“Il poeta Eros lo ammaestra, anche se prima era privo di arte.”
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“Il poeta Eros lo ammaestra, anche se prima era privo di arte.”
“CORRISPONDENZE” D’AMORE (L'Eros nella lirica classica greca e giapponese) “Il poeta Eros lo ammaestra, anche se prima era privo di arte.” (Eur., Sten. fr. 663 Nauck) La suddetta citazione euripidea rivela come, tra le umane passioni, l'amore sia la fonte principale di un’immediata e personale tendenza alla poesia. L’universalità del sentimento passa attraverso ό e comuni situazioni, si tinge dei colori più vari in rapporto a vicende personali, si snoda tra emozioni vissute o immaginate ma sempre sincere e singolari. Oltre le distanze di epoche, di luoghi e culture, tra una casuale suggestione o una mediata e consapevole caratterizzazione. Esemplari, al riguardo, le sorprendenti analogie che accomunano su questo temai poeti greci e quelli del Sol Levante. Si pensi, ad esempio, che il capolavoro della narrativa nipponica d'età Heian, il Genji Monogatari, non è altro che un lunghissimo romanzo dedicato interamente alla complessa vita amorosa del principe Genji. Per comprendere i tratti peculiari di come veniva vissuto nel Giappone antico il sentimento amoroso bisogna fare alcune considerazioni. Va tenuto presente, infatti, che presso la corte Heian un uomo non poteva liberamente vedere ed incontrare una donna. Come conseguenza di questa rigida pratica troviamo tutta una serie di di regole e comportamenti che sono comuni a tutte le opere in versi ed in prosa dell'epoca. Una donna era oggetto di desiderio per la sua famosa bellezza o per la sua bravura nel suonare e l'uomo, benché volesse avvicinarla, era ostacolato da tendaggi, paraventi, cortine di bambù, numerosi strati di kimono, ancelle fedeli e dame di compagnia che gli sbarravano la strada. Non gli restavano, dunque, che due possibilità: l'invio incessante di poesie, spesso accompagnate da un ramo fiorito, oppure la pratica di spiarne le sembianze attraverso pertugi dietro cortine di bambù. Nonostante tutte queste difficoltà l'innamorato poteva riuscire a passare la notte con l'amata, ma alla mattina se ne doveva andare al primo canto del gallo. Dopo aver attraversato giardini e campi dove l'orlo del kimono si bagnava di rugiada come le maniche della veste della donna si riempivano delle lacrime versate per l'addio dell'amato, l'uomo, appena giunto alla sua dimora, inviava alla donna un waka che lei era tenuta a contraccambiare. Tutta la poesia erotica giapponese descrive questo costante rituale. Si capisce bene, pertanto, che una delle circostanze più importanti che prevedeva la composizione di poesie è proprio il corteggiamento. Ma il waka assolveva anche il compito di mediare i rapporti tra uomo e donna e non era un semplice canto rivolto alle bellezze o al fascino di chi si amava. Questo fatto è particolarmente evidente se consideriamo che non era solo l'uomo a scrivere poesie, ma anche la donna doveva essere particolarmente versata in tale pratica. L'innamoramento, del resto, non scaturiva di regola dalla visione diretta dell'amata, per cui ci si poteva innamorare semplicemente per come una persona fosse abile nel comporre raffinata poesia. Il “Kokinwakashū”, prima antologia imperiale giapponese completata nel 905 d. C., dedica 5 libri (XI-XV) al tema erotico ed all'interno di essi viene delineato l'intero itinerario amoroso, che va dalla cieca infatuazione, alla passione sofferta non ricambiata, all'ansia di ottenere il primo bramato incontro, alla pena ancora più struggente dopo l'incontro fino al raffreddamento del sentimento amoroso ed alla più totale rassegnazione. A differenza, inoltre, di quanto accadeva di frequente nella Grecia antica dove gran parte di liriche amorose era a carattere omosessuale, la poesia giapponese classica (benché anche in Giappone venissero praticate relazioni omosessuali) canta solo ed esclusivamente l'amore tra uomo e donna. L'intima unione che