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Cent`anni in movimento - Chiorino

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Cent`anni in movimento - Chiorino
Guido Corbetta
Michele D’Alessandro
Cent’anni in movimento: 1906-2006
La Chiorino di Biella tra continuità e innovazione
Chiorino S.p.A., Biella 2006
Da sempre il movimento è
connaturato alla storia della
Chiorino. Ne sono pervasi i
prodotti, dal moto agile e
incessante dei tacchetti sui telai
alla corsa vorticosa delle
cinghie
di
trasmissione
azionanti ogni genere di
macchina, fino ai nastri per la
movimentazione di oggetti o il
trasporto di articoli attraverso i
processi di lavorazione. Ma
movimento, nel tempo, ha
significato per la Chiorino
soprattutto cambiamento.
Cambiamento delle traiettorie
tecnologiche, dal cuoio alla
gomma,
alle
resine
termoplastiche, e cambiamento
delle strategie organizzative e
di mercato. Un lungo percorso
che a partire dagli anni sessanta
ha trasformato radicalmente
l’antica conceria, produttrice di
cuoi tecnici per il distretto
tessile locale, in un gruppo
multinazionale, oggi tra i
primi produttori al mondo nel
settore dei nastri di trasporto,
capace di sostenere con successo
la sfida sempre rinnovata della
competizione internazionale.
Guido Corbetta
Michele D’Alessandro
Cent’anni in movimento: 1906-2006
La Chiorino di Biella tra continuità e innovazione
Chiorino S.p.A., Biella 2006
Da sempre il movimento è
connaturato alla storia della
Chiorino. Ne sono pervasi i
prodotti, dal moto agile e
incessante dei tacchetti sui telai
alla corsa vorticosa delle
cinghie
di
trasmissione
azionanti ogni genere di
macchina, fino ai nastri per la
movimentazione di oggetti o il
trasporto di articoli attraverso i
processi di lavorazione. Ma
movimento, nel tempo, ha
significato per la Chiorino
soprattutto cambiamento.
Cambiamento delle traiettorie
tecnologiche, dal cuoio alla
gomma,
alle
resine
termoplastiche, e cambiamento
delle strategie organizzative e
di mercato. Un lungo percorso
che a partire dagli anni sessanta
ha trasformato radicalmente
l’antica conceria, produttrice di
cuoi tecnici per il distretto
tessile locale, in un gruppo
multinazionale, oggi tra i
primi produttori al mondo nel
settore dei nastri di trasporto,
capace di sostenere con successo
la sfida sempre rinnovata della
competizione internazionale.
Cent’anni in movimento: 1906-2006
La Chiorino di Biella tra continuità e innovazione
Guido Corbetta
Michele D’Alessandro
Cent’anni in movimento: 1906-2006
La Chiorino di Biella tra continuità e innovazione
Vol. 2° della collana “Celebrazioni” pubblicata a cura del
Centro di Ricerca sull’Imprenditorialità e gli Imprenditori (EntER)
dell’Università Bocconi
Art direction e progettazione grafica
IN ADV srl - Torino
Coordinamento editoriale
Luisa Colombo
Fotografie
Archivio Chiorino S.p.A.
Traduzione inglese
Kelly O’Connor
Impaginazione e stampa
Musumeci S.p.A. - Quart (Valle d’Aosta)
In copertina
Produzione tacchetti. Conceria Lorenzo Chiorino (1930 ca).
ISBN 978 88 909080 1 9
© 2006 Chiorino S.p.A. Biella
Indice
Prefazione, di Gregorio Chiorino
7
Introduzione, di Guido Corbetta
9
1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957,
di Michele D’Alessandro
Lorenzo. Alle origini di una vicenda imprenditoriale
Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916
Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture
L’inserimento della seconda generazione
13
21
26
45
70
2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982,
di Michele D’Alessandro
79
L’introduzione di materiali alternativi al cuoio
83
L’inserimento della terza generazione, leva del cambiamento
100
Alla ricerca di una nuova vocazione produttiva: gli anni settanta
111
3. Biella, l’Europa, il mondo. Un nuovo ciclo di sviluppo, 1983-2005,
di Michele D’Alessandro
127
Assestamento e sviluppo di nuove linee di prodotto
128
Verso nuove fisionomie organizzative
135
Dall’internazionalizzazione alla multinazionalizzazione
142
Profili di gestione
154
4. Ricordi familiari
167
Lorenzo, di Gian Paolo Chiorino
167
Fulvio, di Gian Paolo Chiorino
173
Angelo, di Gregorio Chiorino
179
5. Quale futuro?, di Gregorio Chiorino
183
6. Un commento finale, di Guido Corbetta
187
Appendice statistica, di Michele D’Alessandro
196
Appendice tematica: Storia della concia nel Biellese,
di Gian Paolo Chiorino
203
Ringraziamenti
Bibliografia
215
217
5
Prefazione
Cent’anni di cambiamenti non solo relativi al periodo storico di riferimento, ma soprattutto alla molteplicità di trasformazioni industriali
interne (prima conceria, poi azienda della gomma e successivamente di
lavorazione delle materie plastiche), caratterizzano la storia della Chiorino.
Viviamo in un territorio, il Biellese, in cui esistono molte aziende
industriali tessili longeve ed anche pluricentenarie: esse fanno da secoli,
con grandissimo successo, lo stesso mestiere.
Dopo la fondazione di Lorenzo e la conseguente spinta imprenditoriale che sviluppò la Chiorino, le concerie italiane entrarono in una crisi
senza sbocchi negli anni ’60-’70 e solo la grande perseveranza e dedizione
delle nuove generazioni di Chiorino, che hanno via via gestito l’azienda,
ricercando sistematicamente nuove opportunità di business, hanno permesso alla “vecchia Conceria” di diventare quello che è oggi il “Gruppo
Chiorino”, che siamo lieti di rappresentarvi con quest’opera.
Questa ricerca, questo sforzo continuo di dare comunque un futuro
all’Azienda, al di là delle trasformazioni tecnologiche, di prodotti, di mercati e di nuovi clienti, è la costante della nostra storia.
Un grazie particolare al Prof. Guido Corbetta, professore di
Strategia e Politica Aziendale all’Università Bocconi, direttore del Centro
di Ricerca Imprenditorialità e Imprenditori (EntER) e titolare della cattedra AIdAF- Alberto Falck, di Strategia delle aziende familiari nella stessa
Università ed al dott. Michele D’Alessandro dell’Istituto di Storia
Economica dell’Università Bocconi, per aver accettato di scrivere la nostra
storia d’impresa, nell’ambito della collana “Celebrazioni” del Centro di
ricerca EntER e, soprattutto, per la grande disponibilità e capacità professionale profusa nel loro lavoro.
Gregorio Chiorino
Presidente Chiorino S.p.A.
7
Introduzione
Il nostro Paese sta vivendo un periodo difficile per varie ragioni. Se
guardiamo alla superficie, i problemi originano dalla crescita dei competitori asiatici impegnati negli stessi settori dove operano molte imprese
italiane, dalla impossibilità di procedere con svalutazioni della moneta
dopo l’adozione dell’Euro, dalla piccola dimensione media delle aziende
italiane che rende oltremodo ardui il presidio forte dei mercati stranieri e
gli investimenti in ricerca con ritorni a lungo termine.
Tuttavia, molte analisi svolte dai più qualificati centri studi confermano che in questo quadro complessivamente negativo esistono non poche
imprese italiane che continuano a produrre risultati positivi, sia in termini di crescita che di redditività. Queste imprese hanno investito con lungimiranza sulla costruzione di brand oggi riconosciuti o sulla ricerca foriera di nuovi prodotti, sono entrati per tempo in mercati in crescita, hanno
costruito reti di distribuzione o di servizi post vendita diffuse ed efficienti. Dove sta la differenza profonda tra queste imprese e quelle che invece
non riescono ad affrontare con successo i tempi attuali? Una possibile spiegazione riguarda la figura degli imprenditori. Nel nostro Paese esistono
imprese nelle quali sono presenti imprenditori di valore ed altre nelle
quali la vis imprenditiva si è attenuata. Gli imprenditori vivaci sono persone orientate al futuro, capaci di assumersi il rischio di decisioni difficili,
abili a coinvolgere altri in un disegno di lungo termine, con l’energia
necessaria per riprendersi dopo un parziale insuccesso. Gli imprenditori
sono una risorsa insostituibile dell’economia di un Paese. Come mai nel
nostro Paese, storicamente ricco di imprenditori di valore, si stanno riducendo il numero e la qualità di tali figure ? Ovviamente l’analisi per giungere ad una diagnosi accurata meriterebbe ben altro spazio, ma in estrema
sintesi possiamo dire che la prima ragione di difficoltà sta nella trasmissione dell’imprenditorialità alle generazioni successive e, quindi, sta in un
problema di educazione dei giovani. L’imprenditorialità è un insieme di
“passione”, di valori, di comportamenti, di capacità che si possono tra-
9
Introduzione
smettere ai giovani con l’impegno delle generazioni adulte. Da questa
convinzione nasce la collana “Celebrazioni”, promossa dal Centro di ricerca Imprenditorialità e Imprenditori (EntER) dell’Università Bocconi. La
collana si propone appunto di celebrare l’imprenditorialità allo scopo, sia
chiaro, non di assegnare a qualcuno la “patente” di imprenditore (i veri
imprenditori non ne hanno bisogno) ma di far conoscere a tutti, e in particolare ai più giovani, le storie imprenditoriali delle quali è ricco il nostro
Paese. Ci proponiamo di approfondire la conoscenza di una famiglia, di
una impresa, di un territorio, descrivendo i fatti, facendo emergere il profilo delle persone, provando ad offrire una interpretazione convincente.
Una delle prime aziende che hanno manifestato il loro interesse a
questo progetto è stata la Chiorino, impegnata a celebrare i primi cento
anni della propria storia. Con il collega D’Alessandro ho aderito con grande piacere all’invito di Gregorio Chiorino e della famiglia tutta, per varie
ragioni. Mi onoro di conoscere questa famiglia da una ventina d’anni, da
quando con il mio Maestro, il Prof. Vittorio Coda dell’Università Bocconi,
abbiamo insieme affrontato uno dei “tornanti” che caratterizzano la storia
di una famiglia imprenditoriale. Ricordo perfettamente un sabato mattina a Biella durante il quale abbiamo presentato ai sei cugini Chiorino
alcuni lucidi dal titolo “Il capovolgimento di prospettiva”. In quei lucidi
si descrivevano due concezioni di impresa familiare, una tutta centrata sui
problemi interni e timorosa di aprirsi alle sfide della proprietà responsabile e della managerialità, e l’altra che, seppur con inevitabile fatica, cerca
di coniugare il rispetto del passato con l’orientamento al futuro, gli affetti con le logiche aziendali. Ebbene, in quel frangente la famiglia Chiorino
ha saputo vincere la propria sfida impegnandosi nel non facile cambiamento di prospettiva con brillanti risultati. Da allora mi sono occupato di
centinaia di imprese familiari e, senza alcuna retorica, questa esperienza
mi è stata oltremodo utile. Una seconda ragione di interesse riguarda il
settore nel quale opera la Chiorino, un settore che richiede investimenti
importanti in ricerca e nel quale la competizione si svolge da decenni
almeno a livello europeo. Quando si parla dell’Italia l’attenzione va spesso
a imprese operanti in settori a bassa tecnologia e locali, sottovalutando le
molte imprese che, pur in un contesto non sempre facile, tentano di vincere la sfida competitiva in settori “evoluti”, i soli peraltro nei quali è possibile costruire il futuro del nostro Paese. Una terza ragione di interesse
10
riguarda il territorio nel quale opera la Chiorino: il Biellese. Si tratta di un
territorio ad alta intensità di imprenditorialità, che ha espresso un gran
numero di aziende di ogni dimensione capaci di vincere le sfide competitive nel mondo. Dedicare uno dei primi libri della collana “Celebrazioni”
a un’impresa operante in questo territorio è particolarmente significativo
anche per sottolineare il peso che i contesti locali possono avere per lo sviluppo della imprenditorialità.
Sono convinto che una istituzione educativa come un’Università
abbia il dovere di richiamare con realismo i problemi, ma, nello stesso
tempo, abbia il dovere di cercare ciò che di positivo si muove nella società e di promuoverne la conoscenza. Per questo sento il dovere di ringraziare tutti i componenti della famiglia Chiorino per averci permesso, con
generosità e rispetto, di indagare la loro storia e di costruire questo libro
che, rifuggendo da ogni agiografia, vuole mostrare il dipanarsi della vita
di una famiglia imprenditoriale attraverso i molti “tornanti” che caratterizzano un’impresa, una famiglia, ogni persona.
Guido Corbetta
Prorettore Università Bocconi
11
Primo listino prezzi della Lorenzo Chiorino (1906).
12
1.
“Nulla può sostituire il cuoio”1,
1906-1957
Le origini della conceria Chiorino all’inizio del Novecento si inseriscono in un periodo di trasformazioni di grande rilievo per la storia economica nazionale. Tra la fine del secolo e lo scoppio della prima guerra
mondiale la struttura produttiva del paese si modificò con un’intensità che
non aveva precedenti e che sarebbe stata nuovamente eguagliata soltanto
negli anni del miracolo economico nel secondo dopoguerra. Età del
“decollo” o del “grande balzo”, come gli storici l’hanno sovente chiamata,
l’epoca dominata dall’esperienza politica giolittiana coincise con un consistente aumento medio annuo della produzione, dei flussi del commercio
internazionale, del prodotto interno lordo pro capite. La crescita dei dati
quantitativi si accompagnò a una serie di mutamenti di profondo impatto sul tessuto economico e sociale del paese, tali da segnarne l’ingresso in
quel processo di crescita quantitativa e di trasformazione strutturale che
gli economisti definiscono “sviluppo economico moderno”.
Di tutti i cambiamenti il più rilevante riguardò la realtà industriale,
che compì notevoli progressi e mise salde radici nella compagine produttiva
del paese, trainata dagli investimenti in macchinari e in costruzioni. Crebbe
in quegli anni, a scapito dell’agricoltura, il contributo dell’industria alla formazione del prodotto interno lordo, e crebbe il suo peso numerico nella distribuzione della popolazione attiva. L’articolazione del comparto industriale
si arricchì della presenza dei nuovi rami produttivi legati ai progressi della
scienza e alle innovazioni realizzate nell’ultimo quarto del secolo. La meccanica, la chimica, la gomma, la metallurgia e l’elettricità si affermarono vigorosamente e con un impatto tanto più vistoso non solo per il ruolo che ebbero inizialmente e che avrebbero successivamente ricoperto nella struttura produttiva nazionale, ma anche perché ad essi si accompagnarono più intensa-
1 «Nulla può sostituire il cuoio» è il motto che negli anni cinquanta era stampigliato con apposito timbro sul retro delle buste utilizzate dalla Conceria per la corrispondenza ordinaria.
13
1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957
mente molti fenomeni caratteristici delle moderne economie industriali:
dalla diffusione della grande impresa alle innovazioni nelle forme di organizzazione della produzione, dalla crescita delle società per azioni ai legami con
il credito bancario, alla concentrazione oligopolistica.
Accanto a questi settori, conobbero una dinamica felicemente positiva anche i comparti di più antica industrializzazione, relativamente leggeri, rivolti al consumo finale, spesso caratterizzati dalla piccola dimensione delle realtà produttive e connotati da tratti tradizionali sotto il profilo organizzativo, delle lavorazioni e dei capitali coinvolti, comparti che
erano ancora numericamente dominanti. L’industria alimentare e del
tabacco, parte di quella tessile e di quella meccanica, l’industria del legno
e del mobilio, delle pelli e del cuoio, della carta, del vetro e dell’abbigliamento trassero anzi non di rado, dallo schiudersi delle nuove opportunità
generate dall’aumento dei consumi privati e, per altro verso, dalla accresciuta disponibilità di nuove tecnologie e fonti di energia, occasione di
compiere trasformazioni modernizzanti, offrendo moltiplicate possibilità
di estrinsecazione ai talenti individuali e indirizzando importanti stimoli
ai produttori di beni intermedi e di investimento. Un riflesso della nuova
fisionomia che l’economia nazionale stava rapidamente assumendo si ebbe
nella modificazione dei flussi commerciali, dove filati e tessuti di lana e
cotone fecero comparsa in misura consistente accanto alle tradizionali
esportazioni (formate da prodotti agricoli, beni alimentari, materie prime
e piccole produzioni artigianali di qualità) e le importazioni registrarono
un notevole incremento dei macchinari industriali e delle materie prime.
Molte circostanze concorsero a determinare questi risultati. Sul versante interno, spiccano le innovazioni istituzionali introdotte all’alba dell’età giolittiana nei mercati della moneta e del credito, che furono risanati, rafforzati e stabilizzati da interventi di salvataggio, dall’istituzione della Banca
d’Italia nel 1893 e – grazie all’ingresso del capitale straniero – dalla nascita
della banca universale, meglio capace di accompagnare la crescita delle
imprese (specialmente quelle dei nuovi settori) rispetto al modello delle
banche d’investimento preesistente, incagliatosi nelle secche della speculazione. Parallelamente crebbe il ruolo di istituti come le società di credito
ordinario e le banche popolari, abilitati a effettuare una molteplicità di operazioni o comunque assai meglio attrezzati delle banche di dimensione
nazionale per soddisfare le esigenze di credito delle economie locali.
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Sul versante dei rapporti con l’estero giocò un ruolo molto importante l’inserimento dell’Italia nell’economia internazionale caratteristica
della belle époque. Il primo straordinario fenomeno di globalizzazione dell’età contemporanea permise al Paese – aperto alla circolazione di beni,
capitali e persone attraverso le frontiere nazionali – di attirare risorse cruciali per lo sviluppo sotto forma di capitali finanziari, investimenti diretti, tecnologia, e conoscenze, e al contempo di esportare parte del prodotto
nazionale e la manodopera in eccesso, evitando squilibri insostenibili alla
bilancia dei pagamenti. Ciò permise di soddisfare i bisogni generati dallo
sviluppo senza subire il vincolo dei conti con l’estero.
A queste profonde trasformazioni della struttura economica del paese
si accompagnarono rilevanti mutamenti nei rapporti sociali. In particolare il
diffondersi e il radicarsi delle fabbriche modificò sensibilmente le relazioni
industriali. Il conflitto tra interessi imprenditoriali e interessi dei lavoratori
conobbe un crescendo intenso e generalizzato nel primo decennio del secolo,
con un numero particolarmente elevato di scioperi nel 1901-1902, nel 19061908 e con recrudescenze a partire dal 1910. Centinaia di migliaia di lavoratori furono coinvolti e quasi tutti i settori produttivi, incluso quello agricolo, ne furono investiti. Sono questi, il primo decennio del secolo, gli anni in
cui il conflitto, animato da una maggiore consapevolezza di sé tanto da parte
degli imprenditori quanto da parte dei lavoratori, anziché soffocato dalla
forza pubblica fu lasciato venire alla luce e assunse gradualmente una propria
dimensione istituzionale centrata sulla contrattazione collettiva. In parallelo
al suo svilupparsi evolvevano le forme dell’organizzazione degli interessi con
la creazione nel 1906 delle confederazioni generali dell’industria, da una
parte, per iniziativa della Lega industriale di Torino, e del lavoro, dall’altra.
Anche l’economia biellese, incardinata sul tessile, compì significativi progressi nei venti anni precedenti la guerra. Un rapporto della Camera
di commercio di Torino del 1909 offre un’immagine articolata dell’economia locale, a partire da un comparto laniero che conservava di gran lunga
il primato per numero di addetti e per forza motrice installata e che si qualificava come il più importante a livello nazionale. La meccanizzazione dei
processi di fabbricazione era da tempo compiuta, nello spazio di quasi un
quindicennio a datare dalla metà degli anni novanta le dimensioni medie
delle imprese erano più che raddoppiate, mentre si diffondeva a ritmo
sostenuto l’adozione di motori elettrici e si manifestava una tendenza alla
15
1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957
concentrazione delle fasi di lavorazione (filatura, tessitura, tintoria, finissaggi) nell’ambito di un’unica realtà aziendale. La sfida maggiore che restava da affrontare al comparto era la competizione sui mercati di esportazione nelle fasce più ricche del mercato, riservate ai tessuti di alta qualità.
Secondo alla lana era il comparto del cotone, che a cavallo del secolo
esplicò un notevole dinamismo, assistendo all’affermazione della filatura e
riversando effetti positivi su tutto il sistema locale. Anche la maglieria, quarta
per numero di addetti, occupava un posto di tutto rispetto nel Biellese e poteva inoltre vantarsi della rinomanza goduta anche all’estero dai propri prodotti.
Il tessile era tuttavia lungi dall’esaurire il panorama industriale di
Biella. Il suo rilievo numerico e qualitativo aveva anzi fatto da volano allo
sviluppo di un variegato insieme di imprese meccaniche specializzate nella
produzione di macchine tessili e relativi accessori (macchine per la tessitura, la cardatura, la filatura, la tintoria e il finissaggio), di motori idraulici, di meccanismi di trasmissione del movimento e di attrezzi e utensili
di ogni genere. In età giolittiana la dimensione di queste imprese crebbe
notevolmente e quelle più specializzate riuscirono a consolidare importanti sbocchi di mercato in tutto il nord Italia e in Toscana.
Non collegato ai precedenti, ma terzo per numero di addetti e
secondo per utilizzo di forza motrice era il settore della carta, mentre un
altro settore che nel periodo giolittiano spiccò per dinamismo è il cappellificio, di antico insediamento nel Biellese e di grande rinomanza fin oltre
confine per la qualità della produzione.
Minore delle precedenti in termini occupazionali e di potenza
impiegata, ma non meno antica delle altre e interessata da un consistente processo di rinnovamento era l’industria della concia. La sua crescita corse parallela allo sviluppo di quella nazionale, che nel giro degli
ultimi tre decenni del secolo vide aumentare del 63% il volume delle
importazioni di pelli grezze e del 75% il numero degli addetti, qualificandosi come il quinto settore manifatturiero del Regno per apporto
di valore aggiunto2. Tra la fine del secolo e l’inizio della guerra furono
2
Tra il 1876 e il 1904 gli addetti erano saliti da 9.487 a 16.600, mentre l’importazione di pelli
grezze, che nel quinquennio 1875-1879 era stato di 129 mila quintali, era passato a quasi 210 mila
nel 1900-1904 (cfr. L. Berardo, L’afrore del tannino. Mutualismo, cooperazione e industria conciaria a
Bra, 1852-1981, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1997, p. 123).
16
introdotte le nuove tecniche della concia minerale, aumentò la dimensione media delle imprese, scomparvero gli impianti condotti secondo
criteri più tradizionali, si estese l’utilizzo delle macchine e della forza
motrice. Al di là dell’aumento della domanda di cuoi destinati al consumo finale (calzature e oggetti di pelletteria), stimoli qualitativamente importanti all’evoluzione e specializzazione del comparto erano stati
la meccanizzazione dei processi di fabbricazione industriale e l’introduzione generalizzata delle macchine a vapore e dei motori elettrici.
Questi sviluppi richiesero, da un lato, una grande quantità di componenti in cuoio (grandissima nel caso del macchinario tessile) e, dall’altro, sistemi di trasmissione della forza motrice elastici e resistenti, in
grado di sviluppare il minimo di attriti. Le garanzie di durata e affidabilità offerte dalle cinghie di cuoio furono decisive nel favorirne il successo di mercato. L’affinamento dei procedimenti di concia, reso possibile dalle recenti innovazioni tecnologiche, permise di ottenere prodotti con elevate caratteristiche di uniformità, flessibilità, leggerezza e
impermeabilità. Ancora alla fine degli anni venti del Novecento, secondo le stime dell’associazione di categoria (l’Associazione italiana dell’industria e del commercio del cuoio), “l’80% del consumo in trasmissioni normali e forse il 90% nelle trasmissioni principali di comando”
era costituito da cinghie in cuoio3. Grazie allo sviluppo della domanda
interna e alle innovazioni tecniche e organizzative via via introdotte, le
punte più avanzate del settore arrivarono a mettersi su un piede di parità con la concorrenza estera, la quale tuttavia, grazie all’aggiornamento
tecnologico compiuto con maggiore tempestività, dominava i mercati
di approvvigionamento della materia prima ed era ben posizionata sui
mercati di consumo. Nel 1914, nonostante i progressi compiuti, la
capacità complessiva dell’industria nazionale rimaneva insufficiente a
soddisfare la domanda interna, una quantità consistente di pelli conciate doveva ancora essere importata ed esistevano perciò buoni margini
per una crescita ulteriore.
3
Negli stabilimenti industriali di un tempo le trasmissioni principali erano i meccanismi che trasmettevano il movimento, generato da una macchina a vapore o da un motore centralizzato, a lunghi alberi di trasmissione posti vicino ai soffitti dei capannoni, che a loro volta azionavano con
apposite cinghie e pulegge il moto di numerose macchine utensili.
17
1. Illustrazione pubblicitaria delle cinghie di trasmissione a doppia concia “Cromo
corteccia” (1920 ca).
2. Cinghie di trasmissione utilizzate come comandi secondari nel salone di tessitura
dei Lanifici Rivetti di Biella.
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1. “Nulla può sostituire il cuoio” 1906-1957
Il Piemonte deteneva un primato nel settore conciario4 e Biella spiccava nel panorama regionale dove, a parte Torino, solo la provincia di
Cuneo vantava una presenza significativa. In base ai dati della Camera di
commercio di Torino, nel 1892 avevano sede a Biella quattordici concerie
per un totale di 170 operai e 77 cavalli. Nel 1909 le concerie si erano ridotte a sei, con 277 addetti e 119 cavalli, di cui 39 elettrici5. Al di là delle
grandezze quantitative, la produzione di cuoi si evidenziava per l’impiego
delle tecniche della concia al cromo e per la progressiva specializzazione nel
campo delle cinghie per trasmissione e degli articoli tecnici per macchine
tessili e industriali in genere. Era un fatto rilevante, giacché prima del
1900 solo a Torino, Milano e Biella si trovavano aziende collocate sulla
nuova frontiera tecnologica, mentre altrove i produttori più avanzati si
limitavano a fabbricare gli stessi prodotti a partire da cuoi importati dalla
Gran Bretagna, dalla Francia, dal Belgio e dalla Svizzera. L’esistenza di
un’economia altamente industrializzata, centrata sul tessile e con elevati
tassi di meccanizzazione dei processi di lavorazione, impresse un impulso
notevole allo sviluppo della conceria nel Biellese, che trovò così la forza di
specializzarsi e di affermarsi fino a servire un molteplice numero di settori
industriali e una vasta area geografica, valicante l’ambito locale e nazionale. Due ditte in particolare, la Antonio Varale (risalente al 1733)6 e la
Pietro Serralunga (1825)7, ebbero a Biella un ruolo pionieristico in questo
4
Nel 1904 era la prima regione italiana con 194 opifici, 3.016 addetti, una potenza installata di
mille cavalli, oltre 4.100 vasche e un numero consistente di motori elettrici.
5 Camera di commercio di Torino, Statistica delle industrie del distretto camerale, Torino, Tip. della
Gazzetta del popolo, 1909, pp. 277-278.
6 Alla metà degli anni venti la conceria Antonio Varale contava circa duecento operai e dodici impiegati e si estendeva su una superficie complessiva di 15.000 mq. Forte di una capacità giornaliera di
1.500 kg di cinghie, era una delle prime se non la prima impresa italiana nella produzione di cinghie
e articoli in cuoio per macchine industriali. Dotata di una filiale commerciale a Milano, vendeva i propri prodotti in Italia, Francia, Canada, Sud America e Oriente. Nata su iniziativa di Antonio Varale nel
1733 per la concia di pelli da pellicceria e per calzature, aveva cominciato già negli anni settanta del
Settecento la produzione di cinghie di trasmissione. Grande parte del suo più recente sviluppo era però
dovuto alla guida di Pietro Sozzi, subentrato nella proprietà, che introdusse il procedimento della concia al cromo, modernizzò gli impianti produttivi e diversificò sensibilmente lo spettro dei prodotti
includendovi l’articolata gamma di accessori per macchine industriali.
7 La conceria Serralunga era stata fondata da Pietro Serralunga per produrre cuoi per suole e tomaie.
Sotto la guida di Giovanni Battista, figlio di Pietro, negli anni ottanta dell’Ottocento aveva cominciato la produzione di cinghie per trasmissione e articoli per macchine tessili, sperimentando nuovi
procedimenti di concia. Eretta in stabilimento ausiliario durante la prima guerra mondiale, aveva
19
1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957
senso, contribuendo a ridurre significativamente le importazioni di manufatti industriali in cuoio, iniziandone l’esportazione sui mercati orientali e
sudamericani e formando una manodopera specializzata.
Gli sviluppi che compongono il quadro articolato e dinamico dei
vent’anni che precedettero la Grande Guerra e che fecero da sfondo ai
primi anni di vita della conceria Chiorino offrono dunque alcuni elementi esplicativi che aiutano a renderne plausibile l’iniziale successo. Indicano
infatti, in primo luogo, l’esistenza di una domanda robusta di beni di
investimento destinati al settore tessile e più in generale alla molteplicità
di realtà manifatturiere necessitanti la trasmissione di potenza, beni per il
funzionamento dei quali la ditta Chiorino produceva indispensabili manufatti in cuoio. Suggeriscono, in secondo luogo, che se ai primi del
Novecento il clima era nel suo complesso più favorevole allo sviluppo dell’iniziativa imprenditoriale in campo industriale di quanto fosse mai stato
in precedenza nella storia postunitaria, ciò si doveva anche al fatto che era
cresciuta la disponibilità del capitale, sia umano che finanziario, necessario alla costituzione e allo sviluppo dell’attività industriale. È dunque alle
doti e alle risorse che erano proprie o alla portata del fondatore, o che questi seppe comunque abilmente mobilitare, che occorre rivolgere l’attenzione per comprendere che cosa rese possibile l’avvio dell’attività e quali
caratteristiche le consentirono di vivere a lungo, pur affrontando periodi
di alterne fortune. Questo ci rimanda perciò direttamente a Lorenzo, fondatore della conceria, alla sua famiglia, alla sua formazione.
conosciuto una crescita notevole e diversificato il prodotto fino a comprendervi la lavorazione di
cinghie in pelo di cammello, cotone e canapa. Parallelamente allo sviluppo dell’azienda, la famiglia Serralunga compì una notevole ascesa anche sul piano sociale, arrivando a rivestire incarichi di
rilievo in seno alla comunità industriale e nelle istituzioni locali e nazionali. Giovanni Battista fu
infatti consigliere comunale di Biella dal 1877 al 1910, per molto tempo consigliere provinciale,
deputato in Parlamento a partire dal 1897, presidente per quindici anni dell’Associazione dell’industria conciaria italiana, membro (e più volte vicepresidente) della Camera di commercio di
Torino, e presidente della Cassa di risparmio di Biella dal 1890 al 1913.
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Lorenzo. Alle origini di una vicenda imprenditoriale
Lorenzo Chiorino nacque a Ponderano, un piccolo comune a sud di
Biella, il 25 novembre 1877. Il padre, Angelo, era nato trentuno anni prima
anch’egli a Ponderano, dove aveva conosciuto e sposato Teresa Sabina
Chiorino, nativa del luogo, e dove trascorse tutta la propria esistenza8. La coppia diede alla luce sette figli, di cui quattro femmine – Leopolda (1869),
Caterina (1873), Maria (1875) e Angiolina (1879) –, e tre maschi, Giovanni
Battista (1871), il più anziano, Lorenzo e Umberto (1882)9. Angelo era di
professione fabbricante di cappelli, un settore relativamente minore dell’industria biellese ma molto conosciuto in Italia e all’estero. Spesso indicato nei
documenti come possidente e talora come agricoltore, Angelo era riuscito a
conquistarsi una posizione di relativo benessere. Possedeva la casa dove abitava e che egli stesso aveva fatto costruire ai primi del Novecento, in regione
Blana, lungo la strada per Cerrione. Aveva accumulato un discreto quantitativo di terra, molto probabilmente a partire da un’eredità trasmessa dal padre,
ed era stato nelle condizioni di elargire una piccola somma di denaro ai figli
maschi in occasione del matrimonio10. La moglie Teresa pure era proprietaria di un piccolo appezzamento coltivato a vite in regione Gatto. Nel 1910
la superficie complessiva delle proprietà di Angelo ammontava a non meno
di 3,7 ettari e si trovava concentrata principalmente nelle regioni di
Derbiglia, Blana e Rolletta. Si trattava di appezzamenti in parte coltivati a
prato, in parte sede di orti e frutteti e in parte ancora “avvidati”.
L’acquisizione di terra aveva le sue buone ragioni, anche in un’area, come
quella biellese, in cui la diffusione dell’industria domestica aveva radici lontane nel tempo e in un’epoca, quella di Angelo (1846-1921), in cui il sistema di
fabbrica si era progressivamente e largamente affermato. Anzitutto, per quanto non dovessero risultare essenziali al mantenimento della famiglia Chiorino,
questi terreni costituivano un supporto al sostentamento del nucleo familiare,
cui fornivano prodotti alimentari freschi per buona parte dell’anno. Tale fun-
8 Angelo Prospero, come reca l’atto di nascita, era figlio di Giovanni Battista, muratore, e Caterina
Vigliani. Le nozze con Teresa vennero celebrate nel 1868. Cfr. Archivio del Comune di Ponderano,
Registri delle nascite e Registri dei matrimoni.
9 Per i dati anagrafici, cfr. Archivio del Comune di Ponderano, Registri delle nascite, vari anni.
10 Angelo era figlio di Giovanni Battista e Caterina Vigliani, entrambi nati e vissuti a Ponderano.
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1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957
zione era tanto importante che nel Biellese, come ne scrive Franco Ramella, “la
terra [era considerata] una risorsa vitale e lo sforzo delle famiglie [era] teso a
conservarne la proprietà”. Da questa esigenza prioritaria erano scaturite “le
norme consuetudinarie di trasmissione dell’eredità, l’incoraggiamento all’emigrazione e il rigoroso controllo demografico, le politiche matrimoniali accentuatamente endogamiche”11, in breve, un complesso sistema di usanze sociali
finalizzato a ridurre la pressione sulle risorse e capace di condizionare significativamente scelte e comportamenti dei singoli cruciali nell’arco di un’esistenza.
Accanto a questa funzione basilare, e bene al di fuori dai confini del
Biellese, la proprietà fondiaria costituiva uno strumento largamente utilizzato per avere accesso al credito e finanziare altri bisogni o tipi di attività. Essa era il luogo dove la ricchezza accumulata trovava tradizionalmente sbocco e donde, grazie al credito, poteva essere nuovamente immessa nel ciclo produttivo. Proprio perché espressione della ricchezza, essa
continuò a conservare la valenza di un efficace indice di status anche nel
quadro dei processi di differenziazione economica e sociale che accompagnarono l’industrializzazione. Anche Angelo Chiorino, al presentarsi dell’occasione, mobilitò i propri possedimenti fondiari attraverso il credito
per finanziare l’avvio dell’attività imprenditoriale dei figli.
Tornando per l’appunto a Lorenzo, terminate le scuole elementari, a
partire dal 1889 egli frequentò la Scuola tecnica civica di Biella, un ciclo
di istruzione triennale di carattere generalista in cui si insegnavano italiano, matematica, storia e geografia, disegno, calligrafia, francese e, nell’ultimo anno, educazione civica e computisteria12. Licenziatosi nel 1892,
seguendo un percorso comune alla maggioranza dei suoi coetanei nel
Biellese, i quali, appena terminate le scuole elementari o prima ancora di
terminarle13, finivano come apprendisti in uno stabilimento tessile, pro-
11 F. Ramella, Terra e telai. Sistemi di parentela e manifattura nel Biellese dell’Ottocento, Torino, Einaudi,
1984, p. 104.
12 Le pagelle del triennio indicano che Lorenzo ebbe rendimenti discreti senza eccellere e senza sfigurare, mostrando una maggiore facilità e costanza per gli insegnamenti di italiano, storia e geografia e per contro poca sintonia con il discorso matematico, che alla fine del ciclo, all’esame di
licenza, gli costò la riparazione a ottobre per un’insufficienza presa nella sessione di luglio.
13 Il fenomeno dell’abbandono della scuola prima del compimento del ciclo di istruzione obbligatoria, diffuso nell’Ottocento, conservava ancora negli anni cinquanta del secolo successivo un’estensione tale da impensierire le classi dirigenti della città. Cfr. Unione industriale di Biella, Il fenomeno dell’evasione dell’obbligo post-elementare nel Biellese, Biella, Unione Industriale Biellese, 1966.
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Foto-ritratto di Lorenzo Chiorino all’età di circa trent’anni (1905 ca).
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1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957
babilmente anche Lorenzo fu avviato direttamente al lavoro in fabbrica,
salva forse – considerato il livello di istruzione e le condizioni del padre –
la promessa di un inserimento in ruoli impiegatizi appena ne avesse avuta
l’età o provata la preparazione. È così che sul finire del decennio lo si trova
impiegato presso la conceria Antonio Varale di Biella.
Fu questa, con ogni probabilità, l’esperienza formativa più importante
dopo la scuola. Per quanto occupato in ruoli di carattere amministrativo e contabile, Lorenzo seppe infatti trovare il modo di approfittare dell’esperienza non
solo per acquisire familiarità e competenza nelle dinamiche contabili, ma anche
per introdursi agli aspetti tecnici legati al processo produttivo e – si può ipotizzare – per farsi un’idea delle difficoltà che esso incontrava e delle migliorie
che si sarebbero potute apportare, per costruirsi una mappa sommaria del settore, forse anche per avere sentore di alcune tematiche relative alla gestione.
Soprattutto, però, per intravedere delle opportunità di mercato e di profitto.
Considerata la relativa semplicità della struttura organizzativa di fabbrica di
allora, non sarebbe stato difficile per un giovane intraprendente e determinato,
da vicino o da lontano conoscente diretto – è facile presumere – di molti dipendenti, osservare i diversi processi aziendali e cominciare a formulare un proprio
progetto personale, replicando in tal modo uno schema diffusissimo alla base
della genesi di nuove imprese. Magari anche prendere accordi con qualche operaio fidato ed esperto del mestiere, assicurandosi in tal modo l’ausilio indispensabile di una risorsa particolarmente preziosa e sicuramente scarsa, nonostante
la presenza in Biella di un certo numero di concerie.
L’importanza di questo apprendistato e l’ampiezza degli ambiti che
doveva avere più o meno approfonditamente riguardato emergono con
tutta evidenza quando si tenga conto dell’impegnativo programma di
studi allora contemplato per la formazione di un “direttore chimico-tecnico di conceria” attraverso un percorso di istruzione formale. Sin dal
1902 l’Istituto nazionale per le industrie del cuoio di Torino offriva a questo scopo un corso della durata di due anni distribuito tra insegnamenti
teorici e pratica di laboratorio14. Le lezioni impartite comprendevano un
ampio ventaglio di materie, dalla chimica organica e inorganica alla tec-
14
L’Istituto era stato creato nel 1902 sotto il nome di “Regia Conceria – Scuola italiana e Stazione
sperimentale per l’industria delle pelli ed affini”. Il proposito di istituire una scuola per la forma-
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Lorenzo. Alle origini di una vicenda imprenditoriale
nologia della concia, a nozioni di contabilità applicata all’azienda conciaria, mentre nella sezione pratica si sperimentavano tutti i principali procedimenti di concia15. Non sorprende dunque che l’apprendistato di
Lorenzo possa essere stato relativamente lungo, considerato che, in
aggiunta alle competenze tecniche e alle conoscenze di mercato, il ruolo di
imprenditore nel quale si preparava a operare comportava anche l’esercizio
delle responsabilità connesse al rischio di capitali propri e della famiglia.
Ad ogni modo, trascorso un periodo di otto-dieci anni alla conceria
Varale, all’età di quasi trent’anni, nel 1905 Lorenzo prese la decisione di
avviare un’attività imprenditoriale in proprio. Nel settembre dello stesso
anno si sposò con Flora Machetti, di sei anni più giovane di lui16. La contestualità dei due eventi assumeva un significato che travalicava la portata delle singole scelte, professionale e individuale. Individuata la strada
più consona alla propria realizzazione personale e destinata a formare la
base del proprio sostentamento futuro, Lorenzo sentiva di potere finalmente imprimere una svolta anche al proprio percorso umano e biografi-
zione di quadri dirigenti tecnici e di manodopera specializzata che fosse di ausilio allo sviluppo del
settore era stato formulato nel 1898 da Ettore Andreis in occasione del primo congresso dell’industria e del commercio del cuoio. Il modello preso ad esempio era quello delle più importanti scuole europee con sede a Vienna, Leeds, Friburgo, Lione e Londra. Decisivi per la sua istituzione furono l’iniziativa dell’Associazione italiana dell’industria e del commercio del cuoio di Torino e il concorso finanziario di industriali conciari e chimici provenienti da varie province italiane, tra i quali
spiccavano i nomi di Achille e Secondo Durio, Ferdinando Bocca (amministratore delegato delle
Concerie italiane riunite di Torino), Ettore Andreis, Alfredo Fiorio, Alfredo Gilardini, Roberto
Lepetit, Guido Martinolo, Carlo Bruno e Alberto Vita. Ottenuto il riconoscimento governativo nel
1905, nel 1907 la scuola passò di pertinenza del Ministero dell’agricoltura, industria e commercio.
15 L’elenco degli insegnamenti era il seguente: “chimica generale inorganica e organica”; “chimica
analitica qualitativa e quantitativa applicata all’esame e determinazione del valore delle sostanze
che interessano la concia”; “tecnologia chimica della concia”; “materie coloranti”; “fisica applicata”; “computisteria industriale conciaria”; “microscopica tecnica”; “nozioni di diritto commerciale
e industriale”. Il programma di esercitazioni di “conceria pratica” includeva processi di concia
lenta, accelerata e rapida; di concia al cromo; di concia all’allume e sale; di concia per pelli da guanti e procedimenti diversi per la pellicceria. A questo scopo la Scuola era dotata di un certo numero di gabinetti e laboratori specializzati di chimica, microscopia e concia. L’offerta formativa includeva, in alternativa al corso per direttori, un corso di durata annuale per operai, con lezioni serali
e domenicali, inteso a integrare la pratica delle lavorazioni con cognizioni teoriche sui processi della
concia. Gli insegnamenti riguardavano in tal caso: “generalità e trattamenti delle pelli nei vari stati
di conservazione”; “classificazione e studio particolareggiato delle pelli nostrali ed estere”; “materie concianti”; “studio dei processi della concia e rifinizione delle diverse varietà di cuoi”; “elementi
di chimica generale e tecnologia”.
16 Flora Machetti era nata il 26 gennaio 1883, da Giovanni Battista e Delfina Boggio, a Quittengo,
un piccolo paese situato tredici chilometri a nord di Biella, lungo il corso del Cervo.
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1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957
co e dare inizio a una famiglia. I due ambiti, dell’impresa e della famiglia,
trovavano così un’ulteriore ragione di intreccio dal profondo valore simbolico oltre che materiale, e consentono a chi li riguarda oggi, così intersecati, di intuire retrospettivamente una ragione aggiuntiva della dedizione che il non più giovanissimo neocapofamiglia avrebbe versato nella sua
nuova attività di imprenditore.
Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916
Il primo decennio di attività della conceria Chiorino si può per
molti aspetti considerare come il periodo di “apprendistato” di Lorenzo
nel nuovo ruolo di imprenditore. In questi anni egli mise a punto con cura
costante i procedimenti di concia, assestò la produzione su una gamma
diversificata di prodotti, posizionò l’azienda sul mercato rispetto alla concorrenza, imparò a misurarsi direttamente con le fonti di approvvigionamento delle materie prime, si creò una propria clientela relativamente stabile, cominciò a costruirsi una reputazione. In questi anni l’azienda crebbe rapidamente in termini patrimoniali e di immobilizzazioni tecniche,
per giro di affari, e per numero di occupati. Certamente la sua affermazione fu facilitata da una congiuntura favorevole. I settori serviti dalla conceria erano in espansione, pur attraverso accelerazioni e rallentamenti. La
guerra, poi, impresse una forte dinamica alla domanda interna di beni
industriali e i settori tessile e del cuoio ne sentirono tutto l’impatto, diretto e indiretto. Si può dunque immaginare il primo decennio come un
periodo di straordinaria intensità. Nondimeno lo sviluppo dell’impresa
non procedette lungo un percorso lineare e in discesa. Al contrario, si
scontrò con difficoltà e vincoli di diversa natura, potenzialmente in grado
di opporre gravi ostacoli alla crescita, da quelli di carattere finanziario al
reclutamento e governo della forza lavoro.
In questo primo decennio, in cui la capacità di autofinanziamento
dell’impresa non era tale da stare al passo con le esigenze della crescita, fu
la famiglia a fornire sotto molteplici forme le risorse principali necessarie
allo sviluppo. Dei vantaggi e dei limiti che la realtà familiare poteva offrire Lorenzo fece un’esperienza forte. L’associazione con il fratello minore,
Umberto, e la costituzione della “Fratelli Chiorino” nel 1910, infatti, ini-
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Cartoncini da visita della ditta individuale Lorenzo Chiorino (1906-1910) e della societa’ Fratelli
Chiorino (1911-1916).
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1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957
zialmente progettata per durare quindici anni, ebbe un esito inatteso e
pervenne allo scioglimento anticipato nel 1916, con l’effetto di dare vita
a due ditte concorrenti. Per tutto questo insieme di ragioni, il volgere del
primo decennio segna una cesura significativa nella storia aziendale. Gli
sviluppi successivi avranno luogo sotto la guida di un imprenditore che
potrà dirsi a buon diritto avere raggiunto nel suo ruolo la piena maturità.
L’attività della ditta Lorenzo Chiorino ebbe inizio nel maggio 1906.
