Progetto di Gestione Integrata della Zona Costiera nel Sic di Punta
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Progetto di Gestione Integrata della Zona Costiera nel Sic di Punta
Università degli Studi di Parma Dipartimento di Ingegneria e Architettura Dipartimento di Scienze della Terra MASTER UNIVERSITARIO INTERSEDE IN SCIENZE COSTIERE APPLICATE ANNO ACCADEMICO 2010-11 Relazione Finale di Ricerca Progetto di Gestione Integrata della Zona Costiera nel Sic di Punta Manara: buone pratiche di sostenibilità ambientale Relatori Candidata Chiar.mo Prof. Ing. Pietro Ugolini Dott.ssa Laura Battaglia Chiar.mo Prof. Nicola Corradi Università degli Studi di Parma Dipartimento di Ingegneria e Architettura Dipartimento di Scienze della Terra MASTER UNIVERSITARIO INTERSEDE IN SCIENZE COSTIERE APPLICATE ANNO ACCADEMICO 2010-11 Relazione Finale di Ricerca Progetto di Gestione Integrata della Zona Costiera nel Sic di Punta Manara: buone pratiche di sostenibilità ambientale Relatori Candidata Pietro Ugolini Laura Battaglia Prof. Ing. Pietro Ugolini CRUIE - DICAT Università di Genova Dott.ssa Laura Battaglia Nicola Corradi Prof. Nicola Corradi DipTeRis - Università di Genova INDICE INTRODUZIONE 1. LA TUTELA DELL’AMBIENTE 1.1 LO SVILUPPO SOSTENIBILE 1.1.1 L’AGENDA 21 1.1.2 LO SVILUPPO SOSTENIBILE IN ITALIA 1.1.3 LA CONVENZIONE DI BARCELLONA 1.1.4 ALTRI ACCORDI TRANSFRONTALIERI 1.1.5 LA DIRETTIVA EUROPEA 92/43 1.1.5.1 RETE NATURA 2000 1.2 LE BUONE PRATICHE AMBIENTALI 1.2.1 LE BUONE PRATICHE DI SOSTENIBILITA’ TURISTICA IN ITALIA 1.3 LA GIZC: GESTIONE INTEGRATA DELLA ZONA COSTIERA 1.3.1 LA GIZC IN ITALIA 1.3.2 LA GIZC IN LIGURIA 1.4 I FINANZIAMENTI EUROPEI 1.4.1 I PROGRAMMI COMUNITARI 1.4.2 IL PROGETTO COMUNITARIO 1.4.3 I FONDI STRUTTURALI EUROPEI 1.4.3.1 COME PARTECIPARE 1.4.3.2 TAPPE DELLA PROGETTAZIONE 1.4.3.3 REQUISITI FONDAMENTALI 1.4.4 PROGRAMMAZIONE 2007-2013 1.4.5 ENPI CBCMED 2. PUNTA MANARA: POSIDONIA OCEANICA E IL TURISMO BALNEARE E NAUTICO 2.1 IL SIC DI PUNTA MANARA 2.1.1 INQUADRAMENTO DELLA ZONA 2.1.2 IL FONDALE DI PUNTA MANARA 2.2 Posidonia oceanica 2.3 IL TURISMO: BALNEAZIONE E NAUTICA 2.3.1 GLI IMPATTI DELLA NAUTICA DA DIPORTO SUGLI ECOSISTEMI MARINI 3. MATERIALI E METODI 3.1 LE IMBARCAZIONI DA DIPORTO 3.2 PROGETTO COMUNITARIO: Eco-Mooring 4. RISULTATI E CONCLUSIONI 4.1 IL SISTEMA DI ORMEGGIO CON “SPIORSI” 4.2 ECO-ORMEGGI: HARMONY, MANTA RAY E HALAS 4.3 IL CORPO MORTO CON BOA INTERMEDIA SOMMERSA 4.4 I PONTILI GALLEGGIANTI ALLEGATI BIBLIOGRAFIA INTRODUZIONE Questo lavoro è stato svolto in collaborazione con il CRUIE (Centro di Ricerca per l’Urbanistica, le Infrastrutture e l’Ecologia dell’Università degli Studi di Genova) ed il supporto del Settore Ecosistema Costiero del Dipartimento Ambiente della Regione Liguria nell’ambito delle attività di conservazione e di valorizzazione dell’habitat marino costiero di Punta Manara. I fondali di Punta Manara, promontorio di forma triangolare proteso nel Golfo del Tigullio, che si estende tra le località liguri di Sestri Levante e Riva Trigoso, sono soggetti a tutela ambientale dal 1977 e rappresentano uno dei nove SIC (Siti di Importanza Comunitaria) individuati nella provincia di Genova ai sensi della Direttiva “Habitat”. Nel sito d’interesse è presente una prateria della pianta acquatica Posidonia oceanica, di morfologia variabile, insediata su sabbia e su “matte”. In alcuni punti essa confina con massi e fondi rocciosi, che in corrispondenza della punta presentano ricchi popolamenti di coralligeno, con varie specie di gorgonie. A levante della prateria si estende un prato di Cymodocea nodosa, un’ altra fanerogama marina che vive su fondali sabbiosi o fangosi ben illuminati e calmi, da 5 a 20 m di profondità e forma anch’essa prati estesi, sebbene molto meno fitti delle praterie di Posidonia oceanica. Sono presenti nella zona diverse specie animali quali la Spongia agaricina, detta anche “spugna ad orecchio di elefante”, Spongia officinalis, la specie da cui si ricavano le comuni spugne da bagno e lo Spondylus gaederopus, oltre ai pesci Hippocampus hippocampus, H. ranulosus, Symphodus melanocercus, S. ocellatus, S. tinca, Syngnatus acus e S. Typhle. Le praterie di Posidonia oceanica rappresentano un “habitat prioritario”: come indicato dalla Direttiva 92/43, con il termine “habitat” si intendono ambienti peculiari uniformi per condizioni ecologiche quali le "zone terrestri o acquatiche che si distinguono per le loro caratteristiche geografiche, abiotiche e biotiche (ovvero, rispettivamente, riferite a fattori chimici o fisici e biologici) interamente naturali o seminaturali". Con il termine “prioritario” ci si riferisce a quei siti di alta vulnerabilità, nei confronti dei quali l'Europa si assume una particolare responsabilità, dedicando alla loro conservazione un'attenzione specifica. L’azione meccanica delle ancore e dei sistemi di ormeggio sul fondale delle imbarcazioni da diporto, quando intensivo e non regolato, può rappresentare una minaccia oltre che per la conservazione delle praterie di Posidonia oceanica anche per altri ecosistemi costieri come i popolamenti ascrivibili alla tipologia del coralligeno. Mentre nel caso del posidonieto la fascia di massima distribuzione dell’habitat corrisponde quasi esattamente con quella di sosta delle unità da diporto (da 0 a 20 metri di profondità), nel caso del coralligeno la sovrapposizione è un fenomeno molto meno frequente che può avere rilevanza solo in particolari punti isolati. A Riva Trigoso, durante il periodo estivo, a causa della maggiore pressione antropica nelle zone balneari, si possono raggiungere punte di presenza fino a dieci volte superiori rispetto alle medie invernali con conseguenti danni all’ecosistema marino; essendo una delle mete liguri favorite dai turisti tra cui i diportisti nautici, è soggetta alla pressione dovuta ad ancoraggio sull’habitat prioritario delle praterie di Posidonia oceanica. Il degrado ambientale delle zone costiere, come accade nel sito d’interesse di Punta Manara e in molti altri siti liguri, deriva quindi sia dalle tendenze demografiche sia dalle attività umane in rapporto alle specificità geografiche del territorio. Nei fondali di Punta Manara l’entità del danno arrecato dagli ancoraggi alle praterie di Posidonia oceanica può dipendere da numerosi fattori: tra questi i più importanti sembrano essere la frequenza ed il numero degli ancoraggi, le dimensioni delle imbarcazioni, il modello di ancora utilizzato o la natura del substrato sul quale cresce la pianta acquatica (Francour et al., 1999). Figura 1: Riva Trigoso, estate 2007, versante est di Punta Manara (fonte: OLPA). Con la delibera 468/2010 la Giunta regionale ha previsto inoltre speciali misure di salvaguardia in cinque Sic, tra cui quello di Punta Manara, per proibire ancoraggio di imbarcazioni sopra i 5 metri (esclusi pescherecci professionali e barche che effettuano monitoraggi istituzionali). Oltre al danno ecologico da ancoraggio su posidonieto bisogna considerare le problematiche, esistenti anche in altre realtà liguri, legate alle imbarcazioni da diporto ed alla sicurezza dei bagnanti (vedi Figura 1). Nelle precedenti stagioni, a causa della vicinanza alla riva delle barche, soprattutto quelle stazionanti nei pressi della costa orientale di Punta Manara, sono stati segnalati problemi legati alla difficile fruibilità dell’area da parte dei bagnanti che frequentano i tratti di spiaggia di Riva Trigoso: questi in genere si spingono a nuotare al largo creando situazioni sia di disagio e di pericolo a loro stessi sia difficoltà nelle manovre delle imbarcazioni. In Liguria, durante il periodo che va da maggio a settembre, le imbarcazioni possono ormeggiare alla fonda a 200 metri di distanza dalle spiagge fino alle boe di segnalazione ed a 100 metri nei tratti a costa alta: in prossimità di Punta Manara, considerata la particolare conformazione del promontorio, fino alla scorsa stagione, le boe di segnalazione erano collocate solamente di fronte alla spiaggia mentre vicino alla costa alta non vi era alcuna indicazione del limite dell’area di balneazione. Dati i presupposti, vista la delicatezza ambientale che caratterizza i fondali antistanti il promontorio e rilevato l’eccessivo numero di imbarcazioni da diporto ormeggiate in questo sito, in seguito al Decreto n.1623 del 28/06/2011, la Regione Liguria ha autorizzato il Comune di Sestri Levante (ai sensi dell’art. 109 D.Lgs. n.152/06 recante le “Norme in materia ambientale") all’immersione di 14 corpi morti di cemento, del peso di circa 100 Kg, per boe di segnalazione nautica delle acque destinate alla balneazione, alcune delle quali in vicinanza del promontorio. Nello specifico, rispetto agli altri anni, sono state collocate sei boe in più che arrivano fino al versante est di Punta Manara e nonostante si tratti di costa alta, sono state messe a 200 metri di distanza dalla linea di riva, invece che come previsto per legge a 100, e 50 metri tra loro: l’ultima boa di ponente si congiunge con lo scoglio denominato “Ciappa” (Punta Chiappa) con il conseguente ampliamento della zona riservata alla balneazione (vedi Allegati: 1 - 3 - 4). Al fine di acquisire informazioni aggiornate ed attendibili, la prima parte del mio lavoro è consistita nel monitorare, durante il periodo turistico di luglio ed agosto, l’affluenza delle imbarcazioni da diporto ed il corretto ormeggio oltre il limite alle sei boe di segnalazione a 200 metri dalla costa nel tratto est di Punta Manara. I dati ottenuti sono stati rapportati ai quelli estrapolati dall’analisi delle fotografie raccolte nel 2007 dall’Osservatorio Ligure per la Pesca e l’Ambiente (OLPA) fornitemi dal personale della Regione Liguria, per verificare se vi sono state differenze nella scelta del luogo di ormeggio da parte dei diportisti nautici rispetto a quando ancora non vi erano le boe di segnalazione; la flotta diportista gravitante nell’ambito d’interesse sostava a 100 metri dalla costa o a distanza minore: come spesso veniva riscontrato dalla Capitaneria di Porto, infatti, le imbarcazioni non rispettavano i limiti imposti dalla legge. Tali informazioni sono state utilizzate in una seconda fase di elaborazione dei dati al fine di verificare la riuscita delle boe che delimitano i nuovi limiti di balneazione e di prevedere la stima degli impatti effettivi sul sito d’interesse del posidonieto con lo scopo di cercare una soluzione a questo problema. Il caso di Punta Manara, incluso nel progetto strategico “Turismo Porti Ambiente” finanziato nell’ambito del Programma di cooperazione transfrontaliera Italia Francia Marittimo è stato in seguito considerato come esempio per la stesura di un altro progetto comunitario ENPI CBCMED, chiamato Eco-Mooring (Eco-ormeggio) di riqualificazione ambientale e di gestione integrata della zona costiera per i siti critici lungo l’arco costiero. Il Comune di Sestri Levante, proprio grazie a un finanziamento europeo il cui budget è di 135.000 euro, ha avviato il progetto in cui la Liguria è capofila per la salvaguardia dell’ambiente e la difesa della costa: saranno posizionati nella prossima estate, oltre le boe già immerse all’inizio della stagione 2011, degli ormeggi ecocompatibili al fine di ridurre gli effetti negativi delle ancore sulla prateria. I dati relativi al turismo nautico ed alle problematiche che ne scaturiscono dall’eccessivo sfruttamento del territorio costiero durante il periodo estivo sono stati raccolti in parte con indagini condotte su campo ed in parte utilizzando informazioni fornite sia dalle autorità locali (Comune di Sestri Levante, Capitaneria di Porto del Compartimento Marittimo di Sestri Levante, Regione Liguria, Università di Genova) sia da esercenti e professionisti della zona (bagnini, turisti, centri di immersione, pescatori). Per arricchire l’argomento trattato è stata effettuata inoltre un’indagine dei dati disponibili in bibliografia. I dati sono stati elaborati graficamente in modo da giungere alla formulazione di un quadro generale sulla situazione che risulti utile ai fini della stesura del piano di gestione integrata della fascia costiera. Per procedere alla corretta gestione di una zona che si intende tutelare seguendo le buone pratiche di sostenibilità ambientale è necessario quindi conoscerne la situazione non solo sotto il profilo ecologico, ma anche sotto quello socio-economico (Michel Godete et al., 2004). Con questo studio si è voluto contribuire a fornire un quadro generale delle peculiarità naturalistiche e sociali della zona, che presenta problematiche comuni a molte realtà costiere, concentrando l’attenzione sulle principali attività antropiche svolte nel sito che, se non regolamentate, potrebbero risultare conflittuali con l’obiettivo di tutela e di difesa della costa. Esiste un delicato equilibrio tra turismo, ambiente naturale, identità e tradizioni culturali, che è stato sistematicamente perturbato da decenni di turismo di massa, con scarsa attenzione alla qualità dello sviluppo e alle conseguenze di degrado ambientale e sociale. Si può parlare di una capacità di carico sia ecologica che socio-culturale, caratteristica di ogni località, oltrepassata la quale si determinano forti rischi ambientali, sociali ed economici (Enzo Tiezzi et al., 1999). Un eccesso di presenza turistica può quindi causare sul piano ambientale danni in zone ecologicamente sensibili, alti consumi di risorse naturali, incremento dell’inquinamento, deterioramento del patrimonio artistico, rispetto agli aspetti storico-culturali delle comunità coinvolte, può contribuire all’appiattimento culturale, alla perdita delle tradizioni locali ed a gravi squilibri socio-economici. Le conseguenze di tali eventi si ripercuotono negativamente sull’attrattiva turistica di una località. La presa di coscienza di uno sviluppo dannoso del turismo ha favorito il concepimento di uno sviluppo sostenibile del turismo, basato sull’azione congiunta di turisti, residenti, imprese del settore e amministrazioni, al fine di valorizzare le risorse naturali e culturali locali e nel contempo accrescerne lo sviluppo economico (Corrado Maria Daclon, 1993). Lo studio ha quindi lo scopo di fornire uno strumento conoscitivo sulla base del quale sia possibile calibrare gli interventi e garantire una migliore pianificazione di tutela dell'ambiente e quindi anche socio-economica. 1. LA TUTELA DELL’AMBIENTE La protezione dell’ambiente è un concetto che rientra a pieno titolo nella gestione razionale delle risorse in base alla teoria dello “sviluppo sostenibile”. Tale concetto richiede, per entrare a far parte della prassi quotidiana, un continuo impegno soprattutto da parte delle istituzioni. E’ occorso molto tempo per capire che le risorse della Terra sono in gran parte limitate e necessitano di una regolamentazione se non si vuole pregiudicare la qualità della vita delle generazioni future, ma ad oggi numerose recenti normative hanno fatto tesoro di questa consapevolezza. Sebbene la teoria dello sviluppo sostenibile sia universalmente condivisa, numerose sono le sfaccettature e le incertezze che derivano dalla sua applicazione. La svolta apportata da numerose normative, in primis la Direttiva 92/43 CEE, è stata quindi quella di tradurre tali concetti in una serie di parametri, obiettivi e condotte che fossero applicabili, quantificabili e misurabili, fornendo quindi i mezzi per definire, e monitorare nel tempo, la qualità dell’ambiente che si intende salvaguardare. La biodiversità costituisce un bene fondamentale non soltanto perché senza di essa molte risorse ambientali verrebbero meno, ma anche perché, con la sua complessa rete di relazioni, svolge funzioni ecologiche necessarie per la sopravvivenza (cicli biogeochimici, ricircolo di materia ed energia, ecc...). La biodiversità, come definita durante la “Convenzione sulla diversità biologica” del 1992, ratificata ad oggi da 192 paesi, rappresenta quindi una ricchezza, e come tale essa può essere sfruttata da parte dell’uomo, purché tale utilizzo sia responsabile e razionale. La conservazione di tale risorsa e dell’ambiente in generale, necessita oltre che di impegno anche di risorse finanziarie: in primo luogo per monitorare e gestire le aree protette, in secondo luogo sia il mancato utilizzo sia l’eccessivo sfruttamento di alcune risorse costituisce una danno economico che va in qualche modo riparato. 