lega i giapponesi alla natura determina nella poesia nipponica la costante presenza dei fenomeni naturali, cornice di vicende umane e schermo, al contempo, su cui proiettare i moti dell’animo. Nel Kokinwakashū l'elemento naturale che rappresenta meglio la forza travolgente di Eros è l'acqua del fiume: Come l'acqua impetuosa del fiume Yoshino che s'infrange alta contro le rocce, irruente scaturì in me la passione amorosa. (XI, 471) Lo scorrere incessante dell'acqua del fiume, che è anche simbolo della transitorietà della vita umana, diventa in questo waka del poeta Ki no Tsurayuki l'immagine della passione amorosa, sentimento che scaturisce in maniera fulminea (hayaku) ed è irrefrenabile come lo scorrere dell'acqua (yuku mizu). Anche Saffo1 ricorre ad un elemento naturalistico (il vento) per rappresentare la forza irresistibile dell'amore (fr. 47 Voigt): “Eros all'improvviso mi tormenta (έί il cuore (ς), come il vento sul monte tra querce (ώςάς'όςίέ).” In questi versi è l'uso dell'aoristoέίa darci l'idea della rapidità con cui l'amore colpisce l'innamorato. Attraverso moduli esiodei ed omerici2, Saffo, in maniera innovativa, descrive attraverso una semplice ma efficace immagine la forza di quel dio che più tardi Sofocle 3 nell'Antigone (781-801) celebrerà in questi termini: “Eros invincibile in battaglia, Eros, che ti abbatti su chi possiedi, che nel dolce volto della gioventù passi la notte, ti aggiri sul mare tra gli spazi aperti della campagna, nessuno degli immortali può sottrarsi a te, nessun effimero mortale. E chi hai in pugno perde la mente. Tu anche l'indole dei giusti trasformi rovinosamente in perfida, e tu anche questa contesa fra consanguinei hai suscitato. Ma trionfa luminoso il desiderio dagli occhi della sposa, che siede accanto ai principi delle leggi supreme. Nata a Mitilene nel 612, fu alla guida, nella stessa città, di un tiaso di fanciulle, dedite al culto di Afrodite, alle arti e alla poesia. Di lei ci restano numerosi frammenti dei nove libri di poesie: tra i temi diffusi, l’amore omoerotico, la vita nel tiaso sullo sfondo di una natura “romanticamente” percepita. 2 Di poco posteriore a Omero, vissuto tra la Beozia e la Locride nella prima metà del VII sec. a.C., Esiodo fu autore di poemi quali la “Teogonia”, “Le opere e i giorni”, il “Catalogo delle donne”, lo “Scudo”, dove a riferimenti mitologici si affiancano precett i e insegnamenti morali. Lo spunto esiodeo, cui si fa qui riferimento, è tratto dalla descrizione del gelido Borea che si scaglia contro le querce (Op., 507 segg.), mentre il legame omerico consiste nell'uso del verbo τινάσσω. Cfr. Od., V, 368 e VI, 43. 3 Noto tragediografo nato ad Atene nel 496 , fu autore di oltre cento drammi, di cui ci restano sette tragedie e frammenti vari, anche papiracei, di drammi satireschi. Nelle sue tragedie, ispirate ai più noti cicli epici (dall’ “Aiace”alle “Trachinie”, dall’ “Antigone” all’”Edipo re”ed “Edipo a Colono”), prevale il rapporto problematico tra dimensione umana e divina, così come il contrasto tra opposte forme di giustizia e visioni di vita. 1 Indomabile dea scherza, Afrodite.” Un waka di Fujiwara no Kachion (XI, 472) attraverso l'immagine di una barca guidata dal vento fa di questo fenomeno naturale un vero e proprio messaggero d'amore4: Anche la barca che va nel mare senza una rotta tracciata dalle spumose creste dell'onda, può contare solo sul vento come guida verso la meta bramata. Anche il movimento delle onde del mare si presta a rappresentare in un carme di Ariwara no Motokata lo sconvolgimento del cuore (kokoro) dell'innamorato: Ancora, e ancora una volta, torno a struggermi per lei che adoro da lontano, come le onde spumeggianti al largo. (XI, 474) L'effimera rugiada sul crisantemo, invece, viene usata per indicare la pena amorosa in un complesso waka di Yoshimine no Harutoshi, poeta e calligrafo molto apprezzato a Corte e divenuto monaco (prese il nome Sosei): Da che sento5 parlare di lei soltanto, la notte veglio e