La prima installazione, in via delle Mole, era disposta lungo la costa del
Vernato che dalla parte bassa della città conduce al Piazzo. Lo stabile si
sviluppava su tre livelli e constava di un vecchio edificio, sopravvissuto a
un incendio, e di un immobile di recente costruzione. Esso faceva parte di
un complesso più ampio, cinto da un muro e comprendente due cortili, di
cui uno relativamente piccolo, posto all’ingresso, e un altro di dimensioni
maggiori, in gran parte adibito a prato. La presenza di spazi all’aperto,
sfruttabili per lo stendissaggio delle pelli conciate, costituiva un importante vantaggio della localizzazione prescelta, come pure l’esistenza di una
ruota idraulica posizionata su un salto di un certo rilievo e perciò capace
di sviluppare una discreta quantità di energia. Poiché gli immobili ospitavano una tintoria, sin dal novembre 1905 Lorenzo aveva preso accordi
con il locatario, Pacifico Trivero, per subentrargli nella conduzione. In
base a essi, i locali sarebbero stati lasciati liberi entro la fine di giugno
1906, ma Trivero si impegnava a fare il possibile per anticipare la data alla
fine di marzo. Ad ogni modo, Lorenzo si era riservata la possibilità di
cominciare a installare e fare funzionare proprio macchinario fin da aprile,
impegnandosi a corrispondere in tale eventualità un canone mensile17. La
ragione di tale fretta, oltre che dalla necessità di avviare al più presto la
nuova attività, dipendeva dal fatto che, sin dalla sigla dell’accordo con
Trivero, Lorenzo cominciò a sostenere una serie di spese per l’adeguamento dei locali all’attività della conceria, consistenti nella ristrutturazione del
17
L’importo concordato ammontava a 58,35 lire, cui erano da aggiungerne altrettante per l’eventuale utilizzo della forza idraulica. Il signor Trivero lasciò effettivamente i locali alla fine del marzo
1906. Il contratto d’affitto con la proprietà, firmato da Lorenzo il 6 marzo 1906, fissava il canone
in ottocento lire annue. A esse andava sommato il pagamento di un interesse del 5% annuo sul
capitale investito dalla proprietà in diverse opere di ristrutturazione in muratura e falegnameria.
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Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916
locale attiguo alla ruota idraulica, nell’approntamento del relativo apparato di trasmissione di potenza e nella costruzione di tre tettoie. A fronte di
tali lavori egli si faceva carico di un importo complessivo di 2.400 lire,
liquidando subito una parte in contanti (1.400 lire), e impegnandosi per
il resto con due accettazioni di cinquecento lire ciascuna, pagabili rispettivamente il 31 dicembre 1906 e il 31 dicembre 1907.
Una preziosa serie di istantanee su come fossero attrezzati i locali e
su come si svolgesse la produzione nel 1910, alla vigilia della costituzione della società con il fratello Umberto, ci è offerta dal libro inventario che
Lorenzo teneva, miniera ricchissima di informazioni18. Scorrendolo si ha
l’impressione di aggirarsi negli ambienti che ospitavano l’attività e si traggono interessanti elementi sulla dotazione e sul valore delle macchine
impiegate. Nel locale dei bottali19 alloggiavano una botte per concia, una
per “feiteria”20 e una per ingrasso insieme a una macchina per stirare di
fabbricazione inglese per un valore complessivo di 4.200 lire, mentre altre
dotazioni minori erano costituite da botti per bagni al cromo (per un’idea
dell’incidenza di queste cifre sul totale degli immobilizzi, si veda la tabella 1). Comuni attrezzi da lavoro corredavano la stanza calorifero, adibita alla
“messa al vento” delle pelli21, e il reparto feiteria. Più rilevante era la dotazione del locale per scarnare, dove – oltre a una grande quantità di attrezzi
di lavoro minuti – era collocata una macchina di produzione americana
che costituiva di gran lunga il bene capitale di maggior valore tra quelli
elencati nell’inventario (4.600 lire), dotata di due cilindri intercambiabili per la scarnatura e per la depilazione e messa al vento delle pelli.
Altri macchinari industriali si trovavano nei locali dove si svolgeva
18 L’autore è particolarmente grato a Umberto Chiorino, discendente in linea diretta del fratello di
Lorenzo, Umberto, per avergli consentito la consultazione dell’Inventario.
19 Tale locale era stato ricavato all’interno di uno stabile, costruito da Trivero e da questi ceduto a
Lorenzo, situato nella proprietà. Era caricato nella situazione contabile al 31 dicembre 1910 al
valore di 700 lire. Ne era stato pianificato l’ammortamento completo per la data di scadenza del
contratto di locazione, il 30 giugno 1915.
20 La feiteria, o affaiteria, rappresenta l’insieme di trattamenti e preparativi cui le pelli sono sottoposte prima di essere avviate alla concia vera e propria: rinverdimento, calcinatura, depilazione,
scarnatura, eventuale spaccatura, purga e macerazione.
21 Per “messa al vento” si intendono una serie di operazioni aventi diverse finalità, eseguite a mano
o macchina. La “messa al vento in crosta”, in particolare, consiste nel provocare la fuoriuscita dell’acqua trattenuta dal cuoio dopo la concia, esercitando pressione dal lato della carne a mezzo di
una lama rettangolare di pietra, ferro, ottone o vetro.
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Interno del Reparto selleria della Conceria Lorenzo Chiorino intorno al 1910.
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Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916
la produzione dei manufatti veri e propri. Nel reparto tacchetti, anzitutto,
erano installati due motori elettrici trifase, da 17 e 9 ampere e della potenza di 13 cv e di 6,5 cv, per un valore complessivo di 2.000 lire22, utilizzati per azionare una serie di macchine disposte nel locale stesso e in locali
adiacenti. Completava il reparto una pressa per tacchetti (1.500 lire).
Tabella 1. Situazione della ditta Chiorino al 31 dicembre 1910 (lire correnti)
attivo
Mercanzie generali
Merci conceria
Macchine e attrezzi fabbrica
Conto impianto
Mobilio ufficio
Conto cassa
Debitori diversi
Totale
33.446,43
3.733,77
25.029,78
4.526,26
412,00
18,77
36.956,84
104.123,85
passivo
Conto capitale
Ritenute operai
Fondo riserva
Creditori diversi
Effetti da pagare
Totale
4.136,21
5,20
1.108,68
57.092,82
41.780,94
104.123,85
Numerose macchine ancora erano utilizzate nel reparto selleria dedicato alla lavorazione delle cinghie di trasmissione per egualizzare le pelli,
tirare, arrotolare e tagliare cinghie e lacciuoli. Nell’ufficio erano conservati gli strumenti di misurazione, ovvero un dinamometro e un calibro.
Esso, inoltre, era stato dotato di una macchina da scrivere Underwood, di
una pressa copialettere e, dal 1910, del telefono. Rispetto soltanto a due
anni prima, ossia al 1908, quando Lorenzo dichiarava in una lettera di
avere macchinario per 12 mila lire (costatogli, nuovo, 14 mila), il valore
complessivo delle “macchine e attrezzi fabbrica”, tenendo conto unicamente delle macchine iscritte in situazione per un valore di almeno 200
lire, ammontava a oltre 17.500 lire, al netto degli ammortamenti già
effettuati.
22 I motori erano stati acquistati nel dicembre 1909 presso la Società elettrodinamica di Torino,
rappresentante generale della svizzera Elektricitäts Gesellschaft Alioth. Non erano i primi a essere
installati in azienda. Si evince infatti dalle modalità di pagamento, effettuato in parte a mezzo di
cambiali (1.700 lire) e in parte (300 lire) con rimessa a Torino di un altro motore elettrico, monofase, della potenza di 5 cv, che la dotazione di macchine alimentate dall’energia elettrica risaliva
probabilmente al primo impianto dell’azienda.
31
1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957
Si è indugiato su questi dettagli perché più di qualunque considerazione astratta hanno il potere di fare luce sugli investimenti fatti per
migliorare le strutture, sugli ampliamenti volti ad aumentare la capacità
e sull’atteggiamento di Lorenzo nei confronti della propria azienda, ovvero sulle ambizioni che nutriva in merito al suo sviluppo. L’immagine che
ne esce è quella di un imprenditore preoccupato di creare le migliori condizioni per lo svolgimento della produzione, molto attento alla tecnologia
dei processi e del macchinario e al suo continuo aggiornamento, al tempo
stesso sufficientemente focalizzato sull’essenziale per non indulgere in
spese di installazione eccedenti il necessario. Orientato fin da principio,
come suggeriscono la dimensione dei locali e la dotazione del telefono e di
moderne macchine da ufficio, a pensare la propria attività assai più nella
dimensione dell’impresa che del laboratorio artigianale. Preoccupato, infine, di comunicare all’esterno, ai clienti e alla concorrenza, un’immagine di
professionalità e serietà indiscusse.
Per quanto riguarda la produzione, uno sguardo alle giacenze di
magazzino e alle scorte del reparto conceria rivela che nel 1910 il principale tipo di concia effettuato era quella al cromo. Le scorte di consistenti
quantitativi di estratti e sali di cromo, nonché la presenza di vari tipi di
pelle già conciata o comunque destinata a particolari produzioni lo testimoniano. Le giacenze di estratti di sommaco, castagno e mimosa, ricchi di
tannini, e di olio di pesce indicano d’altra parte che la conceria effettuava
anche la concia vegetale e altri tipi di concia. Notevole per provenienza e
per dimensioni era la varietà delle pelli immesse nel ciclo di lavorazione e
dei prodotti che se ne fabbricavano: schiappe (mezzine), gropponi, spalle,
fianchi, teste e tagli lunghi e corti di buoi e di tori, bufali del Tonchino,
“bufali North Western”, “bufaloni Singapore”, “bufali Agra”, “bufali
Rangoon”, “bufali Dacca”, “bufali Saigon”, “vacche Australia”, bufalini,
torelli, e, naturalmente, ritagli e rifili, nonché pelli corona, erano utilizzati per produrre – a seconda delle caratteristiche proprie delle singole pelli
– cinghie, tacchetti, cacciatacchetti, paracolpi in pergamena, lacciuoli,
suole, tiranti e tirantini, cordette, ecc., a testimonianza inequivocabile di
una produzione ampiamente diversificata e flessibile, orientata al soddisfacimento di una vasta gamma di clienti e di esigenze.
Anche sulla clientela l’inventario proietta qualche spiraglio di luce.
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Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916
Tra i debitori maggiori, ossia per importi superiori a 1.100 lire (equivalenti a
circa il 3% del totale del conto Debitori diversi), e che si sono potuti identificare, figuravano al 31 dicembre 1910 il lanificio Figli di Luigi Zignone
(2.734 lire) e i Fratelli Lora (1.835 lire) di Quarona Sesia, Luigi Zegna di
Vallemosso (1.764 lire), il lanificio L. Schilling e C. di Torino (1.682 lire), il
lanificio Costanzo Sormano di Sordevolo (1.098 lire). Accanto a questa clientela diretta, una parte era formata da grossisti specializzati nella rivendita di
cinghie, cordami, e accessori per macchine tessili e industriali di ogni sorta,
come Angelo Bolgheroni di Novara; Achille Faini, Teodoro Koelliker, Tenger
e Zollinger, le Manifatture Martiny, Massoni e Moroni e molti altri di Milano.
Gran parte dei clienti era concentrata nell’area biellese, ma nel complesso la
clientela era diffusa entro un raggio ben più vasto e se presentava un buon
numero di acquirenti nella fascia compresa tra Torino, Varese, Bergamo,
Genova e Milano, in altri termini nel nord ovest più intensamente riguardato dal processo di industrializzazione, non mancavano clienti remoti a Verona,
Fano, Cassino, Ancona, Pisa, Roma, Napoli, Bari, Gioia del Colle e Cagliari,
compratori per importi ora minuti, ora di una certa consistenza. Ampio era
pure il ventaglio dei settori di riferimento delle imprese servite, con una marcata prevalenza di quello tessile (lanifici e cotonifici) e di quello meccanico (in
particolare i costruttori di macchine, incluse quelle agricole), ma con presenze anche di falegnamerie industriali, pastifici e cartiere.
Nei primi quattro anni e mezzo di attività lo sviluppo dell’azienda
fu considerevole e se le condizioni della domanda indubbiamente lo favorirono, un ruolo importante vi ebbero il grande studio e il continuo
aggiornamento riservati da Lorenzo agli aspetti tecnologici dei processi di
concia e l’intenso impegno profuso nel procurare sempre nuova clientela.
Quanto alla dimensione dello sviluppo, Lorenzo stesso ci informa che
aveva iniziato l’attività con tre operai e che solo due anni dopo, nell’aprile 1908, gli occupati ammontavano a sedici. Indici dell’ampliamento della
capacità produttiva sono l’utilizzo per deposito di prodotti ausiliari (per lo
più acidi, estratti, sali e appretti) del locale cantina, che il contratto di
locazione nel 1906 aveva invece riservato alla proprietà, e la predisposizione nel cortile di palizzate per lo stendissaggio e di un’ulteriore area
coperta a tettoia. Anche la rimanenza a fine anno di effetti di una certa
entità da pagarsi a favore di un’altra conceria biellese, la Magliola e Blotto,
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1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957
è da intendersi come il segno di acquisti di semilavorati presso terzi a integrazione di una capacità del reparto concia insufficiente a fronteggiare la
domanda di prodotti finiti. Considerato che gli utili erano regolarmente
capitalizzati, indicazioni indirette della redditività sono fornite dai dati
patrimoniali. Il capitale, che alla fine del 1906 era di 3.000 lire e che nel
1909 ammontava a 3.610 lire, ascendeva nel bilancio di chiusura del 1910
a 4.136 lire, cui è da aggiungersi un fondo di riserva per 1.108 lire. In
sostanza, nell’arco di quattro anni e mezzo il patrimonio netto era aumentato, nel complesso, di 2.244 lire, equivalenti a un incremento del 75%.
L’urgenza della crescita, sollecitata dal ritmo sostenuto della domanda, aveva tuttavia incontrato sul proprio cammino già in questi primi anni
difficoltà e limiti potenzialmente capaci di inibirla, tali da costituire un
efficace test delle capacità della guida imprenditoriale. Per cominciare, tra
il 1908 e il 1913, anche se il comparto laniero continuò a espandersi, il
settore tessile conobbe nel complesso una fase di contrazione, con tassi di
sviluppo negativi (-0,4% medio annuo). In secondo luogo, a partire dal
1910 l’industria conciaria attraversò un periodo di relativa stagnazione
degli affari, interrotto solo dalla guerra di Libia (1911-1912), caratterizzato da un sensibile aumento delle importazioni e dei prezzi delle pelli
gregge e, per converso, dalla stabilità dei prezzi del conciato.
In terzo luogo, l’aumento dell’attività della conceria era proceduto
di pari passo con l’aumento del numero degli occupati e questo fatto aveva
di per sé complicato la gestione dei rapporti interni alla fabbrica. Nel
clima di generale surriscaldamento delle relazioni industriali, sebbene fossero i metalmeccanici a rappresentare la componente più avanzata nell’azione organizzativa e rivendicativa, gli operai del settore conciario non
erano rimasti a guardare. A Torino, dove presso le grandi concerie dei
Durio, dei Gilardini, dei Fiorio e degli Arnaudon, ne esisteva una concentrazione elevata, già nel 1896 avevano dimostrato un’inaspettata capacità
di reazione nei confronti delle iniziative imprenditoriali e pubbliche volte
a limitare le libertà sindacali23. Gli industriali del settore, d’altronde, ave23
Cfr. V. Castronovo, Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi, Piemonte, Torino, Einaudi, 1976,
p. 161. Nel 1906 la Fratelli Durio, conceria nota per la sperimentazione della concia rapida, impiegava 200 addetti, la Fratelli Fiorio 250. Cfr. il prospetto delle aziende aderenti al “Gruppo VI –
Cuoio” della Lega Industriale di Torino fornito in Mario Abrate, La lotta sindacale nella industrializzazione in Italia, 1906-1926, Milano, Angeli, Appendice III.
34
Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916
vano preso parte attivamente alla costituzione delle prime organizzazioni
datoriali. Cesare Fiorio sedeva nel 1907 nel consiglio direttivo della Lega
Industriale di Torino e a Biella – dove esisteva una tradizione associativa
di antica data – la Pietro Serralunga e la Magliola e Blotto risultavano nel
1908 tra i soci della Lega industriale.
Non sorprende dunque che nel marzo 1908 Lorenzo Chiorino
siglasse insieme ai rappresentanti di altre concerie biellesi un accordo inteso a fare fronte comune nel contrasto delle rivendicazioni più accese e a
isolare gli elementi più indisciplinati della forza lavoro. Firmatari (e probabilmente promotori) dell’iniziativa erano Pietro Serralunga e Magliola e
Blotto, cui si univano Nipoti di Paolo Magliola e Antonio Varale (di
Biella), la Fratelli Cantono e la Luigi Corte (di Andorno).
I punti salienti dell’accordo prevedevano il rifiuto di assumere manodopera sprovvista di regolare libretto di lavoro o proveniente da imprese
appartenenti ad altri settori produttivi, con la sola eccezione dei lavoranti
di origine rurale alla ricerca del primo impiego industriale. In secondo
luogo, i firmatari (e con essi i capi reparto e i sottocapi) si impegnavano a
non accogliere alle proprie dipendenze senza previo assenso del precedente
datore di lavoro “coloro che [fossero] stati licenziati da altre [imprese] per
qualificati motivi di insubordinazione [o] per atti di prepotenza sia verso i
principali assistenti e capi come anche solo verso gli altri operai”. Stesso
trattamento era riservato a coloro che avessero abbandonato il lavoro senza
il debito preavviso di otto giorni, come pure per “gli operai stessi che si
[fossero] licenziati per solo motivo di pretesa di aumento di paga non giustificato e non in relazione colle paghe degli operai degli stessi reparti”. In
dipendenza dell’accordo gli industriali si sottoponevano all’obbligo di raccolta di informazioni e consultazione reciproca prima delle assunzioni, al
fine di conoscere la reputazione e i comportamenti passati dei singoli lavoratori24. In aggiunta si sottoscriveva l’impegno a non concedere variazioni
24 Anche questi controlli e scambi di informazioni erano bagaglio della Lega Industriale di Torino. A
norma dello statuto, tra i mezzi di difesa degli interessi industriali contro le interruzioni del lavoro e
le insubordinazioni si contemplavano la serrata, il divieto di assunzione degli scioperanti e ammende
pecuniarie a carico dei soci che contravvenivano agli accordi. Il regolamento approvato nel gennaio
1907 prescriveva le modalità della compilazione e circolazione di “liste nere” degli scioperanti. Cfr.
M. Abrate, La lotta sindacale, cit., p. 50. Anche nell’ambiente industriale biellese circolavano vere e
proprie “liste di proscrizione” finalizzate a colpire gli elementi più attivi nelle leghe sindacali (cfr. V.
Castronovo, Storia dell’industria dall’Ottocento a oggi, Milano, Mondadori, 1990, p. 129).
35
1. Stendissaggio delle pelli nel cortile del cuoificio Magliola di Biella alla fine dell’Ottocento
(Archivio della Fondazione Sella).
2. Bottali da concia alla Conceria Umberto Chiorino (1930 ca).
36
Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916
di orario di lavoro o altri trattamenti collettivi senza prima avere convocato le altri parti all’accordo e averne ottenuto l’assenso. Coloro dei firmatari
che non si fossero attenuti alle intese sarebbero stati tassati con multe variabili dalle 50 alle 200 lire25. I proventi delle ammende sarebbero stati destinati alle imprese più danneggiate da scioperi e boicottaggi o a opere di
beneficenza o ancora a premiare gli “operai più meritevoli”.
Erano accordi perfettamente in sintonia con gli obiettivi e le politiche sindacali elaborate dalla Lega Industriale di Torino, che proprio in
quegli anni, sotto la guida di Luigi Bonnefon Craponne e di Gino
Olivetti, puntava all’aggregazione su base territoriale nazionale delle associazioni industriali locali, impegnando l’organizzazione non più solo nel
perseguimento di finalità sindacali, bensì anche nella tutela degli interessi di categoria di fronte alle scelte governative in materia di legislazione
sociale e del lavoro26.
Per fronteggiare l’instabilità e i danni che derivavano alla produzione da relazioni di fabbrica aspramente conflittuali e dai comportamenti di
una manodopera riluttante ad accettare la disciplina di fabbrica, e dunque
per garantirsi un più regolare andamento dell’attività, Lorenzo cercò di
assicurarsi la collaborazione di personale fidato per coprire alcuni ruoli
centrali. Il 20 aprile 1908 siglava un contratto con Giacomo Colombo per
la posizione di “capo fabbrica” del reparto “corrieria”, quello, per intendersi, in cui si eseguivano le operazioni di messa al vento, ritenitura ed
essiccamento immediatamente susseguenti alla concia. I suoi incarichi
consistevano nella sorveglianza sul contegno della manodopera tanto
all’interno quanto all’esterno della fabbrica, nell’addestramento dei più
giovani in officina e nella distribuzione dei carichi di lavoro. Alla sua
responsabilità era affidata la buona esecuzione di tutte le lavorazioni del
reparto e per questo motivo egli era richiesto di effettuare visite in conceria nella mattina dei giorni festivi, allo scopo di verificare il procedere
dell’“asciugaggio” delle pelli e di preparare il lavoro per il giorno succes-
25 Cinquanta lire di multa sarebbero state comminate per l’assunzione di personale privo di regolare libretto, duecento lire per la trasgressione degli altri punti dell’accordo.
26 Fu grazie all’iniziativa progettuale di Bonnefon Craponne e Olivetti che vennero costituite nel
1908 la Federazione Industriale Piemontese, radunante le associazioni industriali presenti nella
regione, e nel 1910 la Confederazione italiana dell’industria.
37
1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957
sivo. In sostanza, attraverso un’estesa delega di funzioni Colombo veniva
ampiamente corresponsabilizzato in merito a una molteplicità di aspetti
connessi al processo di produzione del reparto posto alle sue dipendenze,
dalla formazione del personale addetto, al disciplinamento dei suoi comportamenti, alla garanzia di uno standard minimo di qualità della produzione, che doveva sempre essere in condizioni tali da potere essere esitata
sui mercati. In cambio, il contratto, stipulato per una durata triennale,
contemplava una serie di incentivi monetari mirati a legare il dipendente
all’azienda nel medio periodo. Prevedeva per il primo anno uno stipendio
base di 100 lire mensili, che sarebbero state aumentate a 110 e a 120 lire
mensili rispettivamente nei due anni successivi. In aggiunta e subordinatamente al buon andamento degli affari, gli sarebbe stata riconosciuta una
tredicesima27. Accordi analoghi furono presi nel 1911 per il reparto selleria con Vittorio Guarnero, che sarebbe rimasto in azienda per ben sessant’anni.
Queste figure, capaci di riunire in sé notevoli abilità tecniche e –
proprio in virtù di queste – l’esercizio di una grande autorità sulle maestranze, figure che godevano di un’ampia delega da parte della proprietà,
con la quale tendevano a identificarsi, erano caratteristiche del modello
organizzativo della prima industrializzazione. La loro forza scaturiva dalla
centralità del “mestiere” e dalla polivalenza di compiti che erano in grado
di svolgere all’interno di sistemi di produzione retti da un’organizzazione
relativamente approssimativa ed empirica e dotati di macchine spesso
imperfette o ancora relativamente poco automatizzate, come tali bisognose spesso dell’intervento di una manodopera altamente qualificata. La loro
presenza era dunque cruciale per garantire sotto diversi profili la stabilizzazione del processo produttivo all’interno della fabbrica, si trattasse di
una conceria o di un’officina meccanica, all’interno della piccola come
della grande impresa. Individuate e legate a sé queste figure, isolate le più
recalcitranti o sindacalizzate con il concorso degli altri industriali conciari, Lorenzo poteva ritenersi relativamente tranquillo sul versante interno
per dedicarsi ad allentare la stretta che i vincoli finanziari ponevano allo
sviluppo dell’impresa.
27
Nel 1911, allo scadere dei tre anni, il contratto fu rinnovato per altri sei.
38
Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916
Sin da principio la conceria aveva avuto bisogno di fare assegnamento sulla disponibilità di risorse liquide per la conduzione degli affari
e per questo si era reso necessario ricorrere al credito. Le stesse caratteristiche tecniche del ciclo produttivo, con tempi relativamente lunghi di
fabbricazione dei manufatti a partire dalla pelle grezza, e il fatto che il
costo della materia prima avesse un’incidenza molto elevata sul costo finale del prodotto esponevano l’attività conciaria alla necessità di disporre di
volumi consistenti di capitale circolante, pena il contenimento forzato del
giro d’affari. Da principio era stato un banchiere privato di Biella, la casa
Pellosio e C., a mettere a disposizione una somma di diecimila lire
mediante apertura di credito in conto corrente28. A garanzia dell’operazione Lorenzo aveva offerto parte delle proprietà immobiliari del padre. Il
13 dicembre 1905 Angelo aveva infatti ipotecato la casa dove viveva in
Ponderano, con la corte, l’orto e il campo piantato a viti, il più vasto
appezzamento che possedeva in regione Rolletta (105 are), e un campo in
regione Derbiglia (64 are), per un valore complessivo di dodicimila lire.
A due anni di distanza, però, il fabbisogno di disponibilità finanziarie era cresciuto di pari passo con l’estensione degli affari e si presentava con urgenza la necessità di accedere a un più consistente volume di
risorse. A questo scopo, già prima del 1908 Lorenzo aveva fatto appello
alla rete familiare coinvolgendo il fratello minore, Umberto, che aveva
conferito un deposito di 3.000 lire. Si era trattato di un’operazione molto
simile a un vero e proprio conferimento in conto capitale, e la somma nel
tempo si accrebbe di una parte dei guadagni fino a raggiungere, alla fine
del 1910, il valore di 3.730 lire. Ma Umberto aveva anche altre risorse da
offrire. Aveva seguito un apprendistato analogo a quello di Lorenzo presso la conceria Varale e poteva perciò portare a beneficio dell’azienda le proprie conoscenze, capacità ed energie. In quanto familiare, poi, era da ritenersi persona di assoluta fiducia. La soluzione non si limitava pertanto a
tamponare le pressanti esigenze finanziarie imposte dall’espansione degli
affari, ma ad un tempo rappresentava una promettente sistemazione per
28
L’operazione aveva durata triennale a partire dal gennaio 1906. Il tasso di interesse richiesto era
di un punto percentuale sopra il tasso ufficiale di sconto, con un minimo del 6%. Si veda l’atto
relativo, comprensivo di ipoteca, in Archivio notarile distrettuale di Biella, notaio Secondo
Caucino, atto n. 7068, 13 dicembre 1905.
39
1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957
due membri maschi della famiglia, e alimentava la nuova attività di prezioso capitale umano. Era perciò potenzialmente tale da porla su basi di un
più sicuro sviluppo futuro.
Un altro modo meno impegnativo per mobilitare le risorse della
famiglia cui Lorenzo fece ricorso era consistito nel sollecitare il deposito
dei risparmi. Così, al 31 dicembre 1910, oltre a Umberto, figuravano in
situazione, sotto la voce Creditori diversi, il fratello maggiore Giovanni
Battista Chiorino (2.466,25 lire) e le sorelle Angiolina (2.200 lire) e
Caterina Chiorino (558,70 lire)29.
Tutte queste risorse non bastavano però a risolvere il fabbisogno di
mezzi. Per questo motivo nell’aprile 1908 Lorenzo si rivolse alla Banca
Biellese domandando un finanziamento di ventimila lire30. Oltre a presentare una ditta avviata in modo promettente, significativamente ampliatasi
nel giro di poco tempo, egli offriva la garanzia in solido propria e del fratello, il macchinario installato per un valore di mercato di dodicimila lire e
ulteriori beni immobiliari di proprietà del padre fino a un valore di 35.000
lire. Non è chiaro se la Banca Biellese accettasse subito la domanda di apertura di credito ed eventualmente da quale fonte alternativa si reperissero i
fondi. Per certo la domanda fu accolta nel luglio 1910. Allora, contestualmente all’accensione di un’ipoteca sui beni immobili di Angelo Chiorino
per un valore complessivo di 28.000 lire e all’obbligazione in solido di
Lorenzo, la banca concesse un credito di 25.000 lire31.
Non era un fatto inusuale nell’area biellese che il finanziamento di
una nuova iniziativa industriale avvenisse attraverso il ricorso in modo esteso ed intenso alle risorse familiari. Al contrario, la regione esprimeva sem-
29
Legata all’azienda rimaneva pure una parte dei risparmi di Lorenzo e Umberto, maturati negli
anni precedenti alla formazione della società e vincolati a mezzo di una scrittura privata nel novembre 1911. Si trattava rispettivamente di 1.191 e 731 lire.
30 Costituita nel 1869 come istituto di credito ordinario per iniziativa di Giuseppe Venanzio Sella,
che ne fu anche il primo presidente, la Banca Biellese era la più antica delle banche biellesi e una
delle più sollecite nei confronti dei bisogni dell’industria. Gli altri istituti presenti sulla piazza ai
primi del Novecento erano la Banca Popolare di Biella, eretta nel 1878 e la Banca Gaudenzio Sella
e C. (1886), cui si affiancava la Cassa di risparmio di Biella, risalente al 1856. Ad esse è da aggiungere la filiale della Banca Commerciale Italiana, mentre molto attive sulla piazza per lo sconto commerciale e il finanziamento del circolante erano anche istituti con sede a Milano e Torino, come la
Banca Lombarda di depositi e conti correnti e la Banca Subalpina e di Milano (cfr. V. Castronovo,
L’industria laniera in Piemonte, cit., p. 329, n. 1).
31 Il tasso praticato era del 6% annuo.
40
Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916
mai una variante del modello del self made e se è vero che tra i lanieri non
mancava chi, come i produttori di lana pettinata, si era valso frequentemente e significativamente del credito bancario, essi rappresentavano piuttosto un’eccezione. La maggior parte delle imprese nate nella seconda metà
e alla fine del secolo – tutte per lo più originate da iniziative partite dal
basso – si erano appoggiate quasi esclusivamente alle risorse attinte in
famiglia. Ad ogni modo, questi nominativi e questi importi, che continuarono a comparire tra i “finanziatori” della conceria anche negli anni successivi, sebbene per cifre nel complesso tendenzialmente inferiori, danno
un’idea della rilevanza attribuita dalla famiglia allargata all’investimento
industriale di Lorenzo e dell’appoggio che essa era pronta a riconoscergli.
Per un altro verso, testimoniano di quanto fosse importante disporre di
un’offerta di credito articolata e flessibile specialmente nella fase iniziale di
impianto e avvio dell’attività, laddove i capitali familiari non bastavano e
le capacità reddituali delle imprese, pur considerevoli, non erano sufficienti a garantirne lo sviluppo sulla base del semplice autofinanziamento.
La decisione di costituire una società con Umberto nasceva dunque
dall’esigenza di alimentare la crescita dell’azienda con risorse materiali e
immateriali fidate. Essa giungeva peraltro al termine di un percorso di
“prova”, limitandosi ad aggiungere il crisma dell’ufficialità e ad imporre
gli obblighi e le tutele discendenti dal riconoscimento giuridico a una
realtà nei fatti già operante e sperimentata. Creata alla fine di novembre
1910, la ditta “Fratelli Chiorino” era una società in nome collettivo del
capitale di seimila lire, versato dai due fratelli in parti uguali32. Oggetto
sociale era “l’esercizio di conceria e la manifattura di cuoi per l’industria”.
Aveva validità a partire dal 1 gennaio 1911 e durata fino al 31 dicembre
1925. Significativamente, al di là dell’uguale concorso nel capitale e della
conseguente partecipazione paritaria agli utili e alle perdite, nell’atto di
costituzione si esplicitava una precisa distinzione di ruoli tra i fratelli: a
Lorenzo erano affidate “l’amministrazione dell’azienda in genere e della
conceria”, a Umberto il reparto selleria. Al di fuori di queste sfere di auto-
32 A titolo di confronto, la conceria Magliola e Bersano, costituita nel febbraio 1912 e valida a
decorrere dal 1 gennaio 1913, avente per oggetto “la concia delle pelli e fabbricazione di cinghie e
articoli affini”, dunque una concorrente della Fratelli Chiorino, partiva con un capitale sociale di
trentamila lire.
41
1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957
nomia, contratti, viaggi e altri affari sarebbero stati deliberati di comune
accordo. Ai differenti livelli di responsabilità, per quanto risulta dagli
inventari e dal momento che gli utili aziendali erano d’abitudine capitalizzati, sarebbe corrisposta una differente remunerazione delle prestazioni
individuali33.
Tabella 2. Ditta Fratelli Chiorino, dati caratteristici di bilancio, 1910-1915
Conto capitale
Fondo riserva
Ammort. macch.
e attrezzi
Totale attività
1910
1911
1912
1913
1914
1915
6.000
1.109
18.000
4.090
48.000
6.697
88.000
10.598
128.000
14.556
200.000
105.695
4.371
5.073
117.946 143.849
5.423
202.324
5.483
240.099
3.648
433.079
4.717
104.124
Lo sviluppo della “Fratelli Chiorino” fu considerevole sotto ogni profilo, come mostrano i dati riportati in tabella 2, ed è rimarchevole che ciò avvenisse nella cornice di una congiuntura non facile per il settore nel suo complesso, caratterizzata a partire dal 1910, come si è accennato, da prezzi in forte
ascesa delle materie prime e da aumenti non altrettanto pronunciati del conciato. Il totale delle attività alla fine del 1915 era pari a oltre quattro volte il
valore del 1910. In termini di investimenti in capitale fisso, nel biennio
1912-1913 venne realizzata la costruzione di due nuovi locali, eretti su struttura in ghisa, il primo destinato a ospitare una nuova botte per concia e –
sotto una tettoia posta sul tetto – una macchina per egualizzare; il secondo
adibito all’installazione di una macchina per spaccare, anch’essa nuova. Venne
inoltre predisposto un secondo locale calorifero. Sul versante commerciale, la
clientela crebbe in modo significativo per numero, distribuzione sul territorio e varietà dei settori serviti, come indicano l’acquisizione di forniture per
l’Ilva e le Ferriere di Voltri, per falegnamerie industriali, aziende alimentari,
cartiere e aziende chimiche tradizionali (produttrici di profumi, saponi, ecc.).
Un altro aspetto di un certo interesse è l’approfondirsi dell’inserimento dell’azienda in un commercio di semilavorati con controparti e con-
33 L’atto di costituzione, rogato dal notaio Ernesto Ramella di Biella, data del 27 novembre 1910.
In esso sono anche indicate le procedure arbitrali per la soluzione delle dispute e precise disposizioni in caso di decesso di uno dei soci.
42
Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916
correnti locali che riguardava, come era consueto del settore, a seconda delle
esigenze del flusso di lavoro o degli speciali trattamenti richiesti, lo scambio di pelli a diversi stadi del ciclo di lavorazione: preparate per la concia,
conciate, tinte o rifinite. Non era un fatto nuovo, tale inserimento, ma negli
anni precedenti la guerra si intensificò, come testimoniano i rapporti di
debito e di credito con altre concerie biellesi di dimensione comparabile alla
Lorenzo Chiorino, quali la Magliola e Blotto e la Magliola e Bersano.
L’andamento del patrimonio netto rivela per altro verso la notevole
capacità dell’azienda di generare utili, regolarmente capitalizzati. Il capitale sociale triplicò nel corso del 1911 e più che raddoppiò nell’anno successivo. Anche calcolato in lire costanti, alla fine del 1915 era di ben trenta volte superiore al valore di partenza. Progressione ancora più pronunciata mostrarono le riserve, che, sempre calcolate in lire costanti, crebbero
di un fattore moltiplicativo superiore a 85, pur avendo effettuato ammortamenti complessivi dell’ordine di 24 mila lire solo per macchine e attrezzi. A questa tendenza ampiamente positiva già prima della guerra, ossia in
anni, come si è accennato, di difficoltà per il settore conciario nel suo complesso, la congiuntura bellica offrì un ulteriore decisivo impulso a partire
dal 1915, impulso il cui effetto si impresse in modo ben leggibile nelle
grandezze del bilancio aziendale di quell’anno34.
Nonostante l’eccezionale sviluppo dei primi anni, nel marzo 1916 i due
fratelli decisero di separarsi sciogliendo anticipatamente la società35. Le ragioni di questa scelta sono destinate a rimanere ignote, ma ai fini della comprensione della lunga vicenda aziendale non è inutile provare a domandarsene il
motivo. Si possono fare alcune ipotesi plausibili. Per cominciare, parallela agli
sviluppi dell’azienda era avvenuta la crescita dei due nuclei familiari. Lorenzo
e Flora, che allora abitavano in Costa del Vernato 70, a pochi passi dall’azienda, ebbero il primo figlio, Fulvio, nel 1907. A esso erano seguiti un secondo
figlio maschio, Angelo, nel 1908, e due femmine, Alda e Laura nel 1910 e
34
L’inizio dei preparativi per l’entrata dell’Italia nel conflitto determinò nel primo semestre 1915
un brusco balzo della domanda di cuoi, cui seguì un altrettanto rapido innalzamento dei prezzi
delle pelli gregge, delle sostanze concianti e del conciato. Conseguenza immediata fu la rivalutazione delle scorte di magazzino.
35 L’atto, redatto dal notaio Ramella, è datato 22 marzo 1916 ed è conservato in As Bi, Tribunale
di Biella, Atti di società, fasc. 5421.
43
Lorenzo Chiorino con la moglie Flora e i cinque figli. Da sinistra Giannina, Angelo, Laura,
Fulvio e Alduccia (1925 ca).
44
Dagli esordi alla F.lli Chiorino, 1906-1916
1913. Un’ultima figlia, Giannina Romea, sarebbe nata nel 1918. Anche
Umberto, che si era sposato nel maggio 1905 con Maria Chiorino, aveva avuto
due figli maschi, Augusto nel 1906 e Vittore nel 190936. È verosimile che questi sviluppi abbiano influito sulla scelta dei due fratelli di separarsi, tenuto
conto delle aumentate esigenze familiari di ciascuno. Altrettanto verosimile è
che Umberto, giunto all’età di trentaquattro anni, avesse maturato, nel corso
dell’esperienza fatta con Lorenzo, l’ambizione di assumersi una piena responsabilità anche sul fronte imprenditoriale. D’altra parte, non è da escludere che
divergenze di vedute sulle linee di fondo, strategiche, riguardanti la conduzione dell’impresa rendessero difficile la coesistenza dei due fratelli all’interno di
un’unica società, con il rischio di esporla a un pericoloso indebolimento della
funzione direttiva. Qualunque fosse la causa o il concorso di cause vicine e
remote, le buone prospettive di crescita e di profitto che la congiuntura di
guerra faceva intravedere agevolarono l’opzione della separazione. Sta di fatto
che, a seguito della liquidazione della “Fratelli Chiorino”, da un’unica matrice
sorsero due imprese concorrenti sulla medesima piazza e sui medesimi segmenti di mercato. La scelta di rinunciare all’unione delle risorse e alle economie che ne sarebbero potute derivare, di sobbarcarsi di fatto un aggravio di
costi e di affrontare l’eventualità di una limitazione della crescita pur di evitare il rischio di conflitti di difficile composizione al vertice dell’azienda, non
dovette essere semplice e certamente non fu indolore. Essa rappresentò anzi un
ulteriore, qualificante momento di apprendimento nell’esperienza imprenditoriale di Lorenzo, destinato a orientare gli atteggiamenti futuri e a lasciare traccia profonda nel patrimonio culturale genetico dell’azienda, destinato, di conseguenza, a essere tramandato con essa lungo la successione delle generazioni.
Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture
La guerra inaugurò una stagione al contempo di grande intensità e di
pronunciata instabilità, nella migliore delle ipotesi di profonda incertezza sul-
36 Maria Chiorino, figlia di Gaspare e Angela Chiorino, era nata a Ponderano il 4 settembre 1889.
Il primogenito della coppia, Augusto, nato il 26 gennaio 1906, avrebbe condotto studi di perito
chimico in vista dell’ingresso nell’azienda paterna. Vittore, che lo avrebbe seguito a breve distanza, era nato il 23 maggio 1909.
45
1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957
l’evoluzione dei mercati reali e finanziari, una stagione in cui eventi anche
molto remoti dalla realtà aziendale o del settore finirono per ripercuotersi in
modo significativo sull’andamento dell’impresa. È il caso dell’intervento dello
stato, che a partire da allora e negli anni tra le due guerre divenne sempre più
invasivo, sia attraverso l’adozione di misure dirette, intese a regolamentare la
produzione, sia per effetto dei provvedimenti di politica economica riguardanti le tariffe doganali e le decisioni in ambito monetario (specialmente la rivalutazione della lira nel 1927 e l’adesione al blocco dell’oro nel 1933), con le conseguenze che da queste discesero sul piano commerciale e valutario negli anni
trenta (contingentamenti e regime delle licenze per le importazioni, accordi di
clearing). È il caso, anche, della rottura degli equilibri monetari, finanziari e
commerciali internazionali sui quali si era retto fino al 1914 il prodigioso sviluppo dell’economia mondiale, rottura che produsse conseguenze avvertite sin
dai produttori di dimensioni piccole e medie, solo che fossero importatori di
materie prime e semilavorati o esportatori sui mercati esteri. Nemmeno essi,
infatti, poterono fare a meno di accusare l’impatto delle ampie oscillazioni dei
prezzi internazionali di molte commodity agricole e industriali, o gli effetti del
parziale restringimento degli spazi di mercato causati dall’erezione di barriere
commerciali soggette a repentine variazioni, così come non poterono non risentire pesantemente le conseguenze di rapporti di cambio della lira liberamente
(e spesso violentemente) fluttuanti per buona parte degli anni venti e di nuovo
scossi, negli anni trenta, dalla svalutazione della sterlina e del dollaro.
Ripartito da solo nel 1917 all’età di quarant’anni, dunque nel pieno
della maturità e forte dell’esperienza fatta nella fase di avvio e affermazione dell’azienda, Lorenzo poté tuttavia affrontare con maggiore sicurezza le
sfide poste negli anni tra le due guerre dall’alternarsi di periodi di relativa prosperità a periodi di difficoltà drammatiche. L’impressione che si
ricava dalle vicende aziendali è, anzi, che nel fronteggiare le congiunture
più ardue Lorenzo mettesse a punto o comunque trovasse motivo di conferma di una filosofia di gestione che negli anni precedenti aveva seguito
forse più per prudente intuito che per cogente necessità.
Siglato l’atto di scioglimento della Fratelli Chiorino nel marzo 1916,
pur continuando a seguire gli affari della conceria, la cui liquidazione, affidata a Umberto, sarebbe cominciata l’1 gennaio 1917, Lorenzo si dedicò ai preparativi per l’organizzazione del nuovo stabilimento produttivo, che avrebbe
46
Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture
iniziato l’attività in pari data sotto forma di ditta individuale con la ragione
“Lorenzo Chiorino”37. In primo luogo si assicurò la collaborazione del fratello
maggiore, Giovanni Battista, cui affidò un ruolo di assistente di fiducia con
procura a impegnare la ditta in ogni genere di affare38. Insieme a lui trattenne
quella parte della manodopera specializzata con la quale aveva instaurato rapporti più intensi di collaborazione. Per quanto riguarda gli aspetti tecnici e produttivi, sebbene rilevasse parte delle macchine dalla società in liquidazione, da
subito mostrò di volere fare della nuova installazione l’occasione per compiere
un salto qualitativo. Aggiornò infatti parte del macchinario acquistando nell’aprile dello stesso 1916 due nuovi motori elettrici di produzione del
Tecnomasio Italiano Brown Boveri, della potenza di 25 e 20 cavalli rispettivamente. Solo un mese dopo, a maggio, comperò i terreni sui quali avrebbe
impiantato la conceria. L’immobile, situato a Biella in regione Sant’Agata o
Pozzoglio, dove tuttora la società ha sede, era costituito da un terreno di 145,17
are e comprendeva un fabbricato di cinque piani e diciassette vani complessivi
che Lorenzo acquisì da Giuseppe Florio per il valore di sessantamila lire39.
Questo passo costituiva una bella differenza rispetto alla soluzione
degli esordi e manifestava chiaramente quanto successo avesse conosciuto
l’impresa nel primo decennio di vita. Un’indicazione nello stesso senso fornisce il fatto che Lorenzo ottenesse dalla liquidazione, e con esso partisse nel
1917, un capitale di oltre 157 mila lire. La congiuntura bellica era stata estremamente positiva e tutto il comparto conciario ne aveva tratto grande beneficio, realizzando cospicui guadagni, originanti dal fortissimo aumento dell’attività piuttosto che dall’aumento dei profitti unitari40. L’intervento dello
37 La costituzione della nuova ditta risaliva al 10 dicembre 1916. In base agli accordi presi all’inizio del 1916, Umberto avrebbe continuato l’attività nei locali esistenti.
38 Carte Chiorino, allegato a lettera di Lorenzo Chiorino alla filiale di Biella del Credito Italiano, 17
marzo 1926. La procura generale era stata registrata dal notaio Pericle Germano l’1 marzo 1917. Nel
1919 si sarebbe aggiunto un altro collaboratore, Giuseppe Garella, destinato a rivelarsi preziosissimo
e a rimanere poi in azienda per sessant’anni, affiancando direttamente Lorenzo in tutti gli aspetti della
gestione quotidiana. Egli fu il solo dipendente non membro della famiglia a ottenere la procura generale (1942). Nato nel 1905, aveva frequentato come Lorenzo la scuola tecnica, inoltre, coetaneo dei
figli di Lorenzo, si sarebbe legato anche alla seconda generazione da rapporti di fiducia e amicizia. Suo
figlio Cesare Garella, di cui si dirà più avanti, sarebbe entrato alla Chiorino alla metà degli anni sessanta e vi avrebbe percorso anch’egli una lunga carriera con ruoli di responsabilità.
39 Cfr. As Bi, Conservatoria dei registri immobiliari, rogito notaio Ernesto Ramella, 9 maggio 1916.
40 Cfr. Camera di commercio e industria di Genova, Il commercio delle pelli e l’industria del cuoio durante la guerra, Genova, Società Tipo-litografica Ligure E. Oliveri & C., 1917, p. 20.
47
1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957
stato, preoccupato di assicurare un adeguato rifornimento di calzature alle
forze armate, aveva avuto un ruolo decisivo. Nell’autunno 1914 era stata vietata l’esportazione delle pelli di ogni genere e nel 1915 era stato fissato un
calmiere per i prezzi delle pelli conciate. Allo stesso tempo, l’introduzione di
un sistema di assegnazione mediante aste pubbliche settimanali delle pelli
grezze provenienti dai macelli del fronte aveva permesso alle concerie di operare in condizioni di abbondante rifornimento della materia prima e tagliato
fuori i commercianti all’ingrosso, prevenendone gli accaparramenti e i comportamenti speculativi. In virtù di queste speciali circostanze, la chiusura del
primo esercizio nel 1917 segnava un capitale salito a 470 mila lire, cui alla
fine della guerra si aggiunsero riserve per altre 153 mila lire.
