di una nuova società:
tutte cose che influiscono direttamente su Beethoven in quanto molti dei suoi
nobili protettori di un tempo vanno in bancarotta, si trasferiscono, scompaiono.
Nel 1815 comincia il violento conflitto familiare con la cognata per la tutela del
nipote Karl, concluso nel 1820 con una vittoria di Pirro (giudiziaria) di
Beethoven, che si sente sempre più povero, solo e incompreso. Se si aggiunge
che assieme all’udito peggiora anche la sua condizione fisica generale, il quadro
diventa completo. Non sorprende che mai come in quegli anni la produttività
artistica di Beethoven sia bassa, addirittura vicino a zero nel 1817-19, dopo un
fuoco di paglia del 1814-1815 stimolato per lo più da occasioni reazionarie e
antifrancesi (la bizzarra e strumentale Vittoria di Wellington, la cantata Il
momento glorioso per celebrare il Congresso di Vienna). Ricomincia a scrivere
a pieno ritmo solo a partire dal 1821, quando le condizioni fisiche migliorano, in
parallelo (o come conseguenza) della ritrovata serenità di spirito. Il 1822 è
addirittura uno dei suoi anni più prolifici in assoluto: termina la Sonata op. 111,
riscrive in parte l’op. 110, compone praticamente tutte le Variazioni Diabelli
op. 120 e la Missa solemnis op. 123 più la grande ouverture La consacrazione
della casa e un buon numero di lavori minori; comincia a lavorare alla Nona
sinfonia e finalmente riprende il genere quartetto. A quello che sarebbe
diventato il Quartetto op. 127, Beethoven comincia a pensare nei primi mesi di
quell’anno. Alcuni mesi dopo, i buoni propositi sono rinvigoriti dal principe
russo Galitzin che da Pietroburgo gli chiede «un, deux ou trois nouveaux
quattuors». Ma l’impegno con la Nona sinfonia e con la Missa solemnis è
troppo assorbente e il progetto di quartetto non progredisce. Viene ripreso due
anni dopo, nel maggio del 1824 e portato a termine nel febbraio 1825, quando
già è a buon punto la composizione di un altro quartetto, quello in la minore op.
132 a sua volta finito nel luglio successivo. Inizia così la grandiosa ultima
stagione del quartetto di Beethoven. In quanto primo della serie, il Quartetto
op. 127 è quello che più di ogni altro mantiene legami in certo qual modo
espliciti con i quartetti degli anni precedenti. Resta infatti l’articolazione in
quattro movimenti e l’architettura generale non risulta ancora stravolta. Il
finale recupera, con le dovute innovazioni, la violenza dei contrasti
caratteristica dei finali dei quartetti Razumovskij e della “seconda maniera” in
generale. C’è perfino una correlazione tematica con l’op. 59: un “tema russo”
appare come fugace citazione in un gruppo melodico del Finale, omaggio unico
e non si sa fino a che punto volontario, al commissionante principe Galitzin.
Legami stilistici ancora più chiari si trovano col quartetto immediatamente
precedente, l’op. 95: la vocazione al contrappunto, le affinità tematiche fra i due
“Scherzi”, il tono generale che assieme è lirico e brusco. Non ci si deve
sorprendere per queste relazioni a grande distanza temporale. La bassa
produttività, l’apatia e l’isolamento di Beethoven nel decennio precedente
significano anche che il distacco stilistico non si deve misurare in anni, ma in
qualità e quantità delle esperienze artistiche vissute nel frattempo. E i titoli che
vengono in mente non sono davvero molti: Settima e Ottava sinfonia, Trio
dell’Arciduca, Sonata op. 96 per violino e pianoforte (tutto del 1812), Sonate
per violoncello op. 102 (1815), Sonata “Hammerklavier” op. 106 (1817-18), dopo
di che si arriva al contemporaneo con la terna di sonate per pianoforte op. 109,
110, 111 (1820-22). Ma non è il caso di forzare più di tanto la ricerca di elementi
di continuità perché si rischia di perdere il nuovo ed è bene riconoscere che gli
anni che separano l’op. 95 dall’op. 127 sono tanti e che quasi un abisso divide le
due esperienze. Il lirismo dell’op. 127 è infatti nuovo, perché nasce da esigenze
nuove. Convince Joseph Kerman (The Beethoven Quartets, Oxford University
Press, 1966) quando sostiene che la fusione fra “voce” e “strumento” è il tema
che più affascina Beethoven dopo la Nona sinfonia e dopo la Missa solemnis;
e che serve da denominatore comune per l’intera serie di quartetti ultimi.