1.1 LO SVILUPPO SOSTENIBILE Lo Sviluppo Sostenibile, inteso come equilibrio tra tutela ambientale, sviluppo economico ed equità sociale, rappresenta una delle sfide epocali che attendono la società moderna, obiettivo prioritario che deve chiamare idealmente a raccolta tutti i cittadini, indipendentemente dal loro livello sociale e culturale: da questa esigenza di coinvolgimento nasce il necessario ricorso a strumenti di grande impatto sociale, come auspicato dall'Agenda 21, il documento di principi, obiettivi, strategie e interventi atti a favorire lo sviluppo sostenibile inteso come "lo sviluppo che soddisfa i bisogni delle persone esistenti senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i loro bisogni". Il concetto di sostenibilità, definito dalla Commissione Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo (World Commission on Environmental and Development - WCED), nota come Commissione Brundtland, può essere inquadrato attraverso tre categorie principali: ambiente, economia, società (fonte: http://www.sinanet.isprambiente.it/it/gelso/presentazione/svilupposost). Queste individuano tre obiettivi fondamentali: arrestare il degrado ambientale, combattere la povertà ed impedire l’impoverimento delle generazioni future, migliorare la qualità della vita e l'equità tra le attuali e le future generazioni. Tale definizione venne coniata ufficialmente nel 1987 anche se il concetto portante era emerso a livello internazionale già diversi anni prima. Nel 1972 durante la Conferenza di Stoccolma sull’Ambiente Umano venne istituito l’UNEP (Programma Ambientale delle Nazioni Unite): andò consolidandosi il principio che l’ambiente è patrimonio comune dell’umanità sancendo il principio dell’”ecosviluppo” in cui si afferma che le risorse naturali devono essere preservate ed opportunamente gestite con razionalità per il beneficio delle generazioni future (Luca Davico, 2004). Nel 1980 il WCS, la Strategia Mondiale per la Conservazione, pose come obiettivo uno sfruttamento delle risorse naturali che non superi la capacità di rigenerazione delle stesse. Al programma dell'Agenda 21, approvato nel corso del Summit della Terra, la Conferenza di Rio de Janeiro in Brasile tenutasi dal 3 al 14 giugno del 1992, aderirono 178 governi di tutto il mondo, manifestando una chiara sensibilità volta a coniugare le tre dimensioni Ambiente, Economia e Società al fine di perseguire uno sviluppo sostenibile (Maffiotti et al.,2002). Da questa Conferenza deriveranno cinque Convenzioni Globali per l’attuazione dello Sviluppo Sostenibile su scala mondiale: tra queste convenzioni quella che ha avuto e ha tuttora l’importanza maggiore è quella relativa all’Agenda 21. Nonostante l’Agenda 21 non abbia valenza giuridica ad essa hanno aderito numerose nazioni. Nel 1996, a Lisbona, durante la seconda Conferenza Europea sulle Città sostenibili, le città europee si impegnarono ad attuare l’Agenda 21 a livello locale. Nel 2001 è stato definito il VI Piano d'Azione Ambientale 2002/2010 dell'Unione Europea per individuare gli obiettivi generali da perseguire e le azioni prioritarie della futura politica ambientale per i successivi dieci anni. Nel 2002 il Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile (WSSD) svolto a Johannesburg (Sud Africa) ha ribadito i principi della Conferenza di Rio de Janeiro proponendo numerose iniziative, tra le quali l’adozione di strategie nazionali per l’attuazione dell’Agenda 21 entro il 2005: l’adozione di piani per la gestione integrata e razionale delle risorse idriche e la promozione di programmi quadro decennali per modificare i modelli di consumo e produzione non sostenibili. All’ordine del giorno vengono posti obiettivi che riguardano direttamente la risorsa mare come per esempio, il ripristino delle risorse ittiche alla massima soglia sostenibile, con l’eliminazione della pesca illegale, la promozione dell’”approccio ecosistemico” per la protezione della biodiversità marina, l’istituzione, a partire dal 2004, di una regolare attività di monitoraggio dell’ambiente marino, nonché l’istituzione di un network rappresentativo delle aree marine protette entro il 2012. A conclusione del percorso che aveva visto nel 2005 il riesame della strategia europea per lo sviluppo sostenibile del 2001, e sulla base delle consultazioni avvenute con gli altri organismi comunitari e altri stakeholders, il Consiglio Europeo ha adottato, il 16 giugno 2006, una nuova strategia europea per lo sviluppo sostenibile (l’Agenda di Goteborg), per un’Unione Europea allargata. La strategia sottolinea e rinforza l’impegno e la necessità di cooperazione che dovrà affrontare l’UE in considerazione dell’impatto dei nuovi paesi sullo sviluppo sostenibile globale. La nuova strategia elenca sette sfide: 1. Cambiamenti climatici e energia pulita; 2. Trasporti sostenibili; 3. Consumo e Produzione sostenibili; 4. Conservazione e gestione delle risorse naturali; 5. Salute pubblica; 6. Inclusione sociale, demografia e migrazione; 7. Povertà mondiale e sfide dello sviluppo. Un ruolo fondamentale, a sostegno della diffusione e del raggiungimento degli obiettivi della strategia, è assegnato alla formazione, al maggior investimento nella ricerca e sviluppo, all’Agenda 21 Locale, all’informazione e comunicazione con i cittadini. Segue una tabella riassuntiva delle principali tappe della sostenibilità (fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Sviluppo_sostenibile). 1.1.1 L’AGENDA 21 L’ Agenda 21, documento di 800 pagine, è un programma delle Nazioni Unite dedicato allo sviluppo sostenibile: consiste in una pianificazione completa delle azioni da intraprendere, a livello mondiale, nazionale e locale, dai governi e dalle amministrazioni in ogni area in cui la presenza umana ha impatti sull’ambiente. La cifra 21 riferisce al 21° secolo, in quanto temi prioritari di questo programma sono le emergenze ambientali, sociali ed economiche del terzo millennio. Riprendendo un concetto già elaborato nel 1991 dall'International Council for Local Environment Initiatives (ICLEI), l'Agenda 21 introduce, nel capitolo 28 dedicato alle autorità locali, per la prima volta l'esplicito riferimento alla dimensione locale come forza propulsiva in direzione degli obiettivi di sostenibilità: "dal momento che molti dei problemi e delle strategie delineate in Agenda 21 hanno origine dalle attività locali, la partecipazione e la cooperazione delle autorità locali sarà un fattore determinante nel perseguimento degli obiettivi di Agenda 21". E' in sostanza dalla realtà locale che si deve partire, per riaffermare il valore della persona, del necessario equilibrio fra l'uomo, le altre specie e l'ambiente nella sua complessità. Dalla dimensione locale si può muovere verso il superamento degli squilibri fra fasce sociali, regioni, popolazioni, verso l'affermazione di modelli di utilizzo razionale delle risorse e di sostenibilità dei consumi, verso modelli di produttività sensibili ai processi industriali, merci e servizi eco-progettati (Mats Lindgren et al., 2003). L’Agenda 21 si compone di quattro sezioni: - dimensioni economiche e sociali: dove si affrontano problematiche quali la cooperazione internazionale, la povertà e la salute; - conservazione e gestione delle risorse per lo sviluppo: dove si individuano gli strumenti per una gestione ecocompatibile; - rafforzamento del ruolo delle forze sociali: dove si riconosce alle associazioni ambientalistiche un ruolo determinante nel perseguimento degli obiettivi di protezione; - strumenti di attuazione: dove si analizzano i sistemi di informazione necessari per una maggiore sensibilizzazione alle problematiche ambientali (Marchello et al., 2004). Agenda 21: Regione Liguria L'azione regionale per la sostenibilità locale si è sviluppata negli ultimi anni con azioni di promozione, supporto e monitoraggio. Agenda 21 Regionale costituisce, anche dal punto di vista normativo (L.R. n.18/99) la base per la pianificazione ambientale. I casi di eccellenza fra gli Enti liguri sul tema della sostenibilità dello sviluppo sono ormai numerosi e di qualità e costituiscono un contesto di rilievo nazionale. Se le politiche di sostenibilità trovano il loro ambito di azione più forte nel livello locale, emerge, per contro, la necessità che l'azione locale si mantenga in rete per sviluppare i processi e la valorizzazione e diffusione delle buone pratiche e le esperienze più avanzate in merito alle politiche integrate. Per ottenere ciò la Regione Liguria e gli enti liguri sono in relazione tra loro e aderiscono a network di livello regionale, nazionale, comunitario e mondiale. 1.1.2 LO SVILUPPO SOSTENIBILE IN ITALIA Con deliberazione del 2 agosto 2002, n.57, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio ha adottato un programma ambientale all’interno del quale si individuano gli strumenti, gli obiettivi e gli indicatori per attuare la politica della Sviluppo Sostenibile in Italia nel periodo 2002-2010. Tra gli obiettivi principali ricordiamo (Marchello et al., 2004): rinunciare allo sfruttamento delle risorse non rinnovabili, eliminare le sostanze inquinanti, effettuare il riciclaggio ed il riutilizzo dei rifiuti, arrestare la riduzione della biodiversità, fermare la desertificazione, salvaguardare paesaggi e habitat… Ad oggi lo sviluppo sostenibile, i cui obiettivi in Italia sono elencati nel D.Lgs. del 3 aprile 2006, n. 152, in materia "ambientale" con le modifiche apportate dal D.Lgs. del 16 gennaio 2008, n.4, rappresenta un elemento importante, preso in considerazione dalla maggior parte dei governi: la strada iniziata a Rio de Janeiro nel 1992 è ancora lontana dal traguardo, poiché solo pochi paesi hanno già attuato politiche conformi ai principi della sostenibilità, nel rispetto dell’ambiente, dell’economia e dell’equità (Maffiotti et al., 2002). 1.1.3 LA CONVENZIONE DI BARCELLONA La Convenzione per la protezione del Mar Mediterraneo dai rischi dell'inquinamento, o Convenzione di Barcellona, è lo strumento giuridico e operativo del Piano d'Azione delle Nazioni Unite per il Mediterraneo (MAP). La Convenzione è stata firmata a Barcellona il 16 febbraio 1976 da 16 governi ed è entrata in vigore nel 1978. L'Italia l'ha ratificata il 3 febbraio 1979 con legge 25/1/1979, n.30. La Convenzione ha una Unità di Coordinamento (denominata MEDU) che ha sede ad Atene ed opera come Segretariato. Svolge inoltre funzioni di coordinamento con i 6 Centri Regionali d'Attività (RAC), organizza le principali riunioni e gestisce i fondi per il Piano d'Azione del Mediterraneo. I principali obblighi delle Parti contraenti si riferiscono ad azioni precauzionali per prevenire, combattere ed eliminare l'inquinamento dell'area del Mar Mediterraneo e per proteggere e valorizzare l'ambiente marino dell'area. La Convenzione inoltre invita le Parti a lavorare in maniera congiunta e promuove attività per lo sviluppo sostenibile delle comunità del Mediterraneo. Le Parti sono richieste di attuare le indicazioni del Piano d'Azione del Mediterraneo, adottare misure per prevenire il degrado ambientale, in special modo in vista di minacce concrete o irreversibili. La Convenzione, inoltre, promuove attivamente: il principio "chi inquina paga", l'utilizzo di studi sull'impatto ambientale di attività che abbiano un probabile effetto negativo sull'ambiente marino, la cooperazione tra Stati, la gestione integrata delle zone costiere, favorendo la protezione di aree di interesse ecologico e paesaggistico e l'utilizzo razionale delle risorse naturali. Le Parti Contraenti sono inoltre responsabili a rendere operante la Convenzione ed i relativi Protocolli utilizzando le migliori tecniche disponibili e le migliori pratiche ambientali e promuovendo l'applicazione, l'accesso ed il trasferimento di tecnologie ecologicamente compatibili, incluse le tecnologie pulite, tenendo in considerazione le condizioni sociali, economiche e tecnologiche. Ad oggi i Paesi che hanno ratificato la Convenzione sono 23, ossia Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Cipro, Commissione Europea, Egitto, Francia, Grecia, Israele, Italia, Libano, Libia, Malta, Monaco, Marocco, Serbia, Montenegro, Slovenia, Spagna, Siria, Tunisia e Turchia (http://it.wikipedia.org/wiki/Convenzione_di_Barcellona). 1.1.4 ALTRI ACCORDI TRANSFRONTALIERI Anche se non rientra tra le normative nazionali, ai fini di questo studio è il caso di citare l’”Accordo RAMOGE” relativo alla protezione dell’ambiente marino e costiero della zona di Mare Mediterraneo compresa tra Genova e San Raphael (Costa Azzurra, Francia). Tale accordo, firmato nel 1976 dai Governi italiano, francese e monegasco e ratificato in Italia con la Legge n. 746 del 24 ottobre 1980 prevede quindi la collaborazione dei tre Governi, attraverso l’istituzione di una commissione internazionale, composta dalle delegazioni delle tre Parti. Tenendo conto degli impegni derivanti dai trattati internazionali pertinenti, ed in particolare dalla Convenzione sulla protezione dell’ambiente marino e del litorale del Mediterraneo firmata il 10 giugno 1995 a Barcellona e dei suoi Protocolli, “la Commissione RAMOGE ha per missione di stabilire una collaborazione più stretta tra i servizi competenti dei Governi delle tre Parti e delle collettività territoriali in vista di prevenire e lottare contro gli inquinamenti e le degradazioni dell’ambiente marino e costiero, di preservare la biodiversità e di costituire una zona pilota nel Mediterraneo per la realizzazione di questi obiettivi” (Art.3). Compito della Commissione è favorire gli scambi di informazioni ed il coordinamento internazionale, promuovere all’interno della zona la ricerca scientifica nonché di raccomandare ai tre Governi ed alle collettività territoriali ogni misura atta a proteggere le acque e l’ambiente costiero, la biodiversità e l’integrità degli ecosistemi (Art.4). Data la zona di studio, ricordiamo anche l’Accordo italo-franco-monegasco per l’istituzione del “Santuario dei Cetacei”, noto in Francia come “Santuario Pelagos”, firmato il 25 novembre 1999 e ratificato in Italia con legge 391/2001. 1.1.5 LA DIRETTIVA EUROPEA 92/43 La Direttiva del Consiglio del 21 maggio 1992 “Conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche” detta Direttiva "Habitat" e la “Direttiva Uccelli” costituiscono il cuore della politica comunitaria in materia di conservazione della biodiversità e sono la base legale su cui si fonda “Natura 2000”. Scopo della Direttiva Habitat è "salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato" (Art.2). Per il raggiungimento di questo obiettivo la Direttiva stabilisce misure volte ad assicurare il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat e delle specie di interesse comunitario elencati nei suoi allegati. La Direttiva è costruita intorno a due pilastri: la rete ecologica Natura 2000, costituita da siti mirati alla conservazione di habitat e specie elencati rispettivamente negli allegati I e II, ed il regime di tutela delle specie elencate negli allegati IV e V. La Direttiva stabilisce norme per la gestione dei siti Natura 2000 e la valutazione d'incidenza (Art.6), il finanziamento (Art.8), il monitoraggio e l'elaborazione di rapporti nazionali sull'attuazione delle disposizioni della Direttiva (Art.11 e Art.17), e il rilascio di eventuali deroghe (Art.16). Riconosce inoltre l'importanza degli elementi del paesaggio che svolgono un ruolo di connessione ecologica per la flora e la fauna selvatiche (Art.10). Il recepimento della Direttiva è avvenuto in Italia nel 1997 attraverso il Regolamento D.P.R. dell’8 settembre 1997 n.357 modificato ed integrato dal D.P.R. n.120 del 12 marzo 2003. 1.1.5.1 RETE NATURA 2000 Natura 2000 è il nome che il Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea ha assegnato ad un sistema coordinato e coerente (una “rete”) di aree destinate alla conservazione della diversità biologica (Siti di Interesse Comunitario) presente nel territorio dell’Unione stessa ed in particolare alla tutela di una serie di habitat e specie animali e vegetali indicati negli allegati I e II della Direttiva 92/43/CEE "Habitat" (recepita dal DPR 357/1997 e successive modifiche nel DPR 120/2003) e delle specie di uccelli indicati nell’allegato I della Direttiva 79/409/CEE "Uccelli" (recepita dalla Legge 157/1992), (fonte: http://wwf.it/client/render.aspx?content=0&root=632). La costituzione della rete ha l'obiettivo di preservare le specie e gli habitat per i quali i siti sono stati identificati, tenendo in considerazione le esigenze economiche, sociali e culturali regionali in una logica di sviluppo sostenibile. Mira a garantire la sopravvivenza a lungo termine di queste specie e habitat e mira a svolgere un ruolo chiave nella protezione della biodiversità nel territorio dell'Unione Europea. La UE ha anche richiesto che i singoli Stati Membri si impegnino per la gestione ed il monitoraggio del patrimonio naturalistico, delle sue aree così come degli elementi naturali di pregio su tutto il territorio nazionale. Esistono due tipi di siti nella rete Natura 2000: le zone di protezione speciale (ZPS) e le zone speciali di conservazione (ZSC). I siti sono normalmente scelti dai singoli Stati membri ma la Commissione può essere all'origine di una procedura di consultazione bilaterale se constata che un sito importante non è stato inserito nella rete Natura 2000 (Articolo 5.1 della direttiva Habitat). Zone di protezione speciale (ZPS) La direttiva 79/409/CEE chiedeva agli Stati membri dell'Unione europea di designare delle ZPS ossia dei territori idonei per numero, estensione e/o localizzazione geografica alla conservazione delle specie di uccelli minacciate, vulnerabili o rare citate nell'allegato I della direttiva. Il progetto "Important Bird Areas" (IBA) di BirdLife International serve come riferimento per istituire le ZPS. Le zone scelte sono dei luoghi di riproduzione, di alimentazione o di migrazione e sono quindi considerate particolarmente importanti per la conservazione degli uccelli. La designazione delle ZPS è relativamente semplice e si fa a livello nazionale senza dialogo con la Commissione europea visto che le ZPS derivano direttamente dalle IBA. Zone speciali di conservazione (ZSC) Le Zone Speciali di Conservazione, instaurate dalla Direttiva Habitat nel 1992, hanno come obiettivo la conservazione di questi siti ecologici: habitat naturali o semi-naturali d'interesse comunitario, per la loro rarità, o per il loro ruolo ecologico primordiale (la lista degli habitat è stabilita nell'allegato I della Direttiva Habitat); le specie di fauna e flora di interesse comunitario, per la rarità, il valore simbolico o il ruolo essenziale che hanno nell'ecosistema (la cui lista è stabilita nell'allegato II della Direttiva Habitat). La procedura di designazione di un sito come ZSC è più lunga rispetto a quella per le ZPS. Ogni stato procede inventariando i siti potenziali sul proprio territorio, proponendoli poi alla Commissione Europea sotto forma di pSIC (proposta di Sito d'Interesse Comunitario). Dopo l'approvazione da parte della Commissione Europea, il pSIC viene iscritto come SIC (Sito d'Interesse Comunitario) per l'Unione Europea ed integrato nella rete di Natura 2000. Natura 2000 in mare: la maggior parte degli stati membri possiede una frontiera litorale; essi hanno dovuto perciò designare una rete coerente e sufficiente di habitat naturali e di specie d'interesse comunitario presenti nello spazio marittimo, prima della metà del 2008. Per aiutarli, la Commissione europea aveva pubblicato una "guida d'applicazione di Natura 2000 