Già nel 1919, però, si manifestarono in tutta evidenza le prime avvisaglie delle asperità che la congiuntura postbellica avrebbe riservato. Il cambio
della lira, lasciato libero di fluttuare dalla brusca levata delle misure di cooperazione internazionale che per tutto il periodo bellico avevano mantenuto la facciata di una relativa stabilità, subì un rapido deprezzamento, passando da 30
lire contro la sterlina nel gennaio 1919 a oltre 50 nel dicembre dello stesso anno
e a 100 lire nel dicembre 1920. La perdita di potere d’acquisto internazionale
della lira innalzò sensibilmente i costi di approvvigionamento delle pelli, in un
frangente in cui la forte pressione della domanda mondiale di materie prime
agiva autonomamente nel sospingerne in alto il valore. Per contro si registrava
una concomitante diminuzione dei prezzi dei manufatti tecnici in cuoio, con il
risultato che la gestione 1919 accumulò una perdita complessiva di 165 mila
lire (inclusi ammortamenti per 74 mila lire) (si veda la tabella 3). Nel biennio
successivo, mentre tutta l’economia mondiale subiva una forte contrazione, le
difficoltà si acuirono, estendendosi all’insieme del comparto, che fu colpito da
numerosi licenziamenti, da riduzioni salariali e dalla crisi delle grandi concerie.
Nella sola Torino i licenziamenti effettuati in un anno riguardarono più di
2.200 operai su un totale di 4.058, mentre alla fine del 1921 le concerie piemontesi funzionavano in media tre giorni alla settimana41. Nel 1922 la
Gilardini di Torino, a seguito di una grossa perdita di gestione incorsa nel 1921
dal reparto calzaturificio, a sua volta precipitato nella crisi dal fallimento di
41
Cfr. Riduzione delle mercedi in Piemonte, in “La Conceria”, 15 luglio 1921, riportato in L. Berardo,
L’afrore del tannino, cit., p. 165.
48
Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture
molti grossisti e dettaglianti e dal riversamento sul mercato di ingenti stock di
prodotto, smantellava le officine interne di manutenzione, metteva in vendita
il reparto più colpito, riduceva il capitale e in definitiva passava sotto il controllo di un nuovo gruppo di industriali conciari42.
Accusato il primo colpo, la Lorenzo Chiorino riuscì nel 1920 a contenere i danni riducendo il capitale e attingendo alle riserve per una diminuzione complessiva del patrimonio di 144 mila lire. La manovra consentiva di
tenere in evidenza un utile netto di 21 mila lire e di destinare ad ammortamento di impianti e macchinari più di 80 mila lire. L’anno seguente, in controtendenza rispetto al permanere di grandi difficoltà per il settore, la performance migliorò ulteriormente: gli utili lordi sfiorarono 400 mila lire, aumentò lievemente l’utile netto, furono effettuati cospicui ammortamenti e il capitale poté essere parzialmente reintegrato. Una conferma che l’azienda si era
ormai inequivocabilmente lasciata alle spalle il momento peggiore è data dal
fatto che nella primavera del 1921 Lorenzo era in contatto con una casa inglese per l’acquisto di nuovo macchinario per la fabbricazione dei tacchetti43.
Fu però a partire dal 1922 che l’attività e i conti della conceria tornarono a registrare risultati decisamente positivi, concordemente con la ripresa
del ciclo di crescita nazionale e internazionale. Anche l’economia locale riprese a manifestare vivacità, guidata da un comparto laniero che tra il 1922 e il
1926 compì investimenti di una certa importanza in programmi di ampliamento della capacità produttiva e si impegnò a fondo nella rincorsa della concorrenza internazionale sul mercato interno e su quelli esteri44, alimentando
inevitabilmente la domanda di manufatti tecnici in cuoio.
Negli anni venti, del resto, sussistevano ancora buoni margini per lo
sviluppo quantitativo e qualitativo dell’industria conciaria italiana, e in certa
misura essa seppe approfittarne. Sebbene la domanda nazionale di pelli conciate continuasse ad attingere largamente all’estero, almeno per i cuoi di pelle
bovina le importazioni diminuirono fino alla metà del decennio e ripresero a
42
Si trattava dei fratelli Boglione, conciatori a Bra. Cfr. ibid., p. 166.
La casa in questione era la A. Kinghorn & Co. di Todmorden, che sulla piazza di Biella era fornitrice anche della conceria Pietro Serralunga.
44 Tra 1918 e 1925 i telai meccanici passarono da 17.00 a 20.500; i fusi per cardato da 520 mila
a 600 mila; i fusi per pettinato da 435 a 500 mila. Cfr. T. Gamaccio, L’industria laniera fra espansionismo e grande crisi. Imprenditori, sindacato fascista e operai nel Biellese (1926-1933), Vercelli, Istituto
per la storia della resistenza e della società contemporanea “Cino Moscatelli”, 1990, n 48, p. 13.
43
49
Illustrazione pubblicitaria della produzione di tacchetti per telaio alla meta’ degli anni venti.
I prodotti sono reclamizzati in quattro lingue.
50
Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture
salire solo in concomitanza con la rivalutazione della lira, che rese più competitivi gli acquisti all’estero. Per certi tipi di prodotto, tuttavia, la produzione nazionale rimaneva insufficiente per quantità o inferiore per qualità a
quella estera, e questo giustificava la tenuta molto maggiore delle importazioni di pelli bovine a concia minerale o mista e delle importazioni di cinghie
(sia vegetali che al cromo) e articoli tecnici anche nella prima parte degli anni
venti, quando la lira tendeva piuttosto a svalutarsi45.
La dinamica degli utili e del patrimonio netto della Lorenzo Chiorino
è particolarmente rivelatrice dello stato di salute dell’azienda e della sua redditività nella prima parte del decennio (vedi tabella 3). Nel 1922 i primi
furono solo di poco inferiori ai valori registrati nel 1916-1918, e nel triennio 1923-1925 li superarono abbondantemente. Il patrimonio netto passò
rapidamente da 737 mila lire nel 1922 a 1.367 mila nel 1925. Meno brillante degli anni precedenti ma certamente positivo fu anche il 1926, chiusosi con un ulteriore piccolo aumento dei mezzi patrimoniali.
Tabella 3. Conceria Lorenzo Chiorino, dati caratteristici della gestione, 1918-1929 (valori
correnti).
1918
1919
1920
1921
1922
1923
1924
1925
1926
1927
1928
1929
Utile lordo
Ammortamenti
Utile netto
Capitale
Riserve
348.962a
7.959
180.328
399.134
543.252
577.730
579.972
758.330
504.807
327.088
816.316
566.898
72.352a
73.622
80.461
140.313
80.282
175.007
148.766
21.341
12.798
0
26.235
44.416
175.622a
-165.349
21.224
23.370
235.499
109.752
152.893
367.007
17.601
-140.144
413.383
80.000
469.674
469.674
388.486
411.856
411.856
411.856
450.000
1.100.000
1.200.000
1.200.000
1.350.000
1.400.000
152.938
152.938
90.000
90.000
325.499
435.251
550.000
267.007
184.608
44.464
390.795
390.795
Nota: a. dato cumulativo 1917-1918.
45 Le importazioni complessive di conciato senza pelo ammontavano a oltre 28.000 q nel 1922, si ridussero fino a circa 24.000 q nel 1926 e risalirono nel 1929 a circa 32.000 q. Anche le importazioni di pelli
bovine senza pelo a concia vegetale diminuirono del 40% nel periodo 1922-1925 (da 5.000 q a poco
meno di 3.000) per poi tornare a salire fino al 1929 (oltre 6.000 q); quelle di pelli bovine a concia minerale o mista – in assoluto la voce più consistente di tutto il conciato senza pelo oggetto di importazione
– invece aumentarono di circa il 9,5% nel triennio 1922-1924 (da 12.500 q a 13.700 q) per contrarsi
dell’11% nel 1925-1926 e risalire nel 1928 a oltre 17.500 q. Cfr. “La Conceria”, 31 marzo 1935.
51
1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957
Questo buon andamento subì una battuta d’arresto nel 1927. La
brusca rivalutazione della divisa nazionale si tradusse in un repentino
ribasso del valore delle pelli in lavorazione e impose la chiusura dell’esercizio con una perdita di 140 mila lire, senza lasciare alcun margine per i
consueti ammortamenti. Grande parte della materia prima, bufali a pelo
invernale provenienti dall’India, era stata infatti acquistata al cambio di
120 lire per sterlina e nel volgere di pochi mesi la quotazione della valuta britannica era scesa a 90 lire. Alle ripercussioni negative derivanti all’azienda dalla svalutazione delle merci in magazzino si aggiunse il dissesto
di alcuni debitori. La pressione deflativa, innescata dalla stabilizzazione e
rinforzata da riduzioni salariali e taglio degli stipendi, aveva infatti
depresso sensibilmente la produzione dei settori rivolti all’esportazione e
di gran parte dell’industria leggera, provocando rallentamenti dell’attività produttiva, disoccupazione e fallimenti. Anche per l’economia locale
furono momenti difficili. Il tessile, sia laniero sia cotoniero, accusò fortemente il colpo, e da allora i lanifici, che la perdita di competitività derivante dal nuovo valore della lira espulse dai mercati dell’Europa orientale
e balcanica, non trovarono di meglio che riorientare le correnti di esportazione verso sbocchi alternativi e più distanti, di minore potere d’acquisto
e perciò meno remunerativi.
La gravità della situazione creatasi nei conti aziendali questa volta fu
tale da indurre Lorenzo a non limitarsi a coprire la perdita con le riserve, ma
a rivolgersi, sin dal maggio 1927, alla Cassa di risparmio di Biella per ottenere un mutuo di trecentomila lire. Di durata decennale, il prestito era
garantito da un’ipoteca sugli immobili dell’azienda46. Si trattava di una
somma sufficientemente alta da lasciare un certo margine di sicurezza di
fronte a eventuali sviluppi negativi futuri e tale da permettere una libertà di
manovra aggiuntiva.
Proprio la stipula del contratto del mutuo permette di gettare lo
sguardo sull’articolazione dell’impianto produttivo a quell’epoca. L’area su
46 Cfr. As Bi, Conservatoria dei registri immobiliari, Atti, vol. 628, n. 145, rogito notaio Germano
Pericle, 3 maggio 1927. Il prestito era gravato dell’interesse di 1,5 punti percentuali al di sopra
del tasso ufficiale di sconto (che all’epoca della concessione era dell’8,5%) e contemplava una riduzione dell’esposizione in conto capitale nella misura del 10% annuo, fino a completa estinzione
entro il 31 dicembre 1937.
52
Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture
cui era disposto lo stabilimento si era lievemente ingrandita a seguito dell’acquisto nel 1924 di una proprietà confinante a oriente, dell’estensione
di 14,10 are, prima di una serie di acquisizioni che, come si vedrà, si moltiplicheranno nella seconda metà degli anni trenta47. La superficie complessiva fruibile era di poco superiore a 14.600 mq, dei quali 2.690 mq
occupati da fabbricati, 2.680 mq di cortile e dipendenze, 8.910 mq disponibili, una piccola parte residua esterna al muro di cinta. All’interno,
oltre a tre depositi per biciclette, per pelli secche e finite, a un locale per
l’imballaggio dei manufatti e a un edificio rustico, si trovavano un fabbricato comprendente lo studio e un laboratorio meccanico, e fabbricati
distinti dedicati alla lisciatura, alla feiteria, all’impianto di pompaggio e
al pozzo, alle vasche, allo stendissaggio, alle macchine e reparto conceria,
al reparto tacchetti. Due altri edifici ospitavano le abitazioni del portinaio
e del capo fabbrica48.
Il biennio 1928-1929 fu ancora un periodo di prosperità, l’ultimo
prima dell’inversione di tendenza causata dalla crisi mondiale. Nel 1928
le vendite (vedi tabella 4) ammontarono a 3.671 mila lire e gli utili toccarono la punta più alta di tutto il decennio, permettendo un aumento
nell’ordine del 40% delle risorse patrimoniali. Fu questo d’altronde l’anno in cui il prezzo delle pelli bovine grezze toccò i vertici in tutti i principali mercati, da Milano a Parigi, a Londra e Chicago49. Nel 1929 il buon
andamento proseguì attenuato, con una discreta tenuta delle vendite
(-7,5%), ma con utili netti ridotti di oltre l’80%, in buona misura a causa
di acquisti di materia prima realizzati a prezzi elevati nel contesto di un
mercato ormai rapidamente cedente.
Alla vigilia della crisi mondiale in Europa, il settore conciario italiano mostrava già, per ragioni proprie, i segni di una condizione precaria. A
partire dal 1929 la rivista di settore, organo della Federazione nazionale
47 L’immobile, acquistato per 16.500 lire dagli eredi Masserano, era un appezzamento di terreno
coltivato a vite. Cfr. As Bi, Conservatoria dei registri immobiliari, Atti, vol. 567, n. 136, rogito
notaio Germano Pericle, 31 dicembre 1924.
48 A termini di confronto sommario, nel 1925 la conceria Varale – che allora dava lavoro a 200
operai – occupava una superficie di 15.000 mq e altri 20.000 ne aveva da poco acquistati per provvedere all’espansione della produzione.
49 Cfr. i dati e grafici riportati in “La Conceria”, 31 dicembre 1931.
53
La Conceria Lorenzo Chiorino in Regione S. Agata. Cortile interno e veduta dello stabilimento
(1924).
54
Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture
fascista degli esercenti l’industria conciaria, non cessava di diffondere
segnali di preoccupazione. Il mercato europeo delle pelli grezze subiva sensibilmente l’influenza di quello tedesco, che era il maggiore importatore.
In Italia le importazioni erano molto aumentate nel triennio 1927-1929,
ma l’aumento si era tradotto soprattutto in un maggiore volume delle scorte piuttosto che della produzione. Nel 1929, in aggiunta, le esportazioni
nazionali erano significativamente calate rispetto al 1928 e i prezzi del
greggio come del conciato non avevano fatto che diminuire dopo il picco
toccato agli inizi del 1928. Tra i sostituti, la gomma naturale, favorita da
un ribasso dei prezzi, aveva contribuito a erodere quote di mercato.
L’elevata dispersione del settore, per di più, faceva del conciato un mercato
del compratore, il quale era dotato di una forza contrattuale assai più grande e si era dimostrato assai più abile nel creare forme di collegamento e solidarietà internazionali. La Federazione suggeriva pertanto ai produttori di
cuoio una maggiore coesione affinché, attraverso la costituzione di uno stabile organo di raccordo, in altri termini un cartello, potessero meglio coordinare la produzione, limitare gli eccessi di capacità e soprattutto organizzare in modo più conveniente la vendita del prodotto50. Indicava come
esempio a questo fine l’Ufficio vendita per i sottoprodotti di conceria, creato a Genova nel 1928 allo scopo di fornire un soccorso alle imprese in difficoltà, centralizzando le operazioni. Anche ammesso che un’intesa tra i
produttori potesse rappresentare un rimedio efficace, non si trattava certo
di un obiettivo facile da realizzare, considerata l’enorme varietà delle produzioni: è sintomatico che le prime riunioni di “cromisti” svoltesi a questo
scopo nel dicembre 1929 avessero deliberato di procedere suddividendosi
ulteriormente per sottoclassi di prodotto.
Nel 1929, del resto, gli indici di attività del settore, calcolati su un
campione di imprese e tarati sui livelli del maggio 1928, dopo un record
registrato in aprile, nella seconda metà dell’anno si erano stabilizzati su
livelli uguali o inferiori a quelli di partenza. In questo quadro di precarietà e a partire dalla metà del 1930 la riduzione generalizzata dell’attività
industriale provocata dalla crisi, l’aumento della disoccupazione, la riduzione del potere d’acquisto della popolazione e conseguentemente dei con-
50
Cfr. “La Conceria”, 30 ottobre e 29 dicembre 1929.
55
1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957
sumi ebbero effetti molto acuti sul settore. Il quale reagì diminuendo fortemente la produzione e adeguando, attraverso tagli drastici, il prezzo del
conciato a quello delle pelli grezze. Per capire quanto questi tagli dovettero essere elevati, basta un rapido sguardo alla traiettoria dei corsi. Al macello di Milano il prezzo delle pelli di bue fino a 40 kg, che nel gennaio 1928
aveva sfiorato 8,50 lire al chilo e che tra il maggio 1929 e l’ottobre 1930
aveva oscillato tra le 5 e le 5,75 lire, precipitò fino a 1,80 lire al chilo nel
maggio 1932. Variazioni ancora più accentuate subirono le pelli di vitello
e andamenti sostanzialmente simili mostrarono gli analoghi mercati di
Chicago, New York e Parigi51. In base al numero di occupati, il punto più
basso della crisi fu toccato nel luglio 1932 e i segni di una ripresa incontrovertibile si manifestarono solo a partire dall’autunno 1934. Con il 1935,
l’inizio dei preparativi della guerra in Etiopia propose un rinnovato ciclo di
crescita che definitivamente chiuse il capitolo della crisi.
Tabella 4. Conceria Lorenzo Chiorino, fatturato 1928-1943 (lire correnti).
Lire correnti
Lire 1938
3.671.163
3.397.045
2.653.504
2.146.149
1.891.853
2.226.994
2.113.810
3.425.109
3.284.591
5.919.905
5.564.563
7.448.904
13.239.504
13.672.412
12.394.309
12.397.417
3.645.168
3.319.909
2.678.148
2.397.664
2.170.463
2.715.496
2.717.756
4.342.067
3.871.507
6.374.493
5.564.563
7.133.815
10.865.041
9.697.173
7.605.599
4.536.327
1928
1929
1930
1931
1932
1933
1934
1935
1936
1937
1938
1939
1940
1941
1942
1943
L’andamento dell’azienda nei primi anni trenta ricalca abbastanza
fedelmente questa scansione temporale. Le vendite (vedi tabella 4) si con-
51
Ibid., agosto-settembre 1932.
56
Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture
trassero progressivamente fino a raggiungere nel 1932 il punto più basso,
equivalente alla metà del fatturato del 1928. Lievemente superiori nel
1933 e 1934 (anno nel quale – annotava Lorenzo – la mancata lievitazione del fatturato era da imputare specialmente al ribasso del 10% subito in
aprile dai prezzi dei manufatti), solo nel 1935 esse tornarono a livelli comparabili a quelli del 1929 e dal 1937 in poi conobbero un rinnovato, consistente e prolungato slancio. In corrispondenza con questa traiettoria, l’azienda registrò perdite di entità crescente nel triennio 1930-1932, segnò
un piccolo profitto nel 1933 e, chiuso in pareggio l’esercizio 1934, nel
1935 riprese a generare risorse in misura apprezzabile. Il patrimonio netto
dà testimonianza di questi movimenti, segnando variazioni negative tra il
1930 e il 1932, un leggero incremento nel 1933 e una ripresa più accentuata dal 1935, trasformata in veri e propri balzi a partire dal 1937 (vedi
tabella A1 in Appendice).
Più interessante e ricco di indicazioni dell’osservazione della
performance quale emerge dai dati sintetici del fatturato e degli utili
e delle perdite è addentrarsi in alcuni dettagli delle scelte di formazione del bilancio negli anni della crisi e seguire i passi di Lorenzo nei
frangenti più delicati. La prima considerazione riguarda la costanza e
la tenace perseveranza con cui furono effettuati investimenti e
ammortamenti. Anche negli anni più magri, come fu il 1932, Lorenzo
non rinunciò a destinare risorse interne all’acquisto di “macchine più
perfezionate” con l’obiettivo dichiarato, come scriveva alle banche
creditrici illustrando il bilancio aziendale, di “potere conseguire, con
un migliore attrezzamento tecnico, una diminuzione nei costi”52. Tali
investimenti proseguirono nel 1933, mentre nel 1934, anno di
aumento dell’attività ma non dei margini, Lorenzo era in contatto con
la inglese Sandholme Iron Co. di Todmorden per l’acquisto di macchine per tacchetti destinate alla ristrutturazione allora in corso di
quello specifico reparto aziendale53. Né venivano trascurati i lavori di
miglioramento alle strutture edilizie e agli impianti, come per esem-
52
Carte Chiorino, Lorenzo alla succursale di Biella del Credito Italiano, 21 settembre 1933.
53 Carte Chiorino, Sandholme Iron Co. a Lorenzo, 30 aprile 1934 e relativa risposta, 11 maggio 1934.
57
La spaccatura o egualizzazione delle pelli eseguita presso la Conceria Chiorino con l’ausilio di una
macchina Turner di fabbricazione americana (1930 ca).
58
Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture
pio l’approfondimento del pozzo artesiano nel 1934 e l’esecuzione di
altre piccole costruzioni.
Una seconda considerazione riguarda gli ammortamenti, i quali
pure, con la sola eccezione del 1932 e in precedenza del 1927, non ebbero tregua negli anni della crisi. Cifre elevate vi vennero destinate nel 1930
e nel 1933, mentre nel 1931 e 1934 la loro minore entità fu pur sempre
maggiore delle corrispondenti somme mediamente impegnate tra il 1925
e il 1929. Non di rado ragioni di prudenza suggerirono a Lorenzo di eccedere nella quota di risorse destinata ad ammortamenti, benché ciò avvenisse in riduzione di utili altrimenti ben più consistenti. Così fece nell’esercizio 1933, quando, come scriveva ai creditori, anziché limitarsi ad
ammortamenti per circa 80 mila lire e consolidare nel patrimonio un utile
di 130 mila, Lorenzo utilizzò quasi interamente l’“utile lordo” di 209 mila
lire a riduzione di varie poste dell’attivo. Non diversamente si comportò
nell’esercizio successivo. Sotto il termine generico di ammortamenti,
peraltro, erano comprese diverse operazioni contabili, dall’ammortamento
vero e proprio degli investimenti in capitale fisso, al reintegro del tasso di
usura degli impianti e del macchinario, alla svalutazione dei crediti dubbi
e delle attività finanziarie il cui corso si era molto scostato dal valore
nominale o di libro. Nell’esercizio 1933, per esempio, si stanziarono
ammortamenti per macchine e attrezzi, per stabili industriali, per il pozzo
artesiano, per il nuovo salone tacchetti, per l’abitazione in regione Aragni,
la tomba di famiglia, il mobilio di ufficio e l’“impianto cromo”, e in
aggiunta per le azioni della società Autostrada Torino-Milano e della Banca
Popolare di Novara. L’anno seguente comparivano abbattimenti anche per
33.800 lire di crediti iscritti nel conto Debitori diversi e successivamente
si imputarono ad ammortamento importi di varia entità per tenere conto
anche delle variazioni negative nel valore delle giacenze di magazzino.
Questa prudente e severa disciplina, che comprimeva le grandezze del bilancio e che per un verso era specchio dell’integrità che Lorenzo
metteva negli affari e della sua ferrea determinazione a privilegiare il
benessere dell’azienda, per altro verso ebbe una parte nel rafforzare il
credito di cui la Conceria godeva sui mercati. È altamente sintomatico
dello standing di buon debitore dell’azienda, per esempio, il fatto che
nel momento più cupo della depressione, ossia nell’ottobre 1932,
Lorenzo ottenesse dalla succursale cittadina del Credito Italiano un
59
1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957
finanziamento di 50 mila lire, rinnovabile, contro emissione di una
cambiale finanziaria, e che il credito fosse ancora in essere nel giugno
1934. La concessione risulta sintomatica soprattutto quando si tenga
conto delle difficoltà che allora attraversava il sistema bancario e finanziario, minacciato dall’aumento delle partite immobilizzate, dal ritiro
dei depositi, nella peggiore delle ipotesi dalla bancarotta. Un sistema
intento a ricercare, appena fosse possibile, occasioni di smobilizzare il
portafoglio e recuperare liquidità. Lo stesso Lorenzo si era visto richiedere nel 1931 dalla Banca Popolare di Novara la parziale cambiarizzazione di uno scoperto di conto corrente e, nel 1933, negare ripetutamente delle aperture di credito documentario a favore di fornitori olandesi e indiani, almeno fino a quando non fosse rientrato degli sconfinamenti sul fido accordato. Che in questo caso non fossero in discussione
il credito e la reputazione di Lorenzo, ma che si trattasse dell’esecuzione di politiche di monitoraggio della clientela più serrate, lo dimostra
il fatto che la banca si diceva pronta ad accettare carta commerciale che
egli avesse in portafoglio. Non solo egli era tenuto per buon debitore,
dunque, ma anche per persona capace di bene valutare il credito altrui.
La costante attenzione all’aggiornamento del macchinario e degli
impianti, il coraggio di investire per diminuire i costi, la prudenza nella
gestione delle risorse generate internamente, il tenace – quasi pervicace –
perseguimento del benessere patrimoniale e finanziario dell’impresa al di
sopra dell’arricchimento personale, la grande dedizione morale e materiale, un certo sagace intuito e il buon nome sono tutti ingredienti del successo con il quale Lorenzo Chiorino superò la crisi degli anni trenta, dando
talora l’impressione di cavarsela con minore affanno che in precedenti circostanze critiche.
A queste caratteristiche deve essere accostata ancora una certa studiosa sorveglianza dei costi di produzione, che la crisi senza dubbio accentuò. Lo suggeriscono i calcoli analitici dei costi sostenuti per produrre
diverse partite di tacchetti in esecuzione di vari ordinativi, accuratamente
raccolti e aggiornati tra il 1927 e il 1937, ma con una netta prevalenza
degli anni 1930-1933. Il computo tipico era strutturato con l’indicazione
minuta:
- dei tipi e dei quantitativi delle materie immesse nella lavorazione e del
loro costo unitario all’origine, dalle pelli ai chiodi e agli oli;
60
Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture
- del costo orario e complessivo della manodopera impiegata a seconda
dei livelli di qualifica coinvolti;
- del valore degli scarti di produzione;
- del calcolo degli interessi sul capitale circolante impegnato per tutta la
durata del processo di fabbricazione, a partire dalla data di acquisto
della materia prima (pelli) utilizzata;
- della resa quantitativa in termini di prodotto finale.
Alcuni criteri generali dettavano le modalità di computo dei costi
addizionali derivanti da una quota parte delle spese generali e dall’impiego di manodopera indiretta. Tali costi erano attribuiti in proporzione
inversa alla grandezza dei valori coinvolti: al crescere di questi, per esempio della manodopera indiretta, diminuiva la percentuale caricata nel
costo di fabbricazione complessivo. Altre indicazioni generali rammentavano di tenere debito conto delle variazioni tra il peso delle pelli umide,
pronte per la confezione dei tacchetti, e quello delle pelli asciutte a fabbricazione ultimata. Accompagnava la raccolta un elenco della successione di operazioni (19 in tutto per i tacchetti destinati ai telai a cassa fissa)
in cui si articolava il processo.
È difficile stabilire quale fosse la finalità precipua per la quale veniva condotto questo genere di osservazioni e calcoli. Probabilmente, più
che mirati a realizzare un vero e proprio controllo dei costi di gestione e a
definire aree di intervento per il loro eventuale contenimento, servivano in
primo luogo a definire un prezzo di vendita del prodotto finito corretto, tale
cioè da rappresentare un punto di equilibrio accettabile tra l’utile aziendale e i valori di mercato. In secondo luogo, la raccolta sistematica doveva servire da guida e riferimento per valutare la determinazione di scostamenti di prezzo in relazione a variazioni nella qualità delle pelli impiegate. Come che sia, essi testimoniano di un acuminato monitoraggio che certamente non è stato estraneo alla capacità di conciliare il mantenimento
del successo commerciale con le esigenze di sopravvivenza dell’impresa
anche attraverso le congiunture più difficili.
Si è accennato come con il 1935 tornasse decisamente il sereno nei
conti aziendali e l’attività del comparto, in ripresa dal 1934, accelerasse
notevolmente. Ancora una volta, come spesso era successo a partire dalla
prima guerra mondiale, furono provvedimenti governativi a fornire gli
61
Prospetto per il computo dei costi di produzione (1933).
62
Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture
stimoli iniziali e più importanti alla modifica delle condizioni del mercato. Il contingentamento delle importazioni di pelli grezze e conciate e
di cinghie e altri articoli in cuoio deciso nei primi mesi dell’anno54 schiuse prospettive di un aumento del valore della produzione e di un incremento delle lavorazioni, stimolando immediatamente l’“effervescenza”
del comparto55. A questo si aggiunsero i preparativi per la guerra d’Africa
(1935-1936), che sottoposero la produzione nazionale a una fortissima
pressione per soddisfare gli approvvigionamenti dell’amministrazione
militare, cui furono destinate gran parte delle disponibilità di materia
prima, semilavorati e “ingredienti” concianti di provenienza sia interna
che estera. In seguito, fu il ciclo indotto dai programmi di spesa pubblica per il riarmo a mantenere animato, insieme all’economia nazionale,
anche il settore. L’aumento vigoroso dell’attività nella seconda metà degli
anni trenta si inquadrò tuttavia in una modifica della situazione dell’industria, sempre più isolata dal contesto internazionale e costretta dalle
pressioni politiche e dal crescere dei vincoli amministrativi imposti dall’economia autarchica al proprio normale svolgimento a organizzarsi e
irreggimentarsi progressivamente in una struttura burocratizzata in cui
la produzione dipendeva largamente da assegnazioni decise dall’organo
centrale di categoria.
Per la Conceria Lorenzo Chiorino gli anni dal 1935 al 1940 furono
anni d’oro. L’ordine di grandezza del fatturato compì tre balzi successivi,
passando da 3,3 milioni di lire a 5,9 milioni nel 1937, quindi a 7,4 milio54 A partire dal 19 febbraio 1935 le importazioni di pelli furono assoggettate al regime delle bollette doganali, in base al quale era ammesso l’ingresso di una quota trimestrale del 30% dei quantitativi importati nel corrispondente trimestre del 1934 (escluse da questo trattamento erano le
importazioni provenienti da paesi con i quali l’Italia intratteneva accordi di clearing o di altra particolare natura). L’effetto del provvedimento – che, al di là delle pelli, riguardava un vastissimo
insieme di beni, inclusi i prodotti concianti e le macchine per l’industria conciaria – fu una significativa riduzione dei flussi in entrata: da 512 mila q nel 1934, il totale generale delle pelli grezze
senza pelo entrate nel Regno fu di 445 mila q nel 1935 e 188 mila q nel 1936. Nell’arco 19291936 il mercato estero principale fornitore di pelli grezze bovine fu di gran lunga l’Argentina,
seguita da India, Sud Africa, Australia. Per quanto contingentate, le pelli grezze non furono
comunque soggette a dazio. Più restrittive le condizioni fissate per l’importazione di pelli conciate, per le quali la quota venne stabilita in misura del 25%, ridotta al 10% nell’aprile 1936. Queste
pelli erano colpite da dazi differenziati che proteggevano soprattutto i produttori nazionali di pelli
di vitello, vacchetta e altre piccole pelli bovine ed equine non tinte o tinte in nero, lasciando più
esposti alla concorrenza estera i conciatori al cromo di pelli di bue e di vacca e i produttori di suole.
55 Carte Chiorino, lettera di Lorenzo alla succursale di Biella della Banca Popolare di Novara, 27
febbraio 1935.
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1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957
ni nel 1939 e infine a oltre 13,6 milioni nel 1940 (vedi tabella 4). A questa fulminea progressione fece riscontro la crescita del patrimonio netto,
particolarmente accentuata a partire dal 1937. Il capitale fu portato allora da 1,35 a 2 milioni di lire, a 3 milioni nel 1940. Ancora più cospicuo
fu l’incremento delle riserve che, utilizzate fino ad azzeramento nel biennio 1933-1934, furono rapidamente ricostituite. Ammontanti a 100 mila
lire nel 1935, erano di 900 mila lire nel 1939, di 3 milioni a chiusura dell’esercizio 194256. Cospicuo fu anche il tasso degli ammortamenti, alla cui
determinazione venne assegnata priorità nei primi tre anni di ritrovata
prosperità. Complessivamente, nei sei anni 1935-1940 furono destinate
ad aumento del patrimonio netto risorse interne per oltre 4.500 mila lire
e furono contestualmente effettuati ammortamenti – nell’accezione articolata che si è indicata – appena inferiori a 4.250 mila lire. Solo dopo il
1940 l’espansione del fatturato rallentò dapprima (1941) e si mutò poi in
una diminuzione (1942-1943), accentuata dalla ripresa dell’inflazione,
come dimostrano i valori espressi in lire costanti. Stessa sorte seguirono i
conti patrimoniali.
Con la ricchezza generata nel corso di questa notevole performance,
cui non fu estranea la dichiarazione di ausiliarietà tanto durante la guerra
etiopica, quanto durante la seconda guerra mondiale57, furono finanziati
investimenti produttivi, tra i quali spiccano la costruzione di un nuovo salone di conceria nel 1936 e un cospicuo accantonamento di fondi (1.386 mila
lire) per l’ampliamento del reparto selleria a carico dell’esercizio 1940.
Altre risorse furono impiegate nell’acquisto di immobili confinanti
con lo stabilimento e nell’esecuzione di lavori di costruzione, ristrutturazione e dotazione di attrezzi dei nuovi fabbricati. Nel 1937 fu rilevata una
proprietà sulla quale si ergevano una casa di abitazione elevata su due
piani più sottotetto e due ampi locali non soffittati, già sede di un sapo-
56
Tale dato include anche un Fondo per ampliamento fabbrica per 1 milione di lire.
Durante la seconda guerra mondiale, in realtà, la dichiarazione di “stabilimento ausiliario” durò
lo spazio brevissimo di un mese e mezzo: comunicata il 16 giugno 1940, fu revocata il 31 luglio
successivo (Carte Chiorino, corrispondenza del Sottosegretariato di stato per le fabbricazioni di
guerra). Il fatto non sorprende, considerato che il numero delle imprese mobilitate con decreto di
ausiliarietà variò con una certa ampiezza: 1173 nel giugno 1940, erano solo 991 nel settembre successivo, 1790 nella primavera 1943. Nonostante la revoca la conceria rimase tuttavia sottoposta ai
controlli di natura tecnica e disciplinare del Sottosegretariato.
57
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Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture
nificio58. L’anno seguente fu la volta di un terreno a prato59, mentre nel
1939 Lorenzo rilevò un immobile che era venuto a trovarsi incuneato tra
la fabbrica e altri terreni dipendenti dalla conceria60. Ancora, nel 1941
egli acquistò una proprietà a nord dei confini aziendali61.
Tra 1943 e 1947 l’ampliamento delle strutture, degli impianti e del
macchinario continuò ininterrotto, favorito da un’inflazione tendente a
sfuggire al controllo fino al brusco arresto imposto dalla stretta monetaria
dell’autunno 1947. Gli investimenti realizzati nel quinquennio assommarono a 52 milioni di lire, la parte più cospicua dei quali finanziò la costruzione di un nuovo magazzino per lo stoccaggio delle materie prime (9
milioni di lire), di una centrale termoelettrica (8 milioni), di un reparto
selleria con tettoie (6,4 milioni), di un’autorimessa (3 milioni), la sopraelevazione dello stabile ex saponificio (2,8 milioni), la costruzione di strade (3,2 milioni), condotte fognarie (1,1 milioni) e inoltre fosse per bilici,
un piazzale antistante l’autorimessa, scarichi dell’acqua e strutture per lo
stendissaggio. Per quanto riguarda gli impianti fissi, furono installati una
caldaia (7,6 milioni) e due essiccatoi (2,7 milioni), di cui uno nel vecchio
saponificio. I residui 7 milioni furono infine destinati all’acquisto di
nuovo macchinario.
Alla espansione degli immobili e dei fabbricati corrispose l’ampliamento dell’organizzazione produttiva. Le notizie in proposito sono molto
esigue, ma consentono egualmente di farsi un’idea del grande sviluppo
58 As Bi, Conservatoria dei registri immobiliari, Atti, vol. 932, n. 2903, rogito notaio Pericle
Germano, 21 agosto 1937. Il prezzo pagato per la cessione fu di 80 mila lire. L’immobile, di proprietà di Mario Ciocchetti e della superficie di 14,10 are, era localizzato nei pressi dello stabilimento produttivo, ma non era direttamente confinante.
59 As Bi, Conservatoria dei registri immobiliari, Atti, vol. 945, n. 1083, rogito notaio Pericle
Germano, 14 aprile 1938. Per l’immobile, che confinava a est con la proprietà aziendale, misurava
13,65 are e apparteneva a Rosina Ramella Gall, sposata Mosca, fu corrisposta la somma di 25 mila lire.
60 As, Bi, Conservatoria dei registri immobiliari, Atti, vol. 982, n. 4204, rogito notaio Pericle
Germano, 21 dicembre 1939. Si trattava di un’area di complessive 18,68 are sulla quale aveva sede
una recente costruzione di due piani più sottotetto, articolata in otto locali e dotata di orto e giardino. Cedente per la somma di novantamila lire era Rosa Cardano, sposata Zanone.
61 As, Bi, Conservatoria dei registri immobiliari, Atti, vol. 6, n. 659, rogito notaio Pericle
Germano, 13 marzo 1941. Appartenente a Giovanni Blotto, la proprietà era maggiore delle altre
(23,93 are), constava di un edificio a tre piani con annessi cortile, orto e giardino. La vendita fu
fatta per l’importo di centomila lire.
65
Veduta della Conceria Lorenzo Chiorino (1932).
Illustrazione pubblicitaria dello stesso periodo.
66
Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture
dimensionale toccato negli anni trenta e più ancora durante la seconda
guerra mondiale. Due dati sono rilevanti in proposito. Anzitutto il numero dei dipendenti, che nel luglio 1933 erano settanta, raggiunsero quota
105 – ossia esattamente il 50% in più – nel settembre 1941, ed erano 135
– dunque quasi il doppio – nel luglio 1943. In secondo luogo, la presenza di dieci impiegati tra i dipendenti a quest’ultima data, numero anch’esso presumibilmente in ascesa rispetto a quanto lascia supporre l’esistenza
nel mobilio di ufficio di sei macchine da scrivere nel 1932. Lo sviluppo
quantitativo dell’impresa aveva raggiunto e più volte superato una soglia
tale da richiedere anche un’accresciuta articolazione funzionale e, pertanto, un numero di impiegati maggiore per l’assolvimento dei carichi amministrativi inerenti alla gestione.
Sempre su una base indiretta e indiziaria si possono fare congetture
sull’assetto della produzione in termini di prodotti, tenendo presente che
i settori più interessati dalla ripresa della seconda metà degli anni trenta
erano anche quelli da cui normalmente originava un consumo più regolare di cinghie di trasmissione. Tali erano infatti l’industria siderurgica e
metallurgica, dei cavi e del materiale elettrico in genere, con maggiori
oscillazioni quella meccanica e automobilistica. Minore fu invece probabilmente la massa di lavoro generata dal ramo tessile, la cui attività rimase al di sotto dei livelli del 1929 anche nello scorcio del decennio. In questa cornice è plausibile che il baricentro della produzione aziendale di
manufatti si spostasse vieppiù a favore delle cinghie e l’ipotesi trova
riscontro in sporadici dettagli indicanti in una misura dell’ordine del 40%
il contributo al fatturato del reparto tacchetti per telai.
Un ultimo cenno merita l’organizzazione commerciale, che verso la
fine degli anni trenta sembra ruotare intorno a un certo numero di commissionari e a quattro agenti con base a Milano, Schio, Torino e Napoli.
Alla luce di questi sviluppi, si può ben ritenere che la conceria
Lorenzo Chiorino si affacciasse alla ricostruzione con un assetto patrimoniale e tecnico complessivamente robusto e bene attrezzato per affrontare
le sfide poste dal dopoguerra. Ed è fuor di dubbio che queste fossero molte
e molto impegnative, dal momento che, al di là di continuità con il più
recente passato che non potevano essere obliterate nel volgere di pochi
anni, il nuovo contesto politico nazionale e internazionale, le fondamenta-
67
Illustrazioni della metà degli anni trenta pubblicizzanti specifiche linee di prodotto.
Il reparto tacchetti in attivita’ (1930 ca).
68
Da una guerra all’altra. Il consolidamento tra alterne congiunture
li scelte di politica economica in senso liberista compiute dalla classe dirigente del paese nei confronti soprattutto dei progetti di integrazione europea, lo sviluppo della cooperazione internazionale in campo finanziario, in
materia di cambi e pagamenti nonché di trasferimento di tecnologie concorsero a modificare profondamente il sistema di vincoli e opportunità in
cui si svolgeva l’azione imprenditoriale e a riorientarne le aspettative.
Alla fine degli anni quaranta l’industria conciaria si dibatteva ancora in querelles di antico sapore con i grossisti di pelli grezze per l’ingiustificato livello dei prezzi, cercando rimedi alla dispersione dei produttori e
alla loro conseguente debolezza sul mercato; levava ancora lamenti per il
basso potere d’acquisto delle masse e per i pochi consumi; si lagnava ancora delle restrizioni o dei sussidi che distorcevano il commercio internazionale e dell’invasione del prodotto estero, capace di infilarsi nelle maglie
larghe di una liberalizzazione degli scambi che, tra la fine degli anni quaranta e l’inizio degli anni cinquanta, risultava asimmetrica e penalizzante
per alcuni comparti produttivi nazionali. A una di queste lagnanze si era
unito Lorenzo Chiorino, firmatario con i maggiori industriali conciatori
biellesi di una protesta indirizzata all’Unione nazionale industria conciaria, l’associazione di categoria, per denunciare la situazione di difficoltà
che per tutto il 1948 e l’inizio del 1949 aveva afflitto i produttori di cinghie. Tenuità della domanda, prezzi bassi del manufatto, alto corso delle
pelli grezze nazionali, dazio sull’importazione di quelle estere, rincaro
della sterlina congiuravano in danno dei “cuoi tecnici” insieme ad accordi
commerciali bilaterali (con la Francia e con il Belgio, con la Gran
Bretagna) che sacrificavano questo speciale sottosettore conciario a favore
di altre categorie di conciatori. Fatto interessante, non si richiedeva maggiore protezione, ma l’abolizione del dazio sul grezzo e l’avvio di una liberalizzazione commerciale autentica e reciproca62.
Posizioni e atteggiamenti simili a questi, non di rado diffusi, avevano spesso buone e fondate ragioni, coglievano problemi reali, specialmente per quello che riguarda il commercio con l’estero, in cui all’apertura da parte italiana non era sempre corrisposto – nei primi anni cinquan-
62 Cinghie e articoli tecnici, in “La Conceria”, 29 gennaio 1949. Oltre alla Lorenzo Chiorino firmavano il documento le concerie Umberto Chiorino, Bersano, Magliola, Serralunga, Varale e Corte.
69
1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957
ta – uguale comportamento delle controparti europee. Tuttavia, queste
difficoltà erano legate per lo più a contingenze destinate a essere superate
in tempi brevi. Molto più serie e di ampia portata erano due preoccupazioni di cui gli industriali più accorti acquisirono rapidamente chiara consapevolezza. Anzitutto, che in un contesto di progressiva apertura dei mercati le sfide più importanti per la conceria italiana riguardavano l’aggiornamento tecnico, l’“inseguimento” dei paesi più avanzati, l’abbandono
dell’empiria nei processi di fabbricazione, l’introduzione di un più organico raccordo con le competenze chimico-scientifiche. In secondo luogo,
che prima o poi si sarebbero dovuti fare seriamente i conti con i sostituti
del cuoio.
Come si vedrà nella seconda parte, negli anni cinquanta la Conceria
Lorenzo Chiorino avrebbe affrontato con determinazione entrambe queste
sfide. Lorenzo, superata la soglia dei settant’anni e ormai prossimo al ritiro, poteva con sicurezza fare assegnamento sulle energie e le risorse che i
due figli, associatiglisi nella gestione da più di un quindicennio, avrebbero versato nell’impresa.
L’inserimento della seconda generazione
La scelta dei figli per succedergli nella guida dell’impresa si presentò a Lorenzo come un esito per molti aspetti del tutto naturale. Essa costituiva la parte più cospicua del patrimonio di famiglia, alla sua costruzione egli aveva dedicato tutte le proprie energie e in essa aveva riversato
tutte o quasi le risorse che l’impresa stessa aveva generato nel tempo. Il suo
destino imprenditoriale, deciso nel 1905 approfittando delle opportunità
straordinarie che all’inizio del secolo si erano offerte all’intensificazione
del processo di industrializzazione italiano, lo aveva sì portato a modificare radicalmente il modello di accumulazione ereditato dalle generazioni
che lo avevano preceduto, spostandone l’oggetto dalla proprietà di terreni
all’attività industriale, ma questa non era una ragione sufficiente per mettere in discussione la trasmissione diretta del patrimonio-azienda agli
eredi naturali. Lo era semmai per comprendere che l’impresa era un genere di attività (o di “asset”) che, molto più o comunque in modo molto
diverso da un campo coltivato o da una proprietà immobiliare, richiedeva
70
Angelo e Fulvio Chiorino in visita al reparto selleria nella seconda meta’ degli anni trenta.
71
1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957
una preparazione particolare per essere gestito con successo, e per comprendere che sul capitale umano dei propri successori sarebbe occorso
compiere opportuni e mirati investimenti. Egli cominciò pertanto molto
presto a pensare ai percorsi educativi e formativi dei figli Fulvio e Angelo,
sin da quando, cioè, questi si trovarono nell’età di intraprendere gli studi
secondari. E li concepì in modo tale che la loro specifica preparazione
potesse apportare all’impresa risorse nuove, grazie alle quali continuare a
svilupparsi, mantenersi aggiornata, reggere il confronto con la concorrenza e garantirsi continuità nel tempo. Né d’altra parte si trattava soltanto
di pensare a un futuro, quello del ritiro di Lorenzo dalla vita lavorativa,
che negli anni venti doveva apparire ancora assai remoto. Si trattava anche,
molto più concretamente, di alimentare le basi immateriali di sviluppo
dell’impresa sin dal primo momento utile. Era infatti pure questa, nella
visione di Lorenzo, un’esigenza impellente nello stesso identico modo in
cui lo erano gli investimenti in beni strumentali e impianti, tanto più alla
luce della folgorante crescita dimensionale compiuta nello spazio del
primo quindicennio. Sotto questo risvolto, anzi, e in aggiunta al tratto
biellese del volere provvedere da sé, dopo la prova fatta con il fratello
Umberto a cavallo della prima guerra mondiale Lorenzo aveva un motivo
in più per allevare e attingere nel seno della propria famiglia le competenze e le abilità necessarie allo sviluppo dell’azienda, piuttosto che acquisirle all’esterno, con tutte le incognite che la scelta poteva riservare. Infine,
ma non certo ultimo per importanza, l’inserimento dei figli era un modo
di darsi cura del loro avvenire, di “sistemarli”, di offrire loro un’opportunità ponendoli nelle condizioni di provvedersi dei mezzi di un sicuro
sostentamento e di un’esistenza decorosa, possibilmente migliore della
sua. Un modo che, per inciso, riproponeva a Fulvio e ad Angelo quell’intreccio tra gli ambiti professionale e familiare che nella sua esperienza biografica si era dimostrato virtuoso e centrale.
