Ludwig van Beethoven integrale dei quartetti per archi
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Ludwig van Beethoven integrale dei quartetti per archi
STAGIONE 2005·06 Il tempo 21-23 marzo 2006 Conservatorio G. Verdi Ludwig van Beethoven integrale dei quartetti per archi 7 Quartetti d’archi dalla Musik-Akademie di Basilea Walter Levin e Sebastian Hamann docenti Martedì 21 marzo, Sala Verdi Ore 18 Quartetto Pavel Haas Ore 20.30 Quartetto Zemlinsky Mercoledì 22 marzo, Sala Puccini Ore 18 Quartetto Amaryllis Ore 20.30 Quartetto Bennewitz Giovedì 23 marzo, Sala Puccini Ore 18 Quartetto SonoS Quartetto Arco Iris Quartetto Zemlinsky Ore 20.30 Quartetto Gémeaux Consiglieri di turno 21 marzo Dott.ssa Maria Majno, Prof. Carlo Sini 22 marzo M° Mario Delli Ponti, Prof. Luciano Martini 23 marzo Dott. Enzo Beacco, Avv. Gian Battista Origini della Croce Il ciclo “Integrale dei Quartetti di Beethoven” è sostenuto da Sponsor istituzionali Con il patrocinio e il sostegno di Con il sostegno di FONDAZIONE CARIPLO Si ringrazia per il ciclo “Musica da Camera” Per assicurare agli artisti la migliore accoglienza e concentrazione e al pubblico il clima più favorevole all’ascolto, si prega di: • spegnere i telefoni cellulari e altri apparecchi con dispositivi acustici; • limitare qualsiasi rumore, anche involontario (fruscio di programmi, tosse ...); • non lasciare la sala prima del congedo dell’artista. Si ricorda inoltre che registrazioni e fotografie non sono consentite, e che l’ingresso in sala a concerto iniziato è possibile solo durante gli applausi, salvo eccezioni consentite dagli artisti. Ludwig van Beethoven (Bonn 1770 - Vienna 1827) Integrale dei quartetti per archi 7 Quartetti Musik-Akademie di Basilea Walter Levin e Sebastian Hamann docenti Martedì 21 marzo, Sala Verdi del Conservatorio ore 18.00 Quartetto Pavel Haas, Praga Quartetto n. 4 in do minore op. 18 n. 4 Allegro ma non tanto Andante scherzoso quasi allegretto Menuetto. Allegretto Allegro Quartetto n. 9 in do maggiore op. 59 n. 3 Introduzione. Andante con moto Allegro vivace Andante con moto quasi allegretto Menuetto. Grazioso Allegro molto Quartetto n. 16 in fa maggiore op. 135 Allegretto Vivace Lento assai, cantante e tranquillo Grave - Allegro Grave ma non troppo tratto Allegro ore 20.30 Quartetto Zemlinsky, Praga Quartetto n. 10 in mi bemolle maggiore op. 74 Poco adagio - Allegro Adagio ma non troppo Presto - Più presto quasi prestissimo Allegretto con variazioni Quartetto n. 11 in fa minore op. 95 Allegro con brio Allegretto ma non troppo Allegro assai vivace ma serioso Larghetto espressivo Allegretto agitato Quartetto n. 12 in mi bemolle maggiore op. 127 Maestoso - Allegro Adagio, ma non troppo e molto cantabile Scherzando vivace Finale Mercoledì 22 marzo, Sala Puccini del Conservatorio ore 18.00 Quartetto Amaryllis, Berna/Amburgo Quartetto n. 1 in fa maggiore op. 18 n. 1 Allegro con brio Adagio affettuoso ed appassionato Scherzo. Allegro molto Allegro Quartetto n. 7 in fa maggiore op. 59 n. 1 Allegro Allegretto vivace e sempre scherzando Adagio molto e mesto Thème russe. Allegro Assai sostenuto - Allegro Allegro ma non tanto Molto adagio - sentendo nuova forza. Andante Alla marcia, assai vivace - Più allegro Presto Allegro appassionato Quartetto n. 15 in la minore op. 132 ore 20.30 Quartetto Bennewitz, Praga Quartetto n. 5 in la maggiore op. 18 n. 5 Allegro Menuetto Andante cantabile Allegro Quartetto n. 8 in mi minore op. 59 n. 2 Allegro Molto adagio Allegretto Finale. Presto Quartetto n. 13 in si bemolle maggiore op. 130 con Grande Fuga op. 133 come ultimo movimento Adagio ma non troppo - Allegro Presto Andante con moto ma non troppo. Poco scherzando Alla danza tedesca. Allegro assai Cavatina. Adagio molto espressivo Grande Fuga Giovedì 23 marzo, Sala Puccini del Conservatorio ore 18.00 Quartetto SonoS, Basilea Quartetto n. 2 in sol maggiore op. 18 n. 2 Allegro Adagio cantabile - Allegro - Tempo I Scherzo. Allegro Allegro molto, quasi presto Quartetto n. 3 in re maggiore op. 18 n. 3 Quartetto Arco Iris, Friburgo Allegro Andante con moto Allegro Presto Quartetto n. 13 in si bemolle maggiore op. 130 Finale. Allegro Quartetto Zemlinsky, Praga Sylvia Zucker II viola Quintetto per archi in do maggiore op. 29 per 2 violini, 2 viole e violoncello Allegro moderato Adagio molto espressivo Scherzo. Allegro Finale. Presto ore 20.30 Quartetto Gémeaux, Lucerna Quartetto in fa maggiore op. 14 n. 1 (Versione di Beethoven della Sonata per pf. in mi magg. op. 14 n. 1) Allegro Allegretto Rondò. Allegro comodo Allegro con brio Adagio ma non troppo Scherzo. Allegro Adagio - Allegretto quasi allegro Adagio - Allegretto - Poco adagio Prestissimo Quartetto n. 6 in si bemolle maggiore op. 18 n. 6 Quartetto n. 14 in do diesis minore op. 131 Adagio, ma non troppo e molto espressivo Allegro molto vivace Allegro moderato Andante, ma non troppo e molto cantabile Presto Adagio quasi un poco andante Allegro Quartetto n. 4 in do minore op. 18 n. 4 Una grande integrale come quella proposta in questi tre giorni, con tutti i quartetti di Beethoven eseguiti a distanza ravvicinata, invita, anzi