in mare" che precisava: gli aspetti giuridici e politici (direttiva-quadro sull'acqua, politica marittima europea, convenzione regionali ed internazionali, ecc...); le definizioni e censimento (per ogni paese) degli habitat e delle specie d'importanza comunitaria; gli elementi che permettono di localizzare, valutare e scegliere i siti; le misure di gestione da proporre; i legami con la politica comunitaria di pesca. La gestione ha dovuto in seguito tenere conto delle esigenze economiche, sociali e culturali in gioco; la Commissione ha fatto sì che si impegnassero anche gli Stati membri a colmare le loro lacune scientifiche e a migliorare ulteriormente la rappresentatività della rete marina. In Italia: il nostro paese riveste un ruolo importante nell’ottica della protezione della natura a livello continentale: la Rete Natura 2000 in Italia è rappresentata da 503 ZPS (Zone di Protezione Speciale) e 2.256 SIC (Siti di Importanza Comunitaria) di cui 311 coincidenti con ZPS: il tutto occupa una superficie pari a 16,5% del territorio nazionale, con quasi 5 milioni di ettari. La redazione degli elenchi SIC è stata effettuata a cura delle regioni e delle province avvalendosi della consulenza di esperti e di associazioni scientifiche del settore. In Liguria: la presenza di un SIC o di una ZPS, contrariamente a quanto avviene nei parchi e in altre aree protette, non fa scattare divieti o norme di salvaguardia ben definite quali ad esempio il "divieto di caccia" o il "divieto ad edificare", ma obbliga al buon mantenimento degli habitat e delle specie per cui il sito è stato individuato. È per questo che, prima dell'approvazione di un piano o di un progetto che interessa l'area di un SIC o di una ZPS, è necessario svolgere indagini conoscitive preliminari, che dovranno mostrare eventuali effetti sulle specie e sugli habitat che il sito tutela. Tale studio sarà oggetto della valutazione di incidenza che, in Liguria, è regolamentata da una procedura individuata dalla DGR 328 del 07/04/2006. La Direttiva Habitat (Art.6) prevede che qualunque piano territoriale o progetto che insiste sul territorio di un SIC o di una ZPS, prima di essere approvato, debba essere preceduto da un approfondimento tecnico (relazione d'incidenza) sugli effetti che l'intervento proposto potrebbe causare sugli aspetti naturalistici del SIC o della ZPS. L'Ente (Regione, Provincia, Comune, Ente Parco o altro) che deve approvare il piano o autorizzare il progetto, dovrà analizzare la relazione di incidenza e valutare se quanto viene proposto sia compatibile con uno "stato di conservazione soddisfacente" delle specie e degli habitat localizzati all'interno del SIC o della ZPS. [In ambito nazionale, la valutazione d'incidenza viene disciplinata dall'art. 6 del DPR 12 marzo 2003 n.120, che ha sostituito l'art. 5 del DPR 8 settembre 1997, n. 357, mentre la Regione Liguria, in ottemperanza alle indicazioni provenienti dalla Direttiva Habitat, ha attivato la valutazione di incidenza adottando una procedura regolamentata dalla DGR 328 del 07/04/2006 che sostituisce la DGR 646 del 08/06/2001.] 1.2 LE BUONE PRATICHE AMBIENTALI Per definire il concetto di “Buona Pratica”, possiamo rinviare ad alcune definizioni utilizzate in documenti di lavoro predisposti nel 1997 dalla Direzione Generale dell’Ambiente, in fase di progettazione della propria Banca Dati e della rete integrata di data base della Commissione Europea. Per buona pratica si intende “… un’azione, esportabile in altre realtà, che permette ad un Comune, ad una comunità o ad una qualsiasi amministrazione locale, di muoversi verso forme di gestione sostenibile a livello locale”. Si considera buona, quindi, una pratica che corrisponda all’idea di sostenibilità intesa come fattore essenziale di uno sviluppo in grado di rispondere “… alle necessità del presente, senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie” (Rapporto Brundtland, UNCED, 1987). E’ sostenibile, pertanto, quel modello di sviluppo compatibile con le esigenze di tutela dell’ambiente e di salvaguardia delle risorse, prescindendo dalla qualificazione economico-sociale del settore nel quale si interviene (fonte: http://www.parks.it/federparchi/rivista/P44/126.html). Ai fini della catalogazione e del successivo inserimento nella Banca Dati, ogni progetto di sviluppo sostenibile (pratica) necessita di una preventiva verifica dei requisiti sulla sua effettiva “bontà”. Tale verifica viene effettuata da uno specifico gruppo di lavoro dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), che analizza, valuta e seleziona, tra tutte le pratiche disponibili, quelle da inserire nella Banca Dati GELSO. La selezione viene fatta attraverso l'applicazione di specifici “criteri di selezione” che sono riportati nelle tabelle sottostanti (fonte: http://www.sinanet.isprambiente.it/it/gelso/buone_pratiche/criteri Selezione). A) CRITERI DI AMMISSIBILITA’ 1) RISPONDENZA A TUTTI I SEGUENTI REQUISITI GENERALI: il progetto in esame deve essere già avviato (o, quantomeno, finanziato). il progetto deve essere facilmente esportabile e ripetibile in altre realtà locali. il progetto deve essere coerente con gli obiettivi di qualità e target adottati in ambito nazionale e internazionale. 2) ATTUAZIONE DI ALMENO UN OBIETTIVO PER OGNI CATEGORIA DEI SEGUENTI OBIETTIVI GENERALI DI SOSTENIBILITA': Tutela o ripristino degli ecosistemi. Tutela del paesaggio. Riduzione del consumo di risorse naturali e promozione dell'uso di risorse rinnovabili. Riduzione dei fattori di pressione sull'atmosfera. Riduzione dei fattori di pressione sulle acque. Sostenibilità Riduzione dei fattori di pressione sul suolo. ambientale Riduzione dell'inquinamento acustico, elettromagnetico o indoor. Introduzione o miglioramento dei sistemi di gestione ambientale. Riduzione degli impatti ambientali delle attività produttive. Sviluppo di un mercato di beni e servizi sostenibili. Investimento in tecnologie innovative ecocompatibili. Miglioramento dell'efficienza e dell'efficacia delle spese ambientali. Riduzione dei rischi sulla salute. Miglioramento dei servizi sociali di base quali sanità o istruzione, o Sostenibilità economica delle condizioni abitative o di lavoro. Sostenibilità sociale Sensibilizzazione dell'opinione pubblica in tema di sviluppo sostenibile. Miglioramento delle prassi di partecipazione sociale. Aumento delle possibilità della comunità locale di influire sui processi decisionali locali. Produzione e distribuzione di beni di consumo in base a criteri di equità e solidarietà. Promozione dello scambio culturale e agevolazione dell'integrazione sociale. Tutela e riqualificazione del patrimonio culturale e degli spazi pubblici. B) CRITERI DI QUALIFICAZIONE ATTUAZIONE DI ALMENO UN OBIETTIVO SPECIFICO (BUONA PRATICA) RELATIVO AD UN SETTORE PRIORITARIO DI INTERVENTO: Conservare e qualificare i beni paesistici e naturalistici esistenti. Aumentare la quota di aree naturali e il tasso di biodiversità. Ridurre l’uso delle risorse non rinnovabili. Tutelare la qualità delle acque, del suolo, dell’atmosfera. Combattere i cambiamenti climatici, la desertificazione e la siccità. Ridurre le cause di rischio e degrado come urbanizzazioni, prelievi, scarichi al suolo in aree vulnerabili. Territorio e Paesaggio Ridurre i fenomeni provocati da attività umane come frane, erosione costiera, siti contaminati. Altro. Ridurre la pressione dovuta a consumi, emissioni, intrusione nel paesaggio, superamento della capacità di carico, con attenzione alle aree più sensibili. Incentivare iniziative volte alla diversificazione dell’offerta turistica, alla redistribuzione dei flussi e alla valorizzazione delle aree meno fragili. Turismo Tutelare e promuovere il patrimonio storico-culturale. Aumentare le certificazioni ambientali nel settore turistico. Sviluppare nuove imprese e posti di lavoro mirati alla sostenibilità del settore. Altro. C) CRITERI AGGIUNTIVI DI QUALIFICAZIONE RISPONDENZA AD ALMENO DUE DEI SEGUENTI REQUISITI: 1. Partnership: partecipazione e cooperazione fra discipline, settori e agenzie. 2. Integrazione: integrazione orizzontale tra settori politici e integrazione verticale fra livelli gerarchici. 3. Costruzione del consenso: consultazione tra i membri della comunità locale. 4. Costruzione di una garanzia istituzionale: costruire strutture che dimostrino una sostenibilità nel tempo e che resistano a cambiamenti locali nel controllo politico. Una selezione delle buone pratiche attualmente presenti nella “Banca Dati” è oggetto, grazie alla collaborazione diretta dei soggetti promotori, di una campagna di monitoraggio per la verifica dei risultati raggiunti, delle criticità riscontrate e delle potenzialità di trasferimento dell'esperienza. 1.2.1 LE BUONE PRATICHE DI SOSTENIBILITA’ TURISTICA IN ITALIA Le “buone pratiche” raccolte nella banca dati GELSO sono suddivise per settore d’intervento (Agenda 21, Agricoltura, Edilizia e Urbanistica, Energia, Industria, Mobilità, Rifiuti, Territorio e Paesaggio, Turismo), di queste circa il 5% rientra nel settore del turismo. Essendo il turismo una politica intertematica, le azioni che si attuano hanno ripercussioni e sono influenzate a loro volta da molti aspetti delle altre politiche ambientali. Gli obiettivi perseguiti dai progetti inseriti nel settore del turismo spesso ricadono anche all’interno di quelli individuati per altri settori d’intervento, sono stati quindi definiti obiettivi più strettamente propri del settore, come di seguito riportato (fonte: http://www.sinanet.isprambiente.it/it/gelso/buone-praticheturismo-sostenibile). 1. Aumentare le certificazioni ambientali nel settore turistico. 2. Aumentare le strutture ricettive e turistiche contraddistinte dal Marchio di Qualità Ambientale (MQA). 3. Incentivare iniziative volte alla diversificazione dell’offerta turistica, alla redistribuzione dei flussi e alla valorizzazione delle aree meno fragili. 4. Garantire un turismo di qualità nel rispetto dell’ambiente. 5. Garantire un turismo di qualità salvaguardando l’identità culturale e sociale dei residenti. 6. Sensibilizzare gli operatori turistici ad una gestione ecologica delle strutture ricettive e turistiche. 7. Tutelare e promuovere il patrimonio storico-culturale. Circa il 30% dei progetti riguarda il raggiungimento di una qualità turistica nel rispetto dell’ambiente naturale, il 17% dei progetti opera mediante la sensibilizzazione degli operatori turistici, il 14% è volto a garantire le identità culturali, a tutelare il patrimonio artistico ed a differenziare l’offerta turistica, infine circa il 6% dei progetti punta ad ottenere le certificazioni ambientali di qualità. 1.3 LA GIZC: GESTIONE INTEGRATA DELLA ZONA COSTIERA La zona costiera e le sue risorse naturali, marine e terrestri, svolgono un ruolo strategico nel soddisfare le esigenze e le aspirazioni delle comunità locali; la zona costiera è altresì un sistema estremamente delicato sul quale si concentrano usi ed interessi molteplici, che, nel loro contempo, generano forti pressioni sulle varie componenti ambientali e la cui gestione è divenuta critica in quanto lo sviluppo di questa fascia del territorio non è stato mantenuto entro i limiti della tolleranza. La gestione della fascia o zona costiera (GIZC o ICZM dall’acronimo in inglese di Integrated Coastal Zone Management) è un processo decisionale per la gestione della costa e rappresenta, pertanto, una problematica da affrontare attraverso un approccio integrato e non settoriale, nell’ottica del miglioramento della qualità ambientale della fascia costiera e della conseguente programmazione e gestione sostenibile delle risorse ambientali ivi presenti. La GIZC prende quindi in considerazione tutti gli aspetti correlati alla fascia costiera, tra cui quelli geografico e politico, ambientale, culturale, storico, urbanistico ed economico nel tentativo di raggiungere gli obbiettivi dello sviluppo sostenibile applicato alla Pianificazione territoriale ed urbanistica. Ma che cos’è la “fascia costiera”? Zunica, nel 1987, illustra ampiamente le numerose definizioni di volta in volta assegnate a questo concetto. Tra esse basti ricordare quella che la descrive come “una fascia che corre lungo il mare, di profondità assai varia (ed a seconda della conformazione geografica, talvolta notevole) comprendente sempre quelle parti di territorio e di zona marina antistante che hanno fra loro diretti rapporti non solo geografici ma anche economici e sociali in genere” (TECNECO, 1974) o, meglio ancora, “una zona di ampiezza tale da comprendere parti di terra e di mare ciascuna delle quali è influenzata in termini di organizzazione e di valorizzazione economica dalla contiguità con l’altra” (Fiorelli, 1980). L’importanza di queste definizioni consiste nel sottolineare la “logica del continuo”, che prescinde da divisioni di carattere amministrativo. Per tali motivi, ai fini di una corretta gestione della fascia costiera, è importante eseguire indagini interdisciplinari, in cui le singole tematiche siano coordinate in una visione integrata, per fornire utili indicazioni agli operatori ed agli amministratori (Diviacco, 1999). A questo proposito, dal 1990 in avanti, esperti a livello mondiale hanno collaborato per porre le basi della Gestione Integrata della Fascia Costiera, vale a dire il mezzo per poter affrontare e superare la frammentazione dei diversi approcci e giungere a decisioni armonizzate e consistenti. L’GIZC è definita come “un processo dinamico in cui si sviluppi e sia attuata una strategia coordinata per la distribuzione delle risorse istituzionali, socio-culturali e ambientali, finalizzata alla conservazione ed alla gestione sostenibile di una pluralità di usi della fascia costiera” (Sorensen e McCreary, 1990). Le attività socioeconomiche devono essere mantenute nei limiti della “resilienza” (capacità di un sistema di recuperare l’equilibrio iniziale dopo una perturbazione) delle risorse ambientali naturali (Diviacco, 1999). L’esame del limite di tolleranza di un ambiente naturale attraverso la misura della sua carrying capacity (definita in pratica dalla quantità di risorse rinnovabili in un ambiente in relazione al numero di individui che queste riserve possono sopportare) è di grande importanza poiché permette di regolare e dosare gli interventi antropici sull’ambiente. L’obiettivo finale della GIZC è quello di “provvedere al migliore e sostenibile uso a lungo termine delle risorse naturali e di garantire il permanente mantenimento della maggior parte dell’ambiente naturale” (Clark, 1992). Secondo Paolella (1992) la complessità delle azioni gestionali necessarie è dovuta sia al fatto che la pianificazione ambientale e delle coste costituisce un’esperienza nuova nell’ordinamento giuridico, oltre ad una prova altamente impegnativa nell’ambito della gestione delle risorse naturali, sia alla difficoltà di inserire la pianificazione e la gestione unitaria nella prassi quotidiana. Per conseguire uno sviluppo sostenibile della costa, che tenga anche conto delle partecipazione attiva degli stakeholders, ossia degli interlocutori privilegiati, vengono proposti alcuni principi chiave che servono a definire le componenti essenziali e strategiche della gestione integrata delle zone costiere: - le dinamiche e i meccanismi di funzionamento della zona marina e di quella terrestre devono essere valutate contemporaneamente: è necessario quindi un approccio di ampio respiro che tenga in considerazione tutti i fattori naturali che influenzano le dinamiche della fascia costiera; - affinché le proposte operative ai problemi della fascia costiera siano efficaci, occorre comprendere le circostanze locali, mediante l’impiego di indicatori pertinenti e valutabili in maniera integrata; - le scelte gestionali devono scaturire dalla comprensione delle dinamiche dei processi naturali dei sistemi litoranei, sviluppando interventi che assecondino questi processi e non li contrastino; - occorre effettuare valutazioni preliminari dei rischi associati alle attività umane ed infrastrutture in modo da prevenire e ridurre gli impatti negativi sulle zone costiere, secondo il principio di precauzione. I primi sforzi significativi per una politica di gestione integrata della costa si possono far risalire agli anni '70 in Europa e soprattutto negli Stati Uniti d'America, paese nel quale la preoccupazione per la qualità degli ambienti marino/costieri spinse alla creazione del primo strumento normativo nazionale in tal senso, il Coastal Zone Management Act del 1972. I principi generali contenuti in tale strumento normativo sono stati in seguito sostenuti nel 1992 durante il Summit della Terra. La politica in materia di gestione integrata delle zone costiere è divenuta così un processo di vertice delineato nell'ambito del processo dell'Agenda 21, capitolo 17. Nell'ambito dell'Unione europea il documento fondamentale può essere considerato la Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2002, riguardante l'attuazione della gestione integrata delle zone costiere in Europa (2002/413/CE). Tale raccomandazione nelle premesse chiaramente sancisce come sia: "... di fondamentale importanza attuare una gestione delle zone costiere sostenibile a livello ambientale, equa a livello economico, responsabile a livello sociale, sensibile a livello culturale, per tutelare l'integrità di questa importante risorsa tenendo conto al tempo stesso delle attività e delle usanze tradizionali locali che non costituiscono una minaccia per le zone naturali sensibili e per lo stato di preservazione delle specie selvatiche della fauna e della flora costiere". In ambito Mediterraneo la Convenzione di Barcellona ha recentemente approvato un nuovo protocollo relativo alla Gestione integrata delle aree costiere, firmato a Madrid nel gennaio 2008, che risulta il primo strumento internazionale "legally binding" per i paesi delle Nazioni Unite, sia pure inerente ad un mare regionale. 