La strategia che Lorenzo seguì mirò a realizzare un assortimento di
competenze tecniche e gestionali che, alla luce dei risultati, si dimostrò felicemente indovinato. Fulvio, il primogenito, venne indirizzato a una approfondita formazione di carattere eminentemente tecnico. Dopo avere conseguito il diploma di ragioniere a Biella, tra il 1924 e il 1926 frequentò a
Torino l’Istituto nazionale per le industrie del cuoio, allora la migliore scuola professionale esistente in Italia per la formazione di periti industriali
72
L’inserimento della seconda generazione
destinati a ricoprire funzioni tecnico-direttive nel settore conciario.
Successivamente coronò il proprio ciclo di studi con un soggiorno di perfezionamento presso il Leather Institute di Londra, di reputazione internazionale. Adempiuti gli obblighi di leva, nel 1928 entrò nell’azienda paterna.
Di cinque anni posteriore, risalente al 1933, fu l’ingresso di Angelo,
che seguì invece un percorso formativo orientato all’acquisizione di abilità economico-gestionali, basato sugli studi di ragioneria a Biella e sulla
laurea in economia e commercio all’Università degli studi di Torino.
In armonia con i diversi percorsi formativi i due giovani assunsero
in azienda ruoli distinti. A Fulvio fu affidata la responsabilità del reparto
conceria, ad Angelo quella della fabbrica di tacchetti. Stipendiati l’uno e
l’altro, come era stato sin dalle origini per Lorenzo e, finché erano stati in
società, per il fratello Umberto, essi pervennero attraverso un percorso graduale al coinvolgimento formale e giuridicamente riconosciuto nella
responsabilità imprenditoriale. La prima tappa, nel dicembre 1935, quando erano poco meno che trentenni, consistette nell’investitura della procura generale ad agire in nome e per conto dell’azienda. Il secondo passaggio, decisivo, riguardante l’ammissione a figurare come soci a pieno
titolo, avvenne nel luglio 1943, quando per Lorenzo, ormai sessantaseienne, il momento del ritiro o della cessazione nei ruoli di maggiore operatività cominciava a profilarsi relativamente prossimo. Allora la ditta
“Conceria Lorenzo Chiorino” cessò per essere ricostituita nella forma di
una società in nome collettivo di ragione sociale “Conceria Lorenzo
Chiorino e figli”63. Contestualmente i rapporti patrimoniali tra i soci vennero definiti in modo da separare il patrimonio familiare da quello dell’impresa.
L’ingresso della seconda generazione consentì pressoché fin dal principio l’ispessimento dei ranghi gerarchico-funzionali al vertice dell’impresa, i quali vennero ad articolarsi nelle figure del proprietario, del direttore tecnico, dell’assistente tecnico e dei capi reparto. Grazie al nuovo assetto Lorenzo poté alleggerirsi progressivamente di una parte delle responsabilità operative a tutto vantaggio dell’accentuazione del ruolo di supervisione, e questo fu senz’altro opportuno considerato che accadde in un
63
Archivio della Camera di commercio di Vercelli, Registro delle ditte.
73
Foto di gruppo in occasione del Cinquantenario. 19 maggio 1956.
Al centro, seduti, Fulvio e Angelo Chiorino.
74
75
1. “Nulla può sostituire il cuoio”, 1906-1957
periodo (1933-1943) in cui l’impresa compì un ulteriore salto dimensionale, raddoppiando in breve tempo il numero degli occupati. Dal canto
loro, Fulvio e Angelo ebbero modo di fare esperienza degli aspetti tecnici,
economici e gestionali connessi alla direzione dell’impresa e di temprarsi,
sotto il riparo offerto dalla sicura guida paterna, attraverso congiunture di
straordinaria intensità e di segno completamente opposto. Nei circa vent’anni di sovrapposizione delle due generazioni in azienda, accanto all’apprendistato e alla maturazione imprenditoriale contò non meno (e forse di
più) l’assimilazione da parte dei due fratelli della cultura gestionale che
Lorenzo aveva elaborato negli anni e che presiedeva ai suoi quotidiani
comportamenti e al suo stile di conduzione. Quando all’inizio degli anni
cinquanta sarebbe venuto il momento di assumere la piena responsabilità
della gestione, Fulvio e Angelo sarebbero stati nelle condizioni di riprodurre anche il sistema di valori che Lorenzo aveva legato all’azienda, continuandone, insieme all’attività, l’identità più profonda.
76
Foto-ritratto di Lorenzo Chiorino (1955).
77
Illustrazione pubblicitaria delle nuove cinghie Chromnylon “Fortenax”.
78
2.
Cuoio, gomma, plastica.
Profilo di una metamorfosi, 1958-1982
Nel primo trentennio che seguì la seconda guerra mondiale la
gestione della Conceria dovette misurarsi con sfide di un genere sostanzialmente diverso da quelle che erano prevalse negli anni venti e trenta.
Preminenti divennero in questo periodo gli aspetti tecnologici e dell’innovazione legati all’introduzione di materiali alternativi al cuoio e alla
ricerca di nuove applicazioni industriali, ricerca che negli anni settanta in
definitiva condusse all’emancipazione dal tessile come principale mercato
di riferimento della produzione aziendale e alla sua sostituzione con un
insieme di nuovi settori, dalla meccanica alla cartotecnica, dall’industria
dell’imballaggio a quella alimentare.
La ridefinizione delle priorità della gestione secondo l’imperativo
del “cambiamento” ebbe implicazioni di straordinaria rilevanza per l’impresa, giacché in un primo tempo rese necessarie l’acquisizione di competenze tecniche capaci di adattare e guidare i nuovi processi produttivi e la
formazione o assunzione di manodopera specializzata per il trattamento
dei nuovi materiali. In un momento successivo, l’urgenza di individuare
una gamma di prodotti radicalmente rinnovata diresse sollecitazioni ancora più intense alla definizione della strategia imprenditoriale, al nucleo
delle conoscenze e delle abilità tecniche internamente disponibili e all’organizzazione commerciale. Giunse allora a compimento, in sostanza, il
radicale “cambiamento di pelle” che negli anni sessanta era entrato in
incubazione, una vera e propria metamorfosi che distinse la sorte della
Conceria Chiorino da quella dei concorrenti locali, produttori di cuoi tecnici, e che, portata a termine la trasformazione degli assetti produttivi,
nell’ultimo ventennio del secolo permise all’impresa di iniziare un ulteriore intenso percorso di crescita.
Che cambiamento e innovazione divenissero il motivo dominante
della gestione negli anni della ricostruzione e del miracolo economico non
poté del resto essere evitato, pena la condanna al progressivo isterilimento dell’attività aziendale. Evoluzioni di grande portata segnarono infatti il
79
2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982
secondo dopoguerra tanto sul piano tecnologico che su quello dei mercati
e della produzione, beneficiando di un contesto macroeconomico interno
e internazionale stabilizzato e dell’apertura dei mercati nel quadro dell’integrazione europea. Il progresso tecnico e i trasferimenti di tecnologia resi
possibili dalla diffusione degli investimenti esteri diretti e da specifiche
iniziative in campo internazionale modificarono le condizioni in cui si
svolgeva la produzione di numerosi settori, inclusi quello conciario e dei
cuoi tecnici e così pure il settore tessile, principale cliente della Conceria.
Per effetto di tali mutamenti, da un lato migliorò la qualità e crebbe la
disponibilità delle materie prime di sintesi – gomma sintetica e resine termoplastiche –, le quali presentavano, oltre a caratteristiche meglio in
grado di soddisfare le esigenze della domanda, il vantaggio di costi inferiori e di un ciclo di produzione più breve rispetto al cuoio. Dall’altro,
l’aggiornamento degli impianti dell’industria tessile stimolò il comparto
dei componenti e degli accessori ad adattarsi alla produzione di articoli
con caratteristiche chimico-fisiche diverse e soprattutto con maggiore
resistenza alle sollecitazioni meccaniche. Con il passare del tempo le innovazioni riguardanti il macchinario tessile portarono al superamento di
tutta una gamma di accessori tradizionalmente utilizzati negli impianti di
tessitura e filatura, prospettando nel complesso serie difficoltà alla crescita ulteriore di un’impresa che su questa gamma di prodotti aveva sin dal
principio costruito gran parte delle proprie fortune.
In parallelo all’evoluzione tecnologica, anche i mercati della produzione presentarono graduali modifiche strutturali. In particolare, a partire
dalla fine degli anni cinquanta e in misura vieppiù intensificata nei decenni seguenti l’industria conciaria manifestò la tendenza a spostarsi dai paesi
più sviluppati, quali il Nord America e l’Europa nord occidentale, verso
paesi con un minore grado di sviluppo, quali l’Europa mediterranea, il
Giappone, i paesi a economia pianificata e le economie del terzo mondo di
recente emancipazione, segnando una traiettoria che prima o poi avrebbero percorso anche i paesi di più recente industrializzazione64. Così in Italia
la produzione di cuoio continuò a crescere per tutto il decennio 1960 trai-
64 Cfr. Food and Agriculture Organisation (Fao), L’économie mondiale des cuirs et peaux et de la chaussure, Roma, Fao, 1970, p. 4.
80
nata dallo sviluppo dell’industria calzaturiera, ma successivamente, specializzatasi e raggiunta la piena maturità, conobbe un declino paragonabile a quello toccato alle economie più avanzate.
Il concorso congiunto di questi mutamenti rese ineludibile per la
Conceria un riorientamento anche in termini di prodotto e dei relativi
mercati. Se è vero che nel contesto delineatosi a partire dagli anni cinquanta crebbe considerevolmente l’esposizione dell’impresa a una concorrenza internazionale agguerrita e temibile, è vero altresì che nello stesso
tempo aumentarono enormemente rispetto agli anni tra le due guerre
anche le opportunità tecnologiche e di mercato. Basti confrontare, per farsi
un’idea approssimativa dei margini di espansione che il settore del cuoio
nel suo complesso aveva in Italia, l’andamento delle importazioni di pelli
conciate non da pellicceria: poco meno di 14 mila quintali nel 1933, nel
1963 superavano abbondantemente i 36 mila65. Molto più ingente era il
potenziale del mercato delle applicazioni in gomma e in materie plastiche,
ancora in una fase germinale di sviluppo.
Per comprendere meglio l’impatto che i cambiamenti accennati
ebbero sull’impresa, vale la pena di osservare che nel trentennio di cui ci
si occupa in questa seconda parte lo sviluppo tecnico richiese conoscenze
decisamente più approfondite e più complesse di quelle che erano occorse
negli anni di avvio della Conceria e che Lorenzo Chiorino aveva potuto
acquisire da autodidatta. Ancora alla fine degli anni sessanta la gomma
sintetica non era del tutto assestata su standard qualitativi universalmente riconosciuti, era poco trattata nelle facoltà ingegneristiche e scientifiche
e soffriva l’accesa concorrenza che le materie plastiche le muovevano in
riferimento a un largo spettro di applicazioni industriali, per le quali i due
tipi di materiali presentavano discreti tassi di sostituibilità66.
La prolungata situazione di relativa incertezza tra opzioni tecnologiche alternative, unita al vasto potenziale ancora aperto allo sviluppo
delle materie prime di sintesi e al loro impiego industriale, costringeva le
imprese produttrici di accessori a investire risorse nel campo della ricerca
e dello sviluppo per mantenere, insieme all’aggiornamento tecnico, le
65
Cfr. “La Conceria”, 21 novembre 1963.
A.H. Meursing, Le esigenze delle industrie della gomma produttrici di articoli “non pneumatici”, in
“Industria della gomma”, giugno 1968, pp. 31-35.
66
81
I pregi del cuoio vantati rispetto a quelli della gomma in un foglio pubblicitario della metà degli
anni cinquanta.
82
2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982
posizioni di mercato. L’industria delle “piccole serie”, rivolta alla soddisfazione di una domanda altamente specializzata e diversificata di prodotti su
misura, dominata da imprese di dimensioni medie, come la Conceria
Chiorino, o addirittura piccole, poté scavarsi in questo settore nicchie di
mercato in cui godeva di un vantaggio competitivo rispetto all’industria
delle “grandi serie”, dominata dalla grande impresa. Tuttavia rispetto a quest’ultima si trovava, a causa della dimensione ridotta e della mancanza di
economie di scala, in condizioni assai meno vantaggiose nel reperire le risorse (finanziarie e talora anche umane) da destinare a programmi di ricerca e
sviluppo. Qui si collocava pertanto una potenziale strozzatura strutturale
alla crescita, e la ricerca del modo di affrontarla e di aggirarla efficacemente
fu cruciale per lo sviluppo dell’impresa. Di qui anche l’importanza della
solidità patrimoniale, di una gestione consapevole di dovere fare dell’equilibrio finanziario un obiettivo prioritario, un prerequisito indispensabile delle
strategie di innovazione, data la relativa parsimonia di risorse che si sarebbero potute investire nella ricerca. Di qui ancora, per finire, l’importanza
dell’apporto – in termini di competenze ed energie – della terza generazione, entrata in azienda nel corso degli anni sessanta.
L’introduzione di materiali alternativi al cuoio
Negli anni cinquanta il confronto tra il cuoio e i suoi sostituti tornò
di grande attualità e si fece anzi assai serrato grazie ai progressi dell’industria chimica, in particolare quella degli idrocarburi, che portarono alla
larga diffusione della gomma sintetica e delle materie plastiche. Molto più
delle alternative commercialmente disponibili a un prezzo interessante nel
periodo tra le due guerre, ossia la gomma naturale e i tessuti di fibre naturali quali il pelo di cammello, il cotone, la canapa, in molti campi applicativi i nuovi materiali mossero al cuoio una concorrenza decisamente formidabile, destinata a mostrarsi di fatto insuperabile nel lungo andare. La
forza della minaccia era tale che tanto a livello nazionale quanto internazionale ripresero corso in modo intensificato e con l’ausilio di organismi
ad hoc le campagne di promozione e difesa del cuoio. In Italia, il Centro di
propaganda del cuoio, finanziato dagli associati dell’Unione nazionale
industria conciaria (Unic), ricorreva a reclame sulle pagine delle riviste
83
2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982
specializzate, interveniva con propri spazi alle manifestazioni fieristiche
(da quella di Milano alla Fiera del Levante, passando per le più settoriali
fiere di Vigevano, Bologna, Civitanova Marche, Parabiago, Vicenza), partecipava ai congressi internazionali dedicati all’educazione sanitaria, premeva sulle autorità scolastiche per portare la propria pedagogia nelle scuole e raggiungere in tal modo il pubblico più giovane quando ancora si trovava in età formativa. Arrivava persino ad avvalersi degli strumenti di
comunicazione più moderni, finanziando la realizzazione di cortometraggi dedicati ai pregi del cuoio da distribuire e proiettare nelle sale cinematografiche. Nel solo 1956 furono prodotti ben quattro documentari, con
eccessi propagandistici tali da suscitare in un caso la reazione dei produttori di gomma e una vertenza legale67.
Questa profusione di sforzi era però impotente ad arrestare una tendenza che aveva dalla propria troppo consistenti vantaggi di mercato e un
apparato industriale potente e concentrato. Alla fine degli anni sessanta, se
la presenza di materiali diversi dal cuoio nella fabbricazione di scarpe (che
non solo in Italia, ma in tutto il mondo rappresentavano il principale utilizzo finale delle pelli conciate), di capi di abbigliamento e di oggetti da
viaggio era apprezzabile ma non ingente, molto pronunciata era la sostituzione avvenuta nel mercato degli articoli tecnici, al quale la Chiorino rivolgeva la parte di gran lunga maggioritaria della propria produzione68. Con il
passare del tempo divenne pertanto una necessità improcrastinabile che la
direzione imprenditoriale si ponesse nella prospettiva di conoscere da vicino
il mercato dei materiali alternativi e ne valutasse l’effettivo potenziale, ne
sondasse i margini di opportunità commerciale e, appuratane la consistenza,
studiasse la fattibilità di avviarne la produzione nell’ambito aziendale.
Del vasto e impegnativo compito di esplorare la realtà commerciale
e produttiva delle resine sintetiche si fece carico personalmente e principalmente Fulvio Chiorino, cui non solo competevano le responsabilità
della produzione, ma che era anche per formazione il depositario del sape-
67
Cfr. Un anno di propaganda di cuoio, in “La Conceria”, 4 gennaio 1957. Anche la Conceria partecipò alle iniziative propagandistiche in difesa del cuoio applicando la stampigliatura del motto
“Nulla può sostituire il cuoio” sulle buste impiegate per la corrispondenza ordinaria.
68 Cfr. Fao, L’économie mondiale des cuirs et peaux et de la chaussure, cit., p. 74.
84
L’introduzione di materiali alternativi al cuoio
re tecnico all’interno della direzione. Trattandosi di materiali il cui sfruttamento industriale era, specialmente in Italia, relativamente recente e in
merito ai quali l’impresa non disponeva di conoscenze al proprio interno,
si rese necessario trovare il modo di acquisirle, attivando strategie o sfruttando il concorso di circostanze di volta in volta diverse, sebbene nella
sostanza, come si vedrà, tra loro assai simili.
I primi articoli “nuovi” a entrare in produzione, dopo circa tre anni
di studio e messa a punto, furono, nel 1958, i tacchetti per telaio in plastica. Commercializzati con il marchio “Fortenax-plast” (variazione del
marchio “Fortenax” creato negli anni cinquanta per i più tradizionali tacchetti in pergamena), erano ottenuti attraverso un processo di estrusione
di polietilene ad alta densità e presentavano, rispetto all’analogo prodotto
in cuoio, il vantaggio di essere molto più resistenti nel tempo, più elastici e perciò fonte di minori inconvenienti per le parti meccaniche dei telai,
infine più economici. In questo caso, nonostante la radicale novità della
materia prima impiegata, le difficoltà tecniche da superare non erano state
particolarmente significative, se si eccettua qualche problema inizialmente posto dal fatto che gli estrusori disponibili erano ancora relativamente
poco perfezionati.
Quasi contemporanea, ossia del 1959, ma di ben altra rilevanza fu
la fabbricazione delle cinghie in cuoio e nylon, le cosiddette
“Chromnylon”. Il loro sviluppo, infatti, più laborioso da realizzare, segnò
un accrescimento importante nel patrimonio di tecniche produttive aziendali, patrimonio che negli anni settanta sarebbe stato selettivamente attinto e riformulato per la produzione dei nastri trasportatori. La struttura
delle Chromnylon era formata da una banda di nylon stirato ricoperta sui
due lati da cuoio conciato al cromo. Proprio qui, nella banda, risiedeva la
principale innovazione del prodotto, giacché su essa si scaricavano gli sforzi e le tensioni principali originate dalla trasmissione di potenza. Date le
caratteristiche di maggiore elasticità del nylon (pressoché inestensibile), la
sua resistenza alla rottura, la leggerezza e la sottigliezza di spessore, le
“Chromnylon” consentivano performance ed esibivano flessibilità di
impiego molto superiori rispetto alle migliori cinghie in cuoio. La loro
fabbricazione richiese tuttavia a Fulvio di compiere numerosi viaggi in
Germania presso gli stabilimenti della Basf, produttrice delle bande in
poliammide, nonché presso la società che ne effettuava la stiratura, allo
85
Accessori per telaio realizzati con i nuovi materiali sintetici in alcune illustrazioni della fine degli
anni sessanta.
Le cinghie piane di trasmissione “Nailgum” in illustrazioni dei primi anni settanta.
86
L’introduzione di materiali alternativi al cuoio
scopo di acquisire familiarità con le caratteristiche del nylon e con le sue
possibilità e modalità di impiego. Sotto il profilo del processo, invece,
l’innovazione più rilevante stava nell’accoppiamento delle strisce di cuoio
alla banda interna, un problema tecnico risolto grazie alle consolidate
competenze disponibili in azienda in fatto di cuoio, colle e procedimenti
di giunzionamento, competenze che permisero di arrivare alla fabbricazione di un prodotto di qualità, relativamente stabile, capace di reggere la
concorrenza dei produttori svizzeri e tedeschi e di differenziarsi dalle cinghie in tela gommata che in quegli anni fabbricava in Italia la Pirelli. Il
manufatto, oltre che nel tessile, dove trovava applicazione sul macchinario
introdotto proprio in quegli anni in diversi tipi di lavorazione e specialmente nella torcitura e nella cardatura, aveva nel settore cartario, in quello alimentare, negli impianti di laminazione e in diversi comparti meccanici ulteriori clienti particolarmente interessati. Circa dieci anni dopo, con
opportuni adattamenti e sfruttando i saperi originati dalla lavorazione
della gomma, ma pur sempre nel solco di una sostanziale contiguità, questa stessa tecnologia fu utilizzata per produrre cinghie in gomma e nylon
e, successivamente, nastri.
Più rilevante delle Chromnylon per i riflessi che ebbe sull’apprendimento di conoscenze e l’appropriazione di tecnologie fu però
l’innovazione introdotta nei processi aziendali con l’avvio della fabbricazione di articoli in gomma, immessi sul mercato nella prima metà
degli anni sessanta con il marchio “Fortenaxgum”69. Rispetto all’introduzione del polietilene per i tacchetti, il passaggio fu in questo caso
molto più complesso, non foss’altro perché più complessa era la tecnologia della gomma e più complicato e articolato il processo di produzione dei componenti che si volevano ottenere: tiranti e paracolpi in un
primo tempo, successivamente una estesa gamma di accessori per macchine tessili, dai cilindretti ai manicotti per carde, alle cinghiette di
stiro. Attorno al “progetto gomma” furono perciò mobilitate e fatte
convergere le principali risorse tecniche: Fulvio, sovrintendente gli sviluppi più o meno da lontano; Gian Paolo, suo primogenito fresco di una
69
Le informazioni sull’avvio e lo sviluppo delle lavorazioni in gomma sono per larga parte attinte
alle conversazioni con Gian Paolo Chiorino (5 maggio 2005) e con Luca Chiorino (3 maggio 2005).
87
2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982
laurea in ingegneria chimica; un perito elettrotecnico appositamente
assunto alla metà degli anni sessanta per accompagnare gli sviluppi
delle lavorazioni; un consulente esterno di grande esperienza e competenza specifica70.
Questi, in particolare, era all’epoca il direttore dei laboratori di
ricerca sulle materie plastiche della Montecatini situati a Castellanza71.
Era stato l’ingegnere Gian Paolo a farne la conoscenza nel corso di un soggiorno presso gli impianti del colosso chimico, effettuato allo scopo di
acquisire familiarità con le gomme sintetiche, e a proporne l’incarico. Per
il dottor Renato Maini, questo il nome del consulente, fu l’avvio di una
collaborazione quasi decennale con la Conceria Chiorino, svolta con cadenza settimanale nella giornata del sabato.
Nonostante l’investimento di energie individuali e di alte competenze esterne e nonostante il rilievo che il reparto gomma avrebbe
assunto in termini di fatturato e di investimenti, rilievo di cui si dirà
tra poco, il coagulo di conoscenze tecniche e scientifiche intorno al
“progetto” avvenne progressivamente. La sperimentazione sulla gomma
partì infatti in modo sommesso, quasi in sordina, occupando inizialmente non più di due o tre persone e nemmeno tutti i giorni della settimana. Solo gradualmente, mano a mano che si ottennero risultati
positivi nella sperimentazione e che si intravide più chiaramente e concretamente la possibilità di avviare la produzione, vi furono dedicate
nuove risorse. Il primo passo, proprio perché una delle difficoltà dell’utilizzo della gomma sintetica consisteva nel formulare una ricetta idonea a ottenere un tipo di materiale con caratteristiche determinate partendo da un numero di ingredienti di base che poteva facilmente supe70
Anche Luca, terzo dei figli di Fulvio a entrare in azienda dopo la laurea in chimica industriale,
alla fine degli anni sessanta, si sarebbe dedicato principalmente allo sviluppo degli articoli in
gomma. Di questo si dirà nel prossimo paragrafo.
71 Il laboratorio di Castellanza era uno dei numerosi laboratori di ricerca della Montecatini. Avviato
negli anni trenta, nel 1948 era stato significativamente allargato per consentire una intensificata
attività di ricerca e sviluppo. Sebbene la Montecatini producesse negli impianti di Castellanza alcuni tipi di resine sintetiche sin dal 1934, fu solo a partire dagli anni cinquanta che questo genere di
produzioni conobbe un consistente aumento nel solco dello sviluppo della petrolchimica. Cfr. Pier
Paolo Saviotti (1990), Il ruolo della ricerca e della tecnologia nello sviluppo della Montecatini, in
Montecatini, 1888-1966. Capitoli di storia di una grande impresa, a cura di Franco Amatori e Bruno
Bezza, Bologna, il Mulino, 1990, p. 382; Franco Amatori, Montecatini: un profilo storico, in ibid., pp.
60 ss.; Vera Zamagni, L’industria chimica in Italia dalle origini agli anni cinquanta, in ibid., pp. 112 ss.
88
Il laboratorio chimico e il reparto selleria negli anni sessanta.
89
2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982
rare la dozzina, il primo passo, si diceva, consistette nell’allestimento di
un piccolo laboratorio sotto la guida del consulente esterno. Qui si analizzavano i prodotti della concorrenza, si sperimentavano le ricette, si
mescolavano i componenti, si vulcanizzavano e si testavano i diversi tipi
di gomma. Nei primi tempi, laddove gli strumenti si rivelavano insufficienti a produrre un’analisi soddisfacente dei materiali, dei campioni
venivano inviati all’Istituto internazionale della gomma di Parigi.
L’impianto di un laboratorio non fu un’innovazione da poco, anche per
la Conceria, abituata sin dalle origini, grazie all’impronta datale da
Lorenzo, a sperimentare sempre nuovi procedimenti tecnici e a saggiare costantemente la qualità del prodotto. Un piccolo laboratorio per la
concia già esisteva in quegli anni, ma tuttavia con la gomma, e successivamente con le resine plastiche, l’attività del laboratorio sarebbe divenuta un fulcro sempre più coerentemente e sistematicamente inserito
nelle routine produttive aziendali.
Il secondo passo fu la ricerca del tessuto idoneo a essere gommato,
sovrapposto in molteplici strati, pressato e vulcanizzato. Poiché era il tessuto a costituire l’armatura del manufatto, ossia del tirante, le sue caratteristiche erano di particolare importanza, da esse dipendeva la tenuta
dell’adesione degli strati gli uni sugli altri. Un’ulteriore tappa, risolta
grazie alle abilità meccaniche presenti in azienda, consistette nel procurarsi stampi in grado di resistere alle sollecitazioni delle fasi finali della
lavorazione, la pressatura e la vulcanizzazione. Campionato il prodotto
presso la clientela interessata e ottenuti positivi riscontri, il passo successivo fu il passaggio dalla produzione sulla scala ridotta del laboratorio
sperimentale a quella su scala industriale. Un’operazione tutt’altro che
scevra di complicazioni tecniche (specialmente per quanto concerne le
operazioni di spalmatura, vulcanizzazione e i dosaggi) e per la quale il
concorso delle competenze ingegneristiche di Gian Paolo e del consulente esterno riuscì particolarmente prezioso. In definitiva ci vollero oltre
due anni e mezzo tra 1962 e 1965 perché la fase sperimentale fosse portata a termine, la produzione andasse a regime e il prodotto cominciasse
a essere regolarmente collocato.
Accanto a tiranti e parabattenti, un terzo articolo in gomma entrato in produzione alla fine degli anni sessanta, artefice della trasformazione delle lavorazioni in gomma in un vero e proprio reparto industriale e
90
L’introduzione di materiali alternativi al cuoio
più degli altri destinato a un notevole e duraturo successo commerciale,
furono i manicotti per carde “Spinngum”, anch’essi seguiti da Gian Paolo
nelle principali fasi di realizzazione, sebbene ormai dalla distanza72. Il
prodotto in sé, come era stato per gli altri tradizionali prodotti “rivisitati” con i nuovi materiali di sintesi, non era nuovo alla Conceria. Almeno
dagli anni venti si fabbricavano manicotti in cuoio per pettinatrici, mentre i pregi del manicotto per carderia, sempre in cuoio, erano esaltati con
grande enfasi ancora in un catalogo aziendale della prima metà degli anni
cinquanta in contrapposizione a quelli dell’equivalente manicotto in
gomma, già disponibile sul mercato a opera di ditte concorrenti73.
Fiutato il buon potenziale commerciale, la decisione di intraprenderne la
produzione, di per sé irta di difficoltà tecniche a causa dell’elevata precisione richiesta dalle lavorazioni e dal macchinario impiegato allo scopo,
fu agevolata dall’occasione di acquisire una quarantina di grossi cilindri
di acciaio (propriamente mandrini) di vario diametro ceduti da una ditta
belga specializzata, operante nel distretto tessile di Verviers e già fornitrice dei principali costruttori di carde europei. Fu un evento fortunato,
giacché permise di disporre di strumenti di produzione perfettamente
calibrati e di provata affidabilità tecnica e di allestire sin dal principio
un’offerta di formati sufficientemente variegata da accontentare le esigenze di una domanda al solito molto differenziata. La varietà consentì al
tempo stesso di ridurre il rischio di sottoutilizzo dell’autoclave e dell’altro macchinario acquistato appositamente per questa linea di prodotto. I
belgi furono inoltre prodighi di consigli sulle varie fasi del processo di
lavorazione fino alla vulcanizzazione. I successivi passaggi di rettifica
della superficie esterna del manicotto (che doveva essere perfettamente
liscia e omogenea) e di rigatura poterono invece essere risolti sfruttando
le abilità già presenti in azienda.
In modo diverso da caso a caso, ma seguendo, come si è detto, percorsi sostanzialmente simili, altri articoli in gomma entrarono a fare parte
72 Dell’allontanamento di Gian Paolo dalla Conceria per seguire un’attività in proprio si dirà nel
prossimo paragrafo. Per lo sviluppo e il successo commerciale dei manicotti per carde si rimanda
alle interviste con Gian Paolo Chiorino, Lorenzo Chiorino (11 aprile 2005) e Cesare Garella (26
aprile 2005).
73 Ne costruivano, ad esempio, la Pirelli, una ditta francese e una tedesca.
91
2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982
negli anni sessanta della rosa di prodotti della Conceria. Il loro successo
presso la clientela fu tale che le lavorazioni in gomma presero rapidamente l’estensione di un reparto a se stante, fatto oggetto all’inizio degli anni
settanta di un intervento di ampliamento e riorganizzazione in vista di
un’ulteriore espansione della produzione. Al risalto assunto in termini fisici fece riscontro il rilievo assunto da questa produzione a livello di fatturato. Come mostra la tabella 5, il contributo dei prodotti in gomma, evidenziato nei conti interni a partire dal 1966, già nel 1970 rappresentava
più di un quinto del valore delle vendite e giunse a superare, alla metà
degli anni settanta, il 40% del fatturato complessivo. Alla fine del decennio il rilievo delle nuove produzioni era tale che la proprietà decise di
darne evidenza anche nella ragione sociale, appositamente modificata nel
settembre 1969 in “Lorenzo Chiorino & Figli s.a.s. – Industrie riunite
(Cuoio-Gomma-Plastica)”. È significativo e presago degli sviluppi futuri
che il termine “Conceria” decadesse allora e definitivamente dal nome
della società.
Tabella 5. Incidenza della produzione in gomma sul fatturato della Conceria, 1966-1970
1966
1967
1968
1969
1970
Fatturato gomma (milioni di lire)
Incidenza sul fatturato totale (%)
26
61
67
89
120
6,10
13,23
15,69
18,20
20,98
Occorre tuttavia ricordare che, nonostante il rapido sviluppo delle
lavorazioni in gomma in uno spazio di tempo molto breve, per tutti gli
anni sessanta e parte degli anni settanta l’assetto della produzione aziendale rimase dominato dal cuoio in termini di fatturato, di spazi fisici e di consistenza della forza lavoro addetta. Il ritmo e la distribuzione ineguali del
processo di rinnovamento del macchinario nell’industria tessile, infatti, il
suo procedere a “macchia di leopardo”, lasciando cioè coesistere molte
imprese dotate di impianti tradizionali accanto a imprese più pronte ad
ammodernarsi, determinarono per un lungo periodo di tempo la sovrapposizione della domanda di accessori in cuoio a quella di accessori realizzati
con i nuovi materiali di sintesi. Fu dunque per certi aspetti una scelta natu-
92
L’introduzione di materiali alternativi al cuoio
rale per la Conceria continuare a coltivare una clientela e a mantenere in
piena attività una linea di prodotti cui erano legate le proprie origini e per
le quali vantava competenze di alto profilo. Tanto più che nel perfezionamento delle tecniche di concia e di lavorazione del cuoio Fulvio e Angelo
avevano continuato a investire risorse negli anni cinquanta e sessanta, come
testimoniano la già accennata conduzione di un laboratorio di conceria e il
reclutamento a tempo ridotto di un consulente esterno laureato in chimica. Il cuoio nel suo insieme, del resto, costituiva un serbatoio di saperi cui
furono a più riprese attinte conoscenze tecniche e tecnologiche importanti
per lo sviluppo dei prodotti basati sulle resine sintetiche.
Anche sotto altri punti di vista, d’altra parte, l’inserimento delle nuove
produzioni avvenne relativamente in sordina, senza provocare un impatto
rilevante sul complesso dell’azienda. È un fatto per certi aspetti sorprendente che, mentre ci si appropriava di conoscenze e tecnologie destinate a cambiare radicalmente lo spettro delle competenze interne, mentre si faceva via
via più spazio ai materiali di sintesi e si modificavano gli assetti produttivi e,
in piccola parte, i mercati di riferimento, poco cambiasse in alcune delle cifre
più significative della dimensione aziendale. Per tutti gli anni sessanta, per
esempio, la forza lavoro rimase pressoché costante, passando da 95 occupati
nel 1961 a 108 nel 1970. Come mostra la tabella 6, il dato decennale nasconde un andamento in realtà più dinamico, caratterizzato da un calo fino a 78
addetti nel 1965 e da un aumento costante negli anni successivi, ancorché
concentrato negli anni 1966 e 1970. Tali movimenti, tuttavia, non modificano il quadro di sostanziale stabilità degli anni sessanta.
Tabella 6. Forza lavoro occupata, 1961-1970
Numero dei dipendenti
1961
1962
1963
1964
1965
1966
1967
1968
1969
1970
95
96
96
85
78
91
93
97
101
108
93
2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982
Non diversamente si comportò in questi anni il fatturato, che presenta
infatti anch’esso un andamento di sostanziale stabilità. Pari a 353 milioni di lire
nel 1961, era di 572 milioni nel 1970, esibendo un aumento complessivo del
62%, equivalente a un tasso di crescita medio annuo composto del 5,5%.
Misurata in termini reali, la performance era assai meno dinamica, dal momento che arrivava appena a sfiorare un incremento del 14% nell’intero periodo,
pari a un tasso di incremento annuo composto dell’1,46% (vedi tabella 7).
Anche in questo caso l’arco di tempo decennale maschera un andamento in realtà articolato in alterni sottoperiodi di crescita e contrazione. Snodo centrale in
questo senso fu il punto di svolta congiunturale rappresentato dalla stretta creditizia e fiscale del 1963-1964, data che segna l’esaurimento del “miracolo economico” italiano e l’inizio di una stagione di crescita di minore intensità. Anche
la Conceria risentì del mutamento della congiuntura registrando un’apprezzabile contrazione del fatturato nel 1964 (-17,1%), contrazione che risulta ancora più pronunciata se si guarda ai dati espressi in lire costanti (-21,8%). Nel
1966 la ripresa era però già consistente e tale si mantenne negli anni successivi, con la sola eccezione del 1968.
Tabella 7. Fatturato complessivo, 1961-1970 (valori in milioni)
1961
1962
1963
1964
1965
1966
1967
1968
1969
1970
lire correnti
lire 2004
353
400
444
368
426
461
427
489
572
7.390,8
7.968,4
8.226,6
6.436,8
7.000,9
7.427,5
6.793,2
7.567,1
8.423,2
Più significativo è tuttavia un altro fenomeno che comincia a manifestarsi nella seconda metà degli anni sessanta e che prenderà un notevole rilievo nel decennio successivo, ossia la crescita del fatturato effettuato all’estero
grazie all’esportazione del prodotto (vedi grafico 1). Nemmeno questa era del
tutto una novità. Già negli anni venti vi sono indizi che una piccolissima
parte della produzione era collocata sui mercati esteri. Dopo la pausa impo-
94
L’introduzione di materiali alternativi al cuoio
sta dalla chiusura dei mercati internazionali negli anni trenta, i canali dell’esportazione erano stati lentamente riaperti nel corso degli anni cinquanta e
nella prima metà degli anni sessanta vi trovava sbocco una percentuale del
prodotto relativamente stabile, di poco inferiore al 7%. Nella seconda metà
degli anni sessanta, però, le vendite realizzate fuori dai confini nazionali compirono un vero e proprio balzo quantitativo, aprendo un solco destinato ad
allargarsi ed approfondirsi fino a diventare la fonte di gran lunga maggioritaria del fatturato aziendale. Un dato sintetizza molto efficacemente il dinamismo di questo sviluppo: a fronte di una crescita del 62% delle vendite nel
decennio, le esportazioni aumentarono di un fattore pari a 3,87, arrivando a
formare, in termini relativi, oltre un quinto del totale complessivo.
Grafico 1 . Ripartizione del fatturato, 1961-1970 (mil. di lire correnti)
600
500
400
300
200
100
n.d.
0
1961
1962
1963
1964
fatturato totale
1965 1966
1967
1968
1969
fatturato Italia
fatturato estero
1970
Alla guida dell’impresa, intanto, Fulvio e Angelo, privi della tutela
paterna sin dai primi anni cinquanta, vennero definendo sempre più chiaramente i rispettivi ruoli nel segno di un’armonica e complementare divisione dei compiti. Fulvio, tecnico di formazione, si assunse le responsabilità della produzione. Usando una metafora, si può dire che egli fosse in
prima linea sul fronte interno. Di sua competenza erano gli aspetti tecnici e tecnologici, l’organizzazione della produzione e del lavoro, l’approvvigionamento delle materie prime, il controllo sulla regolarità di funzionamento della macchina produttiva aziendale e sulla qualità del prodotto. A
lui facevano capo la gestione dei rapporti con le maestranze e la formazione degli agenti commerciali in merito alle caratteristiche tecniche dei pro-
95
2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982
dotti della Conceria. Non sempre tutte queste incombenze ricadevano su
di lui direttamente ed esclusivamente, naturalmente. La struttura organizzativa di fabbrica prevedeva figure intermedie, di competenza tecnica,
che seguivano più da vicino la vita quotidiana dei reparti produttivi e cui
erano delegati compiti importanti in materia di organizzazione, svolgimento della produzione, progettazione e sorveglianza. Nondimeno, quand’anche non le seguiva in prima persona, era a Fulvio che tutte le questioni originanti da questi ambiti erano deferite in ultima istanza ed era lui,
in seno alla direzione dell’impresa, che aveva la responsabilità e la competenza per decidere. Almeno fin dove le decisioni non avevano implicazioni di carattere economico e finanziario, nel quale caso le scelte, che erano
comunque sempre condivise, si appoggiavano alla consultazione e alle
valutazioni del fratello Angelo.
L’importanza del cambiamento tecnico negli anni che seguirono la
seconda guerra e la necessità che ne derivò di importare nella produzione
aziendale nuovi materiali, nuovi prodotti, nuove tecnologie e nuovi saperi esaltarono notevolmente il ruolo di Fulvio tanto sul versante interno,
quanto su quello esterno del monitoraggio delle innovazioni che venivano
via via introdotte nelle tecniche e nei prodotti all’interno del comparto. In
questo senso il suo sguardo era lungi dal restare confinato entro il perimetro dell’impresa. Come sempre si era sforzato di fare il padre, Lorenzo,
anche Fulvio tenne un occhio sempre vigile sugli sviluppi che interessavano la concorrenza e sul modificarsi delle esigenze della clientela.
Più orientato verso l’esterno, o se si vuole, più attento alla contestualizzazione della realtà dell’impresa nel molteplice insieme di mercati
in cui essa si muoveva, attento a coglierne riflessi e implicazioni e a scorgervi le sfide, gli impedimenti o le opportunità per la vita aziendale, era
invece Angelo. Laureato in economia, egli assunse il compito della gestione dell’impresa sotto il profilo economico e finanziario. Era lui ad avere il
quadro dei conti, a tenere sotto controllo l’andamento economico, a conoscere nei dettagli la situazione patrimoniale e finanziaria, a monitorare il
complesso dei vincoli e delle risorse disponibili. A valutare, di conseguenza, la fattibilità di una spesa e la sostenibilità di un investimento produttivo; a impiegare la ricchezza accumulata e a gestire la tesoreria; a pianificare gli aspetti fiscali e gli assetti societari. Nell’assolvere queste funzioni Angelo si avvaleva, come detto, oltre che degli strumenti acquisiti
96
L’introduzione di materiali alternativi al cuoio
nel corso del percorso formativo, delle informazioni e delle conoscenze che
gli derivavano dall’osservazione costante dei differenti mercati in cui l’impresa operava. Dai mercati valutari, attinti per l’acquisto delle materie
prime e l’esitazione di una quota crescente della produzione, a quelli delle
materie prime stesse; dai mercati finanziari a quelli immobiliari, scrutati
per cogliere opportunità di acquisto di terreni destinati all’ampliamento
degli impianti produttivi o per investire, come di fatto avvenne, parte dei
risparmi d’impresa; ai mercati del prodotto, per osservare le tendenze in
atto e le traiettorie evolutive generali dei settori che costituivano i principali clienti della Conceria.
Solo incarico esecutivo di Angelo implicante responsabilità dirette in
materia di produzione era la direzione del reparto tacchetti, retaggio risalente al suo ingresso in azienda negli anni tra le due guerre e successivamente
consolidatosi. Ma lo sguardo capace di collocare l’impresa all’interno di quadri più vasti e di proiettarla entro scenari futuri fu senza dubbio un apporto
distintivo di grande rilevanza. Certamente costituì una risorsa cruciale negli
anni cinquanta e sessanta, quando fu decisivo comprendere la necessità di raccogliere la sfida del cambiamento e dell’innovazione e predisporvi l’azienda,
e valse negli anni settanta a orientare lo sviluppo successivo, allorché si trattò di abbandonare il tessile quale mercato di riferimento74.
L’assortimento di competenze a forte grado di complementarietà e la
chiara divisione dei compiti tra i fratelli, uniti a una prassi estesa e continua di
consultazione reciproca, di dialogo e di confronto, anche serrato, assicurarono
snellezza decisionale ed efficienza alla direzione d’impresa, permettendole di
affrontare con successo la stagione di crescita e trasformazione succeduta alla
guerra e di intraprendere l’incerta e ardua strada del cambiamento, sulla quale
ben pochi concorrenti locali riuscirono a seguire la Conceria.
In definitiva, nel periodo compreso tra la metà degli anni cinquanta e la fine degli anni sessanta la gamma dei prodotti aziendali fu profondamente rinnovata arrivando a includere, accanto alla tradizionale produzione in cuoio, tacchetti in plastica, cinghie in cuoio e nylon, tiranti,
74 L’autore è particolarmente grato a Maurizio Sella e a Lorenzo Chiorino per indicazioni utili a
mettere a fuoco il ruolo di Angelo.
97
Réclames di prodotti in gomma dei primi anni settanta.
98
L’introduzione di materiali alternativi al cuoio
tirantini, paracolpi, parabattenti, manicotti e cilindretti in gomma.
Contestualmente anche il patrimonio di competenze interne si ampliò
significativamente. Soprattutto, fu acquisita e “metabolizzata” una buona
disposizione generale a raccogliere le sfide del cambiamento, secondo un
atteggiamento del quale solo in parte si possono scorgere gli antecedenti
nella tensione del fondatore, Lorenzo, verso il continuo miglioramento
della qualità dei prodotti e il continuo adattamento alle richieste del mercato. Dopo la guerra tale disposizione richiese infatti sforzi ben più coraggiosi ed ebbe implicazioni di ben più vasto impatto sulla vita aziendale.
Osservando in filigrana gli sviluppi di questi anni e cogliendo le
somiglianze che accomunarono tra loro le modalità di introduzione dei
singoli nuovi prodotti, si ha l’impressione di scorgere tra i numerosi
apprendimenti anche la messa a punto di un modo specifico di procedere
nei confronti dell’innovazione, un modo che si sarebbe progressivamente
condensato in un modello e sarebbe stato utilizzato anche in successive
occasioni. Partendo generalmente dall’individuazione di un potenziale di
mercato, tale modello si basava su una combinazione variabile di conoscenze altamente specializzate attinte all’esterno nella forma di consulenze, di competenze interne supplite dagli esponenti della proprietà in possesso di una formazione tecnica, di abilità e saperi già presenti in azienda
o sviluppati contestualmente all’introduzione dei nuovi materiali e delle
nuove tecnologie. Un elemento portante fu la creazione di rapporti di collaborazione con i fornitori e con la clientela per le fasi dello sviluppo e del
test del prodotto. In massima, poi, il processo dell’innovazione si sviluppò gradualmente secondo un procedimento del tipo trial and error, attraverso tentativi e approssimazioni successive, con investimenti finanziari di
solito altrettanto graduali. Un altro ingrediente molto significativo, e non
di rado cruciale, fu l’elevato grado di commitment, ossia di coinvolgimento
e dedizione personale, esibito da tutte le persone più direttamente interessate nel processo, da Fulvio medesimo ad alcuni membri della terza
generazione, ad alcuni dipendenti di formazione tecnica, nei quali si distribuirono e accumularono via via competenze essenziali che, al crescere
della complessità della produzione, non potevano rimanere nel pieno ed
esclusivo controllo della proprietà. Un ulteriore elemento del modello fu
la tendenza a generare apprendimenti relativamente difficili a trasferirsi e
concentrati in persone chiave, di conseguenza a sviluppare un forte inte-
99
2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982
resse reciproco all’instaurazione di rapporti di lavoro di lunga durata.
Come corollario, e come risultato dell’interminata sequenza di adattamenti e aggiustamenti, l’innovazione produsse altresì un’elevata “specificità” del macchinario e dei processi75.
