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Cent`anni in movimento - Chiorino
Guido Corbetta Michele D’Alessandro Cent’anni in movimento: 1906-2006 La Chiorino di Biella tra continuità e innovazione Chiorino S.p.A., Biella 2006 Da sempre il movimento è connaturato alla storia della Chiorino. Ne sono pervasi i prodotti, dal moto agile e incessante dei tacchetti sui telai alla corsa vorticosa delle cinghie di trasmissione azionanti ogni genere di macchina, fino ai nastri per la movimentazione di oggetti o il trasporto di articoli attraverso i processi di lavorazione. Ma movimento, nel tempo, ha significato per la Chiorino soprattutto cambiamento. Cambiamento delle traiettorie tecnologiche, dal cuoio alla gomma, alle resine termoplastiche, e cambiamento delle strategie organizzative e di mercato. Un lungo percorso che a partire dagli anni sessanta ha trasformato radicalmente l’antica conceria, produttrice di cuoi tecnici per il distretto tessile locale, in un gruppo multinazionale, oggi tra i primi produttori al mondo nel settore dei nastri di trasporto, capace di sostenere con successo la sfida sempre rinnovata della competizione internazionale. Guido Corbetta Michele D’Alessandro Cent’anni in movimento: 1906-2006 La Chiorino di Biella tra continuità e innovazione Chiorino S.p.A., Biella 2006 Da sempre il movimento è connaturato alla storia della Chiorino. Ne sono pervasi i prodotti, dal moto agile e incessante dei tacchetti sui telai alla corsa vorticosa delle cinghie di trasmissione azionanti ogni genere di macchina, fino ai nastri per la movimentazione di oggetti o il trasporto di articoli attraverso i processi di lavorazione. Ma movimento, nel tempo, ha significato per la Chiorino soprattutto cambiamento. Cambiamento delle traiettorie tecnologiche, dal cuoio alla gomma, alle resine termoplastiche, e cambiamento delle strategie organizzative e di mercato. Un lungo percorso che a partire dagli anni sessanta ha trasformato radicalmente l’antica conceria, produttrice di cuoi tecnici per il distretto tessile locale, in un gruppo multinazionale, oggi tra i primi produttori al mondo nel settore dei nastri di trasporto, capace di sostenere con successo la sfida sempre rinnovata della competizione internazionale. Cent’anni in movimento: 1906-2006 La Chiorino di Biella tra continuità e innovazione Guido Corbetta Michele D’Alessandro Cent’anni in movimento: 1906-2006 La Chiorino di Biella tra continuità e innovazione Vol. 2° della collana “Celebrazioni” pubblicata a cura del Centro di Ricerca sull’Imprenditorialità e gli Imprenditori (EntER) dell’Università Bocconi Art direction e progettazione grafica IN ADV srl - Torino Coordinamento editoriale Luisa Colombo Fotografie Archivio Chiorino S.p.A. Traduzione inglese Kelly O’Connor Impaginazione e stampa Musumeci S.p.A. - Quart (Valle d’Aosta) In copertina Produzione tacchetti. Conceria Lorenzo Chiorino (1930 ca). ISBN 978 88 909080 1 9 © 2006 Chiorino S.p.A. Biella Indice Prefazione, di Gregorio Chiorino 7 Introduzione, di Guido Corbetta 9 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957, di Michele D’Alessandro Lorenzo. Alle origini di una vicenda imprenditoriale Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916 Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture L’inserimento della seconda generazione 13 21 26 45 70 2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982, di Michele D’Alessandro 79 L’introduzione di materiali alternativi al cuoio 83 L’inserimento della terza generazione, leva del cambiamento 100 Alla ricerca di una nuova vocazione produttiva: gli anni settanta 111 3. Biella, l’Europa, il mondo. Un nuovo ciclo di sviluppo, 1983-2005, di Michele D’Alessandro 127 Assestamento e sviluppo di nuove linee di prodotto 128 Verso nuove fisionomie organizzative 135 Dall’internazionalizzazione alla multinazionalizzazione 142 Profili di gestione 154 4. Ricordi familiari 167 Lorenzo, di Gian Paolo Chiorino 167 Fulvio, di Gian Paolo Chiorino 173 Angelo, di Gregorio Chiorino 179 5. Quale futuro?, di Gregorio Chiorino 183 6. Un commento finale, di Guido Corbetta 187 Appendice statistica, di Michele D’Alessandro 196 Appendice tematica: Storia della concia nel Biellese, di Gian Paolo Chiorino 203 Ringraziamenti Bibliografia 215 217 5 Prefazione Cent’anni di cambiamenti non solo relativi al periodo storico di riferimento, ma soprattutto alla molteplicità di trasformazioni industriali interne (prima conceria, poi azienda della gomma e successivamente di lavorazione delle materie plastiche), caratterizzano la storia della Chiorino. Viviamo in un territorio, il Biellese, in cui esistono molte aziende industriali tessili longeve ed anche pluricentenarie: esse fanno da secoli, con grandissimo successo, lo stesso mestiere. Dopo la fondazione di Lorenzo e la conseguente spinta imprenditoriale che sviluppò la Chiorino, le concerie italiane entrarono in una crisi senza sbocchi negli anni ’60-’70 e solo la grande perseveranza e dedizione delle nuove generazioni di Chiorino, che hanno via via gestito l’azienda, ricercando sistematicamente nuove opportunità di business, hanno permesso alla “vecchia Conceria” di diventare quello che è oggi il “Gruppo Chiorino”, che siamo lieti di rappresentarvi con quest’opera. Questa ricerca, questo sforzo continuo di dare comunque un futuro all’Azienda, al di là delle trasformazioni tecnologiche, di prodotti, di mercati e di nuovi clienti, è la costante della nostra storia. Un grazie particolare al Prof. Guido Corbetta, professore di Strategia e Politica Aziendale all’Università Bocconi, direttore del Centro di Ricerca Imprenditorialità e Imprenditori (EntER) e titolare della cattedra AIdAF- Alberto Falck, di Strategia delle aziende familiari nella stessa Università ed al dott. Michele D’Alessandro dell’Istituto di Storia Economica dell’Università Bocconi, per aver accettato di scrivere la nostra storia d’impresa, nell’ambito della collana “Celebrazioni” del Centro di ricerca EntER e, soprattutto, per la grande disponibilità e capacità professionale profusa nel loro lavoro. Gregorio Chiorino Presidente Chiorino S.p.A. 7 Introduzione Il nostro Paese sta vivendo un periodo difficile per varie ragioni. Se guardiamo alla superficie, i problemi originano dalla crescita dei competitori asiatici impegnati negli stessi settori dove operano molte imprese italiane, dalla impossibilità di procedere con svalutazioni della moneta dopo l’adozione dell’Euro, dalla piccola dimensione media delle aziende italiane che rende oltremodo ardui il presidio forte dei mercati stranieri e gli investimenti in ricerca con ritorni a lungo termine. Tuttavia, molte analisi svolte dai più qualificati centri studi confermano che in questo quadro complessivamente negativo esistono non poche imprese italiane che continuano a produrre risultati positivi, sia in termini di crescita che di redditività. Queste imprese hanno investito con lungimiranza sulla costruzione di brand oggi riconosciuti o sulla ricerca foriera di nuovi prodotti, sono entrati per tempo in mercati in crescita, hanno costruito reti di distribuzione o di servizi post vendita diffuse ed efficienti. Dove sta la differenza profonda tra queste imprese e quelle che invece non riescono ad affrontare con successo i tempi attuali? Una possibile spiegazione riguarda la figura degli imprenditori. Nel nostro Paese esistono imprese nelle quali sono presenti imprenditori di valore ed altre nelle quali la vis imprenditiva si è attenuata. Gli imprenditori vivaci sono persone orientate al futuro, capaci di assumersi il rischio di decisioni difficili, abili a coinvolgere altri in un disegno di lungo termine, con l’energia necessaria per riprendersi dopo un parziale insuccesso. Gli imprenditori sono una risorsa insostituibile dell’economia di un Paese. Come mai nel nostro Paese, storicamente ricco di imprenditori di valore, si stanno riducendo il numero e la qualità di tali figure ? Ovviamente l’analisi per giungere ad una diagnosi accurata meriterebbe ben altro spazio, ma in estrema sintesi possiamo dire che la prima ragione di difficoltà sta nella trasmissione dell’imprenditorialità alle generazioni successive e, quindi, sta in un problema di educazione dei giovani. L’imprenditorialità è un insieme di “passione”, di valori, di comportamenti, di capacità che si possono tra- 9 Introduzione smettere ai giovani con l’impegno delle generazioni adulte. Da questa convinzione nasce la collana “Celebrazioni”, promossa dal Centro di ricerca Imprenditorialità e Imprenditori (EntER) dell’Università Bocconi. La collana si propone appunto di celebrare l’imprenditorialità allo scopo, sia chiaro, non di assegnare a qualcuno la “patente” di imprenditore (i veri imprenditori non ne hanno bisogno) ma di far conoscere a tutti, e in particolare ai più giovani, le storie imprenditoriali delle quali è ricco il nostro Paese. Ci proponiamo di approfondire la conoscenza di una famiglia, di una impresa, di un territorio, descrivendo i fatti, facendo emergere il profilo delle persone, provando ad offrire una interpretazione convincente. Una delle prime aziende che hanno manifestato il loro interesse a questo progetto è stata la Chiorino, impegnata a celebrare i primi cento anni della propria storia. Con il collega D’Alessandro ho aderito con grande piacere all’invito di Gregorio Chiorino e della famiglia tutta, per varie ragioni. Mi onoro di conoscere questa famiglia da una ventina d’anni, da quando con il mio Maestro, il Prof. Vittorio Coda dell’Università Bocconi, abbiamo insieme affrontato uno dei “tornanti” che caratterizzano la storia di una famiglia imprenditoriale. Ricordo perfettamente un sabato mattina a Biella durante il quale abbiamo presentato ai sei cugini Chiorino alcuni lucidi dal titolo “Il capovolgimento di prospettiva”. In quei lucidi si descrivevano due concezioni di impresa familiare, una tutta centrata sui problemi interni e timorosa di aprirsi alle sfide della proprietà responsabile e della managerialità, e l’altra che, seppur con inevitabile fatica, cerca di coniugare il rispetto del passato con l’orientamento al futuro, gli affetti con le logiche aziendali. Ebbene, in quel frangente la famiglia Chiorino ha saputo vincere la propria sfida impegnandosi nel non facile cambiamento di prospettiva con brillanti risultati. Da allora mi sono occupato di centinaia di imprese familiari e, senza alcuna retorica, questa esperienza mi è stata oltremodo utile. Una seconda ragione di interesse riguarda il settore nel quale opera la Chiorino, un settore che richiede investimenti importanti in ricerca e nel quale la competizione si svolge da decenni almeno a livello europeo. Quando si parla dell’Italia l’attenzione va spesso a imprese operanti in settori a bassa tecnologia e locali, sottovalutando le molte imprese che, pur in un contesto non sempre facile, tentano di vincere la sfida competitiva in settori “evoluti”, i soli peraltro nei quali è possibile costruire il futuro del nostro Paese. Una terza ragione di interesse 10 riguarda il territorio nel quale opera la Chiorino: il Biellese. Si tratta di un territorio ad alta intensità di imprenditorialità, che ha espresso un gran numero di aziende di ogni dimensione capaci di vincere le sfide competitive nel mondo. Dedicare uno dei primi libri della collana “Celebrazioni” a un’impresa operante in questo territorio è particolarmente significativo anche per sottolineare il peso che i contesti locali possono avere per lo sviluppo della imprenditorialità. Sono convinto che una istituzione educativa come un’Università abbia il dovere di richiamare con realismo i problemi, ma, nello stesso tempo, abbia il dovere di cercare ciò che di positivo si muove nella società e di promuoverne la conoscenza. Per questo sento il dovere di ringraziare tutti i componenti della famiglia Chiorino per averci permesso, con generosità e rispetto, di indagare la loro storia e di costruire questo libro che, rifuggendo da ogni agiografia, vuole mostrare il dipanarsi della vita di una famiglia imprenditoriale attraverso i molti “tornanti” che caratterizzano un’impresa, una famiglia, ogni persona. Guido Corbetta Prorettore Università Bocconi 11 Primo listino prezzi della Lorenzo Chiorino (1906). 12 1. “Nulla può sostituire il cuoio”1, 1906-1957 Le origini della conceria Chiorino all’inizio del Novecento si inseriscono in un periodo di trasformazioni di grande rilievo per la storia economica nazionale. Tra la fine del secolo e lo scoppio della prima guerra mondiale la struttura produttiva del paese si modificò con un’intensità che non aveva precedenti e che sarebbe stata nuovamente eguagliata soltanto negli anni del miracolo economico nel secondo dopoguerra. Età del “decollo” o del “grande balzo”, come gli storici l’hanno sovente chiamata, l’epoca dominata dall’esperienza politica giolittiana coincise con un consistente aumento medio annuo della produzione, dei flussi del commercio internazionale, del prodotto interno lordo pro capite. La crescita dei dati quantitativi si accompagnò a una serie di mutamenti di profondo impatto sul tessuto economico e sociale del paese, tali da segnarne l’ingresso in quel processo di crescita quantitativa e di trasformazione strutturale che gli economisti definiscono “sviluppo economico moderno”. Di tutti i cambiamenti il più rilevante riguardò la realtà industriale, che compì notevoli progressi e mise salde radici nella compagine produttiva del paese, trainata dagli investimenti in macchinari e in costruzioni. Crebbe in quegli anni, a scapito dell’agricoltura, il contributo dell’industria alla formazione del prodotto interno lordo, e crebbe il suo peso numerico nella distribuzione della popolazione attiva. L’articolazione del comparto industriale si arricchì della presenza dei nuovi rami produttivi legati ai progressi della scienza e alle innovazioni realizzate nell’ultimo quarto del secolo. La meccanica, la chimica, la gomma, la metallurgia e l’elettricità si affermarono vigorosamente e con un impatto tanto più vistoso non solo per il ruolo che ebbero inizialmente e che avrebbero successivamente ricoperto nella struttura produttiva nazionale, ma anche perché ad essi si accompagnarono più intensa- 1 «Nulla può sostituire il cuoio» è il motto che negli anni cinquanta era stampigliato con apposito timbro sul retro delle buste utilizzate dalla Conceria per la corrispondenza ordinaria. 13 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957 mente molti fenomeni caratteristici delle moderne economie industriali: dalla diffusione della grande impresa alle innovazioni nelle forme di organizzazione della produzione, dalla crescita delle società per azioni ai legami con il credito bancario, alla concentrazione oligopolistica. Accanto a questi settori, conobbero una dinamica felicemente positiva anche i comparti di più antica industrializzazione, relativamente leggeri, rivolti al consumo finale, spesso caratterizzati dalla piccola dimensione delle realtà produttive e connotati da tratti tradizionali sotto il profilo organizzativo, delle lavorazioni e dei capitali coinvolti, comparti che erano ancora numericamente dominanti. L’industria alimentare e del tabacco, parte di quella tessile e di quella meccanica, l’industria del legno e del mobilio, delle pelli e del cuoio, della carta, del vetro e dell’abbigliamento trassero anzi non di rado, dallo schiudersi delle nuove opportunità generate dall’aumento dei consumi privati e, per altro verso, dalla accresciuta disponibilità di nuove tecnologie e fonti di energia, occasione di compiere trasformazioni modernizzanti, offrendo moltiplicate possibilità di estrinsecazione ai talenti individuali e indirizzando importanti stimoli ai produttori di beni intermedi e di investimento. Un riflesso della nuova fisionomia che l’economia nazionale stava rapidamente assumendo si ebbe nella modificazione dei flussi commerciali, dove filati e tessuti di lana e cotone fecero comparsa in misura consistente accanto alle tradizionali esportazioni (formate da prodotti agricoli, beni alimentari, materie prime e piccole produzioni artigianali di qualità) e le importazioni registrarono un notevole incremento dei macchinari industriali e delle materie prime. Molte circostanze concorsero a determinare questi risultati. Sul versante interno, spiccano le innovazioni istituzionali introdotte all’alba dell’età giolittiana nei mercati della moneta e del credito, che furono risanati, rafforzati e stabilizzati da interventi di salvataggio, dall’istituzione della Banca d’Italia nel 1893 e – grazie all’ingresso del capitale straniero – dalla nascita della banca universale, meglio capace di accompagnare la crescita delle imprese (specialmente quelle dei nuovi settori) rispetto al modello delle banche d’investimento preesistente, incagliatosi nelle secche della speculazione. Parallelamente crebbe il ruolo di istituti come le società di credito ordinario e le banche popolari, abilitati a effettuare una molteplicità di operazioni o comunque assai meglio attrezzati delle banche di dimensione nazionale per soddisfare le esigenze di credito delle economie locali. 14 Sul versante dei rapporti con l’estero giocò un ruolo molto importante l’inserimento dell’Italia nell’economia internazionale caratteristica della belle époque. Il primo straordinario fenomeno di globalizzazione dell’età contemporanea permise al Paese – aperto alla circolazione di beni, capitali e persone attraverso le frontiere nazionali – di attirare risorse cruciali per lo sviluppo sotto forma di capitali finanziari, investimenti diretti, tecnologia, e conoscenze, e al contempo di esportare parte del prodotto nazionale e la manodopera in eccesso, evitando squilibri insostenibili alla bilancia dei pagamenti. Ciò permise di soddisfare i bisogni generati dallo sviluppo senza subire il vincolo dei conti con l’estero. A queste profonde trasformazioni della struttura economica del paese si accompagnarono rilevanti mutamenti nei rapporti sociali. In particolare il diffondersi e il radicarsi delle fabbriche modificò sensibilmente le relazioni industriali. Il conflitto tra interessi imprenditoriali e interessi dei lavoratori conobbe un crescendo intenso e generalizzato nel primo decennio del secolo, con un numero particolarmente elevato di scioperi nel 1901-1902, nel 19061908 e con recrudescenze a partire dal 1910. Centinaia di migliaia di lavoratori furono coinvolti e quasi tutti i settori produttivi, incluso quello agricolo, ne furono investiti. Sono questi, il primo decennio del secolo, gli anni in cui il conflitto, animato da una maggiore consapevolezza di sé tanto da parte degli imprenditori quanto da parte dei lavoratori, anziché soffocato dalla forza pubblica fu lasciato venire alla luce e assunse gradualmente una propria dimensione istituzionale centrata sulla contrattazione collettiva. In parallelo al suo svilupparsi evolvevano le forme dell’organizzazione degli interessi con la creazione nel 1906 delle confederazioni generali dell’industria, da una parte, per iniziativa della Lega industriale di Torino, e del lavoro, dall’altra. Anche l’economia biellese, incardinata sul tessile, compì significativi progressi nei venti anni precedenti la guerra. Un rapporto della Camera di commercio di Torino del 1909 offre un’immagine articolata dell’economia locale, a partire da un comparto laniero che conservava di gran lunga il primato per numero di addetti e per forza motrice installata e che si qualificava come il più importante a livello nazionale. La meccanizzazione dei processi di fabbricazione era da tempo compiuta, nello spazio di quasi un quindicennio a datare dalla metà degli anni novanta le dimensioni medie delle imprese erano più che raddoppiate, mentre si diffondeva a ritmo sostenuto l’adozione di motori elettrici e si manifestava una tendenza alla 15 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957 concentrazione delle fasi di lavorazione (filatura, tessitura, tintoria, finissaggi) nell’ambito di un’unica realtà aziendale. La sfida maggiore che restava da affrontare al comparto era la competizione sui mercati di esportazione nelle fasce più ricche del mercato, riservate ai tessuti di alta qualità. Secondo alla lana era il comparto del cotone, che a cavallo del secolo esplicò un notevole dinamismo, assistendo all’affermazione della filatura e riversando effetti positivi su tutto il sistema locale. Anche la maglieria, quarta per numero di addetti, occupava un posto di tutto rispetto nel Biellese e poteva inoltre vantarsi della rinomanza goduta anche all’estero dai propri prodotti. Il tessile era tuttavia lungi dall’esaurire il panorama industriale di Biella. Il suo rilievo numerico e qualitativo aveva anzi fatto da volano allo sviluppo di un variegato insieme di imprese meccaniche specializzate nella produzione di macchine tessili e relativi accessori (macchine per la tessitura, la cardatura, la filatura, la tintoria e il finissaggio), di motori idraulici, di meccanismi di trasmissione del movimento e di attrezzi e utensili di ogni genere. In età giolittiana la dimensione di queste imprese crebbe notevolmente e quelle più specializzate riuscirono a consolidare importanti sbocchi di mercato in tutto il nord Italia e in Toscana. Non collegato ai precedenti, ma terzo per numero di addetti e secondo per utilizzo di forza motrice era il settore della carta, mentre un altro settore che nel periodo giolittiano spiccò per dinamismo è il cappellificio, di antico insediamento nel Biellese e di grande rinomanza fin oltre confine per la qualità della produzione. Minore delle precedenti in termini occupazionali e di potenza impiegata, ma non meno antica delle altre e interessata da un consistente processo di rinnovamento era l’industria della concia. La sua crescita corse parallela allo sviluppo di quella nazionale, che nel giro degli ultimi tre decenni del secolo vide aumentare del 63% il volume delle importazioni di pelli grezze e del 75% il numero degli addetti, qualificandosi come il quinto settore manifatturiero del Regno per apporto di valore aggiunto2. Tra la fine del secolo e l’inizio della guerra furono 2 Tra il 1876 e il 1904 gli addetti erano saliti da 9.487 a 16.600, mentre l’importazione di pelli grezze, che nel quinquennio 1875-1879 era stato di 129 mila quintali, era passato a quasi 210 mila nel 1900-1904 (cfr. L. Berardo, L’afrore del tannino. Mutualismo, cooperazione e industria conciaria a Bra, 1852-1981, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1997, p. 123). 16 introdotte le nuove tecniche della concia minerale, aumentò la dimensione media delle imprese, scomparvero gli impianti condotti secondo criteri più tradizionali, si estese l’utilizzo delle macchine e della forza motrice. Al di là dell’aumento della domanda di cuoi destinati al consumo finale (calzature e oggetti di pelletteria), stimoli qualitativamente importanti all’evoluzione e specializzazione del comparto erano stati la meccanizzazione dei processi di fabbricazione industriale e l’introduzione generalizzata delle macchine a vapore e dei motori elettrici. Questi sviluppi richiesero, da un lato, una grande quantità di componenti in cuoio (grandissima nel caso del macchinario tessile) e, dall’altro, sistemi di trasmissione della forza motrice elastici e resistenti, in grado di sviluppare il minimo di attriti. Le garanzie di durata e affidabilità offerte dalle cinghie di cuoio furono decisive nel favorirne il successo di mercato. L’affinamento dei procedimenti di concia, reso possibile dalle recenti innovazioni tecnologiche, permise di ottenere prodotti con elevate caratteristiche di uniformità, flessibilità, leggerezza e impermeabilità. Ancora alla fine degli anni venti del Novecento, secondo le stime dell’associazione di categoria (l’Associazione italiana dell’industria e del commercio del cuoio), “l’80% del consumo in trasmissioni normali e forse il 90% nelle trasmissioni principali di comando” era costituito da cinghie in cuoio3. Grazie allo sviluppo della domanda interna e alle innovazioni tecniche e organizzative via via introdotte, le punte più avanzate del settore arrivarono a mettersi su un piede di parità con la concorrenza estera, la quale tuttavia, grazie all’aggiornamento tecnologico compiuto con maggiore tempestività, dominava i mercati di approvvigionamento della materia prima ed era ben posizionata sui mercati di consumo. Nel 1914, nonostante i progressi compiuti, la capacità complessiva dell’industria nazionale rimaneva insufficiente a soddisfare la domanda interna, una quantità consistente di pelli conciate doveva ancora essere importata ed esistevano perciò buoni margini per una crescita ulteriore. 3 Negli stabilimenti industriali di un tempo le trasmissioni principali erano i meccanismi che trasmettevano il movimento, generato da una macchina a vapore o da un motore centralizzato, a lunghi alberi di trasmissione posti vicino ai soffitti dei capannoni, che a loro volta azionavano con apposite cinghie e pulegge il moto di numerose macchine utensili. 17 1. Illustrazione pubblicitaria delle cinghie di trasmissione a doppia concia “Cromo corteccia” (1920 ca). 2. Cinghie di trasmissione utilizzate come comandi secondari nel salone di tessitura dei Lanifici Rivetti di Biella. 18 1. “Nulla può sostituire il cuoio” 1906-1957 Il Piemonte deteneva un primato nel settore conciario4 e Biella spiccava nel panorama regionale dove, a parte Torino, solo la provincia di Cuneo vantava una presenza significativa. In base ai dati della Camera di commercio di Torino, nel 1892 avevano sede a Biella quattordici concerie per un totale di 170 operai e 77 cavalli. Nel 1909 le concerie si erano ridotte a sei, con 277 addetti e 119 cavalli, di cui 39 elettrici5. Al di là delle grandezze quantitative, la produzione di cuoi si evidenziava per l’impiego delle tecniche della concia al cromo e per la progressiva specializzazione nel campo delle cinghie per trasmissione e degli articoli tecnici per macchine tessili e industriali in genere. Era un fatto rilevante, giacché prima del 1900 solo a Torino, Milano e Biella si trovavano aziende collocate sulla nuova frontiera tecnologica, mentre altrove i produttori più avanzati si limitavano a fabbricare gli stessi prodotti a partire da cuoi importati dalla Gran Bretagna, dalla Francia, dal Belgio e dalla Svizzera. L’esistenza di un’economia altamente industrializzata, centrata sul tessile e con elevati tassi di meccanizzazione dei processi di lavorazione, impresse un impulso notevole allo sviluppo della conceria nel Biellese, che trovò così la forza di specializzarsi e di affermarsi fino a servire un molteplice numero di settori industriali e una vasta area geografica, valicante l’ambito locale e nazionale. Due ditte in particolare, la Antonio Varale (risalente al 1733)6 e la Pietro Serralunga (1825)7, ebbero a Biella un ruolo pionieristico in questo 4 Nel 1904 era la prima regione italiana con 194 opifici, 3.016 addetti, una potenza installata di mille cavalli, oltre 4.100 vasche e un numero consistente di motori elettrici. 5 Camera di commercio di Torino, Statistica delle industrie del distretto camerale, Torino, Tip. della Gazzetta del popolo, 1909, pp. 277-278. 6 Alla metà degli anni venti la conceria Antonio Varale contava circa duecento operai e dodici impiegati e si estendeva su una superficie complessiva di 15.000 mq. Forte di una capacità giornaliera di 1.500 kg di cinghie, era una delle prime se non la prima impresa italiana nella produzione di cinghie e articoli in cuoio per macchine industriali. Dotata di una filiale commerciale a Milano, vendeva i propri prodotti in Italia, Francia, Canada, Sud America e Oriente. Nata su iniziativa di Antonio Varale nel 1733 per la concia di pelli da pellicceria e per calzature, aveva cominciato già negli anni settanta del Settecento la produzione di cinghie di trasmissione. Grande parte del suo più recente sviluppo era però dovuto alla guida di Pietro Sozzi, subentrato nella proprietà, che introdusse il procedimento della concia al cromo, modernizzò gli impianti produttivi e diversificò sensibilmente lo spettro dei prodotti includendovi l’articolata gamma di accessori per macchine industriali. 7 La conceria Serralunga era stata fondata da Pietro Serralunga per produrre cuoi per suole e tomaie. Sotto la guida di Giovanni Battista, figlio di Pietro, negli anni ottanta dell’Ottocento aveva cominciato la produzione di cinghie per trasmissione e articoli per macchine tessili, sperimentando nuovi procedimenti di concia. Eretta in stabilimento ausiliario durante la prima guerra mondiale, aveva 19 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957 senso, contribuendo a ridurre significativamente le importazioni di manufatti industriali in cuoio, iniziandone l’esportazione sui mercati orientali e sudamericani e formando una manodopera specializzata. Gli sviluppi che compongono il quadro articolato e dinamico dei vent’anni che precedettero la Grande Guerra e che fecero da sfondo ai primi anni di vita della conceria Chiorino offrono dunque alcuni elementi esplicativi che aiutano a renderne plausibile l’iniziale successo. Indicano infatti, in primo luogo, l’esistenza di una domanda robusta di beni di investimento destinati al settore tessile e più in generale alla molteplicità di realtà manifatturiere necessitanti la trasmissione di potenza, beni per il funzionamento dei quali la ditta Chiorino produceva indispensabili manufatti in cuoio. Suggeriscono, in secondo luogo, che se ai primi del Novecento il clima era nel suo complesso più favorevole allo sviluppo dell’iniziativa imprenditoriale in campo industriale di quanto fosse mai stato in precedenza nella storia postunitaria, ciò si doveva anche al fatto che era cresciuta la disponibilità del capitale, sia umano che finanziario, necessario alla costituzione e allo sviluppo dell’attività industriale. È dunque alle doti e alle risorse che erano proprie o alla portata del fondatore, o che questi seppe comunque abilmente mobilitare, che occorre rivolgere l’attenzione per comprendere che cosa rese possibile l’avvio dell’attività e quali caratteristiche le consentirono di vivere a lungo, pur affrontando periodi di alterne fortune. Questo ci rimanda perciò direttamente a Lorenzo, fondatore della conceria, alla sua famiglia, alla sua formazione. conosciuto una crescita notevole e diversificato il prodotto fino a comprendervi la lavorazione di cinghie in pelo di cammello, cotone e canapa. Parallelamente allo sviluppo dell’azienda, la famiglia Serralunga compì una notevole ascesa anche sul piano sociale, arrivando a rivestire incarichi di rilievo in seno alla comunità industriale e nelle istituzioni locali e nazionali. Giovanni Battista fu infatti consigliere comunale di Biella dal 1877 al 1910, per molto tempo consigliere provinciale, deputato in Parlamento a partire dal 1897, presidente per quindici anni dell’Associazione dell’industria conciaria italiana, membro (e più volte vicepresidente) della Camera di commercio di Torino, e presidente della Cassa di risparmio di Biella dal 1890 al 1913. 20 Lorenzo. Alle origini di una vicenda imprenditoriale Lorenzo Chiorino nacque a Ponderano, un piccolo comune a sud di Biella, il 25 novembre 1877. Il padre, Angelo, era nato trentuno anni prima anch’egli a Ponderano, dove aveva conosciuto e sposato Teresa Sabina Chiorino, nativa del luogo, e dove trascorse tutta la propria esistenza8. La coppia diede alla luce sette figli, di cui quattro femmine – Leopolda (1869), Caterina (1873), Maria (1875) e Angiolina (1879) –, e tre maschi, Giovanni Battista (1871), il più anziano, Lorenzo e Umberto (1882)9. Angelo era di professione fabbricante di cappelli, un settore relativamente minore dell’industria biellese ma molto conosciuto in Italia e all’estero. Spesso indicato nei documenti come possidente e talora come agricoltore, Angelo era riuscito a conquistarsi una posizione di relativo benessere. Possedeva la casa dove abitava e che egli stesso aveva fatto costruire ai primi del Novecento, in regione Blana, lungo la strada per Cerrione. Aveva accumulato un discreto quantitativo di terra, molto probabilmente a partire da un’eredità trasmessa dal padre, ed era stato nelle condizioni di elargire una piccola somma di denaro ai figli maschi in occasione del matrimonio10. La moglie Teresa pure era proprietaria di un piccolo appezzamento coltivato a vite in regione Gatto. Nel 1910 la superficie complessiva delle proprietà di Angelo ammontava a non meno di 3,7 ettari e si trovava concentrata principalmente nelle regioni di Derbiglia, Blana e Rolletta. Si trattava di appezzamenti in parte coltivati a prato, in parte sede di orti e frutteti e in parte ancora “avvidati”. L’acquisizione di terra aveva le sue buone ragioni, anche in un’area, come quella biellese, in cui la diffusione dell’industria domestica aveva radici lontane nel tempo e in un’epoca, quella di Angelo (1846-1921), in cui il sistema di fabbrica si era progressivamente e largamente affermato. Anzitutto, per quanto non dovessero risultare essenziali al mantenimento della famiglia Chiorino, questi terreni costituivano un supporto al sostentamento del nucleo familiare, cui fornivano prodotti alimentari freschi per buona parte dell’anno. Tale fun- 8 Angelo Prospero, come reca l’atto di nascita, era figlio di Giovanni Battista, muratore, e Caterina Vigliani. Le nozze con Teresa vennero celebrate nel 1868. Cfr. Archivio del Comune di Ponderano, Registri delle nascite e Registri dei matrimoni. 9 Per i dati anagrafici, cfr. Archivio del Comune di Ponderano, Registri delle nascite, vari anni. 10 Angelo era figlio di Giovanni Battista e Caterina Vigliani, entrambi nati e vissuti a Ponderano. 21 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957 zione era tanto importante che nel Biellese, come ne scrive Franco Ramella, “la terra [era considerata] una risorsa vitale e lo sforzo delle famiglie [era] teso a conservarne la proprietà”. Da questa esigenza prioritaria erano scaturite “le norme consuetudinarie di trasmissione dell’eredità, l’incoraggiamento all’emigrazione e il rigoroso controllo demografico, le politiche matrimoniali accentuatamente endogamiche”11, in breve, un complesso sistema di usanze sociali finalizzato a ridurre la pressione sulle risorse e capace di condizionare significativamente scelte e comportamenti dei singoli cruciali nell’arco di un’esistenza. Accanto a questa funzione basilare, e bene al di fuori dai confini del Biellese, la proprietà fondiaria costituiva uno strumento largamente utilizzato per avere accesso al credito e finanziare altri bisogni o tipi di attività. Essa era il luogo dove la ricchezza accumulata trovava tradizionalmente sbocco e donde, grazie al credito, poteva essere nuovamente immessa nel ciclo produttivo. Proprio perché espressione della ricchezza, essa continuò a conservare la valenza di un efficace indice di status anche nel quadro dei processi di differenziazione economica e sociale che accompagnarono l’industrializzazione. Anche Angelo Chiorino, al presentarsi dell’occasione, mobilitò i propri possedimenti fondiari attraverso il credito per finanziare l’avvio dell’attività imprenditoriale dei figli. Tornando per l’appunto a Lorenzo, terminate le scuole elementari, a partire dal 1889 egli frequentò la Scuola tecnica civica di Biella, un ciclo di istruzione triennale di carattere generalista in cui si insegnavano italiano, matematica, storia e geografia, disegno, calligrafia, francese e, nell’ultimo anno, educazione civica e computisteria12. Licenziatosi nel 1892, seguendo un percorso comune alla maggioranza dei suoi coetanei nel Biellese, i quali, appena terminate le scuole elementari o prima ancora di terminarle13, finivano come apprendisti in uno stabilimento tessile, pro- 11 F. Ramella, Terra e telai. Sistemi di parentela e manifattura nel Biellese dell’Ottocento, Torino, Einaudi, 1984, p. 104. 12 Le pagelle del triennio indicano che Lorenzo ebbe rendimenti discreti senza eccellere e senza sfigurare, mostrando una maggiore facilità e costanza per gli insegnamenti di italiano, storia e geografia e per contro poca sintonia con il discorso matematico, che alla fine del ciclo, all’esame di licenza, gli costò la riparazione a ottobre per un’insufficienza presa nella sessione di luglio. 13 Il fenomeno dell’abbandono della scuola prima del compimento del ciclo di istruzione obbligatoria, diffuso nell’Ottocento, conservava ancora negli anni cinquanta del secolo successivo un’estensione tale da impensierire le classi dirigenti della città. Cfr. Unione industriale di Biella, Il fenomeno dell’evasione dell’obbligo post-elementare nel Biellese, Biella, Unione Industriale Biellese, 1966. 22 Foto-ritratto di Lorenzo Chiorino all’età di circa trent’anni (1905 ca). 23 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957 babilmente anche Lorenzo fu avviato direttamente al lavoro in fabbrica, salva forse – considerato il livello di istruzione e le condizioni del padre – la promessa di un inserimento in ruoli impiegatizi appena ne avesse avuta l’età o provata la preparazione. È così che sul finire del decennio lo si trova impiegato presso la conceria Antonio Varale di Biella. Fu questa, con ogni probabilità, l’esperienza formativa più importante dopo la scuola. Per quanto occupato in ruoli di carattere amministrativo e contabile, Lorenzo seppe infatti trovare il modo di approfittare dell’esperienza non solo per acquisire familiarità e competenza nelle dinamiche contabili, ma anche per introdursi agli aspetti tecnici legati al processo produttivo e – si può ipotizzare – per farsi un’idea delle difficoltà che esso incontrava e delle migliorie che si sarebbero potute apportare, per costruirsi una mappa sommaria del settore, forse anche per avere sentore di alcune tematiche relative alla gestione. Soprattutto, però, per intravedere delle opportunità di mercato e di profitto. Considerata la relativa semplicità della struttura organizzativa di fabbrica di allora, non sarebbe stato difficile per un giovane intraprendente e determinato, da vicino o da lontano conoscente diretto – è facile presumere – di molti dipendenti, osservare i diversi processi aziendali e cominciare a formulare un proprio progetto personale, replicando in tal modo uno schema diffusissimo alla base della genesi di nuove imprese. Magari anche prendere accordi con qualche operaio fidato ed esperto del mestiere, assicurandosi in tal modo l’ausilio indispensabile di una risorsa particolarmente preziosa e sicuramente scarsa, nonostante la presenza in Biella di un certo numero di concerie. L’importanza di questo apprendistato e l’ampiezza degli ambiti che doveva avere più o meno approfonditamente riguardato emergono con tutta evidenza quando si tenga conto dell’impegnativo programma di studi allora contemplato per la formazione di un “direttore chimico-tecnico di conceria” attraverso un percorso di istruzione formale. Sin dal 1902 l’Istituto nazionale per le industrie del cuoio di Torino offriva a questo scopo un corso della durata di due anni distribuito tra insegnamenti teorici e pratica di laboratorio14. Le lezioni impartite comprendevano un ampio ventaglio di materie, dalla chimica organica e inorganica alla tec- 14 L’Istituto era stato creato nel 1902 sotto il nome di “Regia Conceria – Scuola italiana e Stazione sperimentale per l’industria delle pelli ed affini”. Il proposito di istituire una scuola per la forma- 24 Lorenzo. Alle origini di una vicenda imprenditoriale nologia della concia, a nozioni di contabilità applicata all’azienda conciaria, mentre nella sezione pratica si sperimentavano tutti i principali procedimenti di concia15. Non sorprende dunque che l’apprendistato di Lorenzo possa essere stato relativamente lungo, considerato che, in aggiunta alle competenze tecniche e alle conoscenze di mercato, il ruolo di imprenditore nel quale si preparava a operare comportava anche l’esercizio delle responsabilità connesse al rischio di capitali propri e della famiglia. Ad ogni modo, trascorso un periodo di otto-dieci anni alla conceria Varale, all’età di quasi trent’anni, nel 1905 Lorenzo prese la decisione di avviare un’attività imprenditoriale in proprio. Nel settembre dello stesso anno si sposò con Flora Machetti, di sei anni più giovane di lui16. La contestualità dei due eventi assumeva un significato che travalicava la portata delle singole scelte, professionale e individuale. Individuata la strada più consona alla propria realizzazione personale e destinata a formare la base del proprio sostentamento futuro, Lorenzo sentiva di potere finalmente imprimere una svolta anche al proprio percorso umano e biografi- zione di quadri dirigenti tecnici e di manodopera specializzata che fosse di ausilio allo sviluppo del settore era stato formulato nel 1898 da Ettore Andreis in occasione del primo congresso dell’industria e del commercio del cuoio. Il modello preso ad esempio era quello delle più importanti scuole europee con sede a Vienna, Leeds, Friburgo, Lione e Londra. Decisivi per la sua istituzione furono l’iniziativa dell’Associazione italiana dell’industria e del commercio del cuoio di Torino e il concorso finanziario di industriali conciari e chimici provenienti da varie province italiane, tra i quali spiccavano i nomi di Achille e Secondo Durio, Ferdinando Bocca (amministratore delegato delle Concerie italiane riunite di Torino), Ettore Andreis, Alfredo Fiorio, Alfredo Gilardini, Roberto Lepetit, Guido Martinolo, Carlo Bruno e Alberto Vita. Ottenuto il riconoscimento governativo nel 1905, nel 1907 la scuola passò di pertinenza del Ministero dell’agricoltura, industria e commercio. 15 L’elenco degli insegnamenti era il seguente: “chimica generale inorganica e organica”; “chimica analitica qualitativa e quantitativa applicata all’esame e determinazione del valore delle sostanze che interessano la concia”; “tecnologia chimica della concia”; “materie coloranti”; “fisica applicata”; “computisteria industriale conciaria”; “microscopica tecnica”; “nozioni di diritto commerciale e industriale”. Il programma di esercitazioni di “conceria pratica” includeva processi di concia lenta, accelerata e rapida; di concia al cromo; di concia all’allume e sale; di concia per pelli da guanti e procedimenti diversi per la pellicceria. A questo scopo la Scuola era dotata di un certo numero di gabinetti e laboratori specializzati di chimica, microscopia e concia. L’offerta formativa includeva, in alternativa al corso per direttori, un corso di durata annuale per operai, con lezioni serali e domenicali, inteso a integrare la pratica delle lavorazioni con cognizioni teoriche sui processi della concia. Gli insegnamenti riguardavano in tal caso: “generalità e trattamenti delle pelli nei vari stati di conservazione”; “classificazione e studio particolareggiato delle pelli nostrali ed estere”; “materie concianti”; “studio dei processi della concia e rifinizione delle diverse varietà di cuoi”; “elementi di chimica generale e tecnologia”. 16 Flora Machetti era nata il 26 gennaio 1883, da Giovanni Battista e Delfina Boggio, a Quittengo, un piccolo paese situato tredici chilometri a nord di Biella, lungo il corso del Cervo. 25 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957 co e dare inizio a una famiglia. I due ambiti, dell’impresa e della famiglia, trovavano così un’ulteriore ragione di intreccio dal profondo valore simbolico oltre che materiale, e consentono a chi li riguarda oggi, così intersecati, di intuire retrospettivamente una ragione aggiuntiva della dedizione che il non più giovanissimo neocapofamiglia avrebbe versato nella sua nuova attività di imprenditore. Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916 Il primo decennio di attività della conceria Chiorino si può per molti aspetti considerare come il periodo di “apprendistato” di Lorenzo nel nuovo ruolo di imprenditore. In questi anni egli mise a punto con cura costante i procedimenti di concia, assestò la produzione su una gamma diversificata di prodotti, posizionò l’azienda sul mercato rispetto alla concorrenza, imparò a misurarsi direttamente con le fonti di approvvigionamento delle materie prime, si creò una propria clientela relativamente stabile, cominciò a costruirsi una reputazione. In questi anni l’azienda crebbe rapidamente in termini patrimoniali e di immobilizzazioni tecniche, per giro di affari, e per numero di occupati. Certamente la sua affermazione fu facilitata da una congiuntura favorevole. I settori serviti dalla conceria erano in espansione, pur attraverso accelerazioni e rallentamenti. La guerra, poi, impresse una forte dinamica alla domanda interna di beni industriali e i settori tessile e del cuoio ne sentirono tutto l’impatto, diretto e indiretto. Si può dunque immaginare il primo decennio come un periodo di straordinaria intensità. Nondimeno lo sviluppo dell’impresa non procedette lungo un percorso lineare e in discesa. Al contrario, si scontrò con difficoltà e vincoli di diversa natura, potenzialmente in grado di opporre gravi ostacoli alla crescita, da quelli di carattere finanziario al reclutamento e governo della forza lavoro. In questo primo decennio, in cui la capacità di autofinanziamento dell’impresa non era tale da stare al passo con le esigenze della crescita, fu la famiglia a fornire sotto molteplici forme le risorse principali necessarie allo sviluppo. Dei vantaggi e dei limiti che la realtà familiare poteva offrire Lorenzo fece un’esperienza forte. L’associazione con il fratello minore, Umberto, e la costituzione della “Fratelli Chiorino” nel 1910, infatti, ini- 26 Cartoncini da visita della ditta individuale Lorenzo Chiorino (1906-1910) e della societa’ Fratelli Chiorino (1911-1916). 27 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957 zialmente progettata per durare quindici anni, ebbe un esito inatteso e pervenne allo scioglimento anticipato nel 1916, con l’effetto di dare vita a due ditte concorrenti. Per tutto questo insieme di ragioni, il volgere del primo decennio segna una cesura significativa nella storia aziendale. Gli sviluppi successivi avranno luogo sotto la guida di un imprenditore che potrà dirsi a buon diritto avere raggiunto nel suo ruolo la piena maturità. L’attività della ditta Lorenzo Chiorino ebbe inizio nel maggio 1906. La prima installazione, in via delle Mole, era disposta lungo la costa del Vernato che dalla parte bassa della città conduce al Piazzo. Lo stabile si sviluppava su tre livelli e constava di un vecchio edificio, sopravvissuto a un incendio, e di un immobile di recente costruzione. Esso faceva parte di un complesso più ampio, cinto da un muro e comprendente due cortili, di cui uno relativamente piccolo, posto all’ingresso, e un altro di dimensioni maggiori, in gran parte adibito a prato. La presenza di spazi all’aperto, sfruttabili per lo stendissaggio delle pelli conciate, costituiva un importante vantaggio della localizzazione prescelta, come pure l’esistenza di una ruota idraulica posizionata su un salto di un certo rilievo e perciò capace di sviluppare una discreta quantità di energia. Poiché gli immobili ospitavano una tintoria, sin dal novembre 1905 Lorenzo aveva preso accordi con il locatario, Pacifico Trivero, per subentrargli nella conduzione. In base a essi, i locali sarebbero stati lasciati liberi entro la fine di giugno 1906, ma Trivero si impegnava a fare il possibile per anticipare la data alla fine di marzo. Ad ogni modo, Lorenzo si era riservata la possibilità di cominciare a installare e fare funzionare proprio macchinario fin da aprile, impegnandosi a corrispondere in tale eventualità un canone mensile17. La ragione di tale fretta, oltre che dalla necessità di avviare al più presto la nuova attività, dipendeva dal fatto che, sin dalla sigla dell’accordo con Trivero, Lorenzo cominciò a sostenere una serie di spese per l’adeguamento dei locali all’attività della conceria, consistenti nella ristrutturazione del 17 L’importo concordato ammontava a 58,35 lire, cui erano da aggiungerne altrettante per l’eventuale utilizzo della forza idraulica. Il signor Trivero lasciò effettivamente i locali alla fine del marzo 1906. Il contratto d’affitto con la proprietà, firmato da Lorenzo il 6 marzo 1906, fissava il canone in ottocento lire annue. A esse andava sommato il pagamento di un interesse del 5% annuo sul capitale investito dalla proprietà in diverse opere di ristrutturazione in muratura e falegnameria. 28 Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916 locale attiguo alla ruota idraulica, nell’approntamento del relativo apparato di trasmissione di potenza e nella costruzione di tre tettoie. A fronte di tali lavori egli si faceva carico di un importo complessivo di 2.400 lire, liquidando subito una parte in contanti (1.400 lire), e impegnandosi per il resto con due accettazioni di cinquecento lire ciascuna, pagabili rispettivamente il 31 dicembre 1906 e il 31 dicembre 1907. Una preziosa serie di istantanee su come fossero attrezzati i locali e su come si svolgesse la produzione nel 1910, alla vigilia della costituzione della società con il fratello Umberto, ci è offerta dal libro inventario che Lorenzo teneva, miniera ricchissima di informazioni18. Scorrendolo si ha l’impressione di aggirarsi negli ambienti che ospitavano l’attività e si traggono interessanti elementi sulla dotazione e sul valore delle macchine impiegate. Nel locale dei bottali19 alloggiavano una botte per concia, una per “feiteria”20 e una per ingrasso insieme a una macchina per stirare di fabbricazione inglese per un valore complessivo di 4.200 lire, mentre altre dotazioni minori erano costituite da botti per bagni al cromo (per un’idea dell’incidenza di queste cifre sul totale degli immobilizzi, si veda la tabella 1). Comuni attrezzi da lavoro corredavano la stanza calorifero, adibita alla “messa al vento” delle pelli21, e il reparto feiteria. Più rilevante era la dotazione del locale per scarnare, dove – oltre a una grande quantità di attrezzi di lavoro minuti – era collocata una macchina di produzione americana che costituiva di gran lunga il bene capitale di maggior valore tra quelli elencati nell’inventario (4.600 lire), dotata di due cilindri intercambiabili per la scarnatura e per la depilazione e messa al vento delle pelli. Altri macchinari industriali si trovavano nei locali dove si svolgeva 18 L’autore è particolarmente grato a Umberto Chiorino, discendente in linea diretta del fratello di Lorenzo, Umberto, per avergli consentito la consultazione dell’Inventario. 