obbliga, a fare riflessioni che di regola si riescono a evitare quando l’ascolto si limita a un pezzo solo, come spesso succede nei normali concerti di stagione. Viene subito la domanda sul ruolo del genere quartetto nel quadro complessivo della produzione beethoveniana. Ci si chiede, ancora una volta, se i quartetti esprimono la continuità dello sforzo creativo all’interno di un processo evolutivo che non conosce soste. O se invece davvero ben rappresentano quei momenti di rottura essenziali che segnano il brusco passaggio da uno stile all’altro, come ci porta a credere una radicata tradizione critica. Osservata dall’esterno, la sequenza dei quartetti, così ben articolata in tre gruppi distinti (i sei dell’età giovanile, i cinque della prima maturità, i sei degli anni estremi), sembra confermare la tesi di chi distingue in tre “maniere” l’arte di Beethoven. Con accademico piglio classificatorio, analizzando separatamente i singoli lavori, si cercano e si trovano le differenze, le discontinuità rispetto agli stili precedenti o successivi. Si privilegia l’individualità di ciascun quartetto, cioè il risultato finale, relegando sullo sfondo il processo che lo ha generato. Ascoltata dall’interno, in modo concentrato e completo, senza fissarsi sulla cronologia, la serie ci porta invece a percepire un senso di evoluzione e unità di linguaggio che induce a cercare (e a trovare) i legami profondi che uniscono lavori tanto differenti. Per scoprire che i salti temporali non sono altro che il frutto di contingenze spicciole quali commissioni estemporanee e necessità editoriali. Mentre fortissimi restano i legami verticali (fra un quartetto e l’altro) e orizzontali (con gli altri generi), e sempre all’insegna della continuità. Lo dimostrano benissimo le (in apparenza) contraddittorie impaginazioni dei due concerti che troviamo in questa prima giornata. Nel primo caso si potrebbe leggere l’apoteosi della discontinuità, con tre lavori che rappresentano altrettante maniere, nettamente distanziate nel tempo. Ma non è così. Lo affermano le vicende che portarono alla realizzazione delle tre partiture. Si può dire che tutto parte dalle iniziative del conte Anton Georg Apponyi (17511817) che era un grande intenditore di musica da camera, oltre che un generoso mecenate. Le importanti serie di quartetti op. 71 e 74 di Haydn nascono su sua commissione. È uno dei primi, con il conte Waldstein, a capire le grandi potenzialità del giovane pianista-compositore Beethoven arrivato nel 1792 a Vienna dalla provinciale Bonn. E non perde l’occasione per stimolarne la creatività. Apponyi chiede a Beethoven, che fino ad allora non ha mai composto quartetti, di scriverne uno per un compenso prefissato. Il conte dichiara pure che, contrariamente alle consuetudini, non vuole tenersi il diritto esclusivo di esecuzione del lavoro per sei mesi prima della pubblicazione e che non pretende neppure di avere la dedica. Nonostante le sue ripetute insistenze, per due volte Beethoven declina la proposta, ma la sostituisce una volta con un gran trio per archi (op. 3) e un’altra con un quintetto (op. 4). Le resistenze di Beethoven si capiscono. È arrivato a Vienna un anno dopo la morte di Mozart e ha cominciato a farsi strada proprio negli anni in cui escono i grandi capolavori per orchestra e per quartetto di Haydn. Pur consapevole dei propri mezzi, perfino arrogante, il giovane Beethoven prova un po’ di timore nell’affrontare i generi più nobili, sinfonia e appunto quartetto. Dunque prende tempo. Consolida la sua fama di pianista pubblicando una lunga serie di sonate per pianoforte. Si cimenta con variabile applicazione in generi di minor prestigio come trii e quintetti e sonate per violino e pianoforte. Studia contrappunto, schizza fughe per quartetto d’archi, copia di proprio pugno lavori di Haydn. Tre anni dopo Apponyi, è il principe Lobkowitz a chiedere quartetti a Beethoven, e ha successo, perché i tempi sono maturi. Anzi, per un paio di anni (1798-1800), molte energie creative di Beethoven si concentrano sulla composizione di quartetti per archi. E siccome due anni sono un periodo lungo, non ci si deve stupire se il taglio e lo stile dei singoli lavori sono molto più vari di quanto non suggerisca il fatto che i suoi primi sei quartetti escano in un’unica raccolta a stampa (sia pure divisa in due quaderni di tre) classificata come op. 18. Semmai sorprende che nell’op. 18 la linea non sia evolutiva ma involutiva. Ovvero che il primo quartetto in ordine cronologico di composizione (il n. 3 in re maggiore, databile 1798) sia il più originale e avanzato e che quelli successivi risultino via via sempre più legati alla tradizione, sia pure con tutta una serie di contraddizioni talvolta reali e talvolta solo apparenti che testimoniano il tormento della creazione e il costante rapporto con le maniere del tempo. Ne è un perfetto esempio il quartetto che apre il programma. Che è scritto in do minore. Do minore è per definizione una tonalità notturna, drammatica, tragica. Dunque il Quartetto n. 4 risulterebbe il più romantico della serie op. 18 (gli altri cinque sono in tonalità