1.3.1 LA GIZC IN ITALIA La Direzione Generale per la Protezione della Natura del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, sotto la guida del Direttore Generale dr. Aldo Cosentino è responsabile per l'implementazione del GIZC in Italia e dell'applicazione a livello nazionale degli adempimenti conseguenti alle Convenzioni Internazionali cui il paese aderisci in materia. Allo stato attuale, oltre alla gestione del sistema delle aree marine protette, la Direzione generale è responsabile dell'attuazione di un progetto CAMP (Coastal Area Management Program) nell'ambito del Piano d'azione per il Mediterraneo del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente. Il progetto CAMPItalia, attualmente in fase di definizione con alcune regioni costiere, prevede come aree d'analisi alcuni tratti tra i più interessanti dal punto di vista paesaggistico e di valore storico naturalistico. 1.3.2 LA GIZC IN LIGURIA La gestione della fascia costiera in Liguria prevede, per quanto riguarda le norme sulle aree costiere, di disciplinare caso per caso con strumenti di pianificazione territoriale a livello regionale, comunale e provinciale. In seguito sono descritte alcune delle norme di maggior interesse per quanto riguarda la costa ligure. Sulla base delle analisi tecniche svolte dal Settore Ecosistema Costiero e dal Servizio Parchi ed Aree Protette, è stata approvata la D.G.R. n.773 del 2003 (“Criteri per la valutazione degli impatti diretti ed indiretti sugli habitat naturali marini”) che recepisce ed approva, come Allegato Tecnico, le indicazioni relative a criteri individuati per valutare lo stato di conservazione di un habitat naturale marino (vedi Allegato 2), inserendo tali criteri quali Norme Tecniche nell’ambito della procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). La deliberazione di Giunta Regionale n.1533 del 2/12/2005 ha lo scopo di fornire criteri oggettivi e standardizzati di ammissibilità degli interventi in ambito marittimo, in funzione dell’obiettivo di salvaguardia dell’habitat prioritario della “prateria di Posidonia oceanica”; tali criteri rappresentano pertanto il documento di riferimento per i proponenti di progetti, e sintetizzano le regole di ammissibilità per gli enti competenti per la loro approvazione. Tali criteri costituiscono infatti Norme Tecniche nell’ambito delle procedure di VIA (Diviacco & Coppo, 2006). Col D.G.R. 1561/2005 nasce la “Proposta di perimetrazione in scala 1:10.000 dei Siti di Importanza Comunitaria (pSIC) marini liguri”. L’attività portata avanti fino ad oggi dalla Regione Liguria ha consentito di corrispondere ad una recente richiesta del Ministero dell’Ambiente circa l’aggiornamento dei pSIC, ivi compresa la relativa cartografia. Non è stata proposta la creazione di nuovi siti ma una più precisa definizione cartografica degli stessi, sulla base della reale presenza degli habitat meritevoli di salvaguardia. In alcuni casi il loro perimetro è stato esteso per comprendere habitat di pregio diversi dal posidonieto ma che si trovavano nelle immediate vicinanze: in particolare i nuovi habitat marini compresi sono alcune grotte marine ed alcune aree di fondale caratterizzate da “secche” (affioramenti rocciosi) colonizzate da popolamenti tipici del coralligeno. La nuova perimetrazione ha determinato l’aumento della superficie dei Siti di Importanza Comunitaria marini liguri, la cui estensione complessiva passa da circa 5000 ha a circa 7000 ha (Diviacco & Coppo, 2006). Nelle Leggi Regionali n.13 del 1999 e n.21 del 2006 (“Disciplina delle funzioni in materia di difesa della costa, ripascimento degli arenili, protezione e osservazione dell'ambiente marino e costiero, demanio marittimo e porti”) si evince che sono di competenza dei Comuni: gli interventi di ripascimento, la difesa degli abitati dall'erosione marina, la pulizia delle spiagge non affidate in concessione, l'individuazione, la delimitazione delle acque destinate all'allevamento ed alla raccolta dei molluschi nonché il monitoraggio della qualità delle stesse e le funzioni relative all'autorizzazione all'immersione in mare di materiali per gli interventi stagionali di ripascimento della fascia costiera. La Legge Regionale n.20 del 2006, nell’ Art.41, tratta il “Piano di tutela dell'ambiente marino e costiero”, che ha gli effetti dei Piani di bacino, viene redatto e adottato anche per unità fisiografica, in accordo con quanto stabilito dai piani di bacino e dal piano di tutela delle acque, e ha come finalità il miglioramento della qualità ambientale della fascia costiera, con particolare riferimento al riequilibrio dei litorali, alla stabilizzazione della costa alta, al miglioramento della qualità delle acque costiere, alla difesa e valorizzazione degli habitat marini. Nelle more dell'approvazione del Piano, la Regione adotta misure di salvaguardia con particolare riferimento alla difesa degli habitat e delle coste e degli abitati costieri dall'erosione marina. Le misure di salvaguardia sono immediatamente vincolanti e restano in vigore sino all'approvazione del Piano e comunque per un periodo non superiore a tre anni. In accordo con la normativa vigente, per la gestione della fascia costiera ligure, sono stati realizzati recentemente dalla Regione Liguria altri strumenti idonei a garantire uno sviluppo durevole e socialmente accettabile della zona costiera, in quanto oltre a prevedere la tutela della costa quale aspetto attinente la difesa del suolo e come tale connessa al corretto governo del territorio, traguardano anche un ulteriore obiettivo, rappresentato dalla tutela e dalla valorizzazione della qualità ambientale della zona costiera e delle sue risorse; questi sono: il “Piano della costa” (2000), il “Piano di utilizzazione delle aree demaniali marittime” (2002) e le “Misure di salvaguardia del Piano di Tutela Marino e Costiero” (2009). 1.4 I FINANZIAMENTI EUROPEI Sin dalla nascita dell'Unione Europea, agli occhi dei sostenitori risultava evidente che per raggiungere una forma politica pienamente federata, quindi non solo di convenienza economica (assunto ribadito come principio nel Trattato di Maastricht, 1992), si doveva operare per eliminare le profonde differenze esistenti tra le regioni più ricche e quelle meno avvantaggiate. A tale scopo fu varata un'apposita politica di interventi sul territorio. In particolare, ai sensi del Trattato di Lisbona, la UE ha elaborato e continua a sostenere una specifica politica di coesione economica e sociale. Lo strumento elaborato per concretizzare tale finalità sono i “fondi strutturali europei”. Questi nel corso del tempo hanno subito continue ed opportune modifiche, in rapporto tendenzialmente coerente con le diverse posizioni politiche e programmatiche assunte nel tempo, dalla UE. Gli obiettivi principali dei fondi sono tre: riduzione delle disparità regionali in termini di ricchezza e benessere, aumento della competitività e dell'occupazione, sostegno alla cooperazione transfrontaliera. I fondi strutturali impegnano attualmente il 37,5% del bilancio complessivo dell'Unione Europea. La gestione dei finanziamenti europei può avvenire secondo due procedure: Gestione diretta della Commissione europea Gestione indiretta Nel primo caso, la Commissione europea gestisce i finanziamenti, eroga i fondi e stabilisce autonomamente i criteri ed i principi di funzionamento dei vari “programmi”. Nella gestione indiretta, invece, la gestione dei finanziamenti è affidata agli Stati membri attraverso le amministrazioni centrali e locali. Nel caso, ad esempio, dei fondi strutturali le risorse sono assegnate agli Stati membri, in particolare alle Regioni o Province , per eliminare il divario di sviluppo tra le Regioni europee e stimolare la coesione economica sociale. Le Regioni o Province sulla base di una programmazione che deve essere approvata dalla Commissione, ne dispongono l’utilizzazione attraverso disposizioni nazionali. 1.4.1 I PROGRAMMI COMUNITARI I programmi comunitari rappresentano lo strumento di attuazione delle politiche dell’UE, attraverso cui la Commissione europea finanzia i suoi obiettivi. Sono di norma approvati con Decisione del Parlamento europeo e del Consiglio. La buona riuscita delle politiche dipende quindi molto dall’efficacia dei relativi strumenti e quindi dei programmi comunitari. Questi i settori prioritari e strategici sui quali la Commissione concentra le proprie azioni: Sviluppo sostenibile: raggruppa gli obiettivi di competitività (nuovi mercati favorevoli all’innovazione, risorse per R & S, (Ricerca e Sviluppo), reti comunitarie, mobilità scolastica, formazione per adulti, cultura basata sull’innovazione); coesione (cooperazione territoriale transfrontaliera); conservazione e gestione delle risorse naturali (agricoltura, ambiente, energia); Cittadinanza europea: elemento importante per il rafforzamento e la salvaguardia del processo di integrazione europea in uno spazio di libertà, di giustizia e di sicurezza (società civile, dialogo interculturale, tolleranza e rispetto delle diversità culturali, sviluppo della democrazia, lotta contro il razzismo, Europa come partner mondiale nella prevenzione dei conflitti e nella lotta alla povertà nei paesi terzi); Affari sociali: occupazione, protezione e inserimento sociale, sicurezza sul luogo di lavoro, lotta contro la discriminazione e la diversità, uguaglianza fra donne e uomini, integrazione sociale e lotta alla povertà. Alcune tematiche, dalle quali non si può prescindere, sono da considerarsi trasversali in quanto presenti in tutti i programmi: l’ambiente la società dell’informazione le pari opportunità Le informazioni complete relative ai programmi comunitari si possono scaricare in tedesco, inglese e francese dalle pagine del sito web dell’Unione europea. 1.4.2 IL PROGETTO COMUNITARIO Il progetto comunitario è una combinazione di persone, risorse e fattori organizzativi riuniti temporaneamente per raggiungere obiettivi unici definiti e con vincoli di tempo, costo, qualità e risorse limitate. E´un insieme di attività, mezzi ed investimenti che, in un dato luogo e per un dato periodo di tempo, contribuiscono al raggiungimento di determinati obiettivi. Le proposte di progetto possono essere presentate da tutte le persone fisiche e giuridiche che si trovano o hanno la loro sede negli Stati membri dell’Unione europea (es: imprese, università, centri di ricerca, enti pubblici, enti privati, ONG ecc...) o appartenenti ad altri Paesi che partecipano ai programmi,(fonte:http://db.formez.it/guideutili.nsf/aaf905fb45aa1f36c1256dab00364d94/33288e6d1acf6124c1256ee 6004de708?OpenDocument). Uno dei requisiti essenziali per la partecipazione ai programmi comunitari é la dimensione transnazionale. I progetti devono coinvolgere, normalmente, almeno due organismi di due Stati membri diversi, o di almeno uno Stato membro e uno Stato associato dell’Unione europea. I partecipanti devono offrire un livello sufficiente di affidabilità tecnica e finanziaria. Essi si suddividono in tre categorie, in base alla natura del loro ruolo: coordinatore; partner; cofinanziatori. Uno dei contraenti deve assumere le funzioni di coordinatore: l’unico soggetto legalmente e finanziariamente responsabile della realizzazione del progetto nei confronti della Commissione. Sono di sua competenza: le operazioni finanziarie (riceve il contributo finanziario della Commissione e ne assicura la distribuzione a ciascun partecipante), fornisce relazioni e rapporti sullo stato di avanzamento del progetto in cui sono inclusi i dati forniti dal partner. Tiene registri contabili aggiornati conformemente ai principi stabiliti documentazione giustificativa dalle norme esistenti. Conserva la relativa a tutte le spese del progetto (comprese copie della documentazione dei partner e dei subcontraenti), come ad esempio fatture, prospetti sull’impiego del tempo e documenti usati per il calcolo delle spese generali. Il coordinatore conclude con i partner gli accordi necessari per realizzare il progetto. Tali accordi devono descrivere chiaramente i ruoli, i diritti, gli aspetti finanziari e le responsabilità dei partecipanti. I partner contribuiscono ad uno o più compiti nella realizzazione del progetto e di conseguenza ai costi da sostenere. Fruiscono del contributo finanziario della Commissione così come stabilito nell’accordo tra partner e coordinatore. I partner hanno l’obbligo di fornire al beneficiario tutti i documenti necessari per la presentazione delle relazioni tecniche alla Commissione. Si assicurano che i subcontraenti emettano fatture che facciano chiaramente riferimento al progetto. I cofinanziatori apportano risorse finanziare al progetto e non beneficiano del contributo comunitario, se non nei casi in cui partecipano al progetto anche in qualità di partner. L’individuazione dei partner (ricerca partner) è uno degli aspetti principali nella fase di preparazione di un progetto. Un primo passo è quello di esaminare la possibilità di trovare i partner adatti tra gli organismi con i quali si è già in contatto: enti, clienti, industrie con rapporti di collaborazione, università nei diversi Paesi. Questa soluzione consente di ridurre il tempo di preparazione di una proposta in quanto non è necessario il lavoro di approccio preliminare e si ha una conoscenza reciproca delle competenze, dei metodi di lavoro, di un’eventuale coincidenza di obiettivi, per cui il dialogo è immediato e basato su una fiducia preesistente. Se non si hanno contatti con partner stranieri la Commissione e le Antenne Europe Direct forniscono alcuni strumenti che permettono di effettuare la ricerca. A questo proposito è molto importante anche partecipare a seminari, conferenze ed altri eventi durante i quali si hanno molte probabilità di prendere contatto con potenziali partner del proprio progetto. 1.4.3 I FONDI STRUTTURALI EUROPEI I fondi strutturali europei nei due ultimi cicli (settennali) hanno avuto a disposizione circa un terzo del bilancio della UE. Nel 2000-2006 circa 195 miliardi di euro e in quello in corso (2007-2013) sono diventati circa 335 miliardi. Questi iniziali dati dovrebbero essere sufficienti per delineare l'importanza strategica dei Fondi strutturali. Alla loro riuscita partecipano migliaia di funzionari per assicurare che le migliaia e migliaia di progetti sovvenzionati (non a pioggia) seguano le aspettative previste. In questo contesto, i Fondi strutturali, ossia: FESR - Fondo Europeo di Sviluppo Regionale e FSE - Fondo Sociale Europeo, per citare i più recenti, sono strumenti polivalenti (finanziari, di programmazione, di pianificazione, ecc…) che da un lato sono stati creati dalla UE per cofinanziare e programmare, in modo pluriennale, gli interventi sul territorio, e dall'altro hanno sigle differenti perché si occupano di aree funzionali differenti, organicamente volti al fine complessivo ora ricordato. Inoltre a livello delle singole Regioni UE i Fondi strutturali vengono espressi da specifici Programmi, analoghi nei fatti agli strumenti di programmazione e pianificazione territoriale. Tra questi si possono menzionare i cosiddetti Programmi Operativi (PO) sia Regionali (POR) sia Sovraregionali (PON), vincolati alle linee guida dettate dai rispettivi Regolamenti. Come ogni programmazione economica e/o territoriale complessa e pluriennale la durata dei cicli, tuttavia, è più ampia degli anni formalmente indicati. Infatti, i due ultimi cicli dei Fondi strutturali si chiudono fiscalmente due anni dopo il rispettivo termine. Ossia il ciclo 2000-2006 nel 2008 e quello 2007-2013 è prevista nel 2015. Inoltre, per quanto riguarda la valutazione dei risultati di quanto progettato e realizzato, sono necessari ancora altri anni oltre il termine formale, che dipende dalla tipologia del progetto, e che complica non poco la fase della valutazione dei risultati dei Fondi strutturali. 1.4.3.1 COME PARTECIPARE Prima di partecipare alle opportunità UE è buona cosa informarsi non solo sui programmi, ma anche sui documenti politici elaborati dalla Commissione europea in merito ai settori di interesse. Il secondo passo è quello di individuare gli inviti periodici a presentare proposte, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee. La Gazzetta ufficiale dell’Unione europea è la fonte ufficiale di documentazione della comunità, è disponibile in tutte le lingue dell’UE ed è articolata in tre serie: serie C (Comunicazioni, Informazioni e Inviti), serie L (Legislazione), serie S (Supplemento). L’invito a presentare proposte contiene la descrizione del programma e la sua dotazione finanziaria, la procedura ed i termini di presentazione delle proposte, la misura massima dell’intervento finanziario della comunità, i requisiti minimi per poter partecipare, i criteri di selezione e gli indirizzi presso i quali si può ottenere la documentazione come il programma di lavoro, i moduli per la presentazione delle proposte (quasi sempre on-line). Gli inviti (calls) hanno sempre una scadenza: il calendario delle scadenze è consultabile alle pagine internet dell'Antenna Europe Direct. Una volta identificato l’invito/call che interessa il proprio ufficio, organizzazione o istituto si può definire, a grandi linee, quale potrà essere il proprio obiettivo e quali attività comporranno il progetto. Chi ha un minimo di esperienza sarà anche in grado di stimare il budget del progetto, il più realistico possibile. L’idea del progetto deve essere abbastanza concisa. Quando si scrive un progetto è indispensabile capire quali sono i suoi punti di forza e se esso presenta tutti i requisiti di finanziabilità. Nel momento in cui si stila una prima bozza è bene siano presenti tutti i partner. Può essere vantaggioso includere partner provenienti da regioni o Paesi economicamente meno favoriti, come per esempio, i Paesi nuovi entranti. 