19 Tale locale era stato ricavato all’interno di uno stabile, costruito da Trivero e da questi ceduto a Lorenzo, situato nella proprietà. Era caricato nella situazione contabile al 31 dicembre 1910 al valore di 700 lire. Ne era stato pianificato l’ammortamento completo per la data di scadenza del contratto di locazione, il 30 giugno 1915. 20 La feiteria, o affaiteria, rappresenta l’insieme di trattamenti e preparativi cui le pelli sono sottoposte prima di essere avviate alla concia vera e propria: rinverdimento, calcinatura, depilazione, scarnatura, eventuale spaccatura, purga e macerazione. 21 Per “messa al vento” si intendono una serie di operazioni aventi diverse finalità, eseguite a mano o macchina. La “messa al vento in crosta”, in particolare, consiste nel provocare la fuoriuscita dell’acqua trattenuta dal cuoio dopo la concia, esercitando pressione dal lato della carne a mezzo di una lama rettangolare di pietra, ferro, ottone o vetro. 29 Interno del Reparto selleria della Conceria Lorenzo Chiorino intorno al 1910. 30 Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916 la produzione dei manufatti veri e propri. Nel reparto tacchetti, anzitutto, erano installati due motori elettrici trifase, da 17 e 9 ampere e della potenza di 13 cv e di 6,5 cv, per un valore complessivo di 2.000 lire22, utilizzati per azionare una serie di macchine disposte nel locale stesso e in locali adiacenti. Completava il reparto una pressa per tacchetti (1.500 lire). Tabella 1. Situazione della ditta Chiorino al 31 dicembre 1910 (lire correnti) attivo Mercanzie generali Merci conceria Macchine e attrezzi fabbrica Conto impianto Mobilio ufficio Conto cassa Debitori diversi Totale 33.446,43 3.733,77 25.029,78 4.526,26 412,00 18,77 36.956,84 104.123,85 passivo Conto capitale Ritenute operai Fondo riserva Creditori diversi Effetti da pagare Totale 4.136,21 5,20 1.108,68 57.092,82 41.780,94 104.123,85 Numerose macchine ancora erano utilizzate nel reparto selleria dedicato alla lavorazione delle cinghie di trasmissione per egualizzare le pelli, tirare, arrotolare e tagliare cinghie e lacciuoli. Nell’ufficio erano conservati gli strumenti di misurazione, ovvero un dinamometro e un calibro. Esso, inoltre, era stato dotato di una macchina da scrivere Underwood, di una pressa copialettere e, dal 1910, del telefono. Rispetto soltanto a due anni prima, ossia al 1908, quando Lorenzo dichiarava in una lettera di avere macchinario per 12 mila lire (costatogli, nuovo, 14 mila), il valore complessivo delle “macchine e attrezzi fabbrica”, tenendo conto unicamente delle macchine iscritte in situazione per un valore di almeno 200 lire, ammontava a oltre 17.500 lire, al netto degli ammortamenti già effettuati. 22 I motori erano stati acquistati nel dicembre 1909 presso la Società elettrodinamica di Torino, rappresentante generale della svizzera Elektricitäts Gesellschaft Alioth. Non erano i primi a essere installati in azienda. Si evince infatti dalle modalità di pagamento, effettuato in parte a mezzo di cambiali (1.700 lire) e in parte (300 lire) con rimessa a Torino di un altro motore elettrico, monofase, della potenza di 5 cv, che la dotazione di macchine alimentate dall’energia elettrica risaliva probabilmente al primo impianto dell’azienda. 31 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957 Si è indugiato su questi dettagli perché più di qualunque considerazione astratta hanno il potere di fare luce sugli investimenti fatti per migliorare le strutture, sugli ampliamenti volti ad aumentare la capacità e sull’atteggiamento di Lorenzo nei confronti della propria azienda, ovvero sulle ambizioni che nutriva in merito al suo sviluppo. L’immagine che ne esce è quella di un imprenditore preoccupato di creare le migliori condizioni per lo svolgimento della produzione, molto attento alla tecnologia dei processi e del macchinario e al suo continuo aggiornamento, al tempo stesso sufficientemente focalizzato sull’essenziale per non indulgere in spese di installazione eccedenti il necessario. Orientato fin da principio, come suggeriscono la dimensione dei locali e la dotazione del telefono e di moderne macchine da ufficio, a pensare la propria attività assai più nella dimensione dell’impresa che del laboratorio artigianale. Preoccupato, infine, di comunicare all’esterno, ai clienti e alla concorrenza, un’immagine di professionalità e serietà indiscusse. Per quanto riguarda la produzione, uno sguardo alle giacenze di magazzino e alle scorte del reparto conceria rivela che nel 1910 il principale tipo di concia effettuato era quella al cromo. Le scorte di consistenti quantitativi di estratti e sali di cromo, nonché la presenza di vari tipi di pelle già conciata o comunque destinata a particolari produzioni lo testimoniano. Le giacenze di estratti di sommaco, castagno e mimosa, ricchi di tannini, e di olio di pesce indicano d’altra parte che la conceria effettuava anche la concia vegetale e altri tipi di concia. Notevole per provenienza e per dimensioni era la varietà delle pelli immesse nel ciclo di lavorazione e dei prodotti che se ne fabbricavano: schiappe (mezzine), gropponi, spalle, fianchi, teste e tagli lunghi e corti di buoi e di tori, bufali del Tonchino, “bufali North Western”, “bufaloni Singapore”, “bufali Agra”, “bufali Rangoon”, “bufali Dacca”, “bufali Saigon”, “vacche Australia”, bufalini, torelli, e, naturalmente, ritagli e rifili, nonché pelli corona, erano utilizzati per produrre – a seconda delle caratteristiche proprie delle singole pelli – cinghie, tacchetti, cacciatacchetti, paracolpi in pergamena, lacciuoli, suole, tiranti e tirantini, cordette, ecc., a testimonianza inequivocabile di una produzione ampiamente diversificata e flessibile, orientata al soddisfacimento di una vasta gamma di clienti e di esigenze. Anche sulla clientela l’inventario proietta qualche spiraglio di luce. 32 Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916 Tra i debitori maggiori, ossia per importi superiori a 1.100 lire (equivalenti a circa il 3% del totale del conto Debitori diversi), e che si sono potuti identificare, figuravano al 31 dicembre 1910 il lanificio Figli di Luigi Zignone (2.734 lire) e i Fratelli Lora (1.835 lire) di Quarona Sesia, Luigi Zegna di Vallemosso (1.764 lire), il lanificio L. Schilling e C. di Torino (1.682 lire), il lanificio Costanzo Sormano di Sordevolo (1.098 lire). Accanto a questa clientela diretta, una parte era formata da grossisti specializzati nella rivendita di cinghie, cordami, e accessori per macchine tessili e industriali di ogni sorta, come Angelo Bolgheroni di Novara; Achille Faini, Teodoro Koelliker, Tenger e Zollinger, le Manifatture Martiny, Massoni e Moroni e molti altri di Milano. Gran parte dei clienti era concentrata nell’area biellese, ma nel complesso la clientela era diffusa entro un raggio ben più vasto e se presentava un buon numero di acquirenti nella fascia compresa tra Torino, Varese, Bergamo, Genova e Milano, in altri termini nel nord ovest più intensamente riguardato dal processo di industrializzazione, non mancavano clienti remoti a Verona, Fano, Cassino, Ancona, Pisa, Roma, Napoli, Bari, Gioia del Colle e Cagliari, compratori per importi ora minuti, ora di una certa consistenza. Ampio era pure il ventaglio dei settori di riferimento delle imprese servite, con una marcata prevalenza di quello tessile (lanifici e cotonifici) e di quello meccanico (in particolare i costruttori di macchine, incluse quelle agricole), ma con presenze anche di falegnamerie industriali, pastifici e cartiere. Nei primi quattro anni e mezzo di attività lo sviluppo dell’azienda fu considerevole e se le condizioni della domanda indubbiamente lo favorirono, un ruolo importante vi ebbero il grande studio e il continuo aggiornamento riservati da Lorenzo agli aspetti tecnologici dei processi di concia e l’intenso impegno profuso nel procurare sempre nuova clientela. Quanto alla dimensione dello sviluppo, Lorenzo stesso ci informa che aveva iniziato l’attività con tre operai e che solo due anni dopo, nell’aprile 1908, gli occupati ammontavano a sedici. Indici dell’ampliamento della capacità produttiva sono l’utilizzo per deposito di prodotti ausiliari (per lo più acidi, estratti, sali e appretti) del locale cantina, che il contratto di locazione nel 1906 aveva invece riservato alla proprietà, e la predisposizione nel cortile di palizzate per lo stendissaggio e di un’ulteriore area coperta a tettoia. Anche la rimanenza a fine anno di effetti di una certa entità da pagarsi a favore di un’altra conceria biellese, la Magliola e Blotto, 33 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957 è da intendersi come il segno di acquisti di semilavorati presso terzi a integrazione di una capacità del reparto concia insufficiente a fronteggiare la domanda di prodotti finiti. Considerato che gli utili erano regolarmente capitalizzati, indicazioni indirette della redditività sono fornite dai dati patrimoniali. Il capitale, che alla fine del 1906 era di 3.000 lire e che nel 1909 ammontava a 3.610 lire, ascendeva nel bilancio di chiusura del 1910 a 4.136 lire, cui è da aggiungersi un fondo di riserva per 1.108 lire. In sostanza, nell’arco di quattro anni e mezzo il patrimonio netto era aumentato, nel complesso, di 2.244 lire, equivalenti a un incremento del 75%. L’urgenza della crescita, sollecitata dal ritmo sostenuto della domanda, aveva tuttavia incontrato sul proprio cammino già in questi primi anni difficoltà e limiti potenzialmente capaci di inibirla, tali da costituire un efficace test delle capacità della guida imprenditoriale. Per cominciare, tra il 1908 e il 1913, anche se il comparto laniero continuò a espandersi, il settore tessile conobbe nel complesso una fase di contrazione, con tassi di sviluppo negativi (-0,4% medio annuo). In secondo luogo, a partire dal 1910 l’industria conciaria attraversò un periodo di relativa stagnazione degli affari, interrotto solo dalla guerra di Libia (1911-1912), caratterizzato da un sensibile aumento delle importazioni e dei prezzi delle pelli gregge e, per converso, dalla stabilità dei prezzi del conciato. In terzo luogo, l’aumento dell’attività della conceria era proceduto di pari passo con l’aumento del numero degli occupati e questo fatto aveva di per sé complicato la gestione dei rapporti interni alla fabbrica. Nel clima di generale surriscaldamento delle relazioni industriali, sebbene fossero i metalmeccanici a rappresentare la componente più avanzata nell’azione organizzativa e rivendicativa, gli operai del settore conciario non erano rimasti a guardare. A Torino, dove presso le grandi concerie dei Durio, dei Gilardini, dei Fiorio e degli Arnaudon, ne esisteva una concentrazione elevata, già nel 1896 avevano dimostrato un’inaspettata capacità di reazione nei confronti delle iniziative imprenditoriali e pubbliche volte a limitare le libertà sindacali23. Gli industriali del settore, d’altronde, ave23 Cfr. V. Castronovo, Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi, Piemonte, Torino, Einaudi, 1976, p. 161. Nel 1906 la Fratelli Durio, conceria nota per la sperimentazione della concia rapida, impiegava 200 addetti, la Fratelli Fiorio 250. Cfr. il prospetto delle aziende aderenti al “Gruppo VI – Cuoio” della Lega Industriale di Torino fornito in Mario Abrate, La lotta sindacale nella industrializzazione in Italia, 1906-1926, Milano, Angeli, Appendice III. 34 Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916 vano preso parte attivamente alla costituzione delle prime organizzazioni datoriali. Cesare Fiorio sedeva nel 1907 nel consiglio direttivo della Lega Industriale di Torino e a Biella – dove esisteva una tradizione associativa di antica data – la Pietro Serralunga e la Magliola e Blotto risultavano nel 1908 tra i soci della Lega industriale. Non sorprende dunque che nel marzo 1908 Lorenzo Chiorino siglasse insieme ai rappresentanti di altre concerie biellesi un accordo inteso a fare fronte comune nel contrasto delle rivendicazioni più accese e a isolare gli elementi più indisciplinati della forza lavoro. Firmatari (e probabilmente promotori) dell’iniziativa erano Pietro Serralunga e Magliola e Blotto, cui si univano Nipoti di Paolo Magliola e Antonio Varale (di Biella), la Fratelli Cantono e la Luigi Corte (di Andorno). I punti salienti dell’accordo prevedevano il rifiuto di assumere manodopera sprovvista di regolare libretto di lavoro o proveniente da imprese appartenenti ad altri settori produttivi, con la sola eccezione dei lavoranti di origine rurale alla ricerca del primo impiego industriale. In secondo luogo, i firmatari (e con essi i capi reparto e i sottocapi) si impegnavano a non accogliere alle proprie dipendenze senza previo assenso del precedente datore di lavoro “coloro che [fossero] stati licenziati da altre [imprese] per qualificati motivi di insubordinazione [o] per atti di prepotenza sia verso i principali assistenti e capi come anche solo verso gli altri operai”. Stesso trattamento era riservato a coloro che avessero abbandonato il lavoro senza il debito preavviso di otto giorni, come pure per “gli operai stessi che si [fossero] licenziati per solo motivo di pretesa di aumento di paga non giustificato e non in relazione colle paghe degli operai degli stessi reparti”. In dipendenza dell’accordo gli industriali si sottoponevano all’obbligo di raccolta di informazioni e consultazione reciproca prima delle assunzioni, al fine di conoscere la reputazione e i comportamenti passati dei singoli lavoratori24. In aggiunta si sottoscriveva l’impegno a non concedere variazioni 24 Anche questi controlli e scambi di informazioni erano bagaglio della Lega Industriale di Torino. A norma dello statuto, tra i mezzi di difesa degli interessi industriali contro le interruzioni del lavoro e le insubordinazioni si contemplavano la serrata, il divieto di assunzione degli scioperanti e ammende pecuniarie a carico dei soci che contravvenivano agli accordi. Il regolamento approvato nel gennaio 1907 prescriveva le modalità della compilazione e circolazione di “liste nere” degli scioperanti. Cfr. M. Abrate, La lotta sindacale, cit., p. 50. Anche nell’ambiente industriale biellese circolavano vere e proprie “liste di proscrizione” finalizzate a colpire gli elementi più attivi nelle leghe sindacali (cfr. V. Castronovo, Storia dell’industria dall’Ottocento a oggi, Milano, Mondadori, 1990, p. 129). 35 1. Stendissaggio delle pelli nel cortile del cuoificio Magliola di Biella alla fine dell’Ottocento (Archivio della Fondazione Sella). 2. Bottali da concia alla Conceria Umberto Chiorino (1930 ca). 36 Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916 di orario di lavoro o altri trattamenti collettivi senza prima avere convocato le altri parti all’accordo e averne ottenuto l’assenso. Coloro dei firmatari che non si fossero attenuti alle intese sarebbero stati tassati con multe variabili dalle 50 alle 200 lire25. I proventi delle ammende sarebbero stati destinati alle imprese più danneggiate da scioperi e boicottaggi o a opere di beneficenza o ancora a premiare gli “operai più meritevoli”. Erano accordi perfettamente in sintonia con gli obiettivi e le politiche sindacali elaborate dalla Lega Industriale di Torino, che proprio in quegli anni, sotto la guida di Luigi Bonnefon Craponne e di Gino Olivetti, puntava all’aggregazione su base territoriale nazionale delle associazioni industriali locali, impegnando l’organizzazione non più solo nel perseguimento di finalità sindacali, bensì anche nella tutela degli interessi di categoria di fronte alle scelte governative in materia di legislazione sociale e del lavoro26. Per fronteggiare l’instabilità e i danni che derivavano alla produzione da relazioni di fabbrica aspramente conflittuali e dai comportamenti di una manodopera riluttante ad accettare la disciplina di fabbrica, e dunque per garantirsi un più regolare andamento dell’attività, Lorenzo cercò di assicurarsi la collaborazione di personale fidato per coprire alcuni ruoli centrali. Il 20 aprile 1908 siglava un contratto con Giacomo Colombo per la posizione di “capo fabbrica” del reparto “corrieria”, quello, per intendersi, in cui si eseguivano le operazioni di messa al vento, ritenitura ed essiccamento immediatamente susseguenti alla concia. I suoi incarichi consistevano nella sorveglianza sul contegno della manodopera tanto all’interno quanto all’esterno della fabbrica, nell’addestramento dei più giovani in officina e nella distribuzione dei carichi di lavoro. Alla sua responsabilità era affidata la buona esecuzione di tutte le lavorazioni del reparto e per questo motivo egli era richiesto di effettuare visite in conceria nella mattina dei giorni festivi, allo scopo di verificare il procedere dell’“asciugaggio” delle pelli e di preparare il lavoro per il giorno succes- 25 Cinquanta lire di multa sarebbero state comminate per l’assunzione di personale privo di regolare libretto, duecento lire per la trasgressione degli altri punti dell’accordo. 26 Fu grazie all’iniziativa progettuale di Bonnefon Craponne e Olivetti che vennero costituite nel 1908 la Federazione Industriale Piemontese, radunante le associazioni industriali presenti nella regione, e nel 1910 la Confederazione italiana dell’industria. 37 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957 sivo. In sostanza, attraverso un’estesa delega di funzioni Colombo veniva ampiamente corresponsabilizzato in merito a una molteplicità di aspetti connessi al processo di produzione del reparto posto alle sue dipendenze, dalla formazione del personale addetto, al disciplinamento dei suoi comportamenti, alla garanzia di uno standard minimo di qualità della produzione, che doveva sempre essere in condizioni tali da potere essere esitata sui mercati. In cambio, il contratto, stipulato per una durata triennale, contemplava una serie di incentivi monetari mirati a legare il dipendente all’azienda nel medio periodo. Prevedeva per il primo anno uno stipendio base di 100 lire mensili, che sarebbero state aumentate a 110 e a 120 lire mensili rispettivamente nei due anni successivi. In aggiunta e subordinatamente al buon andamento degli affari, gli sarebbe stata riconosciuta una tredicesima27. Accordi analoghi furono presi nel 1911 per il reparto selleria con Vittorio Guarnero, che sarebbe rimasto in azienda per ben sessant’anni. Queste figure, capaci di riunire in sé notevoli abilità tecniche e – proprio in virtù di queste – l’esercizio di una grande autorità sulle maestranze, figure che godevano di un’ampia delega da parte della proprietà, con la quale tendevano a identificarsi, erano caratteristiche del modello organizzativo della prima industrializzazione. La loro forza scaturiva dalla centralità del “mestiere” e dalla polivalenza di compiti che erano in grado di svolgere all’interno di sistemi di produzione retti da un’organizzazione relativamente approssimativa ed empirica e dotati di macchine spesso imperfette o ancora relativamente poco automatizzate, come tali bisognose spesso dell’intervento di una manodopera altamente qualificata. La loro presenza era dunque cruciale per garantire sotto diversi profili la stabilizzazione del processo produttivo all’interno della fabbrica, si trattasse di una conceria o di un’officina meccanica, all’interno della piccola come della grande impresa. Individuate e legate a sé queste figure, isolate le più recalcitranti o sindacalizzate con il concorso degli altri industriali conciari, Lorenzo poteva ritenersi relativamente tranquillo sul versante interno per dedicarsi ad allentare la stretta che i vincoli finanziari ponevano allo sviluppo dell’impresa. 27 Nel 1911, allo scadere dei tre anni, il contratto fu rinnovato per altri sei. 38 Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916 Sin da principio la conceria aveva avuto bisogno di fare assegnamento sulla disponibilità di risorse liquide per la conduzione degli affari e per questo si era reso necessario ricorrere al credito. Le stesse caratteristiche tecniche del ciclo produttivo, con tempi relativamente lunghi di fabbricazione dei manufatti a partire dalla pelle grezza, e il fatto che il costo della materia prima avesse un’incidenza molto elevata sul costo finale del prodotto esponevano l’attività conciaria alla necessità di disporre di volumi consistenti di capitale circolante, pena il contenimento forzato del giro d’affari. Da principio era stato un banchiere privato di Biella, la casa Pellosio e C., a mettere a disposizione una somma di diecimila lire mediante apertura di credito in conto corrente28. A garanzia dell’operazione Lorenzo aveva offerto parte delle proprietà immobiliari del padre. Il 13 dicembre 1905 Angelo aveva infatti ipotecato la casa dove viveva in Ponderano, con la corte, l’orto e il campo piantato a viti, il più vasto appezzamento che possedeva in regione Rolletta (105 are), e un campo in regione Derbiglia (64 are), per un valore complessivo di dodicimila lire. A due anni di distanza, però, il fabbisogno di disponibilità finanziarie era cresciuto di pari passo con l’estensione degli affari e si presentava con urgenza la necessità di accedere a un più consistente volume di risorse. A questo scopo, già prima del 1908 Lorenzo aveva fatto appello alla rete familiare coinvolgendo il fratello minore, Umberto, che aveva conferito un deposito di 3.000 lire. Si era trattato di un’operazione molto simile a un vero e proprio conferimento in conto capitale, e la somma nel tempo si accrebbe di una parte dei guadagni fino a raggiungere, alla fine del 1910, il valore di 3.730 lire. Ma Umberto aveva anche altre risorse da offrire. Aveva seguito un apprendistato analogo a quello di Lorenzo presso la conceria Varale e poteva perciò portare a beneficio dell’azienda le proprie conoscenze, capacità ed energie. In quanto familiare, poi, era da ritenersi persona di assoluta fiducia. La soluzione non si limitava pertanto a tamponare le pressanti esigenze finanziarie imposte dall’espansione degli affari, ma ad un tempo rappresentava una promettente sistemazione per 28 L’operazione aveva durata triennale a partire dal gennaio 1906. Il tasso di interesse richiesto era di un punto percentuale sopra il tasso ufficiale di sconto, con un minimo del 6%. Si veda l’atto relativo, comprensivo di ipoteca, in Archivio notarile distrettuale di Biella, notaio Secondo Caucino, atto n. 7068, 13 dicembre 1905. 39 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957 due membri maschi della famiglia, e alimentava la nuova attività di prezioso capitale umano. Era perciò potenzialmente tale da porla su basi di un più sicuro sviluppo futuro. Un altro modo meno impegnativo per mobilitare le risorse della famiglia cui Lorenzo fece ricorso era consistito nel sollecitare il deposito dei risparmi. Così, al 31 dicembre 1910, oltre a Umberto, figuravano in situazione, sotto la voce Creditori diversi, il fratello maggiore Giovanni Battista Chiorino (2.466,25 lire) e le sorelle Angiolina (2.200 lire) e Caterina Chiorino (558,70 lire)29. Tutte queste risorse non bastavano però a risolvere il fabbisogno di mezzi. Per questo motivo nell’aprile 1908 Lorenzo si rivolse alla Banca Biellese domandando un finanziamento di ventimila lire30. Oltre a presentare una ditta avviata in modo promettente, significativamente ampliatasi nel giro di poco tempo, egli offriva la garanzia in solido propria e del fratello, il macchinario installato per un valore di mercato di dodicimila lire e ulteriori beni immobiliari di proprietà del padre fino a un valore di 35.000 lire. Non è chiaro se la Banca Biellese accettasse subito la domanda di apertura di credito ed eventualmente da quale fonte alternativa si reperissero i fondi. Per certo la domanda fu accolta nel luglio 1910. Allora, contestualmente all’accensione di un’ipoteca sui beni immobili di Angelo Chiorino per un valore complessivo di 28.000 lire e all’obbligazione in solido di Lorenzo, la banca concesse un credito di 25.000 lire31. Non era un fatto inusuale nell’area biellese che il finanziamento di una nuova iniziativa industriale avvenisse attraverso il ricorso in modo esteso ed intenso alle risorse familiari. Al contrario, la regione esprimeva sem- 29 Legata all’azienda rimaneva pure una parte dei risparmi di Lorenzo e Umberto, maturati negli anni precedenti alla formazione della società e vincolati a mezzo di una scrittura privata nel novembre 1911. Si trattava rispettivamente di 1.191 e 731 lire. 30 Costituita nel 1869 come istituto di credito ordinario per iniziativa di Giuseppe Venanzio Sella, che ne fu anche il primo presidente, la Banca Biellese era la più antica delle banche biellesi e una delle più sollecite nei confronti dei bisogni dell’industria. Gli altri istituti presenti sulla piazza ai primi del Novecento erano la Banca Popolare di Biella, eretta nel 1878 e la Banca Gaudenzio Sella e C. (1886), cui si affiancava la Cassa di risparmio di Biella, risalente al 1856. Ad esse è da aggiungere la filiale della Banca Commerciale Italiana, mentre molto attive sulla piazza per lo sconto commerciale e il finanziamento del circolante erano anche istituti con sede a Milano e Torino, come la Banca Lombarda di depositi e conti correnti e la Banca Subalpina e di Milano (cfr. V. Castronovo, L’industria laniera in Piemonte, cit., p. 329, n. 1). 31 Il tasso praticato era del 6% annuo. 40 Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916 mai una variante del modello del self made e se è vero che tra i lanieri non mancava chi, come i produttori di lana pettinata, si era valso frequentemente e significativamente del credito bancario, essi rappresentavano piuttosto un’eccezione. La maggior parte delle imprese nate nella seconda metà e alla fine del secolo – tutte per lo più originate da iniziative partite dal basso – si erano appoggiate quasi esclusivamente alle risorse attinte in famiglia. Ad ogni modo, questi nominativi e questi importi, che continuarono a comparire tra i “finanziatori” della conceria anche negli anni successivi, sebbene per cifre nel complesso tendenzialmente inferiori, danno un’idea della rilevanza attribuita dalla famiglia allargata all’investimento industriale di Lorenzo e dell’appoggio che essa era pronta a riconoscergli. Per un altro verso, testimoniano di quanto fosse importante disporre di un’offerta di credito articolata e flessibile specialmente nella fase iniziale di impianto e avvio dell’attività, laddove i capitali familiari non bastavano e le capacità reddituali delle imprese, pur considerevoli, non erano sufficienti a garantirne lo sviluppo sulla base del semplice autofinanziamento. La decisione di costituire una società con Umberto nasceva dunque dall’esigenza di alimentare la crescita dell’azienda con risorse materiali e immateriali fidate. Essa giungeva peraltro al termine di un percorso di “prova”, limitandosi ad aggiungere il crisma dell’ufficialità e ad imporre gli obblighi e le tutele discendenti dal riconoscimento giuridico a una realtà nei fatti già operante e sperimentata. Creata alla fine di novembre 1910, la ditta “Fratelli Chiorino” era una società in nome collettivo del capitale di seimila lire, versato dai due fratelli in parti uguali32. Oggetto sociale era “l’esercizio di conceria e la manifattura di cuoi per l’industria”. Aveva validità a partire dal 1 gennaio 1911 e durata fino al 31 dicembre 1925. Significativamente, al di là dell’uguale concorso nel capitale e della conseguente partecipazione paritaria agli utili e alle perdite, nell’atto di costituzione si esplicitava una precisa distinzione di ruoli tra i fratelli: a Lorenzo erano affidate “l’amministrazione dell’azienda in genere e della conceria”, a Umberto il reparto selleria. Al di fuori di queste sfere di auto- 32 A titolo di confronto, la conceria Magliola e Bersano, costituita nel febbraio 1912 e valida a decorrere dal 1 gennaio 1913, avente per oggetto “la concia delle pelli e fabbricazione di cinghie e articoli affini”, dunque una concorrente della Fratelli Chiorino, partiva con un capitale sociale di trentamila lire. 41 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957 nomia, contratti, viaggi e altri affari sarebbero stati deliberati di comune accordo. Ai differenti livelli di responsabilità, per quanto risulta dagli inventari e dal momento che gli utili aziendali erano d’abitudine capitalizzati, sarebbe corrisposta una differente remunerazione delle prestazioni individuali33. Tabella 2. Ditta Fratelli Chiorino, dati caratteristici di bilancio, 1910-1915 Conto capitale Fondo riserva Ammort. macch. e attrezzi Totale attività 1910 1911 1912 1913 1914 1915 6.000 1.109 18.000 4.090 48.000 6.697 88.000 10.598 128.000 14.556 200.000 105.695 4.371 5.073 117.946 143.849 5.423 202.324 5.483 240.099 3.648 433.079 4.717 104.124 Lo sviluppo della “Fratelli Chiorino” fu considerevole sotto ogni profilo, come mostrano i dati riportati in tabella 2, ed è rimarchevole che ciò avvenisse nella cornice di una congiuntura non facile per il settore nel suo complesso, caratterizzata a partire dal 1910, come si è accennato, da prezzi in forte ascesa delle materie prime e da aumenti non altrettanto pronunciati del conciato. Il totale delle attività alla fine del 1915 era pari a oltre quattro volte il valore del 1910. In termini di investimenti in capitale fisso, nel biennio 1912-1913 venne realizzata la costruzione di due nuovi locali, eretti su struttura in ghisa, il primo destinato a ospitare una nuova botte per concia e – sotto una tettoia posta sul tetto – una macchina per egualizzare; il secondo adibito all’installazione di una macchina per spaccare, anch’essa nuova. Venne inoltre predisposto un secondo locale calorifero. Sul versante commerciale, la clientela crebbe in modo significativo per numero, distribuzione sul territorio e varietà dei settori serviti, come indicano l’acquisizione di forniture per l’Ilva e le Ferriere di Voltri, per falegnamerie industriali, aziende alimentari, cartiere e aziende chimiche tradizionali (produttrici di profumi, saponi, ecc.). Un altro aspetto di un certo interesse è l’approfondirsi dell’inserimento dell’azienda in un commercio di semilavorati con controparti e con- 33 L’atto di costituzione, rogato dal notaio Ernesto Ramella di Biella, data del 27 novembre 1910. In esso sono anche indicate le procedure arbitrali per la soluzione delle dispute e precise disposizioni in caso di decesso di uno dei soci. 42 Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916 correnti locali che riguardava, come era consueto del settore, a seconda delle esigenze del flusso di lavoro o degli speciali trattamenti richiesti, lo scambio di pelli a diversi stadi del ciclo di lavorazione: preparate per la concia, conciate, tinte o rifinite. Non era un fatto nuovo, tale inserimento, ma negli anni precedenti la guerra si intensificò, come testimoniano i rapporti di debito e di credito con altre concerie biellesi di dimensione comparabile alla Lorenzo Chiorino, quali la Magliola e Blotto e la Magliola e Bersano. L’andamento del patrimonio netto rivela per altro verso la notevole capacità dell’azienda di generare utili, regolarmente capitalizzati. Il capitale sociale triplicò nel corso del 1911 e più che raddoppiò nell’anno successivo. Anche calcolato in lire costanti, alla fine del 1915 era di ben trenta volte superiore al valore di partenza. Progressione ancora più pronunciata mostrarono le riserve, che, sempre calcolate in lire costanti, crebbero di un fattore moltiplicativo superiore a 85, pur avendo effettuato ammortamenti complessivi dell’ordine di 24 mila lire solo per macchine e attrezzi. A questa tendenza ampiamente positiva già prima della guerra, ossia in anni, come si è accennato, di difficoltà per il settore conciario nel suo complesso, la congiuntura bellica offrì un ulteriore decisivo impulso a partire dal 1915, impulso il cui effetto si impresse in modo ben leggibile nelle grandezze del bilancio aziendale di quell’anno34. Nonostante l’eccezionale sviluppo dei primi anni, nel marzo 1916 i due fratelli decisero di separarsi sciogliendo anticipatamente la società35. Le ragioni di questa scelta sono destinate a rimanere ignote, ma ai fini della comprensione della lunga vicenda aziendale non è inutile provare a domandarsene il motivo. Si possono fare alcune ipotesi plausibili. Per cominciare, parallela agli sviluppi dell’azienda era avvenuta la crescita dei due nuclei familiari. Lorenzo e Flora, che allora abitavano in Costa del Vernato 70, a pochi passi dall’azienda, ebbero il primo figlio, Fulvio, nel 1907. A esso erano seguiti un secondo figlio maschio, Angelo, nel 1908, e due femmine, Alda e Laura nel 1910 e 34 L’inizio dei preparativi per l’entrata dell’Italia nel conflitto determinò nel primo semestre 1915 un brusco balzo della domanda di cuoi, cui seguì un altrettanto rapido innalzamento dei prezzi delle pelli gregge, delle sostanze concianti e del conciato. Conseguenza immediata fu la rivalutazione delle scorte di magazzino. 35 L’atto, redatto dal notaio Ramella, è datato 22 marzo 1916 ed è conservato in As Bi, Tribunale di Biella, Atti di società, fasc. 5421. 43 Lorenzo Chiorino con la moglie Flora e i cinque figli. Da sinistra Giannina, Angelo, Laura, Fulvio e Alduccia (1925 ca). 44 Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916 1913. Un’ultima figlia, Giannina Romea, sarebbe nata nel 1918. Anche Umberto, che si era sposato nel maggio 1905 con Maria Chiorino, aveva avuto due figli maschi, Augusto nel 1906 e Vittore nel 190936. È verosimile che questi sviluppi abbiano influito sulla scelta dei due fratelli di separarsi, tenuto conto delle aumentate esigenze familiari di ciascuno. Altrettanto verosimile è che Umberto, giunto all’età di trentaquattro anni, avesse maturato, nel corso dell’esperienza fatta con Lorenzo, l’ambizione di assumersi una piena responsabilità anche sul fronte imprenditoriale. D’altra parte, non è da escludere che divergenze di vedute sulle linee di fondo, strategiche, riguardanti la conduzione dell’impresa rendessero difficile la coesistenza dei due fratelli all’interno di un’unica società, con il rischio di esporla a un pericoloso indebolimento della funzione direttiva. Qualunque fosse la causa o il concorso di cause vicine e remote, le buone prospettive di crescita e di profitto che la congiuntura di guerra faceva intravedere agevolarono l’opzione della separazione. Sta di fatto che, a seguito della liquidazione della “Fratelli Chiorino”, da un’unica matrice sorsero due imprese concorrenti sulla medesima piazza e sui medesimi segmenti di mercato. La scelta di rinunciare all’unione delle risorse e alle economie che ne sarebbero potute derivare, di sobbarcarsi di fatto un aggravio di costi e di affrontare l’eventualità di una limitazione della crescita pur di evitare il rischio di conflitti di difficile composizione al vertice dell’azienda, non dovette essere semplice e certamente non fu indolore. Essa rappresentò anzi un ulteriore, qualificante momento di apprendimento nell’esperienza imprenditoriale di Lorenzo, destinato a orientare gli atteggiamenti futuri e a lasciare traccia profonda nel patrimonio culturale genetico dell’azienda, destinato, di conseguenza, a essere tramandato con essa lungo la successione delle generazioni. Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture La guerra inaugurò una stagione al contempo di grande intensità e di pronunciata instabilità, nella migliore delle ipotesi di profonda incertezza sul- 36 Maria Chiorino, figlia di Gaspare e Angela Chiorino, era nata a Ponderano il 4 settembre 1889. Il primogenito della coppia, Augusto, nato il 26 gennaio 1906, avrebbe condotto studi di perito chimico in vista dell’ingresso nell’azienda paterna. Vittore, che lo avrebbe seguito a breve distanza, era nato il 23 maggio 1909. 45 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957 l’evoluzione dei mercati reali e finanziari, una stagione in cui eventi anche molto remoti dalla realtà aziendale o del settore finirono per ripercuotersi in modo significativo sull’andamento dell’impresa. È il caso dell’intervento dello stato, che a partire da allora e negli anni tra le due guerre divenne sempre più invasivo, sia attraverso l’adozione di misure dirette, intese a regolamentare la produzione, sia per effetto dei provvedimenti di politica economica riguardanti le tariffe doganali e le decisioni in ambito monetario (specialmente la rivalutazione della lira nel 1927 e l’adesione al blocco dell’oro nel 1933), con le conseguenze che da queste discesero sul piano commerciale e valutario negli anni trenta (contingentamenti e regime delle licenze per le importazioni, accordi di clearing). È il caso, anche, della rottura degli equilibri monetari, finanziari e commerciali internazionali sui quali si era retto fino al 1914 il prodigioso sviluppo dell’economia mondiale, rottura che produsse conseguenze avvertite sin dai produttori di dimensioni piccole e medie, solo che fossero importatori di materie prime e semilavorati o esportatori sui mercati esteri. Nemmeno essi, infatti, poterono fare a meno di accusare l’impatto delle ampie oscillazioni dei prezzi internazionali di molte commodity agricole e industriali, o gli effetti del parziale restringimento degli spazi di mercato causati dall’erezione di barriere commerciali soggette a repentine variazioni, così come non poterono non risentire pesantemente le conseguenze di rapporti di cambio della lira liberamente (e spesso violentemente) fluttuanti per buona parte degli anni venti e di nuovo scossi, negli anni trenta, dalla svalutazione della sterlina e del dollaro. Ripartito da solo nel 1917 all’età di quarant’anni, dunque nel pieno della maturità e forte dell’esperienza fatta nella fase di avvio e affermazione dell’azienda, Lorenzo poté tuttavia affrontare con maggiore sicurezza le sfide poste negli anni tra le due guerre dall’alternarsi di periodi di relativa prosperità a periodi di difficoltà drammatiche. L’impressione che si ricava dalle vicende aziendali è, anzi, che nel fronteggiare le congiunture più ardue Lorenzo mettesse a punto o comunque trovasse motivo di conferma di una filosofia di gestione che negli anni precedenti aveva seguito forse più per prudente intuito che per cogente necessità. Siglato l’atto di scioglimento della Fratelli Chiorino nel marzo 1916, pur continuando a seguire gli affari della conceria, la cui liquidazione, affidata a Umberto, sarebbe cominciata l’1 gennaio 1917, Lorenzo si dedicò ai preparativi per l’organizzazione del nuovo stabilimento produttivo, che avrebbe 46 Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture iniziato l’attività in pari data sotto forma di ditta individuale con la ragione “Lorenzo Chiorino”37. In primo luogo si assicurò la collaborazione del fratello maggiore, Giovanni Battista, cui affidò un ruolo di assistente di fiducia con procura a impegnare la ditta in ogni genere di affare38. Insieme a lui trattenne quella parte della manodopera specializzata con la quale aveva instaurato rapporti più intensi di collaborazione. Per quanto riguarda gli aspetti tecnici e produttivi, sebbene rilevasse parte delle macchine dalla società in liquidazione, da subito mostrò di volere fare della nuova installazione l’occasione per compiere un salto qualitativo. Aggiornò infatti parte del macchinario acquistando nell’aprile dello stesso 1916 due nuovi motori elettrici di produzione del Tecnomasio Italiano Brown Boveri, della potenza di 25 e 20 cavalli rispettivamente. Solo un mese dopo, a maggio, comperò i terreni sui quali avrebbe impiantato la conceria. L’immobile, situato a Biella in regione Sant’Agata o Pozzoglio, dove tuttora la società ha sede, era costituito da un terreno di 145,17 are e comprendeva un fabbricato di cinque piani e diciassette vani complessivi che Lorenzo acquisì da Giuseppe Florio per il valore di sessantamila lire39. Questo passo costituiva una bella differenza rispetto alla soluzione degli esordi e manifestava chiaramente quanto successo avesse conosciuto l’impresa nel primo decennio di vita. Un’indicazione nello stesso senso fornisce il fatto che Lorenzo ottenesse dalla liquidazione, e con esso partisse nel 1917, un capitale di oltre 157 mila lire. La congiuntura bellica era stata estremamente positiva e tutto il comparto conciario ne aveva tratto grande beneficio, realizzando cospicui guadagni, originanti dal fortissimo aumento dell’attività piuttosto che dall’aumento dei profitti unitari40. L’intervento dello 37 La costituzione della nuova ditta risaliva al 10 dicembre 1916. In base agli accordi presi all’inizio del 1916, Umberto avrebbe continuato l’attività nei locali esistenti. 38 Carte Chiorino, allegato a lettera di Lorenzo Chiorino alla filiale di Biella del Credito Italiano, 17 marzo 1926. La procura generale era stata registrata dal notaio Pericle Germano l’1 marzo 1917. Nel 1919 si sarebbe aggiunto un altro collaboratore, Giuseppe Garella, destinato a rivelarsi preziosissimo e a rimanere poi in azienda per sessant’anni, affiancando direttamente Lorenzo in tutti gli aspetti della gestione quotidiana. Egli fu il solo dipendente non membro della famiglia a ottenere la procura generale (1942). Nato nel 1905, aveva frequentato come Lorenzo la scuola tecnica, inoltre, coetaneo dei figli di Lorenzo, si sarebbe legato anche alla seconda generazione da rapporti di fiducia e amicizia. Suo figlio Cesare Garella, di cui si dirà più avanti, sarebbe entrato alla Chiorino alla metà degli anni sessanta e vi avrebbe percorso anch’egli una lunga carriera con ruoli di responsabilità. 39 Cfr. As Bi, Conservatoria dei registri immobiliari, rogito notaio Ernesto Ramella, 9 maggio 1916. 40 Cfr. Camera di commercio e industria di Genova, Il commercio delle pelli e l’industria del cuoio durante la guerra, Genova, Società Tipo-litografica Ligure E. Oliveri & C., 1917, p. 20. 47 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957 stato, preoccupato di assicurare un adeguato rifornimento di calzature alle forze armate, aveva avuto un ruolo decisivo. Nell’autunno 1914 era stata vietata l’esportazione delle pelli di ogni genere e nel 1915 era stato fissato un calmiere per i prezzi delle pelli conciate. Allo stesso tempo, l’introduzione di un sistema di assegnazione mediante aste pubbliche settimanali delle pelli grezze provenienti dai macelli del fronte aveva permesso alle concerie di operare in condizioni di abbondante rifornimento della materia prima e tagliato fuori i commercianti all’ingrosso, prevenendone gli accaparramenti e i comportamenti speculativi. In virtù di queste speciali circostanze, la chiusura del primo esercizio nel 1917 segnava un capitale salito a 470 mila lire, cui alla fine della guerra si aggiunsero riserve per altre 153 mila lire. Già nel 1919, però, si manifestarono in tutta evidenza le prime avvisaglie delle asperità che la congiuntura postbellica avrebbe riservato. Il cambio della lira, lasciato libero di fluttuare dalla brusca levata delle misure di cooperazione internazionale che per tutto il periodo bellico avevano mantenuto la facciata di una relativa stabilità, subì un rapido deprezzamento, passando da 30 lire contro la sterlina nel gennaio 1919 a oltre 50 nel dicembre dello stesso anno e a 100 lire nel dicembre 1920. La perdita di potere d’acquisto internazionale della lira innalzò sensibilmente i costi di approvvigionamento delle pelli, in un frangente in cui la forte pressione della domanda mondiale di materie prime agiva autonomamente nel sospingerne in alto il valore. Per contro si registrava una concomitante diminuzione dei prezzi dei manufatti tecnici in cuoio, con il risultato che la gestione 1919 accumulò una perdita complessiva di 165 mila lire (inclusi ammortamenti per 74 mila lire) (si veda la tabella 3). Nel biennio successivo, mentre tutta l’economia mondiale subiva una forte contrazione, le difficoltà si acuirono, estendendosi all’insieme del comparto, che fu colpito da numerosi licenziamenti, da riduzioni salariali e dalla crisi delle grandi concerie. Nella sola Torino i licenziamenti effettuati in un anno riguardarono più di 2.200 operai su un totale di 4.058, mentre alla fine del 1921 le concerie piemontesi funzionavano in media tre giorni alla settimana41. Nel 1922 la Gilardini di Torino, a seguito di una grossa perdita di gestione incorsa nel 1921 dal reparto calzaturificio, a sua volta precipitato nella crisi dal fallimento di 41 Cfr. Riduzione delle mercedi in Piemonte, in “La Conceria”, 15 luglio 1921, riportato in L. Berardo, L’afrore del tannino, cit., p. 165. 48 Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture molti grossisti e dettaglianti e dal riversamento sul mercato di ingenti stock di prodotto, smantellava le officine interne di manutenzione, metteva in vendita il reparto più colpito, riduceva il capitale e in definitiva passava sotto il controllo di un nuovo gruppo di industriali conciari42. Accusato il primo colpo, la Lorenzo Chiorino riuscì nel 1920 a contenere i danni riducendo il capitale e attingendo alle riserve per una diminuzione complessiva del patrimonio di 144 mila lire. La manovra consentiva di tenere in evidenza un utile netto di 21 mila lire e di destinare ad ammortamento di impianti e macchinari più di 80 mila lire. L’anno seguente, in controtendenza rispetto al permanere di grandi difficoltà per il settore, la performance migliorò ulteriormente: gli utili lordi sfiorarono 400 mila lire, aumentò lievemente l’utile netto, furono effettuati cospicui ammortamenti e il capitale poté essere parzialmente reintegrato. Una conferma che l’azienda si era ormai inequivocabilmente lasciata alle spalle il momento peggiore è data dal fatto che nella primavera del 1921 Lorenzo era in contatto con una casa inglese per l’acquisto di nuovo macchinario per la fabbricazione dei tacchetti43. Fu però a partire dal 1922 che l’attività e i conti della conceria tornarono a registrare risultati decisamente positivi, concordemente con la ripresa del ciclo di crescita nazionale e internazionale. Anche l’economia locale riprese a manifestare vivacità, guidata da un comparto laniero che tra il 1922 e il 1926 compì investimenti di una certa importanza in programmi di ampliamento della capacità produttiva e si impegnò a fondo nella rincorsa della concorrenza internazionale sul mercato interno e su quelli esteri44, alimentando inevitabilmente la domanda di manufatti tecnici in cuoio. Negli anni venti, del resto, sussistevano ancora buoni margini per lo sviluppo quantitativo e qualitativo dell’industria conciaria italiana, e in certa misura essa seppe approfittarne. Sebbene la domanda nazionale di pelli conciate continuasse ad attingere largamente all’estero, almeno per i cuoi di pelle bovina le importazioni diminuirono fino alla metà del decennio e ripresero a 42 Si trattava dei fratelli Boglione, conciatori a Bra. Cfr. ibid., p. 166. La casa in questione era la A. Kinghorn & Co. di Todmorden, che sulla piazza di Biella era fornitrice anche della conceria Pietro Serralunga. 44 Tra 1918 e 1925 i telai meccanici passarono da 17.00 a 20.500; i fusi per cardato da 520 mila a 600 mila; i fusi per pettinato da 435 a 500 mila. Cfr. T. Gamaccio, L’industria laniera fra espansionismo e grande crisi. Imprenditori, sindacato fascista e operai nel Biellese (1926-1933), Vercelli, Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea “Cino Moscatelli”, 1990, n 48, p. 13. 43 49 Illustrazione pubblicitaria della produzione di tacchetti per telaio alla meta’ degli anni venti. I prodotti sono reclamizzati in quattro lingue. 50 Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture salire solo in concomitanza con la rivalutazione della lira, che rese più competitivi gli acquisti all’estero. Per certi tipi di prodotto, tuttavia, la produzione nazionale rimaneva insufficiente per quantità o inferiore per qualità a quella estera, e questo giustificava la tenuta molto maggiore delle importazioni di pelli bovine a concia minerale o mista e delle importazioni di cinghie (sia vegetali che al cromo) e articoli tecnici anche nella prima parte degli anni venti, quando la lira tendeva piuttosto a svalutarsi45. La dinamica degli utili e del patrimonio netto della Lorenzo Chiorino è particolarmente rivelatrice dello stato di salute dell’azienda e della sua redditività nella prima parte del decennio (vedi tabella 3). Nel 1922 i primi furono solo di poco inferiori ai valori registrati nel 1916-1918, e nel triennio 1923-1925 li superarono abbondantemente. Il patrimonio netto passò rapidamente da 737 mila lire nel 1922 a 1.367 mila nel 1925. Meno brillante degli anni precedenti ma certamente positivo fu anche il 1926, chiusosi con un ulteriore piccolo aumento dei mezzi patrimoniali. Tabella 3. Conceria Lorenzo Chiorino, dati caratteristici della gestione, 1918-1929 (valori correnti). 