Combinando prudenza e sperimentazione e sfruttando le collaborazioni intessute a monte e a valle del processo produttivo, questo modo di
procedere permise di aggirare il vincolo finanziario strutturale gravante
sulle attività di ricerca e sviluppo di un’impresa sempre più chimica e tuttavia di “piccole serie”, si conciliò assai bene con l’esigenza di preservare
la solidità patrimoniale ed ebbe il merito di bene adattarsi a una struttura organizzativa di fabbrica relativamente semplice e informale.
Negli anni cinquanta e sessanta, dunque, sotto la superficie di una
performance poco dinamica se misurata in termini di crescita del fatturato e della forza lavoro, fu innescato ed entrò in gestazione un processo di
metamorfosi di grande portata, incerto ancora degli approdi finali, ma
risolutamente determinato a garantire condizioni di crescita e prosperità
all’impresa. A esso prestarono linfa preziosa i discendenti della terza generazione, entrati in azienda poco alla volta nel corso degli anni sessanta.
L’inserimento della terza generazione, leva del cambiamento
Non diversamente da quanto era avvenuto per Lorenzo, anche Fulvio e
Angelo cominciarono a formarsi una propria famiglia dopo essersi stabilmente inseriti nell’azienda paterna e, in particolare, quando le prospettive di sviluppo dell’attività, superata la Grande Depressione, tornarono a essere positive e a permettere di guardare al futuro con una certa fiducia. Rispetto al loro
padre erano semmai, invero, più giovani di qualche anno. Angelo, il secondogenito, si sposò con Margherita Reda nel settembre 1935. Un anno dopo, nel
novembre 1936, fu la volta di Fulvio e Olga Perona. Corse poco tempo perché alle nozze seguissero i figli, cinque per ciascuna coppia, nati tutti nell’arco di un quindicennio, tra il 1937 e il 1951. Con sorprendente specularità,
furono quattro maschi e una femmina dall’una parte e dall’altra: Lorenzo
75
Per specificità si intende qui restituire il concetto di asset specificity.
100
L’inserimento della terza generazione, leva del cambiamento
(1937), Federico (1938), Maria Chiara (1942), Gregorio (1945) e Amedeo
(1948) i figli di Angelo e Margherita; Gian Paolo (1937), Mario Alberto
(1939), Luca (1942), Stefano (1945) e Anna (1951) i figli di Fulvio e Olga.
Fu naturale e scontato per i due imprenditori, come già in passato
per Lorenzo, pensare i figli come candidati d’elezione a trovare un posto di
responsabilità all’interno dell’impresa e a garantirne la continuità nel
tempo attraverso la successione alla guida. Questo pensiero ne orientò le
scelte in materia di percorsi educativi e formazione professionale sin da
quando i giovani furono in età di cominciare gli studi secondari. Non era
tuttavia semplice immaginare una collocazione in azienda per ciascun
discendente. Sussisteva da un lato e in primo luogo il timore che le dimensioni reddituali della Conceria potessero non bastare al mantenimento di
un numero così elevato di successori. Dall’altro, era un compito intrinsecamente difficile avviare la terza generazione verso percorsi professionali
tra sé compatibili e al tempo stesso coerenti con le esigenze di crescita dell’impresa. Per tacere del fatto che sarebbe stato necessario scegliere, in
aggiunta, il candidato più idoneo – due tutto al più – cui addossare le
massime responsabilità della direzione imprenditoriale.
Di fronte a questa complessità Fulvio e Angelo decisero anzitutto di
limitare il numero dei figli destinati a entrare in azienda. Le due figlie
sarebbero state preventivamente escluse, come era nel costume sociale
degli anni cinquanta, del resto, e come contemplavano le tradizioni successorie locali76. Fu inoltre stabilito che solo tre maschi per parte avrebbero avuto posto nell’impresa. Gli esclusi, beninteso, sarebbero stati equamente indennizzati con altre porzioni del patrimonio familiare. Quanto
all’indirizzo degli studi e della professione, la soluzione adottata consistette nel contemperare preferenze e desideri dei genitori stessi, esigenze
d’impresa, attitudini e indoli dei figli. Avvenne di fatto che i figli di
76 Era antica consuetudine nel Biellese che le figlie femmine fossero escluse dall’asse ereditario
come eredi universali. La quota di patrimonio familiare loro spettante era solitamente assegnata in
forma di dote all’atto del matrimonio, mentre ulteriori lasciti solevano intervenire sotto specie di
successive donazioni qualora fosse necessario compiere compensazioni con il patrimonio trasmesso
agli eredi maschi. Questi erano solitamente i soli eredi universali e conservavano indivisi i beni tramandati, molto spesso proprietà fondiarie, al fine di contenere l’eccessiva frammentazione (cfr. F.
Ramella, Terra e telai, cit., pp. 72 e ss.). Coerentemente con questa antica tradizione si erano comportati sia Angelo (1846-1921), sia Lorenzo Chiorino, il quale nel 1956 liquidò le tre figlie e trasmise il patrimonio aziendale ai soli figli maschi.
101
1. Veduta aerea dello stabilimento alla fine degli anni cinquanta.
2. Lo stand espositivo allestito per la Fiera di Milano alla fine degli anni cinquanta.
102
L’inserimento della terza generazione, leva del cambiamento
Fulvio ricevettero una formazione tecnica, quelli di Angelo una formazione di carattere prevalentemente economico-gestionale.
Lorenzo Chiorino, primogenito di Angelo e primo esponente della
terza generazione, fu anche il primo a entrare in azienda. Terminato il liceo
scientifico a Biella nel 1955, seguì il consiglio paterno di intraprendere
studi di economia e si laureò pochi anni dopo in Scienze economiche
all’Università degli studi di Torino. Assolto il servizio militare in
Aeronautica, ai primi del 1962, a un soffio dai venticinque anni, cominciò
a lavorare per la Conceria con l’incarico di seguire la rete commerciale. In
concreto ciò significava occuparsi degli agenti di vendita e dei rivenditori
regionali, visitare la clientela italiana più importante, cercare di acquisirne
di nuova. Oltre a queste mansioni, Lorenzo si prese cura di estendere la presenza della Chiorino nelle fiere internazionali e di settore. Non più solo la
Fiera Campionaria di Milano o quella del Levante, a Bari, esposizioni di
carattere generalista, bensì anche quelle organizzate dall’International
Exhibition Textile Machinery (Itma) ogni quattro anni, a rotazione sulle
maggiori piazze europee: ad Hannover (1963), a Basilea (1967), a Parigi
(1971) e via via Milano, ancora Hannover, di nuovo Milano77. Qui, per il
tramite dell’Associazione dei costruttori italiani di macchine per l’industria
tessile (Acimit), cui la Chiorino aderiva, oltre agli utenti finali si raggiungevano direttamente i costruttori del macchinario con l’intento di fornire il
cosiddetto “primo corredo”, ossia gli accessori che venivano montati sulle
macchine dai fabbricanti stessi. Tale tattica commerciale, cui si era ricorso
in passato e che sarebbe stata seguita anche in futuro con le ulteriori nuove
applicazioni, aveva il duplice vantaggio di fornire il primo equipaggiamento al costruttore e di presentarsi agli utilizzatori finali come i fornitori dei
ricambi originali. Alle fiere dell’Itma si aggiunsero verso la fine degli anni
sessanta e negli anni settanta quelle dell’Ipack-Ima, specializzata nel settore
degli imballaggi, quelle della Simei (Salone internazionale macchine per
enologia e imbottigliamento), quelle del comparto alimentare, nell’intento
di raggiungere nuovi potenziali mercati.
Nella seconda metà del 1962 fu la volta di Gian Paolo, primogenito di Fulvio, a entrare in azienda. Solo di pochi mesi più giovane di
77
Tali mostre, iniziate nel 1951, continuano tuttora con la stessa invariata cadenza quadriennale.
103
2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982
Lorenzo, aveva frequentato lo stesso liceo di Biella e si era successivamente iscritto alla facoltà di Ingegneria del Politecnico di Torino, corso di laurea in Ingegneria industriale chimica, assecondando di buon grado il suggerimento paterno. Laureatosi con ottimi voti e premiato per la migliore
tesi italiana dell’anno in quel settore, Gian Paolo cominciò l’attività lavorativa nell’azienda di famiglia appena terminato il servizio militare. In
forma indiretta, o ufficiosa, il suo coinvolgimento era cominciato già
prima. Nell’estate del 1959 aveva compiuto uno stage presso gli impianti della Ciba di Basilea per approfondire la chimica degli agenti concianti. L’anno successivo, su richiesta del padre allora intento allo sviluppo
delle Chromnylon, aveva condotto uno studio sulla meccanica delle cinghie. La brillante carriera negli studi, la serietà e la grande applicazione di
cui aveva dato prova, la laurea in ingegneria chimica erano tutti ingredienti che facevano convergere su di lui grandi aspettative per il contributo che avrebbe recato all’impresa familiare, impegnata in quegli anni
nella sperimentazione di nuovi materiali che ne avrebbero rappresentato il
futuro. Ne facevano anche, sebbene non fosse argomento apertamente
dibattuto, il candidato in pectore alla successione imprenditoriale.
Il ruolo affidatogli fu quello di responsabile tecnico dei nuovi prodotti
e dei nuovi macchinari. Nello specifico, Gian Paolo ebbe l’incarico di sviluppare la produzione dei primi articoli in gomma (tiranti e paracolpi) e fu in
massima parte l’artefice dell’innesto di queste nuove produzioni nella cornice
aziendale. Come già si è visto nel paragrafo precedente, egli conobbe e reclutò come consulente esterno il dottor Renato Maini, responsabile dei laboratori della Montecatini di Castellanza. Con il suo aiuto costituì il laboratorio sperimentale del nascente reparto gomma e impostò la produzione fino alle fasi
di test e prima commercializzazione del prodotto. D’altra parte, le conoscenze
tecnico-ingegneristiche di Gian Paolo erano particolarmente utili in questa
fase anche nell’ambito di alcune relazioni commerciali. Specialmente laddove
si trattava di sviluppare ulteriormente il prodotto o di perfezionarlo, modellandone le caratteristiche sulle esigenze della clientela, la sicura competenza
tecnica che egli esibiva rendeva più facile il dialogo e più spedito il processo
di adattamento produttivo. Di qui le visite presso la clientela maggiore nei
centri di produzione tessile nazionali, nel Biellese e nel Pratese.
La collaborazione di Gian Paolo ebbe tuttavia vita relativamente
breve. Dopo poco più di due anni, portato a termine con successo l’incari-
104
L’inserimento della terza generazione, leva del cambiamento
co affidatogli, sul finire del 1964 egli maturò la decisione di allontanarsi
dall’azienda familiare per condurre un’impresa in proprio, assumendone
pienamente la responsabilità imprenditoriale. La scelta cadde su una tintoria installata all’interno di immobili di proprietà della famiglia. Il proprietario ne cedeva l’attività e la famiglia se ne fece rilevataria senza dare
luogo a interventi sul patrimonio, sino allora rimasto indiviso, ma diversificando e ripartendo la proprietà della nuova attività in quote paritetiche. A Gian Paolo si accostò il cugino Lorenzo con il compito di curare la
parte amministrativa, un impegno assolto a tempo ridotto, giacché la sua
attività lavorativa continuava a svolgersi nel settore commerciale della
Conceria. Nonostante il distacco, fino al 1970, anno in cui cessò ogni collaborazione, Gian Paolo continuò a mettere le proprie competenze al servizio dell’azienda nell’ambito in cui esse erano più richieste. Continuò ad
affiancare, il sabato, il consulente esterno nelle attività di ricerca svolte nel
laboratorio gomma. Seguì in prima persona, verso la fine degli anni sessanta, come si è visto, l’innesto della produzione dei manicotti per carde,
un progetto industriale importante e complesso che esigeva una visione
dei processi produttivi non solo tecnico-chimica, ma più propriamente
ingegneristica. Si dedicò fino al 1968 alla cura di una parte selezionata
della clientela acquirente dei prodotti in gomma di più recente introduzione, effettuando visite a cadenza mensile, accompagnato negli ultimi
anni dal fratello minore, Luca, laureando in Chimica industriale.
Terzo dopo Lorenzo e Gian Paolo, nel 1966 toccò a Stefano, quarto
dei figli di Fulvio, trovare occupazione nell’impresa di famiglia.
Indirizzato dal padre verso il diploma di perito conciario, conseguito nel
1964 presso l’Istituto tecnico industriale G. Baldracco di Torino78, frequentò subito dopo un corso di perfezionamento a Lione, dove aveva sede
una scuola per conciatori di fama internazionale. Trascorsovi un periodo di
sei mesi e successivamente assolti gli obblighi militari, all’arrivo in
Conceria Stefano ricevette l’incarico di occuparsi del funzionamento dei
reparti concia e selleria, dall’acquisto delle pelli grezze alla trasformazione
in cuoio, alla lavorazione e alla vendita di semilavorati (soprattutto gropponi) e prodotti finiti. Erano anni in cui il cuoio costituiva una quota
78 Si trattava, sotto altra denominazione e ordinamento, dello stesso Istituto nazionale per le industrie del cuoio in cui aveva studiato Fulvio negli anni venti.
105
2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982
ancora nettamente preponderante del fatturato aziendale (vedi grafico 2),
pur rappresentando a livello nazionale un settore maturo, sempre più
popolato da produttori specializzati in singole fasi di lavorazione e di cui
incominciava a intravedersi la traiettoria di un declino prossimo futuro.
Anni in cui la diminuzione della domanda proveniente dal tessile induceva al reindirizzamento crescente della produzione da un lato verso i semilavorati destinati alla selleria sportiva (selle e finimenti per l’equitazione),
dall’altro verso applicazioni tradizionali (sponde per tavoli da biliardo) o
relativamente recenti (cinghiette puntapiedi per bicicletta). In termini
relativi la percentuale di fatturato realizzata con gli articoli in cuoio
decrebbe molto rapidamente, mentre in termini assoluti sarebbe aumentata ancora fino al 1980, prima di imboccare la strada di un’inesorabile
riduzione e della definitiva dismissione.
Grafico 2. Incidenza della produzione in cuoio sul fatturato della Conceria, 1961-1970
450
400
350
300
250
200
150
100
50
n.d.
0
1961
1962
1963
1964
1965
fatturato cuoio (mill. lire correnti)
1966
1967
1968
1969
1970
incidenza sul fatturato totale (%)
Il 1969 fu l’anno dell’ingresso in azienda dei rimanenti tre esponenti della nuova generazione: Luca, Gregorio e Amedeo.
Come il fratello maggiore Gian Paolo, Luca era stato indirizzato dal
consiglio paterno a seguire una preparazione eminentemente tecnica in vista
di contribuire all’ulteriore sviluppo dei materiali sintetici, in particolare della
gomma. Terminato il liceo scientifico, si era laureato in Chimica industriale
all’Università di Torino nel 1969 e aveva in seguito compiuto uno stage di
perfezionamento presso l’Istituto nazionale della gomma di Parigi. Il percor-
106
L’inserimento della terza generazione, leva del cambiamento
so formativo ne faceva perciò il giovane con il profilo di competenze più vicino a quello che era stato di Gian Paolo e nell’impresa di famiglia egli prese
il posto che era stato del fratello. Il suo compito fu quello di guidare il laboratorio gomma, sempre con l’assistenza del dottor Maini, e di curare lo sviluppo dei prodotti che proprio in quegli anni erano entrati o stavano entrando in produzione e che per primi avrebbero dato al reparto una compiuta
dimensione industriale, pienamente riflessa, come già si è visto, nella composizione del fatturato (vedi tabella 5). Si tratta dei cilindretti (1966), delle
cinghiette (1969) e dei manicottini per filatura, dei manicotti per carde
(1968) e delle cinghie di trasmissione a copertura in gomma, che rappresentavano una innovazione rispetto alle precedenti fortunate Chromnylon.
Con compiti differenti, Gregorio e Amedeo, figli di Angelo, andarono invece a irrobustire le fila dell’area commerciale. Diplomatosi ragioniere a Biella, Gregorio si laureò in Economia aziendale all’Università
Bocconi di Milano. Dopo alcune esperienze di lavoro e studio, specialmente all’estero, si inserì in azienda con il compito di sviluppare la clientela e le relazioni commerciali. La conoscenza delle lingue estere, in particolare il tedesco e l’inglese, ne fece un candidato ideale a intensificare i
rapporti internazionali. A questo elemento distintivo egli univa competenze gestionali e amministrative derivanti dagli studi e un personale
senso di responsabilità nei confronti del più generale sviluppo dell’attività dell’azienda in direzione dell’allargamento della base produttiva e della
diversificazione della produzione verso settori diversi dal tessile. Tre furono pertanto le aree cui si dedicò prevalentemente nel corso degli anni settanta: lo sviluppo delle relazioni commerciali con l’estero, l’amministrazione interna e l’esplorazione di nuovi ambiti di attività industriale capaci di assicurare all’impresa un avvenire prospero e certo.
Amedeo, ultimo nato in casa di Angelo e Margherita, si diplomò
perito tessile all’Istituto tecnico industriale di Biella ed entrò in Conceria
appena compiuto il servizio militare. Le mansioni di cui ricevette l’incarico furono di carattere commerciale, sostituendo il più anziano dei venditori giunto ormai in età di pensione e affiancando e assistendo il fratello
maggiore Lorenzo. Da quella posizione egli si occupò in modo particolare
delle vendite tanto dei semilavorati e dei prodotti finiti in cuoio, quanto
delle nuove famiglie di articoli entrati in produzione negli anni sessanta e
poi via via nel decennio successivo.
107
2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982
Nel complesso la terza generazione ricevette un’educazione funzionale a estendere e potenziare il patrimonio di competenze interne rafforzando due aree aziendali che erano di importanza cruciale e prioritaria per
affrontare, negli anni sessanta, l’introduzione di nuove linee di prodotto e
ancor più, nel decennio successivo, per traghettare l’impresa di famiglia
verso nuovi assetti produttivi e verso nuovi mercati in grado di garantire
prospettive sicure di sviluppo e di ampliamento della capacità reddituale.
La prima di queste aree, quella commerciale, svolgeva un compito
importante e delicato. Tradizionalmente nel Biellese, sin dall’Ottocento,
presso i lanieri in particolare, essa era stata considerata una delle responsabilità di stretta pertinenza del ruolo imprenditoriale, Lorenzo stesso, il
fondatore dell’impresa, vi aveva dedicato moltissimo impegno. Per quanto evidentemente la realtà delle imprese e la distribuzione dei ruoli
imprenditoriali si fossero modificate nel tempo, negli anni sessanta il rinnovamento della gamma di prodotti della Conceria pose un’enfasi particolare su questa funzione. In primo luogo i nuovi articoli dovevano essere
fatti conoscere e promossi, i nuovi clienti, o quelli che sperimentavano il
nuovo prodotto, richiedevano di essere seguiti con cure e attenzioni talvolta maggiori di quelle riservate alla clientela abituale. Specialmente
quando il prodotto non aveva ancora raggiunto uno stabile assestamento,
era prezioso avere un riscontro per apportare miglioramenti e importante
assicurarsi che eventuali inconvenienti non risultassero in abbandono da
parte dell’acquirente. In secondo luogo, proprio negli anni di più intensa
accelerazione del progresso tecnico e del cambiamento tecnologico una
funzione commerciale bene organizzata costituiva un’utile antenna, sebbene naturalmente non l’unica, per captare il corso dei mutamenti settoriali, conoscere le esigenze del mercato, formarsi una cognizione delle
applicazioni che erano domandate o che potevano essere sviluppate con
profitto. Questo aspetto, ossia l’intercettazione dei cambiamenti in atto
attraverso lo sviluppo delle relazioni commerciali, era tanto avvertito che
spesso all’interno dell’azienda la funzione commerciale e la competenza
tecnica si affiancarono o sovrapposero, a seconda delle esigenze: capitò non
di rado che di certa clientela si occupasse il tecnico di punta della terza
generazione, Gian Paolo, pur dopo il distacco presso la tintoria, o che
Lorenzo viaggiasse, negli anni settanta, accompagnato da Giorgio Borri,
un giovane perito chimico di recente assunzione, destinato ad avere un
108
Fulvio Chiorino in occasione della consegna della stella al merito del lavoro a Giuseppe Garella per
i 52 anni di attività. Torino, Camera di Commercio, 9 maggio 1971.
109
2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982
ruolo tecnico centrale79. Quando pertanto la spinta a riposizionare l’azienda dalle produzioni per il mercato tessile a una varietà di altri comparti
cominciò a essere perseguita con ferma determinazione, il ruolo della funzione commerciale fu ulteriormente enfatizzato.
La seconda area era quella tecnica. L’importanza dei ruoli tecnici,
vale la pena di ricordare, continuò a essere cruciale tanto negli anni sessanta quanto negli anni settanta, per almeno due ragioni. Per cominciare,
l’utilizzo dei materiali di sintesi richiedeva di per sé la costante conduzione di un’attività di ricerca in appoggio alla produzione, sia al fine di
migliorare la qualità del prodotto, sia in dipendenza del processo di assestamento delle materie prime e dei semilavorati industriali utilizzati come
elemento di partenza dei processi di fabbricazione. La stessa parziale sostituibilità della gomma con resine plastiche per lo stesso tipo di articolo
introduceva un fattore di relativa instabilità tecnologica che rendeva
imprescindibile un saldo presidio tecnico delle preventive fasi sperimentali, dei processi di lavorazione e delle fasi finali di test e controllo del prodotto. In secondo luogo, le esigenze della clientela, anche di quella appartenente al tradizionale mercato tessile, si modificavano al ritmo del cambiamento del macchinario utilizzato negli impianti produttivi e da questi
cambiamenti originava per la Conceria la necessità di effettuare frequenti
aggiustamenti, sia pure di entità variabile, nel prodotto e nei processi.
Dopo il distacco di Gian Paolo, ancorché negli anni sessanta le competenze chimico-ingegneristiche risultassero un completamento importante
dell’assortimento di competenze interne e un contributo particolarmente prezioso e necessario per lo sviluppo tecnico e produttivo dell’impresa, esse non
furono reintegrate con l’assunzione di una risorsa esterna. L’orientamento in
materia di governance della seconda generazione non era favorevole a un
passo che avrebbe di fatto dato origine a un processo di managerializzazione
della gestione. Supplirono dunque in sua vece l’operato di Luca, le prestazioni dei consulenti esterni, l’apporto diluito di Gian Paolo stesso e la mobilitazione delle persone di formazione tecnica più capaci e dinamiche già presen-
79
Attuale direttore di produzione, Giorgio Borri entrò alla Chiorino proprio nei primi anni settanta. Si veda il paragrafo successivo.
110
L’inserimento della terza generazione, leva del cambiamento
ti in azienda o di recente ingresso. Proprio per queste si crearono così spazi di
crescita particolarmente significativi sotto la spinta della crescente complessità dei processi produttivi. Ebbe per esempio modo di mettersi in luce e
valorizzarsi a partire dalla seconda metà degli anni sessanta, preparandosi a
ruoli di responsabilità crescente nei confronti del processo produttivo e del
complesso degli impianti industriali, un giovane perito elettrotecnico, Cesare
Garella, assunto proprio nel 1965 per accompagnare lo sviluppo del reparto
gomma. Un altro giovane perito, Giorgio Borri, assunto nel 1973, avrebbe
invece guidato gli sviluppi dei nastri trasportatori e delle altre applicazioni
in polivinile di cloruro e in poliuretano, arrivando a coprire posizioni operative e in seguito direttive di grande rilievo.
Alla ricerca di una nuova vocazione produttiva: gli anni settanta
Le spinte all’allargamento della base produttiva che negli anni sessanta avevano conosciuto una lenta incubazione, inizialmente guidate dai
movimenti della domanda più che da un preciso disegno ma via via caricatesi di un orientamento alla diversificazione dei mercati di sbocco sempre più consapevole e determinato, conobbero in questo decennio una sensibile accelerazione e giunsero a scioglimento preparando l’azienda a una
nuova prolungata stagione di crescita. Non fu semplicemente questione di
individuare un nuovo prodotto e nuove tecnologie. Anche l’arco delle
competenze interne fu completato, la strategia commerciale ripensata e
innovata, il processo della successione imprenditoriale condotto a compimento. Furono, sotto più di un aspetto, anni di travaglio intenso, ma
anche di acuita capacità di captare e interpretare i potenti stimoli provenienti dal mercato e di tradurli in assetti industriali positivi e coerenti.
Decisivo nel provocare questo esito a livello aziendale fu l’apporto della
terza generazione in termini di conoscenze, energie e determinazione.
La chiusa degli anni sessanta e i primissimi anni settanta avevano portato due insegnamenti di grande significato. Il fatturato aveva conosciuto in
quegli anni una crescita particolarmente pronunciata grazie essenzialmente
alle vendite delle produzioni in gomma, che con i manicotti per carde e le
cinghiette di stiro avevano solo allora acquisito una piena rilevanza indu-
111
2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982
striale, e alle esportazioni. La gomma e i mercati esteri si presentavano pertanto come le due aree di crescita più promettenti, a portata delle capacità
tecnologiche e manifatturiere dell’impresa. Si avvertiva tuttavia l’esigenza di
sviluppare nuove applicazioni che, partendo dagli assetti industriali esistenti, permettessero di sfruttarne appieno tutto il potenziale di capacità e conoscenze disponibili in modo da assicurare la necessaria espansione del reddito. Questo significava individuare ambiti applicativi e mercati di sbocco
diversi dal tessile e non mancavano a quell’epoca esempi di società produttrici di accessori in gomma, estere per lo più, che avevano una specializzazione produttiva simile a quella della Conceria e che avevano compiuto una
redditizia diversificazione cominciando a servire altri comparti.
Un primo tentativo di diversificare consistette nell’avvio della produzione di printing blankets. Era questo un articolo ad alto valore aggiunto destinato all’industria tipografica, un sottile “lenzuolo” di tessuto gommato sul quale il testo da stampare veniva impresso e dal quale veniva successivamente trasferito per contatto sulla carta. Trovata la consulenza
appropriata per realizzare il processo, una parte dei macchinari necessari fu
acquistata e alloggiata in un capannone finito di costruire nel 1973 proprio in vista dell’espansione dell’attività aziendale. Mano a mano che si
procedeva con le prove di produzione, emerse tuttavia che la fabbricazione dei blanket presentava aspetti tecnici assai più complicati e richiedeva
investimenti assai più consistenti di quelli inizialmente anticipati.
Durante la pausa di riflessione che seguì, la sperimentazione continuò a concentrarsi su un altro campo applicativo, quello delle cinghie di
trasmissione, sul quale si lavorava da qualche tempo. L’obiettivo in questo
caso era stato in un primo tempo di fabbricarne in gomma e nylon, ossia
incollando due strati di tessuto gommato attorno a un’anima in nylon, formata dalla stessa banda già utilizzata per le Chromnylon.
Successivamente, si trattò di adattare la cinghia gommata a esigenze sempre più orientate al trasporto e sempre meno alla trasmissione di potenza,
ciò che comportava la sostituzione della copertura in gomma con gomme
di differente natura, adatte a muoversi su un piano di scorrimento, e la
sostituzione della banda di nylon stirato con uno o più tessuti di nylon.
La prospettiva di produrre nastri trasportatori si innestò su questi sviluppi. Il mercato era promettente. Tutte le grandi imprese della
gomma, quelle che avevano il proprio core business nel settore dei pneu-
112
Alla ricerca di una nuova vocazione produttiva: gli anni settanta
matici, ne producevano, dalla Pirelli alla Kleber, dalla Dunlop alla
Continental. La loro produzione tuttavia era concentrata prevalentemente sui nastri pesanti, capaci di carichi molto elevati, forniti sulla
base di grandi commesse e destinati per lo più all’impiego nelle miniere, nelle cave, negli impianti siderurgici e chimici. La loro stessa
dimensione e struttura industriale, basata su economie di scala e grandi volumi, le rendevano poco interessate a servire la domanda assai frazionata e diversificata di nastri leggeri e cinghie, utilizzati dai costruttori di macchine per imballaggio e confezionamento, nell’industria
della ceramica, della carta, in quella alimentare e in altre ancora. In
questo ambito le imprese di dimensioni piccole e medie, altamente flessibili e specializzate, avvezze a seguire una clientela anche minuta e a
offrire, oltre al prodotto, un insieme di servizi di assistenza e manutenzione, godevano di un indiscutibile vantaggio comparato. Intorno alla
metà degli anni settanta, a livello europeo tre imprese, la svizzera
Habasit, la tedesca Siegling e l’olandese Ammeraal, detenevano una
quota superiore al 50% del mercato con prodotti di alta qualità.
La Chiorino aveva dalla propria una struttura aziendale comparabile a quella dei concorrenti. L’elevata “specializzazione flessibile”80, la
lunga tradizione nella produzione di cinghie di trasmissione in cuoio,
poi in cuoio e nylon e infine in gomma e nylon, le conoscenze in fatto
di colle e di tecniche di giunzione, le competenze acquisite nelle lavorazioni in gomma, il radicamento presso la clientela sul territorio
nazionale rendevano il mercato di queste nuove applicazioni alla sua
portata. Questo non significa che la strada fosse facile da percorrere,
giacché occorreva individuare le tecnologie adatte e industrializzare il
processo di fabbricazione, i prodotti erano suscettibili di continuo sviluppo e soprattutto andavano adeguatamente introdotti sul piano commerciale. Occorsero pertanto alcuni anni prima di arrivare a un assesta80 L’espressione “specializzazione flessibile” indica un modello di organizzazione contrapposto alla
produzione di massa di stampo fordista, caratterizzato da lavorazioni con una discreta componente
artigianale e dalla versatilità del macchinario utilizzato, guidato da continui processi di innovazione, orientato alla soddisfazione di una domanda di prodotti personalizzati proveniente da mercati
sempre più diversificati. Il ritmo della produzione, che si svolge per piccoli lotti o per “piccole
serie”, è spesso dettato direttamente dal flusso degli ordini. In generale è una peculiarità delle piccole e medie imprese. Cfr. M. Piore e C. Sabel, The second industrial divide. Possibilities for prosperity,
New York, Basic Books, 1984.
113
2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982
mento della produzione relativamente stabile. Ma come era accaduto
con le innovazioni introdotte negli anni sessanta, anche in questo caso
lo sviluppo dei prodotti mosse da un’attenta analisi dei mercati, contò
sui rapporti di collaborazione con la clientela e con i fornitori e creò lo
spazio per la crescita professionale di un tecnico interno, di recente
assunzione, motivato e disposto a una intensa dedizione.
Il primo apporto di consulenza venne da una società inglese creata
nel 1973 per la confezione e la vendita di nastri trasportatori a partire da
un prodotto semifinito. Buon conoscitore del prodotto e del mercato, il
titolare fornì indicazioni importanti sulla fabbricazione e divenne il primo
cliente estero di questa linea di prodotti. Un’altra preziosa collaborazione,
cresciuta in un rapporto stabile e duraturo nel tempo, venne dal fornitore
dei tessuti sintetici. Le difficoltà maggiori risiedevano però nel definire le
tecnologie di processo appropriate e nell’ingegnerizzazione della produzione, nel passaggio, cioè, dalle prove di laboratorio al flusso continuo dei
reparti produttivi, e qui divenne determinante il contributo di Giorgio
Borri. Entrato come dipendente nella tintoria condotta da Gian Paolo, fresco del diploma di perito chimico, intenzionato a cambiare impiego per
qualcosa di più consono alle proprie attitudini e ambizioni, dopo pochi
mesi era stato chiamato da Lorenzo a svolgere il ruolo di addetto alle vendite. Una volta giunto in azienda, tuttavia, pur effettuando frequenti visite alla clientela, egli finì per concentrarsi prevalentemente sulla produzione. Trovato il modo di riconvertire una parte del macchinario esistente ai
fini della fabbricazione dei nastri trasportatori, e, soprattutto, intuito il
procedimento più adatto per vulcanizzare le parti in gomma, fu allo sviluppo di questi prodotti che egli continuò a dedicare la parte maggiore
delle proprie energie. Nel tempo, specialmente a partire dal momento in
cui, nella seconda metà degli anni settanta, divenne chiaro che il futuro
commerciale dei nastri non era tanto nell’impiego della gomma, bensì del
cloruro di polivinile e del poliuretano, egli si affermò sempre più come il
tecnologo di riferimento di questa area di prodotti nell’ambito di una
divisione dei compiti in base alla quale la ricerca e lo sviluppo delle produzioni in gomma restavano affidati e posti sotto la guida di Luca.
Se la produzione dei nastri trasportatori cominciò nel 1974, tutta la
seconda metà del decennio trascorse nella messa a punto del prodotto. Fu
ampliata la gamma dei nastri per dimensione, capacità di carico, caratte-
114
Alla ricerca di una nuova vocazione produttiva: gli anni settanta
ristiche fisiche e chimiche, colorazione e per tipo di tessuti accoppiati alle
resine plastiche, dove lo snodo centrale fu costituito dal passaggio, carico
di conseguenze sul piano tecnico, dal nylon al poliestere. Lo stesso avvenne per le cinghie.
Sebbene questi sviluppi modificassero la fisionomia produttiva dell’impresa, alla fine degli anni settanta essa si caratterizzava ancora per un
insieme di delicati equilibri tra vecchio e nuovo, tra prodotti ad elevato contenuto tecnologico e prodotti tradizionali, tra saperi rivolti al futuro e sguardi legati a un passato antico ma ancora presente e soprattutto ancora economicamente importante. Per averne un’idea, è sufficiente un breve quadro dell’articolazione dei reparti e della forza lavoro addetta a ciascuno di essi.
Le lavorazioni delle pelli e del cuoio erano concentrate nei reparti “Conceria” e “Selleria 2”, entrambi posti sotto la responsabilità direttiva di Stefano. Nel primo si eseguivano la concia al tannino, la concia
al cromo e la produzione della pergamena, era una struttura dotata di
macchinario ormai non più particolarmente aggiornato rispetto agli
standard del settore e assorbiva poco più del 22% del totale delle oreuomo erogate dal complesso delle lavorazioni (per l’incidenza sul fatturato si vedano i dati aggregati esposti nella tabella 9). Nel secondo
venivano invece prodotti manufatti in cuoio, essenzialmente manicotti,
lacciuoli per carde, cinghiette e altri ancora, con un totale di ore-uomo
lavorate pari a circa un ventesimo del totale. I due reparti insieme contavano un totale di 30 addetti.
Altre lavorazioni in cuoio, ma generalmente caratterizzate da un
maggiore contenuto tecnologico, erano eseguite nella “Selleria 1” sotto la
responsabilità di Fulvio. Qui si producevano le cinghie in cuoio e nylon,
cinghie in materiali sintetici e una serie di articoli tecnici per l’industria
tessile e per quella sportiva. Gli addetti di questo reparto erano in numero di trentatrè e le ore-uomo lavorate assommavano al 26% del totale.
Dipendeva da questa unità anche quella delle manutenzioni, forte di quattro operai meccanici.
Nel reparto plastica, diretto da Lorenzo, erano impiegate otto persone essenzialmente nella produzione di articoli per l’industria tessile, per
un totale del 6,7% delle ore-uomo.
I reparti di gran lunga più importanti in termini di contributo al
fatturato e di assorbimento di forza lavoro erano tuttavia quelli delle
115
2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982
lavorazioni in gomma e di fabbricazione dei nastri trasportatori.
Entrambi erano posti sotto la direzione generale di Luca, vi trovavano
impiego un totale di quarantasei addetti per circa il 41% delle oreuomo complessive. Nel reparto gomma, affidato alla responsabilità di
Cesare Garella, si producevano tubi e rivestimenti di vario genere,
manicotti per carde, frottatori, cinghiette e una serie di altri articoli
destinati al fabbisogno interno di altri reparti. Il monte ore assorbito
ammontava a oltre il 38%. Nel reparto nastri, di cui rispondeva
Giorgio Borri, si fabbricavano nastri trasportatori a base di tessuti in
nylon e in poliestere.
Come lo erano stati parte degli anni cinquanta e gli anni sessanta,
gli anni settanta furono dunque un periodo di estensione e approfondimento dei saperi interni, perseguito replicando il modello di apprendimento e introduzione delle innovazioni elaborato in precedenza. Gli elementi di contiguità tecnologica tra i diversi processi produttivi inerenti
alla fabbricazione delle cinghie e dei nastri e a talune lavorazioni in
gomma permisero di utilizzare gran parte del macchinario che esisteva in
azienda sin dal decennio precedente, al più sottoponendolo a una serie di
interventi di adattamento. In questo modo anche gli investimenti poterono essere autofinanziati e graduati nel tempo. Solo tra la fine degli anni
settanta e l’inizio degli anni ottanta, quando furono chiarite le tecnologie
di processo e di prodotto, assicurate le capacità interne di svilupparle e
abbondantemente sperimentate le potenzialità del mercato, furono compiuti consistenti investimenti specifici, in modo da potenziare e rendere
coerente l’assetto produttivo delle nuove linee di prodotti. È allora che
furono a più riprese ampliati il reparto dedicato alla lavorazione dei nastri
e quello della gomma e che furono acquistate macchine apposite per la
produzione di nastri in pvc e poliuretano, un nuovo più capace mescolatore per la gomma e nuove spalmatrici.
Rispetto agli anni sessanta, tuttavia, una differenza molto importante sta nel fatto che mentre allora i processi di apprendimento interno
legati al rinnovamento della gamma dei materiali non si tradussero in un
impatto apprezzabile sulla performance dell’impresa, negli anni settanta
non solo vi furono riflessi sul fatturato immediati e pronunciati, ma l’impresa tutta si incamminò lungo una nuova fase di sviluppo.
116
Alla ricerca di una nuova vocazione produttiva: gli anni settanta
Tabella 8. Fatturato complessivo, 1971-1981 (valori in mil.)
lire correnti
lire 2004
621
843
1.226
1.795
1.805
2.789
3.552
4.128
5.694
7.171
7.931
8.709
11.194
14.750
18.080
15.517
20.576
22.189
22.933
27.332
28.413
26.474
1971
1972
1973
1974
1975
1976
1977
1978
1979
1980
1981
Come mostra la tabella 8, nel periodo 1971-1980 l’ammontare complessivo delle vendite conobbe una dinamica molto accentuata, crescendo di
quasi dodici volte in valuta corrente, più che triplicando in lire costanti. Di
questa crescita la parte più consistente fu spiegata proprio dai nastri trasportatori e dalle cinghie di trasmissione, la cui progressione, partendo da zero,
fu rapidissima. Il contributo di questa famiglia di prodotti al fatturato complessivo passò infatti da poco più del 3% nel 1971 a oltre il 27% nel 1980,
superando quello del cuoio nel 1979. Seconda a quella di nastri e cinghie fu
la performance dei prodotti in gomma, che nel 1975 divennero il principale
elemento del fatturato, attestandosi negli anni centrali del decennio intorno
a un valore del 40%. Le lavorazioni in cuoio, per contro, toccato un vertice in
termini assoluti nel 1974, si stabilizzarono negli anni successivi fino al 1980,
prima di imboccare il declino definitivo che avrebbe di lì a poco condotto alla
completa dismissione (vedi tabella 9).
Tabella 9. Composizione del fatturato, 1971-1980 (dati in mil. di lire 2004)
1971
1972
1973
1974
1975
1976
1977
1978
1979
1980
cuoio
%
gomma
%
nastri e cinghie
%
totale
5.329
5.086
6.376
7.504
6.250
6.854
7.028
6.833
6.811
7.156
61,19
45,43
43,23
41,50
40,28
33,31
31,67
29,80
24,92
25,18
2.258
4.249
5.606
7.454
6.258
8.219
9.108
8.961
10.507
10.635
25,93
37,96
38,01
41,23
40,33
39,94
41,05
39,07
38,44
37,43
280
797
1.444
1.612
1.461
3.600
4.023
4.867
7.695
7.726
3,22
7,12
9,79
8,91
9,42
17,50
18,13
21,22
28,15
27,19
8.709
11.194
14.750
18.080
15.517
20.576
22.189
22.933
27.332
28.413
117
Le nuove linee di calandratura per i nastri trasportatori in gomma.
118
Alla ricerca di una nuova vocazione produttiva: gli anni settanta
Accanto a questa dinamica del fatturato e delle sue componenti
interne un altro elemento di tutto rilievo negli anni settanta fu la crescita delle esportazioni, capaci anch’esse di aumentare a un ritmo
decisamente superiore a quello del fatturato complessivo. La quota
delle vendite realizzate sui mercati esteri aumentò infatti tra 1971 e
1980 di un fattore pari a quasi 4,4, arrivando a contare per oltre il
45% del totale delle vendite (vedi tabella 10). È probabile che a
determinare questo esito particolarmente positivo abbiano concorso la
svalutazione della lira nei confronti delle principali monete europee,
dal marco tedesco al franco francese, a partire dal 1973 e i conseguenti
aumenti di competitività di cui beneficiò l’industria italiana sui mercati internazionali. È probabile anche che le difficoltà incontrate dall’economia nazionale dopo la crisi petrolifera abbiano reso più facile il
collocamento della produzione sui mercati esteri piuttosto che su
quello interno. La sensibile contrazione delle vendite nel 1975 (anno
in cui il prodotto interno lordo italiano fletté bruscamente in termini reali), d’altra parte, testimonia della sensibilità del fatturato aziendale agli alti e bassi della congiuntura. Tuttavia è vero anche che spostando il baricentro della propria produzione verso i nastri trasportatori, le cinghie e gli altri articoli in gomma l’impresa accrebbe la propria specializzazione produttiva e il contenuto tecnologico del prodotto, qualificandosi sempre più e sempre meglio come uno degli specialized suppliers che nel corso degli anni sessanta avevano contribuito
a plasmare la posizione dell’Italia nella divisione internazionale del
lavoro81.
81
Per specialized suppliers si intendono produttori di dimensioni medie o piccole caratterizzati da
un’elevata flessibilità e da alti livelli di specializzazione, focalizzati in lavorazioni dal contenuto tecnologico e innovativo medio e alto derivante vuoi dall’utilizzo di semilavorati prodotti a monte,
vuoi dall’attività di ricerca e innovazione svolte dalle imprese stesse. Per il ruolo di questi produttori nella definizione del modello di specializzazione internazionale dell’Italia formatosi negli anni
sessanta e destinato a lunga persistenza si rimanda a M. Gomellini, Il commercio estero dell’Italia negli
anni sessanta: specializzazione internazionale e tecnologia, “Quaderni dell’Ufficio Ricerche storiche”,
Banca d’Italia, n. 7, 2004.
119
2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982
Tabella 10. Incidenza delle esportazioni sul fatturato, 1971-1980 (mil. di lire 2004)
1971
1972
1973
1974
1975
1976
1977
1978
1979
1980
Esportazioni
%
Totale
2.959
4.475
5.318
7.574
5.949
8.234
9.233
12.561
13.123
12.941
33,98
39,98
36,05
41,89
38,34
40,01
41,61
54,77
48,02
45,54
8.709
11.194
14.750
18.080
15.517
20.576
22.189
22.933
27.332
28.413
Un altro aspetto quantitativo, ad ogni modo, connota questi anni di
crescita come anni di innesco di una nuova fase di sviluppo. La forza lavoro
occupata, che aveva già dato segni di aumentare nella seconda metà del
decennio precedente, senza tuttavia modificare il quadro di sostanziale stabilità che caratterizzò gli anni sessanta, negli anni settanta aumentò di quasi
il 40%, da 105 addetti nel 1971 a 146 nel 1980. Tale variazione si accompagnò peraltro a una crescita molto consistente del fatturato per addetto, da
quasi 83 milioni (espressi in lire 2004) a poco meno di 195 milioni, segno
inequivocabile che con le nuove produzioni l’azienda stava riposizionandosi
su mercati a valore aggiunto molto maggiore (vedi tabella 11).
Tabella 11. Forza lavoro e fatturato per addetto, 1971-1980 (mil. di lire 2004)
1971
1972
1973
1974
1975
1976
1977
1978
1979
1980
Totale addetti
Fatturato per addetto
105
104
116
134
132
136
138
150
153
146
82,95
107,63
127,15
134,93
117,55
151,30
160,79
152,89
178,64
194,61
È importante a questo punto osservare come fossero proprio le innovazioni tecnologiche a fornire il contributo critico essenziale ai sostanziali mutamenti quantitativi e qualitativi nella performance dell’impresa sin
120
1. La linea di vulcanizzazione in continuo per i rotoli gommati in un’immagine degli anni settanta.
2. Avvolgitore di una linea di spalmatura nastri in PVC.
121
2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982
qui descritti. Se è evidente infatti il ruolo giocato dall’area commerciale
attraverso l’intensificata partecipazione alle numerose fiere settoriali internazionali dei costruttori di macchinario industriale, attraverso una più
decisa azione presso la clientela attuale e potenziale e attraverso il frequente intervento di figure tecniche nelle visite ai clienti, alla fine degli
anni settanta l’organizzazione della distribuzione rimaneva nel suo complesso relativamente arretrata e in parte inadeguata rispetto agli assetti
produttivi che andavano definendosi. Schematicamente, essa era suddivisa
in un comparto Italia e in un comparto estero e contava su un numero relativamente ridotto di venditori diretti, ossia dipendenti dell’azienda. Del
mercato nazionale, diretto da Lorenzo e Amedeo, si occupavano quattro
venditori. Per il resto, la distribuzione era affidata a due agenti generali,
rappresentanti per l’intera gamma di prodotti, e a cinque agenti mandatari dedicati a specifiche linee del catalogo, ciascuno operante in una zona
territoriale definita. Il mercato interno assorbiva una larghissima porzione
dei manufatti in cuoio, articoli tecnici in gomma per il settore tessile,
nastri trasportatori e cinghie. L’area estero, sovrintesa da Gregorio e costituita specialmente da compratori delle linee di articoli più recenti e avanzate, contava su una quarantina di agenti indipendenti capaci nell’insieme
di servire per lo più utenti finali e distributori all’ingrosso in oltre cinquanta paesi. L’ingresso nei segmenti di domanda a maggiore valore
aggiunto, tanto in Italia quanto all’estero, ebbe però conseguenze di rilievo per l’organizzazione commerciale, dal momento che mise l’impresa a
più diretto contatto con concorrenti che vantavano una presenza sul mercato consolidata da tempo, che godevano dei vantaggi di una più robusta
struttura aziendale, di un più saldo presidio delle tecnologie di prodotto e
di processo e di più vaste organizzazioni di distribuzione. Una delle strategie adottate per competere in queste condizioni di mercato consistette
nell’ampliamento della gamma di prodotti, ma questo stesso fatto richiedeva che venditori diretti e indiretti contassero su una sicura preparazione tecnica, avessero buone introduzioni e potessero essere opportunamente incentivati nella promozione di un prodotto che era spesso di valore
unitario non molto elevato. In questa situazione maturarono nella chiusa
del decennio due fattori nuovi destinati a influenzare notevolmente la
struttura della rete distributiva negli anni ottanta e novanta. Fu intuito in
primo luogo che sarebbe stato più proficuo internalizzare i nodi interme-
122
Alla ricerca di una nuova vocazione produttiva: gli anni settanta
di e più importanti della distribuzione, oltre che per le ragioni anzidette,
anche per giovarsi di un più vasto e sistematico afflusso alla direzione di
informazioni utili all’area della produzione in vista di possibili miglioramenti o sviluppi applicativi. Inoltre, strutture commerciali dirette avrebbero potuto essere attrezzate per fornire alla clientela servizi aggiuntivi di
assistenza e manutenzione. Nelle imprese servite dalla Chiorino, dalle
meccaniche alle alimentari, la rottura di un nastro trasportatore o l’insorgere di problemi di funzionamento in sistemi automatizzati potevano
comportare il blocco di un segmento del processo produttivo con il rischio
di generare perdite economicamente rilevanti. Molto spesso, quindi, dalla
capacità di effettuare tempestivi ed efficaci interventi di riparazione o
sostituzione poteva dipendere il mantenimento di un cliente o l’acquisizione di uno nuovo.