il giorno per l'ardore mi sento morire, come labile rugiada sul fiore di crisantemo. (XI, 470) Sorprendentemente ritroviamo la stessa immagine della rugiada quale simbolo di Eros in un passo delle Argonautiche di Apollonio Rodio6 (III 1019-1021), dove il poeta descrive l'irrefrenabile passione di Medea per il greco Giasone: (...) si scioglieva, inondata da una calda e profonda tenerezza, come si scioglie la rugiada sulle rose, quando riceve calore dai raggi dell'aurora Una diversa interpretazione metaforica, sulla base di una Weltschauung centrata sulla mistica devozione, si riscontra nei “masnavi” (poesie didascaliche) persiani del XII secolo, come quello di Seyr al-'Ebâd ela 'l-Ma'âdi, citato al cap. 4, dove il vento (bath) diviene messaggio del mistero divino, pittore e demiurgo di un mondo che, docile, si offre alla sua volontà. 5 Si tenga presente che il testo originale giapponese gioca sul doppio senso di “kiku” (= “sentire” e “crisantemo”). 6 Nato ad Alessandria nel 290 a. C., ma vissuto per lo più a Rodi, Apollonio diresse per qualche tempo la Biblioteca alessandrina, dedicandosi al contempo alla composizione di opere erudite. La sua fama è però legata alle “Argonautiche”, poema in esametri di circa 6000 versi, in cui si narra della vicenda degli Argonauti e della relazione tra Medea e Giasone . 4 Tornando alla lirica greca arcaica, non si può non menzionare Archiloco7, che in tre frammenti (191, 193, 196 West) descrive lo stato psicologico causato dall'incombere violento di Eros in termini decisamente più carnali e violenti rispetto alla delicatezza della lirica nipponica: “Tale d'amor la passione nel cuore avvolta profonda tenebra sugli occhi versava, rubando dal petto la delicata anima.” “Sventurato giaccio dal desiderio (ό ω), senza respiro (άυς), per volere degli dei trafitto da aspri dolori alle ossa.” “Amico mio, il desiderio che scioglie le membra (υής) mi doma.” Claude Calame, in un saggio dedicato al tema dell'Eros nel mondo greco8, ha fatto notare come nella lirica greca arcaica, come anche per la tragedia, l'aspetto di Eros maggiormente trattato dai poeti sia proprio quello dell'insoddisfazione, del dolore e della crudeltà. L'epigramma ellenistico, depositario di tutta la tradizione letteraria greca, continua a descrivere l'insoddisfazione, la fragilità ed il male provocato dall'amore, arrivando ad assimilarlo alla morte. Si pensi, ad esempio, ad un epigramma callimacheo contenuto nell'Anthologia Palatina (XII 73), dove nel primo distico elegiaco la passione amorosa corrisponde al rapimento dell'anima da due forze opposte, Eros e Ade: “Metà della mia anima respira, l'altra metà è scomparsa, rapita da Eros o da Ade, non so bene.” Un altro epigramma callimacheo dell'Anthologia Palatina (XII, 71) è dedicato, invece, ai riflessi distruttivi sul fisico di chi è vittima di Eros: “O povero Cleonico di Tessaglia, non ti ho riconosciuto, in nome del cielo! Che t'è successo, poveretto? Sei tutto ossa e capelli! T'è capitata la mia disgrazia, sei nella stessa mia brutta situazione? Ho capito: anche tu innamorato di Eussiteo; è chiaro, poverino: l'hai guardato con tutt'e due gli occhi.” Questo modo di ritrarre l'amore (Eros=Thanatos) ha come possibile modello alcuni versi di Saffo, la poetessa che ha fatto dell'amore la materia principale del suo canto, nei quali descrive il dramma di amare in termini talmente drammatici da paragonarlo alla morte, o meglio, ad una anticipazione della morte. Il noto carme (fr. 31 Voigt), tramandatoci quasi integralmente dallo Pseudo-Longino9 (X), rappresenta, all'interno della letteratura greca, una delle più lucide analisi che siano mai state fatte sugli effetti fisici e psichici di Eros: “È un dio per me quell'uomo: a te di fronte siede e ascolta da vicino la tua parola dolce, il tuo sorriso d'amore. E il cuore mi sobbalza in petto. Ti guardo un solo istante e non ho più voce, la lingua si spezza, e un sottile fuoco corre nella pelle, gli occhi non vedono più nulla, e rombano le orecchie. Nativo di Paro, dove visse nella prima metà del VII secolo a.C., fu autore di elegie, epodi, trimetri giambici (ordinati in nove libri dai grammatici alessandrini), dove prevalgono toni passionali, che sfociano non di rado nell’invettiva. 