1918 1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1927 1928 1929 Utile lordo Ammortamenti Utile netto Capitale Riserve 348.962a 7.959 180.328 399.134 543.252 577.730 579.972 758.330 504.807 327.088 816.316 566.898 72.352a 73.622 80.461 140.313 80.282 175.007 148.766 21.341 12.798 0 26.235 44.416 175.622a -165.349 21.224 23.370 235.499 109.752 152.893 367.007 17.601 -140.144 413.383 80.000 469.674 469.674 388.486 411.856 411.856 411.856 450.000 1.100.000 1.200.000 1.200.000 1.350.000 1.400.000 152.938 152.938 90.000 90.000 325.499 435.251 550.000 267.007 184.608 44.464 390.795 390.795 Nota: a. dato cumulativo 1917-1918. 45 Le importazioni complessive di conciato senza pelo ammontavano a oltre 28.000 q nel 1922, si ridussero fino a circa 24.000 q nel 1926 e risalirono nel 1929 a circa 32.000 q. Anche le importazioni di pelli bovine senza pelo a concia vegetale diminuirono del 40% nel periodo 1922-1925 (da 5.000 q a poco meno di 3.000) per poi tornare a salire fino al 1929 (oltre 6.000 q); quelle di pelli bovine a concia minerale o mista – in assoluto la voce più consistente di tutto il conciato senza pelo oggetto di importazione – invece aumentarono di circa il 9,5% nel triennio 1922-1924 (da 12.500 q a 13.700 q) per contrarsi dell’11% nel 1925-1926 e risalire nel 1928 a oltre 17.500 q. Cfr. “La Conceria”, 31 marzo 1935. 51 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957 Questo buon andamento subì una battuta d’arresto nel 1927. La brusca rivalutazione della divisa nazionale si tradusse in un repentino ribasso del valore delle pelli in lavorazione e impose la chiusura dell’esercizio con una perdita di 140 mila lire, senza lasciare alcun margine per i consueti ammortamenti. Grande parte della materia prima, bufali a pelo invernale provenienti dall’India, era stata infatti acquistata al cambio di 120 lire per sterlina e nel volgere di pochi mesi la quotazione della valuta britannica era scesa a 90 lire. Alle ripercussioni negative derivanti all’azienda dalla svalutazione delle merci in magazzino si aggiunse il dissesto di alcuni debitori. La pressione deflativa, innescata dalla stabilizzazione e rinforzata da riduzioni salariali e taglio degli stipendi, aveva infatti depresso sensibilmente la produzione dei settori rivolti all’esportazione e di gran parte dell’industria leggera, provocando rallentamenti dell’attività produttiva, disoccupazione e fallimenti. Anche per l’economia locale furono momenti difficili. Il tessile, sia laniero sia cotoniero, accusò fortemente il colpo, e da allora i lanifici, che la perdita di competitività derivante dal nuovo valore della lira espulse dai mercati dell’Europa orientale e balcanica, non trovarono di meglio che riorientare le correnti di esportazione verso sbocchi alternativi e più distanti, di minore potere d’acquisto e perciò meno remunerativi. La gravità della situazione creatasi nei conti aziendali questa volta fu tale da indurre Lorenzo a non limitarsi a coprire la perdita con le riserve, ma a rivolgersi, sin dal maggio 1927, alla Cassa di risparmio di Biella per ottenere un mutuo di trecentomila lire. Di durata decennale, il prestito era garantito da un’ipoteca sugli immobili dell’azienda46. Si trattava di una somma sufficientemente alta da lasciare un certo margine di sicurezza di fronte a eventuali sviluppi negativi futuri e tale da permettere una libertà di manovra aggiuntiva. Proprio la stipula del contratto del mutuo permette di gettare lo sguardo sull’articolazione dell’impianto produttivo a quell’epoca. L’area su 46 Cfr. As Bi, Conservatoria dei registri immobiliari, Atti, vol. 628, n. 145, rogito notaio Germano Pericle, 3 maggio 1927. Il prestito era gravato dell’interesse di 1,5 punti percentuali al di sopra del tasso ufficiale di sconto (che all’epoca della concessione era dell’8,5%) e contemplava una riduzione dell’esposizione in conto capitale nella misura del 10% annuo, fino a completa estinzione entro il 31 dicembre 1937. 52 Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture cui era disposto lo stabilimento si era lievemente ingrandita a seguito dell’acquisto nel 1924 di una proprietà confinante a oriente, dell’estensione di 14,10 are, prima di una serie di acquisizioni che, come si vedrà, si moltiplicheranno nella seconda metà degli anni trenta47. La superficie complessiva fruibile era di poco superiore a 14.600 mq, dei quali 2.690 mq occupati da fabbricati, 2.680 mq di cortile e dipendenze, 8.910 mq disponibili, una piccola parte residua esterna al muro di cinta. All’interno, oltre a tre depositi per biciclette, per pelli secche e finite, a un locale per l’imballaggio dei manufatti e a un edificio rustico, si trovavano un fabbricato comprendente lo studio e un laboratorio meccanico, e fabbricati distinti dedicati alla lisciatura, alla feiteria, all’impianto di pompaggio e al pozzo, alle vasche, allo stendissaggio, alle macchine e reparto conceria, al reparto tacchetti. Due altri edifici ospitavano le abitazioni del portinaio e del capo fabbrica48. Il biennio 1928-1929 fu ancora un periodo di prosperità, l’ultimo prima dell’inversione di tendenza causata dalla crisi mondiale. Nel 1928 le vendite (vedi tabella 4) ammontarono a 3.671 mila lire e gli utili toccarono la punta più alta di tutto il decennio, permettendo un aumento nell’ordine del 40% delle risorse patrimoniali. Fu questo d’altronde l’anno in cui il prezzo delle pelli bovine grezze toccò i vertici in tutti i principali mercati, da Milano a Parigi, a Londra e Chicago49. Nel 1929 il buon andamento proseguì attenuato, con una discreta tenuta delle vendite (-7,5%), ma con utili netti ridotti di oltre l’80%, in buona misura a causa di acquisti di materia prima realizzati a prezzi elevati nel contesto di un mercato ormai rapidamente cedente. Alla vigilia della crisi mondiale in Europa, il settore conciario italiano mostrava già, per ragioni proprie, i segni di una condizione precaria. A partire dal 1929 la rivista di settore, organo della Federazione nazionale 47 L’immobile, acquistato per 16.500 lire dagli eredi Masserano, era un appezzamento di terreno coltivato a vite. Cfr. As Bi, Conservatoria dei registri immobiliari, Atti, vol. 567, n. 136, rogito notaio Germano Pericle, 31 dicembre 1924. 48 A termini di confronto sommario, nel 1925 la conceria Varale – che allora dava lavoro a 200 operai – occupava una superficie di 15.000 mq e altri 20.000 ne aveva da poco acquistati per provvedere all’espansione della produzione. 49 Cfr. i dati e grafici riportati in “La Conceria”, 31 dicembre 1931. 53 La Conceria Lorenzo Chiorino in Regione S. Agata. Cortile interno e veduta dello stabilimento (1924). 54 Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture fascista degli esercenti l’industria conciaria, non cessava di diffondere segnali di preoccupazione. Il mercato europeo delle pelli grezze subiva sensibilmente l’influenza di quello tedesco, che era il maggiore importatore. In Italia le importazioni erano molto aumentate nel triennio 1927-1929, ma l’aumento si era tradotto soprattutto in un maggiore volume delle scorte piuttosto che della produzione. Nel 1929, in aggiunta, le esportazioni nazionali erano significativamente calate rispetto al 1928 e i prezzi del greggio come del conciato non avevano fatto che diminuire dopo il picco toccato agli inizi del 1928. Tra i sostituti, la gomma naturale, favorita da un ribasso dei prezzi, aveva contribuito a erodere quote di mercato. L’elevata dispersione del settore, per di più, faceva del conciato un mercato del compratore, il quale era dotato di una forza contrattuale assai più grande e si era dimostrato assai più abile nel creare forme di collegamento e solidarietà internazionali. La Federazione suggeriva pertanto ai produttori di cuoio una maggiore coesione affinché, attraverso la costituzione di uno stabile organo di raccordo, in altri termini un cartello, potessero meglio coordinare la produzione, limitare gli eccessi di capacità e soprattutto organizzare in modo più conveniente la vendita del prodotto50. Indicava come esempio a questo fine l’Ufficio vendita per i sottoprodotti di conceria, creato a Genova nel 1928 allo scopo di fornire un soccorso alle imprese in difficoltà, centralizzando le operazioni. Anche ammesso che un’intesa tra i produttori potesse rappresentare un rimedio efficace, non si trattava certo di un obiettivo facile da realizzare, considerata l’enorme varietà delle produzioni: è sintomatico che le prime riunioni di “cromisti” svoltesi a questo scopo nel dicembre 1929 avessero deliberato di procedere suddividendosi ulteriormente per sottoclassi di prodotto. Nel 1929, del resto, gli indici di attività del settore, calcolati su un campione di imprese e tarati sui livelli del maggio 1928, dopo un record registrato in aprile, nella seconda metà dell’anno si erano stabilizzati su livelli uguali o inferiori a quelli di partenza. In questo quadro di precarietà e a partire dalla metà del 1930 la riduzione generalizzata dell’attività industriale provocata dalla crisi, l’aumento della disoccupazione, la riduzione del potere d’acquisto della popolazione e conseguentemente dei con- 50 Cfr. “La Conceria”, 30 ottobre e 29 dicembre 1929. 55 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957 sumi ebbero effetti molto acuti sul settore. Il quale reagì diminuendo fortemente la produzione e adeguando, attraverso tagli drastici, il prezzo del conciato a quello delle pelli grezze. Per capire quanto questi tagli dovettero essere elevati, basta un rapido sguardo alla traiettoria dei corsi. Al macello di Milano il prezzo delle pelli di bue fino a 40 kg, che nel gennaio 1928 aveva sfiorato 8,50 lire al chilo e che tra il maggio 1929 e l’ottobre 1930 aveva oscillato tra le 5 e le 5,75 lire, precipitò fino a 1,80 lire al chilo nel maggio 1932. Variazioni ancora più accentuate subirono le pelli di vitello e andamenti sostanzialmente simili mostrarono gli analoghi mercati di Chicago, New York e Parigi51. In base al numero di occupati, il punto più basso della crisi fu toccato nel luglio 1932 e i segni di una ripresa incontrovertibile si manifestarono solo a partire dall’autunno 1934. Con il 1935, l’inizio dei preparativi della guerra in Etiopia propose un rinnovato ciclo di crescita che definitivamente chiuse il capitolo della crisi. Tabella 4. Conceria Lorenzo Chiorino, fatturato 1928-1943 (lire correnti). Lire correnti Lire 1938 3.671.163 3.397.045 2.653.504 2.146.149 1.891.853 2.226.994 2.113.810 3.425.109 3.284.591 5.919.905 5.564.563 7.448.904 13.239.504 13.672.412 12.394.309 12.397.417 3.645.168 3.319.909 2.678.148 2.397.664 2.170.463 2.715.496 2.717.756 4.342.067 3.871.507 6.374.493 5.564.563 7.133.815 10.865.041 9.697.173 7.605.599 4.536.327 1928 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939 1940 1941 1942 1943 L’andamento dell’azienda nei primi anni trenta ricalca abbastanza fedelmente questa scansione temporale. Le vendite (vedi tabella 4) si con- 51 Ibid., agosto-settembre 1932. 56 Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture trassero progressivamente fino a raggiungere nel 1932 il punto più basso, equivalente alla metà del fatturato del 1928. Lievemente superiori nel 1933 e 1934 (anno nel quale – annotava Lorenzo – la mancata lievitazione del fatturato era da imputare specialmente al ribasso del 10% subito in aprile dai prezzi dei manufatti), solo nel 1935 esse tornarono a livelli comparabili a quelli del 1929 e dal 1937 in poi conobbero un rinnovato, consistente e prolungato slancio. In corrispondenza con questa traiettoria, l’azienda registrò perdite di entità crescente nel triennio 1930-1932, segnò un piccolo profitto nel 1933 e, chiuso in pareggio l’esercizio 1934, nel 1935 riprese a generare risorse in misura apprezzabile. Il patrimonio netto dà testimonianza di questi movimenti, segnando variazioni negative tra il 1930 e il 1932, un leggero incremento nel 1933 e una ripresa più accentuata dal 1935, trasformata in veri e propri balzi a partire dal 1937 (vedi tabella A1 in Appendice). Più interessante e ricco di indicazioni dell’osservazione della performance quale emerge dai dati sintetici del fatturato e degli utili e delle perdite è addentrarsi in alcuni dettagli delle scelte di formazione del bilancio negli anni della crisi e seguire i passi di Lorenzo nei frangenti più delicati. La prima considerazione riguarda la costanza e la tenace perseveranza con cui furono effettuati investimenti e ammortamenti. Anche negli anni più magri, come fu il 1932, Lorenzo non rinunciò a destinare risorse interne all’acquisto di “macchine più perfezionate” con l’obiettivo dichiarato, come scriveva alle banche creditrici illustrando il bilancio aziendale, di “potere conseguire, con un migliore attrezzamento tecnico, una diminuzione nei costi”52. Tali investimenti proseguirono nel 1933, mentre nel 1934, anno di aumento dell’attività ma non dei margini, Lorenzo era in contatto con la inglese Sandholme Iron Co. di Todmorden per l’acquisto di macchine per tacchetti destinate alla ristrutturazione allora in corso di quello specifico reparto aziendale53. Né venivano trascurati i lavori di miglioramento alle strutture edilizie e agli impianti, come per esem- 52 Carte Chiorino, Lorenzo alla succursale di Biella del Credito Italiano, 21 settembre 1933. 53 Carte Chiorino, Sandholme Iron Co. a Lorenzo, 30 aprile 1934 e relativa risposta, 11 maggio 1934. 57 La spaccatura o egualizzazione delle pelli eseguita presso la Conceria Chiorino con l’ausilio di una macchina Turner di fabbricazione americana (1930 ca). 58 Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture pio l’approfondimento del pozzo artesiano nel 1934 e l’esecuzione di altre piccole costruzioni. Una seconda considerazione riguarda gli ammortamenti, i quali pure, con la sola eccezione del 1932 e in precedenza del 1927, non ebbero tregua negli anni della crisi. Cifre elevate vi vennero destinate nel 1930 e nel 1933, mentre nel 1931 e 1934 la loro minore entità fu pur sempre maggiore delle corrispondenti somme mediamente impegnate tra il 1925 e il 1929. Non di rado ragioni di prudenza suggerirono a Lorenzo di eccedere nella quota di risorse destinata ad ammortamenti, benché ciò avvenisse in riduzione di utili altrimenti ben più consistenti. Così fece nell’esercizio 1933, quando, come scriveva ai creditori, anziché limitarsi ad ammortamenti per circa 80 mila lire e consolidare nel patrimonio un utile di 130 mila, Lorenzo utilizzò quasi interamente l’“utile lordo” di 209 mila lire a riduzione di varie poste dell’attivo. Non diversamente si comportò nell’esercizio successivo. Sotto il termine generico di ammortamenti, peraltro, erano comprese diverse operazioni contabili, dall’ammortamento vero e proprio degli investimenti in capitale fisso, al reintegro del tasso di usura degli impianti e del macchinario, alla svalutazione dei crediti dubbi e delle attività finanziarie il cui corso si era molto scostato dal valore nominale o di libro. Nell’esercizio 1933, per esempio, si stanziarono ammortamenti per macchine e attrezzi, per stabili industriali, per il pozzo artesiano, per il nuovo salone tacchetti, per l’abitazione in regione Aragni, la tomba di famiglia, il mobilio di ufficio e l’“impianto cromo”, e in aggiunta per le azioni della società Autostrada Torino-Milano e della Banca Popolare di Novara. L’anno seguente comparivano abbattimenti anche per 33.800 lire di crediti iscritti nel conto Debitori diversi e successivamente si imputarono ad ammortamento importi di varia entità per tenere conto anche delle variazioni negative nel valore delle giacenze di magazzino. Questa prudente e severa disciplina, che comprimeva le grandezze del bilancio e che per un verso era specchio dell’integrità che Lorenzo metteva negli affari e della sua ferrea determinazione a privilegiare il benessere dell’azienda, per altro verso ebbe una parte nel rafforzare il credito di cui la Conceria godeva sui mercati. È altamente sintomatico dello standing di buon debitore dell’azienda, per esempio, il fatto che nel momento più cupo della depressione, ossia nell’ottobre 1932, Lorenzo ottenesse dalla succursale cittadina del Credito Italiano un 59 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957 finanziamento di 50 mila lire, rinnovabile, contro emissione di una cambiale finanziaria, e che il credito fosse ancora in essere nel giugno 1934. La concessione risulta sintomatica soprattutto quando si tenga conto delle difficoltà che allora attraversava il sistema bancario e finanziario, minacciato dall’aumento delle partite immobilizzate, dal ritiro dei depositi, nella peggiore delle ipotesi dalla bancarotta. Un sistema intento a ricercare, appena fosse possibile, occasioni di smobilizzare il portafoglio e recuperare liquidità. Lo stesso Lorenzo si era visto richiedere nel 1931 dalla Banca Popolare di Novara la parziale cambiarizzazione di uno scoperto di conto corrente e, nel 1933, negare ripetutamente delle aperture di credito documentario a favore di fornitori olandesi e indiani, almeno fino a quando non fosse rientrato degli sconfinamenti sul fido accordato. Che in questo caso non fossero in discussione il credito e la reputazione di Lorenzo, ma che si trattasse dell’esecuzione di politiche di monitoraggio della clientela più serrate, lo dimostra il fatto che la banca si diceva pronta ad accettare carta commerciale che egli avesse in portafoglio. Non solo egli era tenuto per buon debitore, dunque, ma anche per persona capace di bene valutare il credito altrui. La costante attenzione all’aggiornamento del macchinario e degli impianti, il coraggio di investire per diminuire i costi, la prudenza nella gestione delle risorse generate internamente, il tenace – quasi pervicace – perseguimento del benessere patrimoniale e finanziario dell’impresa al di sopra dell’arricchimento personale, la grande dedizione morale e materiale, un certo sagace intuito e il buon nome sono tutti ingredienti del successo con il quale Lorenzo Chiorino superò la crisi degli anni trenta, dando talora l’impressione di cavarsela con minore affanno che in precedenti circostanze critiche. A queste caratteristiche deve essere accostata ancora una certa studiosa sorveglianza dei costi di produzione, che la crisi senza dubbio accentuò. Lo suggeriscono i calcoli analitici dei costi sostenuti per produrre diverse partite di tacchetti in esecuzione di vari ordinativi, accuratamente raccolti e aggiornati tra il 1927 e il 1937, ma con una netta prevalenza degli anni 1930-1933. Il computo tipico era strutturato con l’indicazione minuta: - dei tipi e dei quantitativi delle materie immesse nella lavorazione e del loro costo unitario all’origine, dalle pelli ai chiodi e agli oli; 60 Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture - del costo orario e complessivo della manodopera impiegata a seconda dei livelli di qualifica coinvolti; - del valore degli scarti di produzione; - del calcolo degli interessi sul capitale circolante impegnato per tutta la durata del processo di fabbricazione, a partire dalla data di acquisto della materia prima (pelli) utilizzata; - della resa quantitativa in termini di prodotto finale. Alcuni criteri generali dettavano le modalità di computo dei costi addizionali derivanti da una quota parte delle spese generali e dall’impiego di manodopera indiretta. Tali costi erano attribuiti in proporzione inversa alla grandezza dei valori coinvolti: al crescere di questi, per esempio della manodopera indiretta, diminuiva la percentuale caricata nel costo di fabbricazione complessivo. Altre indicazioni generali rammentavano di tenere debito conto delle variazioni tra il peso delle pelli umide, pronte per la confezione dei tacchetti, e quello delle pelli asciutte a fabbricazione ultimata. Accompagnava la raccolta un elenco della successione di operazioni (19 in tutto per i tacchetti destinati ai telai a cassa fissa) in cui si articolava il processo. È difficile stabilire quale fosse la finalità precipua per la quale veniva condotto questo genere di osservazioni e calcoli. Probabilmente, più che mirati a realizzare un vero e proprio controllo dei costi di gestione e a definire aree di intervento per il loro eventuale contenimento, servivano in primo luogo a definire un prezzo di vendita del prodotto finito corretto, tale cioè da rappresentare un punto di equilibrio accettabile tra l’utile aziendale e i valori di mercato. In secondo luogo, la raccolta sistematica doveva servire da guida e riferimento per valutare la determinazione di scostamenti di prezzo in relazione a variazioni nella qualità delle pelli impiegate. Come che sia, essi testimoniano di un acuminato monitoraggio che certamente non è stato estraneo alla capacità di conciliare il mantenimento del successo commerciale con le esigenze di sopravvivenza dell’impresa anche attraverso le congiunture più difficili. Si è accennato come con il 1935 tornasse decisamente il sereno nei conti aziendali e l’attività del comparto, in ripresa dal 1934, accelerasse notevolmente. Ancora una volta, come spesso era successo a partire dalla prima guerra mondiale, furono provvedimenti governativi a fornire gli 61 Prospetto per il computo dei costi di produzione (1933). 62 Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture stimoli iniziali e più importanti alla modifica delle condizioni del mercato. Il contingentamento delle importazioni di pelli grezze e conciate e di cinghie e altri articoli in cuoio deciso nei primi mesi dell’anno54 schiuse prospettive di un aumento del valore della produzione e di un incremento delle lavorazioni, stimolando immediatamente l’“effervescenza” del comparto55. A questo si aggiunsero i preparativi per la guerra d’Africa (1935-1936), che sottoposero la produzione nazionale a una fortissima pressione per soddisfare gli approvvigionamenti dell’amministrazione militare, cui furono destinate gran parte delle disponibilità di materia prima, semilavorati e “ingredienti” concianti di provenienza sia interna che estera. In seguito, fu il ciclo indotto dai programmi di spesa pubblica per il riarmo a mantenere animato, insieme all’economia nazionale, anche il settore. L’aumento vigoroso dell’attività nella seconda metà degli anni trenta si inquadrò tuttavia in una modifica della situazione dell’industria, sempre più isolata dal contesto internazionale e costretta dalle pressioni politiche e dal crescere dei vincoli amministrativi imposti dall’economia autarchica al proprio normale svolgimento a organizzarsi e irreggimentarsi progressivamente in una struttura burocratizzata in cui la produzione dipendeva largamente da assegnazioni decise dall’organo centrale di categoria. Per la Conceria Lorenzo Chiorino gli anni dal 1935 al 1940 furono anni d’oro. L’ordine di grandezza del fatturato compì tre balzi successivi, passando da 3,3 milioni di lire a 5,9 milioni nel 1937, quindi a 7,4 milio54 A partire dal 19 febbraio 1935 le importazioni di pelli furono assoggettate al regime delle bollette doganali, in base al quale era ammesso l’ingresso di una quota trimestrale del 30% dei quantitativi importati nel corrispondente trimestre del 1934 (escluse da questo trattamento erano le importazioni provenienti da paesi con i quali l’Italia intratteneva accordi di clearing o di altra particolare natura). L’effetto del provvedimento – che, al di là delle pelli, riguardava un vastissimo insieme di beni, inclusi i prodotti concianti e le macchine per l’industria conciaria – fu una significativa riduzione dei flussi in entrata: da 512 mila q nel 1934, il totale generale delle pelli grezze senza pelo entrate nel Regno fu di 445 mila q nel 1935 e 188 mila q nel 1936. Nell’arco 19291936 il mercato estero principale fornitore di pelli grezze bovine fu di gran lunga l’Argentina, seguita da India, Sud Africa, Australia. Per quanto contingentate, le pelli grezze non furono comunque soggette a dazio. Più restrittive le condizioni fissate per l’importazione di pelli conciate, per le quali la quota venne stabilita in misura del 25%, ridotta al 10% nell’aprile 1936. Queste pelli erano colpite da dazi differenziati che proteggevano soprattutto i produttori nazionali di pelli di vitello, vacchetta e altre piccole pelli bovine ed equine non tinte o tinte in nero, lasciando più esposti alla concorrenza estera i conciatori al cromo di pelli di bue e di vacca e i produttori di suole. 55 Carte Chiorino, lettera di Lorenzo alla succursale di Biella della Banca Popolare di Novara, 27 febbraio 1935. 63 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957 ni nel 1939 e infine a oltre 13,6 milioni nel 1940 (vedi tabella 4). A questa fulminea progressione fece riscontro la crescita del patrimonio netto, particolarmente accentuata a partire dal 1937. Il capitale fu portato allora da 1,35 a 2 milioni di lire, a 3 milioni nel 1940. Ancora più cospicuo fu l’incremento delle riserve che, utilizzate fino ad azzeramento nel biennio 1933-1934, furono rapidamente ricostituite. Ammontanti a 100 mila lire nel 1935, erano di 900 mila lire nel 1939, di 3 milioni a chiusura dell’esercizio 194256. Cospicuo fu anche il tasso degli ammortamenti, alla cui determinazione venne assegnata priorità nei primi tre anni di ritrovata prosperità. Complessivamente, nei sei anni 1935-1940 furono destinate ad aumento del patrimonio netto risorse interne per oltre 4.500 mila lire e furono contestualmente effettuati ammortamenti – nell’accezione articolata che si è indicata – appena inferiori a 4.250 mila lire. Solo dopo il 1940 l’espansione del fatturato rallentò dapprima (1941) e si mutò poi in una diminuzione (1942-1943), accentuata dalla ripresa dell’inflazione, come dimostrano i valori espressi in lire costanti. Stessa sorte seguirono i conti patrimoniali. Con la ricchezza generata nel corso di questa notevole performance, cui non fu estranea la dichiarazione di ausiliarietà tanto durante la guerra etiopica, quanto durante la seconda guerra mondiale57, furono finanziati investimenti produttivi, tra i quali spiccano la costruzione di un nuovo salone di conceria nel 1936 e un cospicuo accantonamento di fondi (1.386 mila lire) per l’ampliamento del reparto selleria a carico dell’esercizio 1940. Altre risorse furono impiegate nell’acquisto di immobili confinanti con lo stabilimento e nell’esecuzione di lavori di costruzione, ristrutturazione e dotazione di attrezzi dei nuovi fabbricati. Nel 1937 fu rilevata una proprietà sulla quale si ergevano una casa di abitazione elevata su due piani più sottotetto e due ampi locali non soffittati, già sede di un sapo- 56 Tale dato include anche un Fondo per ampliamento fabbrica per 1 milione di lire. Durante la seconda guerra mondiale, in realtà, la dichiarazione di “stabilimento ausiliario” durò lo spazio brevissimo di un mese e mezzo: comunicata il 16 giugno 1940, fu revocata il 31 luglio successivo (Carte Chiorino, corrispondenza del Sottosegretariato di stato per le fabbricazioni di guerra). Il fatto non sorprende, considerato che il numero delle imprese mobilitate con decreto di ausiliarietà variò con una certa ampiezza: 1173 nel giugno 1940, erano solo 991 nel settembre successivo, 1790 nella primavera 1943. Nonostante la revoca la conceria rimase tuttavia sottoposta ai controlli di natura tecnica e disciplinare del Sottosegretariato. 57 64 Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture nificio58. L’anno seguente fu la volta di un terreno a prato59, mentre nel 1939 Lorenzo rilevò un immobile che era venuto a trovarsi incuneato tra la fabbrica e altri terreni dipendenti dalla conceria60. Ancora, nel 1941 egli acquistò una proprietà a nord dei confini aziendali61. Tra 1943 e 1947 l’ampliamento delle strutture, degli impianti e del macchinario continuò ininterrotto, favorito da un’inflazione tendente a sfuggire al controllo fino al brusco arresto imposto dalla stretta monetaria dell’autunno 1947. Gli investimenti realizzati nel quinquennio assommarono a 52 milioni di lire, la parte più cospicua dei quali finanziò la costruzione di un nuovo magazzino per lo stoccaggio delle materie prime (9 milioni di lire), di una centrale termoelettrica (8 milioni), di un reparto selleria con tettoie (6,4 milioni), di un’autorimessa (3 milioni), la sopraelevazione dello stabile ex saponificio (2,8 milioni), la costruzione di strade (3,2 milioni), condotte fognarie (1,1 milioni) e inoltre fosse per bilici, un piazzale antistante l’autorimessa, scarichi dell’acqua e strutture per lo stendissaggio. Per quanto riguarda gli impianti fissi, furono installati una caldaia (7,6 milioni) e due essiccatoi (2,7 milioni), di cui uno nel vecchio saponificio. I residui 7 milioni furono infine destinati all’acquisto di nuovo macchinario. Alla espansione degli immobili e dei fabbricati corrispose l’ampliamento dell’organizzazione produttiva. Le notizie in proposito sono molto esigue, ma consentono egualmente di farsi un’idea del grande sviluppo 58 As Bi, Conservatoria dei registri immobiliari, Atti, vol. 932, n. 2903, rogito notaio Pericle Germano, 21 agosto 1937. Il prezzo pagato per la cessione fu di 80 mila lire. L’immobile, di proprietà di Mario Ciocchetti e della superficie di 14,10 are, era localizzato nei pressi dello stabilimento produttivo, ma non era direttamente confinante. 59 As Bi, Conservatoria dei registri immobiliari, Atti, vol. 945, n. 1083, rogito notaio Pericle Germano, 14 aprile 1938. Per l’immobile, che confinava a est con la proprietà aziendale, misurava 13,65 are e apparteneva a Rosina Ramella Gall, sposata Mosca, fu corrisposta la somma di 25 mila lire. 60 As, Bi, Conservatoria dei registri immobiliari, Atti, vol. 982, n. 4204, rogito notaio Pericle Germano, 21 dicembre 1939. Si trattava di un’area di complessive 18,68 are sulla quale aveva sede una recente costruzione di due piani più sottotetto, articolata in otto locali e dotata di orto e giardino. Cedente per la somma di novantamila lire era Rosa Cardano, sposata Zanone. 61 As, Bi, Conservatoria dei registri immobiliari, Atti, vol. 6, n. 659, rogito notaio Pericle Germano, 13 marzo 1941. Appartenente a Giovanni Blotto, la proprietà era maggiore delle altre (23,93 are), constava di un edificio a tre piani con annessi cortile, orto e giardino. La vendita fu fatta per l’importo di centomila lire. 65 Veduta della Conceria Lorenzo Chiorino (1932). Illustrazione pubblicitaria dello stesso periodo. 66 Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture dimensionale toccato negli anni trenta e più ancora durante la seconda guerra mondiale. Due dati sono rilevanti in proposito. Anzitutto il numero dei dipendenti, che nel luglio 1933 erano settanta, raggiunsero quota 105 – ossia esattamente il 50% in più – nel settembre 1941, ed erano 135 – dunque quasi il doppio – nel luglio 1943. In secondo luogo, la presenza di dieci impiegati tra i dipendenti a quest’ultima data, numero anch’esso presumibilmente in ascesa rispetto a quanto lascia supporre l’esistenza nel mobilio di ufficio di sei macchine da scrivere nel 1932. Lo sviluppo quantitativo dell’impresa aveva raggiunto e più volte superato una soglia tale da richiedere anche un’accresciuta articolazione funzionale e, pertanto, un numero di impiegati maggiore per l’assolvimento dei carichi amministrativi inerenti alla gestione. Sempre su una base indiretta e indiziaria si possono fare congetture sull’assetto della produzione in termini di prodotti, tenendo presente che i settori più interessati dalla ripresa della seconda metà degli anni trenta erano anche quelli da cui normalmente originava un consumo più regolare di cinghie di trasmissione. Tali erano infatti l’industria siderurgica e metallurgica, dei cavi e del materiale elettrico in genere, con maggiori oscillazioni quella meccanica e automobilistica. Minore fu invece probabilmente la massa di lavoro generata dal ramo tessile, la cui attività rimase al di sotto dei livelli del 1929 anche nello scorcio del decennio. In questa cornice è plausibile che il baricentro della produzione aziendale di manufatti si spostasse vieppiù a favore delle cinghie e l’ipotesi trova riscontro in sporadici dettagli indicanti in una misura dell’ordine del 40% il contributo al fatturato del reparto tacchetti per telai. Un ultimo cenno merita l’organizzazione commerciale, che verso la fine degli anni trenta sembra ruotare intorno a un certo numero di commissionari e a quattro agenti con base a Milano, Schio, Torino e Napoli. Alla luce di questi sviluppi, si può ben ritenere che la conceria Lorenzo Chiorino si affacciasse alla ricostruzione con un assetto patrimoniale e tecnico complessivamente robusto e bene attrezzato per affrontare le sfide poste dal dopoguerra. Ed è fuor di dubbio che queste fossero molte e molto impegnative, dal momento che, al di là di continuità con il più recente passato che non potevano essere obliterate nel volgere di pochi anni, il nuovo contesto politico nazionale e internazionale, le fondamenta- 67 Illustrazioni della metà degli anni trenta pubblicizzanti specifiche linee di prodotto. Il reparto tacchetti in attivita’ (1930 ca). 68 Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture li scelte di politica economica in senso liberista compiute dalla classe dirigente del paese nei confronti soprattutto dei progetti di integrazione europea, lo sviluppo della cooperazione internazionale in campo finanziario, in materia di cambi e pagamenti nonché di trasferimento di tecnologie concorsero a modificare profondamente il sistema di vincoli e opportunità in cui si svolgeva l’azione imprenditoriale e a riorientarne le aspettative. Alla fine degli anni quaranta l’industria conciaria si dibatteva ancora in querelles di antico sapore con i grossisti di pelli grezze per l’ingiustificato livello dei prezzi, cercando rimedi alla dispersione dei produttori e alla loro conseguente debolezza sul mercato; levava ancora lamenti per il basso potere d’acquisto delle masse e per i pochi consumi; si lagnava ancora delle restrizioni o dei sussidi che distorcevano il commercio internazionale e dell’invasione del prodotto estero, capace di infilarsi nelle maglie larghe di una liberalizzazione degli scambi che, tra la fine degli anni quaranta e l’inizio degli anni cinquanta, risultava asimmetrica e penalizzante per alcuni comparti produttivi nazionali. A una di queste lagnanze si era unito Lorenzo Chiorino, firmatario con i maggiori industriali conciatori biellesi di una protesta indirizzata all’Unione nazionale industria conciaria, l’associazione di categoria, per denunciare la situazione di difficoltà che per tutto il 1948 e l’inizio del 1949 aveva afflitto i produttori di cinghie. Tenuità della domanda, prezzi bassi del manufatto, alto corso delle pelli grezze nazionali, dazio sull’importazione di quelle estere, rincaro della sterlina congiuravano in danno dei “cuoi tecnici” insieme ad accordi commerciali bilaterali (con la Francia e con il Belgio, con la Gran Bretagna) che sacrificavano questo speciale sottosettore conciario a favore di altre categorie di conciatori. Fatto interessante, non si richiedeva maggiore protezione, ma l’abolizione del dazio sul grezzo e l’avvio di una liberalizzazione commerciale autentica e reciproca62. Posizioni e atteggiamenti simili a questi, non di rado diffusi, avevano spesso buone e fondate ragioni, coglievano problemi reali, specialmente per quello che riguarda il commercio con l’estero, in cui all’apertura da parte italiana non era sempre corrisposto – nei primi anni cinquan- 62 Cinghie e articoli tecnici, in “La Conceria”, 29 gennaio 1949. Oltre alla Lorenzo Chiorino firmavano il documento le concerie Umberto Chiorino, Bersano, Magliola, Serralunga, Varale e Corte. 69 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957 ta – uguale comportamento delle controparti europee. Tuttavia, queste difficoltà erano legate per lo più a contingenze destinate a essere superate in tempi brevi. Molto più serie e di ampia portata erano due preoccupazioni di cui gli industriali più accorti acquisirono rapidamente chiara consapevolezza. Anzitutto, che in un contesto di progressiva apertura dei mercati le sfide più importanti per la conceria italiana riguardavano l’aggiornamento tecnico, l’“inseguimento” dei paesi più avanzati, l’abbandono dell’empiria nei processi di fabbricazione, l’introduzione di un più organico raccordo con le competenze chimico-scientifiche. In secondo luogo, che prima o poi si sarebbero dovuti fare seriamente i conti con i sostituti del cuoio. Come si vedrà nella seconda parte, negli anni cinquanta la Conceria Lorenzo Chiorino avrebbe affrontato con determinazione entrambe queste sfide. Lorenzo, superata la soglia dei settant’anni e ormai prossimo al ritiro, poteva con sicurezza fare assegnamento sulle energie e le risorse che i due figli, associatiglisi nella gestione da più di un quindicennio, avrebbero versato nell’impresa. L’inserimento della seconda generazione La scelta dei figli per succedergli nella guida dell’impresa si presentò a Lorenzo come un esito per molti aspetti del tutto naturale. Essa costituiva la parte più cospicua del patrimonio di famiglia, alla sua costruzione egli aveva dedicato tutte le proprie energie e in essa aveva riversato tutte o quasi le risorse che l’impresa stessa aveva generato nel tempo. Il suo destino imprenditoriale, deciso nel 1905 approfittando delle opportunità straordinarie che all’inizio del secolo si erano offerte all’intensificazione del processo di industrializzazione italiano, lo aveva sì portato a modificare radicalmente il modello di accumulazione ereditato dalle generazioni che lo avevano preceduto, spostandone l’oggetto dalla proprietà di terreni all’attività industriale, ma questa non era una ragione sufficiente per mettere in discussione la trasmissione diretta del patrimonio-azienda agli eredi naturali. Lo era semmai per comprendere che l’impresa era un genere di attività (o di “asset”) che, molto più o comunque in modo molto diverso da un campo coltivato o da una proprietà immobiliare, richiedeva 70 Angelo e Fulvio Chiorino in visita al reparto selleria nella seconda meta’ degli anni trenta. 71 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957 una preparazione particolare per essere gestito con successo, e per comprendere che sul capitale umano dei propri successori sarebbe occorso compiere opportuni e mirati investimenti. Egli cominciò pertanto molto presto a pensare ai percorsi educativi e formativi dei figli Fulvio e Angelo, sin da quando, cioè, questi si trovarono nell’età di intraprendere gli studi secondari. E li concepì in modo tale che la loro specifica preparazione potesse apportare all’impresa risorse nuove, grazie alle quali continuare a svilupparsi, mantenersi aggiornata, reggere il confronto con la concorrenza e garantirsi continuità nel tempo. Né d’altra parte si trattava soltanto di pensare a un futuro, quello del ritiro di Lorenzo dalla vita lavorativa, che negli anni venti doveva apparire ancora assai remoto. Si trattava anche, molto più concretamente, di alimentare le basi immateriali di sviluppo dell’impresa sin dal primo momento utile. Era infatti pure questa, nella visione di Lorenzo, un’esigenza impellente nello stesso identico modo in cui lo erano gli investimenti in beni strumentali e impianti, tanto più alla luce della folgorante crescita dimensionale compiuta nello spazio del primo quindicennio. Sotto questo risvolto, anzi, e in aggiunta al tratto biellese del volere provvedere da sé, dopo la prova fatta con il fratello Umberto a cavallo della prima guerra mondiale Lorenzo aveva un motivo in più per allevare e attingere nel seno della propria famiglia le competenze e le abilità necessarie allo sviluppo dell’azienda, piuttosto che acquisirle all’esterno, con tutte le incognite che la scelta poteva riservare. Infine, ma non certo ultimo per importanza, l’inserimento dei figli era un modo di darsi cura del loro avvenire, di “sistemarli”, di offrire loro un’opportunità ponendoli nelle condizioni di provvedersi dei mezzi di un sicuro sostentamento e di un’esistenza decorosa, possibilmente migliore della sua. Un modo che, per inciso, riproponeva a Fulvio e ad Angelo quell’intreccio tra gli ambiti professionale e familiare che nella sua esperienza biografica si era dimostrato virtuoso e centrale. La strategia che Lorenzo seguì mirò a realizzare un assortimento di competenze tecniche e gestionali che, alla luce dei risultati, si dimostrò felicemente indovinato. Fulvio, il primogenito, venne indirizzato a una approfondita formazione di carattere eminentemente tecnico. Dopo avere conseguito il diploma di ragioniere a Biella, tra il 1924 e il 1926 frequentò a Torino l’Istituto nazionale per le industrie del cuoio, allora la migliore scuola professionale esistente in Italia per la formazione di periti industriali 72 L’inserimento della seconda generazione destinati a ricoprire funzioni tecnico-direttive nel settore conciario. Successivamente coronò il proprio ciclo di studi con un soggiorno di perfezionamento presso il Leather Institute di Londra, di reputazione internazionale. Adempiuti gli obblighi di leva, nel 1928 entrò nell’azienda paterna. Di cinque anni posteriore, risalente al 1933, fu l’ingresso di Angelo, che seguì invece un percorso formativo orientato all’acquisizione di abilità economico-gestionali, basato sugli studi di ragioneria a Biella e sulla laurea in economia e commercio all’Università degli studi di Torino. In armonia con i diversi percorsi formativi i due giovani assunsero in azienda ruoli distinti. A Fulvio fu affidata la responsabilità del reparto conceria, ad Angelo quella della fabbrica di tacchetti. Stipendiati l’uno e l’altro, come era stato sin dalle origini per Lorenzo e, finché erano stati in società, per il fratello Umberto, essi pervennero attraverso un percorso graduale al coinvolgimento formale e giuridicamente riconosciuto nella responsabilità imprenditoriale. La prima tappa, nel dicembre 1935, quando erano poco meno che trentenni, consistette nell’investitura della procura generale ad agire in nome e per conto dell’azienda. Il secondo passaggio, decisivo, riguardante l’ammissione a figurare come soci a pieno titolo, avvenne nel luglio 1943, quando per Lorenzo, ormai sessantaseienne, il momento del ritiro o della cessazione nei ruoli di maggiore operatività cominciava a profilarsi relativamente prossimo. Allora la ditta “Conceria Lorenzo Chiorino” cessò per essere ricostituita nella forma di una società in nome collettivo di ragione sociale “Conceria Lorenzo Chiorino e figli”63. Contestualmente i rapporti patrimoniali tra i soci vennero definiti in modo da separare il patrimonio familiare da quello dell’impresa. L’ingresso della seconda generazione consentì pressoché fin dal principio l’ispessimento dei ranghi gerarchico-funzionali al vertice dell’impresa, i quali vennero ad articolarsi nelle figure del proprietario, del direttore tecnico, dell’assistente tecnico e dei capi reparto. Grazie al nuovo assetto Lorenzo poté alleggerirsi progressivamente di una parte delle responsabilità operative a tutto vantaggio dell’accentuazione del ruolo di supervisione, e questo fu senz’altro opportuno considerato che accadde in un 63 Archivio della Camera di commercio di Vercelli, Registro delle ditte. 73 Foto di gruppo in occasione del Cinquantenario. 19 maggio 1956. Al centro, seduti, Fulvio e Angelo Chiorino. 74 75 1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957 periodo (1933-1943) in cui l’impresa compì un ulteriore salto dimensionale, raddoppiando in breve tempo il numero degli occupati. Dal canto loro, Fulvio e Angelo ebbero modo di fare esperienza degli aspetti tecnici, economici e gestionali connessi alla direzione dell’impresa e di temprarsi, sotto il riparo offerto dalla sicura guida paterna, attraverso congiunture di straordinaria intensità e di segno completamente opposto. Nei circa vent’anni di sovrapposizione delle due generazioni in azienda, accanto all’apprendistato e alla maturazione imprenditoriale contò non meno (e forse di più) l’assimilazione da parte dei due fratelli della cultura gestionale che Lorenzo aveva elaborato negli anni e che presiedeva ai suoi quotidiani comportamenti e al suo stile di conduzione. Quando all’inizio degli anni cinquanta sarebbe venuto il momento di assumere la piena responsabilità della gestione, Fulvio e Angelo sarebbero stati nelle condizioni di riprodurre anche il sistema di valori che Lorenzo aveva legato all’azienda, continuandone, insieme all’attività, l’identità più profonda. 76 Foto-ritratto di Lorenzo Chiorino (1955). 77 Illustrazione pubblicitaria delle nuove cinghie Chromnylon “Fortenax”. 78 2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982 Nel primo trentennio che seguì la seconda guerra mondiale la gestione della Conceria dovette misurarsi con sfide di un genere sostanzialmente diverso da quelle che erano prevalse negli anni venti e trenta. Preminenti divennero in questo periodo gli aspetti tecnologici e dell’innovazione legati all’introduzione di materiali alternativi al cuoio e alla ricerca di nuove applicazioni industriali, ricerca che negli anni settanta in definitiva condusse all’emancipazione dal tessile come principale mercato di riferimento della produzione aziendale e alla sua sostituzione con un insieme di nuovi settori, dalla meccanica alla cartotecnica, dall’industria dell’imballaggio a quella alimentare. La ridefinizione delle priorità della gestione secondo l’imperativo del “cambiamento” ebbe implicazioni di straordinaria rilevanza per l’impresa, giacché in un primo tempo rese necessarie l’acquisizione di competenze tecniche capaci di adattare e guidare i nuovi processi produttivi e la formazione o assunzione di manodopera specializzata per il trattamento dei nuovi materiali. In un momento successivo, l’urgenza di individuare una gamma di prodotti radicalmente rinnovata diresse sollecitazioni ancora più intense alla definizione della strategia imprenditoriale, al nucleo delle conoscenze e delle abilità tecniche internamente disponibili e all’organizzazione commerciale. Giunse allora a compimento, in sostanza, il radicale “cambiamento di pelle” che negli anni sessanta era entrato in incubazione, una vera e propria metamorfosi che distinse la sorte della Conceria Chiorino da quella dei concorrenti locali, produttori di cuoi tecnici, e che, portata a termine la trasformazione degli assetti produttivi, nell’ultimo ventennio del secolo permise all’impresa di iniziare un ulteriore intenso percorso di crescita. Che cambiamento e innovazione divenissero il motivo dominante della gestione negli anni della ricostruzione e del miracolo economico non poté del resto essere evitato, pena la condanna al progressivo isterilimento dell’attività aziendale. Evoluzioni di grande portata segnarono infatti il 79 2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982 secondo dopoguerra tanto sul piano tecnologico che su quello dei mercati e della produzione, beneficiando di un contesto macroeconomico interno e internazionale stabilizzato e dell’apertura dei mercati nel quadro dell’integrazione europea. Il progresso tecnico e i trasferimenti di tecnologia resi possibili dalla diffusione degli investimenti esteri diretti e da specifiche iniziative in campo internazionale modificarono le condizioni in cui si svolgeva la produzione di numerosi settori, inclusi quello conciario e dei cuoi tecnici e così pure il settore tessile, principale cliente della Conceria. Per effetto di tali mutamenti, da un lato migliorò la qualità e crebbe la disponibilità delle materie prime di sintesi – gomma sintetica e resine termoplastiche –, le quali presentavano, oltre a caratteristiche meglio in grado di soddisfare le esigenze della domanda, il vantaggio di costi inferiori e di un ciclo di produzione più breve rispetto al cuoio. Dall’altro, l’aggiornamento degli impianti dell’industria tessile stimolò il comparto dei componenti e degli accessori ad adattarsi alla produzione di articoli con caratteristiche chimico-fisiche diverse e soprattutto con maggiore resistenza alle sollecitazioni meccaniche. Con il passare del tempo le innovazioni riguardanti il macchinario tessile portarono al superamento di tutta una gamma di accessori tradizionalmente utilizzati negli impianti di tessitura e filatura, prospettando nel complesso serie difficoltà alla crescita ulteriore di un’impresa che su questa gamma di prodotti aveva sin dal principio costruito gran parte delle proprie fortune. In parallelo all’evoluzione tecnologica, anche i mercati della produzione presentarono graduali modifiche strutturali. In particolare, a partire dalla fine degli anni cinquanta e in misura vieppiù intensificata nei decenni seguenti l’industria conciaria manifestò la tendenza a spostarsi dai paesi più sviluppati, quali il Nord America e l’Europa nord occidentale, verso paesi con un minore grado di sviluppo, quali l’Europa mediterranea, il Giappone, i paesi a economia pianificata e le economie del terzo mondo di recente emancipazione, segnando una traiettoria che prima o poi avrebbero percorso anche i paesi di più recente industrializzazione64. Così in Italia la produzione di cuoio continuò a crescere per tutto il decennio 1960 trai- 64 Cfr. Food and Agriculture Organisation (Fao), L’économie mondiale des cuirs et peaux et de la chaussure, Roma, Fao, 1970, p. 4. 