maggiore), ovvero il più moderno, anche perché fu probabilmente l’ultimo ad essere completato. Su un sillogismo di questo tipo si basa molta della fortuna che il Quartetto ha subito riscosso presso gran parte di pubblico e critica. Ma il primo a dubitare del valore del Quartetto è lo stesso Beethoven che nei suoi ultimi anni lo bolla con una definizione a dir poco ingenerosa: «Non è che merda, buona per il porco pubblico». Dal canto suo, l’illustre Hugo Riemann (1910) porta acqua al mulino di chi sostiene che il Quartetto in do minore fu certo scritto per ultimo, ma in gran fretta, recuperando materiali stesi in gioventù a Bonn, prima ancora che Beethoven si stabilisse a Vienna. L’ argomentazione è sostenuta da circostanziati riferimenti ad altri lavori giovanili (il curioso Duetto per due occhiali obbligati del 1795-98, incompiuto per viola e violoncello) e a dotte comparazioni con quartetti di Cannabich, Stamitz, Toeschi. La scelta della tonalità minore sarebbe infine dovuta non già a stimolo interiore ma a una precisa consuetudine editoriale del tempo. Non c’è dubbio che la struttura dei quattro movimenti del Quartetto in do minore sia gracile e priva di innovazione. L’ iniziale “Allegro ma non tanto” ha i soliti due temi che però sono accostati bruscamente, sviluppati in modo sommario e ripresi senza elaborazione ulteriore. Eppure la linea melodica del primo tema ha una bella espressività e la stretta conclusiva ha indubbia efficacia. Dal punto di vista costruttivo, è certo più curato il secondo movimento, in forma sonata con tanto di sviluppo importante e decoroso disegno contrappuntistico. Il fatto che si tratti di un “Andante scherzoso quasi allegretto” e non di un tradizionale “Adagio” fa comunque nascere il sospetto di un riciclaggio. Tanto più che il terzo movimento è un normale “Minuetto”, tributario del Mozart delle ultime sinfonie. Il rondò finale segue senza deroghe le convenzioni classiche e si sforza, peraltro con ottimi risultati, di inventare effetti e di strappare consensi. L’inserimento di un inciso zingaresco e il travolgente “prestissimo” finale di questo “Allegro” hanno contribuito non poco a garantire alla popolarità dell'intero lavoro. È comunque evidente che non c'è progresso stilistico e soprattutto che non si prospetta un vero futuro. Beethoven se ne rende ben conto e per qualche anno sospende la composizione di quartetti, torna a sperimentare con il prediletto pianoforte e un po’ alla volta comincia a schizzare i contorni della rivoluzionaria Terza sinfonia. Quartetto n. 9 in do maggiore op. 59 n. 3 I circa cinque anni che passano fra la pubblicazione dei sei quartetti op. 18 e dei tre dell’op. 59 sono segnati da cambiamenti drammatici sia per la vita che per l’arte di Beethoven. Sono gli anni delle prime cocenti delusioni affettive. È il tempo in cui Beethoven scopre che il suo debole disturbo auditivo giovanile si sta trasformando in sordità e ormai gli impone di chiudere l’attività di concertista di pianoforte che lo ha reso famoso e gli ha spalancato i saloni aristocratici della Vienna di fine Settecento. La crisi è tremenda e porta al disperato Testamento di Heiligenstadt (1802) con annessa voglia di farla finita. Ma anche la reazione, per nostra fortuna, è tremenda per forza e determinazione. La genialità dell’artista prevale sulle sventure dell’uomo. Basta estrarre qualche titolo dal catalogo delle opere compiute fra 1802 e 1806 per rendersene conto: le Sonate per pianoforte op. 31 n. 2 (“Tempesta”), op. 53 (“Waldstein”) e op. 57 (“Appassionata”); le prime due versioni del Fidelio; la Sonata “a Kreutzer” per violino e pianoforte; e - si direbbe soprattutto - la Terza sinfonia. È la cosiddetta “seconda maniera”, quella “eroica”, che esplode e spazza via ogni residuo settecentesco dalla musica di Beethoven. Tutto diventa più grande, esce di proporzione, violenta le possibilità fisiche degli strumenti e dei complessi, crea timbri, forme, contrasti. Anche il genere quartetto non si sottrae al nuovo stile. Anzi finalmente trova la via per superare gli argini che avevano addomesticato l’originale spinta innovativa nell’op. 18. Sappiamo per certo che Beethoven non ha mai rinunciato pensare a nuovi quartetti, per evidente necessità interiore. La spinta definitiva viene però dal conte Andrej Kyrillovič Rasumovskij (1751-1836) che, arrivato a Vienna nel 1790 come ambasciatore di tutte le Russie, amante della musica e buon violinista, nota subito il giovane Beethoven e ne diventa grande ammiratore. Gli piacciono i Quartetti op. 18 e attorno al 1803 gli commissiona alcuni quartetti contenenti “temi russi”. Beethoven riflette per circa tre anni ma non dimentica la richiesta del conte russo. Senza strafare e non cedendo a folklorismi di maniera, inserisce un paio di motivi russi in partitura. Nel primo quartetto c’è un Thème russe che serve da motivo conduttore nel rondò finale. Nel secondo quartetto è citato il canto tradizionale “Gloria a Dio nei cieli, gloria” nel “Trio” dello “Scherzo”, affidato alla voce chiara del violino, privato di ogni connotazione cerimoniale e trasformato in spunto leggero, svettante