1.4.3.2 TAPPE DELLA PROGETTAZIONE Individuazione di un problema reale (un progetto nasce sempre da una situazione problematica), che interessa un determinato territorio o uno specifico settore e riferito a gruppi di persone. Individuazione di una rete di partner idonea alla costituzione di un partenariato funzionale alla tipologia di problemi che si intendono affrontare. Elaborazione dell’idea progettuale coerente con le linee programmatiche stabilite dai Bandi UE e tale da proporsi come innovativa rispetto alle strategie locali e nazionali. Individuazione del ruolo di ciascun partner. Individuazione della gamma di azioni innovative rispetto ai contenuti, metodi e strumenti utilizzati e che contribuiscano a un valore aggiunto europeo. Un utile strumento per la gestione del progetto è il “quadro logico” che aiuta a pensare in modo logico e sistematico durante tutte le fasi del progetto 1.4.3.3 REQUISITI FONDAMENTALI Transnazionalità: il progetto incoraggia la mobilità geografica? Innovazione: in che misura il progetto è innovativo? Contribuisce alla creazione di nuovi metodi o processi, alla definizione di nuovi obiettivi, alla modifica dei sistemi attualmente esistenti? Introduce un nuovo approccio o applica elementi provenienti da altre esperienze? E’ consigliabile cercare nelle pagine delle Direzioni Generali progetti simili già finanziati onde evitare di presentare doppioni che avrebbero scarse probabilità di successo. Valore aggiunto: gli obiettivi e gli effetti delle azioni sono meglio raggiunti a livello europeo che a livello nazionale o locale? (es: azioni con un evidente carattere multilaterale, azioni miranti alla creazione di reti europee, azioni che incoraggiano la cooperazione fra Stati, azioni che contribuiscono nel lungo termine all’integrazione europea). Questo concetto è legato a quello della sussidiarietà, principio in base al quale l’UE deve intervenire solo quando gli Enti locali, le Regioni o lo Stato non sono in grado di farcela da soli. Sostenibilità: il flusso dei benefici che il progetto porta deve mantenersi e svilupparsi in un lungo periodo, si può affermare che il progetto deve poter sopravvivere al finanziamento. Interesse comunitario e assoluta trasparenza: non vengono prese in considerazione singole iniziative, è necessario che i progetti siano presentati congiuntamente almeno da due partner salvo diverse condizioni previste dall’invito/call. 1.4.4 PROGRAMMAZIONE 2007-2013 La programmazione adottata per il ciclo 2007-2013 è prodotta da un lato a partire dagli effetti (positivi/negativi) di quanto realizzato nel ciclo precedente (2000-2006), e dall'altro in considerazione dei nuovi obiettivi programmatici inseriti, nel frattempo, nell'agenda ideale della UE. Tra questi vanno ricordate le svolte sia di Lisbona sia di Göteborg, che hanno introdotto diverse variazioni programmatiche negli obiettivi del progetto UE. In particolare hanno ampliato gli indicatori e gli obiettivi meramente economici, quale presupposto e garanzia della crescita territoriale. Infatti, il consiglio europeo di Lisbona (2000) ha rivalutato l'importanza della conoscenza, e quello di Göteborg (2001) del ruolo dell'ambiente. Rispetto al ciclo precedente, alcuni fondi hanno cambiato nome e finalità e alcuni altri cambiamenti sono stati decisi. Gli obiettivi (2007-2013) sono tre: convergenza, competitività regionale e occupazione e cooperazione territoriale europea. Vediamoli in dettaglio nei seguenti sottoparagrafi. - Convergenza Questo obiettivo è volto ad accelerare la convergenza degli Stati membri e delle Regioni in ritardo di sviluppo, migliorando le condizioni di crescita e d'occupazione. I settori d'intervento sono i seguenti: qualità degli investimenti in capitale fisico e umano, sviluppo dell'innovazione e della società basata sulla conoscenza, adattabilità ai cambiamenti economici e sociali, tutela dell'ambiente nonché efficienza amministrativa. Il finanziamento è effettuato tramite Fondo europeo di sviluppo regionale, Fondo sociale europeo e Fondo di coesione. - Competitività regionale e occupazione Questo obiettivo punta, al di fuori delle regioni in ritardo di sviluppo, a rafforzare la competitività, l'occupazione e le attrattive delle regioni. Esso consentirà di anticipare i cambiamenti socioeconomici, promuovere l'innovazione, l'imprenditorialità, la tutela dell'ambiente, l'accessibilità, l'adattabilità dei lavoratori e lo sviluppo di mercati di lavoro che favoriscano l'inserimento. Il finanziamento è effettuato tramite Fondo europeo di sviluppo regionale e Fondo sociale europeo. Le regioni ammissibili sono le regioni che beneficiavano dei finanziamenti per la convergenza nel periodo di programmazione 2000-2006 e che nel nuovo ciclo non soddisfano più i criteri di ammissibilità dell'obiettivo convergenza, soprattutto a causa dell'allargamento dell'UE verso est. Tali regioni beneficiano di un finanziamento transitorio. Spetta alla Commissione selezionare ed adottare l'elenco delle regioni UE ammissibili. Per il principio di esclusione, le Regioni della Comunità non ammissibili all'Obiettivo Convergenza rientrano nei rimanenti Obiettivi. Per quanto riguarda i programmi finanziati dal FSE, la Commissione ha proposto quattro priorità, in linea con gli orientamenti formulati nell'ambito della Strategia europea per l'occupazione (SEO): accrescere l'adattabilità dei lavoratori e delle imprese, potenziare l'accesso all'occupazione, rafforzare l'inserimento sociale e avviare riforme nel settore dell'occupazione e dell'inserimento. - Cooperazione territoriale europea Questo obiettivo è inteso a rafforzare la cooperazione transfrontaliera, transnazionale ed interregionale, basandosi sulla precedente iniziativa Interreg. L'azione è finanziata dal FESR. L'obiettivo consiste nel promuovere la ricerca di soluzioni congiunte a problemi comuni tra le autorità confinanti, come lo sviluppo urbano, rurale e costiero e la creazione di relazioni economiche e reti di piccole e medie imprese. La cooperazione è orientata su ricerca, sviluppo, società dell'informazione, ambiente, prevenzione dei rischi e gestione integrata delle acque. Sono ammissibili regioni situate lungo le frontiere terrestri interne e talune frontiere esterne, nonché alcune frontiere marittime adiacenti. L’ENPI CBCMED, per esempio, è un programma di cooperazione transfrontaliera nel Mediterraneo a cui sono ammessi 117 Regioni appartenenti a 19 paesi ed è dedicato alla cooperazione con i paesi terzi confinanti con i paesi UE; ha l’obiettivo di migliorare la competitività dello spazio mediterraneo per garantirne la crescita ed assicurare l'occupazione per le nuove generazioni oltre a promuovere la coesione territoriale e la protezione dell'ambiente in una logica di sviluppo sostenibile. 1.4.5 ENPI CBCMED Il Programma di cooperazione transfrontaliera multilaterale "Bacino del Mediterraneo" si inserisce nel quadro della Politica Europea di Vicinato (PEV) dell’Unione europea e del suo relativo strumento finanziario (ENPI, European Neighbourhood and Partnership Instrument) per il periodo 2007-2013: vi partecipano le Regioni dell'Unione europea (UE) e quelle dei Paesi partner situate lungo le sponde del Mar Mediterraneo. La Politica Europea di Vicinato (PEV) è stata sviluppata nel quadro del processo di allargamento dell'UE del 2004 con l'obiettivo di evitare l'emergere di nuove linee di divisione tra l'UE allargata e i Paesi vicini e di rafforzare al contempo la stabilità, la sicurezza ed il benessere in tutta l'area interessata. Attraverso la PEV, l'UE offre ai suoi vicini relazioni privilegiate, basate su un impegno reciproco verso valori comuni (democrazia e diritti umani, stato di diritto, buona governance, principi del libero mercato e sviluppo sostenibile). Dal 2007, lo Strumento Europeo di Vicinato e Partenariato (ENPI) ha sostituito i precedenti programmi di assistenza geografici e tematici della Commissione europea. Una caratteristica innovativa di tale strumento è la sua componente di cooperazione transfrontaliera (CBC), che mira a rafforzare la cooperazione tra i territori posti ai confini esterni dell'Unione Europea. I programmi operativi congiunti attivati in quest'ambito riuniscono regioni di Stati Membri e di Paesi partner che condividono frontiere terrestri o marittime comuni. Sono previste due tipologie di programmi: bilaterali sulle frontiere terrestri (o stretti marittimi) e multilaterali di bacino sulle frontiere marittime. Tra questi ultimi rientra il Programma "Bacino del Mediterraneo". Le azioni di cooperazione definite nel Programma sono complementari a quelle previste nell’ambito del partenariato euro-mediterraneo, avviato nel 1995 con il “Processo di Barcellona”, che continua ad essere un elemento chiave delle relazioni tra l'UE ed i Paesi Mediterranei. La fase di programmazione, lanciata nel settembre 2006, ha visto la partecipazione di 15 Paesi (7 appartenenti all’UE e 8 Paesi Partner Mediterranei), riuniti in seno alla Task Force Congiunta (TFC) e sotto il coordinamento della Regione Autonoma della Sardegna, in qualità di Autorità di Gestione Comune (AGC) del Programma. Il Programma Operativo Congiunto, approvato il 14 agosto 2008 dalla Commissione europea con decisione C(2008)4242, stabilisce le priorità e le misure da realizzare, nonché l'allocazione delle risorse per ciascuna priorità e le modalità di gestione del Programma. Le quattro priorità attorno alle quali si articola il Programma sono state definite sulla base degli orientamenti comunitari per la componente di cooperazione transfrontaliera dell'ENPI, ossia: 1) promozione dello sviluppo socio-economico e rafforzamento dei territori; 2) promozione della sostenibilità ambientale a livello di Bacino; 3) promozione di migliori condizioni e modalità per assicurare la mobilità delle persone, dei beni e dei capitali; 4) promozione del dialogo culturale e della governance a livello locale. I progetti ammissibili al finanziamento devono essere presentati, a seguito di specifici bandi, da partenariati costituiti da attori pubblici e privati provenienti dai territori eleggibili al Programma, secondo le modalità previste dalla normativa comunitaria di attuazione (Regolamento CE 951/2007). Tra i soggetti beneficiari sono previsti: autorità pubbliche locali e regionali, associazioni no-profit, agenzie di sviluppo, università ed enti di ricerca, operatori privati locali e regionali operanti nei settori di intervento del Programma, ecc… La gestione operativa e finanziaria del Programma è assicurata dall'Autorità di Gestione Comune, assistita da un Segretariato Tecnico Congiunto. Il Comitato di Monitoraggio Congiunto, formato dai rappresentanti di tutti paesi partecipanti, è l’organo decisionale del Programma: ha il compito di monitorare la sua strategia nonché la sua attuazione. Il Programma ENPI CBC Bacino del Mediterraneo dispone di un contributo comunitario di circa 173 milioni di euro per il periodo 2007-2013, provenienti in parte dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) e in parte dalle risorse della Rubrica 4 – “UE come partner globale” del bilancio comunitario. A queste risorse si aggiunge un cofinanziamento dei Paesi e/o dei soggetti partecipanti pari almeno al 10% per ciascun progetto finanziato (www.enpicbcmed.eu). 2. PUNTA MANARA: POSIDONIA OCEANICA E IL TURISMO BALNEARE E NAUTICO 2.1 IL SIC DI PUNTA MANARA In recepimento alla “direttiva Habitat” n.43 del 1992, in Liguria sono stati individuati 125 Siti di Interesse Comunitario (SIC) che ricoprono una superficie complessiva pari a 138.224,11 ettari, di cui 26 marini, dislocati lungo tutto l’arco costiero e parzialmente sovrapposti a Zone di Protezione Speciale (ZPS) ed aree parco; sono stati proposti sulla base del Decreto 25/3/2005, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n.157 dell'8 luglio 2005 e predisposto dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ai sensi della direttiva CEE. Figura 2: Sic di Punta Manara (http://it.wikipedia.org/wiki/Punta_Manara). L’istituzione del Sic di Punta Manara (dal codice: IT 1333371) si inserisce quindi in un più ampio progetto di salvaguardia dell’ambiente marino, all’interno del quale la Liguria ha svolto e svolge tutt’ora un ruolo importante nel quadro nazionale. Inoltre, l’adesione all’accordo internazionale Ramoge per la promozione di una zona pilota di lotta contro gli inquinamenti marini lungo la fascia litoranea compresa fra Marsiglia e La Spezia e l’istituzione del Santuario dei Cetacei, completano un quadro regionale abbastanza soddisfacente in materia di protezione del mare. 2.1.1 INQUADRAMENTO DELLA ZONA Meta per molti turisti da tutto il mondo, Punta Manara è una delle escursioni più apprezzate dai visitatori della città. Posta all'estremo ponente del golfo, propone straordinari scorci della costa e molte specie animali e vegetali che abitano la macchia mediterranea. Il promontorio ha un'estensione di circa 190 ettari di cui circa 50 sono occupati interamente da una lecceta, mentre gli spazi rimanenti sono divisi fra macchia mediterranea alta (leccio, corbezzolo, erica) ed un piccolo lembo di sugherata, mentre il popolamento vegetale più esteso è rappresentato dal pino marittimo che copre la quota massima del promontorio, Monte Castello, ad un'altitudine di 265 metri sul livello del mare. In questa parte del promontorio sono ancora visibili i ruderi di un fortilizio di antica costruzione e uno più recente, utilizzati dalla Milizia Territoriale e dai tedeschi durante l'ultimo conflitto. Nelle vicinanze dell'estremità di levante del Golfo, nel cuore dell'area naturale protetta, si possono osservare i ruderi, ancora ben conservati, dell'antica torre saracena, edificata nel periodo cinquecentesco che si erige a circa 140 metri di altezza rispetto al livello del mare. Di importanza strategica, è sempre stata un ottimo punto di avvistamento per il controllo del fronte marino essendo posta circa sulla stessa linea di Punta Chiappa e di Punta Mesco, altri punti di riferimento costiero. Il versante nord raccoglie le acque convogliate dal Rio Ravino che si attraversa percorrendo il sentiero di mezzacosta. Pur essendo di portata molto modesta esso raccoglie l'acqua di alcuni piccoli affluenti ed è un'utile risorsa idrica per i campi coltivati ad orto ed ulivi della località di Ginestra. La piovosità annua della zona è di circa 1.200 mm. Punta Manara può essere raggiunta esclusivamente attraverso i sentieri che si inerpicano sul promontorio sovrastante Sestri Levante. Un sentiero parte proprio dai vicoli del centro storico di Sestri Levante, dopo una serie di gradini che portano fuori dal paese, inizia una passeggiata quasi pianeggiante, che si inoltra nella tipica vegetazione ligure. Giunti a Punta Manara si può scegliere di proseguire con il sentiero e scendere a Riva Trigoso, attraverso una passeggiata molto più ripida che attraversa campi di ginestre ed orti. Sul promontorio è segnalato il cosiddetto Sentiero Natura (vedi Figura 2) che costituisce un itinerario escursionistico di rara bellezza nel panorama naturalistico ligure. Una parte del sentiero, inoltre, è adibita a percorso botanico con cartelli illustrativi che descrivono le specie vegetali che si incontrano lungo il cammino. Pur avendo un'estensione limitata, il promontorio di Punta Manara esprime nei suoi tre versanti (occidentale, orientale e settentrionale) una vegetazione molto diversificata. Alcune fra le specie vegetali presenti sul promontorio sono: corbezzolo, finocchio selvatico, finocchio marino, mirto, cisto, erica arborea, lentisco, ginestra. Le specie arboree presenti sono: ontano nero, leccio, sughero, pino marittimo. Il Bivacco Manara situato vicino all'estremità del promontorio, nel punto di incontro dei sentieri principali, è attrezzato per il pernottamento. La struttura è gestita dalla Pro loco di Sestri Levante. 2.1.2 IL FONDALE DI PUNTA MANARA I fondali antistanti la spiaggia di Riva Trigoso presentano fondali sabbiosi; in alcuni settori tra i –8 e i –15 m di profondità è presente in maniera discontinua la facies a Cymodocea nodosa oltre che, come già detto, la prateria di Posidonia oceanica. La prateria di Posidonia oceanica è addossata ai versanti scoscesi del promontorio: è presente tra 3 e 20 m di profondità e nel complesso occupa circa 9 ettari, di cui i più superficiali sono impiantati su roccia. Oltre il limite inferiore è presente una fascia di matte morta. Si tratta di una prateria piuttosto studiata per la quale è stata documentata un importante fenomeno di regresso; anche i rilievi più recenti confermano uno stato perturbato, con bassa densità fogliare e fenomeno di scalzamento dei rizomi con profonde erosioni della matte. Le secche di Punta Manara: sui fondali antistanti la punta sono presenti, fino a circa 80 metri di profondità, ampie superfici caratterizzate da vasti ed articolati affioramenti rocciosi, dove si sviluppano popolamenti coralligeni ben strutturati, con la prevalenza delle facies a gorgonie. I rilievi morfologici di dettaglio, effettuati dai ricercatori della Regione Liguria, hanno permesso un più preciso censimento delle secche la cui superficie complessiva risulta significativamente maggiore rispetto alla precedente mappatura. Nel complesso le superfici interessate da substrati duri nei fondali antistanti Punta Manara occupano 40 ha. Lo stato di conservazione dell’habitat è nel complesso buono anche se l’area risulta localmente impattata dall’ancoraggio delle imbarcazioni da diporto (vedi Figure 3 e 4) e dalla presenza di rifiuti legati all’attività peschereccia (reti da pesca, cavi e altri materiali). linea di riva Figura 3: stato di conservazione dell’habitat di Punta Manara (fonte: Piano di Tutela dell’Ambiente Marino e Costiero) Blu: aree di posidonieto ed altri habitat sensibili degradati da attività di pesca a strascico abusiva e dalla presenza di macrorifiuti. Verde: tratti di costa alta da preservare dalla trasformazione antropica. Rosso: aree di posidonieto ed altri habitat sensibili degradati dagli ancoraggi o dai sistemi di ormeggio. Giallo: aree di spiaggia da tutelare e riqualificare a favore della vegetazione pioniera e dunale. Figura 4: dall’immagine satellitare tratta da Google Maps, si evince che nel paraggio di Punta Manara sostano numerose imbarcazioni da diporto. 