80 nata dallo sviluppo dell’industria calzaturiera, ma successivamente, specializzatasi e raggiunta la piena maturità, conobbe un declino paragonabile a quello toccato alle economie più avanzate. Il concorso congiunto di questi mutamenti rese ineludibile per la Conceria un riorientamento anche in termini di prodotto e dei relativi mercati. Se è vero che nel contesto delineatosi a partire dagli anni cinquanta crebbe considerevolmente l’esposizione dell’impresa a una concorrenza internazionale agguerrita e temibile, è vero altresì che nello stesso tempo aumentarono enormemente rispetto agli anni tra le due guerre anche le opportunità tecnologiche e di mercato. Basti confrontare, per farsi un’idea approssimativa dei margini di espansione che il settore del cuoio nel suo complesso aveva in Italia, l’andamento delle importazioni di pelli conciate non da pellicceria: poco meno di 14 mila quintali nel 1933, nel 1963 superavano abbondantemente i 36 mila65. Molto più ingente era il potenziale del mercato delle applicazioni in gomma e in materie plastiche, ancora in una fase germinale di sviluppo. Per comprendere meglio l’impatto che i cambiamenti accennati ebbero sull’impresa, vale la pena di osservare che nel trentennio di cui ci si occupa in questa seconda parte lo sviluppo tecnico richiese conoscenze decisamente più approfondite e più complesse di quelle che erano occorse negli anni di avvio della Conceria e che Lorenzo Chiorino aveva potuto acquisire da autodidatta. Ancora alla fine degli anni sessanta la gomma sintetica non era del tutto assestata su standard qualitativi universalmente riconosciuti, era poco trattata nelle facoltà ingegneristiche e scientifiche e soffriva l’accesa concorrenza che le materie plastiche le muovevano in riferimento a un largo spettro di applicazioni industriali, per le quali i due tipi di materiali presentavano discreti tassi di sostituibilità66. La prolungata situazione di relativa incertezza tra opzioni tecnologiche alternative, unita al vasto potenziale ancora aperto allo sviluppo delle materie prime di sintesi e al loro impiego industriale, costringeva le imprese produttrici di accessori a investire risorse nel campo della ricerca e dello sviluppo per mantenere, insieme all’aggiornamento tecnico, le 65 Cfr. “La Conceria”, 21 novembre 1963. A.H. Meursing, Le esigenze delle industrie della gomma produttrici di articoli “non pneumatici”, in “Industria della gomma”, giugno 1968, pp. 31-35. 66 81 I pregi del cuoio vantati rispetto a quelli della gomma in un foglio pubblicitario della metà degli anni cinquanta. 82 2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982 posizioni di mercato. L’industria delle “piccole serie”, rivolta alla soddisfazione di una domanda altamente specializzata e diversificata di prodotti su misura, dominata da imprese di dimensioni medie, come la Conceria Chiorino, o addirittura piccole, poté scavarsi in questo settore nicchie di mercato in cui godeva di un vantaggio competitivo rispetto all’industria delle “grandi serie”, dominata dalla grande impresa. Tuttavia rispetto a quest’ultima si trovava, a causa della dimensione ridotta e della mancanza di economie di scala, in condizioni assai meno vantaggiose nel reperire le risorse (finanziarie e talora anche umane) da destinare a programmi di ricerca e sviluppo. Qui si collocava pertanto una potenziale strozzatura strutturale alla crescita, e la ricerca del modo di affrontarla e di aggirarla efficacemente fu cruciale per lo sviluppo dell’impresa. Di qui anche l’importanza della solidità patrimoniale, di una gestione consapevole di dovere fare dell’equilibrio finanziario un obiettivo prioritario, un prerequisito indispensabile delle strategie di innovazione, data la relativa parsimonia di risorse che si sarebbero potute investire nella ricerca. Di qui ancora, per finire, l’importanza dell’apporto – in termini di competenze ed energie – della terza generazione, entrata in azienda nel corso degli anni sessanta. L’introduzione di materiali alternativi al cuoio Negli anni cinquanta il confronto tra il cuoio e i suoi sostituti tornò di grande attualità e si fece anzi assai serrato grazie ai progressi dell’industria chimica, in particolare quella degli idrocarburi, che portarono alla larga diffusione della gomma sintetica e delle materie plastiche. Molto più delle alternative commercialmente disponibili a un prezzo interessante nel periodo tra le due guerre, ossia la gomma naturale e i tessuti di fibre naturali quali il pelo di cammello, il cotone, la canapa, in molti campi applicativi i nuovi materiali mossero al cuoio una concorrenza decisamente formidabile, destinata a mostrarsi di fatto insuperabile nel lungo andare. La forza della minaccia era tale che tanto a livello nazionale quanto internazionale ripresero corso in modo intensificato e con l’ausilio di organismi ad hoc le campagne di promozione e difesa del cuoio. In Italia, il Centro di propaganda del cuoio, finanziato dagli associati dell’Unione nazionale industria conciaria (Unic), ricorreva a reclame sulle pagine delle riviste 83 2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982 specializzate, interveniva con propri spazi alle manifestazioni fieristiche (da quella di Milano alla Fiera del Levante, passando per le più settoriali fiere di Vigevano, Bologna, Civitanova Marche, Parabiago, Vicenza), partecipava ai congressi internazionali dedicati all’educazione sanitaria, premeva sulle autorità scolastiche per portare la propria pedagogia nelle scuole e raggiungere in tal modo il pubblico più giovane quando ancora si trovava in età formativa. Arrivava persino ad avvalersi degli strumenti di comunicazione più moderni, finanziando la realizzazione di cortometraggi dedicati ai pregi del cuoio da distribuire e proiettare nelle sale cinematografiche. Nel solo 1956 furono prodotti ben quattro documentari, con eccessi propagandistici tali da suscitare in un caso la reazione dei produttori di gomma e una vertenza legale67. Questa profusione di sforzi era però impotente ad arrestare una tendenza che aveva dalla propria troppo consistenti vantaggi di mercato e un apparato industriale potente e concentrato. Alla fine degli anni sessanta, se la presenza di materiali diversi dal cuoio nella fabbricazione di scarpe (che non solo in Italia, ma in tutto il mondo rappresentavano il principale utilizzo finale delle pelli conciate), di capi di abbigliamento e di oggetti da viaggio era apprezzabile ma non ingente, molto pronunciata era la sostituzione avvenuta nel mercato degli articoli tecnici, al quale la Chiorino rivolgeva la parte di gran lunga maggioritaria della propria produzione68. Con il passare del tempo divenne pertanto una necessità improcrastinabile che la direzione imprenditoriale si ponesse nella prospettiva di conoscere da vicino il mercato dei materiali alternativi e ne valutasse l’effettivo potenziale, ne sondasse i margini di opportunità commerciale e, appuratane la consistenza, studiasse la fattibilità di avviarne la produzione nell’ambito aziendale. Del vasto e impegnativo compito di esplorare la realtà commerciale e produttiva delle resine sintetiche si fece carico personalmente e principalmente Fulvio Chiorino, cui non solo competevano le responsabilità della produzione, ma che era anche per formazione il depositario del sape- 67 Cfr. Un anno di propaganda di cuoio, in “La Conceria”, 4 gennaio 1957. Anche la Conceria partecipò alle iniziative propagandistiche in difesa del cuoio applicando la stampigliatura del motto “Nulla può sostituire il cuoio” sulle buste impiegate per la corrispondenza ordinaria. 68 Cfr. Fao, L’économie mondiale des cuirs et peaux et de la chaussure, cit., p. 74. 84 L’introduzione di materiali alternativi al cuoio re tecnico all’interno della direzione. Trattandosi di materiali il cui sfruttamento industriale era, specialmente in Italia, relativamente recente e in merito ai quali l’impresa non disponeva di conoscenze al proprio interno, si rese necessario trovare il modo di acquisirle, attivando strategie o sfruttando il concorso di circostanze di volta in volta diverse, sebbene nella sostanza, come si vedrà, tra loro assai simili. I primi articoli “nuovi” a entrare in produzione, dopo circa tre anni di studio e messa a punto, furono, nel 1958, i tacchetti per telaio in plastica. Commercializzati con il marchio “Fortenax-plast” (variazione del marchio “Fortenax” creato negli anni cinquanta per i più tradizionali tacchetti in pergamena), erano ottenuti attraverso un processo di estrusione di polietilene ad alta densità e presentavano, rispetto all’analogo prodotto in cuoio, il vantaggio di essere molto più resistenti nel tempo, più elastici e perciò fonte di minori inconvenienti per le parti meccaniche dei telai, infine più economici. In questo caso, nonostante la radicale novità della materia prima impiegata, le difficoltà tecniche da superare non erano state particolarmente significative, se si eccettua qualche problema inizialmente posto dal fatto che gli estrusori disponibili erano ancora relativamente poco perfezionati. Quasi contemporanea, ossia del 1959, ma di ben altra rilevanza fu la fabbricazione delle cinghie in cuoio e nylon, le cosiddette “Chromnylon”. Il loro sviluppo, infatti, più laborioso da realizzare, segnò un accrescimento importante nel patrimonio di tecniche produttive aziendali, patrimonio che negli anni settanta sarebbe stato selettivamente attinto e riformulato per la produzione dei nastri trasportatori. La struttura delle Chromnylon era formata da una banda di nylon stirato ricoperta sui due lati da cuoio conciato al cromo. Proprio qui, nella banda, risiedeva la principale innovazione del prodotto, giacché su essa si scaricavano gli sforzi e le tensioni principali originate dalla trasmissione di potenza. Date le caratteristiche di maggiore elasticità del nylon (pressoché inestensibile), la sua resistenza alla rottura, la leggerezza e la sottigliezza di spessore, le “Chromnylon” consentivano performance ed esibivano flessibilità di impiego molto superiori rispetto alle migliori cinghie in cuoio. La loro fabbricazione richiese tuttavia a Fulvio di compiere numerosi viaggi in Germania presso gli stabilimenti della Basf, produttrice delle bande in poliammide, nonché presso la società che ne effettuava la stiratura, allo 85 Accessori per telaio realizzati con i nuovi materiali sintetici in alcune illustrazioni della fine degli anni sessanta. Le cinghie piane di trasmissione “Nailgum” in illustrazioni dei primi anni settanta. 86 L’introduzione di materiali alternativi al cuoio scopo di acquisire familiarità con le caratteristiche del nylon e con le sue possibilità e modalità di impiego. Sotto il profilo del processo, invece, l’innovazione più rilevante stava nell’accoppiamento delle strisce di cuoio alla banda interna, un problema tecnico risolto grazie alle consolidate competenze disponibili in azienda in fatto di cuoio, colle e procedimenti di giunzionamento, competenze che permisero di arrivare alla fabbricazione di un prodotto di qualità, relativamente stabile, capace di reggere la concorrenza dei produttori svizzeri e tedeschi e di differenziarsi dalle cinghie in tela gommata che in quegli anni fabbricava in Italia la Pirelli. Il manufatto, oltre che nel tessile, dove trovava applicazione sul macchinario introdotto proprio in quegli anni in diversi tipi di lavorazione e specialmente nella torcitura e nella cardatura, aveva nel settore cartario, in quello alimentare, negli impianti di laminazione e in diversi comparti meccanici ulteriori clienti particolarmente interessati. Circa dieci anni dopo, con opportuni adattamenti e sfruttando i saperi originati dalla lavorazione della gomma, ma pur sempre nel solco di una sostanziale contiguità, questa stessa tecnologia fu utilizzata per produrre cinghie in gomma e nylon e, successivamente, nastri. Più rilevante delle Chromnylon per i riflessi che ebbe sull’apprendimento di conoscenze e l’appropriazione di tecnologie fu però l’innovazione introdotta nei processi aziendali con l’avvio della fabbricazione di articoli in gomma, immessi sul mercato nella prima metà degli anni sessanta con il marchio “Fortenaxgum”69. Rispetto all’introduzione del polietilene per i tacchetti, il passaggio fu in questo caso molto più complesso, non foss’altro perché più complessa era la tecnologia della gomma e più complicato e articolato il processo di produzione dei componenti che si volevano ottenere: tiranti e paracolpi in un primo tempo, successivamente una estesa gamma di accessori per macchine tessili, dai cilindretti ai manicotti per carde, alle cinghiette di stiro. Attorno al “progetto gomma” furono perciò mobilitate e fatte convergere le principali risorse tecniche: Fulvio, sovrintendente gli sviluppi più o meno da lontano; Gian Paolo, suo primogenito fresco di una 69 Le informazioni sull’avvio e lo sviluppo delle lavorazioni in gomma sono per larga parte attinte alle conversazioni con Gian Paolo Chiorino (5 maggio 2005) e con Luca Chiorino (3 maggio 2005). 87 2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982 laurea in ingegneria chimica; un perito elettrotecnico appositamente assunto alla metà degli anni sessanta per accompagnare gli sviluppi delle lavorazioni; un consulente esterno di grande esperienza e competenza specifica70. Questi, in particolare, era all’epoca il direttore dei laboratori di ricerca sulle materie plastiche della Montecatini situati a Castellanza71. Era stato l’ingegnere Gian Paolo a farne la conoscenza nel corso di un soggiorno presso gli impianti del colosso chimico, effettuato allo scopo di acquisire familiarità con le gomme sintetiche, e a proporne l’incarico. Per il dottor Renato Maini, questo il nome del consulente, fu l’avvio di una collaborazione quasi decennale con la Conceria Chiorino, svolta con cadenza settimanale nella giornata del sabato. Nonostante l’investimento di energie individuali e di alte competenze esterne e nonostante il rilievo che il reparto gomma avrebbe assunto in termini di fatturato e di investimenti, rilievo di cui si dirà tra poco, il coagulo di conoscenze tecniche e scientifiche intorno al “progetto” avvenne progressivamente. La sperimentazione sulla gomma partì infatti in modo sommesso, quasi in sordina, occupando inizialmente non più di due o tre persone e nemmeno tutti i giorni della settimana. Solo gradualmente, mano a mano che si ottennero risultati positivi nella sperimentazione e che si intravide più chiaramente e concretamente la possibilità di avviare la produzione, vi furono dedicate nuove risorse. Il primo passo, proprio perché una delle difficoltà dell’utilizzo della gomma sintetica consisteva nel formulare una ricetta idonea a ottenere un tipo di materiale con caratteristiche determinate partendo da un numero di ingredienti di base che poteva facilmente supe70 Anche Luca, terzo dei figli di Fulvio a entrare in azienda dopo la laurea in chimica industriale, alla fine degli anni sessanta, si sarebbe dedicato principalmente allo sviluppo degli articoli in gomma. Di questo si dirà nel prossimo paragrafo. 71 Il laboratorio di Castellanza era uno dei numerosi laboratori di ricerca della Montecatini. Avviato negli anni trenta, nel 1948 era stato significativamente allargato per consentire una intensificata attività di ricerca e sviluppo. Sebbene la Montecatini producesse negli impianti di Castellanza alcuni tipi di resine sintetiche sin dal 1934, fu solo a partire dagli anni cinquanta che questo genere di produzioni conobbe un consistente aumento nel solco dello sviluppo della petrolchimica. Cfr. Pier Paolo Saviotti (1990), Il ruolo della ricerca e della tecnologia nello sviluppo della Montecatini, in Montecatini, 1888-1966. Capitoli di storia di una grande impresa, a cura di Franco Amatori e Bruno Bezza, Bologna, il Mulino, 1990, p. 382; Franco Amatori, Montecatini: un profilo storico, in ibid., pp. 60 ss.; Vera Zamagni, L’industria chimica in Italia dalle origini agli anni cinquanta, in ibid., pp. 112 ss. 88 Il laboratorio chimico e il reparto selleria negli anni sessanta. 89 2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982 rare la dozzina, il primo passo, si diceva, consistette nell’allestimento di un piccolo laboratorio sotto la guida del consulente esterno. Qui si analizzavano i prodotti della concorrenza, si sperimentavano le ricette, si mescolavano i componenti, si vulcanizzavano e si testavano i diversi tipi di gomma. Nei primi tempi, laddove gli strumenti si rivelavano insufficienti a produrre un’analisi soddisfacente dei materiali, dei campioni venivano inviati all’Istituto internazionale della gomma di Parigi. L’impianto di un laboratorio non fu un’innovazione da poco, anche per la Conceria, abituata sin dalle origini, grazie all’impronta datale da Lorenzo, a sperimentare sempre nuovi procedimenti tecnici e a saggiare costantemente la qualità del prodotto. Un piccolo laboratorio per la concia già esisteva in quegli anni, ma tuttavia con la gomma, e successivamente con le resine plastiche, l’attività del laboratorio sarebbe divenuta un fulcro sempre più coerentemente e sistematicamente inserito nelle routine produttive aziendali. Il secondo passo fu la ricerca del tessuto idoneo a essere gommato, sovrapposto in molteplici strati, pressato e vulcanizzato. Poiché era il tessuto a costituire l’armatura del manufatto, ossia del tirante, le sue caratteristiche erano di particolare importanza, da esse dipendeva la tenuta dell’adesione degli strati gli uni sugli altri. Un’ulteriore tappa, risolta grazie alle abilità meccaniche presenti in azienda, consistette nel procurarsi stampi in grado di resistere alle sollecitazioni delle fasi finali della lavorazione, la pressatura e la vulcanizzazione. Campionato il prodotto presso la clientela interessata e ottenuti positivi riscontri, il passo successivo fu il passaggio dalla produzione sulla scala ridotta del laboratorio sperimentale a quella su scala industriale. Un’operazione tutt’altro che scevra di complicazioni tecniche (specialmente per quanto concerne le operazioni di spalmatura, vulcanizzazione e i dosaggi) e per la quale il concorso delle competenze ingegneristiche di Gian Paolo e del consulente esterno riuscì particolarmente prezioso. In definitiva ci vollero oltre due anni e mezzo tra 1962 e 1965 perché la fase sperimentale fosse portata a termine, la produzione andasse a regime e il prodotto cominciasse a essere regolarmente collocato. Accanto a tiranti e parabattenti, un terzo articolo in gomma entrato in produzione alla fine degli anni sessanta, artefice della trasformazione delle lavorazioni in gomma in un vero e proprio reparto industriale e 90 L’introduzione di materiali alternativi al cuoio più degli altri destinato a un notevole e duraturo successo commerciale, furono i manicotti per carde “Spinngum”, anch’essi seguiti da Gian Paolo nelle principali fasi di realizzazione, sebbene ormai dalla distanza72. Il prodotto in sé, come era stato per gli altri tradizionali prodotti “rivisitati” con i nuovi materiali di sintesi, non era nuovo alla Conceria. Almeno dagli anni venti si fabbricavano manicotti in cuoio per pettinatrici, mentre i pregi del manicotto per carderia, sempre in cuoio, erano esaltati con grande enfasi ancora in un catalogo aziendale della prima metà degli anni cinquanta in contrapposizione a quelli dell’equivalente manicotto in gomma, già disponibile sul mercato a opera di ditte concorrenti73. Fiutato il buon potenziale commerciale, la decisione di intraprenderne la produzione, di per sé irta di difficoltà tecniche a causa dell’elevata precisione richiesta dalle lavorazioni e dal macchinario impiegato allo scopo, fu agevolata dall’occasione di acquisire una quarantina di grossi cilindri di acciaio (propriamente mandrini) di vario diametro ceduti da una ditta belga specializzata, operante nel distretto tessile di Verviers e già fornitrice dei principali costruttori di carde europei. Fu un evento fortunato, giacché permise di disporre di strumenti di produzione perfettamente calibrati e di provata affidabilità tecnica e di allestire sin dal principio un’offerta di formati sufficientemente variegata da accontentare le esigenze di una domanda al solito molto differenziata. La varietà consentì al tempo stesso di ridurre il rischio di sottoutilizzo dell’autoclave e dell’altro macchinario acquistato appositamente per questa linea di prodotto. I belgi furono inoltre prodighi di consigli sulle varie fasi del processo di lavorazione fino alla vulcanizzazione. I successivi passaggi di rettifica della superficie esterna del manicotto (che doveva essere perfettamente liscia e omogenea) e di rigatura poterono invece essere risolti sfruttando le abilità già presenti in azienda. In modo diverso da caso a caso, ma seguendo, come si è detto, percorsi sostanzialmente simili, altri articoli in gomma entrarono a fare parte 72 Dell’allontanamento di Gian Paolo dalla Conceria per seguire un’attività in proprio si dirà nel prossimo paragrafo. Per lo sviluppo e il successo commerciale dei manicotti per carde si rimanda alle interviste con Gian Paolo Chiorino, Lorenzo Chiorino (11 aprile 2005) e Cesare Garella (26 aprile 2005). 73 Ne costruivano, ad esempio, la Pirelli, una ditta francese e una tedesca. 91 2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982 negli anni sessanta della rosa di prodotti della Conceria. Il loro successo presso la clientela fu tale che le lavorazioni in gomma presero rapidamente l’estensione di un reparto a se stante, fatto oggetto all’inizio degli anni settanta di un intervento di ampliamento e riorganizzazione in vista di un’ulteriore espansione della produzione. Al risalto assunto in termini fisici fece riscontro il rilievo assunto da questa produzione a livello di fatturato. Come mostra la tabella 5, il contributo dei prodotti in gomma, evidenziato nei conti interni a partire dal 1966, già nel 1970 rappresentava più di un quinto del valore delle vendite e giunse a superare, alla metà degli anni settanta, il 40% del fatturato complessivo. Alla fine del decennio il rilievo delle nuove produzioni era tale che la proprietà decise di darne evidenza anche nella ragione sociale, appositamente modificata nel settembre 1969 in “Lorenzo Chiorino & Figli s.a.s. – Industrie riunite (Cuoio-Gomma-Plastica)”. È significativo e presago degli sviluppi futuri che il termine “Conceria” decadesse allora e definitivamente dal nome della società. Tabella 5. Incidenza della produzione in gomma sul fatturato della Conceria, 1966-1970 1966 1967 1968 1969 1970 Fatturato gomma (milioni di lire) Incidenza sul fatturato totale (%) 26 61 67 89 120 6,10 13,23 15,69 18,20 20,98 Occorre tuttavia ricordare che, nonostante il rapido sviluppo delle lavorazioni in gomma in uno spazio di tempo molto breve, per tutti gli anni sessanta e parte degli anni settanta l’assetto della produzione aziendale rimase dominato dal cuoio in termini di fatturato, di spazi fisici e di consistenza della forza lavoro addetta. Il ritmo e la distribuzione ineguali del processo di rinnovamento del macchinario nell’industria tessile, infatti, il suo procedere a “macchia di leopardo”, lasciando cioè coesistere molte imprese dotate di impianti tradizionali accanto a imprese più pronte ad ammodernarsi, determinarono per un lungo periodo di tempo la sovrapposizione della domanda di accessori in cuoio a quella di accessori realizzati con i nuovi materiali di sintesi. Fu dunque per certi aspetti una scelta natu- 92 L’introduzione di materiali alternativi al cuoio rale per la Conceria continuare a coltivare una clientela e a mantenere in piena attività una linea di prodotti cui erano legate le proprie origini e per le quali vantava competenze di alto profilo. Tanto più che nel perfezionamento delle tecniche di concia e di lavorazione del cuoio Fulvio e Angelo avevano continuato a investire risorse negli anni cinquanta e sessanta, come testimoniano la già accennata conduzione di un laboratorio di conceria e il reclutamento a tempo ridotto di un consulente esterno laureato in chimica. Il cuoio nel suo insieme, del resto, costituiva un serbatoio di saperi cui furono a più riprese attinte conoscenze tecniche e tecnologiche importanti per lo sviluppo dei prodotti basati sulle resine sintetiche. Anche sotto altri punti di vista, d’altra parte, l’inserimento delle nuove produzioni avvenne relativamente in sordina, senza provocare un impatto rilevante sul complesso dell’azienda. È un fatto per certi aspetti sorprendente che, mentre ci si appropriava di conoscenze e tecnologie destinate a cambiare radicalmente lo spettro delle competenze interne, mentre si faceva via via più spazio ai materiali di sintesi e si modificavano gli assetti produttivi e, in piccola parte, i mercati di riferimento, poco cambiasse in alcune delle cifre più significative della dimensione aziendale. Per tutti gli anni sessanta, per esempio, la forza lavoro rimase pressoché costante, passando da 95 occupati nel 1961 a 108 nel 1970. Come mostra la tabella 6, il dato decennale nasconde un andamento in realtà più dinamico, caratterizzato da un calo fino a 78 addetti nel 1965 e da un aumento costante negli anni successivi, ancorché concentrato negli anni 1966 e 1970. Tali movimenti, tuttavia, non modificano il quadro di sostanziale stabilità degli anni sessanta. Tabella 6. Forza lavoro occupata, 1961-1970 Numero dei dipendenti 1961 1962 1963 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970 95 96 96 85 78 91 93 97 101 108 93 2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982 Non diversamente si comportò in questi anni il fatturato, che presenta infatti anch’esso un andamento di sostanziale stabilità. Pari a 353 milioni di lire nel 1961, era di 572 milioni nel 1970, esibendo un aumento complessivo del 62%, equivalente a un tasso di crescita medio annuo composto del 5,5%. Misurata in termini reali, la performance era assai meno dinamica, dal momento che arrivava appena a sfiorare un incremento del 14% nell’intero periodo, pari a un tasso di incremento annuo composto dell’1,46% (vedi tabella 7). Anche in questo caso l’arco di tempo decennale maschera un andamento in realtà articolato in alterni sottoperiodi di crescita e contrazione. Snodo centrale in questo senso fu il punto di svolta congiunturale rappresentato dalla stretta creditizia e fiscale del 1963-1964, data che segna l’esaurimento del “miracolo economico” italiano e l’inizio di una stagione di crescita di minore intensità. Anche la Conceria risentì del mutamento della congiuntura registrando un’apprezzabile contrazione del fatturato nel 1964 (-17,1%), contrazione che risulta ancora più pronunciata se si guarda ai dati espressi in lire costanti (-21,8%). Nel 1966 la ripresa era però già consistente e tale si mantenne negli anni successivi, con la sola eccezione del 1968. Tabella 7. Fatturato complessivo, 1961-1970 (valori in milioni) 1961 1962 1963 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970 lire correnti lire 2004 353 400 444 368 426 461 427 489 572 7.390,8 7.968,4 8.226,6 6.436,8 7.000,9 7.427,5 6.793,2 7.567,1 8.423,2 Più significativo è tuttavia un altro fenomeno che comincia a manifestarsi nella seconda metà degli anni sessanta e che prenderà un notevole rilievo nel decennio successivo, ossia la crescita del fatturato effettuato all’estero grazie all’esportazione del prodotto (vedi grafico 1). Nemmeno questa era del tutto una novità. Già negli anni venti vi sono indizi che una piccolissima parte della produzione era collocata sui mercati esteri. Dopo la pausa impo- 94 L’introduzione di materiali alternativi al cuoio sta dalla chiusura dei mercati internazionali negli anni trenta, i canali dell’esportazione erano stati lentamente riaperti nel corso degli anni cinquanta e nella prima metà degli anni sessanta vi trovava sbocco una percentuale del prodotto relativamente stabile, di poco inferiore al 7%. Nella seconda metà degli anni sessanta, però, le vendite realizzate fuori dai confini nazionali compirono un vero e proprio balzo quantitativo, aprendo un solco destinato ad allargarsi ed approfondirsi fino a diventare la fonte di gran lunga maggioritaria del fatturato aziendale. Un dato sintetizza molto efficacemente il dinamismo di questo sviluppo: a fronte di una crescita del 62% delle vendite nel decennio, le esportazioni aumentarono di un fattore pari a 3,87, arrivando a formare, in termini relativi, oltre un quinto del totale complessivo. Grafico 1 . Ripartizione del fatturato, 1961-1970 (mil. di lire correnti) 600 500 400 300 200 100 n.d. 0 1961 1962 1963 1964 fatturato totale 1965 1966 1967 1968 1969 fatturato Italia fatturato estero 1970 Alla guida dell’impresa, intanto, Fulvio e Angelo, privi della tutela paterna sin dai primi anni cinquanta, vennero definendo sempre più chiaramente i rispettivi ruoli nel segno di un’armonica e complementare divisione dei compiti. Fulvio, tecnico di formazione, si assunse le responsabilità della produzione. Usando una metafora, si può dire che egli fosse in prima linea sul fronte interno. Di sua competenza erano gli aspetti tecnici e tecnologici, l’organizzazione della produzione e del lavoro, l’approvvigionamento delle materie prime, il controllo sulla regolarità di funzionamento della macchina produttiva aziendale e sulla qualità del prodotto. A lui facevano capo la gestione dei rapporti con le maestranze e la formazione degli agenti commerciali in merito alle caratteristiche tecniche dei pro- 95 2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982 dotti della Conceria. Non sempre tutte queste incombenze ricadevano su di lui direttamente ed esclusivamente, naturalmente. La struttura organizzativa di fabbrica prevedeva figure intermedie, di competenza tecnica, che seguivano più da vicino la vita quotidiana dei reparti produttivi e cui erano delegati compiti importanti in materia di organizzazione, svolgimento della produzione, progettazione e sorveglianza. Nondimeno, quand’anche non le seguiva in prima persona, era a Fulvio che tutte le questioni originanti da questi ambiti erano deferite in ultima istanza ed era lui, in seno alla direzione dell’impresa, che aveva la responsabilità e la competenza per decidere. Almeno fin dove le decisioni non avevano implicazioni di carattere economico e finanziario, nel quale caso le scelte, che erano comunque sempre condivise, si appoggiavano alla consultazione e alle valutazioni del fratello Angelo. L’importanza del cambiamento tecnico negli anni che seguirono la seconda guerra e la necessità che ne derivò di importare nella produzione aziendale nuovi materiali, nuovi prodotti, nuove tecnologie e nuovi saperi esaltarono notevolmente il ruolo di Fulvio tanto sul versante interno, quanto su quello esterno del monitoraggio delle innovazioni che venivano via via introdotte nelle tecniche e nei prodotti all’interno del comparto. In questo senso il suo sguardo era lungi dal restare confinato entro il perimetro dell’impresa. Come sempre si era sforzato di fare il padre, Lorenzo, anche Fulvio tenne un occhio sempre vigile sugli sviluppi che interessavano la concorrenza e sul modificarsi delle esigenze della clientela. Più orientato verso l’esterno, o se si vuole, più attento alla contestualizzazione della realtà dell’impresa nel molteplice insieme di mercati in cui essa si muoveva, attento a coglierne riflessi e implicazioni e a scorgervi le sfide, gli impedimenti o le opportunità per la vita aziendale, era invece Angelo. Laureato in economia, egli assunse il compito della gestione dell’impresa sotto il profilo economico e finanziario. Era lui ad avere il quadro dei conti, a tenere sotto controllo l’andamento economico, a conoscere nei dettagli la situazione patrimoniale e finanziaria, a monitorare il complesso dei vincoli e delle risorse disponibili. A valutare, di conseguenza, la fattibilità di una spesa e la sostenibilità di un investimento produttivo; a impiegare la ricchezza accumulata e a gestire la tesoreria; a pianificare gli aspetti fiscali e gli assetti societari. Nell’assolvere queste funzioni Angelo si avvaleva, come detto, oltre che degli strumenti acquisiti 96 L’introduzione di materiali alternativi al cuoio nel corso del percorso formativo, delle informazioni e delle conoscenze che gli derivavano dall’osservazione costante dei differenti mercati in cui l’impresa operava. Dai mercati valutari, attinti per l’acquisto delle materie prime e l’esitazione di una quota crescente della produzione, a quelli delle materie prime stesse; dai mercati finanziari a quelli immobiliari, scrutati per cogliere opportunità di acquisto di terreni destinati all’ampliamento degli impianti produttivi o per investire, come di fatto avvenne, parte dei risparmi d’impresa; ai mercati del prodotto, per osservare le tendenze in atto e le traiettorie evolutive generali dei settori che costituivano i principali clienti della Conceria. Solo incarico esecutivo di Angelo implicante responsabilità dirette in materia di produzione era la direzione del reparto tacchetti, retaggio risalente al suo ingresso in azienda negli anni tra le due guerre e successivamente consolidatosi. Ma lo sguardo capace di collocare l’impresa all’interno di quadri più vasti e di proiettarla entro scenari futuri fu senza dubbio un apporto distintivo di grande rilevanza. Certamente costituì una risorsa cruciale negli anni cinquanta e sessanta, quando fu decisivo comprendere la necessità di raccogliere la sfida del cambiamento e dell’innovazione e predisporvi l’azienda, e valse negli anni settanta a orientare lo sviluppo successivo, allorché si trattò di abbandonare il tessile quale mercato di riferimento74. L’assortimento di competenze a forte grado di complementarietà e la chiara divisione dei compiti tra i fratelli, uniti a una prassi estesa e continua di consultazione reciproca, di dialogo e di confronto, anche serrato, assicurarono snellezza decisionale ed efficienza alla direzione d’impresa, permettendole di affrontare con successo la stagione di crescita e trasformazione succeduta alla guerra e di intraprendere l’incerta e ardua strada del cambiamento, sulla quale ben pochi concorrenti locali riuscirono a seguire la Conceria. In definitiva, nel periodo compreso tra la metà degli anni cinquanta e la fine degli anni sessanta la gamma dei prodotti aziendali fu profondamente rinnovata arrivando a includere, accanto alla tradizionale produzione in cuoio, tacchetti in plastica, cinghie in cuoio e nylon, tiranti, 74 L’autore è particolarmente grato a Maurizio Sella e a Lorenzo Chiorino per indicazioni utili a mettere a fuoco il ruolo di Angelo. 97 Réclames di prodotti in gomma dei primi anni settanta. 98 L’introduzione di materiali alternativi al cuoio tirantini, paracolpi, parabattenti, manicotti e cilindretti in gomma. Contestualmente anche il patrimonio di competenze interne si ampliò significativamente. Soprattutto, fu acquisita e “metabolizzata” una buona disposizione generale a raccogliere le sfide del cambiamento, secondo un atteggiamento del quale solo in parte si possono scorgere gli antecedenti nella tensione del fondatore, Lorenzo, verso il continuo miglioramento della qualità dei prodotti e il continuo adattamento alle richieste del mercato. Dopo la guerra tale disposizione richiese infatti sforzi ben più coraggiosi ed ebbe implicazioni di ben più vasto impatto sulla vita aziendale. Osservando in filigrana gli sviluppi di questi anni e cogliendo le somiglianze che accomunarono tra loro le modalità di introduzione dei singoli nuovi prodotti, si ha l’impressione di scorgere tra i numerosi apprendimenti anche la messa a punto di un modo specifico di procedere nei confronti dell’innovazione, un modo che si sarebbe progressivamente condensato in un modello e sarebbe stato utilizzato anche in successive occasioni. Partendo generalmente dall’individuazione di un potenziale di mercato, tale modello si basava su una combinazione variabile di conoscenze altamente specializzate attinte all’esterno nella forma di consulenze, di competenze interne supplite dagli esponenti della proprietà in possesso di una formazione tecnica, di abilità e saperi già presenti in azienda o sviluppati contestualmente all’introduzione dei nuovi materiali e delle nuove tecnologie. Un elemento portante fu la creazione di rapporti di collaborazione con i fornitori e con la clientela per le fasi dello sviluppo e del test del prodotto. In massima, poi, il processo dell’innovazione si sviluppò gradualmente secondo un procedimento del tipo trial and error, attraverso tentativi e approssimazioni successive, con investimenti finanziari di solito altrettanto graduali. Un altro ingrediente molto significativo, e non di rado cruciale, fu l’elevato grado di commitment, ossia di coinvolgimento e dedizione personale, esibito da tutte le persone più direttamente interessate nel processo, da Fulvio medesimo ad alcuni membri della terza generazione, ad alcuni dipendenti di formazione tecnica, nei quali si distribuirono e accumularono via via competenze essenziali che, al crescere della complessità della produzione, non potevano rimanere nel pieno ed esclusivo controllo della proprietà. Un ulteriore elemento del modello fu la tendenza a generare apprendimenti relativamente difficili a trasferirsi e concentrati in persone chiave, di conseguenza a sviluppare un forte inte- 99 2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982 resse reciproco all’instaurazione di rapporti di lavoro di lunga durata. Come corollario, e come risultato dell’interminata sequenza di adattamenti e aggiustamenti, l’innovazione produsse altresì un’elevata “specificità” del macchinario e dei processi75. Combinando prudenza e sperimentazione e sfruttando le collaborazioni intessute a monte e a valle del processo produttivo, questo modo di procedere permise di aggirare il vincolo finanziario strutturale gravante sulle attività di ricerca e sviluppo di un’impresa sempre più chimica e tuttavia di “piccole serie”, si conciliò assai bene con l’esigenza di preservare la solidità patrimoniale ed ebbe il merito di bene adattarsi a una struttura organizzativa di fabbrica relativamente semplice e informale. Negli anni cinquanta e sessanta, dunque, sotto la superficie di una performance poco dinamica se misurata in termini di crescita del fatturato e della forza lavoro, fu innescato ed entrò in gestazione un processo di metamorfosi di grande portata, incerto ancora degli approdi finali, ma risolutamente determinato a garantire condizioni di crescita e prosperità all’impresa. A esso prestarono linfa preziosa i discendenti della terza generazione, entrati in azienda poco alla volta nel corso degli anni sessanta. L’inserimento della terza generazione, leva del cambiamento Non diversamente da quanto era avvenuto per Lorenzo, anche Fulvio e Angelo cominciarono a formarsi una propria famiglia dopo essersi stabilmente inseriti nell’azienda paterna e, in particolare, quando le prospettive di sviluppo dell’attività, superata la Grande Depressione, tornarono a essere positive e a permettere di guardare al futuro con una certa fiducia. Rispetto al loro padre erano semmai, invero, più giovani di qualche anno. Angelo, il secondogenito, si sposò con Margherita Reda nel settembre 1935. Un anno dopo, nel novembre 1936, fu la volta di Fulvio e Olga Perona. Corse poco tempo perché alle nozze seguissero i figli, cinque per ciascuna coppia, nati tutti nell’arco di un quindicennio, tra il 1937 e il 1951. Con sorprendente specularità, furono quattro maschi e una femmina dall’una parte e dall’altra: Lorenzo 75 Per specificità si intende qui restituire il concetto di asset specificity. 100 L’inserimento della terza generazione, leva del cambiamento (1937), Federico (1938), Maria Chiara (1942), Gregorio (1945) e Amedeo (1948) i figli di Angelo e Margherita; Gian Paolo (1937), Mario Alberto (1939), Luca (1942), Stefano (1945) e Anna (1951) i figli di Fulvio e Olga. Fu naturale e scontato per i due imprenditori, come già in passato per Lorenzo, pensare i figli come candidati d’elezione a trovare un posto di responsabilità all’interno dell’impresa e a garantirne la continuità nel tempo attraverso la successione alla guida. Questo pensiero ne orientò le scelte in materia di percorsi educativi e formazione professionale sin da quando i giovani furono in età di cominciare gli studi secondari. Non era tuttavia semplice immaginare una collocazione in azienda per ciascun discendente. Sussisteva da un lato e in primo luogo il timore che le dimensioni reddituali della Conceria potessero non bastare al mantenimento di un numero così elevato di successori. Dall’altro, era un compito intrinsecamente difficile avviare la terza generazione verso percorsi professionali tra sé compatibili e al tempo stesso coerenti con le esigenze di crescita dell’impresa. Per tacere del fatto che sarebbe stato necessario scegliere, in aggiunta, il candidato più idoneo – due tutto al più – cui addossare le massime responsabilità della direzione imprenditoriale. Di fronte a questa complessità Fulvio e Angelo decisero anzitutto di limitare il numero dei figli destinati a entrare in azienda. Le due figlie sarebbero state preventivamente escluse, come era nel costume sociale degli anni cinquanta, del resto, e come contemplavano le tradizioni successorie locali76. Fu inoltre stabilito che solo tre maschi per parte avrebbero avuto posto nell’impresa. Gli esclusi, beninteso, sarebbero stati equamente indennizzati con altre porzioni del patrimonio familiare. Quanto all’indirizzo degli studi e della professione, la soluzione adottata consistette nel contemperare preferenze e desideri dei genitori stessi, esigenze d’impresa, attitudini e indoli dei figli. Avvenne di fatto che i figli di 76 Era antica consuetudine nel Biellese che le figlie femmine fossero escluse dall’asse ereditario come eredi universali. La quota di patrimonio familiare loro spettante era solitamente assegnata in forma di dote all’atto del matrimonio, mentre ulteriori lasciti solevano intervenire sotto specie di successive donazioni qualora fosse necessario compiere compensazioni con il patrimonio trasmesso agli eredi maschi. Questi erano solitamente i soli eredi universali e conservavano indivisi i beni tramandati, molto spesso proprietà fondiarie, al fine di contenere l’eccessiva frammentazione (cfr. F. Ramella, Terra e telai, cit., pp. 72 e ss.). Coerentemente con questa antica tradizione si erano comportati sia Angelo (1846-1921), sia Lorenzo Chiorino, il quale nel 1956 liquidò le tre figlie e trasmise il patrimonio aziendale ai soli figli maschi. 101 1. Veduta aerea dello stabilimento alla fine degli anni cinquanta. 2. Lo stand espositivo allestito per la Fiera di Milano alla fine degli anni cinquanta. 102 L’inserimento della terza generazione, leva del cambiamento Fulvio ricevettero una formazione tecnica, quelli di Angelo una formazione di carattere prevalentemente economico-gestionale. Lorenzo Chiorino, primogenito di Angelo e primo esponente della terza generazione, fu anche il primo a entrare in azienda. Terminato il liceo scientifico a Biella nel 1955, seguì il consiglio paterno di intraprendere studi di economia e si laureò pochi anni dopo in Scienze economiche all’Università degli studi di Torino. Assolto il servizio militare in Aeronautica, ai primi del 1962, a un soffio dai venticinque anni, cominciò a lavorare per la Conceria con l’incarico di seguire la rete commerciale. In concreto ciò significava occuparsi degli agenti di vendita e dei rivenditori regionali, visitare la clientela italiana più importante, cercare di acquisirne di nuova. Oltre a queste mansioni, Lorenzo si prese cura di estendere la presenza della Chiorino nelle fiere internazionali e di settore. Non più solo la Fiera Campionaria di Milano o quella del Levante, a Bari, esposizioni di carattere generalista, bensì anche quelle organizzate dall’International Exhibition Textile Machinery (Itma) ogni quattro anni, a rotazione sulle maggiori piazze europee: ad Hannover (1963), a Basilea (1967), a Parigi (1971) e via via Milano, ancora Hannover, di nuovo Milano77. Qui, per il tramite dell’Associazione dei costruttori italiani di macchine per l’industria tessile (Acimit), cui la Chiorino aderiva, oltre agli utenti finali si raggiungevano direttamente i costruttori del macchinario con l’intento di fornire il cosiddetto “primo corredo”, ossia gli accessori che venivano montati sulle macchine dai fabbricanti stessi. Tale tattica commerciale, cui si era ricorso in passato e che sarebbe stata seguita anche in futuro con le ulteriori nuove applicazioni, aveva il duplice vantaggio di fornire il primo equipaggiamento al costruttore e di presentarsi agli utilizzatori finali come i fornitori dei ricambi originali. Alle fiere dell’Itma si aggiunsero verso la fine degli anni sessanta e negli anni settanta quelle dell’Ipack-Ima, specializzata nel settore degli imballaggi, quelle della Simei (Salone internazionale macchine per enologia e imbottigliamento), quelle del comparto alimentare, nell’intento di raggiungere nuovi potenziali mercati. Nella seconda metà del 1962 fu la volta di Gian Paolo, primogenito di Fulvio, a entrare in azienda. Solo di pochi mesi più giovane di 77 Tali mostre, iniziate nel 1951, continuano tuttora con la stessa invariata cadenza quadriennale. 103 2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982 Lorenzo, aveva frequentato lo stesso liceo di Biella e si era successivamente iscritto alla facoltà di Ingegneria del Politecnico di Torino, corso di laurea in Ingegneria industriale chimica, assecondando di buon grado il suggerimento paterno. Laureatosi con ottimi voti e premiato per la migliore tesi italiana dell’anno in quel settore, Gian Paolo cominciò l’attività lavorativa nell’azienda di famiglia appena terminato il servizio militare. In forma indiretta, o ufficiosa, il suo coinvolgimento era cominciato già prima. Nell’estate del 1959 aveva compiuto uno stage presso gli impianti della Ciba di Basilea per approfondire la chimica degli agenti concianti. L’anno successivo, su richiesta del padre allora intento allo sviluppo delle Chromnylon, aveva condotto uno studio sulla meccanica delle cinghie. La brillante carriera negli studi, la serietà e la grande applicazione di cui aveva dato prova, la laurea in ingegneria chimica erano tutti ingredienti che facevano convergere su di lui grandi aspettative per il contributo che avrebbe recato all’impresa familiare, impegnata in quegli anni nella sperimentazione di nuovi materiali che ne avrebbero rappresentato il futuro. Ne facevano anche, sebbene non fosse argomento apertamente dibattuto, il candidato in pectore alla successione imprenditoriale. Il ruolo affidatogli fu quello di responsabile tecnico dei nuovi prodotti e dei nuovi macchinari. Nello specifico, Gian Paolo ebbe l’incarico di sviluppare la produzione dei primi articoli in gomma (tiranti e paracolpi) e fu in massima parte l’artefice dell’innesto di queste nuove produzioni nella cornice aziendale. Come già si è visto nel paragrafo precedente, egli conobbe e reclutò come consulente esterno il dottor Renato Maini, responsabile dei laboratori della Montecatini di Castellanza. Con il suo aiuto costituì il laboratorio sperimentale del nascente reparto gomma e impostò la produzione fino alle fasi di test e prima commercializzazione del prodotto. D’altra parte, le conoscenze tecnico-ingegneristiche di Gian Paolo erano particolarmente utili in questa fase anche nell’ambito di alcune relazioni commerciali. Specialmente laddove si trattava di sviluppare ulteriormente il prodotto o di perfezionarlo, modellandone le caratteristiche sulle esigenze della clientela, la sicura competenza tecnica che egli esibiva rendeva più facile il dialogo e più spedito il processo di adattamento produttivo. Di qui le visite presso la clientela maggiore nei centri di produzione tessile nazionali, nel Biellese e nel Pratese. La collaborazione di Gian Paolo ebbe tuttavia vita relativamente breve. Dopo poco più di due anni, portato a termine con successo l’incari- 104 L’inserimento della terza generazione, leva del cambiamento co affidatogli, sul finire del 1964 egli maturò la decisione di allontanarsi dall’azienda familiare per condurre un’impresa in proprio, assumendone pienamente la responsabilità imprenditoriale. La scelta cadde su una tintoria installata all’interno di immobili di proprietà della famiglia. Il proprietario ne cedeva l’attività e la famiglia se ne fece rilevataria senza dare luogo a interventi sul patrimonio, sino allora rimasto indiviso, ma diversificando e ripartendo la proprietà della nuova attività in quote paritetiche. A Gian Paolo si accostò il cugino Lorenzo con il compito di curare la parte amministrativa, un impegno assolto a tempo ridotto, giacché la sua attività lavorativa continuava a svolgersi nel settore commerciale della Conceria. Nonostante il distacco, fino al 1970, anno in cui cessò ogni collaborazione, Gian Paolo continuò a mettere le proprie competenze al servizio dell’azienda nell’ambito in cui esse erano più richieste. Continuò ad affiancare, il sabato, il consulente esterno nelle attività di ricerca svolte nel laboratorio gomma. Seguì in prima persona, verso la fine degli anni sessanta, come si è visto, l’innesto della produzione dei manicotti per carde, un progetto industriale importante e complesso che esigeva una visione dei processi produttivi non solo tecnico-chimica, ma più propriamente ingegneristica. Si dedicò fino al 1968 alla cura di una parte selezionata della clientela acquirente dei prodotti in gomma di più recente introduzione, effettuando visite a cadenza mensile, accompagnato negli ultimi anni dal fratello minore, Luca, laureando in Chimica industriale. Terzo dopo Lorenzo e Gian Paolo, nel 1966 toccò a Stefano, quarto dei figli di Fulvio, trovare occupazione nell’impresa di famiglia. Indirizzato dal padre verso il diploma di perito conciario, conseguito nel 1964 presso l’Istituto tecnico industriale G. Baldracco di Torino78, frequentò subito dopo un corso di perfezionamento a Lione, dove aveva sede una scuola per conciatori di fama internazionale. Trascorsovi un periodo di sei mesi e successivamente assolti gli obblighi militari, all’arrivo in Conceria Stefano ricevette l’incarico di occuparsi del funzionamento dei reparti concia e selleria, dall’acquisto delle pelli grezze alla trasformazione in cuoio, alla lavorazione e alla vendita di semilavorati (soprattutto gropponi) e prodotti finiti. Erano anni in cui il cuoio costituiva una quota 78 Si trattava, sotto altra denominazione e ordinamento, dello stesso Istituto nazionale per le industrie del cuoio in cui aveva studiato Fulvio negli anni venti. 