Alla comprensione dell’opportunità di modificare l’assetto della distribuzione contribuì un secondo fatto di rilievo, ossia l’esperimento fatto
nel 1977 con l’acquisto del controllo totalitario della Polymax Belting Ltd.
di Pudsey, in Gran Bretagna, azienda distributrice di nastri trasportatori e
cinghie di trasmissione sul mercato britannico e potenzialmente di tutto il
Commonwealth. Il titolare era colui che nel 1973-1974 aveva aiutato la
Chiorino a sviluppare i nastri e che in seguito era divenuto un importante
acquirente di prodotti semifiniti, rivenduti previo compimento delle ultime fasi di lavorazione, la così detta confezione, finalizzata ad adattare il
prodotto semifinito alle specifiche esigenze del cliente. Gli stretti rapporti
di Biella con la società inglese già nel 1975 erano evoluti nella forma di una
partecipazione al capitale. Il rilievo dell’intero pacchetto di quote, ancorché
rimanesse un episodio isolato negli anni settanta, segnò l’inizio di un altro
processo di apprendimento, di carattere organizzativo e manageriale questa
volta, che nell’ultimo ventennio del secolo avrebbe portato alla costruzione
di un’estesa rete di partecipazioni estere dirette.
Si è detto all’inizio di questo paragrafo che gli anni settanta si caratterizzarono, oltre che per le innovazioni tecnologiche e dell’organizzazione
commerciale, anche per il compimento della successione imprenditoriale. Il
processo, nevralgico e delicatissimo come in ogni impresa familiare, ebbe
luogo secondo modalità in buona misura non anticipate. L’impossibilità di
contare sulla figura di Gian Paolo, dotata di alta caratura tecnica, di grandi
123
2. Cuoio, gomma, plastica. Profilo di una metamorfosi, 1958-1982
capacità e di un certo carisma, aveva spiazzato i progetti e il tacito consenso
di Fulvio e Angelo. Le decisioni sui futuri assetti della governance d’impresa e su quale (o quali) degli esponenti della terza generazione fosse il più
indicato ad assumere responsabilità generali nei confronti della guida
imprenditoriale erano state da allora lasciate nel vago. Indubbiamente, ai
fini della successione il mutamento della forma societaria in società per azioni deciso nel 1975 rappresentò un passo importante82, preparando la strada
alla creazione di ambiti collegiali di definizione delle direttrici strategiche e
alla delega di responsabilità individuali nei confronti della gestione.
Tuttavia, almeno inizialmente, la distribuzione delle cariche all’interno del
consiglio di amministrazione, dove sedevano, insieme a Fulvio e Angelo,
anche Lorenzo, Gian Paolo, Luca e Gregorio83, non agevolò particolarmente
la dialettica dei ruoli interni con il risultato che l’individuazione del candidato alla successione rimase di fatto affidata a un processo di “selezione sul
campo”. Per quanto questo fatto appaia come una debolezza, una lacuna
della pianificazione successoria tutt’altro che esente dall’esporre la società a
un certo grado di rischio, vista in retrospettiva, alla luce del notevole sviluppo dei venti anni successivi, si rivela essere stata una strada efficace per
l’individuazione del candidato più idoneo. Pur rendendo forse più difficile
l’inserimento dei giovani in un contesto in cui, con l’avanzare dell’età, andavano affievolendosi le capacità della seconda generazione di impostare le
strategie di sviluppo dell’impresa e in cui l’incertezza sulle scelte tecnologiche e di prodotto generava un clima di relativa precarietà, ma al tempo stesso liberando le forze della competizione, la “selezione sul campo” creò le condizioni e aumentò lo spazio per il plasmarsi e l’emergere dei talenti e delle
attitudini personali. E non ci volle molto perché Gregorio Chiorino mostrasse di riunire in sé, in misura maggiore dei fratelli e dei cugini, le doti, le
capacità e la disponibilità a farsi carico di responsabilità generali che ne fecero il candidato naturale ad assumere la guida dell’impresa, cosa che di fatto
avvenne anche formalmente alla fine del 1982 con la nomina a presidente e
amministratore delegato della Chiorino S.p.A.
82
In quell’occasione la ragione sociale divenne semplicemente “Chiorino S.p.A.”.
Fulvio presiedette il consiglio sin dalla trasformazione in società per azioni, mentre Lorenzo,
Gian Paolo, Luca e Gregorio erano amministratori delegati, Angelo vicepresidente.
83
124
Il logo aziendale negli anni sessanta e settanta. Vi compaiono, simbolicamente raffigurati, i materiali trattati dall’azienda: il cuoio, rappresentato da una pelle, e i prodotti sintetici rappresentati da
un legame molecolare.
125
Linee di splamatura per nastri trasportatori.
126
3.
Biella, L’Europa, il mondo.
Un nuovo ciclo di sviluppo e modernizzazione, 1983-2005
Gli anni settanta furono, come si è visto nel capitolo precedente, un
periodo di travaglio costruttivo, denso di apprendimenti, nel quale furono
affrontate e risolte con successo due questioni vitali per la continuità dell’impresa: il riposizionamento su mercati diversi dal tessile, con buone prospettive di crescita e a maggiore valore aggiunto, in seguito all’introduzione di una gamma di prodotti a più elevato contenuto tecnologico, e il compimento del passaggio generazionale con il conferimento della guida
imprenditoriale a Gregorio Chiorino. Un ciclo consistente di investimenti
realizzato tra il 1979 e i primi anni ottanta sanzionò la conclusione della
fase più acuta della transizione, razionalizzò gli assetti produttivi e pose le
basi per una nuova stagione di sviluppo. Le intuizioni del decennio precedente in materia di organizzazione commerciale e di potenzialità dei mercati esteri poterono essere sfruttate in tutta la loro portata nel quadro di una
strategia di crescita unitaria e coerente. Nel volgere di due decenni la
Chiorino si trasformò dunque di nuovo, evolvendo in un gruppo multinazionale oggi presente in otto paesi in Europa, Stati Uniti, Asia e Australia,
forte di oltre seicento dipendenti e di un fatturato aggregato di oltre 85
milioni di euro, uno dei leader mondiali nella produzione di nastri trasportatori e cinghie di trasmissione, significativamente aggiornato sotto il
profilo della gestione, modernamente sensibile ai temi della qualità, della
sostenibilità dell’impatto ambientale e della comunicazione. Rispetto alla
profondità di questa trasformazione, relativamente minore fu quella che
interessò gli assetti organizzativi interni e le strutture di governance.
Tuttavia, anche in questo campo il ricambio generazionale si è accompagnato all’affermazione di una sensibilità diversa e di una maggiore disponibilità, incamminando la struttura aziendale verso la definizione di una
più evoluta articolazione e di una più chiara e organica identificazione di
ruoli e funzioni, propedeutica al conseguimento di guadagni di efficienza
nei processi interni e, in ultima istanza, ad aumentare le capacità innovative, di adattamento e di proposta nei confronti del mercato.
127
3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005
Assestamento e sviluppo di nuove linee di prodotto
L’individuazione nel corso degli anni settanta dei nastri trasportatori e delle cinghie di trasmissione come prodotti su cui fare principalmente assegnamento per lo sviluppo futuro dell’impresa fu una scelta che si
rivelò molto ben centrata. Ancora oggi, infatti, sono questi i prodotti che
fanno della Chiorino uno dei primi produttori al mondo e ai quali l’immagine dell’azienda si lega nel modo più riconoscibile. Accanto a nastri e
cinghie un’altra famiglia di prodotti erede delle innovazioni introdotte
negli anni sessanta e tuttora fonte di una quota consistente del fatturato
sono gli articoli in gomma. Nei trent’anni che sono trascorsi gli sforzi
della produzione e delle attività di ricerca e sviluppo si sono concentrati
in larga misura nel perfezionamento del prodotto e delle tecnologie appropriate, tanto di prodotto che di processo. In termini generali le discontinuità principali in questo periodo furono rappresentate dagli impianti di
spalmatura e accoppiamento acquistati tra il 1980 e il 1981 per la produzione di nastri in resina plastica attraverso un procedimento di spalmatura, e le calandre introdotte nella seconda metà degli anni novanta. Con il
primo intervento si dava un assetto coerente a una produzione che fino a
quel momento era stata condotta adattando e utilizzando macchinario
acquistato per finalità differenti, ponendo le basi per il pieno sfruttamento di tutte le conoscenze tecnologiche in fatto di nastri accumulate negli
anni settanta e per il loro ulteriore incremento. Nel secondo caso si introduceva una tecnologia differente, quella della calandratura, utile a produrre pur sempre lo stesso genere di prodotti con procedimenti e con esiti,
tuttavia, di maggiore sofisticazione, tali da potenziare la flessibilità produttiva e ampliare la gamma delle applicazioni.
Per comprendere meglio gli sviluppi di questi anni e soprattutto
per formarsi un’idea della complessità sottostante ai processi di fabbricazione è opportuno fare delle precisazioni. La prima riguarda il concetto di
“prodotto” e la distinzione tra “prodotto” e “applicazione” all’interno di
una realtà produttiva altamente specializzata quale la Chiorino è sempre
stata sin dalle origini. All’opposto di quanto solitamente accade nelle produzioni di serie, il termine “prodotto” ha un significato relativamente
generico fino a quando non è declinato in un’applicazione specifica, ossia
per un uso determinato, su una macchina determinata, per il trattamento
128
Assestamento e sviluppo di nuove linee di prodotto
di oggetti determinati con sostanze altrettanto determinate e in ambienti
dalle caratteristiche chimiche e fisiche ben precise. Dipende infatti dall’insieme di queste specifiche destinazioni applicative se il nastro trasportatore, per esempio, è costruito con un’anima tessile di un certo materiale, se la sua copertura è in gomma o in poliuretano, se è liscio o con una
superficie a elevato coefficiente di attrito, se è atto a resistere ad alte temperature o all’azione corrosiva di acidi e oli, se è profilato o meno. Né sempre le variegate esigenze di una clientela appartenente a un grande numero di settori industriali si traducono, o si sono tradotte, in interventi di
modifica del prodotto di poco conto, anche perché, per rimanere nell’ambito dell’esempio appena fatto, la sostituzione di un tessuto a un altro
nella fabbricazione di un nastro è molto spesso suscettibile di implicazioni importanti sui procedimenti di accoppiamento. Esse hanno pertanto
regolarmente alimentato l’attività dei laboratori di ricerca e sperimentazione aziendali e non di rado sollecitato lo studio e l’adozione di interventi di modifica o temporaneo adattamento dei processi di fabbricazione.
Generando ogni volta nuovi apprendimenti tecnici e, possibilmente,
miglioramenti incrementali.
Un secondo aspetto tutt’altro che secondario e che pure è connaturato all’essenza di un’impresa a “specializzazione flessibile” è la compresenza all’interno degli assetti produttivi di diverse tecnologie di prodotto
e di processo, tali da consentire di differenziare e modulare l’offerta in
modo da assecondare con i minori costi possibili una domanda spesso
molto frazionata e mutevole. Una caratteristica, questa, con rilevanti
implicazioni non solo per gli assetti produttivi medesimi, ma anche per
quelli organizzativi e gestionali.
Alla luce di queste considerazioni riesce forse meglio comprensibile
come l’ampliamento della gamma di prodotti entrati a fare parte del catalogo aziendale nel corso degli anni ottanta e novanta abbia dovuto poggiare sul presupposto di un continuo processo di apprendimento e accumulo di competenze a tutto campo, dall’ambito tecnico a quelli dell’organizzazione e della gestione, svoltosi in parallelo con l’evoluzione tanto dei
prodotti intermedi chimici utilizzati come materie prime, quanto dei
bisogni applicativi del mercato.
Prima di accennare ai prodotti, tuttavia, è opportuno uno sguardo
complessivo alla traiettoria compiuta dagli assetti produttivi. L’azienda,
129
3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005
che alla fine degli anni settanta produceva ancora manufatti in cuoio a partire dalle pelli grezze, cominciò negli anni ottanta un progressivo disinvestimento in questo ramo, dapprima cessando le lavorazioni umide, ossia la
concia, segmento oneroso in termini di consumo di manodopera e dal
valore aggiunto relativamente contenuto, e successivamente, nella seconda metà del decennio, dismettendo anche il reparto di manifattura di articoli in cuoio, la così detta “Selleria 2”. Con un processo più graduale nel
tempo, ma contestuale, il reparto per la lavorazione di nastri e cinghie
divenne preponderante, come preponderante era già divenuto il suo apporto al fatturato a partire dal 1982 (vedi grafico 3). Una caratteristica distintiva all’interno di queste trasformazioni, che è stata conservata e che rappresenta un tratto di lungo periodo che accomuna la Chiorino all’antica
Conceria, è lo svolgimento del ciclo integrale della produzione, il quale
consiste oggi nel trattamento della materia prima plastica nella forma di
granuli o polvere, nella formazione di “rotoli” e nel confezionamento finale di nastri e cinghie in forma di “anelli” pronti per l’installazione.
Grafico 3. Composizione del fatturato, 1981-1995 (dati percentuali)
100%
80%
60%
40%
20%
cuoio
gomma
1995
1994
1993
1992
1991
1990
1989
1988
1987
1986
1985
1984
1983
1982
1981
0%
nastri e cinghie
Venendo finalmente ai prodotti, gli elementi più rilevanti dell’evoluzione sono il relativo assestamento delle tecnologie e l’ampliamento
della gamma. Con riferimento ai nastri trasportatori la copertura esterna
130
Assestamento e sviluppo di nuove linee di prodotto
in gomma con cui erano stati inizialmente fabbricati lasciò campo a materiali plastici (pvc e poliuretani) che, oltre a essere generalmente più versatili sotto il profilo applicativo e perciò più domandati, avevano il vantaggio
di presentare problemi molto minori in termini di formulazione o di non
presentarne affatto e, nel caso del pvc, di essere meno costosi. Proprio quest’ultima ragione orientò in misura prevalente e per buona parte del periodo la produzione, in risposta a una netta preferenza del mercato. Il poliuretano, per parte sua, in ragione del prezzo unitario elevato, fin da principio
era stato utilizzato soprattutto per applicazioni che non potevano prescindere da determinate caratteristiche chimiche (l’atossicità in particolare), ma
nel corso degli anni novanta ha conquistato margini crescenti di mercato sia
per le intrinseche qualità, sia per la maggiore versatilità applicativa, risultata peraltro accresciuta dall’utilizzo dei procedimenti di calandratura, sia per
il minore impatto ambientale. Un ulteriore tipo di copertura entrata nella
gamma è quella al silicone. Anche per quanto riguarda i tessuti di sostegno,
ovvero le armature interne, lo spettro è stato notevolmente ampliato. Al
poliammide (nylon) si sono affiancati il poliestere, la fibra aramidica e il
cotone, ciascuno portatore di proprie specifiche tecnologie di lavorazione. In
aggiunta alla spalmatura, che è stato per un quindicennio il principale processo di fabbricazione utilizzato per i nastri trasportatori, si sono sviluppati
e perfezionati il metodo della calandratura e dell’accoppiamento. Notevole
è stato anche il lavoro compiuto per soddisfare diverse esigenze in fatto di
qualità chimiche e fisiche: dal grado di conduttività alla conformità alle normative regolanti la produzione alimentare, dalla resistenza all’azione di
sostanze chimiche a quella delle deformazioni fisico-meccaniche, dalla capacità di sostenere temperature elevate alla capacità di assorbire il rumore,
dalle caratteristiche antifiamma a quelle antifumo.
La crescente automazione degli impianti produttivi messa in atto a
partire dagli anni ottanta in numerosi ambiti industriali ha continuamente alimentato la domanda di nastri per il trasporto e l’avanzamento dei
prodotti attraverso le diverse fasi del ciclo di lavorazione, con il risultato
che oggi il ventaglio di settori serviti include una grande varietà di comparti. La distribuzione commerciale media e grande, l’industria alimentare (articolata nei comparti molitorio, della panificazione e dei prodotti da
forno, dolciario, delle bevande, della lavorazione delle carni e del trattamento dei prodotti ortofrutticoli), l’industria dell’imballaggio e del con-
131
3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005
fezionamento, quella cartaria, cartotecnica e delle arte grafiche, l’industria meccanica, metallurgica e automobilistica, quella tessile, quella
conciaria, quella della ceramica, dei laterizi e del vetro, quella delle
attrezzature sportive, quella della movimentazione e della logistica industriale, dell’automazione postale e del trasporto dei bagagli negli impianti aeroportuali.
Un discorso analogo di diversificazione e ampliamento di gamma
può essere fatto per le cinghie di trasmissione, oggi costruite con elementi
interni di trazione in nylon poliammide, in poliestere e in fibra aramidica
e con coperture esterne in diversi tipi di poliuretano e di elastomeri.
Insieme a cinghie piane altri articoli per la trasmissione di potenza includono cinghie tonde e una varietà di manicotti. Sebbene gli usi siano naturalmente diversi, i comparti utilizzatori di questi prodotti coincidono in
larga misura con quelli che impiegano i nastri trasportatori.
Negli ultimi anni l’attività di ricerca e sviluppo si è concentrata
nello studio e realizzazione di nuove soluzioni applicative, sempre più frequentemente utilizzanti resine poliuretaniche, destinate all’impiego nel
campo della nautica, della protezione da fumi e da agenti chimici e batteriologici, del rivestimento di interni, della verniciatura.
Molte delle nuove applicazioni in poliuretano sono realizzate grazie
alle competenze sviluppate nella produzione di film calandrati particolarmente sottili84 (l’Ecofilm Elastar dal nome del marchio registrato), il cui
potenziale di sviluppo si presenta molto vasto, dall’abbigliamento ai serbatoi gonfiabili, dal settore medicale e paramedicale all’industria calzaturiera, della pelletteria e dell’arredamento, e resta in larga parte ancora da
sfruttare industrialmente.
Un riconoscimento senza dubbio importante dell’interesse ricoperto dalla ricerca in campo applicativo condotta nei laboratori dell’impresa
è stata la concessione nel 2001 di un finanziamento da parte del Ministero
per l’Università e la ricerca scientifica.
84
Lo spessore varia tra i 30 micron e i 4 mm.
132
Esempi applicativi di nastri trasportatori:
1. linee di produzione biscotti
2. camminatoio
133
Esempi applicativi di nastri trasportatori:
1. check-in e smistamento bagagli in aeroporto
2. banco cassa di un supermercato
134
3. Biella, L’Europa, il mondo. 1983-2005
Verso nuove fisionomie organizzative
Uno degli aspetti quantitativamente più vistosi dello sviluppo dell’impresa negli ultimi venti anni del Novecento è l’aumento della forza
lavoro occupata. Alla fine del 2004 gli occupati a livello di gruppo, che
nel 1980 erano circa 160, erano saliti a 620, quasi quattro volte tanto.
Limitando lo sguardo ai dipendenti diretti della Chiorino S.p.A., nello
stesso arco temporale i numeri passano da 139 a 299, dunque più che raddoppiano. Queste consistenti variazioni si accompagnarono a una relativa
evoluzione della struttura organizzativa dell’impresa accelerando un processo che aveva manifestato deboli segni di natura per lo più qualitativa
nella seconda metà degli anni sessanta e che aveva ricevuto una spinta
decisiva solo negli anni settanta. Ancora una volta, furono le innovazioni
introdotte nei processi produttivi dallo sviluppo dei nastri trasportatori a
modellare la fisionomia di questa trasformazione, di cui si cercherà ora di
delineare i tratti.
Sotto il profilo cronologico gli aumenti più consistenti della forza
lavoro occupata si verificarono nella seconda metà degli anni ottanta e di
nuovo a partire dalla metà degli anni novanta (vedi tabella 12), in sostanziale coincidenza con i principali cicli di espansione della domanda nazionale e internazionale e, concordemente, del fatturato. Tra il 1985 e il 1989
l’aumento fu del 34% (da 153 a 205) mentre fu del 33% tra 1993 e 1997
(da 218 a 290). Distinguendo tra operai e impiegati, si ottiene che nei
venticinque anni compresi tra 1980 e 2004 i primi crebbero del 70% a
fronte di una crescita dei secondi pari al 250%, dando luogo a una cospicua differenza che, sebbene risulti attenuata a livello di gruppo, costituisce un indice inequivocabile della trasformazione delle strutture interne.
Questa dinamica fortemente differenziata incise sull’organizzazione
complessiva oltre che in termini numerici anche qualitativamente, complicando la struttura ereditata dagli anni sessanta e settanta, che di fatto a
sua volta riproduceva quasi intatto il modello dell’immediato dopoguerra.
Quest’ultimo si basava essenzialmente su una catena gerarchica molto
corta: al vertice i titolari, investiti della guida imprenditoriale, dopo di
loro gli esponenti della generazione più giovane con funzioni direttive,
quindi i capi reparto, fondamentalmente provenienti dai ranghi operai
135
3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005
attraverso un processo di selezione interno, sotto ancora la manodopera
con le proprie qualifiche e stratificazioni. Negli anni sessanta e settanta il
principale cambiamento aveva riguardato la sostituzione dei capi reparto
con figure di estrazione tecnica, dotati di una istruzione professionale formale e assunti appositamente per coprire ruoli di responsabilità.
Tabella 12. Composizione della forza lavoro addetta, 1981-2004
Operai
Impiegati
Var %
1981
1982
1983
1984
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
110
106
111
119
113
120
123
128
145
152
155
153
154
167
188
190
206
196
192
207
208
201
199
201
-6,8
-3,6
4,7
7,2
-5,0
6,2
2,5
4,1
13,3
4,8
2,0
-1,3
0,7
8,4
12,6
1,1
8,4
-4,9
-2,0
7,8
0,5
-3,4
-1,0
1,0
Totale
Var %
29
30
34
39
40
42
39
61
60
56
59
63
64
71
72
76
84
85
91
95
99
99
99
98
3,6
3,4
13,3
14,7
2,6
5,0
-7,1
56,4
-1,6
-6,7
5,4
6,8
1,6
10,9
1,4
5,6
10,5
1,2
7,1
4,4
4,2
0,0
0,0
-1,0
Var %
139
136
145
158
153
162
162
189
205
208
214
216
218
238
260
266
290
281
283
302
307
300
298
299
-4,8
-2,2
6,6
9,0
-3,2
5,9
0,0
16,7
8,5
1,5
2,9
0,9
0,9
9,2
9,2
2,3
9,0
-3,1
0,7
6,7
1,7
-2,3
-0,7
0,3
Erano, per intendersi, i signori Silvio Peraldo, perito meccanico capo
reparto della “Selleria 1”, Cesare Garella, capo reparto delle lavorazioni in
gomma, e Giorgio Borri, responsabile della sezione nastri e cinghie, sebbene, come si è visto, il suo ingresso alla Chiorino fosse stato inizialmente pensato con destinazione all’area commerciale. A quell’epoca il capo
reparto occupava ancora una posizione centrale nell’organizzazione di fabbrica. Ricadevano su di lui le responsabilità più immediate nella gestione
136
Verso nuove fisionomie organizzative
della produzione, era lui a sovrintendere allo stato di manutenzione delle
macchine, a intuire le modifiche opportune, a studiare le attrezzature, a
seguire il personale e a promuoverne le carriere interne, a curarsi dell’organizzazione del lavoro e della distribuzione dei carichi.
L’introduzione dei nastri trasportatori rivoluzionò questo assetto a partire dal semplice fatto che il segmento principale della produzione avveniva
su macchine che sfornavano rotoli attraverso un processo di lavorazione in
continuo. Il fabbisogno di manodopera si ridusse allora e si spostò in misura
più consistente sulle fasi di confezionamento. Nel complesso, comunque,
diminuì85. Inoltre, mano a mano che le produzioni in gomma e in resine plastiche acquistarono rilevanza rispetto a quelle in cuoio, rivolte prevalentemente al settore tessile e di carattere labour intensive, calò parallelamente
anche la forza lavoro operaia. E tuttavia in un altro e più significativo modo
il peso crescente degli articoli basati sui nuovi materiali influenzò le strutture e l’organizzazione della produzione. Essi resero infatti centrale il ruolo del
laboratorio, il quale, sia pure attraverso un percorso di diversi anni, si installò nel cuore dello schema funzionale del processo produttivo. Era in esso che
veniva svolta la ricerca sulle applicazioni e che gli articoli venivano fabbricati in via sperimentale e poi testati fino a che fosse raggiunta una soddisfacente conformità ai requisiti stabiliti a monte dagli standard qualitativi del mercato o dalle esigenze specifiche del cliente. Finito il ciclo di lavorazione industriale, inoltre, i prodotti tornavano al laboratorio per le verifiche di qualità.
Venne dunque profilandosi una sempre più netta demarcazione logica tra la
funzione della produzione e quelle di ricerca e sviluppo e di controllo di qualità assegnate al laboratorio ed essa finì per imporsi, oltre che nella realtà quotidiana della fabbrica, anche negli organigrammi aziendali.
Come si è detto, occorse però del tempo prima di arrivare a un simile risultato. Inizialmente, nel primo laboratorio aziendale organizzato da
Fulvio per le ricerche finalizzate alla produzione di tacchetti in plastica,
ancora negli anni cinquanta, il solo a lavorarvi era il dottor Nino Serratrice,
un consulente esterno laureato in chimica. Lo stesso era accaduto negli anni
85 Poiché le lavorazioni finali sono allocate essenzialmente alle unità periferiche, per lo più estere
e comunque costituite in società giuridicamente indipendenti dalla Chiorino S.p.A., è questo il
motivo che spiega, almeno in parte, la forte prevalenza del numero degli impiegati su quello gli
operai in base ai dati relativi alla sola Chiorino S.p.A.
137
3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005
dell’introduzione della gomma, quando il laboratorio creato da Gian Paolo
con il concorso di un altro consulente esterno, lavorava solo pochi giorni alla
settimana e senza altro personale. La situazione si modificò sul finire degli
anni sessanta quando Luca assunse la direzione del reparto gomma e più
ancora negli anni settanta, quando lo sviluppo dei primi nastri e delle prime
cinghie impartì sollecitazioni molto consistenti alle attività di sperimentazione. Fu tuttavia solo negli anni ottanta che il laboratorio gomma fu completamente ristrutturato, quando, cioè, fu raggiunta la piena certezza non
solo che i costi potessero essere ampiamente ammortizzati, ma che fosse
prioritario investire in ricerca e sviluppo per mantenere le posizioni di mercato acquisite di fronte a una concorrenza estera che sotto questo profilo
risultava molto ben strutturata e vantava almeno un decennio di vantaggio.
Allora il laboratorio gomma fu ampliato in modo consistente e dotato di
personale dedicato. A un esito analogo si giunse alla metà degli anni novanta con l’integrale ristrutturazione del preesistente laboratorio per le materie
plastiche creato all’inizio degli anni ottanta, ora equipaggiato con macchine
altamente sofisticate per lo studio del comportamento reologico dei materiali, costruito sotto la consulenza tecnica di uno specialista del settore, dotato anch’esso di un proprio stabile staff guidato da Giorgio Borri. A questo
punto la situazione fu matura per cominciare a considerare, oltre che nei
fatti, anche sulla carta, ossia negli schemi organizzativi, la funzione produttiva come una “variabile dipendente”, subordinata alla progettazione.
Queste innovazioni nell’organizzazione produttiva originate dal
cambiamento tecnologico ebbero evidentemente un impatto sull’evoluzione della composizione della forza lavoro, contribuendo al ridimensionamento della consistenza numerica degli operai a favore di quella degli
impiegati. Ma anche un altro risvolto indotto da quel cambiamento agì
nella medesima direzione. La nuova gamma di articoli, infatti, si ampliò
progressivamente fino a raggiungere un’estensione molto maggiore di
quella che formava in precedenza il catalogo aziendale e alla diversificazione della gamma e dei mercati serviti, al crescere della specializzazione
del prodotto, crebbe la frammentazione della clientela. Ed essa si moltiplicò in parallelo all’espansione del fatturato, notevolissima negli anni settanta e proseguita ininterrotta nei due decenni successivi86. Un dato,
86
Dell’andamento del fatturato negli anni ottanta e novanta si dirà nel prossimo paragrafo.
138
Verso nuove fisionomie organizzative
ancorché odierno, dà un’idea della rilevanza del fenomeno che cominciò
allora a svilupparsi: nel 2004 il gruppo ha emesso nell’insieme un totale
di oltre 76.700 fatture per poco meno di 216.600 righe d’ordine. Va da sé
che la gestione di una massa di questa entità richiede necessariamente una
schiera nutrita di personale amministrativo e tecnico addetto alla gestione degli ordini e al disbrigo della relativa corrispondenza.
All’infoltirsi e al lento strutturarsi dei ranghi intermedi della gerarchia aziendale più prossimi alla realtà produttiva, un processo che avvenne nei fatti molto prima di trovare coerente codificazione in un organigramma ufficiale, fece pendant una ristrutturazione rilevante della rete di
vendita, largamente contestuale alla trasformazione dell’impresa in un
gruppo multinazionale. Mentre di questo si dirà nel prossimo paragrafo,
preme qui sottolineare un processo di razionalizzazione dell’architettura
generale della produzione soggiacente agli sviluppi dell’organizzazione
commerciale. Si allude alla sempre più marcata distinzione logistica e funzionale tra la preparazione del prodotto semifinito, i rotoli di nastri e cinghie, e le fasi finali della lavorazione consistenti nella confezione. Sebbene
rappresenti un segmento relativamente leggero della produzione, in quanto è eseguita più con il contributo della manodopera che con il supporto
di macchinari a elevata intensità di capitale, la confezione si articola in un
complesso di una o più operazioni che includono il taglio, la spaccatura,
la smussatura, la fustellatura, la pressatura, la rifilatura, il giunzionamento e l’eventuale aggiunta di profili, bordi o guide. Essa è cruciale in quanto concentra un’elevata percentuale degli interventi di “personalizzazione”
del prodotto in base alle richieste specifiche della clientela. Inoltre, disponendo di addetti specializzati, è contigua e propedeutica all’erogazione dei
servizi di installazione e assistenza post vendita che formano un tassello
essenziale della strategia commerciale. Per usare un’efficace metafora
coniata dalla proprietà, la confezione equivale all’opera del sarto, che produce un abito su misura per il cliente utilizzando il tessuto fabbricato a
Biella nelle fasi di lavorazione a monte. Nel corso degli anni ottanta e
novanta, parallelamente alla creazione del gruppo, si è stabilita una divisione del lavoro tra lo stabilimento di Biella, produttore dei semilavorati,
e la rete periferica nel resto d’Italia e all’estero, in base alla quale le operazioni di confezione sono demandate integralmente a quest’ultima. Non fa
139
Presse per la chiusura ad anello dei nastri trasportatori nella fase di confezionamento del prodotto.
140
Verso nuove fisionomie organizzative
eccezione a questa architettura generale il nuovo stabilimento di Biella
Sud, finito di costruire nel 2001, dove si eseguono la confezione e le personalizzazioni.
In aggiunta, una specifica divisione aziendale, detta di engineering, è
stata creata per progettare e fare costruire da fornitori specializzati tutta
l’attrezzatura necessaria a eseguire le fasi finali di lavorazione. L’utilizzo di
questa strumentazione “proprietaria”, fornita in dotazione a tutte le società affiliate, pone ogni nodo “interno” della rete mondiale di distribuzione
nelle condizioni di lavorare allo stesso modo e garantisce così alla clientela in ogni parte del mondo un identico standard di qualità del prodotto.
Tali forme di razionalizzazione e standardizzazione, è il caso di notare,
hanno riflessi positivi su molti aspetti organizzativi, facilitano la gestione
dei magazzini e degli interventi di assistenza e consentono l’adozione di
politiche di marketing unitarie e uniformi a livello di gruppo.
Sotto altri profili, ma pur sempre sintomo della volontà di modernizzare le strutture interne e capace in prospettiva di incidere significativamente sull’organizzazione complessiva, è la realizzazione avviata nel
2002 di un sistema informativo integrato Erp di controllo di gestione progettato per collegare tutte le società facenti parte del gruppo.
Tornando all’organigramma, una parola merita di essere spesa in merito alla relazione che lo collega alla struttura di governance. Come in molte
imprese familiari, anche nella Chiorino la proprietà si è assunta storicamente
tutte le maggiori responsabilità inerenti alla gestione, da quelle imprenditoriali di definizione delle linee strategiche a quelle di direzione operativa. Se
fino agli anni cinquanta la relativa semplicità e la bassa articolazione della
struttura produttiva avevano reso oziosa l’ipotesi di delegare funzioni che la
prima e la seconda generazione allora alla guida erano in grado di assolvere
senza alcun bisogno di supporti esterni, la fase di trasformazione inaugurata
negli anni sessanta modificò la situazione. La strada dell’innovazione e del
cambiamento tecnologico sollecitarono l’acquisizione di nuove conoscenze
sempre più specializzate, moltiplicarono e complicarono i processi interni
esercitando pressione sulle risorse provenienti dai ranghi familiari, specialmente dopo il venire meno delle competenze ingegneristiche. Se la seconda
generazione era per formazione lontana dal concepire l’attribuzione di ruoli
di rilievo manageriale a persone provenienti dall’esterno, la terza ebbe meno
141
3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005
pregiudizi e aprì varchi alla crescita professionale di figure allevate in azienda87 cui furono delegate responsabilità sempre più ampie fino a investire il
rango dirigenziale. Questo avvenne per un certo tempo in modo relativamente informale e nel contesto di strutture poco articolate, anche perché le
principali energie furono a lungo indirizzate su obiettivi ritenuti prioritari
rispetto alla definizione degli organigrammi interni. All’assenza di questi
supplirono l’understatement, la dedizione e la versatilità delle persone. Al culmine di una lunga stagione di crescita e nel momento in cui la quarta generazione si affaccia sulla scena aziendale, tuttavia, la situazione è in corso di
mutamento e l’attenzione della direzione è concentrata nel disegno di una
struttura interna coerentemente articolata, governata dal principio della delega e dell’individuazione della responsabilità, basata sulla valorizzazione delle
competenze specifiche. Un disegno che abbraccia organicamente tutte le funzioni aziendali, finalizzato al perseguimento di maggiore efficienza nei processi interni e, in definitiva, a potenziare le capacità innovative, di adattamento e di proposta nei confronti del mercato.
Dall’internazionalizzazione alla multinazionalizzazione
La trasformazione dell’impresa in un gruppo multinazionale iniziata
negli anni settanta e realizzata compiutamente negli anni ottanta e novanta
è senz’altro uno dei fenomeni più caratterizzanti della strategia imprenditoriale di questo periodo. La capacità dell’azienda di penetrare i mercati esteri e di operare con proprie strutture dirette in una molteplicità di paesi fece
leva in misura decisiva sul vasto potenziale schiuso ai suoi orizzonti dalle
innovazioni di prodotto e di mercato settoriale di riferimento introdotte
negli anni settanta. Il riposizionamento su segmenti della domanda a maggiore contenuto tecnologico e a maggiore specializzazione, su mercati del
prodotto sempre più di nicchia, rese al tempo stesso possibile e necessaria
anche una maggiore diversificazione dei mercati geografici.
In questa prospettiva, sin dagli anni settanta si collocano su sfondi posti
a diversa profondità rispetto alle vicende dell’impresa l’avanzamento dei pro-
87
Il riferimento è soprattutto a Cesare Garella e Giorgio Borri.
142
Dall’internazionalizzazione alla multinazionalizzazione
cessi di integrazione regionale, i vasti mutamenti strutturali avvenuti nella geografia dell’economia internazionale e il secondo fenomeno di globalizzazione
del Novecento. Tutti concorrendo a modificare, con maggiore o minore intensità a seconda di tempi e circostanze, il quadro di vincoli, sfide e opportunità in
cui la Chiorino operava. Si stagliano in primo luogo l’estensione nel 1972 dell’area di libero scambio europea ai paesi dell’European Free Trade Association88,
il graduale allargamento della Comunità con l’ingresso di Gran Bretagna,
Irlanda e Danimarca (1973), Grecia (1981), Spagna e Portogallo (1986), fino
all’Europa a quindici (1995) e a venticinque (2004). Vi figura, in secondo
luogo, il peso enorme che il continente asiatico venne guadagnandosi sulla
scena economica mondiale con l’emergere delle economie del Sudest negli anni
settanta e ottanta e più recentemente della Cina e dell’India. Più ancora spicca
il contesto favorevole all’espansione multinazionale determinato negli anni
novanta dalla liberalizzazione degli scambi commerciali attraverso accordi multilaterali, dalla deregolamentazione dei movimenti dei capitali e dalla progressiva integrazione dei mercati finanziari, fatti e sviluppi che, sospinti dall’ondata di innovazioni tecnologiche realizzate a partire dagli anni ottanta, e specialmente quelle relative all’informatica e alle telecomunicazioni, hanno favorito
immensi flussi di investimenti esteri diretti e straordinariamente stimolato la
crescita della produzione e del commercio mondiale nell’ultimo decennio.
Per la Chiorino l’espansione della quota di fatturato realizzato all’estero era divenuta una realtà di entità apprezzabile a partire dalla seconda
metà degli anni sessanta e negli anni settanta era cresciuta a un ritmo
straordinariamente intenso fino ad attestarsi intorno al 50% del valore
delle vendite. Questa accelerazione, forte di un tasso di crescita composto
del 17,81% annuo89, aveva segnato una discontinuità di grande rilievo
rispetto al passato. Essa era avvenuta nel solco della crescita delle esportazioni di manufatti industriali italiani, che nel decennio 1971-1980 erano
progredite a un tasso composto del 6,97%90, beneficiando dei vantaggi
competitivi derivanti dalle politiche economiche adottate dal governo nel
movimentato contesto internazionale, scosso dalla fine del sistema dei
88
Si tratta di Gran Bretagna, Svezia, Norvegia, Danimarca, Svizzera, Austria e Portogallo.
Ci si riferisce ai valori espressi in lire 2004.
90 Dato tratto da elaborazioni delle statistiche dell’Ocse per il periodo 1960-1998.
89
143
3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005
cambi fissi e dalla prima crisi petrolifera. La politica del cambio attuata
dalle autorità monetarie a partire dalla fluttuazione della lira nei primi
mesi del 1973, in particolare, aveva permesso di conservare discreti margini di competitività ai produttori nazionali pure a fronte del sensibile
incremento del costo del lavoro originato dalla stagione di lotte sindacali
apertasi nel 1969, dell’aumento del costo delle materie prime in generale
e della lievitazione del costo del denaro. Più specificamente, il perseguimento di un rapporto di cambio della lira più stabile nei confronti del dollaro che del marco tedesco (la così detta “svalutazione differenziata”) aveva
permesso di rendere meno onerose le importazioni, pagate prevalentemente nella valuta statunitense, e più competitive le esportazioni, maggioritariamente dirette verso i mercati europei91.
Il processo di sviluppo delle vendite all’estero dell’impresa continuò
ininterrotto negli ultimi vent’anni del secolo, sebbene a un ritmo di
espansione meno intenso. Come indica la tabella 13, negli anni ottanta si
dimostrò essere ancora una volta la componente del fatturato di gran lunga
più dinamica, con un tasso di crescita annuo composto pari all’11,5% a
fronte del 6,95% del fatturato complessivo e di appena l’1,1% del fatturato Italia. Nel 1990 le vendite sui mercati esteri erano pari a 2,66 volte
il valore del 1981 e superavano i due terzi del totale, un livello intorno al
quale si stabilizzarono anche nel decennio successivo92.
Tabella 13. Incidenza delle esportazioni sul fatturato, 1981-1990 (mil. di lire 2004)
1981
1982
1983
1984
1985
1986
1987
1988
1989
1990
Esportazioni
Variazione % annua
% del fatturato
Fatturato totale
12.351
10.016
13.012
17.316
18.257
22.454
24.382
27.264
29.985
32.906
-4,56
-18,90
29,91
33,07
5,44
22,99
8,59
11,82
9,98
9,74
46,65
37,59
53,28
56,10
56,04
61,11
64,15
64,99
66,33
67,87
26.474
26.645
24.420
30.865
32.576
36.744
38.007
41.951
45.208
48.485
91 Si veda in proposito A. Graziani, Lo sviluppo dell’economia italiana dalla ricostruzione alla moneta
europea, Torino, Bollati Boringhieri, 1998, pp. 123-125.
92 Tutti i dati si riferiscono a valori espressi in lire 2004.
144
Dall’internazionalizzazione alla multinazionalizzazione
Nel corso degli anni novanta (vedi tabella 14) la performance relativa delle due voci del fatturato si invertì e le vendite italiane crebbero nel
complesso a un ritmo (6,65% composto) di poco superiore di quelle estere (6,32%). Suddividendo il decennio in due sottoperiodi, tuttavia, si ha
che fu soprattutto nel quinquennio 1991-1995 che il mercato nazionale
mostrò un assorbimento maggiore di quello estero (14,63% contro il
9,97%), per recedere negli anni 1996-2000 su tassi di crescita inferiori e
decisamente contenuti (2,5% contro 8,75%).
Tabella 14. Incidenza delle esportazioni sul fatturato, 1991-2000 (mil. di lire 2004)
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
Esportazioni
Variazione % annua
% del fatturato
Fatturato totale
33.492
34.717
40.408
44.645
48.982
41.035
50.460
44.160
46.999
57.401
1,78
3,66
16,39
10,48
9,71
-16,22
22,97
-12,48
6,43
22,13
69,03
68,62
71,17
66,32
65,38
62,80
66,30
63,85
66,30
68,15
48.517
50.593
56.778
67.314
74.920
65.344
76.106
69.165
70.893
84.228
Dietro questi andamenti del fatturato, oltre alla “forza” intrinseca
dei nuovi prodotti, stava essenzialmente una strategia commerciale determinata e innovativa, maturata anche sulla scorta del primo esperimento
fatto con la filiale britannica. Negli anni settanta la rete di distribuzione
commerciale estera dell’azienda era affidata in nettissima prevalenza a distributori e agenti indipendenti plurimandatari, ossia non esclusivi.
L’esperienza della Polymax Belting Ltd a partire dal 1975, tuttavia, permise alla Chiorino di valutare concretamente i vantaggi e l’efficacia dell’internalizzazione di un nodo maggiore della propria distribuzione93.
Questa soluzione organizzativa fece, per così dire, scuola e nel corso degli
93
Come si è detto nel capitolo precedente, la Polymax Belting era passata sotto il completo controllo della Chiorino nel 1977. Essa rivendeva i nastri trasportatori e le cinghie di trasmissione prodotti a Biella, previo compimento delle ultime fasi di lavorazione. Cfr. supra p. 125. La società era
detentrice di un’esclusiva oltre che per la vendita anche per l’assistenza post vendita ed era organizzata con proprie reti e un certo numero di venditori diretti e di agenti esterni.
145
3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005
anni ottanta e novanta fu replicata in più paesi trasformando gradualmente l’impresa biellese in un’impresa multinazionale.
I vantaggi che la strategia imprenditoriale si riprometteva di ottenere da una rete di vendita interna controllata centralmente consistevano
nella possibilità di incentivare meglio i venditori, di prepararli sul piano
tecnico, di raccogliere un più consistente e puntuale flusso di informazioni sulle condizioni dei mercati, sulla performance dei prodotti e sui bisogni della clientela, di offrire servizi di manutenzione tempestivi e affidabili, di essere in tutti i modi, anche geograficamente, il più vicino possibile ai propri clienti finali.
Sulla spinta di due motivazioni di fondo, dunque, diversificazione dei
mercati geografici e internalizzazione della struttura di vendita, attenta al
mutevole presentarsi delle opportunità, nella prima metà degli anni ottanta
la Chiorino cominciò a investire un flusso crescente di risorse nella costruzione di una propria rete di distribuzione commerciale estera. Nel luglio
1983 fu creata a Wilmington (DE), negli Stati Uniti, la Chiorino Inc. L’anno
successivo fu la volta di Chiorino France, nella regione parigina. Nel 1985,
all’acquisto di una partecipazione di minoranza nel capitale di una società
sudafricana, la Precision Belting, si unì il potenziamento dell’affiliata francese, seguito nel 1986 da quello dell’affiliata statunitense. Nel 1988 furono
create una controllata spagnola, la Chiorino S.A. di Barcellona, e una nel
Sudest asiatico, la Chiorino Far East Pte Ltd di Singapore. In parallelo, nello
stesso anno si investirono risorse nuove nello sviluppo della società francese
e si aumentò la partecipazione nella collegata sudafricana.
Negli anni novanta il processo si intensificò lungo le stesse direttrici, ossia ampliando il numero delle partecipate e investendo nello sviluppo di alcune di quelle esistenti. Nel 1994 fu costituita la Chiorino
Benelux B.V., con sede a Utrecht; nel 1996 la Chiorino GmbH a
Kelkheim, in Germania, poi trasferitasi a Mainz nel 2005; nel 1998 la
Rob Harvey Pty Ltd di Brisbane, in Australia94; la Chiorino Sp.z. o.o. a
Bydgoszcz, in Polonia nel 1999; la Chiorino-K Ltd a Minsk, in
94 La Rob Harvey Pty era una società esistente nella quale Chiorino acquistò una partecipazione di
minoranza, salita fino al 50% del capitale nel 2001. Nel dicembre 2005 la società è stata acquisita al 100% e ha assunto la ragione sociale di Chiorino Australia Pty Ltd.