2.2 Posidonia oceanica Posidonia oceanica (vedi Figura 5) è una Monocotiledone adattatasi a vivere sui fondali marini. Appartiene alla famiglia delle Potamogetonaceae ed è una specie endemica del Mar Mediterraneo. S’insedia su substrati sabbiosi, detritici o, più raramente, rocciosi a partire da 1 m fino a 30-40 m di profondità. La sua scomparsa segna il limite inferiore del piano infralitorale nel Mediterraneo, all'interno del quale occupa un’area compresa tra il 2 e il 4% dell' intero bacino. Dal punto di vista morfologico, come tutte le piante superiori, si compone di radici, fusto e foglie. Il fusto viene detto rizoma e le radici svolgono l’importante funzione di fissare la pianta al substrato e di assorbire le sostanze nutritive. Le foglie, nastriformi con 13-17 nervature parallele e dal colore verde brillante, hanno apice arrotondato, larghezza media di circa 1 cm e possono raggiungere oltre 1 m di lunghezza. Si originano a partire dall’apice vegetativo, situato nella parte terminale del rizoma e sono organizzate in fascicoli fogliari, ciascuno dei quali è composto da 6-7 foglie. Queste si distinguono in adulte, intermedie e giovanili. Le foglie intermedie e giovanili differiscono per la lunghezza: sono considerate giovanili quelle inferiori ai 50 mm. All’interno di ogni ciuffo le foglie si dispongono in modo simile ad un ventaglio con le più giovani all’interno e l’apice del germoglio in posizione centrale. Il fascio va pertanto rinnovandosi dall’interno verso l’esterno, con un massimo sviluppo nel periodo primaverile. Il tasso di accrescimento diminuisce durante l’estate, quando le foglie sono più lunghe, ricoperte da epifiti e cominciano a manifestare un più avanzato tasso di senescenza, caratterizzato da un tessuto di colore bruno, fotosinteticamente inattivo (Mazzella et al., 1987). In autunno le foglie più vecchie si staccano dalla loro base che rimane attaccata al rizoma, prendendo così il nome di “scaglia”. Le foglie staccate vengono trasportate dalle correnti e ammassate sulla battigia; tali accumuli, chiamati “banquettes” dagli autori francesi, svolgono un ruolo importante nel contenimento dei processi erosivi della linea di costa. Figura 5: prateria di Posidonia oceanica (http://www.esacademic.com/dic.nsf/eswiki/201322). Posidonia oceanica si riproduce sia per via vegetativa che per via sessuata; tuttavia il principale meccanismo di propagazione è quello vegetativo che viene detto “stolonizzazione”. Questo processo si realizza con il distacco di rizomi terminali dal rizoma parentale, per necrosi o a causa dell’idrodinamismo. La riproduzione vegetativa assicura la propagazione della pianta che può così colonizzare nuovi ambienti. La riproduzione sessuata, invece, avviene mediante fiori ermafroditi, cioè formati da una parte maschile (stami), contenente il polline, che circonda una parte femminile (carpello), che contiene la cellula uovo. I fiori sono raggruppati in particolari infiorescenze di colore verde, portate da uno stelo inserito nel centro del ciuffo e sono avvolte per tutta la loro lunghezza da due brattee floreali (Cinelli et al., 2005). Il frutto, detto “oliva di mare” per il suo aspetto, giunto a maturazione si stacca dalla pianta e, galleggiando, viene trasportato dal mare permettendo alla pianta di colonizzare nuovi aree. Nelle praterie superficiali (fino a 15 m circa di profondità), i fiori compaiono nei mesi di settembreottobre e la fecondazione avviene nel tardo autunno. I frutti raggiungono la maturazione nei mesi di marzo-aprile. Nelle praterie profonde (oltre i 15 m di profondità) il ciclo è ritardato di circa due mesi (Mazzella et al., 2005). I rizomi hanno uno sviluppo sia orizzontale (plagiotropi) che verticale (ortotropi), consentendo alla pianta, non solo di colonizzare nuovi fondali ma anche di contrastare e sfruttare a proprio vantaggio la sedimentazione del materiale particellato presente nel corpo idrico. In aree in fase di colonizzazione, durante le prime fasi dell'accrescimento, si ha un prevalente sviluppo orizzontale e ciò consente l’insediamento progressivo dello spazio disponibile; successivamente, quando la densità fogliare diviene elevata, i rizomi attivano anche la crescita verticale. Questo consente di sfruttare al massimo l’intensità luminosa e di contrastare la continua sedimentazione che nel tempo tenderebbe ad insabbiare la prateria (Cinelli et al., 2005). La rete di rizomi morti e viventi, insieme alle radici e al sedimento intrappolato, forma una caratteristica struttura a terrazzo, estremamente compatta, chiamata “matte” (Pergent e Martini, 1994). La velocità di crescita delle “matte” è strettamente correlata alle dinamiche dei processi di sedimentazione. Infatti, se l’accumulo di sedimento e l’accrescimento dei rizomi sono in equilibrio, la velocità di innalzamento della “matte” è di circa un metro per secolo. Se la sedimentazione è troppo rapida, la crescita verticale aumenta; se invece è insufficiente a compensare l’allungamento dei rizomi verticali questi vengono scalzati e spezzati, data la loro fragilità (Cinelli et al., 2005). L’edificazione della “matte” è condizionata anche da altri fattori ambientali correlati al processo di sedimentazione, quali il moto ondoso e le correnti. Infatti, nelle zone particolarmente riparate e con maggiore sedimentazione, si può verificare un seppellimento dell’apice vegetativo con conseguenze letali per la pianta (Boudouresque et al., 1984). In questi casi si assiste all’innalzamento della prateria che porta all’emersione delle foglie ed alla formazione, con la “matte” su cui sorge, di una barriera naturale detta “récif-barrière” (Cinelli et al., 2005). In zone con elevato idrodinamismo, la “matte” può essere scalzata ed erosa con conseguente regressione della prateria e formazione di canali di erosione detti “intermatte”. Nel Mediterraneo sono state misurate “matte” con spessori di circa sei metri, risultanti dall’effetto di fasi costruttive e fasi demolitive che si sono alternate nel tempo. La prateria di P. oceanica esercita pertanto una notevole azione di modellamento dei fondali marini ed ha un ruolo fondamentale negli equilibri fra i processi costruttivi ed erosivi che modellano la morfologia costiera. Anche trasparenza, luminosità, temperatura e salinità dell’acqua sono influenzate e al tempo stesso influenzano l’ecologia dei posidonieti. La distribuzione batimetrica della pianta è fortemente correlata al grado di trasparenza delle acque: in condizioni ideali raggiunge e supera i 40 metri di profondità con valori di densità fogliare molto elevati (oltre i 700 fasci/m2). Per quanto riguarda la temperatura, questa pianta sopporta bene sbalzi termici importanti, anche se temperature inferiori a 10 °C o superiori a 28 °C non sono solitamente tollerate. Diverso è il comportamento della P. oceanica rispetto alla salinità: essendo infatti una specie stenoalina scompare in prossimità degli sbocchi fluviali ed è totalmente assente nelle acque salmastre (Cinelli et al., 2005). L’enorme quantità di materiale organico prodotto nelle praterie a Posidonia ha scarsa valenza come risorsa trofica primaria; tuttavia, svolge un ruolo essenziale come struttura d’habitat multidimensionale per gli organismi. Le praterie a P. oceanica sono infatti caratterizzate da un’elevata biodiversità delle comunità vegetali e animali. Queste sono ripartite in due “stratocenosi”: una associata alle fronde, l’altra ai rizomi ed al substrato. Le fronde ospitano una flora ed una fauna epifitica di tipo fotofilo. I rizomi ed il substrato invece, a causa della scarsa quantità di luce, sono caratterizzati da popolamenti con lineamenti sciafili-precoralligeni o, in alcuni casi, coralligeni con concrezionamento del substrato (Cognetti et al., 1999). Un ruolo fondamentale è svolto dagli epifiti algali, organismi che si fissano alla pianta usandola come supporto. Questi possono avere sia effetti positivi che negativi sulla produttività della pianta. Gli effetti positivi sono la riduzione del disseccamento della pianta nelle aree superficiali così come la protezione dai raggi ultravioletti. Gli effetti negativi comprendono l’ombreggiamento e la competizione per la luce, nonché l’interferenza per l’assimilazione del carbonio e del fosforo. La maggior ricchezza floristica ed il massimo ricoprimento da epifiti si raggiunge nel periodo estivo, tra giugno e settembre, mentre i valori minimi si registrano nel periodo invernale, compreso tra dicembre ed aprile; tale stagionalità è legata ai cicli brevi delle alghe e alle fasi di crescita delle foglie di P. oceanica. Anche sui rizomi è presente una ricca flora algale utilizzata come fonte di nutrimento da molte specie animali. La comunità animale si presenta molto ricca sia per quantità che per qualità. All’interno della prateria, infatti, si trovano molti gruppi di invertebrati (spugne, policheti, idroidi, briozoi, crostacei, molluschi, ascidie) e di vertebrati (pesci). Alcune specie sono residenti mentre altre abitano la prateria transitoriamente per cercare cibo, rifugio e/o un luogo adatto per la riproduzione e la deposizione delle uova. In base alla distribuzione all’interno della prateria, la fauna può essere divisa in quattro categorie principali: Organismi mobili e fissi che vivono sullo strato fogliare; Organismi mobili nella colonna d’acqua tra le foglie; Organismi mobili e fissi che vivono nei rizomi, alla base dei ciuffi o sopra il sedimento; Organismi che vivono all’interno della “matte” (in-fauna). Da quanto detto, emerge il ruolo fondamentale della P. oceanica come specie strutturante di uno degli ecosistemi marini più bio-diversi del Mar Mediterraneo. La prateria costituisce uno stadio climax all’interno di una serie successionale che parte dalla colonizzazione di specie algali pioniere, come Caulerpa prolifera, o di piccole fanerogame come Cymodocea nodosa, le quali forniscono un substrato ricco di detriti di origine vegetale. L’ancoraggio, la pesca a strascico e l’inquinamento agiscono pesantemente sull’equilibrio ecosistemico del mare. La costruzione di ponti, moli e discariche marine, inoltre, modifica le correnti, provocando indirettamente la variazione dell’apporto fluviale e della quantità dei sedimenti provenienti dalla terra. Tutto ciò può portare al declino delle praterie a Posidonia che, per il mantenimento del loro delicato equilibrio, necessitano di particolari condizioni ambientali. Pertanto la struttura spaziale della prateria nonché la struttura delle comunità che la abitano rappresentano un eccellente indicatore per determinare la qualità ambientale e per quantificare gli effetti delle attività antropiche (Francour, 1999). L’estensione, la struttura e l’alta produttività delle praterie di P. oceanica rappresentano una ricchezza inestimabile per il Mar Mediterraneo e le sue coste. 2.3 IL TURISMO: BALNEAZIONE E NAUTICA Il turismo costituisce una fra le industrie più produttive a livello mondiale, soprattutto nelle aree costiere. La tendenza in questi ultimi anni a livello internazionale porta a ritenere che nel prossimo futuro, esso costituirà la più grande industria del mondo, concentrandosi in larga misura nelle zone costiere. Si calcola che un terzo dei flussi turistici mondiali operi nell’area mediterranea, un insieme geografico unico al mondo per caratteristiche climatiche, bellezza del paesaggio costiero, ricchezza culturale e l’Italia in tale contesto svolge un ruolo di primaria importanza. Le coste italiane, nei suoi 8.400 km circa di lunghezza (vedi Figura 6), sono caratterizzate da tipologie varie e diverse di spiagge che ogni estate vengono affollate da quantitativi spropositati di turisti. Figura 6: Immagine delle coste italiane (fonte: Apat). Gli effetti di uno sviluppo turistico di tali proporzioni sono però troppo spesso contraddistinti da un “consumo” irrispettoso delle risorse ambientali e culturali dei luoghi di attrazione. Per questo motivo è necessario che alla crescita del settore turistico si accompagni una gestione razionale del territorio e della natura. Per esempio, fenomeni come la costruzione di grandi centri turistici situati a ridosso del mare in molti casi comportano disastrosi squilibri a livello ambientale, spesso pregiudicando anche alcune fra le attrattive di richiamo ed influendo quindi negativamente sulla domanda turistica stessa negli anni successivi. Numerose ricerche testimoniano come negli ultimi anni la figura del turista stia subendo una notevole trasformazione verso un comportamento maggiormente responsabile, attento alla qualità dell’ambiente, in cerca di luoghi dove riscoprire tradizioni culturali ed enogastronomiche; è un turismo sostenibile che non “consuma” l’ambiente, ma favorisce la riscoperta e la valorizzazione del territorio (Bushell & Staiff, 2006). All’interno delle aree protette marine è necessario regolamentare svariate attività, come la balneazione ed il turismo nautico, che possono avere conseguenze negative sugli ecosistemi. L’attività balneare può comportare un disturbo notevole nella fascia costiera, legato al calpestio (Woodland & Hooper, 1997; Kay & Liddle, 1989; Brosnan & Crumrine, 1994), all’abbandono di rifiuti e a tutte quelle attività (ripascimenti, manutenzione varia, ecc…) e strutture (chioschi, servizi igienici ecc…) connesse con la presenza di turisti. E’ consigliabile creare interdette all’accesso nei siti in cui l’ambiente naturale risulti particolarmente sensibile a stress di questo genere. Il turismo nautico comporta fondamentalmente quattro tipi di conseguenze negative sull’ambiente: inquinamento acustico; inquinamento chimico; danni alle comunità bentoniche; formazione di onde artificiali. Inoltre il crescente numero di strutture portuali (marine, porticcioli, ecc...) comporta una profonda alterazione della costa e delle dinamiche litorali (correnti, trasporti dei sedimenti). In molti casi l’importanza dell’impatto provocato da un’imbarcazione dipende dalle sue dimensioni. Barche molto grandi necessitano di un equipaggio numeroso, che comporta un notevole rilascio di scarichi organici, hanno un motore più potente e rumoroso, utilizzano ancore di grosse dimensioni collegate a catene lunghe e pesanti. Fino al 2007, gli Enti gestori limitavano e regolamentavano gli accessi soprattutto in relazione alle dimensioni degli scafi, considerando separatamente i natanti (unità con lunghezza inferiore a 10 m), dalle imbarcazioni (unità comprese fra 10 e 24 m) e dalle navi da diporto (oltre i 24 m). Questo criterio di classificazione è stato, in parte, superato dalle direttive del Ministero dell’Ambiente (2007) e pertanto in futuro gli Enti gestori dovranno classificare le unità da diporto principalmente in funzione del potenziale impatto sull’ambiente e del possesso di requisiti ecologici e di compatibilità ambientale. Per gli scafi classificati come “impatto minimo” o “ecocompatibili” dovranno essere previste misure di “premialità ambientale”, quali prefenzialità nelle autorizzazioni, agevolazioni negli accessi, equiparazione ai residenti, tariffe scontate e così via. In altri termini, i proprietari di scafi ad impatto minimo potranno richiedere al soggetto gestore di un’Area Marina Protetta (AMP) o alle Capitanerie di Porto il rilascio di un contrassegno (bollino blu), valido in tutte le aree marine protette e grazie al quale potranno usufruire di alcuni benefici. Barche a remi o a pedali, a vela (derive) o con motore elettrico sono considerati mezzi ad impatto minimo e potranno richiedere il rilascio del bollino blu senza altra certificazione. Gli altri mezzi, per ottenerlo, dovranno dimostrare di essere in regola con la Direttiva 2003/44/CE e con gli Annessi IV e VI di MARPOL 73/78. In altri termini, le unità dovranno essere equipaggiate con motori entro o fuoribordo a 4 tempi alimentati con benzina verde o a 2 tempi ad iniezione diretta ed utilizzare carburanti ecologici quali il biodiesel o l’etanolo. Dovranno essere dotate, inoltre, di casse per la raccolta dei liquami ed utilizzare pitture antivegetative a basso impatto. Il problema dell’ancoraggio sui fondali delle aree marine protette richiede studi approfonditi relativi ai tipi di habitat potenzialmente danneggiabili. Il disturbo provocato dall’impatto dell’ancora, ma ancor più dall’azione abrasiva della catena varia di intensità a seconda del substrato (Montefalcone et al., 2010). Alcuni studi per esempio hanno qualitativamente descritto gli impatti negativi sulla prateria di Posidonia oceanica conseguenti all’ancoraggio non regolamentato (Francour et al., 1999; Milazzo et al., 2002), ma pochi hanno analizzato quantitativamente tale fenomeno (Walker et al., 1989; Hastings et al., 1995). classica hall cqr danforth ombrello bruce Figura 7: i modelli di ancore più diffusi (http://www.webalice.it/p.gianpaolo/ancore%20ed%20ancoraggio%20della%20barca.htm). Il danno meccanico risultante dall’ancoraggio non controllato di imbarcazioni da diporto sembra comunque essere responsabile di localizzate regressioni delle praterie di Posidonia oceanica (Montefalcone et al., 2005 e 2007) come vedremo meglio descritto nel seguente sottoparagrafo 2.3.1. Le soluzioni a questa problematica sono quindi differenti in funzione delle specifiche caratteristiche del luogo. In alcuni casi è bene consentire l’ancoraggio solo in determinate aree ed a determinate condizioni, in altri, se possibile, l’Ente gestore può posizionare gavitelli ecocompatibili per l’ormeggio, che minimizzino gli impatti sul fondo. Talvolta è richiesto il pagamento di un importo per la sosta all’interno dell’area. Questa soluzione, in alcuni casi piuttosto contestata, si rivela in realtà molto importante per finanziare le attività dell’Ente gestore (Tunesi et al., 2005; Bushell & Staiff, 2006). Nel caso di Punta Manara si evince che il danno creato da ancoraggio su posidonieto si può calcolare, quantificando la perdita della pianta acquatica, attraverso l’indice di frammentazione della prateria (PI: Patchiness Index). Inoltre, da recenti studi effettuati da ricercatori dell’Università di Genova, si evidenzia che il deterioramento della prateria è dato soprattutto dal fatto che le imbarcazioni da diporto che sostano in corrispondenza della zona protetta sono molto numerose piuttosto che dalla grandezza delle imbarcazioni stesse (Montefalcone et al., 2010). 