105 2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982 ancora nettamente preponderante del fatturato aziendale (vedi grafico 2), pur rappresentando a livello nazionale un settore maturo, sempre più popolato da produttori specializzati in singole fasi di lavorazione e di cui incominciava a intravedersi la traiettoria di un declino prossimo futuro. Anni in cui la diminuzione della domanda proveniente dal tessile induceva al reindirizzamento crescente della produzione da un lato verso i semilavorati destinati alla selleria sportiva (selle e finimenti per l’equitazione), dall’altro verso applicazioni tradizionali (sponde per tavoli da biliardo) o relativamente recenti (cinghiette puntapiedi per bicicletta). In termini relativi la percentuale di fatturato realizzata con gli articoli in cuoio decrebbe molto rapidamente, mentre in termini assoluti sarebbe aumentata ancora fino al 1980, prima di imboccare la strada di un’inesorabile riduzione e della definitiva dismissione. Grafico 2. Incidenza della produzione in cuoio sul fatturato della Conceria, 1961-1970 450 400 350 300 250 200 150 100 50 n.d. 0 1961 1962 1963 1964 1965 fatturato cuoio (mill. lire correnti) 1966 1967 1968 1969 1970 incidenza sul fatturato totale (%) Il 1969 fu l’anno dell’ingresso in azienda dei rimanenti tre esponenti della nuova generazione: Luca, Gregorio e Amedeo. Come il fratello maggiore Gian Paolo, Luca era stato indirizzato dal consiglio paterno a seguire una preparazione eminentemente tecnica in vista di contribuire all’ulteriore sviluppo dei materiali sintetici, in particolare della gomma. Terminato il liceo scientifico, si era laureato in Chimica industriale all’Università di Torino nel 1969 e aveva in seguito compiuto uno stage di perfezionamento presso l’Istituto nazionale della gomma di Parigi. Il percor- 106 L’inserimento della terza generazione, leva del cambiamento so formativo ne faceva perciò il giovane con il profilo di competenze più vicino a quello che era stato di Gian Paolo e nell’impresa di famiglia egli prese il posto che era stato del fratello. Il suo compito fu quello di guidare il laboratorio gomma, sempre con l’assistenza del dottor Maini, e di curare lo sviluppo dei prodotti che proprio in quegli anni erano entrati o stavano entrando in produzione e che per primi avrebbero dato al reparto una compiuta dimensione industriale, pienamente riflessa, come già si è visto, nella composizione del fatturato (vedi tabella 5). Si tratta dei cilindretti (1966), delle cinghiette (1969) e dei manicottini per filatura, dei manicotti per carde (1968) e delle cinghie di trasmissione a copertura in gomma, che rappresentavano una innovazione rispetto alle precedenti fortunate Chromnylon. Con compiti differenti, Gregorio e Amedeo, figli di Angelo, andarono invece a irrobustire le fila dell’area commerciale. Diplomatosi ragioniere a Biella, Gregorio si laureò in Economia aziendale all’Università Bocconi di Milano. Dopo alcune esperienze di lavoro e studio, specialmente all’estero, si inserì in azienda con il compito di sviluppare la clientela e le relazioni commerciali. La conoscenza delle lingue estere, in particolare il tedesco e l’inglese, ne fece un candidato ideale a intensificare i rapporti internazionali. A questo elemento distintivo egli univa competenze gestionali e amministrative derivanti dagli studi e un personale senso di responsabilità nei confronti del più generale sviluppo dell’attività dell’azienda in direzione dell’allargamento della base produttiva e della diversificazione della produzione verso settori diversi dal tessile. Tre furono pertanto le aree cui si dedicò prevalentemente nel corso degli anni settanta: lo sviluppo delle relazioni commerciali con l’estero, l’amministrazione interna e l’esplorazione di nuovi ambiti di attività industriale capaci di assicurare all’impresa un avvenire prospero e certo. Amedeo, ultimo nato in casa di Angelo e Margherita, si diplomò perito tessile all’Istituto tecnico industriale di Biella ed entrò in Conceria appena compiuto il servizio militare. Le mansioni di cui ricevette l’incarico furono di carattere commerciale, sostituendo il più anziano dei venditori giunto ormai in età di pensione e affiancando e assistendo il fratello maggiore Lorenzo. Da quella posizione egli si occupò in modo particolare delle vendite tanto dei semilavorati e dei prodotti finiti in cuoio, quanto delle nuove famiglie di articoli entrati in produzione negli anni sessanta e poi via via nel decennio successivo. 107 2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982 Nel complesso la terza generazione ricevette un’educazione funzionale a estendere e potenziare il patrimonio di competenze interne rafforzando due aree aziendali che erano di importanza cruciale e prioritaria per affrontare, negli anni sessanta, l’introduzione di nuove linee di prodotto e ancor più, nel decennio successivo, per traghettare l’impresa di famiglia verso nuovi assetti produttivi e verso nuovi mercati in grado di garantire prospettive sicure di sviluppo e di ampliamento della capacità reddituale. La prima di queste aree, quella commerciale, svolgeva un compito importante e delicato. Tradizionalmente nel Biellese, sin dall’Ottocento, presso i lanieri in particolare, essa era stata considerata una delle responsabilità di stretta pertinenza del ruolo imprenditoriale, Lorenzo stesso, il fondatore dell’impresa, vi aveva dedicato moltissimo impegno. Per quanto evidentemente la realtà delle imprese e la distribuzione dei ruoli imprenditoriali si fossero modificate nel tempo, negli anni sessanta il rinnovamento della gamma di prodotti della Conceria pose un’enfasi particolare su questa funzione. In primo luogo i nuovi articoli dovevano essere fatti conoscere e promossi, i nuovi clienti, o quelli che sperimentavano il nuovo prodotto, richiedevano di essere seguiti con cure e attenzioni talvolta maggiori di quelle riservate alla clientela abituale. Specialmente quando il prodotto non aveva ancora raggiunto uno stabile assestamento, era prezioso avere un riscontro per apportare miglioramenti e importante assicurarsi che eventuali inconvenienti non risultassero in abbandono da parte dell’acquirente. In secondo luogo, proprio negli anni di più intensa accelerazione del progresso tecnico e del cambiamento tecnologico una funzione commerciale bene organizzata costituiva un’utile antenna, sebbene naturalmente non l’unica, per captare il corso dei mutamenti settoriali, conoscere le esigenze del mercato, formarsi una cognizione delle applicazioni che erano domandate o che potevano essere sviluppate con profitto. Questo aspetto, ossia l’intercettazione dei cambiamenti in atto attraverso lo sviluppo delle relazioni commerciali, era tanto avvertito che spesso all’interno dell’azienda la funzione commerciale e la competenza tecnica si affiancarono o sovrapposero, a seconda delle esigenze: capitò non di rado che di certa clientela si occupasse il tecnico di punta della terza generazione, Gian Paolo, pur dopo il distacco presso la tintoria, o che Lorenzo viaggiasse, negli anni settanta, accompagnato da Giorgio Borri, un giovane perito chimico di recente assunzione, destinato ad avere un 108 Fulvio Chiorino in occasione della consegna della stella al merito del lavoro a Giuseppe Garella per i 52 anni di attività. Torino, Camera di Commercio, 9 maggio 1971. 109 2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982 ruolo tecnico centrale79. Quando pertanto la spinta a riposizionare l’azienda dalle produzioni per il mercato tessile a una varietà di altri comparti cominciò a essere perseguita con ferma determinazione, il ruolo della funzione commerciale fu ulteriormente enfatizzato. La seconda area era quella tecnica. L’importanza dei ruoli tecnici, vale la pena di ricordare, continuò a essere cruciale tanto negli anni sessanta quanto negli anni settanta, per almeno due ragioni. Per cominciare, l’utilizzo dei materiali di sintesi richiedeva di per sé la costante conduzione di un’attività di ricerca in appoggio alla produzione, sia al fine di migliorare la qualità del prodotto, sia in dipendenza del processo di assestamento delle materie prime e dei semilavorati industriali utilizzati come elemento di partenza dei processi di fabbricazione. La stessa parziale sostituibilità della gomma con resine plastiche per lo stesso tipo di articolo introduceva un fattore di relativa instabilità tecnologica che rendeva imprescindibile un saldo presidio tecnico delle preventive fasi sperimentali, dei processi di lavorazione e delle fasi finali di test e controllo del prodotto. In secondo luogo, le esigenze della clientela, anche di quella appartenente al tradizionale mercato tessile, si modificavano al ritmo del cambiamento del macchinario utilizzato negli impianti produttivi e da questi cambiamenti originava per la Conceria la necessità di effettuare frequenti aggiustamenti, sia pure di entità variabile, nel prodotto e nei processi. Dopo il distacco di Gian Paolo, ancorché negli anni sessanta le competenze chimico-ingegneristiche risultassero un completamento importante dell’assortimento di competenze interne e un contributo particolarmente prezioso e necessario per lo sviluppo tecnico e produttivo dell’impresa, esse non furono reintegrate con l’assunzione di una risorsa esterna. L’orientamento in materia di governance della seconda generazione non era favorevole a un passo che avrebbe di fatto dato origine a un processo di managerializzazione della gestione. Supplirono dunque in sua vece l’operato di Luca, le prestazioni dei consulenti esterni, l’apporto diluito di Gian Paolo stesso e la mobilitazione delle persone di formazione tecnica più capaci e dinamiche già presen- 79 Attuale direttore di produzione, Giorgio Borri entrò alla Chiorino proprio nei primi anni settanta. Si veda il paragrafo successivo. 110 L’inserimento della terza generazione, leva del cambiamento ti in azienda o di recente ingresso. Proprio per queste si crearono così spazi di crescita particolarmente significativi sotto la spinta della crescente complessità dei processi produttivi. Ebbe per esempio modo di mettersi in luce e valorizzarsi a partire dalla seconda metà degli anni sessanta, preparandosi a ruoli di responsabilità crescente nei confronti del processo produttivo e del complesso degli impianti industriali, un giovane perito elettrotecnico, Cesare Garella, assunto proprio nel 1965 per accompagnare lo sviluppo del reparto gomma. Un altro giovane perito, Giorgio Borri, assunto nel 1973, avrebbe invece guidato gli sviluppi dei nastri trasportatori e delle altre applicazioni in polivinile di cloruro e in poliuretano, arrivando a coprire posizioni operative e in seguito direttive di grande rilievo. Alla ricerca di una nuova vocazione produttiva: gli anni settanta Le spinte all’allargamento della base produttiva che negli anni sessanta avevano conosciuto una lenta incubazione, inizialmente guidate dai movimenti della domanda più che da un preciso disegno ma via via caricatesi di un orientamento alla diversificazione dei mercati di sbocco sempre più consapevole e determinato, conobbero in questo decennio una sensibile accelerazione e giunsero a scioglimento preparando l’azienda a una nuova prolungata stagione di crescita. Non fu semplicemente questione di individuare un nuovo prodotto e nuove tecnologie. Anche l’arco delle competenze interne fu completato, la strategia commerciale ripensata e innovata, il processo della successione imprenditoriale condotto a compimento. Furono, sotto più di un aspetto, anni di travaglio intenso, ma anche di acuita capacità di captare e interpretare i potenti stimoli provenienti dal mercato e di tradurli in assetti industriali positivi e coerenti. Decisivo nel provocare questo esito a livello aziendale fu l’apporto della terza generazione in termini di conoscenze, energie e determinazione. La chiusa degli anni sessanta e i primissimi anni settanta avevano portato due insegnamenti di grande significato. Il fatturato aveva conosciuto in quegli anni una crescita particolarmente pronunciata grazie essenzialmente alle vendite delle produzioni in gomma, che con i manicotti per carde e le cinghiette di stiro avevano solo allora acquisito una piena rilevanza indu- 111 2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982 striale, e alle esportazioni. La gomma e i mercati esteri si presentavano pertanto come le due aree di crescita più promettenti, a portata delle capacità tecnologiche e manifatturiere dell’impresa. Si avvertiva tuttavia l’esigenza di sviluppare nuove applicazioni che, partendo dagli assetti industriali esistenti, permettessero di sfruttarne appieno tutto il potenziale di capacità e conoscenze disponibili in modo da assicurare la necessaria espansione del reddito. Questo significava individuare ambiti applicativi e mercati di sbocco diversi dal tessile e non mancavano a quell’epoca esempi di società produttrici di accessori in gomma, estere per lo più, che avevano una specializzazione produttiva simile a quella della Conceria e che avevano compiuto una redditizia diversificazione cominciando a servire altri comparti. Un primo tentativo di diversificare consistette nell’avvio della produzione di printing blankets. Era questo un articolo ad alto valore aggiunto destinato all’industria tipografica, un sottile “lenzuolo” di tessuto gommato sul quale il testo da stampare veniva impresso e dal quale veniva successivamente trasferito per contatto sulla carta. Trovata la consulenza appropriata per realizzare il processo, una parte dei macchinari necessari fu acquistata e alloggiata in un capannone finito di costruire nel 1973 proprio in vista dell’espansione dell’attività aziendale. Mano a mano che si procedeva con le prove di produzione, emerse tuttavia che la fabbricazione dei blanket presentava aspetti tecnici assai più complicati e richiedeva investimenti assai più consistenti di quelli inizialmente anticipati. Durante la pausa di riflessione che seguì, la sperimentazione continuò a concentrarsi su un altro campo applicativo, quello delle cinghie di trasmissione, sul quale si lavorava da qualche tempo. L’obiettivo in questo caso era stato in un primo tempo di fabbricarne in gomma e nylon, ossia incollando due strati di tessuto gommato attorno a un’anima in nylon, formata dalla stessa banda già utilizzata per le Chromnylon. Successivamente, si trattò di adattare la cinghia gommata a esigenze sempre più orientate al trasporto e sempre meno alla trasmissione di potenza, ciò che comportava la sostituzione della copertura in gomma con gomme di differente natura, adatte a muoversi su un piano di scorrimento, e la sostituzione della banda di nylon stirato con uno o più tessuti di nylon. La prospettiva di produrre nastri trasportatori si innestò su questi sviluppi. Il mercato era promettente. Tutte le grandi imprese della gomma, quelle che avevano il proprio core business nel settore dei pneu- 112 Alla ricerca di una nuova vocazione produttiva: gli anni settanta matici, ne producevano, dalla Pirelli alla Kleber, dalla Dunlop alla Continental. La loro produzione tuttavia era concentrata prevalentemente sui nastri pesanti, capaci di carichi molto elevati, forniti sulla base di grandi commesse e destinati per lo più all’impiego nelle miniere, nelle cave, negli impianti siderurgici e chimici. La loro stessa dimensione e struttura industriale, basata su economie di scala e grandi volumi, le rendevano poco interessate a servire la domanda assai frazionata e diversificata di nastri leggeri e cinghie, utilizzati dai costruttori di macchine per imballaggio e confezionamento, nell’industria della ceramica, della carta, in quella alimentare e in altre ancora. In questo ambito le imprese di dimensioni piccole e medie, altamente flessibili e specializzate, avvezze a seguire una clientela anche minuta e a offrire, oltre al prodotto, un insieme di servizi di assistenza e manutenzione, godevano di un indiscutibile vantaggio comparato. Intorno alla metà degli anni settanta, a livello europeo tre imprese, la svizzera Habasit, la tedesca Siegling e l’olandese Ammeraal, detenevano una quota superiore al 50% del mercato con prodotti di alta qualità. La Chiorino aveva dalla propria una struttura aziendale comparabile a quella dei concorrenti. L’elevata “specializzazione flessibile”80, la lunga tradizione nella produzione di cinghie di trasmissione in cuoio, poi in cuoio e nylon e infine in gomma e nylon, le conoscenze in fatto di colle e di tecniche di giunzione, le competenze acquisite nelle lavorazioni in gomma, il radicamento presso la clientela sul territorio nazionale rendevano il mercato di queste nuove applicazioni alla sua portata. Questo non significa che la strada fosse facile da percorrere, giacché occorreva individuare le tecnologie adatte e industrializzare il processo di fabbricazione, i prodotti erano suscettibili di continuo sviluppo e soprattutto andavano adeguatamente introdotti sul piano commerciale. Occorsero pertanto alcuni anni prima di arrivare a un assesta80 L’espressione “specializzazione flessibile” indica un modello di organizzazione contrapposto alla produzione di massa di stampo fordista, caratterizzato da lavorazioni con una discreta componente artigianale e dalla versatilità del macchinario utilizzato, guidato da continui processi di innovazione, orientato alla soddisfazione di una domanda di prodotti personalizzati proveniente da mercati sempre più diversificati. Il ritmo della produzione, che si svolge per piccoli lotti o per “piccole serie”, è spesso dettato direttamente dal flusso degli ordini. In generale è una peculiarità delle piccole e medie imprese. Cfr. M. Piore e C. Sabel, The second industrial divide. Possibilities for prosperity, New York, Basic Books, 1984. 113 2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982 mento della produzione relativamente stabile. Ma come era accaduto con le innovazioni introdotte negli anni sessanta, anche in questo caso lo sviluppo dei prodotti mosse da un’attenta analisi dei mercati, contò sui rapporti di collaborazione con la clientela e con i fornitori e creò lo spazio per la crescita professionale di un tecnico interno, di recente assunzione, motivato e disposto a una intensa dedizione. Il primo apporto di consulenza venne da una società inglese creata nel 1973 per la confezione e la vendita di nastri trasportatori a partire da un prodotto semifinito. Buon conoscitore del prodotto e del mercato, il titolare fornì indicazioni importanti sulla fabbricazione e divenne il primo cliente estero di questa linea di prodotti. Un’altra preziosa collaborazione, cresciuta in un rapporto stabile e duraturo nel tempo, venne dal fornitore dei tessuti sintetici. Le difficoltà maggiori risiedevano però nel definire le tecnologie di processo appropriate e nell’ingegnerizzazione della produzione, nel passaggio, cioè, dalle prove di laboratorio al flusso continuo dei reparti produttivi, e qui divenne determinante il contributo di Giorgio Borri. Entrato come dipendente nella tintoria condotta da Gian Paolo, fresco del diploma di perito chimico, intenzionato a cambiare impiego per qualcosa di più consono alle proprie attitudini e ambizioni, dopo pochi mesi era stato chiamato da Lorenzo a svolgere il ruolo di addetto alle vendite. Una volta giunto in azienda, tuttavia, pur effettuando frequenti visite alla clientela, egli finì per concentrarsi prevalentemente sulla produzione. Trovato il modo di riconvertire una parte del macchinario esistente ai fini della fabbricazione dei nastri trasportatori, e, soprattutto, intuito il procedimento più adatto per vulcanizzare le parti in gomma, fu allo sviluppo di questi prodotti che egli continuò a dedicare la parte maggiore delle proprie energie. Nel tempo, specialmente a partire dal momento in cui, nella seconda metà degli anni settanta, divenne chiaro che il futuro commerciale dei nastri non era tanto nell’impiego della gomma, bensì del cloruro di polivinile e del poliuretano, egli si affermò sempre più come il tecnologo di riferimento di questa area di prodotti nell’ambito di una divisione dei compiti in base alla quale la ricerca e lo sviluppo delle produzioni in gomma restavano affidati e posti sotto la guida di Luca. Se la produzione dei nastri trasportatori cominciò nel 1974, tutta la seconda metà del decennio trascorse nella messa a punto del prodotto. Fu ampliata la gamma dei nastri per dimensione, capacità di carico, caratte- 114 Alla ricerca di una nuova vocazione produttiva: gli anni settanta ristiche fisiche e chimiche, colorazione e per tipo di tessuti accoppiati alle resine plastiche, dove lo snodo centrale fu costituito dal passaggio, carico di conseguenze sul piano tecnico, dal nylon al poliestere. Lo stesso avvenne per le cinghie. Sebbene questi sviluppi modificassero la fisionomia produttiva dell’impresa, alla fine degli anni settanta essa si caratterizzava ancora per un insieme di delicati equilibri tra vecchio e nuovo, tra prodotti ad elevato contenuto tecnologico e prodotti tradizionali, tra saperi rivolti al futuro e sguardi legati a un passato antico ma ancora presente e soprattutto ancora economicamente importante. Per averne un’idea, è sufficiente un breve quadro dell’articolazione dei reparti e della forza lavoro addetta a ciascuno di essi. Le lavorazioni delle pelli e del cuoio erano concentrate nei reparti “Conceria” e “Selleria 2”, entrambi posti sotto la responsabilità direttiva di Stefano. Nel primo si eseguivano la concia al tannino, la concia al cromo e la produzione della pergamena, era una struttura dotata di macchinario ormai non più particolarmente aggiornato rispetto agli standard del settore e assorbiva poco più del 22% del totale delle oreuomo erogate dal complesso delle lavorazioni (per l’incidenza sul fatturato si vedano i dati aggregati esposti nella tabella 9). Nel secondo venivano invece prodotti manufatti in cuoio, essenzialmente manicotti, lacciuoli per carde, cinghiette e altri ancora, con un totale di ore-uomo lavorate pari a circa un ventesimo del totale. I due reparti insieme contavano un totale di 30 addetti. Altre lavorazioni in cuoio, ma generalmente caratterizzate da un maggiore contenuto tecnologico, erano eseguite nella “Selleria 1” sotto la responsabilità di Fulvio. Qui si producevano le cinghie in cuoio e nylon, cinghie in materiali sintetici e una serie di articoli tecnici per l’industria tessile e per quella sportiva. Gli addetti di questo reparto erano in numero di trentatrè e le ore-uomo lavorate assommavano al 26% del totale. Dipendeva da questa unità anche quella delle manutenzioni, forte di quattro operai meccanici. Nel reparto plastica, diretto da Lorenzo, erano impiegate otto persone essenzialmente nella produzione di articoli per l’industria tessile, per un totale del 6,7% delle ore-uomo. I reparti di gran lunga più importanti in termini di contributo al fatturato e di assorbimento di forza lavoro erano tuttavia quelli delle 115 2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982 lavorazioni in gomma e di fabbricazione dei nastri trasportatori. Entrambi erano posti sotto la direzione generale di Luca, vi trovavano impiego un totale di quarantasei addetti per circa il 41% delle oreuomo complessive. Nel reparto gomma, affidato alla responsabilità di Cesare Garella, si producevano tubi e rivestimenti di vario genere, manicotti per carde, frottatori, cinghiette e una serie di altri articoli destinati al fabbisogno interno di altri reparti. Il monte ore assorbito ammontava a oltre il 38%. Nel reparto nastri, di cui rispondeva Giorgio Borri, si fabbricavano nastri trasportatori a base di tessuti in nylon e in poliestere. Come lo erano stati parte degli anni cinquanta e gli anni sessanta, gli anni settanta furono dunque un periodo di estensione e approfondimento dei saperi interni, perseguito replicando il modello di apprendimento e introduzione delle innovazioni elaborato in precedenza. Gli elementi di contiguità tecnologica tra i diversi processi produttivi inerenti alla fabbricazione delle cinghie e dei nastri e a talune lavorazioni in gomma permisero di utilizzare gran parte del macchinario che esisteva in azienda sin dal decennio precedente, al più sottoponendolo a una serie di interventi di adattamento. In questo modo anche gli investimenti poterono essere autofinanziati e graduati nel tempo. Solo tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta, quando furono chiarite le tecnologie di processo e di prodotto, assicurate le capacità interne di svilupparle e abbondantemente sperimentate le potenzialità del mercato, furono compiuti consistenti investimenti specifici, in modo da potenziare e rendere coerente l’assetto produttivo delle nuove linee di prodotti. È allora che furono a più riprese ampliati il reparto dedicato alla lavorazione dei nastri e quello della gomma e che furono acquistate macchine apposite per la produzione di nastri in pvc e poliuretano, un nuovo più capace mescolatore per la gomma e nuove spalmatrici. Rispetto agli anni sessanta, tuttavia, una differenza molto importante sta nel fatto che mentre allora i processi di apprendimento interno legati al rinnovamento della gamma dei materiali non si tradussero in un impatto apprezzabile sulla performance dell’impresa, negli anni settanta non solo vi furono riflessi sul fatturato immediati e pronunciati, ma l’impresa tutta si incamminò lungo una nuova fase di sviluppo. 116 Alla ricerca di una nuova vocazione produttiva: gli anni settanta Tabella 8. Fatturato complessivo, 1971-1981 (valori in mil.) lire correnti lire 2004 621 843 1.226 1.795 1.805 2.789 3.552 4.128 5.694 7.171 7.931 8.709 11.194 14.750 18.080 15.517 20.576 22.189 22.933 27.332 28.413 26.474 1971 1972 1973 1974 1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981 Come mostra la tabella 8, nel periodo 1971-1980 l’ammontare complessivo delle vendite conobbe una dinamica molto accentuata, crescendo di quasi dodici volte in valuta corrente, più che triplicando in lire costanti. Di questa crescita la parte più consistente fu spiegata proprio dai nastri trasportatori e dalle cinghie di trasmissione, la cui progressione, partendo da zero, fu rapidissima. Il contributo di questa famiglia di prodotti al fatturato complessivo passò infatti da poco più del 3% nel 1971 a oltre il 27% nel 1980, superando quello del cuoio nel 1979. Seconda a quella di nastri e cinghie fu la performance dei prodotti in gomma, che nel 1975 divennero il principale elemento del fatturato, attestandosi negli anni centrali del decennio intorno a un valore del 40%. Le lavorazioni in cuoio, per contro, toccato un vertice in termini assoluti nel 1974, si stabilizzarono negli anni successivi fino al 1980, prima di imboccare il declino definitivo che avrebbe di lì a poco condotto alla completa dismissione (vedi tabella 9). Tabella 9. Composizione del fatturato, 1971-1980 (dati in mil. di lire 2004) 1971 1972 1973 1974 1975 1976 1977 1978 1979 1980 cuoio % gomma % nastri e cinghie % totale 5.329 5.086 6.376 7.504 6.250 6.854 7.028 6.833 6.811 7.156 61,19 45,43 43,23 41,50 40,28 33,31 31,67 29,80 24,92 25,18 2.258 4.249 5.606 7.454 6.258 8.219 9.108 8.961 10.507 10.635 25,93 37,96 38,01 41,23 40,33 39,94 41,05 39,07 38,44 37,43 280 797 1.444 1.612 1.461 3.600 4.023 4.867 7.695 7.726 3,22 7,12 9,79 8,91 9,42 17,50 18,13 21,22 28,15 27,19 8.709 11.194 14.750 18.080 15.517 20.576 22.189 22.933 27.332 28.413 117 Le nuove linee di calandratura per i nastri trasportatori in gomma. 118 Alla ricerca di una nuova vocazione produttiva: gli anni settanta Accanto a questa dinamica del fatturato e delle sue componenti interne un altro elemento di tutto rilievo negli anni settanta fu la crescita delle esportazioni, capaci anch’esse di aumentare a un ritmo decisamente superiore a quello del fatturato complessivo. La quota delle vendite realizzate sui mercati esteri aumentò infatti tra 1971 e 1980 di un fattore pari a quasi 4,4, arrivando a contare per oltre il 45% del totale delle vendite (vedi tabella 10). È probabile che a determinare questo esito particolarmente positivo abbiano concorso la svalutazione della lira nei confronti delle principali monete europee, dal marco tedesco al franco francese, a partire dal 1973 e i conseguenti aumenti di competitività di cui beneficiò l’industria italiana sui mercati internazionali. È probabile anche che le difficoltà incontrate dall’economia nazionale dopo la crisi petrolifera abbiano reso più facile il collocamento della produzione sui mercati esteri piuttosto che su quello interno. La sensibile contrazione delle vendite nel 1975 (anno in cui il prodotto interno lordo italiano fletté bruscamente in termini reali), d’altra parte, testimonia della sensibilità del fatturato aziendale agli alti e bassi della congiuntura. Tuttavia è vero anche che spostando il baricentro della propria produzione verso i nastri trasportatori, le cinghie e gli altri articoli in gomma l’impresa accrebbe la propria specializzazione produttiva e il contenuto tecnologico del prodotto, qualificandosi sempre più e sempre meglio come uno degli specialized suppliers che nel corso degli anni sessanta avevano contribuito a plasmare la posizione dell’Italia nella divisione internazionale del lavoro81. 81 Per specialized suppliers si intendono produttori di dimensioni medie o piccole caratterizzati da un’elevata flessibilità e da alti livelli di specializzazione, focalizzati in lavorazioni dal contenuto tecnologico e innovativo medio e alto derivante vuoi dall’utilizzo di semilavorati prodotti a monte, vuoi dall’attività di ricerca e innovazione svolte dalle imprese stesse. Per il ruolo di questi produttori nella definizione del modello di specializzazione internazionale dell’Italia formatosi negli anni sessanta e destinato a lunga persistenza si rimanda a M. Gomellini, Il commercio estero dell’Italia negli anni sessanta: specializzazione internazionale e tecnologia, “Quaderni dell’Ufficio Ricerche storiche”, Banca d’Italia, n. 7, 2004. 119 2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982 Tabella 10. Incidenza delle esportazioni sul fatturato, 1971-1980 (mil. di lire 2004) 1971 1972 1973 1974 1975 1976 1977 1978 1979 1980 Esportazioni % Totale 2.959 4.475 5.318 7.574 5.949 8.234 9.233 12.561 13.123 12.941 33,98 39,98 36,05 41,89 38,34 40,01 41,61 54,77 48,02 45,54 8.709 11.194 14.750 18.080 15.517 20.576 22.189 22.933 27.332 28.413 Un altro aspetto quantitativo, ad ogni modo, connota questi anni di crescita come anni di innesco di una nuova fase di sviluppo. La forza lavoro occupata, che aveva già dato segni di aumentare nella seconda metà del decennio precedente, senza tuttavia modificare il quadro di sostanziale stabilità che caratterizzò gli anni sessanta, negli anni settanta aumentò di quasi il 40%, da 105 addetti nel 1971 a 146 nel 1980. Tale variazione si accompagnò peraltro a una crescita molto consistente del fatturato per addetto, da quasi 83 milioni (espressi in lire 2004) a poco meno di 195 milioni, segno inequivocabile che con le nuove produzioni l’azienda stava riposizionandosi su mercati a valore aggiunto molto maggiore (vedi tabella 11). Tabella 11. Forza lavoro e fatturato per addetto, 1971-1980 (mil. di lire 2004) 1971 1972 1973 1974 1975 1976 1977 1978 1979 1980 Totale addetti Fatturato per addetto 105 104 116 134 132 136 138 150 153 146 82,95 107,63 127,15 134,93 117,55 151,30 160,79 152,89 178,64 194,61 È importante a questo punto osservare come fossero proprio le innovazioni tecnologiche a fornire il contributo critico essenziale ai sostanziali mutamenti quantitativi e qualitativi nella performance dell’impresa sin 120 1. La linea di vulcanizzazione in continuo per i rotoli gommati in un’immagine degli anni settanta. 2. Avvolgitore di una linea di spalmatura nastri in PVC. 121 2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982 qui descritti. Se è evidente infatti il ruolo giocato dall’area commerciale attraverso l’intensificata partecipazione alle numerose fiere settoriali internazionali dei costruttori di macchinario industriale, attraverso una più decisa azione presso la clientela attuale e potenziale e attraverso il frequente intervento di figure tecniche nelle visite ai clienti, alla fine degli anni settanta l’organizzazione della distribuzione rimaneva nel suo complesso relativamente arretrata e in parte inadeguata rispetto agli assetti produttivi che andavano definendosi. Schematicamente, essa era suddivisa in un comparto Italia e in un comparto estero e contava su un numero relativamente ridotto di venditori diretti, ossia dipendenti dell’azienda. Del mercato nazionale, diretto da Lorenzo e Amedeo, si occupavano quattro venditori. Per il resto, la distribuzione era affidata a due agenti generali, rappresentanti per l’intera gamma di prodotti, e a cinque agenti mandatari dedicati a specifiche linee del catalogo, ciascuno operante in una zona territoriale definita. Il mercato interno assorbiva una larghissima porzione dei manufatti in cuoio, articoli tecnici in gomma per il settore tessile, nastri trasportatori e cinghie. L’area estero, sovrintesa da Gregorio e costituita specialmente da compratori delle linee di articoli più recenti e avanzate, contava su una quarantina di agenti indipendenti capaci nell’insieme di servire per lo più utenti finali e distributori all’ingrosso in oltre cinquanta paesi. L’ingresso nei segmenti di domanda a maggiore valore aggiunto, tanto in Italia quanto all’estero, ebbe però conseguenze di rilievo per l’organizzazione commerciale, dal momento che mise l’impresa a più diretto contatto con concorrenti che vantavano una presenza sul mercato consolidata da tempo, che godevano dei vantaggi di una più robusta struttura aziendale, di un più saldo presidio delle tecnologie di prodotto e di processo e di più vaste organizzazioni di distribuzione. Una delle strategie adottate per competere in queste condizioni di mercato consistette nell’ampliamento della gamma di prodotti, ma questo stesso fatto richiedeva che venditori diretti e indiretti contassero su una sicura preparazione tecnica, avessero buone introduzioni e potessero essere opportunamente incentivati nella promozione di un prodotto che era spesso di valore unitario non molto elevato. In questa situazione maturarono nella chiusa del decennio due fattori nuovi destinati a influenzare notevolmente la struttura della rete distributiva negli anni ottanta e novanta. Fu intuito in primo luogo che sarebbe stato più proficuo internalizzare i nodi interme- 122 Alla ricerca di una nuova vocazione produttiva: gli anni settanta di e più importanti della distribuzione, oltre che per le ragioni anzidette, anche per giovarsi di un più vasto e sistematico afflusso alla direzione di informazioni utili all’area della produzione in vista di possibili miglioramenti o sviluppi applicativi. Inoltre, strutture commerciali dirette avrebbero potuto essere attrezzate per fornire alla clientela servizi aggiuntivi di assistenza e manutenzione. Nelle imprese servite dalla Chiorino, dalle meccaniche alle alimentari, la rottura di un nastro trasportatore o l’insorgere di problemi di funzionamento in sistemi automatizzati potevano comportare il blocco di un segmento del processo produttivo con il rischio di generare perdite economicamente rilevanti. Molto spesso, quindi, dalla capacità di effettuare tempestivi ed efficaci interventi di riparazione o sostituzione poteva dipendere il mantenimento di un cliente o l’acquisizione di uno nuovo. Alla comprensione dell’opportunità di modificare l’assetto della distribuzione contribuì un secondo fatto di rilievo, ossia l’esperimento fatto nel 1977 con l’acquisto del controllo totalitario della Polymax Belting Ltd. di Pudsey, in Gran Bretagna, azienda distributrice di nastri trasportatori e cinghie di trasmissione sul mercato britannico e potenzialmente di tutto il Commonwealth. Il titolare era colui che nel 1973-1974 aveva aiutato la Chiorino a sviluppare i nastri e che in seguito era divenuto un importante acquirente di prodotti semifiniti, rivenduti previo compimento delle ultime fasi di lavorazione, la così detta confezione, finalizzata ad adattare il prodotto semifinito alle specifiche esigenze del cliente. Gli stretti rapporti di Biella con la società inglese già nel 1975 erano evoluti nella forma di una partecipazione al capitale. Il rilievo dell’intero pacchetto di quote, ancorché rimanesse un episodio isolato negli anni settanta, segnò l’inizio di un altro processo di apprendimento, di carattere organizzativo e manageriale questa volta, che nell’ultimo ventennio del secolo avrebbe portato alla costruzione di un’estesa rete di partecipazioni estere dirette. Si è detto all’inizio di questo paragrafo che gli anni settanta si caratterizzarono, oltre che per le innovazioni tecnologiche e dell’organizzazione commerciale, anche per il compimento della successione imprenditoriale. Il processo, nevralgico e delicatissimo come in ogni impresa familiare, ebbe luogo secondo modalità in buona misura non anticipate. L’impossibilità di contare sulla figura di Gian Paolo, dotata di alta caratura tecnica, di grandi 123 2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982 capacità e di un certo carisma, aveva spiazzato i progetti e il tacito consenso di Fulvio e Angelo. Le decisioni sui futuri assetti della governance d’impresa e su quale (o quali) degli esponenti della terza generazione fosse il più indicato ad assumere responsabilità generali nei confronti della guida imprenditoriale erano state da allora lasciate nel vago. Indubbiamente, ai fini della successione il mutamento della forma societaria in società per azioni deciso nel 1975 rappresentò un passo importante82, preparando la strada alla creazione di ambiti collegiali di definizione delle direttrici strategiche e alla delega di responsabilità individuali nei confronti della gestione. Tuttavia, almeno inizialmente, la distribuzione delle cariche all’interno del consiglio di amministrazione, dove sedevano, insieme a Fulvio e Angelo, anche Lorenzo, Gian Paolo, Luca e Gregorio83, non agevolò particolarmente la dialettica dei ruoli interni con il risultato che l’individuazione del candidato alla successione rimase di fatto affidata a un processo di “selezione sul campo”. Per quanto questo fatto appaia come una debolezza, una lacuna della pianificazione successoria tutt’altro che esente dall’esporre la società a un certo grado di rischio, vista in retrospettiva, alla luce del notevole sviluppo dei venti anni successivi, si rivela essere stata una strada efficace per l’individuazione del candidato più idoneo. Pur rendendo forse più difficile l’inserimento dei giovani in un contesto in cui, con l’avanzare dell’età, andavano affievolendosi le capacità della seconda generazione di impostare le strategie di sviluppo dell’impresa e in cui l’incertezza sulle scelte tecnologiche e di prodotto generava un clima di relativa precarietà, ma al tempo stesso liberando le forze della competizione, la “selezione sul campo” creò le condizioni e aumentò lo spazio per il plasmarsi e l’emergere dei talenti e delle attitudini personali. E non ci volle molto perché Gregorio Chiorino mostrasse di riunire in sé, in misura maggiore dei fratelli e dei cugini, le doti, le capacità e la disponibilità a farsi carico di responsabilità generali che ne fecero il candidato naturale ad assumere la guida dell’impresa, cosa che di fatto avvenne anche formalmente alla fine del 1982 con la nomina a presidente e amministratore delegato della Chiorino S.p.A. 82 In quell’occasione la ragione sociale divenne semplicemente “Chiorino S.p.A.”. Fulvio presiedette il consiglio sin dalla trasformazione in società per azioni, mentre Lorenzo, Gian Paolo, Luca e Gregorio erano amministratori delegati, Angelo vicepresidente. 83 124 Il logo aziendale negli anni sessanta e settanta. Vi compaiono, simbolicamente raffigurati, i materiali trattati dall’azienda: il cuoio, rappresentato da una pelle, e i prodotti sintetici rappresentati da un legame molecolare. 125 Linee di splamatura per nastri trasportatori. 126 3. Biella, L’Europa, il mondo. Un nuovo ciclo di sviluppo e modernizzazione, 1983-2005 Gli anni settanta furono, come si è visto nel capitolo precedente, un periodo di travaglio costruttivo, denso di apprendimenti, nel quale furono affrontate e risolte con successo due questioni vitali per la continuità dell’impresa: il riposizionamento su mercati diversi dal tessile, con buone prospettive di crescita e a maggiore valore aggiunto, in seguito all’introduzione di una gamma di prodotti a più elevato contenuto tecnologico, e il compimento del passaggio generazionale con il conferimento della guida imprenditoriale a Gregorio Chiorino. Un ciclo consistente di investimenti realizzato tra il 1979 e i primi anni ottanta sanzionò la conclusione della fase più acuta della transizione, razionalizzò gli assetti produttivi e pose le basi per una nuova stagione di sviluppo. Le intuizioni del decennio precedente in materia di organizzazione commerciale e di potenzialità dei mercati esteri poterono essere sfruttate in tutta la loro portata nel quadro di una strategia di crescita unitaria e coerente. Nel volgere di due decenni la Chiorino si trasformò dunque di nuovo, evolvendo in un gruppo multinazionale oggi presente in otto paesi in Europa, Stati Uniti, Asia e Australia, forte di oltre seicento dipendenti e di un fatturato aggregato di oltre 85 milioni di euro, uno dei leader mondiali nella produzione di nastri trasportatori e cinghie di trasmissione, significativamente aggiornato sotto il profilo della gestione, modernamente sensibile ai temi della qualità, della sostenibilità dell’impatto ambientale e della comunicazione. Rispetto alla profondità di questa trasformazione, relativamente minore fu quella che interessò gli assetti organizzativi interni e le strutture di governance. Tuttavia, anche in questo campo il ricambio generazionale si è accompagnato all’affermazione di una sensibilità diversa e di una maggiore disponibilità, incamminando la struttura aziendale verso la definizione di una più evoluta articolazione e di una più chiara e organica identificazione di ruoli e funzioni, propedeutica al conseguimento di guadagni di efficienza nei processi interni e, in ultima istanza, ad aumentare le capacità innovative, di adattamento e di proposta nei confronti del mercato. 127 3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005 Assestamento e sviluppo di nuove linee di prodotto L’individuazione nel corso degli anni settanta dei nastri trasportatori e delle cinghie di trasmissione come prodotti su cui fare principalmente assegnamento per lo sviluppo futuro dell’impresa fu una scelta che si rivelò molto ben centrata. Ancora oggi, infatti, sono questi i prodotti che fanno della Chiorino uno dei primi produttori al mondo e ai quali l’immagine dell’azienda si lega nel modo più riconoscibile. Accanto a nastri e cinghie un’altra famiglia di prodotti erede delle innovazioni introdotte negli anni sessanta e tuttora fonte di una quota consistente del fatturato sono gli articoli in gomma. Nei trent’anni che sono trascorsi gli sforzi della produzione e delle attività di ricerca e sviluppo si sono concentrati in larga misura nel perfezionamento del prodotto e delle tecnologie appropriate, tanto di prodotto che di processo. In termini generali le discontinuità principali in questo periodo furono rappresentate dagli impianti di spalmatura e accoppiamento acquistati tra il 1980 e il 1981 per la produzione di nastri in resina plastica attraverso un procedimento di spalmatura, e le calandre introdotte nella seconda metà degli anni novanta. Con il primo intervento si dava un assetto coerente a una produzione che fino a quel momento era stata condotta adattando e utilizzando macchinario acquistato per finalità differenti, ponendo le basi per il pieno sfruttamento di tutte le conoscenze tecnologiche in fatto di nastri accumulate negli anni settanta e per il loro ulteriore incremento. Nel secondo caso si introduceva una tecnologia differente, quella della calandratura, utile a produrre pur sempre lo stesso genere di prodotti con procedimenti e con esiti, tuttavia, di maggiore sofisticazione, tali da potenziare la flessibilità produttiva e ampliare la gamma delle applicazioni. Per comprendere meglio gli sviluppi di questi anni e soprattutto per formarsi un’idea della complessità sottostante ai processi di fabbricazione è opportuno fare delle precisazioni. La prima riguarda il concetto di “prodotto” e la distinzione tra “prodotto” e “applicazione” all’interno di una realtà produttiva altamente specializzata quale la Chiorino è sempre stata sin dalle origini. All’opposto di quanto solitamente accade nelle produzioni di serie, il termine “prodotto” ha un significato relativamente generico fino a quando non è declinato in un’applicazione specifica, ossia per un uso determinato, su una macchina determinata, per il trattamento 128 Assestamento e sviluppo di nuove linee di prodotto di oggetti determinati con sostanze altrettanto determinate e in ambienti dalle caratteristiche chimiche e fisiche ben precise. Dipende infatti dall’insieme di queste specifiche destinazioni applicative se il nastro trasportatore, per esempio, è costruito con un’anima tessile di un certo materiale, se la sua copertura è in gomma o in poliuretano, se è liscio o con una superficie a elevato coefficiente di attrito, se è atto a resistere ad alte temperature o all’azione corrosiva di acidi e oli, se è profilato o meno. Né sempre le variegate esigenze di una clientela appartenente a un grande numero di settori industriali si traducono, o si sono tradotte, in interventi di modifica del prodotto di poco conto, anche perché, per rimanere nell’ambito dell’esempio appena fatto, la sostituzione di un tessuto a un altro nella fabbricazione di un nastro è molto spesso suscettibile di implicazioni importanti sui procedimenti di accoppiamento. Esse hanno pertanto regolarmente alimentato l’attività dei laboratori di ricerca e sperimentazione aziendali e non di rado sollecitato lo studio e l’adozione di interventi di modifica o temporaneo adattamento dei processi di fabbricazione. Generando ogni volta nuovi apprendimenti tecnici e, possibilmente, miglioramenti incrementali. Un secondo aspetto tutt’altro che secondario e che pure è connaturato all’essenza di un’impresa a “specializzazione flessibile” è la compresenza all’interno degli assetti produttivi di diverse tecnologie di prodotto e di processo, tali da consentire di differenziare e modulare l’offerta in modo da assecondare con i minori costi possibili una domanda spesso molto frazionata e mutevole. Una caratteristica, questa, con rilevanti implicazioni non solo per gli assetti produttivi medesimi, ma anche per quelli organizzativi e gestionali. Alla luce di queste considerazioni riesce forse meglio comprensibile come l’ampliamento della gamma di prodotti entrati a fare parte del catalogo aziendale nel corso degli anni ottanta e novanta abbia dovuto poggiare sul presupposto di un continuo processo di apprendimento e accumulo di competenze a tutto campo, dall’ambito tecnico a quelli dell’organizzazione e della gestione, svoltosi in parallelo con l’evoluzione tanto dei prodotti intermedi chimici utilizzati come materie prime, quanto dei bisogni applicativi del mercato. Prima di accennare ai prodotti, tuttavia, è opportuno uno sguardo complessivo alla traiettoria compiuta dagli assetti produttivi. L’azienda, 129 3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005 che alla fine degli anni settanta produceva ancora manufatti in cuoio a partire dalle pelli grezze, cominciò negli anni ottanta un progressivo disinvestimento in questo ramo, dapprima cessando le lavorazioni umide, ossia la concia, segmento oneroso in termini di consumo di manodopera e dal valore aggiunto relativamente contenuto, e successivamente, nella seconda metà del decennio, dismettendo anche il reparto di manifattura di articoli in cuoio, la così detta “Selleria 2”. Con un processo più graduale nel tempo, ma contestuale, il reparto per la lavorazione di nastri e cinghie divenne preponderante, come preponderante era già divenuto il suo apporto al fatturato a partire dal 1982 (vedi grafico 3). Una caratteristica distintiva all’interno di queste trasformazioni, che è stata conservata e che rappresenta un tratto di lungo periodo che accomuna la Chiorino all’antica Conceria, è lo svolgimento del ciclo integrale della produzione, il quale consiste oggi nel trattamento della materia prima plastica nella forma di granuli o polvere, nella formazione di “rotoli” e nel confezionamento finale di nastri e cinghie in forma di “anelli” pronti per l’installazione. Grafico 3. Composizione del fatturato, 1981-1995 (dati percentuali) 100% 80% 60% 40% 20% cuoio gomma 1995 1994 1993 1992 1991 1990 1989 1988 1987 1986 1985 1984 1983 1982 1981 0% nastri e cinghie Venendo finalmente ai prodotti, gli elementi più rilevanti dell’evoluzione sono il relativo assestamento delle tecnologie e l’ampliamento della gamma. Con riferimento ai nastri trasportatori la copertura esterna 130 Assestamento e sviluppo di nuove linee di prodotto in gomma con cui erano stati inizialmente fabbricati lasciò campo a materiali plastici (pvc e poliuretani) che, oltre a essere generalmente più versatili sotto il profilo applicativo e perciò più domandati, avevano il vantaggio di presentare problemi molto minori in termini di formulazione o di non presentarne affatto e, nel caso del pvc, di essere meno costosi. Proprio quest’ultima ragione orientò in misura prevalente e per buona parte del periodo la produzione, in risposta a una netta preferenza del mercato. Il poliuretano, per parte sua, in ragione del prezzo unitario elevato, fin da principio era stato utilizzato soprattutto per applicazioni che non potevano prescindere da determinate caratteristiche chimiche (l’atossicità in particolare), ma nel corso degli anni novanta ha conquistato margini crescenti di mercato sia per le intrinseche qualità, sia per la maggiore versatilità applicativa, risultata peraltro accresciuta dall’utilizzo dei procedimenti di calandratura, sia per il minore impatto ambientale. Un ulteriore tipo di copertura entrata nella gamma è quella al silicone. Anche per quanto riguarda i tessuti di sostegno, ovvero le armature interne, lo spettro è stato notevolmente ampliato. Al poliammide (nylon) si sono affiancati il poliestere, la fibra aramidica e il cotone, ciascuno portatore di proprie specifiche tecnologie di lavorazione. In aggiunta alla spalmatura, che è stato per un quindicennio il principale processo di fabbricazione utilizzato per i nastri trasportatori, si sono sviluppati e perfezionati il metodo della calandratura e dell’accoppiamento. Notevole è stato anche il lavoro compiuto per soddisfare diverse esigenze in fatto di qualità chimiche e fisiche: dal grado di conduttività alla conformità alle normative regolanti la produzione alimentare, dalla resistenza all’azione di sostanze chimiche a quella delle deformazioni fisico-meccaniche, dalla capacità di sostenere temperature elevate alla capacità di assorbire il rumore, dalle caratteristiche antifiamma a quelle antifumo. La crescente automazione degli impianti produttivi messa in atto a partire dagli anni ottanta in numerosi ambiti industriali ha continuamente alimentato la domanda di nastri per il trasporto e l’avanzamento dei prodotti attraverso le diverse fasi del ciclo di lavorazione, con il risultato che oggi il ventaglio di settori serviti include una grande varietà di comparti. La distribuzione commerciale media e grande, l’industria alimentare (articolata nei comparti molitorio, della panificazione e dei prodotti da forno, dolciario, delle bevande, della lavorazione delle carni e del trattamento dei prodotti ortofrutticoli), l’industria dell’imballaggio e del con- 131 3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005 fezionamento, quella cartaria, cartotecnica e delle arte grafiche, l’industria meccanica, metallurgica e automobilistica, quella tessile, quella conciaria, quella della ceramica, dei laterizi e del vetro, quella delle attrezzature sportive, quella della movimentazione e della logistica industriale, dell’automazione postale e del trasporto dei bagagli negli impianti aeroportuali. Un discorso analogo di diversificazione e ampliamento di gamma può essere fatto per le cinghie di trasmissione, oggi costruite con elementi interni di trazione in nylon poliammide, in poliestere e in fibra aramidica e con coperture esterne in diversi tipi di poliuretano e di elastomeri. Insieme a cinghie piane altri articoli per la trasmissione di potenza includono cinghie tonde e una varietà di manicotti. Sebbene gli usi siano naturalmente diversi, i comparti utilizzatori di questi prodotti coincidono in larga misura con quelli che impiegano i nastri trasportatori. Negli ultimi anni l’attività di ricerca e sviluppo si è concentrata nello studio e realizzazione di nuove soluzioni applicative, sempre più frequentemente utilizzanti resine poliuretaniche, destinate all’impiego nel campo della nautica, della protezione da fumi e da agenti chimici e batteriologici, del rivestimento di interni, della verniciatura. Molte delle nuove applicazioni in poliuretano sono realizzate grazie alle competenze sviluppate nella produzione di film calandrati particolarmente sottili84 (l’Ecofilm Elastar dal nome del marchio registrato), il cui potenziale di sviluppo si presenta molto vasto, dall’abbigliamento ai serbatoi gonfiabili, dal settore medicale e paramedicale all’industria calzaturiera, della pelletteria e dell’arredamento, e resta in larga parte ancora da sfruttare industrialmente. Un riconoscimento senza dubbio importante dell’interesse ricoperto dalla ricerca in campo applicativo condotta nei laboratori dell’impresa è stata la concessione nel 2001 di un finanziamento da parte del Ministero per l’Università e la ricerca scientifica. 