Attorno a questa ricerca di vocalità senza parole ruoterebbero le altre
“tecniche”: contrappunto, danza, sonata, variazione. Kerman riesce così a
spiegare tante cose, proprio partendo dal Quartetto in mi bemolle. Legge il
primo movimento come esperimento di fusione fra principio sonatistico e
polifonia col tramite del lirismo. Attorno alla spiegata cantabilità del tema si
svolgono le stupefacenti variazioni dell’“Adagio ma non troppo e molto
cantabile”. Dopo la cantabilità “colta” del secondo movimento, nello
“Scherzando” si sperimenta la cantabilità “popolaresca” e “franca”, ossia la
bonhommie rustique (la definizione è di Romain Rolland) che tante volte
incontreremo negli ultimi quartetti. Abbiamo trovato così una nuova chiave
interpretativa degli ultimi quartetti di Beethoven. Così come si è dimostrata
utile la chiave di lettura che, nell’intera serie dei quartetti, privilegia la
continuità dell’evoluzione stilistica dei singoli lavori rispetto alla discontinuità
delle raccolte stampate. Avremo modo di verificarlo anche nelle prossime due
serate di questa integrale, perché sempre troveremo intersezioni fra il giovanile
e il maturo, e sempre scopriremo nuovi legami e impreviste relazioni fra lavori
che tanto spesso ci sono sembrati lontani nello spirito, e non solo nel tempo.
Preziose saranno anche le inclusioni di lavori para-quartettistici, di raro ascolto
e perciò ancora più utili per capire la profonda unità dell’opera cameristica di
Beethoven, anzi della sua musica tutta.
Enzo Beacco
Quartetto Pavel Haas, Praga
º šková violino
Veronika Jaru
Kateřina Gemrotová violino
Pavel Nikl viola
º šek violoncello
Peter Jaru
Il Quartetto Pavel Haas ha vinto nel 2005 il primo premio al festival
Primavera di Praga e solo un mese dopo il concorso internazionale Borciani
a Reggio Emilia, a seguito del quale è stato ospite della nostra stagione.
Impegnato nella tournée premio di 50 concerti in Europa, Giappone e Stati
Uniti, partecipa anche a questa iniziativa di alta formazione.
Quartetto Zemlinsky, Praga
František Souček violino
Petr Střížek violino
Petr Holman viola
Vladimír Fortín violoncello
Il Quartetto Zemlinsky (ex Quartetto Penguin) si è formato con i componenti
dei quartetti Talich, Kochian e Pražak all’Accademia di Musica di Praga. Nel
2005 ha vinto il secondo premio al concorso Primavera di Praga. Ha già al suo
attivo due CD dedicati a Dvořák, Janáček, Suk e F.X. Richter molto apprezzati
dalla critica, e uno in preparazione con il Quartetto n. 2 di Alexander
Zemlinsky.
Quartetto Amaryllis, Berna/Amburgo
Gustav Frielinghaus violino
Lena Wirth violino
Sarah Darling viola
Yves Sandoz violoncello
Fondato nel 2000 alla Hochschule für Musik di Berna, dopo una serie di
concerti di successo in Svizzera, Germania e Francia il Quartetto Amaryllis
ha vinto nel 2005 il concorso internazionale “Charles Hennen” in Olanda. Ha
registrato un CD dedicato a Schubert e Bartók.
Quartetto Bennewitz, Praga
Jiří Němeček violino
Štep̌án Ježek violino
Jiří Pinkas viola
Štep̌án Doležal violoncello
Il Quartetto Bennewitz ha vinto nell’aprile 2005 il concorso per quartetto
d’archi di Osaka in Giappone. Fondato nel 1998 all’Accademia di musica di
Praga, si è esibito in Europa e Giappone. Per la stagione 2005/06 è quartetto
“in residence” alla Musikhochschule di Basilea.