2.3.1 GLI IMPATTI DELLA NAUTICA DA DIPORTO SUGLI ECOSISTEMI MARINI Nell’area mediterranea si registra da anni, malgrado la diffusa istituzione di aree marine protette, al generico impoverimento dei fondali, in termini di biodiversità, e in particolare ad una lieve e graduale regressione delle praterie di Posidonia oceanica. Tale dato costituisce un elemento di notevole preoccupazione per lo stato di salute del mare, in quanto questa pianta acquatica svolge un compito ecologico fondamentale, esercitando un ruolo multifunzionale nei sistemi costieri. Essa rappresenta l’endemismo più caratteristico del Mediterraneo, insieme alle altre fanerogame spontanee dei nostri mari: la Cymodocea nodosa, la Zostera noltii e la Zostera marina. Sulla base dei dati del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, una prateria in buono stato di salute ha una capacità di produzione di ossigeno pari a 14 litri al giorno per metro quadro; tale caratteristica la rende un ambiente indispensabile per la riproduzione e protezione degli organismi marini e per l’innesco della catena trofica da cui dipendono pesci e cefalopodi. Pochi organismi si cibano direttamente delle foglie di Posidonia oceanica, a causa di alcuni composti chimici sgradevoli e all'elevato contenuto di cellulosa che rende le foglie poco appetibili. Al contrario, la stragrande maggioranza degli organismi si nutrono degli epifiti (batteri, micro e macroflora) delle foglie e dei rizomi, mentre i residui disgregati sono fonte di alimento per tutti gli organismi detritivori. Tra le altre peculiarità della Posidonia oceanica figura l’elevata sensibilità al degrado e all’inquinamento, che la rende un indicatore ambientale per studi e ricerche. La presenza e lo stato di conservazione della prateria forniscono informazioni dirette sulla trasparenza dell'acqua, sulla composizione dei sedimenti e sul livello degli scambi idrici. Inoltre, la prateria svolge un determinante compito di protezione delle coste dall’erosione. Il complesso apparato rizomatoso esercita un'azione di fissazione dei fondali e, insieme a quello delle foglie, contribuisce allo smorzamento idrodinamico del moto ondoso e delle correnti di fondo. Calcoli teorici ed esperimenti condotti in vasca su praterie artificiali hanno dimostrato che la capacità di dissipazione, per attrito, di queste superfici elastiche può essere stimata nell'ordine del 30-40% per il moto ondoso e per il 60-70% per le correnti. Si è quindi calcolato che la distruzione di un metro di spessore di "matte" di Posidonia oceanica può comportare l'instaurarsi di un processo di erosione che, in zone con litorali sabbiosi, può determinare significativi arretramenti della linea di costa. L’importanza fondamentale di questa specie porta ad interrogarsi seriamente sulle cause della regressione in atto delle praterie e alla ricerca di soluzioni per la mitigazione del fenomeno. Lo stato di sofferenza è generalmente attribuito a fattori inquinanti ed alla conseguente torbidità delle acque, che comporta la difficoltà della specie di compiere la fotosintesi e di contrastare l'eccessiva sedimentazione di materiali fini. Tuttavia, un fattore di impatto non secondario è rappresentato dagli apparati di ancoraggio delle unità da diporto: ancore e catenarie sono la causa principale dell'estirpazione meccanica di foglie e rizomi e, in generale, riducono i valori di copertura e densità della prateria al punto di poter identificare un reale processo di regressione. Anche il continuo movimento delle catene sul fondo determina una riduzione della lunghezza media delle foglie. La formazione di discontinuità nella compattezza della prateria, accentuata dalle correnti di fondo, comporta quindi la presenza di lacune sempre più ampie, che innescano processi di erosione. Considerando la limitata capacità di accrescimento della specie (i rizomi hanno un allungamento medio annuo di circa un centimetro, in senso verticale, e di circa 5 centimetri, in senso orizzontale), la prateria non riesce più a colmare le lacune erosive. D’altro canto, l’azione di ancoraggio e trascinamento delle ancore sui fondali può danneggiare anche fondali duri con biocenosi di pregio, quali il coralligeno e il precoralligeno. In tali casi l’erosione è provocata dalla frantumazione meccanica degli organismi marini, particolarmente significativa nelle aree ad alta densità di unità da diporto. Il tema della tutela dei fondali dagli impatti degli ancoraggi è stato oggetto nel 2007 anche del “Tavolo tecnico per la nautica sostenibile”, istituito presso il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare a seguito degli accordi intercorsi al Salone Nautico Internazionale di Genova del 2006. Tale tavolo ha visto il coinvolgimento del Ministero dei Trasporti, delle Capitanerie di Porto, di UCINA, AssoNautica, AssoCharter e AMI (Assistenza Mare Italia), in rappresentanza dell’utenza nautica, di Legambiente, Marevivo e WWF Italia, in rappresentanza del mondo ambientalista, e di Federparchi, in rappresentanza degli Enti gestori delle aree marine protette e dei parchi nazionali costieri. L’oggetto del tavolo è stato la definizione di criteri, linee guida, standard di riferimento e proposte per il diporto nelle aree marine protette, con l’obiettivo di introdurre la premialità ambientale per la nautica, mediante l’adozione di una regolamentazione ad hoc nei decreti ministeriali e nei regolamenti delle aree marine protette. Su tali basi, è stata così avviata la revisione delle regolamentazioni e delle zonazioni delle aree marine protette, fornendo ai diportisti un quadro di regole uniformi, omogenee e condivise. Nel Protocollo tecnico adottato in tale sede, si è stabilito che l’ancoraggio sia consentito compatibilmente con le esigenze di tutela dei fondali, al di fuori delle aree sensibili. Con aree “sensibili” si intendono gli habitat e le specie protette, quali le praterie di Posidonia oceanica, le altre fanerogame marine, il coralligeno e le altre biocenosi di pregio. A tal fine, gli enti gestori delle aree marine protette devono redigere carte ecologiche dei fondali, avviare la realizzazione di campi ormeggio a basso impatto, installare i segnalamenti delle aree sensibili ove è vietato l’ancoraggio e varare opportuni piani di monitoraggio delle aree soggette all’ancoraggio. Il Ministero dell’Ambiente si è impegnato a sostenere prioritariamente gli impegni finanziari derivanti da tali accordi. 3. MATERIALI E METODI Il progetto di studio è stato diviso in due parti: la prima riguarda il monitoraggio e l’elaborazione dei dati attinenti all’area di Punta Manara ed alle problematiche date dalle imbarcazioni da diporto durante il periodo turistico mentre la seconda parte prevede la realizzazione delle basi del progetto Eco-Mooring per il Programma Comunitario ENPI CBCMED sulla gestione integrata della zona costiera sulla traccia del progetto strategico Turismo Porti Ambiente finanziato nell’ambito del Programma di cooperazione transfrontaliera Italia Francia Marittimo. 3.1 LE IMBARCAZIONI DA DIPORTO Le indagini di studio per realizzare questa tesi sono state condotte in parte da ricerche sul campo condotte con frequenti osservazioni dalla spiaggia principalmente durante i mesi luglio ed agosto ed in parte dall’analisi di materiale fotografico della Regione Liguria del 2007, oltre che da approfondimenti bibliografici. I dati relativi alla presenza ed alla localizzazione di P. oceanica nell’area di studio sono presi dall’”Atlante degli Habitat Marini della Liguria” (Diviacco & Coppo, 2006). Dall’analisi dei dati ricavati dalle fotografie nei diversi anni (vedi Figura 8) è possibile fare delle tabelle per paragonare l’affluenza delle imbarcazioni da diporto stanzianti nelle acque ad est di Punta Manara nell’area in cui quest’anno sono state collocate le sei boe di segnalazione del nuovo limite di balneazione (vedi Allegato 1). 2007 GIORNO domenica lunedì martedì mercoledì giovedì venerdì sabato domenica lunedì DATA lug-01 lug-02 lug-03 lug-04 lug-05 lug-06 lug-07 lug-08 lug-09 2011 IMBARCAZIONI 18 8 2 0 14 10 16 20 0 GIORNO giovedì venerdì domenica venerdì sabato domenica lunedì martedì mercoledì DATA giu-23 giu-24 giu-26 lug-01 lug-02 lug-03 lug-04 lug-05 lug-06 IMBARCAZIONI 9 7 21 3 20 32 3 0 5 martedì mercoledì giovedì venerdì sabato domenica lunedì martedì mercoledì giovedì venerdì sabato domenica lunedì mercoledì giovedì venerdì sabato domenica lunedì martedì mercoledì giovedì venerdì sabato domenica lunedì martedì giovedì venerdì sabato domenica martedì giovedì venerdì sabato domenica giovedì venerdì sabato domenica TOTALE lug-10 lug-11 lug-12 lug-13 lug-14 lug-15 lug-16 lug-17 lug-18 lug-19 lug-20 lug-21 lug-22 lug-23 lug-25 lug-26 lug-27 lug-28 lug-29 lug-30 lug-31 ago-01 ago-02 ago-03 ago-04 ago-05 ago-06 ago-07 ago-09 ago-10 ago-11 ago-12 ago-14 ago-16 ago-17 ago-18 ago-19 ago-23 ago-24 ago-25 ago-26 0 1 11 7 14 5 1 1 3 0 15 20 19 6 4 0 6 16 29 4 7 10 15 12 25 21 18 1 5 8 0 12 13 26 2 29 9 12 11 23 30 giovedì venerdì sabato domenica lunedì martedì mercoledì giovedì venerdì sabato domenica lunedì martedì mercoledì giovedì venerdì sabato domenica martedì mercoledì giovedì venerdì sabato domenica lunedì martedì mercoledì giovedì venerdì sabato domenica martedì mercoledì giovedì sabato domenica lunedì martedì venerdì sabato domenica 539 TOTALE lug-07 lug-08 lug-09 lug-10 lug-11 lug-12 lug-13 lug-14 lug-15 lug-16 lug-17 lug-18 lug-19 lug-20 lug-21 lug-22 lug-23 lug-24 lug-26 lug-27 lug-28 lug-29 lug-30 lug-31 ago-01 ago-02 ago-03 ago-04 ago-05 ago-06 ago-07 ago-09 ago-10 ago-11 ago-13 ago-14 ago-15 ago-16 ago-19 ago-20 ago-21 1 3 11 30 5 5 13 9 1 0 0 7 1 5 14 17 27 33 18 15 6 8 20 24 12 4 0 0 4 15 28 2 3 9 18 29 30 14 3 12 19 575 NUMERO IMBARCAZIONI DA DIPORTO 600 550 500 2007 - 2011 Figura 8: tabella e grafico che mettono a paragone il numero di imbarcazioni nei mesi estivi del 2007 e 2011 nel tratto di mare ad est di Punta Manara. Sono state realizzate anche delle tabelle in cui si evidenzia che il numero di imbarcazioni è maggiore durante i week end rispetto ai giorni feriali della settimana (vedi Figura 9 e 10). IMBARCAZIONI FESTIVI GIORNI 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 FESTIVI 2007 18 16 20 14 5 20 19 16 29 25 21 0 12 29 9 23 30 FESTIVI 2011 21 20 32 11 30 0 0 27 33 20 24 15 28 18 29 12 19 TOTALE IMBARCAZIONI 306 339 IMBARCAZIONI FERIALI GIORNI 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 FERIALI 2007 8 2 0 14 10 0 0 1 11 7 1 1 3 0 15 6 4 0 6 4 7 10 15 12 18 1 5 8 13 26 2 12 11 FERIALI 2011 9 7 3 3 0 5 1 3 5 5 13 9 1 7 1 5 14 17 18 15 6 8 12 4 0 0 4 2 3 9 30 14 3 TOTALE IMBARCAZIONI 233 236 Figura 9: tabelle del numero di imbarcazioni durante i giorni festivi e feriali. Figura 10: foto di Punta Manara, una domenica di luglio 2011 (Laura Battaglia). 3.2 PROGETTO COMUNITARIO: Eco-Mooring Il Progetto di Gestione Integrata della Zona Costiera Eco-Mooring, riportato nelle seguenti pagine, è stato proposto da Hook Nautic Baleares S.L. di Palma (Isole Baleari, Spagna), capofila nell’ENPI CBCMED. Nell’ Allegati 5 viene riportato il documento usato dal CRUIE per la dichiarazione del richiedente (Concept Note). La tutela ambientale dell’area di studio di Punta Manara è trattata nel Progetto strategico Turismo Porti Ambiente (vedi Allegato 7 in cui viene riportato il documento della Regione Liguria, per l’installazione di campi ormeggi sostenibili). STRATEGIC PROJECTS Mediterranean Sea Basin Programme 2007‐2013 ENPI CBCMED Eco‐Mooring: Mooring management system for the sustainability of the coast of the Mediterranean Sea Call Information The "ENPI CBC Mediterranean Sea Basin Programme 2007/2013" is a multilateral cross‐border cooperation programme co‐financed by the European Union under the European Neighbourhood and Partnership Instrument (ENPI). The Programme provides the framework for the implementation of cross‐border and cooperation activities in the context of the European Neighbourhood Policy, complementing efforts exerted within the framework of the Euro‐Mediterranean Partnership, with the final aim of developing an area of peace, stability, prosperity and good neighbourliness involving EU Mediterranean Countries and Mediterranean Partner Countries. General objective, priorities and measures Eco‐Mooring will be involved in the priority 1: Promotion of socio‐economic development and enhancement of territories. Inside this priority, this project will be addressed to the following topic: Integrated coastal zone management (ICZM): Promotion of joint planning methodologies with regard to integrated coastal zone management including maritime safety. This project will be prepared on the basis of their expected results and potential effectiveness. It shall have its own performance and success indicators, which must be specific and objectively verifiable. The proposal will contribute to promoting the sustainable and harmonious cooperation process at the Mediterranean basis level by dealing with the common challenges and enhancing its endogenous potential. Available budget for the priority 1 EU contribution Co‐financing Total Total 37.440.000€ (90%) 4.160.000€ (10%) 41.600.000€ Project size, Consortium size and Duration Project Budget: 2M€‐ 5M€ Project Consortium: 4 – 14. At least one from the EU Mediterranean countries and one from the Mediterranean Partner Countries: i.e. Spain, Balearic Islands (EU Mediterranean Country) + Israel (Mediterranean Partner Country) Between 24 and 36 months (conditional to the notification of the extension of the eligibility period to 31/12/2015 by the European Commission). Eco‐Mooring Project Abstract Introduction Integrated Coastal Zone Management (ICZM) is defined as a continuous and dynamic process for the sustainable management and use of coastal zones. It takes into account the fragility of coastal ecosystems and landscapes, the diversity and interaction of activities and uses, the maritime orientation of certain activities and uses and the impact of these on both the marine and land areas. All countries participating in the ENPI CBC Mediterranean Sea Basin Programme have undertaken some measures to protect their coastal zones from development pressures; however, measures to achieve sustainable coastal development are still inadequate. In terms of institutional coastal management, several countries have created specialised coastal agencies or some kind of coastal centre; however, all these institutions are either weak administrative units or lack the adequate horizontal and vertical co‐ordination with other concerned institutions, which is a pre‐requisite for sustainable management of coastal areas. In January 2008, 14 Contracting Parties to the Barcelona Convention (i.e. 13 Mediterranean States and the EU) signed a regional legal document on ICZM: the Protocol on Integrated Coastal Zone Management in the Mediterranean. Having been ratified by six contracting parties, the Protocol entered into force the 24th of March 2011. The ICZM Protocol aims at establishing a coastal zone management that is environmentally sustainable, socially responsible and adaptive to Mediterranean cultural realities. A strategic approach will require a step change in implementing ICZM. The general objective of this strategic topic is therefore promoting a more strategic approach for the ICZM implementation in the Mediterranean basin through cross‐border cooperation. To this end, it is recommended to comply with the provisions of the Protocol, which gives clear indications on what are the priorities for ICZM in the future. Eco‐Mooring Main Goal The goal of the Eco‐Mooring project is to develop a mooring management system applied to improve the management of ports and coastline pleasure boat operations. Nowadays, the nautical market needs are not currently covered by any solution that could efficiently manage anchor moorings, security and alerts. These requirements refer not only on the marine industry but also boaters, environmental groups, government agencies, etc. Today’s challenge is to develop a system for the nautical market to enhance the whole process from mooring to port management, towards a more sustainable sea environment. The Eco‐Mooring project will contribute to regulate the indiscriminate anchoring while allowing a flexible and innovative management and creation of secure funding for any environmental condition retaining the seabed. The main result of the Eco‐Mooring project will be the optimization of resources of the Mediterranean Sea coast using new technologies to achieve the objective of reducing the negative impact that indiscriminate anchoring has on the sea coast. Eco‐Mooring will also allow the participant countries to share information regarding the available moorings among others, in order to create cross‐border cooperation between EU and non‐EU Mediterranean Countries. Project Objectives The aim of this project is to create a system able to manage moorings belonging to the different Mediterranean countries in order to reduce the negative impact on the coastal environment caused by indiscriminate anchoring and others, towards a more sustainable Mediterranean Coast. Eco‐Mooring will also allow the participant countries to share information regarding the available moorings among others, in order to create cross‐border cooperation between EU and non‐EU Mediterranean Countries. Partner Profile: SMEs, Local / Coast Authorities, Universities with activities in the marine / port / coast environment. Project Leader: Hook Nautic (Spain) Expected Impact Results Eco‐Mooring will contribute to the promotion of a more strategic approach for the ICZM implementation in the Mediterranean basin through cross‐border cooperation, following these specific objectives: To promote the implementation of the eco‐system approach in order to prevent negative impacts on coastal and marine environment. To provide a mooring management solution in order to enhance the port management. To provide a cross‐border solution that will allow sharing useful information between countries, regarding anchoring points and mooring management. To implement coastal governance, allowing the ecosystem approach to become a policy instrument implemented by the overall coastal zone management community. 