84 Lo spessore varia tra i 30 micron e i 4 mm. 132 Esempi applicativi di nastri trasportatori: 1. linee di produzione biscotti 2. camminatoio 133 Esempi applicativi di nastri trasportatori: 1. check-in e smistamento bagagli in aeroporto 2. banco cassa di un supermercato 134 3. Biella, L’Europa, il mondo. 1983-2005 Verso nuove fisionomie organizzative Uno degli aspetti quantitativamente più vistosi dello sviluppo dell’impresa negli ultimi venti anni del Novecento è l’aumento della forza lavoro occupata. Alla fine del 2004 gli occupati a livello di gruppo, che nel 1980 erano circa 160, erano saliti a 620, quasi quattro volte tanto. Limitando lo sguardo ai dipendenti diretti della Chiorino S.p.A., nello stesso arco temporale i numeri passano da 139 a 299, dunque più che raddoppiano. Queste consistenti variazioni si accompagnarono a una relativa evoluzione della struttura organizzativa dell’impresa accelerando un processo che aveva manifestato deboli segni di natura per lo più qualitativa nella seconda metà degli anni sessanta e che aveva ricevuto una spinta decisiva solo negli anni settanta. Ancora una volta, furono le innovazioni introdotte nei processi produttivi dallo sviluppo dei nastri trasportatori a modellare la fisionomia di questa trasformazione, di cui si cercherà ora di delineare i tratti. Sotto il profilo cronologico gli aumenti più consistenti della forza lavoro occupata si verificarono nella seconda metà degli anni ottanta e di nuovo a partire dalla metà degli anni novanta (vedi tabella 12), in sostanziale coincidenza con i principali cicli di espansione della domanda nazionale e internazionale e, concordemente, del fatturato. Tra il 1985 e il 1989 l’aumento fu del 34% (da 153 a 205) mentre fu del 33% tra 1993 e 1997 (da 218 a 290). Distinguendo tra operai e impiegati, si ottiene che nei venticinque anni compresi tra 1980 e 2004 i primi crebbero del 70% a fronte di una crescita dei secondi pari al 250%, dando luogo a una cospicua differenza che, sebbene risulti attenuata a livello di gruppo, costituisce un indice inequivocabile della trasformazione delle strutture interne. Questa dinamica fortemente differenziata incise sull’organizzazione complessiva oltre che in termini numerici anche qualitativamente, complicando la struttura ereditata dagli anni sessanta e settanta, che di fatto a sua volta riproduceva quasi intatto il modello dell’immediato dopoguerra. Quest’ultimo si basava essenzialmente su una catena gerarchica molto corta: al vertice i titolari, investiti della guida imprenditoriale, dopo di loro gli esponenti della generazione più giovane con funzioni direttive, quindi i capi reparto, fondamentalmente provenienti dai ranghi operai 135 3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005 attraverso un processo di selezione interno, sotto ancora la manodopera con le proprie qualifiche e stratificazioni. Negli anni sessanta e settanta il principale cambiamento aveva riguardato la sostituzione dei capi reparto con figure di estrazione tecnica, dotati di una istruzione professionale formale e assunti appositamente per coprire ruoli di responsabilità. Tabella 12. Composizione della forza lavoro addetta, 1981-2004 Operai Impiegati Var % 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 110 106 111 119 113 120 123 128 145 152 155 153 154 167 188 190 206 196 192 207 208 201 199 201 -6,8 -3,6 4,7 7,2 -5,0 6,2 2,5 4,1 13,3 4,8 2,0 -1,3 0,7 8,4 12,6 1,1 8,4 -4,9 -2,0 7,8 0,5 -3,4 -1,0 1,0 Totale Var % 29 30 34 39 40 42 39 61 60 56 59 63 64 71 72 76 84 85 91 95 99 99 99 98 3,6 3,4 13,3 14,7 2,6 5,0 -7,1 56,4 -1,6 -6,7 5,4 6,8 1,6 10,9 1,4 5,6 10,5 1,2 7,1 4,4 4,2 0,0 0,0 -1,0 Var % 139 136 145 158 153 162 162 189 205 208 214 216 218 238 260 266 290 281 283 302 307 300 298 299 -4,8 -2,2 6,6 9,0 -3,2 5,9 0,0 16,7 8,5 1,5 2,9 0,9 0,9 9,2 9,2 2,3 9,0 -3,1 0,7 6,7 1,7 -2,3 -0,7 0,3 Erano, per intendersi, i signori Silvio Peraldo, perito meccanico capo reparto della “Selleria 1”, Cesare Garella, capo reparto delle lavorazioni in gomma, e Giorgio Borri, responsabile della sezione nastri e cinghie, sebbene, come si è visto, il suo ingresso alla Chiorino fosse stato inizialmente pensato con destinazione all’area commerciale. A quell’epoca il capo reparto occupava ancora una posizione centrale nell’organizzazione di fabbrica. Ricadevano su di lui le responsabilità più immediate nella gestione 136 Verso nuove fisionomie organizzative della produzione, era lui a sovrintendere allo stato di manutenzione delle macchine, a intuire le modifiche opportune, a studiare le attrezzature, a seguire il personale e a promuoverne le carriere interne, a curarsi dell’organizzazione del lavoro e della distribuzione dei carichi. L’introduzione dei nastri trasportatori rivoluzionò questo assetto a partire dal semplice fatto che il segmento principale della produzione avveniva su macchine che sfornavano rotoli attraverso un processo di lavorazione in continuo. Il fabbisogno di manodopera si ridusse allora e si spostò in misura più consistente sulle fasi di confezionamento. Nel complesso, comunque, diminuì85. Inoltre, mano a mano che le produzioni in gomma e in resine plastiche acquistarono rilevanza rispetto a quelle in cuoio, rivolte prevalentemente al settore tessile e di carattere labour intensive, calò parallelamente anche la forza lavoro operaia. E tuttavia in un altro e più significativo modo il peso crescente degli articoli basati sui nuovi materiali influenzò le strutture e l’organizzazione della produzione. Essi resero infatti centrale il ruolo del laboratorio, il quale, sia pure attraverso un percorso di diversi anni, si installò nel cuore dello schema funzionale del processo produttivo. Era in esso che veniva svolta la ricerca sulle applicazioni e che gli articoli venivano fabbricati in via sperimentale e poi testati fino a che fosse raggiunta una soddisfacente conformità ai requisiti stabiliti a monte dagli standard qualitativi del mercato o dalle esigenze specifiche del cliente. Finito il ciclo di lavorazione industriale, inoltre, i prodotti tornavano al laboratorio per le verifiche di qualità. Venne dunque profilandosi una sempre più netta demarcazione logica tra la funzione della produzione e quelle di ricerca e sviluppo e di controllo di qualità assegnate al laboratorio ed essa finì per imporsi, oltre che nella realtà quotidiana della fabbrica, anche negli organigrammi aziendali. Come si è detto, occorse però del tempo prima di arrivare a un simile risultato. Inizialmente, nel primo laboratorio aziendale organizzato da Fulvio per le ricerche finalizzate alla produzione di tacchetti in plastica, ancora negli anni cinquanta, il solo a lavorarvi era il dottor Nino Serratrice, un consulente esterno laureato in chimica. Lo stesso era accaduto negli anni 85 Poiché le lavorazioni finali sono allocate essenzialmente alle unità periferiche, per lo più estere e comunque costituite in società giuridicamente indipendenti dalla Chiorino S.p.A., è questo il motivo che spiega, almeno in parte, la forte prevalenza del numero degli impiegati su quello gli operai in base ai dati relativi alla sola Chiorino S.p.A. 137 3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005 dell’introduzione della gomma, quando il laboratorio creato da Gian Paolo con il concorso di un altro consulente esterno, lavorava solo pochi giorni alla settimana e senza altro personale. La situazione si modificò sul finire degli anni sessanta quando Luca assunse la direzione del reparto gomma e più ancora negli anni settanta, quando lo sviluppo dei primi nastri e delle prime cinghie impartì sollecitazioni molto consistenti alle attività di sperimentazione. Fu tuttavia solo negli anni ottanta che il laboratorio gomma fu completamente ristrutturato, quando, cioè, fu raggiunta la piena certezza non solo che i costi potessero essere ampiamente ammortizzati, ma che fosse prioritario investire in ricerca e sviluppo per mantenere le posizioni di mercato acquisite di fronte a una concorrenza estera che sotto questo profilo risultava molto ben strutturata e vantava almeno un decennio di vantaggio. Allora il laboratorio gomma fu ampliato in modo consistente e dotato di personale dedicato. A un esito analogo si giunse alla metà degli anni novanta con l’integrale ristrutturazione del preesistente laboratorio per le materie plastiche creato all’inizio degli anni ottanta, ora equipaggiato con macchine altamente sofisticate per lo studio del comportamento reologico dei materiali, costruito sotto la consulenza tecnica di uno specialista del settore, dotato anch’esso di un proprio stabile staff guidato da Giorgio Borri. A questo punto la situazione fu matura per cominciare a considerare, oltre che nei fatti, anche sulla carta, ossia negli schemi organizzativi, la funzione produttiva come una “variabile dipendente”, subordinata alla progettazione. Queste innovazioni nell’organizzazione produttiva originate dal cambiamento tecnologico ebbero evidentemente un impatto sull’evoluzione della composizione della forza lavoro, contribuendo al ridimensionamento della consistenza numerica degli operai a favore di quella degli impiegati. Ma anche un altro risvolto indotto da quel cambiamento agì nella medesima direzione. La nuova gamma di articoli, infatti, si ampliò progressivamente fino a raggiungere un’estensione molto maggiore di quella che formava in precedenza il catalogo aziendale e alla diversificazione della gamma e dei mercati serviti, al crescere della specializzazione del prodotto, crebbe la frammentazione della clientela. Ed essa si moltiplicò in parallelo all’espansione del fatturato, notevolissima negli anni settanta e proseguita ininterrotta nei due decenni successivi86. Un dato, 86 Dell’andamento del fatturato negli anni ottanta e novanta si dirà nel prossimo paragrafo. 138 Verso nuove fisionomie organizzative ancorché odierno, dà un’idea della rilevanza del fenomeno che cominciò allora a svilupparsi: nel 2004 il gruppo ha emesso nell’insieme un totale di oltre 76.700 fatture per poco meno di 216.600 righe d’ordine. Va da sé che la gestione di una massa di questa entità richiede necessariamente una schiera nutrita di personale amministrativo e tecnico addetto alla gestione degli ordini e al disbrigo della relativa corrispondenza. All’infoltirsi e al lento strutturarsi dei ranghi intermedi della gerarchia aziendale più prossimi alla realtà produttiva, un processo che avvenne nei fatti molto prima di trovare coerente codificazione in un organigramma ufficiale, fece pendant una ristrutturazione rilevante della rete di vendita, largamente contestuale alla trasformazione dell’impresa in un gruppo multinazionale. Mentre di questo si dirà nel prossimo paragrafo, preme qui sottolineare un processo di razionalizzazione dell’architettura generale della produzione soggiacente agli sviluppi dell’organizzazione commerciale. Si allude alla sempre più marcata distinzione logistica e funzionale tra la preparazione del prodotto semifinito, i rotoli di nastri e cinghie, e le fasi finali della lavorazione consistenti nella confezione. Sebbene rappresenti un segmento relativamente leggero della produzione, in quanto è eseguita più con il contributo della manodopera che con il supporto di macchinari a elevata intensità di capitale, la confezione si articola in un complesso di una o più operazioni che includono il taglio, la spaccatura, la smussatura, la fustellatura, la pressatura, la rifilatura, il giunzionamento e l’eventuale aggiunta di profili, bordi o guide. Essa è cruciale in quanto concentra un’elevata percentuale degli interventi di “personalizzazione” del prodotto in base alle richieste specifiche della clientela. Inoltre, disponendo di addetti specializzati, è contigua e propedeutica all’erogazione dei servizi di installazione e assistenza post vendita che formano un tassello essenziale della strategia commerciale. Per usare un’efficace metafora coniata dalla proprietà, la confezione equivale all’opera del sarto, che produce un abito su misura per il cliente utilizzando il tessuto fabbricato a Biella nelle fasi di lavorazione a monte. Nel corso degli anni ottanta e novanta, parallelamente alla creazione del gruppo, si è stabilita una divisione del lavoro tra lo stabilimento di Biella, produttore dei semilavorati, e la rete periferica nel resto d’Italia e all’estero, in base alla quale le operazioni di confezione sono demandate integralmente a quest’ultima. Non fa 139 Presse per la chiusura ad anello dei nastri trasportatori nella fase di confezionamento del prodotto. 140 Verso nuove fisionomie organizzative eccezione a questa architettura generale il nuovo stabilimento di Biella Sud, finito di costruire nel 2001, dove si eseguono la confezione e le personalizzazioni. In aggiunta, una specifica divisione aziendale, detta di engineering, è stata creata per progettare e fare costruire da fornitori specializzati tutta l’attrezzatura necessaria a eseguire le fasi finali di lavorazione. L’utilizzo di questa strumentazione “proprietaria”, fornita in dotazione a tutte le società affiliate, pone ogni nodo “interno” della rete mondiale di distribuzione nelle condizioni di lavorare allo stesso modo e garantisce così alla clientela in ogni parte del mondo un identico standard di qualità del prodotto. Tali forme di razionalizzazione e standardizzazione, è il caso di notare, hanno riflessi positivi su molti aspetti organizzativi, facilitano la gestione dei magazzini e degli interventi di assistenza e consentono l’adozione di politiche di marketing unitarie e uniformi a livello di gruppo. Sotto altri profili, ma pur sempre sintomo della volontà di modernizzare le strutture interne e capace in prospettiva di incidere significativamente sull’organizzazione complessiva, è la realizzazione avviata nel 2002 di un sistema informativo integrato Erp di controllo di gestione progettato per collegare tutte le società facenti parte del gruppo. Tornando all’organigramma, una parola merita di essere spesa in merito alla relazione che lo collega alla struttura di governance. Come in molte imprese familiari, anche nella Chiorino la proprietà si è assunta storicamente tutte le maggiori responsabilità inerenti alla gestione, da quelle imprenditoriali di definizione delle linee strategiche a quelle di direzione operativa. Se fino agli anni cinquanta la relativa semplicità e la bassa articolazione della struttura produttiva avevano reso oziosa l’ipotesi di delegare funzioni che la prima e la seconda generazione allora alla guida erano in grado di assolvere senza alcun bisogno di supporti esterni, la fase di trasformazione inaugurata negli anni sessanta modificò la situazione. La strada dell’innovazione e del cambiamento tecnologico sollecitarono l’acquisizione di nuove conoscenze sempre più specializzate, moltiplicarono e complicarono i processi interni esercitando pressione sulle risorse provenienti dai ranghi familiari, specialmente dopo il venire meno delle competenze ingegneristiche. Se la seconda generazione era per formazione lontana dal concepire l’attribuzione di ruoli di rilievo manageriale a persone provenienti dall’esterno, la terza ebbe meno 141 3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005 pregiudizi e aprì varchi alla crescita professionale di figure allevate in azienda87 cui furono delegate responsabilità sempre più ampie fino a investire il rango dirigenziale. Questo avvenne per un certo tempo in modo relativamente informale e nel contesto di strutture poco articolate, anche perché le principali energie furono a lungo indirizzate su obiettivi ritenuti prioritari rispetto alla definizione degli organigrammi interni. All’assenza di questi supplirono l’understatement, la dedizione e la versatilità delle persone. Al culmine di una lunga stagione di crescita e nel momento in cui la quarta generazione si affaccia sulla scena aziendale, tuttavia, la situazione è in corso di mutamento e l’attenzione della direzione è concentrata nel disegno di una struttura interna coerentemente articolata, governata dal principio della delega e dell’individuazione della responsabilità, basata sulla valorizzazione delle competenze specifiche. Un disegno che abbraccia organicamente tutte le funzioni aziendali, finalizzato al perseguimento di maggiore efficienza nei processi interni e, in definitiva, a potenziare le capacità innovative, di adattamento e di proposta nei confronti del mercato. Dall’internazionalizzazione alla multinazionalizzazione La trasformazione dell’impresa in un gruppo multinazionale iniziata negli anni settanta e realizzata compiutamente negli anni ottanta e novanta è senz’altro uno dei fenomeni più caratterizzanti della strategia imprenditoriale di questo periodo. La capacità dell’azienda di penetrare i mercati esteri e di operare con proprie strutture dirette in una molteplicità di paesi fece leva in misura decisiva sul vasto potenziale schiuso ai suoi orizzonti dalle innovazioni di prodotto e di mercato settoriale di riferimento introdotte negli anni settanta. Il riposizionamento su segmenti della domanda a maggiore contenuto tecnologico e a maggiore specializzazione, su mercati del prodotto sempre più di nicchia, rese al tempo stesso possibile e necessaria anche una maggiore diversificazione dei mercati geografici. In questa prospettiva, sin dagli anni settanta si collocano su sfondi posti a diversa profondità rispetto alle vicende dell’impresa l’avanzamento dei pro- 87 Il riferimento è soprattutto a Cesare Garella e Giorgio Borri. 142 Dall’internazionalizzazione alla multinazionalizzazione cessi di integrazione regionale, i vasti mutamenti strutturali avvenuti nella geografia dell’economia internazionale e il secondo fenomeno di globalizzazione del Novecento. Tutti concorrendo a modificare, con maggiore o minore intensità a seconda di tempi e circostanze, il quadro di vincoli, sfide e opportunità in cui la Chiorino operava. Si stagliano in primo luogo l’estensione nel 1972 dell’area di libero scambio europea ai paesi dell’European Free Trade Association88, il graduale allargamento della Comunità con l’ingresso di Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca (1973), Grecia (1981), Spagna e Portogallo (1986), fino all’Europa a quindici (1995) e a venticinque (2004). Vi figura, in secondo luogo, il peso enorme che il continente asiatico venne guadagnandosi sulla scena economica mondiale con l’emergere delle economie del Sudest negli anni settanta e ottanta e più recentemente della Cina e dell’India. Più ancora spicca il contesto favorevole all’espansione multinazionale determinato negli anni novanta dalla liberalizzazione degli scambi commerciali attraverso accordi multilaterali, dalla deregolamentazione dei movimenti dei capitali e dalla progressiva integrazione dei mercati finanziari, fatti e sviluppi che, sospinti dall’ondata di innovazioni tecnologiche realizzate a partire dagli anni ottanta, e specialmente quelle relative all’informatica e alle telecomunicazioni, hanno favorito immensi flussi di investimenti esteri diretti e straordinariamente stimolato la crescita della produzione e del commercio mondiale nell’ultimo decennio. Per la Chiorino l’espansione della quota di fatturato realizzato all’estero era divenuta una realtà di entità apprezzabile a partire dalla seconda metà degli anni sessanta e negli anni settanta era cresciuta a un ritmo straordinariamente intenso fino ad attestarsi intorno al 50% del valore delle vendite. Questa accelerazione, forte di un tasso di crescita composto del 17,81% annuo89, aveva segnato una discontinuità di grande rilievo rispetto al passato. Essa era avvenuta nel solco della crescita delle esportazioni di manufatti industriali italiani, che nel decennio 1971-1980 erano progredite a un tasso composto del 6,97%90, beneficiando dei vantaggi competitivi derivanti dalle politiche economiche adottate dal governo nel movimentato contesto internazionale, scosso dalla fine del sistema dei 88 Si tratta di Gran Bretagna, Svezia, Norvegia, Danimarca, Svizzera, Austria e Portogallo. Ci si riferisce ai valori espressi in lire 2004. 90 Dato tratto da elaborazioni delle statistiche dell’Ocse per il periodo 1960-1998. 89 143 3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005 cambi fissi e dalla prima crisi petrolifera. La politica del cambio attuata dalle autorità monetarie a partire dalla fluttuazione della lira nei primi mesi del 1973, in particolare, aveva permesso di conservare discreti margini di competitività ai produttori nazionali pure a fronte del sensibile incremento del costo del lavoro originato dalla stagione di lotte sindacali apertasi nel 1969, dell’aumento del costo delle materie prime in generale e della lievitazione del costo del denaro. Più specificamente, il perseguimento di un rapporto di cambio della lira più stabile nei confronti del dollaro che del marco tedesco (la così detta “svalutazione differenziata”) aveva permesso di rendere meno onerose le importazioni, pagate prevalentemente nella valuta statunitense, e più competitive le esportazioni, maggioritariamente dirette verso i mercati europei91. Il processo di sviluppo delle vendite all’estero dell’impresa continuò ininterrotto negli ultimi vent’anni del secolo, sebbene a un ritmo di espansione meno intenso. Come indica la tabella 13, negli anni ottanta si dimostrò essere ancora una volta la componente del fatturato di gran lunga più dinamica, con un tasso di crescita annuo composto pari all’11,5% a fronte del 6,95% del fatturato complessivo e di appena l’1,1% del fatturato Italia. Nel 1990 le vendite sui mercati esteri erano pari a 2,66 volte il valore del 1981 e superavano i due terzi del totale, un livello intorno al quale si stabilizzarono anche nel decennio successivo92. Tabella 13. Incidenza delle esportazioni sul fatturato, 1981-1990 (mil. di lire 2004) 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 Esportazioni Variazione % annua % del fatturato Fatturato totale 12.351 10.016 13.012 17.316 18.257 22.454 24.382 27.264 29.985 32.906 -4,56 -18,90 29,91 33,07 5,44 22,99 8,59 11,82 9,98 9,74 46,65 37,59 53,28 56,10 56,04 61,11 64,15 64,99 66,33 67,87 26.474 26.645 24.420 30.865 32.576 36.744 38.007 41.951 45.208 48.485 91 Si veda in proposito A. Graziani, Lo sviluppo dell’economia italiana dalla ricostruzione alla moneta europea, Torino, Bollati Boringhieri, 1998, pp. 123-125. 92 Tutti i dati si riferiscono a valori espressi in lire 2004. 144 Dall’internazionalizzazione alla multinazionalizzazione Nel corso degli anni novanta (vedi tabella 14) la performance relativa delle due voci del fatturato si invertì e le vendite italiane crebbero nel complesso a un ritmo (6,65% composto) di poco superiore di quelle estere (6,32%). Suddividendo il decennio in due sottoperiodi, tuttavia, si ha che fu soprattutto nel quinquennio 1991-1995 che il mercato nazionale mostrò un assorbimento maggiore di quello estero (14,63% contro il 9,97%), per recedere negli anni 1996-2000 su tassi di crescita inferiori e decisamente contenuti (2,5% contro 8,75%). Tabella 14. Incidenza delle esportazioni sul fatturato, 1991-2000 (mil. di lire 2004) 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 Esportazioni Variazione % annua % del fatturato Fatturato totale 33.492 34.717 40.408 44.645 48.982 41.035 50.460 44.160 46.999 57.401 1,78 3,66 16,39 10,48 9,71 -16,22 22,97 -12,48 6,43 22,13 69,03 68,62 71,17 66,32 65,38 62,80 66,30 63,85 66,30 68,15 48.517 50.593 56.778 67.314 74.920 65.344 76.106 69.165 70.893 84.228 Dietro questi andamenti del fatturato, oltre alla “forza” intrinseca dei nuovi prodotti, stava essenzialmente una strategia commerciale determinata e innovativa, maturata anche sulla scorta del primo esperimento fatto con la filiale britannica. Negli anni settanta la rete di distribuzione commerciale estera dell’azienda era affidata in nettissima prevalenza a distributori e agenti indipendenti plurimandatari, ossia non esclusivi. L’esperienza della Polymax Belting Ltd a partire dal 1975, tuttavia, permise alla Chiorino di valutare concretamente i vantaggi e l’efficacia dell’internalizzazione di un nodo maggiore della propria distribuzione93. Questa soluzione organizzativa fece, per così dire, scuola e nel corso degli 93 Come si è detto nel capitolo precedente, la Polymax Belting era passata sotto il completo controllo della Chiorino nel 1977. Essa rivendeva i nastri trasportatori e le cinghie di trasmissione prodotti a Biella, previo compimento delle ultime fasi di lavorazione. Cfr. supra p. 125. La società era detentrice di un’esclusiva oltre che per la vendita anche per l’assistenza post vendita ed era organizzata con proprie reti e un certo numero di venditori diretti e di agenti esterni. 145 3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005 anni ottanta e novanta fu replicata in più paesi trasformando gradualmente l’impresa biellese in un’impresa multinazionale. I vantaggi che la strategia imprenditoriale si riprometteva di ottenere da una rete di vendita interna controllata centralmente consistevano nella possibilità di incentivare meglio i venditori, di prepararli sul piano tecnico, di raccogliere un più consistente e puntuale flusso di informazioni sulle condizioni dei mercati, sulla performance dei prodotti e sui bisogni della clientela, di offrire servizi di manutenzione tempestivi e affidabili, di essere in tutti i modi, anche geograficamente, il più vicino possibile ai propri clienti finali. Sulla spinta di due motivazioni di fondo, dunque, diversificazione dei mercati geografici e internalizzazione della struttura di vendita, attenta al mutevole presentarsi delle opportunità, nella prima metà degli anni ottanta la Chiorino cominciò a investire un flusso crescente di risorse nella costruzione di una propria rete di distribuzione commerciale estera. Nel luglio 1983 fu creata a Wilmington (DE), negli Stati Uniti, la Chiorino Inc. L’anno successivo fu la volta di Chiorino France, nella regione parigina. Nel 1985, all’acquisto di una partecipazione di minoranza nel capitale di una società sudafricana, la Precision Belting, si unì il potenziamento dell’affiliata francese, seguito nel 1986 da quello dell’affiliata statunitense. Nel 1988 furono create una controllata spagnola, la Chiorino S.A. di Barcellona, e una nel Sudest asiatico, la Chiorino Far East Pte Ltd di Singapore. In parallelo, nello stesso anno si investirono risorse nuove nello sviluppo della società francese e si aumentò la partecipazione nella collegata sudafricana. Negli anni novanta il processo si intensificò lungo le stesse direttrici, ossia ampliando il numero delle partecipate e investendo nello sviluppo di alcune di quelle esistenti. Nel 1994 fu costituita la Chiorino Benelux B.V., con sede a Utrecht; nel 1996 la Chiorino GmbH a Kelkheim, in Germania, poi trasferitasi a Mainz nel 2005; nel 1998 la Rob Harvey Pty Ltd di Brisbane, in Australia94; la Chiorino Sp.z. o.o. a Bydgoszcz, in Polonia nel 1999; la Chiorino-K Ltd a Minsk, in 94 La Rob Harvey Pty era una società esistente nella quale Chiorino acquistò una partecipazione di minoranza, salita fino al 50% del capitale nel 2001. Nel dicembre 2005 la società è stata acquisita al 100% e ha assunto la ragione sociale di Chiorino Australia Pty Ltd. 146 Dall’internazionalizzazione alla multinazionalizzazione Bielorussia, nel 2001; la Chiorino Hungary Kft nel giugno 200595. Nei mercati più promettenti le controllate costruirono in questi anni proprie reti di vendita in taluni casi per coprire porzioni di territorio più vaste, in altri per assicurare una penetrazione più capillare, talora articolandosi con una propria struttura decentrata, come nel caso delle società britannica, francese, spagnola, sudafricana e australiana, talaltra affidandosi ai servizi di distributori indipendenti. In definitiva, le aree coperte tutt’oggi dalla rete diretta sono prevalentemente dislocate in economie avanzate o emergenti e in economie che solo poco tempo fa erano chiamate “in transizione” perché provenienti dal disciolto Patto di Varsavia o dalla dissoluzione dell’Unione sovietica e che oggi sono entrate nell’Unione europea o vi premono alle porte. Aree tutte, queste ultime e quelle emergenti, che godono nel complesso di buone prospettive di crescita, avendo margini di una certa ampiezza da colmare nei confronti del mondo più sviluppato. Includendo nel quadro i paesi dove attualmente opera una rete di vendita indiretta, la geografia complessiva della distribuzione conferma una presenza concentrata nel continente europeo, affiancata da presidi di diversa entità nell’America centrale (Messico) e meridionale (Argentina, Brasile, Colombia e Venezuela), in India, in Turchia e in Medio Oriente (Arabia Saudita e Israele). Come era stato sin dalle origini per la prima controllata estera in Gran Bretagna, il tratto funzionale che accomuna i nodi “interni” della rete, ossia le società che sono direttamente parte del gruppo, è di attendere, oltre che allo sviluppo delle relazioni commerciali, alle operazioni di confezionamento del prodotto in modo da completarne la lavorazione “tagliandolo su misura” delle esigenze del cliente e di attendere inoltre all’espletamento di servizi di intervento, assistenza e manutenzione, che formano un elemento qualificante e centrale della strategia commerciale. Se le funzioni aziendali decentrate nel processo di multinazionalizzazione fin qui descritto riguardarono essenzialmente la distribuzione e le fasi finali del ciclo produttivo, è importante notare che negli anni novanta furono sperimentate anche forme diverse di presenza diretta sui mercati esteri. In particolare furono delocalizzati segmenti più ampi della produzione mediante la 95 L’affiliata ungherese nasce dal rilievo e successiva incorporazione del distributore locale. 147 CHIORINO VENETO s.r.l. Colle Umberto (TV) CHIORINO PARMA s.r.l. Parma CHIORINO U.K. Ltd. Featherstone, Regno Unito CHIORINO SAS Parigi, Francia 148 CHIORINO S.A. Barcellona, Spagna CHIORINO BENELUX B.V. Utrecht, Olanda CHIORINO GmbH Mainz, Germania CHIORINO Sp.z. o.o. Bydgoszc, Polonia 149 CHIORINO, INC. Newark, U.S.A. PRECISION BELTING (PTY) LTD Westmead, Sud Africa CHIORINO FAR EAST PTE. LTD Singapore CHIORINO AUSTRALIA PTY LTD Brisbane, Australia 150 Dall’internazionalizzazione alla multinazionalizzazione costituzione di joint ventures. Due furono le iniziative prese in questo senso. Il primo caso riguardò la creazione nel 1990 di una società mista italo-cinese con sede a Jinan, finalizzata alla produzione di cinghie piane gommate inestensibili da utilizzare soprattutto come elementi di trasmissione per macchinario dell’industria tessile, filatoi e torcitoi in particolare. L’iniziativa era destinata a cogliere l’enorme potenziale di sviluppo di una delle economie più dinamiche al mondo e, al suo interno, di un mercato particolarmente promettente. La Chiorino assunse una partecipazione del 20% al capitale, mentre il resto era detenuto da partner locali pubblici. Proprio la natura pubblica dei soci cinesi, del resto ancora la forma di proprietà di gran lunga prevalente nel settore industriale cinese all’inizio degli anni novanta96, fu tuttavia all’origine di difficoltà nella gestione, la cui efficacia risultò fortemente indebolita dai tempi dilatatissimi dei processi decisionali e dalla carenza di specifiche abilità manageriali. La crescente insoddisfazione che derivò da questa situazione condusse all’uscita di Chiorino con conseguente attivazione di una procedura di arbitrato internazionale presso il Tribunale di Stoccolma, vinta dalla Chiorino. Da allora la Società è rimasta assente dal mercato cinese, ancora troppo orientato all’impiego di articoli tecnici dalle caratteristiche standard e di basso prezzo. Diversissima l’esperienza effettuata in Slovenia. Qui sin dal 1995 la Chiorino aveva allacciato rapporti con la ditta Konex di Slovenske Konjice per la confezione e commercializzazione dei propri nastri trasportatori nei mercati dell’Europa orientale. La sintonia sulle strategie di sviluppo e i rapporti di fiducia instaurati con la famiglia Grilj, che dirigeva la Konex, indussero a estendere la portata della collaborazione. Insieme Chiorino e Konex parteciparono alla privatizzazione di un’impresa pubblica, la Konus, rilevandone, nell’arco di due anni, tre reparti produttivi successivamente riorganizzati in un’unica realtà industriale, forte di duecento dipendenti e specializzata nella produzione di tessuti non-tessuti agugliati, trattati con resine poliuretaniche. Una parte di tale produzione fu destinata con successo alla confezione di nastri trasportatori, distribuiti con il marchio Silon, mentre il resto trovò sbocco nel settore calzaturiero e nei processi di filtrazione industriale. Posta l’impresa, che versava in situazione di difficoltà al 96 Cfr in proposito Organisation for Economic Cooperation and Development (Oecd), China, serie “Oecd Economic Surveys”, Paris, Oecd, 2005 151 Inaugurazione dello stabilimento di Biella Sud. 6 ottobre 2001. Al centro Gregorio, Amedeo e Matteo Chiorino 152 153 3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005 momento della privatizzazione, su basi organizzative e tecniche solide e in condizioni di buona redditività, valutando l’iniziativa non più coerente con le proprie strategie di gruppo, nel 2004 la Chiorino decise di ritirarsi cedendo la propria quota di maggioranza. L’uscita dalla società consentì non solo la realizzazione di una buona plusvalenza, ma anche di definire accordi per continuare la collaborazione nel campo della distribuzione commerciale. In base a essi, Chiorino distribuisce oggi in esclusiva i nastri Silon attraverso la propria rete, mentre reciprocamente la Konus, che ha parzialmente riorientato la propria produzione verso gli articoli per l’igiene della casa, fornisce analoghi servizi nei mercati sloveno, croato, bosniaco e degli altri paesi della ex Jugoslavia per la distribuzione dei prodotti Chiorino. Funzioni in tutto simili a quelle svolte dalla rete estera sono tuttora attribuite alle filiali e alle società controllate presenti sul territorio nazionale, costituite tra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta: la Chiorino Parma s.r.l. e la Chiorino Veneto s.r.l. di Colle Umberto, in provincia di Treviso. La prima fu creata nel 1989 per sfruttare il mercato costituito dall’industria alimentare. La seconda, acquisita integralmente tra il 1990 e il 1991, nacque invece dal rilievo di una società esistente, di nome Covetra s.r.l. A questa rete nazionale si affiancò negli anni novanta anche una sede a Milano, ora riassorbita nel nuovo stabilimento di Biella Sud. L’intera struttura di vendita nazionale è controllata e risponde direttamente alla Direzione commerciale a Biella, dove affluiscono gli ordinativi e tutte le informazioni sulle condizioni del mercato e sulle esigenze tecnico applicative della clientela ed in particolar modo quelle dei costruttori di macchinario, clienti importantissimi per la Chiorino, con cui vengono condivise progettazioni e messe a punto di prototipi che una volta approvati, vengono poi distribuiti nei vari mercati internazionali. Profili di gestione Uno degli ambiti in cui la modernizzazione associata al processo di sviluppo dell’impresa ha lasciato un’altra evidente impronta è quello della gestione. In realtà alcuni tratti distintivi generali della gestione sono in rapporto di strettissima continuità con l’impostazione data a suo tempo 154 Profili di gestione dal fondatore, Lorenzo, e perpetuata da Fulvio e Angelo, al punto da potersi definire una costante secolare. La capitalizzazione sistematica e integrale degli utili è uno di questi, forse il più vistoso, associato a una politica di ammortamenti sempre condotta al limite massimo consentito. Un altro tratto, mosso dal medesimo intento di preservare e rafforzare costantemente la solidità patrimoniale, è la prudenza, manifesta soprattutto nella propensione a cautelarsi contro possibili svalutazioni di poste dell’attivo. Terzo, coerente con i precedenti, che ne formano peraltro il presupposto indispensabile, è un dosaggio degli investimenti in immobilizzazioni tecniche e immateriali commisurato quasi esclusivamente alle interne capacità di autofinanziamento. Per converso, si delineano elementi di novità nella gestione finanziaria, che assume un rilievo talvolta molto pronunciato, e nella conduzione di operazioni di carattere societario, in precedenza fatto di assoluta rarità97. Cominciando per gradi, osserviamo per prima cosa l’andamento. Limitando lo sguardo per omogeneità di dati alla sola capogruppo, dopo il grande balzo compiuto negli anni settanta, la crescita del fatturato si stabilizzò negli anni ottanta e novanta su ritmi più contenuti ma pur sempre ragguardevoli: il 6,9% su base annua nel primo decennio, il 6,3% nel secondo98. Espresso in lire 2004, esso passò dai 26,5 mld del 1981 ai 48,5 mld del 1990, alla cifra record di 84,2 mld nel 2000, per poi flettere sotto il peso della crisi del 2001. Calcolato in rapporto al numero degli occupati e in lire costanti, il fatturato per addetto aumentò da 190 milioni nel 1981 a 233 milioni nel 1990, a 279 milioni nel 2000 (vedi grafico 4). Osservando più da vicino la sua evoluzione nel tempo, si delineano una fase di contrazione all’inizio del periodo, nel 1981-1983, una protratta espansione fino al 1989, un rinnovato slancio nel 19931995 e nel 1999-2000, con nel mezzo due anni di flessione nel 1996 e nel 1998. L’andamento degli utili ricalca in buona parte questo pro97 Il solo precedente sono le trasformazioni effettuate nel 1947 e nel 1954, la prima da società in nome collettivo in società per azioni, la seconda da società per azioni in società in accomandita semplice. 98 Si noti che questi dati sono riferiti al fatturato espresso in lire 2004. Calcolati in lire correnti, i tassi sono rispettivamente del 16,2% e del 9,9%. Il gruppo nel suo insieme ha seguito una dinamica analoga, comunque di crescita continua, fino alla già ricordata cifra aggregata di oltre 85 milioni di euro. 155 3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005 Grafico 4. Composizione del fatturato (mil. di lire 2004) 90.000 80.000 70.000 60.000 50.000 40.000 30.000 20.000 10.000 Export 2004 2003 2002 2001 2000 1999 1998 1997 1996 1995 1994 1993 1992 1991 1990 1989 1988 1987 1986 1985 1984 1983 1982 1981 0 Italia filo, con alcuni scostamenti, nel 1983 e agli inizi e alla fine degli anni novanta. Sottostanti a questi andamenti sono in primo luogo le dinamiche congiunturali, reali, finanziarie e valutarie. Gli anni tra il 1979 e il 1982, turbati dal secondo shock petrolifero, furono un periodo di forte rallentamento della crescita mondiale. L’industria italiana ne sentì in pieno l’effetto. Dopo un biennio di forte crescita culminato nel 1980, la produzione industriale si avvitò in una profonda recessione caratterizzata da un punto di minimo nel 1983 e da una ripresa che, per quanto sostenuta, solo nel 1987 condusse a superare i vertici precedenti. La situazione generale in cui operavano le imprese fu aggravata dall’adesione dell’Italia al Sistema monetario europeo (Sme) nel 1979, scelta che comportò una maggiore stabilità del cambio della lira e, di conseguenza, un sensibile restringimento dei margini per effettuare svalutazioni competitive. Il settore manifatturiero non poté più, pertanto, trasmettere ai prezzi gli aumenti dei costi dei fattori e delle materie prime con la stessa libertà usata negli anni settanta e si impegnò allora in un’opera di ristruttura- 156 Profili di gestione zione intesa ad aumentare la produttività, a guadagnare efficienza e a contenere le rivendicazioni salariali99. La Chiorino accusò le difficoltà della situazione, registrando un calo degli utili tra il 1979 e il 1982. La performance era appesantita dalle difficoltà in cui versava il settore tessile, in un momento in cui la diversificazione degli sbocchi della produzione aziendale avviata nel decennio precedente era ancora in corso di attuazione. Fu perciò in questi anni che vennero decise alcune importanti operazioni di ristrutturazione, come la dismissione del reparto conceria e l’ulteriore diversificazione dell’attività industriale, realizzata con l’avvio di un’iniziativa per il trattamento delle pelli sotto la ragione sociale di Chiorino Chimica. Sul versante delle relazioni industriali e dell’organizzazione si cominciarono invece a negoziare e a introdurre sistemi di incentivo delle remunerazioni basati sulle rilevazioni di tempi e metodi. Un primo tentativo in questo senso era stato compiuto da Gian Paolo nei primi anni sessanta, ma era stato abbandonato per la difficoltà di applicarlo a lavorazioni ancora largamente artigianali, quale era quella del cuoio, e per le resistenze opposte dalle maestranze. Il primo reparto a esserne interessato fu dunque quello delle lavorazioni in gomma, relativamente più standardizzate rispetto alle altre. Dopo la dismissione della conceria, esse vennero gradualmente estese alla generalità dei reparti. Con l’innesco della ripresa in Italia e all’estero anche il fatturato tornò a crescere tra il 1984 e il 1989, seguito dagli utili, nonostante andamenti divergenti nel 1985 e nel 1990 in conseguenza, nell’un caso, di minusvalenze risultanti da operazioni di fusione, e, nel secondo, della perdita derivante dalla liquidazione di una partecipazione. Il decennio successivo, apertosi con una fase di contrazione e rallentamento del ciclo internazionale, conobbe il ritorno di condizioni di grande prosperità tra il 1994 e il 2000, con l’eccezione degli anni della crisi messicana (1995), tradottasi in un lieve ristagno della crescita, e di quella asiatica (1998), fonte di una 99 Sono anni, il decennio ottanta, in cui la politica valutaria del “cambio forte” perseguita dal governo e dalle autorità monetarie italiane svolse di fatto il ruolo di principale elemento di politica industriale. Nel complesso, tuttavia, il settore manifatturiero, o per lo meno la sua componente più tradizionale, soffrì anche della concorrenza sempre più forte cui si trovò esposto per effetto del peso crescente delle nuove economie asiatiche sui mercati mondiali e dell’ingresso nell’Europa comunitaria di paesi dotati di una struttura industriale simile a quella italiana, ma beneficianti di costi di produzione inferiore. Cfr. A. Graziani, Lo sviluppo dell’economia italiana dalla ricostruzione alla moneta europea, cit., pp. 143 e 148 ss.. 157 3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005 sensibile contrazione100. In Italia la fuoriuscita della lira dallo Sme nel 1992 e il suo consistente deprezzamento costituirono una ragione aggiuntiva dell’eccellente performance delle vendite, peraltro in forte recupero anche sul mercato nazionale nel biennio 1994-1995 in virtù della ripresa della produzione e degli investimenti industriali. La successiva stabilizzazione valutaria avviata nel 1996 determinò un’inversione di tendenza con ripercussioni tangibili sul fatturato, ampiamente recuperate, tuttavia, nel 1999 e specialmente nel 2000. Rispetto a tale performance, gli utili ebbero un andamento altalenante, ora riflettendo da presso le variazioni positive del fatturato (1995-1997), ora, in controtendenza, beneficiando dei proventi della gestione finanziaria (1998) o subendo l’effetto di sopravvenienze passive e di minusvalenze (1993 e 2000). Negli anni più recenti le difficoltà della congiuntura non hanno mancato di ripercuotersi sulle vendite. In un contesto caratterizzato dalla brusca frenata nel 2001 della produzione e del commercio mondiale, dal permanere dell’incertezza generata dalla lotta al terrorismo internazionale, dagli eventi bellici e dagli scandali contabili di alcune grandi compagnie americane, in un quadro di debole performance dell’area dell’euro e dell’economia italiana, nonché di inasprimento della concorrenza internazionale, il fatturato ha registrato una sostanziale stabilità in valore nominale, sebbene corrispondente a una lieve flessione in termini reali. Questo non ha impedito di realizzare utili tanto nel 2001, grazie a proventi di natura finanziaria, quanto nel 2002, grazie al buon andamento della gestione industriale e nonostante le rettifiche di valore subite da titoli detenuti in portafoglio. La leggera perdita realizzata nel 2003 è imputabile invece alle persistenti difficoltà della domanda europea, principale mercato di sbocco, e alla flessione della valuta americana nei confronti dell’euro. Sul versante dei conti patrimoniali, all’inizio e alla fine degli anni ottanta ripetuti aumenti di capitale compensarono gli effetti erosivi degli alti tassi di inflazione, valendosi in parte anche dell’appoggio offerto da strumenti legislativi ad hoc per la rivalutazione dei cespiti dell’attivo. Analoghi interventi vennero effettuati negli anni novanta, innalzando pro- 100 Per i dati, basati sull’andamento del prodotto interno lordo mondiale in termini reali, cfr. International Monetary Fund, World economic outlook, Washington D.C., Imf, September 2003. 