sul rapido disegno di accompagnamento. Proprio il contrario di quanto farà Musorgskij oltre mezzo secolo dopo utilizzando lo stesso motivo per costruire la grandiosa scena dell’incoronazione del Boris Godunov. Altre concessioni alle richieste e ai gusti (certamente classici e non rivoluzionari) del conte russo non ci sono. Il terzo e ultimo quartetto ne è infatti totalmente privo. Beethoven segue progetti tutti suoi, in cui ancora una volta si scopre il legame fortissimo del genere quartetto con il resto della sua sperimentazione e creazione artistica. L’op. 59 n. 3 termina con un grandioso fugato. Non è una fuga vera e propria; è facile riconoscere la scarsa familiarità del compositore con le tecniche della polifonia classica; talvolta l’intenzione sopravanza la capacità di realizzazione; si vede bene l’influenza del Clavicembalo ben temperato di Bach, frequentato e amato da Beethoven per tutta la vita; l’equilibrio formale pare migliorabile. Il Quartetto op. 59 n. 3 è comunque un esperimento cruciale. Per la prima volta Beethoven intuisce che il contrappunto barocco può diventare drammatico; e che può assolvere magnificamente alla funzione di scaricare le tensioni accumulate nei movimenti precedenti dai meccanismi propri della forma sonata. I frutti di questa intuizione matureranno molto più tardi, e saranno dirompenti: nel finale della Sonata per pianoforte op. 106 “Hammerklavier”, nella Grande Fuga per quartetto d’archi op. 133, nelle Variazioni su un tema di Diabelli op. 120. Intuizioni che prefigurano soluzioni proprie dei lavori dell’ultima maturità beethoveniana abbondano comunque anche nei tre movimenti precedenti. La catena di dissonanze (settime diminuite) nell’introduzione al primo movimento può essere vista come un embrione della monumentale apertura alla Sonata per pianoforte op. 111, l’ultima dell’intera serie. Le correlazioni intervallari fra diversi principi melodici, che fanno sì che nel corpo principale del primo movimento sia difficile distinguere fra primo e secondo (e terzo, e quarto...) tema, sono caratteristiche inconfondibili di molti primi movimenti dei quartetti cosiddetti della “ultima maniera”. E al di là della novità sostanziale di un pizzicato di violoncello che coordina ma anche separa, e di incisi collaterali ora immobili o visionari o perfino prolissi, il secondo movimento non fa altro che trattare melodia e timbro in modo preschubertiano, dunque avveniristico, sia pure nel rispetto della simmetria centrale. Come terzo movimento abbiamo un “Minuetto” e non un aspro “Scherzo”, come succede negli altri lavori della terna op. 59 e nella maggioranza della produzione coeva. Ma è un “Minuetto” fuori dal tempo, certo non classico, bensì visionario, a suo modo nuovo e assai imperfetto se confrontato con i frutti dell’ultima stagione. Forse hanno ragione i critici che vedono nel Quartetto in do maggiore op. 59 n. 3 una minore chiarezza formale e una visibile ambiguità di contenuto. Chi invece ama le situazioni in cui le certezze del passato sono confuse dalle nebbie del futuro, troverà il lavoro affascinante. E lo considererà il vero ponte fra la “seconda” e “terza maniera” di Beethoven (sempre che a tale distinzione si riconosca un senso reale). Quartetto n. 16 in fa maggiore op. 135 Con il Quartetto op. 135 siamo giunti al numero estremo della lunga serie dei quartetti. Chi si aspetta una evidente continuazione degli esperimenti condotti nei precedenti (e abnormi) casi delle op. 130, 131, 132 e Grande Fuga op. 133, non può che rimanere sorpreso. L’op. 135 è infatti uno dei lavori più equilibrati e compatti in senso classico mai scritti da Beethoven. Un ritorno all’antico si direbbe, non necessariamente per riprendere slancio per sperimentazioni future, forse solo per ritrovare le radici. Torna la costruzione in quattro movimenti. Pure l’organizzazione interna del materiale sembra voler recuperare antiche simmetrie. Il primo movimento riprende a grandi linee lo schema della “forma sonata” con esposizione, sviluppo e ripresa impostati su due temi principali ben distinti. Nulla però è ovvio e scontato. Sono tanti gli eventi musicali inattesi che punteggiano questo “Allegretto”. La libertà delle soluzioni adottate, il frequente ricorso al contrappunto e soprattutto l’evidente mancanza di contrasto drammatico segnalano in ogni battuta che il concetto stesso di sonata ha ormai subito un’evoluzione irreversibile. Il movimento successivo, “Vivace”, è una specie di “Scherzo” fantastico, con strane asimmetrie di ritmo, improvvisi salti del primo violino, cavernosi interventi del violoncello, formule di accompagnamento ostinatamente riproposte. Il tutto è concluso in modo brusco e imprevedibile. Il terzo movimento è uno dei più intimi mai scritti da Beethoven, attento nell’evitare ogni indebito innalzamento del tono di voce. In tutto il movimento ricorre una sola melodia, affidata al primo violino, interrotta da una misteriosa sezione centrale, ripresa con lievi variazioni fino alla poetica conclusione. Il finale porta la dicitura Der schwer gefasste Entschluss (La grave decisione) subito seguita da una frase