4. RISULTATI E CONCLUSIONI In questi ultimi anni, il principio della tutela ambientale si è sempre più strettamente legato ai concetti dello sviluppo sostenibile e della fruizione turistica responsabile. Le attività turistico ricreative associate al mare richiamano l’attivazione di una grande varietà di servizi tra cui la nautica da diporto e i servizi di ormeggio e rimessaggio. L’insieme di tutti gli operatori economici sta sempre più consolidando un ruolo attivo nelle dinamiche di sustainable coastal zone management (gestione sostenibile della fascia costiera), all’insegna dell’offerta turistica di qualità. Anche la realizzazione di campi ormeggio all’interno di una concessione demaniale marittima rilasciata per finalità di tutela ambientale potrebbero costituire una straordinaria opportunità per i gestori dei servizi legati alla fruizione eco-compatibile del mare. In questo contesto, la tutela dei fondali marini si attua in prevalenza apponendo il divieto di ancoraggio e fissando limiti della velocità di navigazione nelle aree di maggior pregio naturalistico e maggiore vulnerabilità, quali la prateria di Posidonia oceanica ed il coralligeno, presente su molti litorali tra cui quello del SIC di Punta Manara. Nei fondali caratterizzati dal posidonieto il fenomeno di aratura delle ancore dei mezzi nautici è responsabile in buona parte dell’erosione e della regressione della prateria; tale regressione si traduce in perdita di habitat, riduzione della produzione di ossigeno e del ruolo ecologico di nursery e, complessivamente, minore biodiversità: in termini squisitamente turistici, l’aratura dei fondali e l’erosione della Posidonia oceanica si traducono in una deturpazione del paesaggio sommerso e in una minore presenza di pesci e specie marine. Analogamente, sul coralligeno le ancore operano una frantumazione diretta del fondale roccioso, determinando un’erosione accelerata che può portare ad una graduale perdita di biodiversità. Per quanto riguarda il monitoraggio delle imbarcazioni da diporto stanzianti ad est del promontorio di Punta Manara si evince dalle tabelle che il luogo è molto frequentato dai diportisti nautici (vedi Figura 9) e dai bagnanti durante il periodo estivo e vi è una maggiore affluenza, durante i fine settimana, sia del 2007 che del 2011, soprattutto di domenica. Il numero totale delle imbarcazioni del 2007, pur essendo molto simile a quello del 2011, è minore, quindi è da considerarsi positivo, in termini di fruibilità dall’area, il cambiamento effettuato dal Comune di Sestri Levante in merito all’immissione delle sei nuove boe che delimitano il limite delle acque di balneazione a una distanza maggiore dalla linea di riva, rispetto agli anni passati. I bagnanti possono quindi nuotare spingendosi al largo e godendo a pieno della zona costiera ed in condizioni più sicure, visto che a parte qualche rara eccezione, le imbarcazioni rispettano i nuovi limiti (vedi Figura 10). In merito invece all’impatto che le ancore hanno sulla prateria di Posidonia oceanica le condizioni possono considerarsi invariate in quanto anche nella nuova zona di ormeggio in cui si concentrano le imbarcazioni da diporto, si trova la pianta acquatica protetta. Come abbiamo visto dal Progetto strategico Turismo Porti Ambiente questo problema verrà risolto con la prossima estate quando verranno immesse in acqua un sistema di ormeggi ecocompatibili. I risultati ottenuti in questo studio possono quindi essere utili ai fini della gestione del turismo nautico, compatibilmente con la salvaguardia dei popolamenti bentonici, in particolare la Posidonia oceanica per questo sito, e darci uno spunto per pensare ad un progetto come quello di EcoMooring, di tutela dell’ambiente marino e di gestione della fascia costiera. La risposta più logica alla problematica potrebbe quindi essere perseguita attraverso il divieto di ancoraggio, almeno nel periodo dell’anno di massima frequentazione diportistica, ma ne scaturirebbero enormi casi di conflitto con i legittimi interessi di fruibilità dell’area: è possibile predisporre sistemi fissi di ormeggio ecocompatibili, per i quali esistono varie soluzioni tecniche, da scegliere in base ad una progettazione sito-specifica. La realizzazione di aree di sosta precostituite quali i campi ormeggio, ove è vietato l’ancoraggio, con gavitelli assicurati al fondale da sistemi a basso impatto ambientale e visivo, può azzerare il fenomeno dell’erosione dei fondali e la conseguente perdita di biodiversità, generando una offerta aggiuntiva di posti barca e servizi per il diporto senza il ricorso a nuovi porti turistici. I campi-ormeggio sono quindi infrastrutture leggere ed ecocompatibili, finalizzati ad ospitare i diportisti per periodi brevi cioè quando si concretizza l’effettiva richiesta di posti barca durante i mesi estivi, per piccoli transiti, pernottamenti o semplici soste durante un’escursione, rappresentano quindi una delle più interessanti best practices emerse in questi anni, com’è già stato sperimentato in varie aree marine protette. L’opera di vigilanza e manutenzione, la sorveglianza degli specchi acquei, la possibilità di definire discipline per gli utenti, che possono limitare l’impatto sull’ambiente, adottando, ad esempio, misure di premialità ambientale per i fruitori muniti di mezzi e dispositivi ecologici, costituiscono ulteriori strumenti di salvaguardia ambientale e promozione di una cultura diffusa di turismo sostenibile. Per la ritenzione al fondale dei gavitelli di ormeggio si può ricorrere a diversi sistemi, varianti in funzione del substrato e della presenza delle biocenosi, nonché la presenza per esempio di una boa jumper (galleggiante sommerso), atta a tenere in tensione il calumo o la catenaria, per evitare che il trascinamento della medesima, specie durante la bassa marea, provochi un ulteriore fenomeno di aratura dei fondali nell’intorno del sistema di ancoraggio. Vediamo descritto in dettaglio nei paragrafi che seguono, lo stato dell’arte in merito alle tecnologie di ormeggio ecocompatibili (fonte: Piano di Tutela dell’Ambiente Marino e Costiero, Relazione sui popolamenti marini bentonici, RB – Regione Liguria). 4.1 IL SISTEMA DI ORMEGGIO CON “SPIORSI” La caratteristica principale di questo sistema è quella di non interferire con le biocenosi sottostanti. L’impianto prevede il fissaggio sulla parete rocciosa di un anello di acciaio con una catena della lunghezza di qualche metro alla quale è ancorata una fune in polipropilene, di tipo galleggiante o non galleggiante, quest’ultimo è preferibile perché non soggetto ad essere tranciato dalle eliche. Dalla fune partono dei “pendini” della lunghezza di 1-2 metri realizzati con catena in acciaio e terminati in superficie con un gavitello. All’estremità della fune verrà posizionata una boa (non utilizzabile per l’ormeggio) collegata con una fune ed una catena all’ancora od al corpo morto posato su un fondale profondo oltre il limite inferiore della biocenosi. Con la messa in tensione dell’ancora si potrà registrare l’intero sistema di ancoraggio (vedi Figura 11). Figura 11: Sistema di ormeggio con “spiorsi” (fonte: Relazione tecnica descrittiva del campo ormeggio e del sistema di ormeggio, Area Marina Protetta del Promontorio di Portofino - Consorzio di Gestione, ottobre 2006). Le sollecitazioni esterne sono quelle dovute ai natanti ormeggiati sottoposti all’azione del vento e/o delle correnti marine. La struttura è in grado di sostenere in sicurezza un numero limitato di barche, gozzi, gommoni, lance, piccole derive, fino ad una lunghezza di circa 6/7 metri. In presenza di moto ondoso o vento se vi fossero ormeggiate imbarcazioni di maggiori dimensioni potrebbe verificarsi la rottura delle funi. Dal punto di vista paesaggistico l’impatto è minimo, scegliendo gavitelli di colore adeguato, eventualmente dotati di catarifrangenti per essere individuati di notte grazie alle ridotte dimensioni delle barche ad essi ancorate e all’opportuna distanza tra una fila e l’altra e tra una barca e l’altra. Per garantire un idoneo margine di sicurezza all’ormeggio si devono rispettare distanze determinate da alcuni parametri, tra cui: - lunghezza dell’imbarcazione, - profondità del mare in corrispondenza del punto di ormeggio, - condizioni meteomarine della zona. Queste distanze possono essere definite con una buona precisione nel caso di gavitelli ancorati direttamente al fondale meno nel caso di ancoraggio libero. 4.2 ECO-ORMEGGI: HARMONY, MANTA RAY E HALAS Il sistema Harmony sviluppato dalla società francese SMAT NEPTUNE ENVIRONMENT, ha le seguenti caratteristiche: - ancoraggio semplice, resistente ed affidabile, - impatto ambientale trascurabile, - assenza di contatto della linea di ormeggio con il fondo, - il punto di ancoraggio affiora dal substrato e non costituisce un ostacolo per gli attrezzi da pesca, - si adatta a tutti i tipi di fondale, - facilità di installazione e rimozione. Il sistema è costituito da una molla elicoidale d’acciaio che si avvita nella matte morta senza danneggiare la prateria circostante e i rizomi in particolare. Dalla matte fuoriesce solo la sommità dell’elicoide, con l’anello di attacco dell’ormeggio (diametro < 10 cm); il cavo di ormeggio che parte dall’anello di attacco è tenuto ad una certa distanza dal fondo da una piccola boa intermedia, anch’essa collegata alla boa di ormeggio situata in superficie (vedi Figura 12). Figura 12: Ormeggio Harmony® (Ancrages specifiques Harmony, Smat Neptune Environnement). La lunghezza del cavo di ormeggio è determinata in modo da ottenere un angolo di trazione di 45° che permette all’imbarcazione in superficie un raggio di rotazione uguale alla profondità, consentendo quindi di ospitare un numero maggiore di barche rispetto ai tradizionali “corpi morti”. Gli elicoidi sono dimensionati in modo da sostenere le forze di trazione generate dalle imbarcazioni da diporto anche di grandi dimensioni. Il sistema Harmony e quelli simili sviluppati da altre aziende non richiedono un personale numeroso né attrezzature particolarmente sofisticate per la loro installazione o rimozione (due operatori subacquei e un’apparecchiatura idraulica). Sui fondali sabbiosi e fangosi possono essere usate anche ancore ad espansione modello Manta Ray, “sparate” nel fondale (vedi Figura 13), molto diffuse negli Stati Uniti fino dal 1975. Questi ancoraggi, oltre il pregio di essere ecocompatibili, sono molto convenienti dal punto di vista economico in quanto, a parte il loro costo ridotto, eliminano la spesa dei corpi morti in calcestruzzo e la spesa per il trasporto e il varo. Figura 13: sistemi di ancoraggio marino a scomparsa Manta Ray (http://www.abysslab.com/ancoraggi.html). L’ancoraggio Manta Ray è stato progettato per essere solidamente infisso in profondità nel fondo marino mediante un’adeguata attrezzatura idraulica; una volta eseguita la posa in opera esso costituisce un ancoraggio permanente. Sui fondali duri invece, si può ricorrere a sistemi tipo Halas (vedi Figura 14), perni di acciaio inseriti nella roccia e cementati al substrato, che garantiscono buona tenuta per i natanti da diporto. Figura 14: Sistema per ormeggio di tipo Halas (fonte: Progetto SEAPASS - Sistemi Elettronici Applicati per la Protezione Ambiente e lo Sviluppo Sostenibile). Nel caso di unità da diporto di maggiori dimensioni, si può ricorrere infine all’inserimento di sistemi “a tassello”, cementati al fondale. 4.3 IL CORPO MORTO CON BOA INTERMEDIA SOMMERSA Il sistema è costituito da una cima, una catena e una boa intermedia sommersa per evitare il danno ai fondali provocato dallo sfregamento e dai movimenti della catena (vedi Figura 15). Questo sistema è applicabile su fondali con profondità maggiore di 6 m. Figura 15: Schema di massima del dispositivo più diffuso di delimitazione della fascia di 300 m dalla costa e del sistema alternativo utilizzato dal Parco Marino della Côte Bleue (Bocche del Rodano, Francia) - (Tutela e conservazione delle praterie di Posidonia oceanica, Boudouresque C.F. et al., 2006). 4.4 I PONTILI GALLEGGIANTI Per le zone meno profonde tra le soluzioni possibili vi è quella del posizionamento di pontili galleggianti, disposti a forma di margherita e collegati ad un unico “corpo morto” di grandi dimensioni, posizionato su un tratto di matte morta. (http://www.ambienteinliguria.it/eco3/ep/CD_PTAMC/PDF/Relazioni_tematiche/PTAMC_RB_Co staBiodiv.pdf). ALLEGATI 1 2 C07 - Carta criticità sulla qualità delle acque e sulla biodiversità marino costiera (scala 1:25000) http://www.ambienteinliguria.it/eco3/ep/CD_PTAMC/PDF/CARTE/C07_criticita/C07_Unico_squadro25000_A0.pdf 3 4 5 DECLARATION BY THE APPLICANT for concept note (TO BE PRINTED ON AN OFFICIAL HEADED PAPER OF THE APPLICANT ORGANISATION) I the undersigned, as representative of “Official name of the organisation” applying for funding from the ENPI CBC Mediterranean Sea Basin Programme as Applicant of the project “Eco-Mooring: Mooring management system for the sustainability of the coast of the Mediterranean Sea”, hereby declare that our organisation: 1. has the legal status of Ministry or other national public administration regional or local public administration body governed by public law international organisation NGO company and other economic operator other (please specify) 2. is directly responsible for the preparation, management and implementation of the project with its partners and is not acting as an intermediary; 3. has the sources of financing and professional competence and qualifications specified in section 3 of the Guidelines for Applicants; 4. undertakes to comply with the obligations foreseen in the Partnership Statement of the Full Application Form and with the principles of good partnership practice, in particular ensuring that each partner is fully aware of the composition of the partnership and of the contents of the Concept Note; 5. represents any partners in the proposed project; 6. if recommended to be awarded the grant, accepts the contractual conditions as laid down in the Standard Grant Contract annexed to the Guidelines for Applicants; Moreover, our organisation declares that: 7. it is eligible in accordance with the criteria set out under section 3.1 and 3.2.1 “Participation” of the Guidelines for Applicants and is not in any of the situations excluding it from participating in calls for proposals which are listed in Section 2.3.3 of the Practical Guide to contract procedures for EC external actions and in section 3.1.1 of the Guidelines for Applicants (points “a” to “i”). Furthermore, it is recognised and accepted that if the Applicant and partners participate in spite of being in any of these situations, they may be excluded from other procedures in accordance with section 2.3.4 of the Practical Guide; 8. itself and its partners are aware that, for the purposes of safeguarding the financial interests of the Communities, their personal data may be transferred to internal audit services, to the European Court of Auditors, to the Financial Irregularities Panel or to the European Anti-Fraud Office; 9. itself and its partners are committed to take part in the project activities and funding and are aware that the project should be carried out in accordance with the provisions of the Standard Grant Contract, also taking into account the ENPI CBC Mediterranean Sea Basin Joint Operational Programme and the relevant national legislations and Community regulations, in particular: Regulation (EC) No 1638/2006 – ENPI Regulation; Regulation (EC) No 951/2007 – ENPI CBC Implementing Rules. 10. the following grant applications have been submitted (or are about to be submitted) to the European institutions, the European Development Fund and to other EU or national programmes in the last 12 months: <list only projects in the same field as this proposal> 11. will inform without delay the Joint Managing Authority if the same application for funding made to other European Commission departments or Community institutions has been approved after the submission of this Concept Note. 12. it certifies that all the information provided in the Concept Note is true and correct. Signed on behalf of the Applicant ____________________________________________ Signature ______________________________________ Date and place ____________________________________________________ Name and position of representative of the signatory organisation (Official stamp of the signatory organisation) 7 BIBLIOGRAFIA - Boudouresque, International Workshop on Posidonia oceanica beds, Marseille - GIS Posidonie publ., 1984, pp. 454. ISBN 2-905540-00-1. - Boudouresque, Bernard, Bonhomme, Charbonnel, Diviacco, Meinesz, Pergent, Pergent-Martini, Ruitton, Tunesi, 2006. Préservation et conservation des herbiers à Posidonia oceanica. RAMOGE publ. : 1-202. - Brosnan, D.M. & Crumrine L.L. (1994), Effects of human trampling on marine rocky shore communities. Journal Experimental Marine Biology and Ecology, 177, 79-97. - Bushell R., Staiff R. (Eds.), 2006. Using Tourism as a Tool for the Conservation of Protected Areas. 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