8 Cfr. C. Calame, <<I greci e l'Eros. Simboli, pratiche, luoghi>>, trad. it., Roma-Bari 1992, pp. 10-11. 9 Critico letterario del III sec. d.C., fu autore con molta probabilità del trattato “Пερί ΰψους” (= “Sul sublime”), dove si interpretano opere letterarie del mondo greco alla luce di questa categoria estetica. 7 Un sudore gelido mi inonda e un tremore tutta mi imprigiona, e più verde dell'erba io sono, e certo poco lontana dal morire. Ma tutto si può sopportare, perchè...” Questi versi testimoniano molto bene la tesi di Calame, dal momento che la poetessa di Ereso ha voluto descrivere lo sconvolgimento fisico e psichico che produce la presenza della persona amata, un turbamento così intenso da portare via la voce, causare la febbre e provocare una sorta di morte apparente della poetessa. Queste immagini saffiche, benché siano presenti in componimenti diversi e di differenti autori, sono stati argomento di poesia anche presso i poeti della lirica classica giapponese. Infatti, la sensazione saffica del calore suscitato dalla passione amorosa (vv. 9-10 lepton pyr) si riscontra in un waka di Fujiwara no Tadayuki, che descrive in termini iperbolici l'ardore amoroso paragonandolo al fumo rovente del Fujiyama: Al solo pensiero di te, che ci vediamo o non ci vediamo, mi brucia un fuoco di brama, perpetuo come il fumo sulla vetta del monte Fuj. (XIV, 680) Ma anche l'attenzione mostrata da Saffo per la voce di chi ama (vv. 3-4 άύίας) trova puntuale riscontro in una poesia di Ōshikōshi no Mitsune, amico di Ki no Tsurayuki e compilatore del Kokinwakashū: Dacché la sua voce udì di sfuggita, qual canto delle prime oche selvatiche10, i miei pensieri vagano sospesi nell'aria. (XI, 481) Allo stesso modo la forte passione capace di sconvolgere l'equilibrio vitale dell'individuo ed assimilata alla morte è stata colta da Kiyohara no Fukayabu in questi termini (XIV, 698): “Bramare”, chi iniziò a chiamare così questa passione? Avrebbe dovuto dire schiettamente: “morire”. Una poesia anonima (XI, 517) individua nella morte una liberazione dalla pena amorosa: Se si potesse offrire la vita in cambio del tormento della brama amorosa il morire, mi sembra, sarebbe invero facile. Dalle poesie finora presentate emerge decisamente l'effetto negativo di Eros, sentimento capace di annientare l'anima di chi ama, togliendo il sonno, la pace e quella serenità che, invece, dovrebbe procurare. Ovviamente, l'amore non comporta soltanto sofferenza, ma anche dolcezza e gioia. Anth. Pal., In altri termini, possiamo dire che è un sentimento caratterizzato da una forte ambiguità, nel senso che in esso sono presenti sentimenti opposti (amore-odio, vita-morte), aspetti che Saffo ha saputo cogliere molto bene in questo frammento (130 Voigt): 10 Le oche selvatiche sono uccelli migratori che raggiungono da nord il Giappone d'autunno e ripartono all'inizio della primavera. “Eros che scioglie le membra di nuovo mi sconvolge, dolceamara (υύ creatura invincibile... Attide, per te è diventata cosa odiosa il pensarmi, e voli da Andromeda.” dove l’ossimoro υύappuntosintetizza quel complesso di emozioni comune nei versi greci e nipponici. Dalla lettura dei 5 libri del Kokinwakashū dedicati al tema erotico si riscontra la mancanza di descrizioni fisiche della persona amata e, del resto, manca in essi un esplicita trattazione dell'amore fisico. Possiamo dire, pertanto, che la concezione di Eros presente all'interno del Kokinwakashū dia maggiore risalto all'immaginazione, a ciò che è visto magari solo di sfuggita, in perfetta fusione, talora, con l'elemento paesaggistico. L'innamoramento poteva scaturire (o così il poeta vuole farci credere) dalla rapida vista della donna, come è testimoniato da questa poesia di