a domanda e risposta Muß es sein? Es muß sein! Es muß sein! (Deve essere? Ebbene sia! Ebbene sia!). Domanda e risposta sono tradotte in musica in modo singolare. Il movimento inizia con un “Grave” pensoso e problematico, su una cellula tematica ascendente di tre note: è la domanda. Spariti i dubbi, giunge la risposta: la cellula tematica della domanda viene rovesciata e, da interrogativa, diventa affermativa, anzi perentoria, quasi imperiosa quando viene ribadita. A questo punto inizia l’“Allegro”, che si snoda con passo convinto e sicuro fino al “pianissimo” della coda conclusiva, che è raccordata al movimento principale proprio dalla ripresa dell’iniziale botta e risposta. Il testo musicale del movimento non lascia dunque trasparire alcun speciale disagio e procede sereno fino alla conclusione, straordinariamente poetica. Il curioso finale cui si è accennato sopra completa nel migliore dei modi un lavoro tutt’altro che minore e mal riuscito. È invece uno dei più incisivi e innovativi quartetti per archi di Beethoven, grazie alla modernità di una scrittura che sarà ampiamente ripresa nell’ancora lontano Novecento, da Schönberg, Bartók, Stravinskij. Quartetto n. 10 in mi bemolle maggiore op. 74 Il secondo programma della serata propone l’ascolto di tre quartetti isolati e adiacenti. Isolati perché nascono a distanza di anni l’uno dall’altro. Adiacenti perché consecutivi e a loro modo legati da un medesimo rispetto delle regole classiche e dei tradizionali equilibri formali. A dimostrazione ulteriore della profonda unità di concezione e di evoluzione che troviamo in tutti i quartetti di Beethoven, indipendentemente dai tempi e dalle circostanze di composizione. Ancora più evidente risulta il rapporto con il resto della produzione, sia essa sinfonica, vocale, da camera, per pianoforte. Insomma abbiamo un’altra dimostrazione che il genere quartetto è perfettamente integrato nel gran quadro dell’arte beethoveniana, che non è una terna di arcipelaghi dispersa in mare, lontana dalla terraferma. Perfettamente integrato nel suo tempo è infatti il Quartetto forse meno eseguito e dunque meno popolare, l’op. 74. Lo scarso successo di vendita della prima edizione a stampa della terna op. 59 è l’unica ragione per cui Beethoven raffredda i suoi entusiasmi per il ritrovato amore per il quartetto. Per avendo scritto all’editore Breitkopf «sto meditando di dedicarmi quasi completamente a questo tipo di composizione», per oltre tre anni abbandona il genere. Sono tre anni di grande attività, di consolidamento però, non di innovazione. In particolare Beethoven sembra assaporare la faticata conquista di una vena lirica che fino ad allora gli era in parte mancata. Nascono infatti in quel tempo il Concerto per violino, il Quarto concerto per pianoforte, Quarta e Sesta sinfonia. Ci sono importanti eccezioni (Quinta sinfonia, Quinto concerto per pianoforte, ouverture Coriolano) ma pare chiara la volontà di rilassarsi e di recuperare serenità classiche. Il Quartetto op. 74, composto nel 1809, è un po’ il coronamento di questa vocazione. I suoi quattro movimenti hanno sempre dimensioni giuste e scrittura appropriata. L’introduzione lenta al primo movimento pone le sue domande e si dà le risposte in modo lineare e si direbbe civile ed equilibrato, senza ricorrere alle frizioni e alle ansie dell’introduzione dell’op. 59 n. 3. L’“Allegro” che segue è un bell’esempio di forma sonata con le sezioni di esposizione, sviluppo e ripresa ben riconoscibili e coerenti. Non ci sono contrasti drammatici, neppure nella lunga fase di sviluppo, anche perché il tema principale è lirico e il secondo tema non è che una variante melodica del primo. L’accompagnamento aereo, fatto di arpeggi e di pizzicati disposti con l’eleganza del grafico oltre che con l’invenzione del musicista, ha dato all’intero lavoro il fortunato sottotitolo “delle arpe”. Oltre al frequente pizzicato, caratterizza il primo movimento la straordinaria conclusione, posta dopo una non meno inattesa serie di evoluzioni concertanti del primo violino. Un’altra bella melodia domina il secondo movimento, riproposta tre volte con accorti arricchimenti di scrittura, connessa da sapienti ponti armonici, sostenuta da soffici controcanti. Non ci sono scarti ritmici, non armonie stridenti. Beethoven cerca (e trova) cantabilità ed espressione. Il “Presto” (che è poi uno “Scherzo” nell’accezione corretta del termine) ha contorni netti, salta da un registro all’altro, non si ferma mai, crea un eccellente contrasto con la placida calma dell’“Adagio”. Il trio centrale (che torna una seconda volta) è un curioso esercizio di contrappunto doppio, un po’ ironico, mai sarcastico. Allo “Scherzo” segue direttamente il finale “Allegretto con variazioni”. Il tema si riconosce bene in ciascuna delle sei variazioni, anche se è poco più di una formula ritmico-armonica, e non certo un’ampia melodia. Cambiano solo fraseggi, incontri strumentali, formule di accompagnamento, volumi e qualità di suono. Insomma Beethoven rende un evidente omaggio allo stile classico, riannodando i rapporti con Haydn e Mozart, con la propria op. 18, forse