Quartetto SonoS, Basilea
Magalie Martinez violino
Stefanie Bischof violino
Martina Bischof viola
Andrea Bischof violoncello
I fratelli Bischof hanno costituito dapprima un trio e dal 2003 un quartetto
alla Musikhochschule di Basilea. Nel 2005 il Quartetto SonoS ha vinto il
primo premio messo in palio dalla Basler Orchester Gesellschaft.
Quartetto Arco Iris, Friburgo
Catherina Lendle violino
Verena Giovanazzi violino
Robert Woodward viola
Camille Boff violoncello
Fondato nell’autunno 2005 alla Musikhochschule di Friburgo da due
violiniste tedesche, un violista austriaco e una violoncellista francese, il
Quartetto Arco Iris si è perfezionato nella musica da camera alla
Musikhochschule di Basilea.
Quartetto Gémeaux, Lucerna
Anne Schoenholtz violino
Manuel Oswaldi violino
Sylvia Zucker viola
Uli Witteler violoncello
Fondato nel 2003 a Lucerna da tre ragazzi tedeschi e uno svizzero, il Quartetto
Gémeaux si è formato alla Musikhochschule di Basilea con Walter Levin e
Sebastian Hamann. Ancora all’inizio della carriera ha collaborato nell’ambito
del festival di Lucerna 2004 con la Boulez-Akademie e si è recentemente
esibito con successo a Montepulciano e Berlino.
Prossimi concerti:
martedì 28 marzo 2006, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Mitsuko Uchida pianoforte
Più che una specialista, Mitsuko Uchida è una grande interprete della musica
per pianoforte di Mozart. Ha un tocco bellissimo che sa dare colore ai suoni più
algidi, una sensibilità per la forma che porta giusto equilibrio alle increspature
che riesce a dare al ritmo per esaltare l’espressione. Naturale che, per il suo
ritorno alla nostra Società, nell’anno del grande anniversario, ci presenti Mozart
all’inizio e alla fine del programma. Magnifica anche la scelta di incastonare due
“eredi” del grande Salisburghese: un giovanissimo Pierre Boulez, in
rappresentanza della vitalità che la tastiera del pianoforte ha mantenuto in pieno
Novecento; un anziano Beethoven, che nei suoi ultimi anni e con la sua
penultima sonata, rende omaggio alla trasparenza e alla purezza formale del
classicismo passato, eppure mai tramontato.
Programma (Discografia minima)
W. A. Mozart
Fantasia in do minore K 475
Sonata in fa maggiore K 533/494
Sonata in re maggiore K 576
(Uchida, Ph 454 850-2)
L. van Beethoven
Sonata n. 31 in la bemolle maggiore op. 110
(Brendel, Ph 446 701-2)
P. Boulez
Notations
(Karten, ECM 449 936-2)
martedì 11 aprile 2006, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Jonathan Biss pianoforte
Janáček, Schumann, Spratlan, Beethoven
martedì 2 maggio 2006, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Mark Pedmore tenore, Natalie Clein violoncello
Julius Drake pianoforte
Schubert, Britten
I QUARTETTI DI BEETHOVEN
DI QUIRINO PRINCIPE
In occasione di questo ciclo di concerti
dedicato all’esecuzione integrale
dei Quartetti per archi di Beethoven,
è possibile acquistare al prezzo speciale
di € 5 il volume I Quartetti di Beethoven
di Quirino Principe,
edito da Anabasi in collaborazione con
I Concerti del Quartetto
in occasione dell’ultima integrale milanese
affidata al Quartetto di Tokyo nel 1993
al Teatro alla Scala.
La serie “Rising Stars” nella stagione 2005-2006
della Società del Quartetto è sostenuta da
Società del Quartetto di Milano - via Durini 24 - 20122 Milano
tel. 02.795.393 - fax 02.7601.4281
www.quartettomilano.it - e-mail: [email protected]
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