Ki no Tsurayuki: La vidi appena, vagamente, qual fiore di ciliegio di montagna, attraverso la foschia: e ora come mi struggo nel desiderio di lei11. (XI, 479) oppure, più che descrivere un incontro reale, il poeta poteva vagheggiare nel sogno per argomento la presenza dell'innamorata. Tra questi componimenti sono indubbiamente da menzionare queste due poesie di Ono no Komachi: Forse perché mi corico sospirando per lui, mi è apparso nel sonno? Avessi saputo ch'era un sogno, mai mi sarei svegliata. (XII, 552) Da quando vidi nel sonno leggero il mio adorato, cominciai a confidare nel sogno fuggevole. (XII, 553) e questo componimento anonimo in cui si descrive il tormento causato dal sogno dell'amante: Vuole, sembra, che io muoia di questa pena d'amore; la visione adorata Questo waka fu composto traendo spunto dalla visita ad un luogo in cui la gente ammirava e raccoglieva dei fiori. Tra quelle persone doveva esserci una donna che deve aver colpito l'attenzione del poeta, che le dedica e le invia questi versi. 11 mi tormenta nel sogno per tutta la notte, senza posa. (XI, 526) Passando alla letteratura greca, possiamo riscontrare un'analogia tematica con un passo tratto dall' “Agamennone” di Eschilo12 (vv. 420 segg.) e con due epigrammi erotici dell'Anthologia Palatina. Nella tragedia di Eschilo, in un intervento del corifeo, viene lamentata la triste condizione di Menelao abbandonato dalla moglie Elena. Il poeta tratteggia l'immagine di un marito solo, consumato dalla nostalgia e dal rimpianto per la moglie. Non c'è sentimento di ira o vendetta, ma semplicemente l'affetto ed il rimpianto per la donna amata: “Fantasmi nel sogno luttuosi avanzano parvenze apportatrici di vana gioia. Invano, quando uno crede di vedere le cose che rendono felici, sfuggendo via la visione sparisce attraverso le mani, presto seguendo i sentieri alati del sogno” Dei due epigrammi dell'Anthologia Palatina, il primo è di Marco Argentario13 (IX, 286), dove il canto del gallo sveglia dal sonno l'amante facendo così sparire l'immagine dell'amata: Gallo, perché il mio amato sonno mi hai portato via? La dolce immagine ήύεί) di Pirra dal letto se n'è andata via svolazzando. Questa sarebbe la ricompensa per quello che ti ho dato, disgraziato, mettendoti in casa al comando delle galline che fanno le uova? Per l'altare e lo scettro di Serapide, non più di notte potrai alzare la tua voce, ma te ne starai sull'altare del nostro giuramento! Il secondo epigramma, invece, di Meleagro14 (XII, 125), pur avendo come tema un sogno erotico di natura omosessuale, condivide con la poesia anonima giapponese il tormento e l'inutile sofferenza causata dal sogno amoroso: Dolce nella notte di un ragazzo dal dolce sorriso il sogno, diciottenne, ancora in clamide, Eros mi portò sotto le coperte. Ed io intorno alla sua pelle delicata stringendo il petto vuote speranze raccoglievo. Ed ancora adesso il desiderio risvegliato dal ricordo mi brucia dentro. Davanti agli occhi sempre conservo quel sogno, cacciatore dalla figura alata. O anima innamorata di un amore infelice, smettila una volta per tutte anche nei sogni di ardere per vuote immagini. Meno seria, ma nella sostanza simile, è la situazione del Ciclope innamorato di Galatea ritratto nella lingua dorica del poeta ellenistico Teocrito15 (Idillio XI): Noto tragediografo nato ad Eleusi nel 525, fu autore di oltre 80 drammi, di cui ci restano sette tragedie e frammenti vari, anche papiracei, e passi isolati di drammi satireschi. Nelle sue tragedie, ispirate ai cicli epici di Troia e Tebe (dalle “Supplici” ai “Sette contro Tebe”, dal “Prometeo incatenato” alla trilogia dell’ “Orestea”) prevale il motivo del contrasto tra ΰβρις (= tracotanza), causa di άτη (= accecamento) e punizione divina, attraverso la sofferenza, che porta, a sua volta, all’esperienza e alla maturazione del soggetto. 13 Epigrammatista del I sec. d.C., operò soprattutto a Roma, al seguito di Seneca retore. I suoi componimenti sono contenuti in vari libri dell’ “Anthologia Palatina”. 