convinto che le sperimentazioni dell’op. 59 siano prive di sbocchi reali. Quartetto n. 11 in fa minore op. 95 “Serioso” Se si bada alla sola cronologia, il Quartetto in fa minore op. 95 appartiene di sicuro al periodo centrale della produzione beethoveniana. Fu composto nel 1810, pochi mesi dopo il completamento del Quartetto op. 74 immediatamente precedente. Un tempo maggiore (cinque anni) lo separano dalla terna op. 59 ma è di ben dodici anni la distanza dal quartetto successivo (op. 127) che apre la straordinaria ultima serie. Se si osserva lo stile, la situazione risulta meno definita. Il primo movimento è da iscrivere con sicurezza fra le opere più febbrili, se non proprio “eroiche” di Beethoven. Non ci sono gruppi tematici, ma segmenti appena sbozzati e subito giustapposti, senza passaggi intermedi, ponti, collegamenti. Il nevrotico e dissociato primo motivo si salda direttamente sull’inquieto secondo (esposto dalla viola e subito modificato dalle altre voci). Poi, più che sviluppo, si ha attrito di materiali differenti. Mai prima Beethoven aveva proposto modulazioni tanto dirette e brutali. Senza che l’ascoltatore abbia il tempo di riflettere e assorbire, il movimento finisce. Questo “Allegro con brio” è uno dei più brevi mai scritti da Beethoven, ma non dà l’impressione di essere una miniatura, e tanto meno un lavoro minore. L’“Allegretto ma non troppo” successivo è un poco più ampio e anche più sereno. Sono indimenticabili l’inciso iniziale del violoncello (tante volte ripetuto, quasi fosse un segno d’interpunzione), gli addensamenti dissonanti, in particolare il tema della viola subito ripreso in polifonia, come nei quartetti dell’ultima “maniera”. L’“Allegro assai vivace”, che poi è uno “Scherzo”, attacca subito e ha un nerbo che viene dalla ritmica elementare e dalle aspre transizioni armoniche. Nella parte centrale l'angoloso disegno del primo violino fa da spettrale complemento al corale degli altri strumenti. Un “Larghetto espressivo” di otto battute introduce l’“Allegro agitato” conclusivo, pagina fra le più straordinarie mai scritte da Beethoven per quartetto d’archi. L’appassionata, ma delicatissima, linea melodica trova sulla sua corsa brividi improvvisi e fremiti misteriosi che ne intaccano le certezze positive e il contagioso entusiasmo. Poi, quasi per non essere preso troppo sul serio, Beethoven aggiunge un folgorante “Allegro”, brusco, inaspettato, per fare punto. Ci accorgiamo così che il Quartetto si è sviluppato e concluso in un tempo brevissimo, che lo rende lavoro fra i più concisi, asciutti e antiretorici dell’intera produzione beethoveniana. Col senno di poi scopriamo che la conclusione del primo movimento apre le porte agli aforismi del Quartetto op. 131, che il fugato del secondo movimento è come una prova generale dell’attacco della stessa op. 131, che l’“Allegro agitato” richiama l’“Alla marcia” dell’op. 132, e infine che lo straordinario finale è la filigrana del meraviglioso “Allegro appassionato” con cui si conclude pure l’op. 132. Ma è appunto senno di poi. Lo stesso Beethoven non riesce subito a capire la portata di queste sue intuizioni di metà 1810, o forse è sconvolto dagli orizzonti espressivi che gli si spalancano, quasi all'improvviso. E si ritrae. Per altri dodici anni non scrive quartetti. Aspetta anche qualche anno prima di far eseguire e di pubblicare l’op. 95. La prima esecuzione ha luogo solo nel maggio del 1814 a cura del quartetto Schuppanzigh. La stampa (Steiner, Vienna) è del 1816. Porta la dedica per Nikolaus Zmeskall von Domanovecz, un funzionario imperiale, buon violoncellista e amante della musica da camera, amico anche di Haydn che pure gli aveva dedicato numerosi lavori. Il sottotitolo “Serioso” fu attribuito al Quartetto op. 95 direttamente da Beethoven. Quartetto n. 12 in mi bemolle maggiore op. 127 Fra il completamento del Quartetto op. 95 (estate 1810) e i primi abbozzi del successivo, op. 127 (metà 1822), passano dunque ben dodici anni. È un periodo lungo, denso di avvenimenti per Beethoven e per il mondo che lo circonda, ed è profondamente infelice. Inizia con lo straordinario e segreto rapporto con Antonie Brentano (l’Immortale Amata) durato dall’autunno 1811 all’inverno 1812 quando lei deve trasferirsi a Francoforte al seguito della famiglia e del marito. Prosegue con i grandi rivolgimenti storici e sociali che portano alla fine dell’impero napoleonico, alla Restaurazione, alla nascita di una nuova società: tutte cose che influiscono direttamente su Beethoven in quanto molti dei suoi nobili protettori di un tempo vanno in bancarotta, si trasferiscono, scompaiono. Nel 1815 comincia il violento conflitto familiare con la cognata per la tutela del nipote Karl, concluso nel 1820 con una vittoria di Pirro (giudiziaria) di Beethoven, che si sente sempre più povero, solo e incompreso. Se si aggiunge che assieme all’udito peggiora anche la sua condizione fisica generale, il quadro diventa completo. Non sorprende che mai come in quegli anni la produttività artistica di Beethoven sia bassa, addirittura vicino a zero nel 1817-19, dopo un fuoco di paglia del 1814-1815 