158 Profili di gestione gressivamente il capitale sociale da 9,9 mld di lire a inizio decennio (equivalenti a circa 5,1 milioni di euro) fino a 10 milioni di euro nel 2001. Si è detto che un tratto della modernizzazione della gestione è consistito nello sviluppo di strumenti finanziari. Scelta quasi obbligata nella particolare congiuntura degli anni settanta e primi ottanta, la finanza fu spesso utilizzata con risorse ottenute mediante indebitamento bancario a breve termine e fu in più di un caso fonte importante di proventi. Non di rado essa arrivò a formare una parte cospicua, superiore anche al 50%, del totale di bilancio. Avvicinandosi con gli anni novanta a un’epoca di maggiore stabilità e solidità delle variabili monetarie, il fenomeno si è ridotto in termini di volumi, senza tuttavia perdere la caratteristica di strumento compensativo o integrativo del reddito aziendale. Finanza fu utilizzata in certa misura negli anni settanta e ottanta anche nella forma del prestito obbligazionario sottoscritto dai soci come sostituto di una politica dei dividendi, mentre un altro tratto distintivo di una tecnica di gestione raffinata e moderna fu la dimestichezza con le operazioni di natura societaria. L’insieme di queste tecniche ha trovato negli anni novanta un campo di elezione nell’elaborazione di un’architettura societaria idonea a centralizzare e ottimizzare l’uso delle risorse e dei servizi finanziari nell’ambito del gruppo. Al di fuori dell’ambito strettamente economico e finanziario, la gestione aziendale degli ultimi venti anni presenta altri elementi di interesse. Uno di questi è il ricorso sistematico ai consulenti esterni per attingere competenze altamente specializzate la cui internalizzazione non troverebbe giustificazione nell’ambito delle dimensioni dell’impresa e non sarebbe coerente con la filosofia della flessibilità che ne ispira l’intera organizzazione. Se il loro utilizzo è stato una costante del modello di introduzione delle innovazioni tecnologiche elaborato negli anni sessanta e successivamente replicato, il medesimo approccio è stato utilizzato in supporto alla realizzazione di modifiche innovative in aree distinte dalla produzione e progettazione, quali per esempio il controllo di gestione e le risorse umane. Un altro elemento caratterizzante la gestione e testimone di una cultura imprenditoriale sensibilmente modernizzata è l’attenzione che 159 3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005 nell’ultimo decennio è stata prestata ai temi della qualità e della sostenibilità ambientale. La qualità era stata un motto e un vessillo della Chiorino sin dai tempi della “Conceria Lorenzo Chiorino” dei primordi. Fulvio se ne era fatto a sua volta garante continuando la tradizione paterna e ispezionando personalmente i reparti con assidue verifiche. Tuttavia il controllo di qualità di allora era affidato all’esperienza individuale, all’occhio e al tatto allenati, adusi conoscitori di materiali e di processi. La terza generazione si è adattata e ha fatto proprio il nuovo concetto di qualità, codificato dagli standard internazionali e concepito come un sistema di verifiche proceduralizzato che investe tutti i livelli operativi coinvolti nelle fasi di progettazione, produzione, distribuzione e assistenza alla clientela. La certificazione UNI EN ISO 9001 ottenuta verso la fine degli anni novanta ha contribuito a consolidare e rilanciare un elemento portante della cultura e dell’immagine dell’impresa e ha parallelamente stimolato il processo di strutturazione interna. Lo stesso discorso vale per la certificazione UNI EN ISO 14001 relativa al sistema di gestione ambientale, rilasciata nel 2001, al termine di una serie di interventi che almeno dal 1995 aveva beneficiato dell’investimento di risorse importanti. Con la differenza non trascurabile che essa implica indirettamente l’assunzione di una responsabilità da parte dell’impresa nei confronti di una fascia più ampia di stakeholders: non già solo i dipendenti, i clienti e i fornitori, come accade con il sistema di qualità, ma la generalità delle persone e delle attività radicate sul territorio di insediamento degli impianti produttivi. In questo solco insiste con impegno maggiore e rinnovato la certificazione ambientale europea EMAS (Eco-Management and Audit Scheme), ottenuta nel febbraio 2006, che vincola l’impresa alla formulazione e al rispetto di una politica ambientale continuamente rivisitata, tale da minimizzare l’impatto delle attività industriali sull’ambiente, conforme a standard molto elevati di ecocompatibilità e soggetta a periodiche verifiche da parte di enti certificatori indipendenti, con riflessi significativi sui processi organizzativi e gestionali interni. Anche il lato della comunicazione aziendale ha ricevuto attenzione da parte della direzione negli anni recenti, in sintonia con una tendenza sempre più diffusa nel mondo delle imprese che è frutto di un modo nuovo di concepire le relazioni tra imprese e stakeholders, tanto interni quanto esterni, in larga parte collegato all’accresciuta necessità di rafforzare gli 160 Profili di gestione elementi identitari in un contesto economico e sociale sempre più globalizzato. Gli elementi qualificanti delle politiche della comunicazione sono la diffusione di vari documenti tra cui spicca la “Chiorino Newsletter”, intesa a veicolare le notizie di maggiore rilevanza riguardanti gli sviluppi sul fronte dei prodotti, delle innovazioni tecniche e dei successi commerciali, della configurazione e delle attività del gruppo; la coniazione del company claim “Ideas in motion”; l’organizzazione di eventi a livello di gruppo come i General sales meetings; una serie articolata di altre iniziative mirate ad approfondire il senso di appartenenza dei dipendenti e l’immagine e l’identità aziendali, in modo uniforme e trasversale rispetto all’intero gruppo. A questo sforzo si è peraltro associata una evoluta sensibilità verso moderne forme di marketing, inteso come strumento di comunicazione e promozione specificamente commerciale. Un ultimo aspetto collegato alla gestione riguarda non tanto l’impresa in sé quanto le vicende del patrimonio familiare. L’acquisto nel 1965 della Tintoria Industriale non aveva modificato gli assetti interni al patrimonio rappresentato dall’impresa, trasmesso da Lorenzo e conservato indiviso prima da Fulvio e Angelo, poi dai sei cugini. Nel 1983 si decise di intraprendere un’altra iniziativa industriale. Si era nel mezzo di una congiuntura difficile in cui un ramo dell’azienda, la conceria, aveva prospettive di lavoro calanti e la diversificazione dei settori di riferimento, per quanto avviata, non era ancora sufficientemente avanzata da costituire un adeguato riparo, una congiuntura che per il terzo anno consecutivo aveva assistito a una crescita del fatturato inferiore o appena uguale a quella dell’inflazione. Parve allora opportuno accelerare la diversificazione investendo in una nuova società, la Chiorino Chimica, costituita ex novo. Il suo “oggetto” consisteva nella rifinizione delle pelli attraverso l’applicazione di un sottile rivestimento poliuretanico, con destinazione delle vendite rivolta ai settori della pelletteria, dell’arredamento e della calzatura. A essa si dedicarono Lorenzo e Stefano, il primo con un ruolo amministrativo e di direzione commerciale, il secondo come esperto di pelli e cuoi. La partecipazione dei due rami familiari fu, anche in questa occasione, paritaria. Nel 1988, tuttavia, Stefano decise di mettere in piedi un’attività commerciale in proprio rilevando i manufatti in cuoio a uso industriale rivenienti dalla cessazione delle lavorazioni presso la Chiorino S.p.A. Lorenzo, 161 3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005 rimasto solo alla guida della società, cedette allora le responsabilità operative di direttore commerciale, che fino allora aveva rivestito presso la casa madre, al fratello Amedeo, dedicandosi integralmente allo sviluppo della Chiorino Chimica, la cui ragione sociale peraltro modificò in “Conceria Chiorino”. Questa nuova situazione non provocava cambiamenti sostanziali negli assetti patrimoniali, ma accentuava pur sempre il carattere tendenzialmente “centrifugo” delle attività intraprese dai diversi membri della famiglia. Quando nel 1991 fu liquidata la Tintoria Industriale, messa in difficoltà dalla situazione in cui versava il comparto delle filature, Gian Paolo, Luca e Stefano si disimpegnarono dalla “Conceria Chiorino”, e si creò allora per la prima volta un’asimmetria nella ripartizione delle quote del patrimonio familiare a favore dei figli di Angelo, detentori per intero della “Conceria” e per metà del Gruppo. Negli anni successivi questa distribuzione si tradusse probabilmente in uno squilibrio e nel 1997 i due rami familiari decisero di dividersi, lasciando Lorenzo, Gregorio e Amedeo soli proprietari anche del gruppo Chiorino. A distanza di circa ottanta anni si ripeteva così, forse, una storia che aveva avuto un lontano precedente nella separazione avvenuta tra Lorenzo e Umberto nel 1916. Recentissimamente un’altra separazione intervenuta tra Gregorio e Amedeo da un lato e Lorenzo dall’altro ha disgiunto i destini patrimoniali della “Conceria Chiorino” da quelli del gruppo Chiorino, stabilendo una maggiore coerenza tra composizione dell’azionariato e assunzione di responsabilità dirette nella gestione delle imprese. Questi eventi, apparentemente in linea con le vicende dei fratelli Lorenzo e Umberto, ripropongono l’occasione di riflettere, in questa sede conclusiva, sugli elementi di continuità che hanno caratterizzato la lunga vicenda imprenditoriale della famiglia e la storia dell’impresa. Se è vero infatti che nel corso di un secolo di vita l’impresa ha accettato il cambiamento in molti modi senza mai sottrarsi alle sfide poste di volta in volta dalla congiuntura, generale e settoriale, dalla tecnologia e dai mercati, fino al punto di sottoporsi a una radicale metamorfosi negli anni sessanta e settanta, come si è cercato di illustrare in queste pagine, al tempo stesso essa lo ha fatto rimanendo in più di un modo fedele a se stessa. Sotto due aspet- 162 Profili di gestione ti generali questa continuità si presenta con particolare evidenza. Il primo è il modello produttivo di specializzazione flessibile. Oggi più ancora di quanto accadesse nella conceria dei primordi o degli anni venti, il Gruppo produce una gamma molto ampia di articoli ed è organizzato in modo tale da eseguire un alto grado di personalizzazione del prodotto al fine di soddisfare le più diverse esigenze della clientela. Accoglie ed è in grado di attivare al proprio interno diverse tecnologie di prodotto e di processo, valendosi di macchine e di manodopera versatili. È costantemente vigile sugli sviluppi tecnologici e impegnato nella ricerca applicata. Svolge la produzione per un numero elevatissimo di piccoli lotti in stretto raccordo con il flusso e la natura degli ordini. Ha uno spiccato interesse a seguire la clientela al di là del semplice rapporto commerciale, specialmente quando si presentino occasioni di collaborazione in vista di particolari sviluppi applicativi. Molti di questi tratti erano presenti nella conceria di Lorenzo, specializzata in cuoi tecnici prodotti in base a un ampio ventaglio, capace di eseguire diversificati processi di concia, sempre attenta all’aggiornamento tecnologico e particolarmente sollecita nei confronti della clientela. A ben vedere anche per quanto riguarda la tipologia del prodotto, inteso nella sua funzione essenziale, si rintracciano elementi di contiguità, se non proprio di continuità, tra le attuali cinghie e nastri trasportatori e le cinghie di trasmissione fabbricate dalla Conceria, nonostante i processi e i materiali oggi utilizzati, incorporando un contenuto tecnologico nettamente superiore, non siano nemmeno comparabili a quelli di un tempo. E questo sottile legame con il passato, lungi dall’essere casuale, si deve allo sforzo costante di accompagnare all’innovazione la valorizzazione di quei saperi e di quelle conoscenze che, già presenti in azienda, si prestavano di volta in volta a essere utilmente riconvertiti. Il secondo aspetto in cui si manifesta la fedeltà dell’impresa a se stessa pur attraverso le intense stagioni di cambiamento che ha attraversato sono i valori che ne hanno improntato le scelte strategiche e i comportamenti nel tempo, fortificandone l’identità e rendendola riconoscibile al pubblico dei suoi interlocutori. Più volte questi elementi sono stati sottolineati nel testo e non è il caso di indugiarvi. Basterà ricordare, in primis, la stessa generale disposizione a raccogliere le sfide, l’equilibrio nella gestione tra prudenza e capacità di cogliere le opportunità di crescita e sviluppo, la sensibilità nella conduzione delle relazioni industriali, l’atten- 163 3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005 zione alla qualità, la sobrietà degli stili di vita della proprietà e il senso di moralità con cui essa ha vissuto, sin dai tempi del fondatore, il proprio mestiere di imprenditore, privilegiando il benessere dell’impresa come premessa indispensabile del benessere dell’articolata comunità di persone gravitanti dentro e intorno a essa. 164 1. Lo stabilimento di Biella Nord, sede storica del gruppo. 2. Il nuovo stabilimento di Biella Sud. 165 1. Ritratto di Flora Machetti e Lorenzo Chiorino, sposi il 10 settembre 1905. 2. Flora e Lorenzo con i primi tre figli, Fulvio, Angelo e Alduccia (1912). 3. Flora e Lorenzo nel 1950 con 13 nipoti dei 15. 166 Ricordi familiari Gian Paolo Chiorino* La storia di un’azienda non è soltanto quella importante dei suoi investimenti, dei suoi bilanci, del suo fatturato, dei suoi utili, della sua crescita patrimoniale senza la quale oggi non esisterebbe. E’ anche storia di uomini, di imprenditori, di dirigenti, di impiegati, di operai. Celebrando il centenario della Chiorino è giusto ricordare le centinaia di uomini che con diverso impegno e diversa responsabilità hanno accompagnato la sua nascita, la sua crescita, la sua attuale affermazione. Il ricordo va a tutti coloro che hanno trascorso poco o tanto tempo di lavoro alla Chiorino nell’arco di un secolo di attività dell’azienda. Non tutti possono essere personalmente ricordati, ma ognuno di loro ritroverà qualche momento della sua vita di lavoro nei fatti narrati in questo libro. Nel breve capitolo che segue viene richiamata la memoria di chi fondò nel 1906 l’azienda e dei due suoi figli che la fecero crescere fino agli anni ‘70 del Novecento: Lorenzo, Fulvio e Angelo Chiorino. Lorenzo Chiorino La famiglia d’origine, la gioventù, il matrimonio. Il nostro nonno Lorenzo, cui fu dato il nome del Santo patrono del paese, nacque a Ponderano il 25 novembre 1877. Chiorino era un antico cognome di Ponderano, citato negli archivi parrocchiali già nel 1500. Numerosi appartenenti a questa famiglia si erano poi impegnati durante il Settecento nella pubblica amministrazione del paese: nel 1799, durante l’occupazione francese, si trovano tra i “Municipalisti” Giacomo Chiorino e Eusebio Chiorino. Alle guerre del Risorgimento avevano partecipato tra molti Ponderanesi ben dodici Chiorino, di cui tre di nome Lorenzo: un aiutante da 2°, un caporale e un soldato. * Ringrazio Lucetta Motta Piras, Paola De Marchi Desenzani e Carla Mattasoglio per le notizie sulla famiglia Chiorino. 167 Ricordi familiari Lorenzo aveva quattro sorelle, Leopolda, Caterina, Maria e Angiolina, e due fratelli, Giovanni Battista e Umberto. Famiglia numerosa, come spesso accadeva in quei tempi, che impegnava molto, materialmente e moralmente, i genitori a seguire i figli e a educarli fino alla loro indipendenza. Angelo e Teresa, genitori di Lorenzo, non mancarono al loro compito e videro crescere per cinquant’anni sana e prospera la loro famiglia e i loro numerosi nipoti. Angelo visse fino a 75 anni e Teresa fino a 74. Lorenzo frequentò la scuola elementare maschile di Ponderano. Dopo le elementari e tre anni di scuole tecniche, Lorenzo iniziò a lavorare negli ultimi anni dell’800 come impiegato amministrativo e tecnico presso la Conceria Antonio Varale di Biella Vernato. Il 10 settembre 1905, nella parrocchia di Candelo, Lorenzo Chiorino sposò Flora Machetti, nata a Quittengo nel 1883 e residente a Candelo in regione Campile. Lorenzo aveva ventotto anni e Flora ventidue: li ritrae insieme una bella fotografia al platino dello Studio Rossetti di Via Umberto 62 a Biella, debitamente ritoccata come s’usava allora e con lo sfondo sfumato che sembra una nuvola. Partecipano le nozze Angelo e Teresa Chiorino e Delfina Boggio vedova Machetti. La mamma di Flora era vedova da sei mesi, aveva avuto tredici figli, di cui otto viventi, e l’ultima, Giuseppina aveva solo 14 anni: una vita non facile si profilava per lei e il matrimonio di Flora con un ragazzo serio e maturo come Lorenzo le dava un poco di serenità. Un piccolo libretto per gli invitati alle nozze, illustrato in copertina da due rose liberty e all’interno da un amorino e da due fiordalisi di identico stile, riporta una delicata poesia dei “Coniugi dott. Villa” di Ponderano, amici di famiglia dei Chiorino. “Ferve l’estate polverosa, altera – di verdi frutti e di tenaci fiori, - ma a Voi nel cuor fiorisce primavera – coi primi effluvi e coi soavi albori”: lo stile è quello dell’epoca e la poesia nuziale è presentata con molto garbo. I fratelli e le sorelle di Lorenzo percorsero la loro strada nella vita e formarono le loro famiglie, eccetto Angiolina che non si sposò. Dei fratelli, Giovanni Battista, di sei anni maggiore di lui, seguì Lorenzo e fu direttore della Conceria Lorenzo Chiorino con possibilità di firma; sposò una sorella di Flora, Clelia Machetti, divenendo cognato di Lorenzo, oltre che fratello. L’altro fratello Umberto, socio di Lorenzo dal 1912 al 1916, rimase purtroppo fulminato per un incidente nella cabina di trasformazione della sua conceria. La moglie Maria continuò con coraggio e determinazione l’azienda del marito fino alla maggiore età dei due figli Augusto e 168 Lorenzo Chiorino Vittore. Delle sorelle di Lorenzo due, Leopolda e Angiolina, lavorarono come modiste mentre Flora si occupava della vendita dei cappelli appoggiandosi a un negozio di Via San Filippo a Biella, gestito da una sorella di Lorenzo: là si erano conosciuti. La famiglia di Lorenzo e Flora. Dopo il matrimonio nel 1905 Lorenzo e Flora si stabilirono a Biella in Via Garibaldi. In una fotografia del 1912, sempre dello Studio Rossetti, su un fondale dipinto con un arco, delle nuvole e un vaso di fiori, sono ritratti con i genitori i primi tre figli: Fulvio, Angelo e Alda, detta Alduccia. In realtà Lorenzo e Flora avevano avuto nel 1906 un figlio, anch’esso di nome Fulvio, vissuto solo un anno e morto il 4 giugno 1907. A ottobre nacque il secondo, cui fu dato lo stesso nome. La famiglia si completò con la nascita delle due ultime figlie: Laura nel 1913 e Giovanna, detta Giannina, nel 1918. La casa di Via Garibaldi a Biella, che poi divenne la Questura della città, si era fatta stretta e nel 1928 Lorenzo decise l’acquisto dai signori Florio di quella di Via delle Ville 10, in Regione Aragni, con un bel giardino per i figli e in futuro per i nipoti. Anche se abitava a Biella ormai da tempo, Lorenzo restò legato a Ponderano, suo paese d’origine dove vivevano ancora familiari e parenti. Nell’ottobre 1933 con il fratello Giovanni Battista donò alla parrocchia, del cui Patrono portava il nome, una delle nuove campane “in memoria e suffragio dei loro genitori Angelo e Teresa”, che erano mancati nel 1921 e nel 1923. Una ricevuta del “Comitato pro campane” indica in kg. 257,3 il peso del bronzo e in kg. 167 quello del ferro del ceppo e della ruota, quotati rispettivamente a 7 lire e a 3 lire al chilo. Il lavoro e la maturità. Lorenzo continua a lavorare con passione, intelligenza e determinazione. Ogni giorno passa alla Posta centrale di Biella e ritira dalla casella postale n° 130, che diventerà poi n° 220 dal 1940, la corrispondenza della Conceria Chiorino. La maggior parte degli ordini dei clienti arrivano per lettera e ogni sera Flora gli chiede: “ Lon ch’ a iera ‘d posta Lorens?” e specie nei primi tempi la guarda con lui. Lorenzo sente la moglie vicina ai suoi problemi e al suo lavoro; sa che può contare su di lei, anche se impegnata nella cura e nell’educazione dei cin- 169 Ricordi familiari que figli. Sa anche che può contare su alcuni collaboratori fidati, tra cui i suoi parenti che ha voluto in azienda: il fratello Giovanni Battista, il cognato Aristide Mattasoglio, il nipote Nanni Mattasoglio, la cognata Zemmira Machetti. Lorenzo contraccambia la fedeltà all’azienda dei suoi dipendenti e anche nei momenti difficili non li lascia senza lavoro: quando manca, fa lavare i vetri degli shed e togliere l’erba dai cortili. Così sarà per tutta la sua vita alla Conceria Chiorino: nessun suo dipendente perderà un’ora di lavoro. Il tempo passa, i figli e le figlie crescono e seguono i loro studi, più impegnativi per i due figli, come si usava allora: Fulvio e Angelo si preparano ad entrare nella conceria, l’uno nel 1928 e l’altro cinque anni dopo. In pochi anni, dal 1931 al 1936, Alduccia prima, Angelo e Fulvio subito dopo, si sposano e Lorenzo e Flora vedono arrivare i primi tre nipoti di una lunga serie di quindici. Giannina si sposa nel 1942 mentre Laura per parecchi anni resta a fare compagnia ai genitori fino al suo matrimonio nel 1950. Una simpatica fotografia, dello Studio Martinero di Biella all’inizio degli anni ‘50, sicuramente scelta tra le molte scattate per presentare tutti i visi come si desidera in una foto ufficiale, mostra Lorenzo e Flora circondati da tredici dei quindici nipoti. Gli ultimi, Anna e Vittorio, non sono ancora nati. Il 10 agosto di ogni anno è il grande giorno del nonno Lorenzo: a Sordevolo, nel parco delle due ville che, con la consueta preveggenza, ha comperato per le estati delle famiglie dei suoi figli, si fa festa per San Lorenzo. Il clou della festa è la pièce teatrale recitata dai nipoti, inizialmente dai primi sei, quasi coetanei, poi man mano da tutti gli altri che seguono. Il teatro è il garage all’aperto, opportunamente arredato dai due registi e sceneggiatori, i figli Fulvio e Alduccia che, aiutati da fratelli e sorelle, cognati e cognate, si occupano pure dei costumi degli “attori”, ricavati da vecchi abiti accorciati per l’occasione. Si inizia, il primo anno, con “I promessi sposi” abbondantemente ridotti per attori di 7-8 anni. Lucia è Lucetta, la prima nipote, Renzo è Lorenzo, il secondo, a dire il vero gli unici che sappiano recitare un poco. Gli altri sono dignitose comparse, ammirate dagli spettatori più per i loro vestiti che non per la loro recitazione. Già, perché ci sono anche gli spettatori, invitati e non paganti, membri della famiglia estesa e di amici sordevolesi delle ville vicine. Gli applausi sono assicurati e danno un po’ di coraggio a chi trema prima di entrare in scena. Ma tutto va bene e ogni sbaglio è perdonato, anzi fa parte integrante dello spettacolo che si conclude con la consueta e corale poesia “Viva, 170 Lorenzo Chiorino viva il nonno buono, che Sordevolo comprò…”. Il nonno Lorenzo sorride, è contento, ma il suo naturale riserbo e una sorta di timidezza non lo portano a stare affettuosamente con i nipoti o a scherzare con loro. Anche la nonna Flora è un tipo severo, non è facile tenere a freno tanti nipoti e così vivaci. E poi i nonni di una volta forse erano diversi dai nonni di oggi. La vecchiaia e la morte. Lorenzo aveva acquistato prima della Seconda guerra mondiale una cascina a Sandigliano, probabilmente con il progetto di occuparsene personalmente quando i due figli Fulvio e Angelo avrebbero preso in mano completamente la conceria e per non interferire con le loro decisioni. Il distacco dalla sua azienda fu per lui graduale e senza traumi, grazie anche alla possibilità di occuparsi della cascina che trasformò poco per volta in un’azienda modello. In anni in cui la cura del bestiame e la pulizia dell’ambiente non erano così scrupolose, i miei ricordi della cascina del nonno Lorenzo raccontano l’ordine e l’amore per le cose ben fatte che caratterizzarono tutta la sua vita. Mucche tenute bene, pulite, in due stalle ordinate e confortevoli, ciascuna con il suo nome scritto grande sopra la lettiera e da una parte il recinto per i vitellini appena nati. Fuori, una grande aia pulita, il deposito degli attrezzi agricoli e dei trattori, la stalla per due cavalli, il Nino e il Bigio, che il figlio Angelo, ufficiale di complemento di Cavalleria, provava a montare con gran divertimento dei suoi figli e nipoti: erano cavalli da tiro, non avevano mai sentito nessuno sulla loro groppa e cercavano disperatamente di disarcionarlo. Sull’altro lato del cortile della cascina, un porcile e un pollaio modello. L’abitazione rustica per i contadini, con il granoturco ordinatamente appeso ad essiccare al balcone e l’abitazione civile che il nonno Lorenzo, sempre attento ai bisogni degli altri, offrì gratuitamente a conoscenti di Torino, “sfollati” a Sandigliano durante l’ultima guerra. Attorno alla cascina, il frutteto tenuto alla perfezione e i campi di grano, di avena, di meliga. Lorenzo aveva riscoperto e aggiornato il mestiere dei suoi avi, contadini a Ponderano, e l’aveva interpretato da imprenditore lasciando, alla sua morte, non solo un’azienda, ma anche una cascina modello. Nel 1955, ad Oropa, aveva ancora festeggiato con Flora, figli, figlie, nuore, generi e nipoti i cinquant’anni di matrimonio, ma il suo cuore, che l’aveva sorretto per una lunga vita impegnativa, cominciava ad essere stanco. Morì il 1° ottobre 1957. 171 1. Fulvio, Presidente del Club Alpino Italiano, sezione di Biella (1955). 2. Fulvio alla ricerca dei sentieri nel Biellese (1970). 3. Fulvio con la moglie Olga e otto dei nove nipoti (1982). 172 Fulvio Chiorino Primo figlio di Flora e Lorenzo, dopo la morte prematura di un fratellino con lo stesso nome, mio padre Fulvio nacque il 13 ottobre 1907 a Biella. Frequentate le scuole elementari comunali e le ginnasiali al R. Ginnasio “Q. Sella”, si iscrisse nel 1920 al Regio Istituto Commerciale Eugenio Bona di Biella “Scuola Specializzata di Commercio e di Ragioneria Industriale”, da cui uscì diplomato a 17 anni nel 1924 con medaglia di bronzo. Aveva avuto come insegnante, non molto più anziano degli allievi, Giuseppe Pella di cui Fulvio conservò un ottimo ricordo e che ritrovò in anni successivi come importante uomo politico italiano. L’intelligenza e la volontà di Fulvio gli avrebbero permesso di proseguire senza problemi fino ad una laurea, ma il padre Lorenzo desiderava che, oltre alla conoscenza commerciale maturata al “Bona”, imparasse anche quella tecnica relativa all’industria conciaria per inserirsi al meglio nella conduzione, con il fratello Angelo, della conceria che Lorenzo aveva fondato nel 1906. Per Fulvio, che aveva grande stima e affetto per il padre, non fu difficile aderire alla sua richiesta: dopo il “Bona” si iscrisse nel 1924 a Torino al “Regio Istituto Nazionale per le Industrie del Cuoio”, che diplomava i periti conciari con un corso di quattro anni. Fulvio, era un po’ nel suo carattere, aveva fretta e in due anni si diplomò, nel 1926, ottenendo anche la medaglia d’oro della Federazione Italiana dell’Industria Conciaria. Ma le conoscenze sul cuoio per uso industriale non erano in Italia all’altezza della tradizione inglese per cui Fulvio, senza troppi problemi, e ce n’erano a quei tempi, andò a Londra nell’autunno del 1926 e si iscrisse al “Leather Institute”. Quanto all’inglese, che aveva studiato un poco al “Bona”, lo perfezionò per conto suo e poi direttamente sul posto. Conoscendo la sua innata curiosità e la sua voglia di apprendere, non c’è dubbio che Fulvio cercò di carpire ai conciatori inglesi i segreti dei loro sistemi di concia, specie quella ai sali di cromo che era la più recente e che si prestava meglio di quella al tannino per la fabbricazione di cinghie piane per trasmissione di potenza. Ritornò da Londra, dopo un anno di studi, nel 1927 per iniziare il servizio militare in Italia. Nel 1928 era ufficiale del Genio a Varese, dopo esse- 173 Ricordi familiari re stato a Palermo. Conservò della primavera siciliana un bellissimo ricordo - la Sicilia doveva essere splendida a quei tempi – tanto che, molti anni dopo, volle tornarvi con la moglie Olga. Entrò poi subito in azienda, appena prima della crisi del ’29, occupandosi della parte tecnica e produttiva. Nel 1935, insieme al fratello Angelo che si occupava della parte economica e finanziaria, ebbe dal padre Lorenzo una procura generale per la gestione della Conceria Chiorino. Nel 1933, con Angelo e un gruppo di amici amanti della montagna, costruì la “Baita Amici” nel comune valdostano di Fontainemore, oltre il Colle della Barma che collega il Biellese con la Valle del Lys. Lorenzo e Flora, con le figlie, parteciparono all’inaugurazione. Si sposò il 5 novembre del 1936 con Olga Perona: ebbero dal 1937 al 1951 cinque figli, quattro maschi, Gian Paolo, Mario Alberto, Luca e Stefano, e una femmina, Anna. Pochi anni di serenità nella vita familiare e lavorativa di Fulvio Chiorino, poi l’Italia fu coinvolta nella Seconda guerra mondiale. Fulvio non fu richiamato perché l’azienda nel 1935 era stata dichiarata “ausiliaria” per le produzioni belliche dalla Commissione Suprema Difesa e nel 1939 il Commissariato generale per le fabbricazioni di guerra aveva dato le tessere di “esonerazione” dai richiami alle armi per Fulvio e Angelo, unitamente a ventisette dipendenti della Chiorino, dichiarati “insostituibili e indispensabili”. Gli anni della guerra non furono facili né per la famiglia né per l’azienda, ma neppure tragici come per tante famiglie che persero al fronte i loro figli. Il periodo più difficile per il Biellese, risparmiato fino ad allora dalle battaglie e dai bombardamenti, fu dal 1943 al 1945, con i tedeschi e i repubblichini nella città e nei paesi. Essi controllavano la Conceria Chiorino e la destinazione dei suoi prodotti, mentre i partigiani chiedevano il cuoio di cui avevano bisogno. Un giorno capitò che i repubblichini erano all’ingresso principale e contemporaneamente i partigiani si trovavano in quello secondario, fortunatamente all’altro capo dello stabilimento. Fulvio e Angelo, accusati di avere aiutato i partigiani, passarono per questo motivo alcuni tristi giorni a Villa Schneider a Biella, nei cui sotterranei i tedeschi e i repubblichini svolgevano gli interrogatori. Fulvio fu liberato dopo pochi giorni, mentre Angelo restò nel carcere del Piazzo ancora una settimana. Ho ancora nitido nella memoria, avevo sette anni, il suono lungo del campanello della nostra casa alle otto del mattino, prima di andare a scuola, e il papà fuori 174 Fulvio Chiorino della porta con la barba lunga, senza cravatta e senza cinghia dei pantaloni, che entrava e abbracciava noi tre figli e la mamma. La liberazione portò nuovo entusiasmo e voglia di intraprendere a Fulvio, che aveva sempre avuto iniziativa, volontà e ottimismo. Gli ritornò, a quarant’anni, il desiderio di riprendere a studiare e si iscrisse il 10 settembre 1947 all’Institut Téchnique Supérieur de Fribourg, al Cours d’Ingénieur spécialiste, presentandosi per il primo esame della sezione chimica, specializzazione industria del cuoio, con una tesi di 75 pagine sulla concia al chinone, elegantemente rilegata in cuoio e che conservo con affetto. La responsabilità dell’azienda e della famiglia, che all’epoca contava quattro figli, ebbe però ragione del suo entusiasmo e non permise a Fulvio di terminare gli studi. Nel clima di entusiasmo per la fine della guerra, i Biellesi vollero ringraziare la Madonna Nera di Oropa che aveva preservato il nostro territorio dalle distruzioni che l’Italia aveva subito, organizzando nel 1949 la “Peregrinatio Mariae”, un itinerario della statua in ebano della Madonna nera nei paesi, nelle parrocchie e in alcune aziende. Lorenzo, Fulvio e Angelo accettarono con gioia la visita, testimoniata ancora oggi dalla statua della Madonna posta all’ingresso dello stabilimento. La ricostruzione delle aziende italiane distrutte o danneggiate dalla guerra portò molto lavoro alla Conceria Lorenzo Chiorino e l’apertura delle frontiere permise di nuovo l’ingresso delle materie prime, pelli e prodotti chimici, e la disponibilità di nuovi mercati nel mondo. Ma per le concerie di cuoio per usi industriali si stava lentamente profilando negli anni ‘50 un grosso rischio, quello dell’impiego di nuove materie plastiche e di gomma sintetica che avrebbero sostituito il cuoio in molte applicazioni nel giro di un decennio. Fulvio, con l’accordo del fratello Angelo, cominciò a girare l’Europa, a visitare aziende chimiche produttrici, a provare e a riprovare prima in laboratorio e poi sulle macchine tessili i nuovi materiali. Fu un’autentica rivoluzione in un’azienda che da cinquant’anni aveva fatto lo stesso prodotto, migliorandolo continuamente. Il laboratorio chimico si ampliò, nacquero alcuni nuovi piccoli reparti produttivi, qualche dipendente tra i più capaci fu istruito alle nuove tecniche. Inizialmente sorsero non pochi problemi: articoli collaudati in laboratorio che fallivano nelle prove industriali, errori nell’utilizzo di tecniche produttive nuove in un’a- 175 Ricordi familiari zienda senza back-ground, iniziali diffidenze da parte dei clienti tradizionali, mancanza di preparazione tecnica da parte dei venditori, nuovi concorrenti che non conoscevano l’impiego del cuoio ma che già applicavano i nuovi prodotti sintetici in campo tessile. Fulvio, da buon biellese, non perse mai il coraggio e con pazienza, costanza e con gli aiuti tecnici giusti risolse un poco per volta ogni problema. Al termine di questo periodo di profondi cambiamenti, delle sette concerie biellesi, alla fine degli anni ’60 ne rimanevano solo più due, la Lorenzo Chiorino e la Pietro Serralunga, con i reparti concia che si riducevano man mano e gli altri reparti che si ampliavano. Fulvio aveva vinto la sua sfida produttiva, non aveva esitato a produrre articoli in concorrenza con il cuoio che aveva rappresentato per cinquant’anni i suoi studi, il suo mestiere, la sua grande passione. Passione che l’aveva portato a utilizzare il cuoio non solo per la produzione industriale ma anche in numerose piccole applicazioni artigianali o artistiche: i portamatite per scrivania in pelle d’elefante conciata al tannino, i paralumi in pergamena di bufalo, gli album delle fotografie rilegati in vitello al tannino, i “longues lanières” per gli sci in cuoio al cromo ingrassato, le sedie della “Baita Amici” in “Peltan” col pelo, le “chaises longues” per il giardino di Sordevolo in liste di cuoio al tannino. Durante i vent’anni di queste trasformazioni tecniche e produttive, che vanno dal cinquantenario dell’azienda nel 1956 alla fine degli anni ’70, di cui Fulvio fu il promotore e l’artefice, egli volle anche mettere a disposizione di altre persone una parte del suo tempo. Fu Presidente dell’Ospizio di Carità di Biella per nove anni e seguì personalmente molti ragazzi che gli rimasero affezionati; fu amministratore delle chiese e delle opere parrocchiali del Piazzo, la sua parrocchia; fu Presidente della sezione di Biella del Club Alpino Italiano, occupandosi in particolare dell’avvicinamento dei giovani alla montagna, fu Presidente del Lions Club di Biella, cui dedicò una parte del suo tempo per iniziare e consolidare i rapporti con i Lions esteri, soprattutto quelli francesi, in periodo in cui lo spirito europeo si stava formando. Amò molto la montagna, da giovane come scalatore e sci-alpinista, nella maturità come escursionista attento, attratto dalla bellezza della natura e dai sentieri nelle valli e tra i monti. Avvicinandosi alla vecchiaia, volle testimoniare il suo amore per la nostra regione scrivendo il libro 176 Fulvio Chiorino “Sentieri del Biellese”, oltre cento itinerari nelle valli dell’Elvo, di Oropa, del Cervo, del Sessera e dello Strona, nella Serra, nella Bessa e in Baraggia. Le fotografie di Antonaci e i disegni di Placido Castaldi completavano il suo libro, che ebbe tre ristampe per un totale di tremila copie e che si trova nelle biblioteche o nello zaino di tanti biellesi. Negli anni ’60 e ’70 Fulvio accompagnò con il fratello Angelo l’ingresso della terza generazione nella Conceria Chiorino, che lasciò in buone mani nel 1982 rassegnando le dimissioni dalla carica di Presidente dopo oltre cinquant’anni di lavoro dedicati ad un’azienda che conosceva e che amava profondamente. Morì il 21 febbraio 1990, dopo alcuni anni in cui la sua mente viva e il suo entusiasmo si erano lentamente spenti. 177 1. Angelo, all’epoca degli studi universitari (1928). 2. Angelo, ufficiale di cavalleria (1932). 3. Angelo e Margherita in occasione delle nozze d’oro (1985). 178 Angelo Chiorino Gregorio Chiorino Angelo nacque a Biella il 24 novembre 1908: si diplomò ragioniere industriale si laureò successivamente in Economia e Commercio a Torino. Durante il corso dei suoi studi universitari scoppiò la grande crisi industriale del 1929, che sfociò nella depressione economica degli anni 31-32, anni in cui molte aziende furono costrette a cessare la loro attività per gravi difficoltà economiche. Angelo evocava il grande ottimismo di suo padre Lorenzo, che gli rese possibile continuare a studiare e completare così la sua formazione, nonostante avesse una famiglia con 5 figli da mantenere ed un’azienda conciaria non ancora consolidata da mandare avanti. Angelo sentì fortissimo il senso di riconoscenza per questo padre lungimirante e cercò di ripagare come meglio poteva quei sacrifici così gravosi: ebbe un percorso di studi con voti molto alti, ottenendo la Laurea in Economia con 108/110 (solo un infausto 19 all’esame di Matematica Attuariale lo privò dell’agognato 110/110). Proprio la sua tesi di laurea sull’andamento dei cicli economici, lo aveva appassionato allo studio della Politica Economica, disciplina che avrebbe voluto continuare a studiare, avviandosi a quella che sarebbe stata la sua più grande passione, la carriera accademica. Ricordo non solo la sua preparazione in materia ma anche una serie di libri sui cicli economici che Angelo fece arrivare dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra, per poter meglio approfondire l’argomento, libri contenenti numerose annotazioni a matita, scritte con la sua ordinata e chiarissima grafia. Il profondo senso di lealtà e di riconoscenza verso il padre Lorenzo, che lo aveva mantenuto agli studi per potere poi contare sul suo aiuto professionale e sulle sue competenze nello sviluppo dell’azienda familiare, lo convinsero a ritornare a Biella, dopo il servizio militare prestato quale Ufficiale di Cavalleria nella tenuta della Mandria a Torino. Angelo nel 1933 iniziò la sua attività lavorativa presso la Conceria Chiorino di Biella. Aveva un carattere mite, riflessivo, ma molto determi- 179 Ricordi familiari nato: direi lo stesso del padre Lorenzo ma, essendo della seconda generazione, forse più prudente. Lorenzo nel 1935 nominò i due figli Fulvio ed Angelo procuratori generali dell’azienda, e suddivise responsabilità e competenze in due settori: a Fulvio venne affidata l’attività di conceria e manifattura, ad Angelo la conduzione di un reparto di confezione cosiddetto “tacchetti”, che occupava 30-40 addetti e l’amministrazione. Nello stesso 1935 Angelo si sposò con Margherita Reda e dal loro matrimonio nacquero 5 figli: Lorenzo, Federico, Maria Chiara, Gregorio ed Amedeo. L’unione con Margherita costituì un legame assolutamente eccezionale – vorrei dire mitico - da cui entrambi seppero attingere le risorse per superare i momenti più difficili della loro esistenza. Il periodo della Seconda Guerra portò gravi difficoltà: la prigionia di Angelo al carcere del Piazzo, sebbene breve – 8 giorni – fu il momento più drammatico e doloroso. Solo la Provvidenza, per una fortunata coincidenza permise ad Angelo, all’ultimo momento, di non salire su quel maledetto treno con destinazione Mathausen. Per tutta la sua vita quel ricordo rimase bruciante, come anche l’umiliazione delle cinghiate sulla schiena impartitegli dai tedeschi, le cui cicatrici lo accompagnarono per molti mesi. Con altrettanta angoscia Angelo ricordava l’avventatezza dei partigiani, che scendevano dalle montagne per requisire cuoio dalle concerie biellesi, entrando spavaldi in azienda da cancelli secondari, con i fucili spianati e con le bombe a mano ben in vista, per ottenere quello che volevano: poiché la Chiorino, quale azienda protetta, era sottoposta a controlli e pattugliamenti sistematici da parte delle truppe tedesche d’occupazione, si possono immaginare le tensioni che ne derivavano. Nel decennio della ricostruzione del dopoguerra, il tandem Angelo e Fulvio, sotto la supervisione di Lorenzo, ben s’integrò e portò l’azienda a raggiungere risultati molto soddisfacenti. Fulvio, decisionista e più impulsivo, si dedicava completamente alla produzione, Angelo, più pacato e riflessivo, si occupava prevalentemente dell’ottimizzazione delle risorse. Fulvio, da bravo tecnico, capì per tempo che il ciclo di vita degli articoli in cuoio per usi industriali stava andando a termine, e s’impegnò a ricercare dei materiali sostitutivi quali la gomma sintetica e le materie plastiche. 180 Angelo Chiorino A questo suo ruolo d’innovatore si contrappose molto efficacemente la figura del gestore delle risorse, Angelo, ed insieme i due fratelli riuscirono a completarsi in modo assolutamente positivo. Nel 1956, seguendo le indicazioni del padre Lorenzo, utilizzarono il patrimonio familiare per provvedere ad una sistemazione delle 3 sorelle Alduccia, Giannina e Laura, cosicché dopo la morte di Lorenzo, avvenuta nel 1957, essi si trovarono a dirigere l’azienda essendone gli unici 2 azionisti. Il 1958 segnò la vita di Angelo: in un incidente automobilistico perse la vita, a vent’anni, il figlio Federico. Portò sempre con sé questo dolore indelebile, nel profondo del cuore. L’inizio degli anni ’60 vide l’ingresso in azienda della terza generazione: prima Lorenzo, poi Gian Paolo, e via via Stefano, Luca, Gregorio ed Amedeo. La comunicazione fra Fulvio ed Angelo, che fra alti e bassi funzionò egregiamente tutta la vita, subì in quegli anni una crisi dovuta al disaccordo di Angelo a seguire il progetto di Fulvio di rilevare un’azienda di tintoria, dislocata in capannoni industriali di proprietà della famiglia. Angelo non condivideva l’investimento verso un’attività di servizio a favore del settore tessile, attività che non permetteva di avere né il controllo delle materie prime, né dei clienti finali, ma che rappresentava solo un fase di trasformazione industriale per conto terzi. Purtroppo i fatti dimostrarono che le previsioni di Angelo erano corrette. Negli anni ’70, anni di radicali trasformazioni dell’azienda, Angelo ebbe fiducia nella capacità della terza generazione: considerava assolutamente necessario l’adeguamento delle tecnologie ai nuovi materiali, ma richiedeva prudenza e gradualità. “Fate un passo dopo l’altro”: non voleva infatti che l’azienda potesse trovarsi in una posizione finanziaria squilibrata, ancora memore delle gravi tensioni finanziarie fronteggiate dal padre Lorenzo. In più occasioni continuò, da bravo economista, a mettere in pratica le competenze acquisite ed a bene amministrare il patrimonio aziendale e familiare. Il suo understatement fu probabilmente soddisfatto dalla data in cui morì, 10 agosto 1995, giorno di San Lorenzo, giorno in cui la famiglia Chiorino festeggia il Nonno Lorenzo. Non comparve nessun articolo a commento della sua scomparsa. Per lui era più che sufficiente l’affetto di tutti i suoi cari, che gli erano sempre stati vicino. 181 Quale futuro? Gregorio Chiorino Intravedo un’azienda legata al territorio biellese, in cui continuerà ad investire, orgogliosa di continuare il lavoro che chi ci ha preceduto, ci ha lasciato; lavoro inteso come testimonianza di un valore fondamentale della nostra società industriale, di cui andiamo fieri. Azienda rispettosa delle regole e dell’impegno che tutti coloro che sono legati al suo buon funzionamento hanno profuso. Azienda socialmente ed eticamente responsabile, che faccia della sostenibilità ambientale un suo credo assoluto e che generi, con il suo ben operare, promozione economica, civile e culturale. Auspico che l’azienda possa operare in un contesto sempre più liberale, intendendo con questa affermazione, il poter competere partendo da un territorio e da una Nazione in cui le regole competitive siano simili a quelle dei Paesi in cui operano i nostri concorrenti, senza subire eccessive penalizzazioni da situazioni di partenza dissimili (oggi, ad esempio, siamo penalizzati nel nostro operare dalle gravi carenze infrastrutturali locali e nazionali, dai maggiori costi energetici, da situazioni fiscali e burocratiche inadeguate, ecc..). Opereremo affinché la Chiorino possa continuare a crescere sotto l’aspetto culturale prima e con l’ausilio di migliori strutture organizzative poi, per poter raggiungere la dimensione di una media azienda superspecializzata e sempre più internazionalizzata. Vogliamo diventare sempre più un’azienda di nicchia, rafforzando le scelte strategiche già intraprese in questi ultimi decenni, per creare un’entità di successo che, pur non essendo una grande impresa, sia in grado di avere una dimensione adeguata per affrontare il mercato globale, confermandosi quale player internazionale significativo. Continueremo a perseguire un’innovazione organizzativa di processo e di prodotti per difendere e migliorare la nostra specializzazione nello sviluppo, produzione e distribuzione di nuovi tipi di nastri trasportatori e di elementi per il trasporto, così ben esplicata dal company claim “Ideas in 183 Quale futuro? motion”, e continueremo ad operare per migliorare il modo in cui i nostri prodotti vengono proposti e venduti ai nostri clienti, di cui vogliamo diventare sempre più partners affidabili, su cui poter contare in ogni evenienza ed in ogni parte del mondo. Siamo pronti ad affrontare le sfide del terzo millennio – ed il futuro appartiene alle giovani generazioni. Sono il Presidente e responsabile operativo delle aziende del Gruppo Chiorino dal 1982. In questi 24 anni di responsabilità ho cercato di impostare e praticare le scelte strategiche sopra descritte. Ho avuto la responsabilità di traghettare il passaggio della conduzione aziendale dalla seconda generazione (quella di Fulvio e di Angelo) alla terza generazione (quella dei miei fratelli e cugini e la mia) e di preparare l’ingresso della quarta generazione. Sono, via via nel tempo, rimasto solo alla guida con mio fratello Amedeo. Siamo una famiglia d’imprenditori e, per definizione, siamo degli ottimisti in relazione al futuro delle nostre imprese. Se non lo fossimo, realizzeremmo il nostro capitale, investendolo altrimenti. Abbiamo tre figli: Matteo ed Elisa, figli di Gregorio, e Tommaso, figlio di Amedeo. Elisa ha 30 anni, vive a Padova e, dopo un’ottima laurea, lavora quale responsabile della comunicazione per la Marsilio Editori di Venezia. Tommaso ha 26 anni, e sta compiendo la sua formazione lavorativa post scolastica. Matteo ha 32 anni: dopo la sua laurea in Bocconi ed altre esperienze lavorative è alla Chiorino dal 2001: rappresenta la continuità della famiglia in azienda quale – al momento – unico rappresentante della quarta generazione e si sta preparando per assumere maggiori responsabilità gestionali future. Desidero chiudere queste mie brevi note, evocando una testimonianza che compare tra le bellissime raccolte di scritti curata da Gian Filippo Cuneo nel 1999, che vorrei dedicare a mio figlio Matteo: 184 Caro Matteo, a te e ad Elisa è sempre piaciuta quella frase: “Un padre lascia due cose ad un figlio: le radici e le ali”. Le radici rappresentano tutti i valori e gli affetti che abbiamo condiviso. Ti ho lasciato libero di decidere se entrare in Azienda: tu ti sei preparato ed hai deciso di sì. Ti ho richiesto allora la disponibilità ad accettarne tutte le conseguenze, spiegandoti che l’Azienda richiede continui sacrifici e che porta via il meglio di te stesso, ma che sa dare anche delle grandi soddisfazioni. Abbiamo tante volte condiviso il fatto che non c’interessa perpetuare una continuità familiare fine a sé stessa, ma che è prioritario fare le scelte giuste al momento giusto. Se nella tua vita dovessi sentire che le preoccupazioni diventano eccessive, che le tensioni del lavoro diventano una pressione insopportabile, che l’entusiasmo è scemato, allora quello è il momento di prendere le decisioni che riterrai opportune, in piena libertà e con coraggio, per il bene di tutti coloro che lavorano nell’Azienda, e per il tuo bene. Ed allora potrai con le tue ali riprendere un nuovo volo, in libertà, verso gli approdi che sceglierai, per te e per l’Azienda. Papà. 185 Un commento finale Guido Corbetta Michele D’Alessandro ha scritto molto e bene sulla storia della Chiorino. Gregorio e Gian Paolo Chiorino hanno integrato il tutto con alcuni toccanti ricordi personali e con alcune intenzioni per il futuro. Ora mi si chiede un commento finale. Compito non facile, ma stimolante, al quale mi appresto con qualche timore, in primis il timore di ridurre una storia così importante a poche battute. Quanto vado scrivendo, quindi, non vuole essere una sintesi del libro, ma la sottolineatura, del tutto personale, degli elementi che più hanno colpito la mia attenzione, senza alcuna pretesa di esaustività o di incontestabile evidenza. Dapprima, mi sembra utile commentare alcune caratteristiche della famiglia Chiorino come famiglia imprenditoriale che si è dedicata con passione in questi primi cento anni a sviluppare la realtà industriale nata dall’ingegno e dalla energia di Lorenzo. Poi provo ad approfondire alcuni caratteri della strategia perseguita e dei modelli di gestione strategica utilizzati. La famiglia Chiorino è stata una famiglia proprietaria responsabile. Ha inteso l’impresa come un bene privato ad utilità pubblica, non asservendola ai propri esclusivi interessi. Ovviamente ne ha tratto risorse e benefici (necessarie remunerazioni per i rischi intrapresi), ma sempre avendo cura di condividere i buoni risultati con i collaboratori tutti e col territorio circostante. Ha interpretato la proprietà non come un diritto ereditario, ma come un dovere di trasmissione. Ogni generazione non ha sperperato quanto le era stato tramandato e neppure si è preoccupata solo di conservare con maniacale ossessione quanto ricevuto. In realtà, si è impegnata soprattutto a far fruttare il patrimonio finanziario e non finanziario accumulato, usandolo con coraggio per vincere nuove sfide. Ha inteso i contenuti della proprietà non solo come diritti e privilegi - che pure, sia detto senza falsi pudori, esistono - ma anche, e direi prima di tutto, come doveri e rischi. Essere proprietari del capitale di una impresa non è la stessa cosa che essere proprietari di un immobile. 