14 Originario di Gadara, Meleagro (130-60 a.C.) fu autore, oltre che di epigrammi (circa 135), di perdute satire menippee e della raccolta antologica dal titolo Στέυανος. Nella sua poesia, di tema sentimentale-naturalistico, prevalgono toni morbidi e quasi decadenti, riscattati da sottile ironia e dolcissima musicalità. 15 Nativo di Siracusa, ospite in più corti e circoli letterari, Teocrito (300-260 circa a.C.) fu autore di 30 idilli, 25 epigrammi, mimi, epilli e carmi di genere vario, incentrati su originali versioni di miti tradizionali, scene di vita quotidiana urbana (“Le S iracusane”) e rurale (tra cui le “Talisie”), e caratterizzati da un estremo equilibrio tra la semplicità del linguaggio e la raffinatezza, talora artificiosa, della forma. 12 “O bianca Galatea, perché respingi chi ti ama? Tu, più bianca che giuncata, più tenera che agnello, più allegra del vitello, lucente più dell'uva ancora acerba: perché passi di qui quando mi prende il dolce sonno e te ne vai se appena il dolce sonno mi abbandona e fuggi come la pecora che ha visto il grigio lupo?” Ma anche la Saffo rappresentata dal latino Ovidio16 nelle “Heroides” è tormentata dall'apparire nel sogno di Faone (vv. 123-136) : Tu mihi cura, Phaon, te somnia nostra reducunt, sed non longa satis gaudia somnus habet. Saepe tuos nostra cervice onerare lacertos, saepe tuae videor supposuisse meos; oscula cognosco, quae tu committere lingua aptaque consueras accipere, apta dare. Blandior interdum verisque simillima verba eloquor, et vigilant sensibus ora meis. -Ulteriora pudet narrare, sed omnia fiuntet iuvat, et sine te non licet esse mihi. At cum se Titan ostendit et omnia secum, tam cito me somnos destituisse queror; Talvolta, invece, il sogno sembra confondersi con la realtà, come testimoniano questi due componimenti appartenenti alle due tradizioni poetiche: Fosti tu a venire o fui io ad andare: non posso ricordare; era sogno o realtà, dormivo o ero sveglia? (Anth. Pal., XIII, 645) Quando ci salutammo verso il vespro, non so se in sogno o veramente Meride mi baciò. Sì, ricordo tutto il resto: le sue domande e tutte le risposte. Se il bacio è vero, come, fatto dio, continuo a camminare sulla terra? (Anth. Pal., XII, 177) Rimanendo nella dimensione di Eros quale sentimento instabile, vano e motivo di sofferenza si può riscontrare nelle due culture il topos dei giuramenti degli amanti vani ed inconsistenti o dell'inutilità di un amore non corrisposto. Per quanto concerne la letteratura greca vanno riportati almeno due epigrammi: il primo è un noto epigramma di Meleagro (Anth. Pal., V, 8): Sacra notte e lucerna, per i nostri giuramenti nessun altro complice abbiamo scelto, ma voi! Lui giurò di amare me, io di non lasciarlo mai. Voi siete testimoni delle nostre parole. Ma ora lui dice che quei giuramenti sono finiti nell'acqua o lucerna, tu lo vedi tra le braccia di altre. Tra le opere principali del poeta – nato a Sulmona nel 43 a.C., ma vissuto perlopiù a Roma e poi in esilio a Tomi dove morì nel 18 d. C., le 21 “Heroides” rappresentano una novità nel panorama letterario latino: la ripresa di miti famosi avviene infatti, come nel greco Alcifrone, attraverso le lettere immaginarie di eroine ai loro amanti lontani. Lo stesso discorso vale anche per Laodamia ed Ero. Unica eccezione, la figura di Saffo, assimilata, grazie alla fama delle sue poesie, alle figure mitiche che probabilmente lei stessa celebrò. Vicende simili alla sua furono, del resto, quelle di Ero e Laodamia (cfr. Her. XIII, vv. 105-109 e XIX, vv. 57-66). 