stimolato per lo più da occasioni reazionarie e antifrancesi (la bizzarra e strumentale Vittoria di Wellington, la cantata Il momento glorioso per celebrare il Congresso di Vienna). Ricomincia a scrivere a pieno ritmo solo a partire dal 1821, quando le condizioni fisiche migliorano, in parallelo (o come conseguenza) della ritrovata serenità di spirito. Il 1822 è addirittura uno dei suoi anni più prolifici in assoluto: termina la Sonata op. 111, riscrive in parte l’op. 110, compone praticamente tutte le Variazioni Diabelli op. 120 e la Missa solemnis op. 123 più la grande ouverture La consacrazione della casa e un buon numero di lavori minori; comincia a lavorare alla Nona sinfonia e finalmente riprende il genere quartetto. A quello che sarebbe diventato il Quartetto op. 127, Beethoven comincia a pensare nei primi mesi di quell’anno. Alcuni mesi dopo, i buoni propositi sono rinvigoriti dal principe russo Galitzin che da Pietroburgo gli chiede «un, deux ou trois nouveaux quattuors». Ma l’impegno con la Nona sinfonia e con la Missa solemnis è troppo assorbente e il progetto di quartetto non progredisce. Viene ripreso due anni dopo, nel maggio del 1824 e portato a termine nel febbraio 1825, quando già è a buon punto la composizione di un altro quartetto, quello in la minore op. 132 a sua volta finito nel luglio successivo. Inizia così la grandiosa ultima stagione del quartetto di Beethoven. In quanto primo della serie, il Quartetto op. 127 è quello che più di ogni altro mantiene legami in certo qual modo espliciti con i quartetti degli anni precedenti. Resta infatti l’articolazione in quattro movimenti e l’architettura generale non risulta ancora stravolta. Il finale recupera, con le dovute innovazioni, la violenza dei contrasti caratteristica dei finali dei quartetti Razumovskij e della “seconda maniera” in generale. C’è perfino una correlazione tematica con l’op. 59: un “tema russo” appare come fugace citazione in un gruppo melodico del Finale, omaggio unico e non si sa fino a che punto volontario, al commissionante principe Galitzin. Legami stilistici ancora più chiari si trovano col quartetto immediatamente precedente, l’op. 95: la vocazione al contrappunto, le affinità tematiche fra i due “Scherzi”, il tono generale che assieme è lirico e brusco. Non ci si deve sorprendere per queste relazioni a grande distanza temporale. La bassa produttività, l’apatia e l’isolamento di Beethoven nel decennio precedente significano anche che il distacco stilistico non si deve misurare in anni, ma in qualità e quantità delle esperienze artistiche vissute nel frattempo. E i titoli che vengono in mente non sono davvero molti: Settima e Ottava sinfonia, Trio dell’Arciduca, Sonata op. 96 per violino e pianoforte (tutto del 1812), Sonate per violoncello op. 102 (1815), Sonata “Hammerklavier” op. 106 (1817-18), dopo di che si arriva al contemporaneo con la terna di sonate per pianoforte op. 109, 110, 111 (1820-22). Ma non è il caso di forzare più di tanto la ricerca di elementi di continuità perché si rischia di perdere il nuovo ed è bene riconoscere che gli anni che separano l’op. 95 dall’op. 127 sono tanti e che quasi un abisso divide le due esperienze. Il lirismo dell’op. 127 è infatti nuovo, perché nasce da esigenze nuove. Convince Joseph Kerman (The Beethoven Quartets, Oxford University Press, 1966) quando sostiene che la fusione fra “voce” e “strumento” è il tema che più affascina Beethoven dopo la Nona sinfonia e dopo la Missa solemnis; e che serve da denominatore comune per l’intera serie di quartetti ultimi. Attorno a questa ricerca di vocalità senza parole ruoterebbero le altre “tecniche”: contrappunto, danza, sonata, variazione. Kerman riesce così a spiegare tante cose, proprio partendo dal Quartetto in mi bemolle. Legge il primo movimento come esperimento di fusione fra principio sonatistico e polifonia col tramite del lirismo. Attorno alla spiegata cantabilità del tema si svolgono le stupefacenti variazioni dell’“Adagio ma non troppo e molto cantabile”. Dopo la cantabilità “colta” del secondo movimento, nello “Scherzando” si sperimenta la cantabilità “popolaresca” e “franca”, ossia la bonhommie rustique (la definizione è di Romain Rolland) che tante volte incontreremo negli ultimi quartetti. Abbiamo trovato così una nuova chiave interpretativa degli ultimi quartetti di Beethoven. Così come si è dimostrata utile la chiave di lettura che, nell’intera serie dei quartetti, privilegia la continuità dell’evoluzione stilistica dei singoli lavori rispetto alla discontinuità delle raccolte stampate. Avremo modo di verificarlo anche nelle prossime due serate di questa integrale, perché sempre troveremo intersezioni fra il giovanile e il maturo, e sempre scopriremo nuovi legami e impreviste relazioni fra lavori che tanto spesso ci sono sembrati lontani nello spirito, e non solo nel tempo. Preziose saranno anche le inclusioni di lavori para-quartettistici, di raro ascolto e perciò ancora più utili per capire la profonda unità dell’opera cameristica di Beethoven, anzi della sua musica tutta. Enzo Beacco Quartetto Pavel Haas, Praga º šková violino