187 Un commento finale L’impresa, l’azienda, è una realtà viva, in perenne cambiamento, fatta di persone, di famiglie che impegnano la loro vita di lavoro: per questo, i proprietari non possono limitarsi a riscuotere i frutti del passato, ma devono guardare al futuro assumendosi i rischi di impegnare una parte del proprio capitale per traguardare le sfide che via via si presentano. Da questo punto di vista, la prova forse più evidente della concezione di cui è stata portatrice la famiglia Chiorino sta nella continua mutazione del business aziendale. Se una proprietà si rende conto che un settore sta diminuendo drasticamente le sue potenzialità future, è suo dovere chiedersi come utilizzare le competenze e le risorse maturate per entrare in nuovi settori. Così ha fatto la famiglia Chiorino ampliando via via il novero delle tecnologie utilizzate e dei clienti e mercati serviti dalla propria azienda. Ha adottato una corretta concezione del finalismo aziendale che vede nel profitto di breve e di lungo termine la giusta ricompensa del lavoro svolto. Per aumentare il profitto a breve termine di un’impresa basta ridurre gli investimenti di ricerca, produttivi o commerciali, basta non preoccuparsi di ricompensare adeguatamente il contributo dei collaboratori validi, basta sfruttare i clienti quando se ne presentano le occasioni senza preoccuparsi più di tanto della loro soddisfazione nel tempo. Per sostenere il profitto di una azienda nel lungo termine, invece, occorre impegnarsi a: fare gli investimenti nella misura e nella direzione corrette per rinnovare le fonti del vantaggio competitivo; mantenere in azienda le risorse umane più valide prospettando loro adeguati aumenti di ricompensa monetaria e non, soprattutto in presenza di contributi decisivi per qualità e quantità; mantenere e sviluppare nel tempo la clientela impostando politiche di prezzo che consentano una giusta remunerazione del capitale investito e, nel contempo, lo sviluppo delle aziende clienti. Ha adottato una logica non nepotistica nei processi successori. I giovani Chiorino, di ogni generazione, sono persone educate a migliorare con impegno le proprie conoscenze e capacità, senza pensare di poter entrare in azienda senza arte né parte e di fare carriera a prescindere dai risultati ottenuti. Ogni familiare, prima o poi, è stato aiutato a capire ed accettare i propri limiti personali e professionali, imparando a guardare senza invidia a chi tra gli altri familiari dimostrava più capacità. Ha saputo affrontare alcuni processi di separazione tra i familiari. La storia di ogni famiglia imprenditoriale giunta alla terza o alla quarta gene- 188 razione dimostra che inevitabilmente qualche familiare decide di proseguire per la propria strada. La vera differenza tra una proprietà responsabile e una proprietà irresponsabile sta nel come vengono affrontate queste separazioni. Nelle migliori famiglie, e la Chiorino ne è un bell’esempio, chi decide di uscire dalla proprietà accetta condizioni economiche che permettano a chi rimane di continuare a investire nell’impresa e chi decide di rimanere è consapevole che chi esce si aspetta una giusta remunerazione del proprio capitale. In buona sostanza, nessuno si comporta come se dovesse fare “l’affare del secolo”! Su questo tema delle separazioni è bene spendere qualche parola ancora. Nella storia della Chiorino sono avvenute varie separazioni (la prima addirittura nei primi anni di vita dell’azienda). Ciò ha forse precluso alla Chiorino di diventare un player ancora più significativo nei settori nei quali si è trovata ad operare perché ovviamente alcune risorse sono state distratte dall’azienda. Peraltro, dato che l’unità della proprietà è un valore irrinunciabile per il buon funzionamento di un’azienda, nessuno può dire quanto danno avrebbe potuto portare una proprietà logorata da dissidi o anche solo da profonde divergenze di visione strategica. Per questo, a mio avviso, occorre guardare con molto rispetto a tutti i familiari Chiorino che hanno saputo affrontare con coraggio una delle sfide più gravide di conseguenze negative nella storia di molte imprese familiari italiane e non solo. La sfida della proprietà responsabile non è mai vinta una volta per tutte. Certo, è ragionevole ritenere che cento anni di storia abbiano contribuito non poco a radicare nella famiglia i semi che consentiranno di mantenere anche per il futuro valori e comportamenti simili. Ma ogni generazione deve appropriarsi di questa concezione con un lavoro di ricerca delle ragioni profonde che rendono più conveniente, oltre che più affascinante, l’impegno da proprietari responsabili di un’azienda. Auguro ai giovani Chiorino di imparare a riconoscere questa concezione “morale” della proprietà nei comportamenti dei loro genitori e di riuscire a perpetuarla con saggezza. La storia della Chiorino è molto istruttiva anche sotto un profilo più strettamente di gestione aziendale. L’“arte di cambiare mestiere”, come la chiama Maurizio Sella, un valente banchiere buon conoscitore delle aziende biellesi e non solo, è uno 189 Un commento finale dei compiti più difficili perché occorre farlo nei tempi e nei modi giusti. Coloro che hanno gestito il gruppo Chiorino in questi cento anni hanno dimostrato di saper cambiare mestiere. Lo hanno fatto avendo cura di adottare una logica strategica che potremmo definire “per esperimenti”. In buona sostanza, mentre continuavano ad investire nei business tradizionalmente propri del gruppo, si impegnavano anche a sondare nuovi campi di attività con investimenti limitati utili a valutare “con il fare” la loro attrattività. Così facendo, il gruppo si è preparato per tempo alla chiusura di attività nelle quali ormai, per le ragioni più varie, non disponeva più di alcun vantaggio competitivo. La sfida di cambiare mestiere comporta un’altra sfida che purtroppo molte imprese familiari non vogliono ancora oggi affrontare: quella dell’inserimento di manager non familiari portatori di nuove competenze. Stupisce leggere con quanta cura sin dai tempi più lontani la Chiorino è stata in grado di coinvolgere manager non familiari nelle forme più diverse. In alcuni casi, chiedendo a manager di aziende multinazionali di impiegare il sabato mattina per sviluppare nuovi progetti, in altri casi assumendo persone di valore e integrandole nella squadra manageriale esistente, in altri ancora facendo crescere le competenze dei giovani più meritevoli dando loro adeguati spazi di autonomia. Senza management adeguato le aziende non possono prosperare. Una famiglia può essere portatrice di molte competenze, ma ad evidenza non può mai pensare di essere capace di sviluppare al proprio interno tutte le competenze di cui l’azienda abbisogna, soprattutto in presenza di importanti cambi di business. L’inserimento di manager trascina il cambiamento di una serie di elementi della gestione aziendale: i processi decisionali devono farsi più collegiali, i sistemi di definizione degli obiettivi e di controllo devono essere messi a punto con più cura, i sistemi di carriera devono essere definiti non solo per i familiari ma per tutti, e così via. La Chiorino – e, in primis, chi ha ricoperto i ruoli di massima responsabilità - è stata capace di aprirsi al contributo di persone capaci e meritevoli di fiducia, senza chiudersi in una antistorica e riduttiva difesa del ruolo manageriale esclusivo della famiglia. La Chiorino è stata spesso guidata da una coppia di imprenditori, come è successo per lungo tempo con Angelo e Fulvio. Spesso, nel Biellese e non solo, la storia delle imprese familiari è caratterizzata dalla conviven- 190 za feconda di due imprenditori che integrano dialetticamente le loro competenze. Forse qui sta uno dei segreti del successo di molte imprese familiari, perché la dialettica abitua al confronto e diventa quasi un metodo di gestione che aiuta a trovare la soluzione migliore che, spesso, non è quella proposta da uno dei due componenti del team imprenditoriale, ma è una “terza via” frutto proprio del confronto dialettico. Gli imprenditori sono persone alla ricerca di una propria soddisfazione personale, che vogliono lasciare un segno nella storia di una famiglia, di un’impresa o addirittura di un territorio. La capacità di attenuare questa spinta individualistica imparando ad apprezzare il contributo di un altro imprenditore, sia pure un fratello, è propria di molte famiglie che hanno saputo affrontare con successo le varie sfide. Ciò richiede educazione da parte dei genitori, lavoro da parte di tutti. Un grande aiuto può venire dal capire quale sia il bene comune da perseguire: se il bene comune è la continuità dell’azienda, più che il proprio personale successo, allora si creano le basi per cominciare a investire sul confronto reciproco senza l’ansia di dovere dimostrare a tutti i costi di “essere il più bravo”, per accettare con umiltà il contributo che può venire dall’altro, per accettare di svolgere il ruolo per il quale si è più portati senza volere a tutti i costi vedersi riconosciute responsabilità che poi non si è in grado di esercitare con competenza. La passione per l’innovazione: ecco un altro degli insegnamenti di questa bella storia. Oggi si discute molto della difficoltà delle imprese italiane a fare ricerca e si sostiene, non senza ragione, che la necessaria collaborazione tra aziende e centri di ricerca (universitari e non) non si sviluppa a dovere. La storia della Chiorino, al contrario, è densa di investimenti in prodotti e tecnologie innovative sviluppate spesso con il contributo determinante di centri di ricerca o di ricercatori esterni. Non esistono ricette magiche: l’innovazione è frutto di una convinzione, di una o più intuizioni e di un lavoro duro. La convinzione che la ricerca sia uno degli elementi più solidi per sostenere il vantaggio competitivo è una sorta di a priori che caratterizza la storia di alcune imprese e che diventa una sorta di legge da rispettare. L’intuizione è frutto dell’ascolto dei mercati dei prodotti finiti, dai quali vengono le domande di novità, e del mercato della ricerca, dal quale viene l’offerta di novità. La Chiorino ha dimostrato di sapersi posizionare con coraggio all’incrocio di queste traiettorie, senza lasciarsi trascinare in progetti avventati, individuando i luoghi di produ- 191 Un commento finale zione della conoscenza e appoggiandosi a loro in un rapporto di mutua collaborazione. La passione per l’espansione geografica: non si diventa un grande gruppo se non si è capaci di inserirsi a pieno titolo in nuove aree territoriali. La Chiorino, come molte altre imprese familiari di valore, ha perseguito con decisione, sin dall’inizio, lo sviluppo geografico, prima in Italia, poi in Europa e ora nel mondo. Competere a livello internazionale non è solo una questione di investimenti. Per vincere la sfida della globalizzazione occorre sentirsi “cittadini del mondo”, occorre abituarsi a sentirsi bene in ogni parte del mondo, occorre imparare la lingua e il linguaggio dei vari paesi. I Chiorino e i manager dell’azienda non sono chiusi al mondo, sono curiosi di capire come sia possibile cogliere le opportunità nelle aree più varie del mondo: qui sta un altro dei fattori di successo di questa famiglia e di questa azienda. Non si vince alcuna sfida nel mondo senza radicarsi in un contesto dal quale attingere l’energia necessaria. Chiorino è localizzata a Biella. La biellesità ha dei tratti comuni che hanno certamente influenzato la storia dell’azienda: il senso del dovere, il lavoro duro, la grande dedizione, l’onestà, la voglia di fare che è tutto il contrario della cultura del sussidio, l’internazionalità (già evidente nel settore edile nell’800). Ma non tutte le imprese biellesi hanno saputo sfruttare questi valori. Solo alcune, e la Chiorino è certamente tra queste, li hanno utilizzati combinandoli in modo innovativo con quanto di meglio si poteva trovare in altri contesti geografici. Come dice con espressione efficace Gregorio Chiorino: “occorre combinare le radici con le ali”. Tutti questi elementi, e forse altri ancora, hanno condotto la Chiorino a superare la soglia del secolo di vita in buone condizioni economiche e con un buon grado di fiducia nel futuro. Ma le sfide sono destinate a continuare. Provando a guardare al futuro della Chiorino, sembra di poter vedere almeno tre sfide che meritano attenzione. La prima è quella generazionale, che la famiglia ha dimostrato di saper vincere in passato, ma che ora si ripropone di nuovo. I giovani della famiglia, uomini o donne che siano, dovranno maturare la passione e le competenze necessarie, affrontando con calma i vari passaggi, sapendo tenere alto lo sguardo di fronte al futuro non immediato, confidando nell’aiuto dei padri. La seconda è quella della dimensione e della proprietà. 192 La Chiorino è oggi una di quelle aziende di media dimensione che finalmente stanno ottenendo le prime meritate attenzioni dalla politica e dagli opinionisti. Ma la questione della dimensione è sempre attuale: forse occorre fare un ulteriore salto dimensionale per radicarsi con forza in nuovi e più difficili mercati. E, per fare questo salto, viene da chiedersi se non sia opportuno almeno avviare una riflessione approfondita sul coinvolgimento di soci terzi: un fondo di private equity o il mercato borsistico. La ricerca manageriale ha ormai dimostrato che non tutte le imprese, per evolvere, devono passare attraverso queste esperienze, ma sarebbe poco saggio non valutare con calma gli eventuali vantaggi (e svantaggi) di una simile scelta. Da ultimo, la questione del management. Abbiamo scritto che la Chiorino è stata una azienda familiare che prima e più di altre ha saputo utilizzare manager provenienti dall’esterno. Ora però si tratta di fare un ulteriore passaggio provando a valutare l’opportunità di assumere altri manager, magari anche non italiani, che possano portare il loro contributo, per un certo periodo, al gruppo. Qualche azienda, anche biellese, per poter aumentare la propria attrattività nei confronti dei manager, ha preferito trasferire la sede almeno di alcuni uffici a Milano: anche la Chiorino deve chiedersi se la localizzazione non possa essere una delle sfide prossime venture. Non si vuole qui disconoscere il valore positivo della localizzazione biellese che, per certo, rimarrà un asset rilevante del gruppo; si vuole solo richiamare la necessità di dotarsi di un assetto geografico meno concentrato per quanto riguarda la direzione del gruppo. Il futuro quindi va affrontato, con fiducia, consapevoli delle proprie forze, con determinazione, senza lasciarsi irretire dal famoso detto “abbiamo sempre fatto così” che è all’origine di molti insuccessi. Il patrimonio del quale la Chiorino dispone è di sicuro un punto di forza, ma, come dice Maurizio Sella: “è il cattivo conto economico che uccide le imprese”. In altre parole, la sfida da vincere non è quella del mantenimento della solidità dell’impresa, ma quella del rafforzamento delle basi del vantaggio competitivo e quindi della redditività dell’impresa. Per parte nostra, possiamo solo esprimere il convincimento, che queste pagine hanno contribuito a rafforzare, che la famiglia Chiorino e i collaboratori tutti dispongono delle energie necessarie per superare i prossimi “tornanti” della vita di questo gruppo centenario. 193 Appendice Statistica e Tematica 196 n.d. 348.962a n.d. 72.352 a Ammortamenti 1918 1919 7.959 73.622 1920 180.328 80.461 1921 399.134 140.313 1922 543.252 80.282 1923 577.730 175.007 1924 579.972 148.766 1925 758.330 21.341 1926 504.807 12.798 1927 327.088 0 1928 816.316 26.235 1929 566.898 44.416 1930 367.839 192.681 1931 263.934 63.301 1932 188.189 0 1933 209.371 204.529 1934 119.158 85.332 1935 1.231.254 526.895 1936 976.958 204.721 1937 1.925.281 391.770 1938 1.415.094 120.374 1939 1.931.018 476.815 1940 5.299.884 1.159.688 1941 6.634.792 581.425 1942 6.209.439 778.890 Note: a. dato cumulativo 1917-1918. 1917 Utile lordo -165.349 21.224 23.370 235.499 109.752 152.893 367.007 17.601 -140.144 413.383 80.000 -39.444 -99.164 -131.299 4.842 0 100.000 493.109 1.191.770 620.374 1.026.815 4.145.362 5.044.360 1.746.388 n.d. 175.622 a Utile netto 469.674 469.674 388.486 411.856 411.856 411.856 450.000 1.100.000 1.200.000 1.200.000 1.350.000 1.400.000 1.449.290 1.383.226 1.300.000 1.350.000 1.350.000 1.350.000 1.350.000 2.000.000 2.250.000 2.500.000 3.000.000 3.000.000 3.000.000 n.d. Capitale 152.938 152.938 90.000 90.000 325.499 435.251 550.000 267.007 184.608 44.464 390.795 390.795 156.807 93.230 45.158 0 0 100.000 150.000 250.000 500.000 750.000 1.500.000 1.500.000 2.000.000 n.d. Riserve 50.000 100.000 100.000 150.000 250.000 250.000 200.000 Fondo indennità di licenziamento Fondo imposte 250.000 400.000 800.000 Tabella A1. Conceria Lorenzo Chiorino, dati caratteristici della gestione, 1917-1942 (valori correnti). 1.385.674 1.000.000 1.000.000 Fondo ampliamento fabbrica 622.611 622.611 478.486 501.856 737.355 847.107 1.000.000 1.367.007 1.384.608 1.244.464 1.740.795 1.790.795 1.606.097 1.476.456 1.345.158 1.350.000 1.350.000 1.450.000 1.500.000 2.250.000 2.750.000 3.250.000 4.500.000 4.500.000 5.000.000 157.243 Patrimonio netto Appendice statistica 197 n.d. 574.380a n.d. 119.089 a Ammortamenti 1918 1919 12.904 119.372 1920 222.506 99.280 1921 416.275 146.338 1922 570.002 84.235 1923 609.709 184.694 1924 591.262 151.662 1925 688.197 19.367 1926 424.695 10.767 1927 300.985 0 1928 810.536 26.049 1929 554.025 43.407 1930 371.255 194.471 1931 294.866 70.720 1932 215.903 0 1933 255.298 249.393 1934 153.204 109.713 1935 1.560.881 667.954 1936 1.151.528 241.302 1937 2.073.123 421.854 1938 1.415.094 120.374 1939 1.849.336 456.646 1940 4.349.367 951.702 1941 4.705.734 412.376 1942 3.810.338 477.955 Note: a. dato cumulativo 1917-1918. 1917 Utile lordo -268.099 26.188 24.374 247.095 115.828 155.869 333.065 14.808 -128.960 410.456 78.183 -39.810 -110.785 -150.635 5.905 0 126.772 581.222 1.283.286 620.374 983.381 3.401.904 3.577.718 1.071.647 n.d. 289.069 a Utile netto 773.067 761.533 479.349 429.544 432.135 434.653 458.759 998.267 1.009.561 1.104.234 1.340.441 1.368.210 1.462.750 1.545.331 1.491.449 1.646.129 1.735.714 1.711.417 1.591.228 2.153.579 2.250.000 2.394.250 2.461.960 2.127.753 1.840.909 n.d. Capitale 251.731 247.975 111.050 93.865 341.526 459.344 560.706 242.313 155.311 40.916 388.027 381.921 158.263 104.156 51.808 0 0 126.772 176.803 269.197 500.000 718.275 1.230.980 1.063.877 1.227.273 n.d. Riserve 50.000 100.000 100.000 150.000 250.000 250.000 200.000 Fondo indennità di licenziamento 250.000 400.000 800.000 Fondo imposte Tabella A2. Conceria Lorenzo Chiorino, dati caratteristici della gestione, 1917-1942 (valori in lire 1938). 1.385.674 1.000.000 1.000.000 Fondo ampliamento fabbrica 1.024.798 1.009.508 590.400 523.409 773.662 893.997 1.019.465 1.240.580 1.164.871 1.145.149 1.728.468 1.750.131 1.621.013 1.649.488 1.543.257 1.646.129 1.735.714 1.838.189 1.768.032 2.422.777 2.750.000 3.112.525 3.692.939 3.191.630 3.068.182 360.895 Patrimonio netto Appendice statistica Tabella A3. Ripartizione geografica del fatturato, 1961-2004 (dati in milioni). Anno 1961 1962 1963 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970 1971 1972 1973 1974 1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 198 Fatturato totale Lire corr. Lire 2004 353 400 444 368 426 461 427 489 572 621 843 1.226 1.795 1.805 2.789 3.552 4.128 5.694 7.171 7.931 9.287 9.787 13.679 15.679 18.763 20.305 23.522 27.024 30.751 32.742 35.991 42.086 51.860 60.812 55.105 65.293 60.406 62.893 76.641 70.649 71.586 71.994 71.884 7.391 7.968 8.227 6.437 7.001 7.428 6.793 7.567 8.423 8.709 11.194 14.750 18.080 15.517 20.576 22.189 22.933 27.332 28.413 26.474 26.645 24.420 30.865 32.576 36.744 38.007 41.951 45.208 48.485 48.517 50.593 56.778 67.314 74.920 65.344 76.106 69.165 70.893 84.228 75.623 74.807 73.427 71.884 Fatturato Italia Lire corr. Lire 2004 329 380 413 343 362 382 353 418 455 410 507 784 1.043 1.113 1.673 2.074 1.867 2.960 3.905 4.231 5.796 4.572 6.005 6.892 7.297 7.279 8.235 9.100 9.881 10.140 11.294 12.134 17.465 21.054 20.500 22.002 21.838 21.198 24.411 24.510 22.904 23.611 23.774 6.888 7.570 7.652 6.000 5.949 6.155 5.616 6.468 6.700 5.750 6.732 9.432 10.506 9.568 12.343 12.956 10.372 14.208 15.472 14.123 16.629 11.408 13.550 14.320 14.290 13.625 14.687 15.223 15.579 15.025 15.876 16.370 22.670 25.939 24.309 25.646 25.005 23.894 26.828 26.236 23.935 24.081 23.774 Fatturato estero Lire corr. Lire 2004 24 20 31 25 64 79 74 71 117 211 337 442 752 692 1.116 1.478 2.261 2.734 3.266 3.700 3.491 5.215 7.674 8.787 11.466 13.026 15.287 17.924 20.870 22.602 24.697 29.952 34.395 39.758 34.605 43.291 38.568 41.695 52.230 46.139 48.682 48.384 48.111 502 398 574 437 1.052 1.273 1.177 1.099 1.723 2.959 4.475 5.318 7.574 5.949 8.234 9.233 12.561 13.123 12.941 12.351 10.016 13.012 17.316 18.257 22.454 24.382 27.264 29.985 32.906 33.492 34.717 40.408 44.645 48.982 41.035 50.460 44.160 46.999 57.401 49.387 50.873 49.347 48.111 Valori % Italia Estero 93,20 95,00 93,02 93,21 84,98 82,86 82,67 85,48 79,55 66,02 60,14 63,95 58,11 61,66 59,99 58,39 45,23 51,98 54,46 53,35 62,41 46,72 43,90 43,96 38,89 35,85 35,01 33,67 32,13 30,97 31,38 28,83 33,68 34,62 37,20 33,70 36,15 33,70 31,85 34,69 32,00 32,80 33,07 6,80 5,00 6,98 6,79 15,02 17,14 17,33 14,52 20,45 33,98 39,98 36,05 41,89 38,34 40,01 41,61 54,77 48,02 45,54 46,65 37,59 53,28 56,10 56,04 61,11 64,15 64,99 66,33 67,87 69,03 68,62 71,17 66,32 65,38 62,80 66,30 63,85 66,30 68,15 65,31 68,00 67,21 66,93 Tabella A4. Composizione del fatturato per linee di prodotto, 1961-2004 (dati in milioni). Cuoio Lire corr. Lire 2004 1961 1962 1963 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970 1971 1972 1973 1974 1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 323 365 404 333 360 360 320 360 397 380 383 530 745 727 929 1.125 1.230 1.419 1.806 1.771 1.580 1.561 1.500 1.474 1.616 354 275 - 6.763 7.271 7.485 5.825 5.916 5.800 5.091 5.571 5.846 5.329 5.086 6.376 7.504 6.250 6.854 7.028 6.833 6.811 7.156 5.912 4.533 3.895 3.385 3.063 3.165 663 490 - Gomma Lire corr. Lire 2004 26 61 67 89 120 161 320 466 740 728 1.114 1.458 1.613 2.189 2.684 2.709 2.780 3.096 4.253 4.800 5.629 5.084 5.322 5.922 7.268 8.414 9.155 10.256 12.915 15.652 13.847 15.908 14.838 13.195 16.647 16.961 15.518 15.095 14.835 427 983 1.066 1.377 1.767 2.258 4.249 5.606 7.454 6.258 8.219 9.108 8.961 10.507 10.635 9.043 7.976 7.725 9.596 9.973 11.023 9.516 9.492 9.907 11.459 12.468 12.869 13.836 16.764 19.283 16.420 18.542 16.990 14.873 18.295 18.155 16.216 15.395 14.835 Nastri e cinghie Fatturato totale Lire corr. Lire 2004 Lire corr. Lire 2004 20 60 120 160 170 488 644 876 1.603 1.950 2.678 3.958 3.970 6.230 7.960 10.050 13.002 15.436 18.947 21.513 21.341 23.415 28.609 36.015 42.027 38.142 45.324 42.258 45.032 55.009 49.770 51.916 52.457 53.289 280 797 1.444 1.612 1.461 3.600 4.023 4.867 7.695 7.726 8.939 11.356 9.906 14.057 16.538 19.681 24.337 27.530 31.696 33.920 31.623 32.914 38.596 46.747 51.777 45.229 52.830 48.385 50.760 60.455 53.274 54.252 53.501 53.289 353 400 444 368 426 461 427 489 572 621 843 1.226 1.795 1.805 2.789 3.552 4.128 5.694 7.171 7.931 9.287 9.787 13.679 15.679 18.763 20.305 23.522 27.024 30.751 32.742 35.991 42.086 51.860 60.812 55.105 65.293 60.406 62.893 76.641 70.649 71.586 71.994 71.884 7.391 7.968 8.227 6.437 7.001 7.428 6.793 7.567 8.423 8.709 11.194 14.750 18.080 15.517 20.576 22.189 22.933 27.332 28.413 26.474 26.645 24.420 30.865 32.576 36.744 38.007 41.951 45.208 48.485 48.517 50.593 56.778 67.314 74.920 65.344 76.242 69.167 70.892 84.230 75.631 74.807 73.428 71.883 199 Appendice statistica Tabella A5. Composizione percentuale del fatturato per linee di prodotto, 1961-2004 1961 1962 1963 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970 1971 1972 1973 1974 1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 200 Cuoio Gomma Nastri e cinghie Vari Fatturato totale 91,50 91,25 90,99 90,49 84,51 78,09 74,94 73,62 69,41 61,19 45,43 43,23 41,50 40,28 33,31 31,67 29,80 24,92 25,18 22,33 17,01 15,95 10,97 9,40 8,61 1,74 1,17 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 6,10 13,23 15,69 18,20 20,98 25,93 37,96 38,01 41,23 40,33 39,94 41,05 39,07 38,44 37,43 34,16 29,93 31,63 31,09 30,61 30,00 25,04 22,63 21,91 23,64 25,70 25,44 24,37 24,90 25,74 25,13 24,32 24,56 20,98 21,72 24,00 21,68 20,97 20,64 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 3,22 7,12 9,79 8,91 9,42 17,50 18,13 21,22 28,15 27,19 33,77 42,62 40,56 45,54 50,77 53,56 64,03 65,62 70,11 69,96 65,18 65,06 67,98 69,45 69,11 69,22 69,29 69,95 71,60 71,77 70,44 72,52 72,86 74,13 8,50 8,75 9,01 9,51 9,39 8,68 9,37 8,18 9,62 9,66 9,49 8,97 8,36 9,97 9,25 9,15 9,91 8,48 10,19 9,75 10,43 11,85 12,40 9,22 7,82 9,18 10,58 7,97 6,41 9,12 9,51 7,65 5,65 5,15 5,65 6,39 5,48 7,42 6,51 5,56 5,80 6,17 5,23 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 Tabella A6. Composizione della forza lavoro, 1961-2004 Operai Impiegati (%) 1961 1962 1963 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970 1971 1972 1973 1974 1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. 89 89 86 94 110 108 110 112 123 124 118 110 106 111 119 113 120 123 128 145 152 155 153 154 167 188 190 206 196 192 207 208 201 199 201 (82,41) (84,76) (82,69) (81,03) (82,09) (81,82) (80,88) (81,16) (82,00) (81,05) (80,82) (79,14) (77,94) (76,55) (75,32) (73,86) (74,07) (75,93) (67,72) (70,73) (73,08) (72,43) (70,83) (70,64) (70,17) (72,31) (71,43) (71,03) (69,75) (67,84) (68,54) (67,75) (67,00) (66,78) (67,22) Totale (%) n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. 19 16 18 22 24 24 26 26 27 29 28 29 30 34 39 40 42 39 61 60 56 59 63 64 71 72 76 84 85 91 95 99 99 99 98 (17,59) (15,24) (17,31) (18,97) (17,91) (18,18) (19,12) (18,84) (18,00) (18,95) (19,18) (20,86) (22,06) (23,45) (24,68) (26,14) (25,93) (24,07) (32,28) (29,27) (26,92) (27,57) (29,17) (29,36) (29,83) (27,69) (28,57) (28,97) (30,25) (32,16) (31,46) (32,25) (33,00) (33,22) (32,78) 95 96 96 85 78 91 93 97 101 108 105 104 116 134 132 136 138 150 153 146 139 136 145 158 153 162 162 189 205 208 214 216 218 238 260 266 290 281 283 302 307 300 298 299 201 Appendice statistica Tabella A7. Fatturato per addetto, 1961-2004 (valori in milioni). 1961 1962 1963 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970 1971 1972 1973 1974 1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 202 Lire corr. Lire 2004 3,72 4,17 4,63 4,33 4,68 4,96 4,40 4,84 5,30 5,91 8,11 10,57 13,40 13,67 20,51 25,74 27,52 37,22 49,12 57,06 68,29 67,50 86,58 102,48 115,82 125,34 124,46 131,82 147,84 153,00 166,63 193,06 217,90 233,89 207,16 225,15 214,97 222,24 253,78 230,13 238,62 241,59 240,41 77,80 83,00 85,69 75,73 76,93 79,87 70,03 74,92 77,99 82,95 107,63 127,15 134,93 117,55 151,30 160,79 152,89 178,64 194,61 190,46 195,92 168,41 195,35 212,92 226,81 234,61 221,97 220,53 233,10 226,72 234,22 260,45 282,83 288,16 245,65 262,43 246,14 250,51 278,90 246,33 249,36 246,40 240,41 Storia della concia nel Biellese Gian Paolo Chiorino* Volendo narrare la storia di un’azienda, la “Chiorino S.p.A.”, che nei primi cinquant’anni della sua vita fu un’industria conciaria e che nei secondi cinquanta operò un radicale cambiamento del prodotto, delle lavorazioni e della clientela, pare giusto rammentare la storia, che molti ignorano, dell’industria della concia nel Biellese dove questa azienda ha operato e prosperato per mezzo secolo. E’ una storia lunga e interessante, frutto di lentissimi progressi e perfezionamenti operati prima da modesti artigiani, poi da piccole aziende e infine da industrie che hanno creato opportunità di lavoro, investimenti in macchinario e in ricerca, utilizzo ottimale delle pelli degli animali e del cuoio da esse ricavato. Le concerie a Biella. Le localizzazioni produttive, oggi come mille anni fa, non sono frutto del caso ma di una serie di fattori concomitanti che le fanno nascere in un certo luogo. Quali furono i motivi che portarono già nel Medio Evo all’esistenza di artigiani conciatori a Biella? Poiché da essi derivarono lo sviluppo dell’industria conciaria nella nostra città e la nascita della Conceria Lorenzo Chiorino, merita approfondire l’argomento. Dallo studio “Le pelli e l’arte conciaria nel Piemonte medioevale” di Anna Maria Nada Patrone emerge che nel Biellese si realizzarono alcuni fattori favorevoli, quali la disponibilità di pelli grezze in loco e nella vicina pianura vercellese, l’abbondanza di acqua di ottima qualità e di rogge che la trasportavano, la disponibilità di estratti vegetali ricchi di tannino quali la corteccia e le galle delle querce e infine la disponibilità di capitali, modesta nel Medio Evo ma più consistente in seguito, necessaria per finanziare una produzione che, dalla pelle * Ringrazio Lodovico Sella, Nanni Magliola, Stefano Chiorino, Umberto Chiorino, Paola Sozzi, Marco Serralunga per le informazioni e le fotografie gentilmente fornitemi. 203 Storia della concia nel Biellese greggia al cuoio finito, durava allora da due a tre anni. Inoltre furono importanti sia la presenza di calzolai e di sellai, che necessitavano del conciato per la loro attività, ben organizzati in una forte corporazione di cui facevano parte anche gli artigiani conciatori, sia la volontà e l’impegno nel lavoro degli artigiani biellesi e un certo spirito commerciale che li portò a vendere il conciato anche in altre zone del Piemonte. Per questi motivi Biella fu sin dal Medio Evo un piccolo e operoso polo conciario che si trasformò nel tempo, senza andare in crisi come altri poli italiani, e operò fino alla metà del ‘900. Gli altri poli piemontesi erano in epoca medioevale Torino, Vercelli, Casale, la Valle d’Aosta, il Cuneese e il Canavese. Le prime notizie sull’esistenza nel XII secolo a Biella di “Pelliparii, qui pelles parant, praeparant et vendunt”, si trovano nelle carte dell’Archivio comunale. In un contratto di compravendita del 1197 compare come teste un “Conradus de Ardicione Pellipario Bugelle” e in un altro dello stesso anno un “Silus Pelliparius” con terreni “in territorio Bugelle de super S. Mauricio”. Sempre nel XII secolo sono citati lungo il Cervo i “batenderia”, dove oltre a battere la lana e la canapa, si triturava la corteccia di quercia per la concia vegetale. Un altro accenno a Biella è la notizia che la durata delle lavorazioni di concia era stabilita in tutto il Piemonte dalla autorità cittadine, ad eccezione della nostra città in cui era stabilita dalla corporazione “dei calzolai e dei conciapelli”, dotata di un proprio statuto sin dal 1291 e facente parte delle sette corporazioni di mestieri biellesi. Era l’unica congregazione del Piemonte, insieme a Novara, che provvedeva alle sepolture dei confratelli defunti più poveri, esempio di mutuo soccorso e del sorgere delle prime forme di assistenza. Per difendere l’attività dei soci, la corporazione dei calzolai e dei conciapelli di Biella richiedeva a ciascuno di non andare “ad laborandum cum aliquo qui non sit de collegio”, cioè di non insegnare il mestiere ad estranei. Che si trattasse di una corporazione forte, tra le sette arti presenti a Biella, è confermato dal fatto che essa eleggeva quattro consoli, contro i tre dei tessitori e dei beccai e i due dei fabbri, sarti, drappieri, massari e notai. Le corporazioni svolgevano un ruolo di protagoniste nel Biellese del basso Medioevo. E’ significativo sottolineare che lo statuto della corporazione biellese dei conciapelli è solo di vent’anni posteriore a quello di Venezia, il che indica che il mestiere di conciatore era ben radicato già nel Medioevo tra la nostra gente e che gli sviluppi successivi fino alla metà del ’900 partirono da solide premesse lontane nel tempo. La presenza di conciatori nel Biellese è evidenziata dall’affresco del “Cristo della domenica” di un anonimo Maestro biellese del 1470 ca. all’interno del 204 Duomo di Biella. La figura del Cristo è ferita da molteplici strumenti di lavoro artigianale e tra essi si notano alcuni attrezzi tipici dell’arte della concia. Cristo assume su di sé come ferite i peccati commessi dagli artigiani quando violavano l’osservanza del precetto festivo, tutelato dalle regole delle corporazioni. L’ultimo documento sulla Biella conciaria del ‘400 riguarda l’importazione di pelli gregge, che era incoraggiata e facilitata perché gli allevamenti in loco non fornivano materia prima a sufficienza per le concerie esistenti, a differenza di Vercelli in cui era vietata per difendere gli allevatori locali. Nel Rinascimento, un segno della presenza di artigiani conciatori biellesi si trova nella supplica da loro indirizzata nel 1586 a Carlo Emanuele I, duca di Savoia, in favore della “pecia” o “feyra” ricavata dalla posatura del vino nelle botti o dalle vinacce bruciate e che era un ottimo agente conciante in concorrenza con la “rusca” ricavata dalla corteccia macerata della quercia. La supplica asseriva che “… la pecia passa et acconcia assay più presto che non solo rusca, lasciando (le pelli) d’avantagio si guastereno”. Cioè, mettendo pecia e rusca insieme, la concia penetra meglio e più in fretta nella pelle, che resta meno in vasca e non si guasta. E’ interessante notare che la “rusca”, svolta la sua azione conciante e quindi povera di tannino, veniva prelevata dal fondo delle vasche di concia, pressata in pallotti detti “mute”, poi essiccata all’aria e utilizzata come combustibile povero. Nulla veniva sprecato. Dove si stabilirono i primi artigiani conciatori biellesi? Come in altre città italiane e europee, sorse a Biella un piccolo quartiere nel rione Vernato dove si concentrò questa attività artigianale favorita dalla presenza di una roggia importante, quella del Piazzo che derivava l’acqua dal torrente Oropa. Anche a Biella ci fu la strada dei conciatori, ancor oggi via Conciatori, che con l’attuale via della Rocchetta delimitò la zona e per quanto possibile tenne i non sempre apprezzati odori della concia lontano dal centro della città. Zona che non cambiò dal Medio Evo fino alla metà del ‘900: gli unici cambiamenti avvennero tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 quando alcune concerie si installarono o si ampliarono sulla costa del Piazzo, mentre una sorse lungo il torrente Cervo e alcune piccole ad Andorno, Mosso Santa Maria, Brusnengo, Crevacuore e Masserano. Mutarono lentamente anche le dimensioni che nel corso dei secoli dai singoli artigiani, riuniti in corporazioni, passarono ad aziende artigiane e poi a piccole realtà industriali, migliorando lentamente i metodi di concia e seguendo lo sviluppo degli altri poli conciari italiani e europei. Un incremento deciso si verificò nella seconda metà dell’800 di pari passo con l’industrializzazione in Italia: anche nelle 205 Storia della concia nel Biellese concerie di Biella si ampliarono gli spazi industriali, i dipendenti, i capitali impiegati, le macchine per la concia e la rifinizione e migliorò la tecnica che da empirica passò a sperimentale e poi a teorica. Soprattutto cambiò a Biella il prodotto e la sua distribuzione, passando in breve tempo da cuoi per calzolai e per sellai, per guanti e per pellicce, al solo cuoio per impiego industriale, anche se una parte del conciato biellese era adatto ad altre applicazioni e veniva venduto come semilavorato ad artigiani utilizzatori: la Selleria Gallina, anch’essa al Vernato, fu ad esempio un grosso utilizzatore locale di cuoio. Questo drastico e totale cambiamento di destinazione del conciato biellese fu una scelta legata alla realtà industriale tessile e meccanotessile della zona e alle sue richieste in termini di prodotto. Ma esaminiamo prima il passaggio a Biella dall’artigianato conciario all’industria. La prima piccola realtà industriale fu la Conceria Antonio Varale, sorta nel 1733, per la produzione di pelli per pellicceria e per guanti, sull’attuale via Ivrea angolo Costa Nuova del Piazzo. Nel 1840 la Conceria Varale si riconvertì nella prima fabbrica biellese di cinghie in cuoio, nel 1870 si ampliò ulteriormente e nel 1881 iniziò la produzione di articoli per l’industria tessile. Nel 1900, alla morte del cav. Giuseppe Varale, l’attività della ditta fu continuata da Pietro Sozzi, successore in linea materna, espandendosi in un’area di 35.000 metri quadri nella regione collinare del Vernato e acquistando l’antica Conceria Strobino. L’attività proseguì con successo fino al 1968, poi fu ridotta e chiusa definitivamente nel 1970. Fu in questa azienda che Lorenzo Chiorino entrò alla fine dell’800 come impiegato amministrativo e tecnico, seguito poi dal fratello Umberto. Altra azienda di antica data, sempre al Vernato, fu la Conceria Magliola, già operativa nel 1740 e diretta nel 1820 da Paolo Magliola, originario di Chiavazza, e poi dai figli e dai nipoti fino al 1954. Il libro del 1900 di Alessandro Roccavilla “Biella cent’anni fa” riferisce che la Conceria Nipoti Paolo Magliola aveva un motore a vapore di 8 cavalli e due motori idraulici della stessa potenza, nonché 60 vasche di concia. La sua produzione era per 4/5 di suola e 1/5 di tomaia, con la specialità del “Cuoio Buenos Aires”. Un pronipote di Paolo Magliola, Vittorio, lasciò l’azienda e avviò con Leone Bersano all’inizio del ‘900 la Conceria Bersano, anch’essa al Vernato, che si chiuse 50 anni dopo. Anche la Conceria Serralunga ebbe antiche origini: già nel 1825 Pietro Serralunga, originario di Valle San Nicolao e stabilitosi al Piazzo alla fine del ‘700, era censito come artigiano conciario. Il nipote, Pietro anche lui, fondò nel 206 1. La Conceria Antonio Varale di Biella (1910 ca). 2. Il cuoificio Magliola di Biella alla fine dell’ottocento (Archivio Fondazione Sella). 207 Storia della concia nel Biellese 1840 l’omonima conceria sulla sponda destra del Cervo, che produceva cuoi per calzature, valige e selleria, passando agli articoli industriali (cinghie di trasmissione e “tacchetti”) nel 1886. Giovanni Battista, figlio di Pietro, migliorò ancora la qualità del prodotto che riuscì ad eguagliare quella delle ben più note concerie inglesi, francesi e belghe, per cui ottenne nell’ultimo decennio dell’800 premi e medaglie in esposizioni italiane ed estere. La conceria Serralunga si ampliò nel 1914 e continuò l’attività fino agli anni ’80 del ‘900, poi si riconvertì in industria di materie plastiche, dedicandosi al settore del giardinaggio e dell’arredo di design, rivolgendosi direttamente al consumatore. Un’idea più precisa di quali e quante fossero le concerie biellesi all’inizio del ‘900 è fornita da una serie di dati ricavati da una rassegna statistica del 1873, dalla “Guida del Biellese” di Pertusi e Ratti del 1892, dalla “Guida commerciale-industriale-amministrativa“ del 1910, del 1915 e del 1926, da “Il Biellese e le sue massime glorie” del 1938 e da “L’industria biellese” di Andrea Coda Bertetto. Riordinando questi sparsi dati, si riscontra la seguente situazione: 1820 – Risultano presenti nel Biellese diciannove concerie, per lo più artigianali, eccetto le concerie Varale, Paolo Magliola e F. Canova. 1873 – Le concerie con una struttura industriale o artigianale evoluta censite nel Biellese sono cinque a Biella (Varale, F.lli Magliola, Pietro Serralunga, Antonio Strobino e Felice Apostolo), due ad Andorno (F.lli Cantono e Corte Luigi e Giacomo) e tre a Crevacuore (F.lli Tasca, Giuseppe Serminato e Federico Sandretti). Crevacuore deriva da crava (capra) e corium (cuoio) 1892 – Sono le stesse dieci concerie di Biella, Andorno e Crevacuore, cui si aggiungono, probabilmente non censite nel 1793, quelle di Francesco Mongini a Brusnengo, di Cesare Berardo Boggio a Mosso Santa Maria, di Marucchi F.lli fu Pietro e di Francesco Patriarca a Masserano, tutte aziende artigiane, in totale quindi quattordici. 1910 – A Biella sono sette, essendosi aggiunte la Magliola e Blotto e la Lorenzo Chiorino. La Fratelli Magliola è diventata Nipoti di Paolo Magliola. 1915 – Sempre sette concerie a Biella: la Lorenzo Chiorino è diventata F.lli Chiorino e la Magliola e Blotto è diventata Luigi Antonio Magliola. In totale i dipendenti sono 450. 1928 – Sono otto a Biella, essendosi aggiunta la Conceria Umberto Chiorino dopo la divisione tra Lorenzo e il fratello. La Magliola e Bersano è ora Conceria Bersano. Sono sempre due ad Andorno, mentre quelle di Brusnengo, Mosso 208 1. La Conceria Umberto Chiorino di Biella (1930 ca). 2. La Conceria Pietro Serralunga di Biella (1925 ca). 209 Storia della concia nel Biellese Santa Maria, Masserano e Crevacuore non vengono più citate: erano state chiuse o rimaste piccole ditte artigiane. I dipendenti sono 480 in totale. 1932-1933 - I dipendenti sono scesi a 430 per le conseguenze della crisi del 1929. 1937 - Ci sono otto concerie nel Biellese con 550 dipendenti in totale: la Serralunga ne ha 130, la Varale 100, la Lorenzo Chiorino 95, la Luigi Antonio Magliola 85, la Umberto Chiorino 70 e la Bersano 50. Un interessante accordo aziendale tra sette concerie, cinque di Biella e le due di Andorno, viene sottoscritto il 1° marzo 1908 “all’uopo di collettivamente tutelarsi contro le continue pretese degli operai impiegati nei loro stabilimenti”. Il problema stava nel fatto che un mercato del lavoro specializzato e limitato, circa 400 dipendenti in totale, veniva disturbato dalle iniziative di qualche capo o operaio qualificato di offrirsi a concerie concorrenti, nonché dalla cattiva abitudine di qualcuno dei contraenti di assumere operai senza libretti di lavoro e con paga più bassa. E’ opportuno ora inquadrare la dimensione produttiva dell’industria conciaria in Italia, nel Piemonte e a Biella in quel periodo. I dati statistici sono questi: all’inizio del ‘900 in Italia c’erano circa 2.000 aziende conciarie, con 30.000 addetti e una media di 15 addetti per azienda. In Piemonte le aziende erano 194 con 3.016 addetti, sempre con una media di 15 addetti per azienda; nella provincia di Novara, in cui Biella era compresa, 81 aziende con 785 addetti e una media di 10 addetti per azienda. Nel Biellese c’erano 9 aziende con circa 300 addetti e una media di 32 addetti per azienda, più del doppio di quella nazionale e del Piemonte. Le concerie biellesi, radicate in una realtà prevalentemente tessile e meccanotessile, si orientarono a soddisfare le esigenze di queste industrie vicine. Era il periodo delle turbine idrauliche lungo le rogge e i torrenti, delle caldaie a vapore che azionavano un solo motore centralizzato. La forza motrice veniva trasmessa, nei vari piani in cui le aziende erano allora strutturate, mediante grandi cinghie che azionavano gli alberi di trasmissione disposti sotto il soffitto di ogni piano e lunghi quanto il reparto. Questi alberi portavano decine di pulegge in ghisa, una per ogni macchina da azionare: telai, self-acting, orditoi, lavaggi, folloni, macchine di tintura e di finissaggio. Ogni macchina aveva una cinghia in cuoio spostata mediante uno spostacinghie dalla puleggia folle a quella fissa per avviarla. Per le concerie biellesi erano chilometri di cinghie da produrre partendo dalla parte migliore delle pelli bovine, la schiena, che veniva privata dei fian- 210 chi, delle spalle e delle zampe, riducendola in forma rettangolare, detta “groppone”. Cinghie da produrre e da vendere, in concorrenza con la produzione inglese, la cui qualità era considerata inizialmente dagli utilizzatori assolutamente irraggiungibile. Ma si sa come sono fatti i Biellesi e che testa hanno: così Lorenzo, per rimanere nella famiglia Chiorino, quando si mise in proprio lavorava di giorno e studiava di notte la nuova concia minerale al cromo, che stava sostituendo per le cinghie quella vegetale al tannino. E appena possibile, consigliò al figlio Fulvio di iscriversi a Londra all’Istituto conciario, dopo essersi diplomato in ragioneria al Bona e poi in chimica conciaria all’Istituto Nazionale per le Industrie del Cuoio di Torino. L’industria tessile non richiedeva solo cinghie, ma anche accessori per i telai (tiranti per la spada di lancio della navetta, tacchetti per arrestarla e rilanciarla, paracolpi e parabattenti per frenare il loro potente movimento alternativo, tirantini per muovere i licci), per le pettinatrici della lana (manicotti), per la filatura pettinata (frottatori per i passaggi e cinghiette per lo stiro del filato), per la filatura cardata (lacciuoli divisori, manicotti frottatori). Con queste richieste e con continue sollecitazioni tecniche, l’industria conciaria biellese fu stimolata a crescere, a investire in ricerca, a modernizzarsi, a cercare altri settori che avessero richieste simili e integrassero i periodi di crisi dell’industria tessile. Ampliò così i campi produttivi, si aprì all’esportazione, sfruttò le migliori caratteristiche delle pelli e del cuoio fino ad ottenere il massimo dei risultati che questo materiale naturale potesse offrire. Furono cinquant’anni di crescita e di progresso qualitativo e quantitativo dell’industria conciaria biellese di cui la Conceria Lorenzo Chiorino fu attore importante, passando attraverso due guerre mondiali e la crisi del 1929 e superando momenti difficili. Nel 1950 la situazione delle concerie italiane era la seguente: 720 aziende (da 2000 che erano 50 anni prima) con 17.000 dipendenti (da 30.000 nel 1900) con una media di 25 addetti per azienda, molto più alta nel Nord in cui c’erano industrie importanti e più bassa nel Centro e nel Sud dove nei due poli conciari più noti, Santa Croce sull’Arno in Toscana e Solofra in Campania, molte lavorazioni erano affidate a piccoli terzisti. In Piemonte nel 1950 le aziende erano 81, di cui 6 a Biella con 600 dipendenti con una media di 100 addetti per azienda, quattro volte quella nazionale. Tutte erano attrezzate per la concia di cuoio per uso industriale e formavano un’isola a sé stante nel panorama dell’industria conciaria italiana. La valutazione della produzione di cuoio a Biella, sempre nel 1950, parla di 211 Storia della concia nel Biellese 400.000 chili di cuoio per cinghie di trasmissione e di 575.000 chili di cuoio per articoli tecnici, all’80% destinati alla produzione di accessori per l’industria tessile italiana e straniera. Nei trent’anni che vanno dal 1920 al 1950 le concerie biellesi mantennero dimensioni e produzione. Il declino, lento ma inesorabile, iniziò dopo il 1950 con l’ingresso della gomma e delle materie plastiche nel campo degli articoli tecnici. Nel 1961 i dipendenti delle concerie biellesi scesero a 320, dai 600 del 1950. L’industria chimica, la ricerca di nuovi materiali durante e dopo la Seconda guerra mondiale, la gomma sintetica, le materie plastiche derivate dal petrolio, occuparono man mano gli spazi applicativi del cuoio industriale. I tacchetti in pergamena di bufalo per i telai furono prodotti in polietilene ad alta densità; i paracolpi e i parabattenti in cuoio al cromo vennero sostituiti da quelli in tela gommata; i frottatori in gomma nitrilica con rinforzo in tela presero il posto di quelli in cuoio conciato al tannino. Alcune concerie biellesi chiusero, due soltanto seppero affrontare la sfida dei nuovi materiali e cambiarono totalmente produzione, macchinari, impianti, riqualificando la mano d’opera. La Conceria Chiorino fu una delle due e oggi festeggia il centenario della sua fondazione. 212 Ringraziamenti Nella preparazione di questo scritto gli Autori hanno ricevuto aiuto e suggerimenti da molte persone che desiderano ora qui ringraziare. La famiglia Chiorino, anzitutto, ha chiarito con pazienza nel corso di lunghe interviste diversi aspetti della storia dell’impresa. Giorgio Borri e Cesare Garella hanno fornito una prospettiva interna ma distinta da quella familiare sugli sviluppi tecnologici e dell’organizzazione del lavoro. Un aiuto prezioso è stato offerto dal personale degli archivi, in particolare da Graziana Bolengo, responsabile, e Patrizia Ferrarotti dell’Archivio di stato di Biella, da Teresio Gamaccio della Fondazione Sella e da Angela Lavecchia del Comune di Ponderano. Lodovico Sella ha indicato utili riferimenti bibliografici, mentre Maurizio Sella ha suggerito insostituibili elementi di comprensione della realtà imprenditoriale biellese. La responsabilità di eventuali errori resta comunque esclusivamente degli Autori. 215 Bibliografia ABRATE, M. (1967), La lotta sindacale nella industrializzazione in Italia: 1906-1926, Milano, Angeli, Appendice III. Almanacco di Biella e circondario pel 1874 (1873), Mondovì. AMATORI, F. e BEZZA, B. (a cura di) (1990), Montecatini 1888-1966. Capitoli di storia di una grande impresa, Bologna, il Mulino. 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Quart (Valle d’Aosta) Stampato su carta CyclusPrint certificata Ecolabel Guido Corbetta è professore ordinario dell’Università Bocconi, titolare della cattedra Aidaf - Alberto Falck di Strategia delle aziende familiari e direttore del Centro di Ricerca Imprenditorialità e Imprenditori (EntER). Michele D’Alessandro, dottore di ricerca in Storia economica e sociale dell’Università Bocconi, è Jean Monnet Fellow presso l’Istituto Universitario Europeo di Fiesole.