16 Il secondo testo, opera, di Callimaco17 (Anth. Pal. V, 6), invece, è tutto giocato sul fatto che i giuramenti degli amanti, essendo puntualmente infranti, non vengono puniti dagli dei nel momento in cui non sono rispettati. Rispetto al precedente epigramma presentato, quello di Callimaco ci presenta l'accondiscendenza della divinità verso la debolezza di un giuramento che nasce da persone, per così dire, prive della capacità di giudizio e, soprattutto, non consapevoli della serietà delle cose che sottopongono a giuramento: Callignoto ha giurato a Ionide di non tradirla mai con nessun altro, ragazzo o ragazza. Ha giurato. Ma è vero quel che dicono: i giuramenti d'amore non arrivano all'orecchio degli dei. Ora lui brucia di passione per un ragazzo: della povera sposina gli importa meno dei due bastoni. Nella tradizione giapponese, invece, un waka anonimo del Kokinwakashū (XI, 522), attraverso l'άύ della scrittura nell'acqua, indica l'inutilità di un amore non corrisposto: Più vano dello scrivere cifre sull'acqua che scorre, è invero, amare una persona che non mi ama. Toni di più ardente sensualità caratterizzano, in questa breve lirica giapponese, l’invito di una donna alle gioie dell’amore: Dolce fratello al mio cuore vicino non aspettare l’arancio del tramonto dammi la mano accarezzami un seno il mio calore t’accenderà di voglia avremo per giaciglio l’incanto del mio bosco Né mancano, seppure in numero minore, componimenti dedicati all'amore tra donne, solitamente concubine, alla corte dei grandi signori. Accenti saffici rivivono, ad esempio, nel waka sotto riportato: Bella m’appari lunghe gambe in falcata fiero lo sguardo Tra i poeti più rappresentativi della produzione alessandrina, Callimaco (305-245 a. C.) fu autore di epilli, tra cui l’”Ecale”, “Epigrammi”, “Giambi” ed “Inni”, caratterizzati da una programmatica brevitas e dalla ripresa di miti rari o di versioni non tradizionali. 17 amoroso il sorriso, donne sorelle noi complici da sempre, mani intrecciate nello sfiorar di corpi, ridendo sussurriamo femminili segreti così come ricordano la poetessa di Ereso liriche incentrate sull’orgoglio per i propri piccoli di amorevoli genitori. Una poesia del Manyōshū (V, 803), ad esempio, composta da Yamanoue no Okura, mostra quanto sia importante l'affetto che si prova verso la propria preziosa creatura: “Oro, argento pietre preziose: su cosa far cadere la mia scelta? La più preziosa delle gemme non vale quanto un bambino”. Spontaneo il riferimento al frammento attribuito a Saffo (fr. 132 Voigt), dove la poetessa fa trapelare l'affetto per la figlia Cleide: “Ho una figlia bella, simile ai fiori colore dell'oro per aspetto, Cleide, il mio amore, in cambio di lei io né la Lidia tutta né l'amabile...” Vi sono poi due composizioni funebri dedicate al dolore per la morte di un figlio, che contribuiscono a farci notare come i sentimenti umani superano i limiti spazio-temporali. Il primo è un waka del già menzionato Yamanoue no Okura composto in occasione della morte del figlio Furubi e contenuto nel Manyōshū: Egli è giovane e non conoscerà, certo, la via! Oh, potessi corrompere il messaggero dell'aldilà perché lo porti sulle sue spalle. (V, 905) Il corrispettivo greco è un epigramma di Diodoro Zona, contenuto nell'Anthologia Palatina (VII, 365): O tu che all'Ade guidi la barca dei morti sull'acqua di questa palude fitta di canne, abbi pietà del mio dolore, tendi la mano al figlio di Cinira18, ora che scende giù dalla scaletta. Nero Caronte, aiutalo, perché nei sandali inciampa il bambino19, e poi ha paura di posare i piedi nudi su per la sabbia della riva. 18 Trad. di S. Quasimodo. Va detto che, forse, Cinira potrebbe essere il figlio di Adone. Un ricordo del topos, oltre che nell’epigramma di Marziale per Erotion, citato alla nota 20 del capitolo 6, è nel sonetto “ Funere mersit acerbo “ di Giosuè Carducci, dove alla figura di Caronte si sostituisce, in una nota di umana delicatezza, quella dello zio del bambino, anch’egli prematuramente scomparso (<<O tu che dormi là su la fiorita/ collina tosca, e ti sta il padre a canto;/non hai tra l'erbe del sepolcro udita/ pur ora una gentil voce di pianto ?/ E’ il fanciulletto mio, che a la romita/tua porta batte: /[…]L'ombra l'avvolse, ed a le fredde e sole vostre rive lo spinse/. Oh, giú ne l'adre sedi accoglilo tu, /ché al dolce sole ei volge il capo/ ed a chiamar la madre >>). 19