146
Dall’internazionalizzazione alla multinazionalizzazione
Bielorussia, nel 2001; la Chiorino Hungary Kft nel giugno 200595. Nei
mercati più promettenti le controllate costruirono in questi anni proprie
reti di vendita in taluni casi per coprire porzioni di territorio più vaste, in
altri per assicurare una penetrazione più capillare, talora articolandosi con
una propria struttura decentrata, come nel caso delle società britannica,
francese, spagnola, sudafricana e australiana, talaltra affidandosi ai servizi
di distributori indipendenti.
In definitiva, le aree coperte tutt’oggi dalla rete diretta sono prevalentemente dislocate in economie avanzate o emergenti e in economie che
solo poco tempo fa erano chiamate “in transizione” perché provenienti dal
disciolto Patto di Varsavia o dalla dissoluzione dell’Unione sovietica e che
oggi sono entrate nell’Unione europea o vi premono alle porte. Aree tutte,
queste ultime e quelle emergenti, che godono nel complesso di buone prospettive di crescita, avendo margini di una certa ampiezza da colmare nei
confronti del mondo più sviluppato. Includendo nel quadro i paesi dove
attualmente opera una rete di vendita indiretta, la geografia complessiva
della distribuzione conferma una presenza concentrata nel continente
europeo, affiancata da presidi di diversa entità nell’America centrale
(Messico) e meridionale (Argentina, Brasile, Colombia e Venezuela), in
India, in Turchia e in Medio Oriente (Arabia Saudita e Israele).
Come era stato sin dalle origini per la prima controllata estera in
Gran Bretagna, il tratto funzionale che accomuna i nodi “interni” della
rete, ossia le società che sono direttamente parte del gruppo, è di attendere, oltre che allo sviluppo delle relazioni commerciali, alle operazioni di
confezionamento del prodotto in modo da completarne la lavorazione
“tagliandolo su misura” delle esigenze del cliente e di attendere inoltre
all’espletamento di servizi di intervento, assistenza e manutenzione, che
formano un elemento qualificante e centrale della strategia commerciale.
Se le funzioni aziendali decentrate nel processo di multinazionalizzazione fin qui descritto riguardarono essenzialmente la distribuzione e le fasi finali del ciclo produttivo, è importante notare che negli anni novanta furono sperimentate anche forme diverse di presenza diretta sui mercati esteri. In particolare furono delocalizzati segmenti più ampi della produzione mediante la
95
L’affiliata ungherese nasce dal rilievo e successiva incorporazione del distributore locale.
147
CHIORINO VENETO s.r.l.
Colle Umberto (TV)
CHIORINO PARMA s.r.l.
Parma
CHIORINO U.K. Ltd.
Featherstone, Regno Unito
CHIORINO SAS
Parigi, Francia
148
CHIORINO S.A.
Barcellona, Spagna
CHIORINO BENELUX B.V.
Utrecht, Olanda
CHIORINO GmbH
Mainz, Germania
CHIORINO Sp.z. o.o.
Bydgoszc, Polonia
149
CHIORINO, INC.
Newark, U.S.A.
PRECISION BELTING (PTY) LTD
Westmead, Sud Africa
CHIORINO FAR EAST PTE. LTD
Singapore
CHIORINO AUSTRALIA PTY LTD
Brisbane, Australia
150
Dall’internazionalizzazione alla multinazionalizzazione
costituzione di joint ventures. Due furono le iniziative prese in questo senso. Il
primo caso riguardò la creazione nel 1990 di una società mista italo-cinese con
sede a Jinan, finalizzata alla produzione di cinghie piane gommate inestensibili da utilizzare soprattutto come elementi di trasmissione per macchinario
dell’industria tessile, filatoi e torcitoi in particolare. L’iniziativa era destinata a
cogliere l’enorme potenziale di sviluppo di una delle economie più dinamiche
al mondo e, al suo interno, di un mercato particolarmente promettente. La
Chiorino assunse una partecipazione del 20% al capitale, mentre il resto era
detenuto da partner locali pubblici. Proprio la natura pubblica dei soci cinesi,
del resto ancora la forma di proprietà di gran lunga prevalente nel settore
industriale cinese all’inizio degli anni novanta96, fu tuttavia all’origine di difficoltà nella gestione, la cui efficacia risultò fortemente indebolita dai tempi
dilatatissimi dei processi decisionali e dalla carenza di specifiche abilità manageriali. La crescente insoddisfazione che derivò da questa situazione condusse
all’uscita di Chiorino con conseguente attivazione di una procedura di arbitrato internazionale presso il Tribunale di Stoccolma, vinta dalla Chiorino. Da
allora la Società è rimasta assente dal mercato cinese, ancora troppo orientato
all’impiego di articoli tecnici dalle caratteristiche standard e di basso prezzo.
Diversissima l’esperienza effettuata in Slovenia. Qui sin dal 1995 la
Chiorino aveva allacciato rapporti con la ditta Konex di Slovenske Konjice
per la confezione e commercializzazione dei propri nastri trasportatori nei
mercati dell’Europa orientale. La sintonia sulle strategie di sviluppo e i rapporti di fiducia instaurati con la famiglia Grilj, che dirigeva la Konex,
indussero a estendere la portata della collaborazione. Insieme Chiorino e
Konex parteciparono alla privatizzazione di un’impresa pubblica, la Konus,
rilevandone, nell’arco di due anni, tre reparti produttivi successivamente
riorganizzati in un’unica realtà industriale, forte di duecento dipendenti e
specializzata nella produzione di tessuti non-tessuti agugliati, trattati con
resine poliuretaniche. Una parte di tale produzione fu destinata con successo alla confezione di nastri trasportatori, distribuiti con il marchio Silon,
mentre il resto trovò sbocco nel settore calzaturiero e nei processi di filtrazione industriale. Posta l’impresa, che versava in situazione di difficoltà al
96 Cfr in proposito Organisation for Economic Cooperation and Development (Oecd), China, serie
“Oecd Economic Surveys”, Paris, Oecd, 2005
151
Inaugurazione dello stabilimento di Biella Sud. 6 ottobre 2001.
Al centro Gregorio, Amedeo e Matteo Chiorino
152
153
3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005
momento della privatizzazione, su basi organizzative e tecniche solide e in
condizioni di buona redditività, valutando l’iniziativa non più coerente con
le proprie strategie di gruppo, nel 2004 la Chiorino decise di ritirarsi
cedendo la propria quota di maggioranza. L’uscita dalla società consentì
non solo la realizzazione di una buona plusvalenza, ma anche di definire
accordi per continuare la collaborazione nel campo della distribuzione commerciale. In base a essi, Chiorino distribuisce oggi in esclusiva i nastri Silon
attraverso la propria rete, mentre reciprocamente la Konus, che ha parzialmente riorientato la propria produzione verso gli articoli per l’igiene della
casa, fornisce analoghi servizi nei mercati sloveno, croato, bosniaco e degli
altri paesi della ex Jugoslavia per la distribuzione dei prodotti Chiorino.
Funzioni in tutto simili a quelle svolte dalla rete estera sono tuttora
attribuite alle filiali e alle società controllate presenti sul territorio nazionale, costituite tra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta: la Chiorino
Parma s.r.l. e la Chiorino Veneto s.r.l. di Colle Umberto, in provincia di
Treviso. La prima fu creata nel 1989 per sfruttare il mercato costituito dall’industria alimentare. La seconda, acquisita integralmente tra il 1990 e il
1991, nacque invece dal rilievo di una società esistente, di nome Covetra
s.r.l. A questa rete nazionale si affiancò negli anni novanta anche una sede a
Milano, ora riassorbita nel nuovo stabilimento di Biella Sud. L’intera struttura di vendita nazionale è controllata e risponde direttamente alla
Direzione commerciale a Biella, dove affluiscono gli ordinativi e tutte le
informazioni sulle condizioni del mercato e sulle esigenze tecnico applicative della clientela ed in particolar modo quelle dei costruttori di macchinario, clienti importantissimi per la Chiorino, con cui vengono condivise progettazioni e messe a punto di prototipi che una volta approvati, vengono poi
distribuiti nei vari mercati internazionali.
Profili di gestione
Uno degli ambiti in cui la modernizzazione associata al processo di
sviluppo dell’impresa ha lasciato un’altra evidente impronta è quello della
gestione. In realtà alcuni tratti distintivi generali della gestione sono in
rapporto di strettissima continuità con l’impostazione data a suo tempo
154
Profili di gestione
dal fondatore, Lorenzo, e perpetuata da Fulvio e Angelo, al punto da potersi definire una costante secolare. La capitalizzazione sistematica e integrale degli utili è uno di questi, forse il più vistoso, associato a una politica
di ammortamenti sempre condotta al limite massimo consentito. Un altro
tratto, mosso dal medesimo intento di preservare e rafforzare costantemente la solidità patrimoniale, è la prudenza, manifesta soprattutto nella
propensione a cautelarsi contro possibili svalutazioni di poste dell’attivo.
Terzo, coerente con i precedenti, che ne formano peraltro il presupposto
indispensabile, è un dosaggio degli investimenti in immobilizzazioni tecniche e immateriali commisurato quasi esclusivamente alle interne capacità di autofinanziamento. Per converso, si delineano elementi di novità
nella gestione finanziaria, che assume un rilievo talvolta molto pronunciato, e nella conduzione di operazioni di carattere societario, in precedenza
fatto di assoluta rarità97. Cominciando per gradi, osserviamo per prima
cosa l’andamento.
Limitando lo sguardo per omogeneità di dati alla sola capogruppo, dopo il grande balzo compiuto negli anni settanta, la crescita del
fatturato si stabilizzò negli anni ottanta e novanta su ritmi più contenuti ma pur sempre ragguardevoli: il 6,9% su base annua nel primo
decennio, il 6,3% nel secondo98. Espresso in lire 2004, esso passò dai
26,5 mld del 1981 ai 48,5 mld del 1990, alla cifra record di 84,2 mld
nel 2000, per poi flettere sotto il peso della crisi del 2001. Calcolato
in rapporto al numero degli occupati e in lire costanti, il fatturato per
addetto aumentò da 190 milioni nel 1981 a 233 milioni nel 1990, a
279 milioni nel 2000 (vedi grafico 4).
Osservando più da vicino la sua evoluzione nel tempo, si delineano una fase di contrazione all’inizio del periodo, nel 1981-1983,
una protratta espansione fino al 1989, un rinnovato slancio nel 19931995 e nel 1999-2000, con nel mezzo due anni di flessione nel 1996
e nel 1998. L’andamento degli utili ricalca in buona parte questo pro97 Il solo precedente sono le trasformazioni effettuate nel 1947 e nel 1954, la prima da società in nome
collettivo in società per azioni, la seconda da società per azioni in società in accomandita semplice.
98 Si noti che questi dati sono riferiti al fatturato espresso in lire 2004. Calcolati in lire correnti, i
tassi sono rispettivamente del 16,2% e del 9,9%. Il gruppo nel suo insieme ha seguito una dinamica analoga, comunque di crescita continua, fino alla già ricordata cifra aggregata di oltre 85
milioni di euro.
155
3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005
Grafico 4. Composizione del fatturato (mil. di lire 2004)
90.000
80.000
70.000
60.000
50.000
40.000
30.000
20.000
10.000
Export
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1995
1994
1993
1992
1991
1990
1989
1988
1987
1986
1985
1984
1983
1982
1981
0
Italia
filo, con alcuni scostamenti, nel 1983 e agli inizi e alla fine degli anni
novanta.
Sottostanti a questi andamenti sono in primo luogo le dinamiche
congiunturali, reali, finanziarie e valutarie. Gli anni tra il 1979 e il 1982,
turbati dal secondo shock petrolifero, furono un periodo di forte rallentamento della crescita mondiale. L’industria italiana ne sentì in pieno l’effetto. Dopo un biennio di forte crescita culminato nel 1980, la produzione industriale si avvitò in una profonda recessione caratterizzata da un
punto di minimo nel 1983 e da una ripresa che, per quanto sostenuta,
solo nel 1987 condusse a superare i vertici precedenti. La situazione generale in cui operavano le imprese fu aggravata dall’adesione dell’Italia al
Sistema monetario europeo (Sme) nel 1979, scelta che comportò una
maggiore stabilità del cambio della lira e, di conseguenza, un sensibile
restringimento dei margini per effettuare svalutazioni competitive. Il settore manifatturiero non poté più, pertanto, trasmettere ai prezzi gli
aumenti dei costi dei fattori e delle materie prime con la stessa libertà
usata negli anni settanta e si impegnò allora in un’opera di ristruttura-
156
Profili di gestione
zione intesa ad aumentare la produttività, a guadagnare efficienza e a contenere le rivendicazioni salariali99.
La Chiorino accusò le difficoltà della situazione, registrando un calo
degli utili tra il 1979 e il 1982. La performance era appesantita dalle difficoltà in cui versava il settore tessile, in un momento in cui la diversificazione degli sbocchi della produzione aziendale avviata nel decennio precedente era ancora in corso di attuazione. Fu perciò in questi anni che vennero decise alcune importanti operazioni di ristrutturazione, come la dismissione del reparto conceria e l’ulteriore diversificazione dell’attività industriale, realizzata con l’avvio di un’iniziativa per il trattamento delle pelli
sotto la ragione sociale di Chiorino Chimica. Sul versante delle relazioni
industriali e dell’organizzazione si cominciarono invece a negoziare e a
introdurre sistemi di incentivo delle remunerazioni basati sulle rilevazioni
di tempi e metodi. Un primo tentativo in questo senso era stato compiuto
da Gian Paolo nei primi anni sessanta, ma era stato abbandonato per la difficoltà di applicarlo a lavorazioni ancora largamente artigianali, quale era
quella del cuoio, e per le resistenze opposte dalle maestranze. Il primo
reparto a esserne interessato fu dunque quello delle lavorazioni in gomma,
relativamente più standardizzate rispetto alle altre. Dopo la dismissione
della conceria, esse vennero gradualmente estese alla generalità dei reparti.
Con l’innesco della ripresa in Italia e all’estero anche il fatturato
tornò a crescere tra il 1984 e il 1989, seguito dagli utili, nonostante andamenti divergenti nel 1985 e nel 1990 in conseguenza, nell’un caso, di
minusvalenze risultanti da operazioni di fusione, e, nel secondo, della perdita derivante dalla liquidazione di una partecipazione. Il decennio successivo, apertosi con una fase di contrazione e rallentamento del ciclo internazionale, conobbe il ritorno di condizioni di grande prosperità tra il 1994 e
il 2000, con l’eccezione degli anni della crisi messicana (1995), tradottasi
in un lieve ristagno della crescita, e di quella asiatica (1998), fonte di una
99 Sono anni, il decennio ottanta, in cui la politica valutaria del “cambio forte” perseguita dal governo e dalle autorità monetarie italiane svolse di fatto il ruolo di principale elemento di politica industriale. Nel complesso, tuttavia, il settore manifatturiero, o per lo meno la sua componente più tradizionale, soffrì anche della concorrenza sempre più forte cui si trovò esposto per effetto del peso crescente delle nuove economie asiatiche sui mercati mondiali e dell’ingresso nell’Europa comunitaria
di paesi dotati di una struttura industriale simile a quella italiana, ma beneficianti di costi di produzione inferiore. Cfr. A. Graziani, Lo sviluppo dell’economia italiana dalla ricostruzione alla moneta europea, cit., pp. 143 e 148 ss..
157
3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005
sensibile contrazione100. In Italia la fuoriuscita della lira dallo Sme nel
1992 e il suo consistente deprezzamento costituirono una ragione aggiuntiva dell’eccellente performance delle vendite, peraltro in forte recupero
anche sul mercato nazionale nel biennio 1994-1995 in virtù della ripresa
della produzione e degli investimenti industriali. La successiva stabilizzazione valutaria avviata nel 1996 determinò un’inversione di tendenza con
ripercussioni tangibili sul fatturato, ampiamente recuperate, tuttavia, nel
1999 e specialmente nel 2000. Rispetto a tale performance, gli utili ebbero un andamento altalenante, ora riflettendo da presso le variazioni positive del fatturato (1995-1997), ora, in controtendenza, beneficiando dei proventi della gestione finanziaria (1998) o subendo l’effetto di sopravvenienze passive e di minusvalenze (1993 e 2000).
Negli anni più recenti le difficoltà della congiuntura non hanno
mancato di ripercuotersi sulle vendite. In un contesto caratterizzato dalla
brusca frenata nel 2001 della produzione e del commercio mondiale, dal
permanere dell’incertezza generata dalla lotta al terrorismo internazionale,
dagli eventi bellici e dagli scandali contabili di alcune grandi compagnie
americane, in un quadro di debole performance dell’area dell’euro e dell’economia italiana, nonché di inasprimento della concorrenza internazionale,
il fatturato ha registrato una sostanziale stabilità in valore nominale, sebbene corrispondente a una lieve flessione in termini reali. Questo non ha
impedito di realizzare utili tanto nel 2001, grazie a proventi di natura
finanziaria, quanto nel 2002, grazie al buon andamento della gestione
industriale e nonostante le rettifiche di valore subite da titoli detenuti in
portafoglio. La leggera perdita realizzata nel 2003 è imputabile invece alle
persistenti difficoltà della domanda europea, principale mercato di sbocco,
e alla flessione della valuta americana nei confronti dell’euro.
Sul versante dei conti patrimoniali, all’inizio e alla fine degli anni
ottanta ripetuti aumenti di capitale compensarono gli effetti erosivi degli
alti tassi di inflazione, valendosi in parte anche dell’appoggio offerto da
strumenti legislativi ad hoc per la rivalutazione dei cespiti dell’attivo.
Analoghi interventi vennero effettuati negli anni novanta, innalzando pro-
100 Per i dati, basati sull’andamento del prodotto interno lordo mondiale in termini reali, cfr.
International Monetary Fund, World economic outlook, Washington D.C., Imf, September 2003.
158
Profili di gestione
gressivamente il capitale sociale da 9,9 mld di lire a inizio decennio (equivalenti a circa 5,1 milioni di euro) fino a 10 milioni di euro nel 2001.
Si è detto che un tratto della modernizzazione della gestione è consistito nello sviluppo di strumenti finanziari. Scelta quasi obbligata nella
particolare congiuntura degli anni settanta e primi ottanta, la finanza fu
spesso utilizzata con risorse ottenute mediante indebitamento bancario a
breve termine e fu in più di un caso fonte importante di proventi. Non di
rado essa arrivò a formare una parte cospicua, superiore anche al 50%, del
totale di bilancio. Avvicinandosi con gli anni novanta a un’epoca di maggiore stabilità e solidità delle variabili monetarie, il fenomeno si è ridotto
in termini di volumi, senza tuttavia perdere la caratteristica di strumento
compensativo o integrativo del reddito aziendale. Finanza fu utilizzata in
certa misura negli anni settanta e ottanta anche nella forma del prestito
obbligazionario sottoscritto dai soci come sostituto di una politica dei dividendi, mentre un altro tratto distintivo di una tecnica di gestione raffinata e moderna fu la dimestichezza con le operazioni di natura societaria.
L’insieme di queste tecniche ha trovato negli anni novanta un campo
di elezione nell’elaborazione di un’architettura societaria idonea a centralizzare e ottimizzare l’uso delle risorse e dei servizi finanziari nell’ambito
del gruppo.
Al di fuori dell’ambito strettamente economico e finanziario, la
gestione aziendale degli ultimi venti anni presenta altri elementi di interesse. Uno di questi è il ricorso sistematico ai consulenti esterni per attingere competenze altamente specializzate la cui internalizzazione non troverebbe giustificazione nell’ambito delle dimensioni dell’impresa e non
sarebbe coerente con la filosofia della flessibilità che ne ispira l’intera organizzazione. Se il loro utilizzo è stato una costante del modello di introduzione delle innovazioni tecnologiche elaborato negli anni sessanta e successivamente replicato, il medesimo approccio è stato utilizzato in supporto alla realizzazione di modifiche innovative in aree distinte dalla produzione e progettazione, quali per esempio il controllo di gestione e le
risorse umane.
Un altro elemento caratterizzante la gestione e testimone di una
cultura imprenditoriale sensibilmente modernizzata è l’attenzione che
159
3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005
nell’ultimo decennio è stata prestata ai temi della qualità e della sostenibilità ambientale. La qualità era stata un motto e un vessillo della
Chiorino sin dai tempi della “Conceria Lorenzo Chiorino” dei primordi.
Fulvio se ne era fatto a sua volta garante continuando la tradizione paterna e ispezionando personalmente i reparti con assidue verifiche. Tuttavia
il controllo di qualità di allora era affidato all’esperienza individuale,
all’occhio e al tatto allenati, adusi conoscitori di materiali e di processi. La
terza generazione si è adattata e ha fatto proprio il nuovo concetto di qualità, codificato dagli standard internazionali e concepito come un sistema
di verifiche proceduralizzato che investe tutti i livelli operativi coinvolti
nelle fasi di progettazione, produzione, distribuzione e assistenza alla
clientela. La certificazione UNI EN ISO 9001 ottenuta verso la fine degli
anni novanta ha contribuito a consolidare e rilanciare un elemento portante della cultura e dell’immagine dell’impresa e ha parallelamente stimolato il processo di strutturazione interna. Lo stesso discorso vale per la
certificazione UNI EN ISO 14001 relativa al sistema di gestione ambientale, rilasciata nel 2001, al termine di una serie di interventi che almeno
dal 1995 aveva beneficiato dell’investimento di risorse importanti. Con la
differenza non trascurabile che essa implica indirettamente l’assunzione di
una responsabilità da parte dell’impresa nei confronti di una fascia più
ampia di stakeholders: non già solo i dipendenti, i clienti e i fornitori, come
accade con il sistema di qualità, ma la generalità delle persone e delle attività radicate sul territorio di insediamento degli impianti produttivi. In
questo solco insiste con impegno maggiore e rinnovato la certificazione
ambientale europea EMAS (Eco-Management and Audit Scheme), ottenuta nel febbraio 2006, che vincola l’impresa alla formulazione e al rispetto
di una politica ambientale continuamente rivisitata, tale da minimizzare
l’impatto delle attività industriali sull’ambiente, conforme a standard
molto elevati di ecocompatibilità e soggetta a periodiche verifiche da parte
di enti certificatori indipendenti, con riflessi significativi sui processi
organizzativi e gestionali interni.
Anche il lato della comunicazione aziendale ha ricevuto attenzione
da parte della direzione negli anni recenti, in sintonia con una tendenza
sempre più diffusa nel mondo delle imprese che è frutto di un modo nuovo
di concepire le relazioni tra imprese e stakeholders, tanto interni quanto
esterni, in larga parte collegato all’accresciuta necessità di rafforzare gli
160
Profili di gestione
elementi identitari in un contesto economico e sociale sempre più globalizzato. Gli elementi qualificanti delle politiche della comunicazione sono
la diffusione di vari documenti tra cui spicca la “Chiorino Newsletter”,
intesa a veicolare le notizie di maggiore rilevanza riguardanti gli sviluppi
sul fronte dei prodotti, delle innovazioni tecniche e dei successi commerciali, della configurazione e delle attività del gruppo; la coniazione del
company claim “Ideas in motion”; l’organizzazione di eventi a livello di
gruppo come i General sales meetings; una serie articolata di altre iniziative
mirate ad approfondire il senso di appartenenza dei dipendenti e l’immagine e l’identità aziendali, in modo uniforme e trasversale rispetto all’intero gruppo. A questo sforzo si è peraltro associata una evoluta sensibilità
verso moderne forme di marketing, inteso come strumento di comunicazione e promozione specificamente commerciale.
Un ultimo aspetto collegato alla gestione riguarda non tanto l’impresa in sé quanto le vicende del patrimonio familiare. L’acquisto nel 1965
della Tintoria Industriale non aveva modificato gli assetti interni al patrimonio rappresentato dall’impresa, trasmesso da Lorenzo e conservato indiviso prima da Fulvio e Angelo, poi dai sei cugini. Nel 1983 si decise di
intraprendere un’altra iniziativa industriale. Si era nel mezzo di una congiuntura difficile in cui un ramo dell’azienda, la conceria, aveva prospettive di lavoro calanti e la diversificazione dei settori di riferimento, per
quanto avviata, non era ancora sufficientemente avanzata da costituire un
adeguato riparo, una congiuntura che per il terzo anno consecutivo aveva
assistito a una crescita del fatturato inferiore o appena uguale a quella dell’inflazione. Parve allora opportuno accelerare la diversificazione investendo in una nuova società, la Chiorino Chimica, costituita ex novo. Il suo
“oggetto” consisteva nella rifinizione delle pelli attraverso l’applicazione
di un sottile rivestimento poliuretanico, con destinazione delle vendite
rivolta ai settori della pelletteria, dell’arredamento e della calzatura. A essa
si dedicarono Lorenzo e Stefano, il primo con un ruolo amministrativo e
di direzione commerciale, il secondo come esperto di pelli e cuoi. La partecipazione dei due rami familiari fu, anche in questa occasione, paritaria.
Nel 1988, tuttavia, Stefano decise di mettere in piedi un’attività commerciale in proprio rilevando i manufatti in cuoio a uso industriale rivenienti dalla cessazione delle lavorazioni presso la Chiorino S.p.A. Lorenzo,
161
3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005
rimasto solo alla guida della società, cedette allora le responsabilità operative di direttore commerciale, che fino allora aveva rivestito presso la casa
madre, al fratello Amedeo, dedicandosi integralmente allo sviluppo della
Chiorino Chimica, la cui ragione sociale peraltro modificò in “Conceria
Chiorino”.
Questa nuova situazione non provocava cambiamenti sostanziali
negli assetti patrimoniali, ma accentuava pur sempre il carattere tendenzialmente “centrifugo” delle attività intraprese dai diversi membri della
famiglia. Quando nel 1991 fu liquidata la Tintoria Industriale, messa in
difficoltà dalla situazione in cui versava il comparto delle filature, Gian
Paolo, Luca e Stefano si disimpegnarono dalla “Conceria Chiorino”, e si
creò allora per la prima volta un’asimmetria nella ripartizione delle quote
del patrimonio familiare a favore dei figli di Angelo, detentori per intero
della “Conceria” e per metà del Gruppo.
Negli anni successivi questa distribuzione si tradusse probabilmente in uno squilibrio e nel 1997 i due rami familiari decisero di dividersi,
lasciando Lorenzo, Gregorio e Amedeo soli proprietari anche del gruppo
Chiorino. A distanza di circa ottanta anni si ripeteva così, forse, una storia che aveva avuto un lontano precedente nella separazione avvenuta tra
Lorenzo e Umberto nel 1916. Recentissimamente un’altra separazione
intervenuta tra Gregorio e Amedeo da un lato e Lorenzo dall’altro ha disgiunto i destini patrimoniali della “Conceria Chiorino” da quelli del gruppo Chiorino, stabilendo una maggiore coerenza tra composizione dell’azionariato e assunzione di responsabilità dirette nella gestione delle
imprese.
Questi eventi, apparentemente in linea con le vicende dei fratelli
Lorenzo e Umberto, ripropongono l’occasione di riflettere, in questa sede
conclusiva, sugli elementi di continuità che hanno caratterizzato la lunga
vicenda imprenditoriale della famiglia e la storia dell’impresa. Se è vero
infatti che nel corso di un secolo di vita l’impresa ha accettato il cambiamento in molti modi senza mai sottrarsi alle sfide poste di volta in volta
dalla congiuntura, generale e settoriale, dalla tecnologia e dai mercati, fino
al punto di sottoporsi a una radicale metamorfosi negli anni sessanta e settanta, come si è cercato di illustrare in queste pagine, al tempo stesso essa
lo ha fatto rimanendo in più di un modo fedele a se stessa. Sotto due aspet-
162
Profili di gestione
ti generali questa continuità si presenta con particolare evidenza. Il primo
è il modello produttivo di specializzazione flessibile. Oggi più ancora di
quanto accadesse nella conceria dei primordi o degli anni venti, il Gruppo
produce una gamma molto ampia di articoli ed è organizzato in modo tale
da eseguire un alto grado di personalizzazione del prodotto al fine di soddisfare le più diverse esigenze della clientela. Accoglie ed è in grado di
attivare al proprio interno diverse tecnologie di prodotto e di processo,
valendosi di macchine e di manodopera versatili. È costantemente vigile
sugli sviluppi tecnologici e impegnato nella ricerca applicata. Svolge la
produzione per un numero elevatissimo di piccoli lotti in stretto raccordo
con il flusso e la natura degli ordini. Ha uno spiccato interesse a seguire la
clientela al di là del semplice rapporto commerciale, specialmente quando
si presentino occasioni di collaborazione in vista di particolari sviluppi
applicativi. Molti di questi tratti erano presenti nella conceria di Lorenzo,
specializzata in cuoi tecnici prodotti in base a un ampio ventaglio, capace
di eseguire diversificati processi di concia, sempre attenta all’aggiornamento tecnologico e particolarmente sollecita nei confronti della clientela. A ben vedere anche per quanto riguarda la tipologia del prodotto, inteso nella sua funzione essenziale, si rintracciano elementi di contiguità, se
non proprio di continuità, tra le attuali cinghie e nastri trasportatori e le
cinghie di trasmissione fabbricate dalla Conceria, nonostante i processi e i
materiali oggi utilizzati, incorporando un contenuto tecnologico nettamente superiore, non siano nemmeno comparabili a quelli di un tempo. E
questo sottile legame con il passato, lungi dall’essere casuale, si deve allo
sforzo costante di accompagnare all’innovazione la valorizzazione di quei
saperi e di quelle conoscenze che, già presenti in azienda, si prestavano di
volta in volta a essere utilmente riconvertiti.
Il secondo aspetto in cui si manifesta la fedeltà dell’impresa a se
stessa pur attraverso le intense stagioni di cambiamento che ha attraversato sono i valori che ne hanno improntato le scelte strategiche e i comportamenti nel tempo, fortificandone l’identità e rendendola riconoscibile al
pubblico dei suoi interlocutori. Più volte questi elementi sono stati sottolineati nel testo e non è il caso di indugiarvi. Basterà ricordare, in primis,
la stessa generale disposizione a raccogliere le sfide, l’equilibrio nella
gestione tra prudenza e capacità di cogliere le opportunità di crescita e sviluppo, la sensibilità nella conduzione delle relazioni industriali, l’atten-
163
3. Biella, l’Europa, il mondo. 1983-2005
zione alla qualità, la sobrietà degli stili di vita della proprietà e il senso di
moralità con cui essa ha vissuto, sin dai tempi del fondatore, il proprio
mestiere di imprenditore, privilegiando il benessere dell’impresa come
premessa indispensabile del benessere dell’articolata comunità di persone
gravitanti dentro e intorno a essa.
164
1. Lo stabilimento di Biella Nord, sede storica del gruppo.
2. Il nuovo stabilimento di Biella Sud.
165
1. Ritratto di Flora Machetti e Lorenzo Chiorino, sposi il 10 settembre 1905.
2. Flora e Lorenzo con i primi tre figli, Fulvio, Angelo e Alduccia (1912).
3. Flora e Lorenzo nel 1950 con 13 nipoti dei 15.
166
Ricordi familiari
Gian Paolo Chiorino*
La storia di un’azienda non è soltanto quella importante dei suoi
investimenti, dei suoi bilanci, del suo fatturato, dei suoi utili, della sua
crescita patrimoniale senza la quale oggi non esisterebbe. E’ anche storia
di uomini, di imprenditori, di dirigenti, di impiegati, di operai.
Celebrando il centenario della Chiorino è giusto ricordare le centinaia di
uomini che con diverso impegno e diversa responsabilità hanno accompagnato la sua nascita, la sua crescita, la sua attuale affermazione. Il ricordo
va a tutti coloro che hanno trascorso poco o tanto tempo di lavoro alla
Chiorino nell’arco di un secolo di attività dell’azienda.
Non tutti possono essere personalmente ricordati, ma ognuno di
loro ritroverà qualche momento della sua vita di lavoro nei fatti narrati in
questo libro. Nel breve capitolo che segue viene richiamata la memoria di
chi fondò nel 1906 l’azienda e dei due suoi figli che la fecero crescere fino
agli anni ‘70 del Novecento: Lorenzo, Fulvio e Angelo Chiorino.
Lorenzo Chiorino
La famiglia d’origine, la gioventù, il matrimonio.
Il nostro nonno Lorenzo, cui fu dato il nome del Santo patrono del
paese, nacque a Ponderano il 25 novembre 1877. Chiorino era un antico
cognome di Ponderano, citato negli archivi parrocchiali già nel 1500.
Numerosi appartenenti a questa famiglia si erano poi impegnati durante
il Settecento nella pubblica amministrazione del paese: nel 1799, durante
l’occupazione francese, si trovano tra i “Municipalisti” Giacomo Chiorino
e Eusebio Chiorino. Alle guerre del Risorgimento avevano partecipato tra
molti Ponderanesi ben dodici Chiorino, di cui tre di nome Lorenzo: un
aiutante da 2°, un caporale e un soldato.
* Ringrazio Lucetta Motta Piras, Paola De Marchi Desenzani e Carla Mattasoglio per le notizie sulla famiglia Chiorino.
167
Ricordi familiari
Lorenzo aveva quattro sorelle, Leopolda, Caterina, Maria e Angiolina,
e due fratelli, Giovanni Battista e Umberto. Famiglia numerosa, come spesso accadeva in quei tempi, che impegnava molto, materialmente e moralmente, i genitori a seguire i figli e a educarli fino alla loro indipendenza.
Angelo e Teresa, genitori di Lorenzo, non mancarono al loro compito e videro crescere per cinquant’anni sana e prospera la loro famiglia e i loro numerosi nipoti. Angelo visse fino a 75 anni e Teresa fino a 74.
Lorenzo frequentò la scuola elementare maschile di Ponderano.
Dopo le elementari e tre anni di scuole tecniche, Lorenzo iniziò a lavorare
negli ultimi anni dell’800 come impiegato amministrativo e tecnico presso la Conceria Antonio Varale di Biella Vernato.
Il 10 settembre 1905, nella parrocchia di Candelo, Lorenzo Chiorino
sposò Flora Machetti, nata a Quittengo nel 1883 e residente a Candelo in
regione Campile. Lorenzo aveva ventotto anni e Flora ventidue: li ritrae insieme una bella fotografia al platino dello Studio Rossetti di Via Umberto 62 a
Biella, debitamente ritoccata come s’usava allora e con lo sfondo sfumato che
sembra una nuvola. Partecipano le nozze Angelo e Teresa Chiorino e Delfina
Boggio vedova Machetti. La mamma di Flora era vedova da sei mesi, aveva
avuto tredici figli, di cui otto viventi, e l’ultima, Giuseppina aveva solo 14
anni: una vita non facile si profilava per lei e il matrimonio di Flora con un
ragazzo serio e maturo come Lorenzo le dava un poco di serenità.
Un piccolo libretto per gli invitati alle nozze, illustrato in copertina da
due rose liberty e all’interno da un amorino e da due fiordalisi di identico stile,
riporta una delicata poesia dei “Coniugi dott. Villa” di Ponderano, amici di
famiglia dei Chiorino. “Ferve l’estate polverosa, altera – di verdi frutti e di tenaci
fiori, - ma a Voi nel cuor fiorisce primavera – coi primi effluvi e coi soavi albori”: lo
stile è quello dell’epoca e la poesia nuziale è presentata con molto garbo.
I fratelli e le sorelle di Lorenzo percorsero la loro strada nella vita e
formarono le loro famiglie, eccetto Angiolina che non si sposò. Dei fratelli, Giovanni Battista, di sei anni maggiore di lui, seguì Lorenzo e fu direttore della Conceria Lorenzo Chiorino con possibilità di firma; sposò una
sorella di Flora, Clelia Machetti, divenendo cognato di Lorenzo, oltre che
fratello. L’altro fratello Umberto, socio di Lorenzo dal 1912 al 1916, rimase purtroppo fulminato per un incidente nella cabina di trasformazione
della sua conceria. La moglie Maria continuò con coraggio e determinazione l’azienda del marito fino alla maggiore età dei due figli Augusto e
168
Lorenzo Chiorino
Vittore. Delle sorelle di Lorenzo due, Leopolda e Angiolina, lavorarono
come modiste mentre Flora si occupava della vendita dei cappelli appoggiandosi a un negozio di Via San Filippo a Biella, gestito da una sorella di
Lorenzo: là si erano conosciuti.
La famiglia di Lorenzo e Flora.
Dopo il matrimonio nel 1905 Lorenzo e Flora si stabilirono a Biella in
Via Garibaldi. In una fotografia del 1912, sempre dello Studio Rossetti, su un
fondale dipinto con un arco, delle nuvole e un vaso di fiori, sono ritratti con i
genitori i primi tre figli: Fulvio, Angelo e Alda, detta Alduccia. In realtà
Lorenzo e Flora avevano avuto nel 1906 un figlio, anch’esso di nome Fulvio,
vissuto solo un anno e morto il 4 giugno 1907. A ottobre nacque il secondo,
cui fu dato lo stesso nome. La famiglia si completò con la nascita delle due
ultime figlie: Laura nel 1913 e Giovanna, detta Giannina, nel 1918.
La casa di Via Garibaldi a Biella, che poi divenne la Questura della
città, si era fatta stretta e nel 1928 Lorenzo decise l’acquisto dai signori
Florio di quella di Via delle Ville 10, in Regione Aragni, con un bel giardino per i figli e in futuro per i nipoti.
Anche se abitava a Biella ormai da tempo, Lorenzo restò legato a
Ponderano, suo paese d’origine dove vivevano ancora familiari e parenti.
Nell’ottobre 1933 con il fratello Giovanni Battista donò alla parrocchia,
del cui Patrono portava il nome, una delle nuove campane “in memoria e
suffragio dei loro genitori Angelo e Teresa”, che erano mancati nel 1921 e nel
1923. Una ricevuta del “Comitato pro campane” indica in kg. 257,3 il
peso del bronzo e in kg. 167 quello del ferro del ceppo e della ruota, quotati rispettivamente a 7 lire e a 3 lire al chilo.
Il lavoro e la maturità.
Lorenzo continua a lavorare con passione, intelligenza e determinazione. Ogni giorno passa alla Posta centrale di Biella e ritira dalla casella
postale n° 130, che diventerà poi n° 220 dal 1940, la corrispondenza della
Conceria Chiorino. La maggior parte degli ordini dei clienti arrivano per
lettera e ogni sera Flora gli chiede: “ Lon ch’ a iera ‘d posta Lorens?” e specie nei primi tempi la guarda con lui.
Lorenzo sente la moglie vicina ai suoi problemi e al suo lavoro; sa che
può contare su di lei, anche se impegnata nella cura e nell’educazione dei cin-
169
Ricordi familiari
que figli. Sa anche che può contare su alcuni collaboratori fidati, tra cui i suoi
parenti che ha voluto in azienda: il fratello Giovanni Battista, il cognato
Aristide Mattasoglio, il nipote Nanni Mattasoglio, la cognata Zemmira
Machetti. Lorenzo contraccambia la fedeltà all’azienda dei suoi dipendenti e
anche nei momenti difficili non li lascia senza lavoro: quando manca, fa lavare i vetri degli shed e togliere l’erba dai cortili. Così sarà per tutta la sua vita
alla Conceria Chiorino: nessun suo dipendente perderà un’ora di lavoro.
Il tempo passa, i figli e le figlie crescono e seguono i loro studi, più
impegnativi per i due figli, come si usava allora: Fulvio e Angelo si preparano ad entrare nella conceria, l’uno nel 1928 e l’altro cinque anni dopo.
In pochi anni, dal 1931 al 1936, Alduccia prima, Angelo e Fulvio subito dopo, si sposano e Lorenzo e Flora vedono arrivare i primi tre nipoti di una
lunga serie di quindici. Giannina si sposa nel 1942 mentre Laura per parecchi
anni resta a fare compagnia ai genitori fino al suo matrimonio nel 1950. Una
simpatica fotografia, dello Studio Martinero di Biella all’inizio degli anni ‘50,
sicuramente scelta tra le molte scattate per presentare tutti i visi come si desidera in una foto ufficiale, mostra Lorenzo e Flora circondati da tredici dei quindici nipoti. Gli ultimi, Anna e Vittorio, non sono ancora nati.
Il 10 agosto di ogni anno è il grande giorno del nonno Lorenzo: a
Sordevolo, nel parco delle due ville che, con la consueta preveggenza, ha comperato per le estati delle famiglie dei suoi figli, si fa festa per San Lorenzo. Il clou
della festa è la pièce teatrale recitata dai nipoti, inizialmente dai primi sei, quasi
coetanei, poi man mano da tutti gli altri che seguono. Il teatro è il garage all’aperto, opportunamente arredato dai due registi e sceneggiatori, i figli Fulvio
e Alduccia che, aiutati da fratelli e sorelle, cognati e cognate, si occupano pure
dei costumi degli “attori”, ricavati da vecchi abiti accorciati per l’occasione.
Si inizia, il primo anno, con “I promessi sposi” abbondantemente
ridotti per attori di 7-8 anni. Lucia è Lucetta, la prima nipote, Renzo è
Lorenzo, il secondo, a dire il vero gli unici che sappiano recitare un poco.
Gli altri sono dignitose comparse, ammirate dagli spettatori più per i loro
vestiti che non per la loro recitazione. Già, perché ci sono anche gli spettatori, invitati e non paganti, membri della famiglia estesa e di amici sordevolesi delle ville vicine. Gli applausi sono assicurati e danno un po’ di
coraggio a chi trema prima di entrare in scena.
Ma tutto va bene e ogni sbaglio è perdonato, anzi fa parte integrante dello spettacolo che si conclude con la consueta e corale poesia “Viva,
170
Lorenzo Chiorino
viva il nonno buono, che Sordevolo comprò…”. Il nonno Lorenzo sorride, è contento, ma il suo naturale riserbo e una sorta di timidezza non lo portano a
stare affettuosamente con i nipoti o a scherzare con loro. Anche la nonna
Flora è un tipo severo, non è facile tenere a freno tanti nipoti e così vivaci. E poi i nonni di una volta forse erano diversi dai nonni di oggi.
La vecchiaia e la morte.
Lorenzo aveva acquistato prima della Seconda guerra mondiale una
cascina a Sandigliano, probabilmente con il progetto di occuparsene personalmente quando i due figli Fulvio e Angelo avrebbero preso in mano completamente la conceria e per non interferire con le loro decisioni. Il distacco
dalla sua azienda fu per lui graduale e senza traumi, grazie anche alla possibilità di occuparsi della cascina che trasformò poco per volta in un’azienda
modello. In anni in cui la cura del bestiame e la pulizia dell’ambiente non
erano così scrupolose, i miei ricordi della cascina del nonno Lorenzo raccontano l’ordine e l’amore per le cose ben fatte che caratterizzarono tutta la sua vita.
Mucche tenute bene, pulite, in due stalle ordinate e confortevoli, ciascuna con
il suo nome scritto grande sopra la lettiera e da una parte il recinto per i vitellini appena nati. Fuori, una grande aia pulita, il deposito degli attrezzi agricoli e dei trattori, la stalla per due cavalli, il Nino e il Bigio, che il figlio
Angelo, ufficiale di complemento di Cavalleria, provava a montare con gran
divertimento dei suoi figli e nipoti: erano cavalli da tiro, non avevano mai sentito nessuno sulla loro groppa e cercavano disperatamente di disarcionarlo.
Sull’altro lato del cortile della cascina, un porcile e un pollaio
modello. L’abitazione rustica per i contadini, con il granoturco ordinatamente appeso ad essiccare al balcone e l’abitazione civile che il nonno
Lorenzo, sempre attento ai bisogni degli altri, offrì gratuitamente a conoscenti di Torino, “sfollati” a Sandigliano durante l’ultima guerra.
Attorno alla cascina, il frutteto tenuto alla perfezione e i campi di grano,
di avena, di meliga. Lorenzo aveva riscoperto e aggiornato il mestiere dei suoi
avi, contadini a Ponderano, e l’aveva interpretato da imprenditore lasciando,
alla sua morte, non solo un’azienda, ma anche una cascina modello.
Nel 1955, ad Oropa, aveva ancora festeggiato con Flora, figli, figlie,
nuore, generi e nipoti i cinquant’anni di matrimonio, ma il suo cuore, che l’aveva sorretto per una lunga vita impegnativa, cominciava ad essere stanco.
Morì il 1° ottobre 1957.
171
1. Fulvio, Presidente del Club Alpino Italiano, sezione di Biella (1955).
2. Fulvio alla ricerca dei sentieri nel Biellese (1970).
3. Fulvio con la moglie Olga e otto dei nove nipoti (1982).
172
Fulvio Chiorino
Primo figlio di Flora e Lorenzo, dopo la morte prematura di un fratellino con lo stesso nome, mio padre Fulvio nacque il 13 ottobre 1907 a
Biella. Frequentate le scuole elementari comunali e le ginnasiali al R.
Ginnasio “Q. Sella”, si iscrisse nel 1920 al Regio Istituto Commerciale
Eugenio Bona di Biella “Scuola Specializzata di Commercio e di
Ragioneria Industriale”, da cui uscì diplomato a 17 anni nel 1924 con
medaglia di bronzo.
Aveva avuto come insegnante, non molto più anziano degli allievi,
Giuseppe Pella di cui Fulvio conservò un ottimo ricordo e che ritrovò in
anni successivi come importante uomo politico italiano.
L’intelligenza e la volontà di Fulvio gli avrebbero permesso di proseguire senza problemi fino ad una laurea, ma il padre Lorenzo desiderava
che, oltre alla conoscenza commerciale maturata al “Bona”, imparasse
anche quella tecnica relativa all’industria conciaria per inserirsi al meglio
nella conduzione, con il fratello Angelo, della conceria che Lorenzo aveva
fondato nel 1906. Per Fulvio, che aveva grande stima e affetto per il padre,
non fu difficile aderire alla sua richiesta: dopo il “Bona” si iscrisse nel 1924
a Torino al “Regio Istituto Nazionale per le Industrie del Cuoio”, che
diplomava i periti conciari con un corso di quattro anni. Fulvio, era un po’
nel suo carattere, aveva fretta e in due anni si diplomò, nel 1926, ottenendo anche la medaglia d’oro della Federazione Italiana dell’Industria
Conciaria.
Ma le conoscenze sul cuoio per uso industriale non erano in Italia
all’altezza della tradizione inglese per cui Fulvio, senza troppi problemi, e
ce n’erano a quei tempi, andò a Londra nell’autunno del 1926 e si iscrisse
al “Leather Institute”. Quanto all’inglese, che aveva studiato un poco al
“Bona”, lo perfezionò per conto suo e poi direttamente sul posto.