Veronika Jaru Kateřina Gemrotová violino Pavel Nikl viola º šek violoncello Peter Jaru Il Quartetto Pavel Haas ha vinto nel 2005 il primo premio al festival Primavera di Praga e solo un mese dopo il concorso internazionale Borciani a Reggio Emilia, a seguito del quale è stato ospite della nostra stagione. Impegnato nella tournée premio di 50 concerti in Europa, Giappone e Stati Uniti, partecipa anche a questa iniziativa di alta formazione. Quartetto Zemlinsky, Praga František Souček violino Petr Střížek violino Petr Holman viola Vladimír Fortín violoncello Il Quartetto Zemlinsky (ex Quartetto Penguin) si è formato con i componenti dei quartetti Talich, Kochian e Pražak all’Accademia di Musica di Praga. Nel 2005 ha vinto il secondo premio al concorso Primavera di Praga. Ha già al suo attivo due CD dedicati a Dvořák, Janáček, Suk e F.X. Richter molto apprezzati dalla critica, e uno in preparazione con il Quartetto n. 2 di Alexander Zemlinsky. Quartetto Amaryllis, Berna/Amburgo Gustav Frielinghaus violino Lena Wirth violino Sarah Darling viola Yves Sandoz violoncello Fondato nel 2000 alla Hochschule für Musik di Berna, dopo una serie di concerti di successo in Svizzera, Germania e Francia il Quartetto Amaryllis ha vinto nel 2005 il concorso internazionale “Charles Hennen” in Olanda. Ha registrato un CD dedicato a Schubert e Bartók. Quartetto Bennewitz, Praga Jiří Němeček violino Štep̌án Ježek violino Jiří Pinkas viola Štep̌án Doležal violoncello Il Quartetto Bennewitz ha vinto nell’aprile 2005 il concorso per quartetto d’archi di Osaka in Giappone. Fondato nel 1998 all’Accademia di musica di Praga, si è esibito in Europa e Giappone. Per la stagione 2005/06 è quartetto “in residence” alla Musikhochschule di Basilea. Quartetto SonoS, Basilea Magalie Martinez violino Stefanie Bischof violino Martina Bischof viola Andrea Bischof violoncello I fratelli Bischof hanno costituito dapprima un trio e dal 2003 un quartetto alla Musikhochschule di Basilea. Nel 2005 il Quartetto SonoS ha vinto il primo premio messo in palio dalla Basler Orchester Gesellschaft. Quartetto Arco Iris, Friburgo Catherina Lendle violino Verena Giovanazzi violino Robert Woodward viola Camille Boff violoncello Fondato nell’autunno 2005 alla Musikhochschule di Friburgo da due violiniste tedesche, un violista austriaco e una violoncellista francese, il Quartetto Arco Iris si è perfezionato nella musica da camera alla Musikhochschule di Basilea. Quartetto Gémeaux, Lucerna Anne Schoenholtz violino Manuel Oswaldi violino Sylvia Zucker viola Uli Witteler violoncello Fondato nel 2003 a Lucerna da tre ragazzi tedeschi e uno svizzero, il Quartetto Gémeaux si è formato alla Musikhochschule di Basilea con Walter Levin e Sebastian Hamann. Ancora all’inizio della carriera ha collaborato nell’ambito del festival di Lucerna 2004 con la Boulez-Akademie e si è recentemente esibito con successo a Montepulciano e Berlino. Prossimi concerti: martedì 28 marzo 2006, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Mitsuko Uchida pianoforte Più che una specialista, Mitsuko Uchida è una grande interprete della musica per pianoforte di Mozart. Ha un tocco bellissimo che sa dare colore ai suoni più algidi, una sensibilità per la forma che porta giusto equilibrio alle increspature che riesce a dare al ritmo per esaltare l’espressione. Naturale che, per il suo ritorno alla nostra Società, nell’anno del grande anniversario, ci presenti Mozart all’inizio e alla fine del programma. Magnifica anche la scelta di incastonare due “eredi” del grande Salisburghese: un giovanissimo Pierre Boulez, in rappresentanza della vitalità che la tastiera del pianoforte ha mantenuto in pieno Novecento; un anziano Beethoven, che nei suoi ultimi anni e con la sua penultima sonata, rende omaggio alla trasparenza e alla purezza formale del classicismo passato, eppure mai tramontato. Programma (Discografia minima) W. A. Mozart Fantasia in do minore K 475 Sonata in fa maggiore K 533/494 Sonata in re maggiore K 576 (Uchida, Ph 454 850-2) L. van Beethoven Sonata n. 31 in la bemolle maggiore op. 110 (Brendel, Ph 446 701-2) P. Boulez Notations (Karten, ECM 449 936-2) martedì 11 aprile 2006, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Jonathan Biss pianoforte Janáček, Schumann, Spratlan, Beethoven martedì 2 maggio 2006, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Mark Pedmore tenore, Natalie Clein violoncello Julius Drake pianoforte Schubert, Britten I QUARTETTI DI BEETHOVEN DI QUIRINO PRINCIPE In occasione di questo ciclo di concerti dedicato all’esecuzione integrale dei Quartetti per archi di Beethoven, è possibile acquistare al prezzo speciale di € 5 il volume I Quartetti di Beethoven di Quirino Principe, edito da Anabasi in collaborazione con I Concerti del Quartetto in occasione dell’ultima integrale milanese affidata al Quartetto di Tokyo nel 1993 al Teatro alla Scala. La serie “Rising Stars” nella stagione 2005-2006 della Società del Quartetto è sostenuta da Società del Quartetto di Milano - via Durini 24 - 20122 Milano tel. 02.795.393 - fax 02.7601.4281 www.quartettomilano.it - e-mail: [email protected]