Conoscendo la sua innata curiosità e la sua voglia di apprendere, non c’è
dubbio che Fulvio cercò di carpire ai conciatori inglesi i segreti dei loro
sistemi di concia, specie quella ai sali di cromo che era la più recente e che
si prestava meglio di quella al tannino per la fabbricazione di cinghie
piane per trasmissione di potenza.
Ritornò da Londra, dopo un anno di studi, nel 1927 per iniziare il servizio militare in Italia. Nel 1928 era ufficiale del Genio a Varese, dopo esse-
173
Ricordi familiari
re stato a Palermo. Conservò della primavera siciliana un bellissimo ricordo
- la Sicilia doveva essere splendida a quei tempi – tanto che, molti anni
dopo, volle tornarvi con la moglie Olga. Entrò poi subito in azienda, appena prima della crisi del ’29, occupandosi della parte tecnica e produttiva.
Nel 1935, insieme al fratello Angelo che si occupava della parte economica e finanziaria, ebbe dal padre Lorenzo una procura generale per la
gestione della Conceria Chiorino. Nel 1933, con Angelo e un gruppo di
amici amanti della montagna, costruì la “Baita Amici” nel comune valdostano di Fontainemore, oltre il Colle della Barma che collega il Biellese con la
Valle del Lys. Lorenzo e Flora, con le figlie, parteciparono all’inaugurazione.
Si sposò il 5 novembre del 1936 con Olga Perona: ebbero dal 1937
al 1951 cinque figli, quattro maschi, Gian Paolo, Mario Alberto, Luca e
Stefano, e una femmina, Anna. Pochi anni di serenità nella vita familiare
e lavorativa di Fulvio Chiorino, poi l’Italia fu coinvolta nella Seconda
guerra mondiale. Fulvio non fu richiamato perché l’azienda nel 1935 era
stata dichiarata “ausiliaria” per le produzioni belliche dalla Commissione
Suprema Difesa e nel 1939 il Commissariato generale per le fabbricazioni
di guerra aveva dato le tessere di “esonerazione” dai richiami alle armi per
Fulvio e Angelo, unitamente a ventisette dipendenti della Chiorino,
dichiarati “insostituibili e indispensabili”.
Gli anni della guerra non furono facili né per la famiglia né per l’azienda, ma neppure tragici come per tante famiglie che persero al fronte i
loro figli. Il periodo più difficile per il Biellese, risparmiato fino ad allora
dalle battaglie e dai bombardamenti, fu dal 1943 al 1945, con i tedeschi
e i repubblichini nella città e nei paesi. Essi controllavano la Conceria
Chiorino e la destinazione dei suoi prodotti, mentre i partigiani chiedevano il cuoio di cui avevano bisogno.
Un giorno capitò che i repubblichini erano all’ingresso principale e
contemporaneamente i partigiani si trovavano in quello secondario, fortunatamente all’altro capo dello stabilimento. Fulvio e Angelo, accusati di
avere aiutato i partigiani, passarono per questo motivo alcuni tristi giorni
a Villa Schneider a Biella, nei cui sotterranei i tedeschi e i repubblichini
svolgevano gli interrogatori. Fulvio fu liberato dopo pochi giorni, mentre
Angelo restò nel carcere del Piazzo ancora una settimana. Ho ancora nitido nella memoria, avevo sette anni, il suono lungo del campanello della
nostra casa alle otto del mattino, prima di andare a scuola, e il papà fuori
174
Fulvio Chiorino
della porta con la barba lunga, senza cravatta e senza cinghia dei pantaloni, che entrava e abbracciava noi tre figli e la mamma.
La liberazione portò nuovo entusiasmo e voglia di intraprendere a
Fulvio, che aveva sempre avuto iniziativa, volontà e ottimismo. Gli ritornò, a quarant’anni, il desiderio di riprendere a studiare e si iscrisse il 10
settembre 1947 all’Institut Téchnique Supérieur de Fribourg, al Cours
d’Ingénieur spécialiste, presentandosi per il primo esame della sezione chimica, specializzazione industria del cuoio, con una tesi di 75 pagine sulla
concia al chinone, elegantemente rilegata in cuoio e che conservo con
affetto. La responsabilità dell’azienda e della famiglia, che all’epoca contava quattro figli, ebbe però ragione del suo entusiasmo e non permise a
Fulvio di terminare gli studi.
Nel clima di entusiasmo per la fine della guerra, i Biellesi vollero
ringraziare la Madonna Nera di Oropa che aveva preservato il nostro territorio dalle distruzioni che l’Italia aveva subito, organizzando nel 1949 la
“Peregrinatio Mariae”, un itinerario della statua in ebano della Madonna
nera nei paesi, nelle parrocchie e in alcune aziende. Lorenzo, Fulvio e
Angelo accettarono con gioia la visita, testimoniata ancora oggi dalla statua della Madonna posta all’ingresso dello stabilimento.
La ricostruzione delle aziende italiane distrutte o danneggiate dalla
guerra portò molto lavoro alla Conceria Lorenzo Chiorino e l’apertura delle
frontiere permise di nuovo l’ingresso delle materie prime, pelli e prodotti
chimici, e la disponibilità di nuovi mercati nel mondo. Ma per le concerie di cuoio per usi industriali si stava lentamente profilando negli anni
‘50 un grosso rischio, quello dell’impiego di nuove materie plastiche e di
gomma sintetica che avrebbero sostituito il cuoio in molte applicazioni
nel giro di un decennio.
Fulvio, con l’accordo del fratello Angelo, cominciò a girare
l’Europa, a visitare aziende chimiche produttrici, a provare e a riprovare
prima in laboratorio e poi sulle macchine tessili i nuovi materiali. Fu
un’autentica rivoluzione in un’azienda che da cinquant’anni aveva fatto lo
stesso prodotto, migliorandolo continuamente. Il laboratorio chimico si
ampliò, nacquero alcuni nuovi piccoli reparti produttivi, qualche dipendente tra i più capaci fu istruito alle nuove tecniche. Inizialmente sorsero
non pochi problemi: articoli collaudati in laboratorio che fallivano nelle
prove industriali, errori nell’utilizzo di tecniche produttive nuove in un’a-
175
Ricordi familiari
zienda senza back-ground, iniziali diffidenze da parte dei clienti tradizionali, mancanza di preparazione tecnica da parte dei venditori, nuovi concorrenti che non conoscevano l’impiego del cuoio ma che già applicavano
i nuovi prodotti sintetici in campo tessile. Fulvio, da buon biellese, non
perse mai il coraggio e con pazienza, costanza e con gli aiuti tecnici giusti
risolse un poco per volta ogni problema.
Al termine di questo periodo di profondi cambiamenti, delle sette
concerie biellesi, alla fine degli anni ’60 ne rimanevano solo più due, la
Lorenzo Chiorino e la Pietro Serralunga, con i reparti concia che si riducevano man mano e gli altri reparti che si ampliavano. Fulvio aveva vinto
la sua sfida produttiva, non aveva esitato a produrre articoli in concorrenza con il cuoio che aveva rappresentato per cinquant’anni i suoi studi, il
suo mestiere, la sua grande passione.
Passione che l’aveva portato a utilizzare il cuoio non solo per la produzione industriale ma anche in numerose piccole applicazioni artigianali o artistiche: i portamatite per scrivania in pelle d’elefante conciata al
tannino, i paralumi in pergamena di bufalo, gli album delle fotografie
rilegati in vitello al tannino, i “longues lanières” per gli sci in cuoio al
cromo ingrassato, le sedie della “Baita Amici” in “Peltan” col pelo, le
“chaises longues” per il giardino di Sordevolo in liste di cuoio al tannino.
Durante i vent’anni di queste trasformazioni tecniche e produttive,
che vanno dal cinquantenario dell’azienda nel 1956 alla fine degli anni
’70, di cui Fulvio fu il promotore e l’artefice, egli volle anche mettere a
disposizione di altre persone una parte del suo tempo. Fu Presidente
dell’Ospizio di Carità di Biella per nove anni e seguì personalmente molti
ragazzi che gli rimasero affezionati; fu amministratore delle chiese e delle
opere parrocchiali del Piazzo, la sua parrocchia; fu Presidente della sezione di Biella del Club Alpino Italiano, occupandosi in particolare dell’avvicinamento dei giovani alla montagna, fu Presidente del Lions Club di
Biella, cui dedicò una parte del suo tempo per iniziare e consolidare i rapporti con i Lions esteri, soprattutto quelli francesi, in periodo in cui lo spirito europeo si stava formando.
Amò molto la montagna, da giovane come scalatore e sci-alpinista,
nella maturità come escursionista attento, attratto dalla bellezza della
natura e dai sentieri nelle valli e tra i monti. Avvicinandosi alla vecchiaia,
volle testimoniare il suo amore per la nostra regione scrivendo il libro
176
Fulvio Chiorino
“Sentieri del Biellese”, oltre cento itinerari nelle valli dell’Elvo, di Oropa,
del Cervo, del Sessera e dello Strona, nella Serra, nella Bessa e in Baraggia.
Le fotografie di Antonaci e i disegni di Placido Castaldi completavano il
suo libro, che ebbe tre ristampe per un totale di tremila copie e che si trova
nelle biblioteche o nello zaino di tanti biellesi.
Negli anni ’60 e ’70 Fulvio accompagnò con il fratello Angelo l’ingresso della terza generazione nella Conceria Chiorino, che lasciò in buone
mani nel 1982 rassegnando le dimissioni dalla carica di Presidente dopo
oltre cinquant’anni di lavoro dedicati ad un’azienda che conosceva e che
amava profondamente.
Morì il 21 febbraio 1990, dopo alcuni anni in cui la sua mente viva
e il suo entusiasmo si erano lentamente spenti.
177
1. Angelo, all’epoca degli studi universitari (1928).
2. Angelo, ufficiale di cavalleria (1932).
3. Angelo e Margherita in occasione delle nozze d’oro (1985).
178
Angelo Chiorino
Gregorio Chiorino
Angelo nacque a Biella il 24 novembre 1908: si diplomò ragioniere
industriale si laureò successivamente in Economia e Commercio a Torino.
Durante il corso dei suoi studi universitari scoppiò la grande crisi
industriale del 1929, che sfociò nella depressione economica degli anni
31-32, anni in cui molte aziende furono costrette a cessare la loro attività
per gravi difficoltà economiche.
Angelo evocava il grande ottimismo di suo padre Lorenzo, che gli
rese possibile continuare a studiare e completare così la sua formazione,
nonostante avesse una famiglia con 5 figli da mantenere ed un’azienda
conciaria non ancora consolidata da mandare avanti.
Angelo sentì fortissimo il senso di riconoscenza per questo padre
lungimirante e cercò di ripagare come meglio poteva quei sacrifici così
gravosi: ebbe un percorso di studi con voti molto alti, ottenendo la Laurea
in Economia con 108/110 (solo un infausto 19 all’esame di Matematica
Attuariale lo privò dell’agognato 110/110).
Proprio la sua tesi di laurea sull’andamento dei cicli economici, lo
aveva appassionato allo studio della Politica Economica, disciplina che
avrebbe voluto continuare a studiare, avviandosi a quella che sarebbe stata
la sua più grande passione, la carriera accademica.
Ricordo non solo la sua preparazione in materia ma anche una serie di
libri sui cicli economici che Angelo fece arrivare dagli Stati Uniti e
dall’Inghilterra, per poter meglio approfondire l’argomento, libri contenenti
numerose annotazioni a matita, scritte con la sua ordinata e chiarissima grafia.
Il profondo senso di lealtà e di riconoscenza verso il padre Lorenzo,
che lo aveva mantenuto agli studi per potere poi contare sul suo aiuto professionale e sulle sue competenze nello sviluppo dell’azienda familiare, lo
convinsero a ritornare a Biella, dopo il servizio militare prestato quale
Ufficiale di Cavalleria nella tenuta della Mandria a Torino.
Angelo nel 1933 iniziò la sua attività lavorativa presso la Conceria
Chiorino di Biella. Aveva un carattere mite, riflessivo, ma molto determi-
179
Ricordi familiari
nato: direi lo stesso del padre Lorenzo ma, essendo della seconda generazione, forse più prudente.
Lorenzo nel 1935 nominò i due figli Fulvio ed Angelo procuratori
generali dell’azienda, e suddivise responsabilità e competenze in due settori: a Fulvio venne affidata l’attività di conceria e manifattura, ad Angelo
la conduzione di un reparto di confezione cosiddetto “tacchetti”, che occupava 30-40 addetti e l’amministrazione.
Nello stesso 1935 Angelo si sposò con Margherita Reda e dal loro matrimonio nacquero 5 figli: Lorenzo, Federico, Maria Chiara, Gregorio ed Amedeo.
L’unione con Margherita costituì un legame assolutamente eccezionale – vorrei dire mitico - da cui entrambi seppero attingere le risorse per
superare i momenti più difficili della loro esistenza.
Il periodo della Seconda Guerra portò gravi difficoltà: la prigionia
di Angelo al carcere del Piazzo, sebbene breve – 8 giorni – fu il momento più drammatico e doloroso. Solo la Provvidenza, per una fortunata coincidenza permise ad Angelo, all’ultimo momento, di non salire su quel
maledetto treno con destinazione Mathausen.
Per tutta la sua vita quel ricordo rimase bruciante, come anche l’umiliazione delle cinghiate sulla schiena impartitegli dai tedeschi, le cui
cicatrici lo accompagnarono per molti mesi.
Con altrettanta angoscia Angelo ricordava l’avventatezza dei partigiani, che scendevano dalle montagne per requisire cuoio dalle concerie
biellesi, entrando spavaldi in azienda da cancelli secondari, con i fucili
spianati e con le bombe a mano ben in vista, per ottenere quello che volevano: poiché la Chiorino, quale azienda protetta, era sottoposta a controlli e pattugliamenti sistematici da parte delle truppe tedesche d’occupazione, si possono immaginare le tensioni che ne derivavano.
Nel decennio della ricostruzione del dopoguerra, il tandem Angelo
e Fulvio, sotto la supervisione di Lorenzo, ben s’integrò e portò l’azienda
a raggiungere risultati molto soddisfacenti.
Fulvio, decisionista e più impulsivo, si dedicava completamente alla
produzione, Angelo, più pacato e riflessivo, si occupava prevalentemente
dell’ottimizzazione delle risorse.
Fulvio, da bravo tecnico, capì per tempo che il ciclo di vita degli articoli in cuoio per usi industriali stava andando a termine, e s’impegnò a ricercare dei materiali sostitutivi quali la gomma sintetica e le materie plastiche.
180
Angelo Chiorino
A questo suo ruolo d’innovatore si contrappose molto efficacemente la figura del gestore delle risorse, Angelo, ed insieme i due fratelli
riuscirono a completarsi in modo assolutamente positivo.
Nel 1956, seguendo le indicazioni del padre Lorenzo, utilizzarono il
patrimonio familiare per provvedere ad una sistemazione delle 3 sorelle
Alduccia, Giannina e Laura, cosicché dopo la morte di Lorenzo, avvenuta nel
1957, essi si trovarono a dirigere l’azienda essendone gli unici 2 azionisti.
Il 1958 segnò la vita di Angelo: in un incidente automobilistico
perse la vita, a vent’anni, il figlio Federico. Portò sempre con sé questo
dolore indelebile, nel profondo del cuore.
L’inizio degli anni ’60 vide l’ingresso in azienda della terza generazione:
prima Lorenzo, poi Gian Paolo, e via via Stefano, Luca, Gregorio ed Amedeo.
La comunicazione fra Fulvio ed Angelo, che fra alti e bassi funzionò
egregiamente tutta la vita, subì in quegli anni una crisi dovuta al disaccordo di Angelo a seguire il progetto di Fulvio di rilevare un’azienda di
tintoria, dislocata in capannoni industriali di proprietà della famiglia.
Angelo non condivideva l’investimento verso un’attività di servizio
a favore del settore tessile, attività che non permetteva di avere né il controllo delle materie prime, né dei clienti finali, ma che rappresentava solo
un fase di trasformazione industriale per conto terzi.
Purtroppo i fatti dimostrarono che le previsioni di Angelo erano corrette.
Negli anni ’70, anni di radicali trasformazioni dell’azienda, Angelo
ebbe fiducia nella capacità della terza generazione: considerava assolutamente necessario l’adeguamento delle tecnologie ai nuovi materiali, ma
richiedeva prudenza e gradualità.
“Fate un passo dopo l’altro”: non voleva infatti che l’azienda potesse trovarsi in una posizione finanziaria squilibrata, ancora memore delle
gravi tensioni finanziarie fronteggiate dal padre Lorenzo. In più occasioni
continuò, da bravo economista, a mettere in pratica le competenze acquisite ed a bene amministrare il patrimonio aziendale e familiare.
Il suo understatement fu probabilmente soddisfatto dalla data in cui
morì, 10 agosto 1995, giorno di San Lorenzo, giorno in cui la famiglia
Chiorino festeggia il Nonno Lorenzo.
Non comparve nessun articolo a commento della sua scomparsa.
Per lui era più che sufficiente l’affetto di tutti i suoi cari, che gli
erano sempre stati vicino.
181
Quale futuro?
Gregorio Chiorino
Intravedo un’azienda legata al territorio biellese, in cui continuerà
ad investire, orgogliosa di continuare il lavoro che chi ci ha preceduto, ci
ha lasciato; lavoro inteso come testimonianza di un valore fondamentale
della nostra società industriale, di cui andiamo fieri.
Azienda rispettosa delle regole e dell’impegno che tutti coloro che
sono legati al suo buon funzionamento hanno profuso.
Azienda socialmente ed eticamente responsabile, che faccia della
sostenibilità ambientale un suo credo assoluto e che generi, con il suo ben
operare, promozione economica, civile e culturale.
Auspico che l’azienda possa operare in un contesto sempre più liberale, intendendo con questa affermazione, il poter competere partendo da
un territorio e da una Nazione in cui le regole competitive siano simili a
quelle dei Paesi in cui operano i nostri concorrenti, senza subire eccessive
penalizzazioni da situazioni di partenza dissimili (oggi, ad esempio, siamo
penalizzati nel nostro operare dalle gravi carenze infrastrutturali locali e
nazionali, dai maggiori costi energetici, da situazioni fiscali e burocratiche
inadeguate, ecc..).
Opereremo affinché la Chiorino possa continuare a crescere sotto l’aspetto culturale prima e con l’ausilio di migliori strutture organizzative
poi, per poter raggiungere la dimensione di una media azienda superspecializzata e sempre più internazionalizzata.
Vogliamo diventare sempre più un’azienda di nicchia, rafforzando le
scelte strategiche già intraprese in questi ultimi decenni, per creare un’entità di successo che, pur non essendo una grande impresa, sia in grado di
avere una dimensione adeguata per affrontare il mercato globale, confermandosi quale player internazionale significativo.
Continueremo a perseguire un’innovazione organizzativa di processo e di prodotti per difendere e migliorare la nostra specializzazione nello
sviluppo, produzione e distribuzione di nuovi tipi di nastri trasportatori e
di elementi per il trasporto, così ben esplicata dal company claim “Ideas in
183
Quale futuro?
motion”, e continueremo ad operare per migliorare il modo in cui i nostri
prodotti vengono proposti e venduti ai nostri clienti, di cui vogliamo
diventare sempre più partners affidabili, su cui poter contare in ogni evenienza ed in ogni parte del mondo.
Siamo pronti ad affrontare le sfide del terzo millennio – ed il futuro appartiene alle giovani generazioni.
Sono il Presidente e responsabile operativo delle aziende del Gruppo
Chiorino dal 1982.
In questi 24 anni di responsabilità ho cercato di impostare e praticare le scelte strategiche sopra descritte.
Ho avuto la responsabilità di traghettare il passaggio della conduzione aziendale dalla seconda generazione (quella di Fulvio e di Angelo)
alla terza generazione (quella dei miei fratelli e cugini e la mia) e di preparare l’ingresso della quarta generazione.
Sono, via via nel tempo, rimasto solo alla guida con mio fratello Amedeo.
Siamo una famiglia d’imprenditori e, per definizione, siamo degli
ottimisti in relazione al futuro delle nostre imprese. Se non lo fossimo, realizzeremmo il nostro capitale, investendolo altrimenti.
Abbiamo tre figli: Matteo ed Elisa, figli di Gregorio, e Tommaso,
figlio di Amedeo.
Elisa ha 30 anni, vive a Padova e, dopo un’ottima laurea, lavora
quale responsabile della comunicazione per la Marsilio Editori di Venezia.
Tommaso ha 26 anni, e sta compiendo la sua formazione lavorativa
post scolastica.
Matteo ha 32 anni: dopo la sua laurea in Bocconi ed altre esperienze lavorative è alla Chiorino dal 2001: rappresenta la continuità della
famiglia in azienda quale – al momento – unico rappresentante della quarta generazione e si sta preparando per assumere maggiori responsabilità
gestionali future.
Desidero chiudere queste mie brevi note, evocando una testimonianza che compare tra le bellissime raccolte di scritti curata da Gian
Filippo Cuneo nel 1999, che vorrei dedicare a mio figlio Matteo:
184
Caro Matteo,
a te e ad Elisa è sempre piaciuta quella frase: “Un padre lascia due
cose ad un figlio: le radici e le ali”.
Le radici rappresentano tutti i valori e gli affetti che abbiamo condiviso.
Ti ho lasciato libero di decidere se entrare in Azienda: tu ti sei preparato ed hai deciso di sì.
Ti ho richiesto allora la disponibilità ad accettarne tutte le conseguenze, spiegandoti che l’Azienda richiede continui sacrifici e che porta
via il meglio di te stesso, ma che sa dare anche delle grandi soddisfazioni.
Abbiamo tante volte condiviso il fatto che non c’interessa perpetuare una continuità familiare fine a sé stessa, ma che è prioritario fare le scelte giuste al momento giusto.
Se nella tua vita dovessi sentire che le preoccupazioni diventano
eccessive, che le tensioni del lavoro diventano una pressione insopportabile, che l’entusiasmo è scemato, allora quello è il momento di prendere le
decisioni che riterrai opportune, in piena libertà e con coraggio, per il
bene di tutti coloro che lavorano nell’Azienda, e per il tuo bene.
Ed allora potrai con le tue ali riprendere un nuovo volo, in libertà,
verso gli approdi che sceglierai, per te e per l’Azienda.
Papà.
185
Un commento finale
Guido Corbetta
Michele D’Alessandro ha scritto molto e bene sulla storia della
Chiorino. Gregorio e Gian Paolo Chiorino hanno integrato il tutto con
alcuni toccanti ricordi personali e con alcune intenzioni per il futuro. Ora
mi si chiede un commento finale. Compito non facile, ma stimolante, al
quale mi appresto con qualche timore, in primis il timore di ridurre una
storia così importante a poche battute. Quanto vado scrivendo, quindi,
non vuole essere una sintesi del libro, ma la sottolineatura, del tutto personale, degli elementi che più hanno colpito la mia attenzione, senza alcuna pretesa di esaustività o di incontestabile evidenza.
Dapprima, mi sembra utile commentare alcune caratteristiche della
famiglia Chiorino come famiglia imprenditoriale che si è dedicata con passione in questi primi cento anni a sviluppare la realtà industriale nata dall’ingegno e dalla energia di Lorenzo. Poi provo ad approfondire alcuni caratteri della strategia perseguita e dei modelli di gestione strategica utilizzati.
La famiglia Chiorino è stata una famiglia proprietaria responsabile.
Ha inteso l’impresa come un bene privato ad utilità pubblica, non
asservendola ai propri esclusivi interessi. Ovviamente ne ha tratto risorse
e benefici (necessarie remunerazioni per i rischi intrapresi), ma sempre
avendo cura di condividere i buoni risultati con i collaboratori tutti e col
territorio circostante.
Ha interpretato la proprietà non come un diritto ereditario, ma
come un dovere di trasmissione. Ogni generazione non ha sperperato
quanto le era stato tramandato e neppure si è preoccupata solo di conservare con maniacale ossessione quanto ricevuto. In realtà, si è impegnata
soprattutto a far fruttare il patrimonio finanziario e non finanziario accumulato, usandolo con coraggio per vincere nuove sfide.
Ha inteso i contenuti della proprietà non solo come diritti e privilegi - che pure, sia detto senza falsi pudori, esistono - ma anche, e direi
prima di tutto, come doveri e rischi. Essere proprietari del capitale di una
impresa non è la stessa cosa che essere proprietari di un immobile.
187
Un commento finale
L’impresa, l’azienda, è una realtà viva, in perenne cambiamento, fatta di
persone, di famiglie che impegnano la loro vita di lavoro: per questo, i
proprietari non possono limitarsi a riscuotere i frutti del passato, ma devono guardare al futuro assumendosi i rischi di impegnare una parte del proprio capitale per traguardare le sfide che via via si presentano. Da questo
punto di vista, la prova forse più evidente della concezione di cui è stata
portatrice la famiglia Chiorino sta nella continua mutazione del business
aziendale. Se una proprietà si rende conto che un settore sta diminuendo
drasticamente le sue potenzialità future, è suo dovere chiedersi come utilizzare le competenze e le risorse maturate per entrare in nuovi settori.
Così ha fatto la famiglia Chiorino ampliando via via il novero delle tecnologie utilizzate e dei clienti e mercati serviti dalla propria azienda.
Ha adottato una corretta concezione del finalismo aziendale che
vede nel profitto di breve e di lungo termine la giusta ricompensa del
lavoro svolto. Per aumentare il profitto a breve termine di un’impresa
basta ridurre gli investimenti di ricerca, produttivi o commerciali, basta
non preoccuparsi di ricompensare adeguatamente il contributo dei collaboratori validi, basta sfruttare i clienti quando se ne presentano le occasioni senza preoccuparsi più di tanto della loro soddisfazione nel tempo.
Per sostenere il profitto di una azienda nel lungo termine, invece, occorre
impegnarsi a: fare gli investimenti nella misura e nella direzione corrette
per rinnovare le fonti del vantaggio competitivo; mantenere in azienda le
risorse umane più valide prospettando loro adeguati aumenti di ricompensa monetaria e non, soprattutto in presenza di contributi decisivi per
qualità e quantità; mantenere e sviluppare nel tempo la clientela impostando politiche di prezzo che consentano una giusta remunerazione del
capitale investito e, nel contempo, lo sviluppo delle aziende clienti.
Ha adottato una logica non nepotistica nei processi successori. I giovani Chiorino, di ogni generazione, sono persone educate a migliorare con
impegno le proprie conoscenze e capacità, senza pensare di poter entrare
in azienda senza arte né parte e di fare carriera a prescindere dai risultati
ottenuti. Ogni familiare, prima o poi, è stato aiutato a capire ed accettare
i propri limiti personali e professionali, imparando a guardare senza invidia a chi tra gli altri familiari dimostrava più capacità.
Ha saputo affrontare alcuni processi di separazione tra i familiari. La
storia di ogni famiglia imprenditoriale giunta alla terza o alla quarta gene-
188
razione dimostra che inevitabilmente qualche familiare decide di proseguire per la propria strada. La vera differenza tra una proprietà responsabile e una proprietà irresponsabile sta nel come vengono affrontate queste
separazioni. Nelle migliori famiglie, e la Chiorino ne è un bell’esempio,
chi decide di uscire dalla proprietà accetta condizioni economiche che permettano a chi rimane di continuare a investire nell’impresa e chi decide di
rimanere è consapevole che chi esce si aspetta una giusta remunerazione
del proprio capitale. In buona sostanza, nessuno si comporta come se
dovesse fare “l’affare del secolo”!
Su questo tema delle separazioni è bene spendere qualche parola
ancora. Nella storia della Chiorino sono avvenute varie separazioni (la
prima addirittura nei primi anni di vita dell’azienda). Ciò ha forse precluso alla Chiorino di diventare un player ancora più significativo nei settori
nei quali si è trovata ad operare perché ovviamente alcune risorse sono
state distratte dall’azienda. Peraltro, dato che l’unità della proprietà è un
valore irrinunciabile per il buon funzionamento di un’azienda, nessuno
può dire quanto danno avrebbe potuto portare una proprietà logorata da
dissidi o anche solo da profonde divergenze di visione strategica. Per questo, a mio avviso, occorre guardare con molto rispetto a tutti i familiari
Chiorino che hanno saputo affrontare con coraggio una delle sfide più gravide di conseguenze negative nella storia di molte imprese familiari italiane e non solo.
La sfida della proprietà responsabile non è mai vinta una volta per
tutte. Certo, è ragionevole ritenere che cento anni di storia abbiano contribuito non poco a radicare nella famiglia i semi che consentiranno di
mantenere anche per il futuro valori e comportamenti simili. Ma ogni
generazione deve appropriarsi di questa concezione con un lavoro di ricerca delle ragioni profonde che rendono più conveniente, oltre che più affascinante, l’impegno da proprietari responsabili di un’azienda. Auguro ai
giovani Chiorino di imparare a riconoscere questa concezione “morale”
della proprietà nei comportamenti dei loro genitori e di riuscire a perpetuarla con saggezza.
La storia della Chiorino è molto istruttiva anche sotto un profilo più
strettamente di gestione aziendale.
L’“arte di cambiare mestiere”, come la chiama Maurizio Sella, un
valente banchiere buon conoscitore delle aziende biellesi e non solo, è uno
189
Un commento finale
dei compiti più difficili perché occorre farlo nei tempi e nei modi giusti.
Coloro che hanno gestito il gruppo Chiorino in questi cento anni hanno
dimostrato di saper cambiare mestiere. Lo hanno fatto avendo cura di
adottare una logica strategica che potremmo definire “per esperimenti”. In
buona sostanza, mentre continuavano ad investire nei business tradizionalmente propri del gruppo, si impegnavano anche a sondare nuovi campi di
attività con investimenti limitati utili a valutare “con il fare” la loro
attrattività. Così facendo, il gruppo si è preparato per tempo alla chiusura di attività nelle quali ormai, per le ragioni più varie, non disponeva più
di alcun vantaggio competitivo.
La sfida di cambiare mestiere comporta un’altra sfida che purtroppo molte imprese familiari non vogliono ancora oggi affrontare: quella
dell’inserimento di manager non familiari portatori di nuove competenze. Stupisce leggere con quanta cura sin dai tempi più lontani la Chiorino
è stata in grado di coinvolgere manager non familiari nelle forme più
diverse. In alcuni casi, chiedendo a manager di aziende multinazionali di
impiegare il sabato mattina per sviluppare nuovi progetti, in altri casi
assumendo persone di valore e integrandole nella squadra manageriale
esistente, in altri ancora facendo crescere le competenze dei giovani più
meritevoli dando loro adeguati spazi di autonomia. Senza management
adeguato le aziende non possono prosperare. Una famiglia può essere portatrice di molte competenze, ma ad evidenza non può mai pensare di essere capace di sviluppare al proprio interno tutte le competenze di cui l’azienda abbisogna, soprattutto in presenza di importanti cambi di business.
L’inserimento di manager trascina il cambiamento di una serie di elementi della gestione aziendale: i processi decisionali devono farsi più collegiali, i sistemi di definizione degli obiettivi e di controllo devono essere messi a punto con più cura, i sistemi di carriera devono essere definiti
non solo per i familiari ma per tutti, e così via. La Chiorino – e, in primis,
chi ha ricoperto i ruoli di massima responsabilità - è stata capace di aprirsi al contributo di persone capaci e meritevoli di fiducia, senza chiudersi
in una antistorica e riduttiva difesa del ruolo manageriale esclusivo della
famiglia.
La Chiorino è stata spesso guidata da una coppia di imprenditori,
come è successo per lungo tempo con Angelo e Fulvio. Spesso, nel Biellese
e non solo, la storia delle imprese familiari è caratterizzata dalla conviven-
190
za feconda di due imprenditori che integrano dialetticamente le loro competenze. Forse qui sta uno dei segreti del successo di molte imprese familiari, perché la dialettica abitua al confronto e diventa quasi un metodo di
gestione che aiuta a trovare la soluzione migliore che, spesso, non è quella proposta da uno dei due componenti del team imprenditoriale, ma è una
“terza via” frutto proprio del confronto dialettico. Gli imprenditori sono
persone alla ricerca di una propria soddisfazione personale, che vogliono
lasciare un segno nella storia di una famiglia, di un’impresa o addirittura
di un territorio. La capacità di attenuare questa spinta individualistica
imparando ad apprezzare il contributo di un altro imprenditore, sia pure
un fratello, è propria di molte famiglie che hanno saputo affrontare con
successo le varie sfide. Ciò richiede educazione da parte dei genitori, lavoro da parte di tutti. Un grande aiuto può venire dal capire quale sia il bene
comune da perseguire: se il bene comune è la continuità dell’azienda, più
che il proprio personale successo, allora si creano le basi per cominciare a
investire sul confronto reciproco senza l’ansia di dovere dimostrare a tutti
i costi di “essere il più bravo”, per accettare con umiltà il contributo che
può venire dall’altro, per accettare di svolgere il ruolo per il quale si è più
portati senza volere a tutti i costi vedersi riconosciute responsabilità che
poi non si è in grado di esercitare con competenza.
La passione per l’innovazione: ecco un altro degli insegnamenti di
questa bella storia. Oggi si discute molto della difficoltà delle imprese italiane a fare ricerca e si sostiene, non senza ragione, che la necessaria collaborazione tra aziende e centri di ricerca (universitari e non) non si sviluppa a dovere. La storia della Chiorino, al contrario, è densa di investimenti
in prodotti e tecnologie innovative sviluppate spesso con il contributo
determinante di centri di ricerca o di ricercatori esterni. Non esistono
ricette magiche: l’innovazione è frutto di una convinzione, di una o più
intuizioni e di un lavoro duro. La convinzione che la ricerca sia uno degli
elementi più solidi per sostenere il vantaggio competitivo è una sorta di a
priori che caratterizza la storia di alcune imprese e che diventa una sorta di
legge da rispettare. L’intuizione è frutto dell’ascolto dei mercati dei prodotti finiti, dai quali vengono le domande di novità, e del mercato della
ricerca, dal quale viene l’offerta di novità. La Chiorino ha dimostrato di
sapersi posizionare con coraggio all’incrocio di queste traiettorie, senza
lasciarsi trascinare in progetti avventati, individuando i luoghi di produ-
191
Un commento finale
zione della conoscenza e appoggiandosi a loro in un rapporto di mutua collaborazione.
La passione per l’espansione geografica: non si diventa un grande
gruppo se non si è capaci di inserirsi a pieno titolo in nuove aree territoriali. La Chiorino, come molte altre imprese familiari di valore, ha perseguito con decisione, sin dall’inizio, lo sviluppo geografico, prima in Italia,
poi in Europa e ora nel mondo. Competere a livello internazionale non è
solo una questione di investimenti. Per vincere la sfida della globalizzazione occorre sentirsi “cittadini del mondo”, occorre abituarsi a sentirsi
bene in ogni parte del mondo, occorre imparare la lingua e il linguaggio
dei vari paesi. I Chiorino e i manager dell’azienda non sono chiusi al
mondo, sono curiosi di capire come sia possibile cogliere le opportunità
nelle aree più varie del mondo: qui sta un altro dei fattori di successo di
questa famiglia e di questa azienda.
Non si vince alcuna sfida nel mondo senza radicarsi in un contesto
dal quale attingere l’energia necessaria. Chiorino è localizzata a Biella. La
biellesità ha dei tratti comuni che hanno certamente influenzato la storia
dell’azienda: il senso del dovere, il lavoro duro, la grande dedizione, l’onestà, la voglia di fare che è tutto il contrario della cultura del sussidio,
l’internazionalità (già evidente nel settore edile nell’800). Ma non tutte le
imprese biellesi hanno saputo sfruttare questi valori. Solo alcune, e la
Chiorino è certamente tra queste, li hanno utilizzati combinandoli in
modo innovativo con quanto di meglio si poteva trovare in altri contesti
geografici. Come dice con espressione efficace Gregorio Chiorino: “occorre combinare le radici con le ali”.
Tutti questi elementi, e forse altri ancora, hanno condotto la
Chiorino a superare la soglia del secolo di vita in buone condizioni economiche e con un buon grado di fiducia nel futuro. Ma le sfide sono
destinate a continuare. Provando a guardare al futuro della Chiorino,
sembra di poter vedere almeno tre sfide che meritano attenzione. La
prima è quella generazionale, che la famiglia ha dimostrato di saper vincere in passato, ma che ora si ripropone di nuovo. I giovani della famiglia, uomini o donne che siano, dovranno maturare la passione e le competenze necessarie, affrontando con calma i vari passaggi, sapendo tenere alto lo sguardo di fronte al futuro non immediato, confidando nell’aiuto dei padri. La seconda è quella della dimensione e della proprietà.
192
La Chiorino è oggi una di quelle aziende di media dimensione che finalmente stanno ottenendo le prime meritate attenzioni dalla politica e
dagli opinionisti. Ma la questione della dimensione è sempre attuale:
forse occorre fare un ulteriore salto dimensionale per radicarsi con forza
in nuovi e più difficili mercati. E, per fare questo salto, viene da chiedersi se non sia opportuno almeno avviare una riflessione approfondita
sul coinvolgimento di soci terzi: un fondo di private equity o il mercato
borsistico. La ricerca manageriale ha ormai dimostrato che non tutte le
imprese, per evolvere, devono passare attraverso queste esperienze, ma
sarebbe poco saggio non valutare con calma gli eventuali vantaggi (e
svantaggi) di una simile scelta. Da ultimo, la questione del management. Abbiamo scritto che la Chiorino è stata una azienda familiare che
prima e più di altre ha saputo utilizzare manager provenienti dall’esterno. Ora però si tratta di fare un ulteriore passaggio provando a valutare
l’opportunità di assumere altri manager, magari anche non italiani, che
possano portare il loro contributo, per un certo periodo, al gruppo.
Qualche azienda, anche biellese, per poter aumentare la propria attrattività nei confronti dei manager, ha preferito trasferire la sede almeno di
alcuni uffici a Milano: anche la Chiorino deve chiedersi se la localizzazione non possa essere una delle sfide prossime venture. Non si vuole qui
disconoscere il valore positivo della localizzazione biellese che, per certo,
rimarrà un asset rilevante del gruppo; si vuole solo richiamare la necessità di dotarsi di un assetto geografico meno concentrato per quanto
riguarda la direzione del gruppo.
Il futuro quindi va affrontato, con fiducia, consapevoli delle proprie
forze, con determinazione, senza lasciarsi irretire dal famoso detto “abbiamo sempre fatto così” che è all’origine di molti insuccessi. Il patrimonio
del quale la Chiorino dispone è di sicuro un punto di forza, ma, come dice
Maurizio Sella: “è il cattivo conto economico che uccide le imprese”. In
altre parole, la sfida da vincere non è quella del mantenimento della solidità dell’impresa, ma quella del rafforzamento delle basi del vantaggio
competitivo e quindi della redditività dell’impresa.
Per parte nostra, possiamo solo esprimere il convincimento, che
queste pagine hanno contribuito a rafforzare, che la famiglia Chiorino e i
collaboratori tutti dispongono delle energie necessarie per superare i prossimi “tornanti” della vita di questo gruppo centenario.
193
Appendice Statistica e Tematica
196
n.d.
348.962a
n.d.
72.352 a
Ammortamenti
1918
1919
7.959
73.622
1920
180.328
80.461
1921
399.134
140.313
1922
543.252
80.282
1923
577.730
175.007
1924
579.972
148.766
1925
758.330
21.341
1926
504.807
12.798
1927
327.088
0
1928
816.316
26.235
1929
566.898
44.416
1930
367.839
192.681
1931
263.934
63.301
1932
188.189
0
1933
209.371
204.529
1934
119.158
85.332
1935
1.231.254
526.895
1936
976.958
204.721
1937
1.925.281
391.770
1938
1.415.094
120.374
1939
1.931.018
476.815
1940
5.299.884
1.159.688
1941
6.634.792
581.425
1942
6.209.439
778.890
Note: a. dato cumulativo 1917-1918.
1917
Utile
lordo
-165.349
21.224
23.370
235.499
109.752
152.893
367.007
17.601
-140.144
413.383
80.000
-39.444
-99.164
-131.299
4.842
0
100.000
493.109
1.191.770
620.374
1.026.815
4.145.362
5.044.360
1.746.388
n.d.
175.622 a
Utile
netto
469.674
469.674
388.486
411.856
411.856
411.856
450.000
1.100.000
1.200.000
1.200.000
1.350.000
1.400.000
1.449.290
1.383.226
1.300.000
1.350.000
1.350.000
1.350.000
1.350.000
2.000.000
2.250.000
2.500.000
3.000.000
3.000.000
3.000.000
n.d.
Capitale
152.938
152.938
90.000
90.000
325.499
435.251
550.000
267.007
184.608
44.464
390.795
390.795
156.807
93.230
45.158
0
0
100.000
150.000
250.000
500.000
750.000
1.500.000
1.500.000
2.000.000
n.d.
Riserve
50.000
100.000
100.000
150.000
250.000
250.000
200.000
Fondo
indennità di
licenziamento
Fondo
imposte
250.000
400.000
800.000
Tabella A1. Conceria Lorenzo Chiorino, dati caratteristici della gestione, 1917-1942 (valori correnti).
1.385.674
1.000.000
1.000.000
Fondo
ampliamento
fabbrica
622.611
622.611
478.486
501.856
737.355
847.107
1.000.000
1.367.007
1.384.608
1.244.464
1.740.795
1.790.795
1.606.097
1.476.456
1.345.158
1.350.000
1.350.000
1.450.000
1.500.000
2.250.000
2.750.000
3.250.000
4.500.000
4.500.000
5.000.000
157.243
Patrimonio
netto
Appendice statistica
197
n.d.
574.380a
n.d.
119.089 a
Ammortamenti
1918
1919
12.904
119.372
1920
222.506
99.280
1921
416.275
146.338
1922
570.002
84.235
1923
609.709
184.694
1924
591.262
151.662
1925
688.197
19.367
1926
424.695
10.767
1927
300.985
0
1928
810.536
26.049
1929
554.025
43.407
1930
371.255
194.471
1931
294.866
70.720
1932
215.903
0
1933
255.298
249.393
1934
153.204
109.713
1935
1.560.881
667.954
1936
1.151.528
241.302
1937
2.073.123
421.854
1938
1.415.094
120.374
1939
1.849.336
456.646
1940
4.349.367
951.702
1941
4.705.734
412.376
1942
3.810.338
477.955
Note: a. dato cumulativo 1917-1918.
1917
Utile
lordo
-268.099
26.188
24.374
247.095
115.828
155.869
333.065
14.808
-128.960
410.456
78.183
-39.810
-110.785
-150.635
5.905
0
126.772
581.222
1.283.286
620.374
983.381
3.401.904
3.577.718
1.071.647
n.d.
289.069 a
Utile
netto
773.067
761.533
479.349
429.544
432.135
434.653
458.759
998.267
1.009.561
1.104.234
1.340.441
1.368.210
1.462.750
1.545.331
1.491.449
1.646.129
1.735.714
1.711.417
1.591.228
2.153.579
2.250.000
2.394.250
2.461.960
2.127.753
1.840.909
n.d.
Capitale
251.731
247.975
111.050
93.865
341.526
459.344
560.706
242.313
155.311
40.916
388.027
381.921
158.263
104.156
51.808
0
0
126.772
176.803
269.197
500.000
718.275
1.230.980
1.063.877
1.227.273
n.d.
Riserve
50.000
100.000
100.000
150.000
250.000
250.000
200.000
Fondo
indennità di
licenziamento
250.000
400.000
800.000
Fondo
imposte
Tabella A2. Conceria Lorenzo Chiorino, dati caratteristici della gestione, 1917-1942 (valori in lire 1938).
1.385.674
1.000.000
1.000.000
Fondo
ampliamento
fabbrica
1.024.798
1.009.508
590.400
523.409
773.662
893.997
1.019.465
1.240.580
1.164.871
1.145.149
1.728.468
1.750.131
1.621.013
1.649.488
1.543.257
1.646.129
1.735.714
1.838.189
1.768.032
2.422.777
2.750.000
3.112.525
3.692.939
3.191.630
3.068.182
360.895
Patrimonio
netto
Appendice statistica
Tabella A3. Ripartizione geografica del fatturato, 1961-2004 (dati in milioni).
Anno
1961
1962
1963
1964
1965
1966
1967
1968
1969
1970
1971
1972
1973
1974
1975
1976
1977
1978
1979
1980
1981
1982
1983
1984
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
198
Fatturato totale
Lire corr. Lire 2004
353
400
444
368
426
461
427
489
572
621
843
1.226
1.795
1.805
2.789
3.552
4.128
5.694
7.171
7.931
9.287
9.787
13.679
15.679
18.763
20.305
23.522
27.024
30.751
32.742
35.991
42.086
51.860
60.812
55.105
65.293
60.406
62.893
76.641
70.649
71.586
71.994
71.884
7.391
7.968
8.227
6.437
7.001
7.428
6.793
7.567
8.423
8.709
11.194
14.750
18.080
15.517
20.576
22.189
22.933
27.332
28.413
26.474
26.645
24.420
30.865
32.576
36.744
38.007
41.951
45.208
48.485
48.517
50.593
56.778
67.314
74.920
65.344
76.106
69.165
70.893
84.228
75.623
74.807
73.427
71.884
Fatturato Italia
Lire corr. Lire 2004
329
380
413
343
362
382
353
418
455
410
507
784
1.043
1.113
1.673
2.074
1.867
2.960
3.905
4.231
5.796
4.572
6.005
6.892
7.297
7.279
8.235
9.100
9.881
10.140
11.294
12.134
17.465
21.054
20.500
22.002
21.838
21.198
24.411
24.510
22.904
23.611
23.774
6.888
7.570
7.652
6.000
5.949
6.155
5.616
6.468
6.700
5.750
6.732
9.432
10.506
9.568
12.343
12.956
10.372
14.208
15.472
14.123
16.629
11.408
13.550
14.320
14.290
13.625
14.687
15.223
15.579
15.025
15.876
16.370
22.670
25.939
24.309
25.646
25.005
23.894
26.828
26.236
23.935
24.081
23.774
Fatturato estero
Lire corr. Lire 2004
24
20
31
25
64
79
74
71
117
211
337
442
752
692
1.116
1.478
2.261
2.734
3.266
3.700
3.491
5.215
7.674
8.787
11.466
13.026
15.287
17.924
20.870
22.602
24.697
29.952
34.395
39.758
34.605
43.291
38.568
41.695
52.230
46.139
48.682
48.384
48.111
502
398
574
437
1.052
1.273
1.177
1.099
1.723
2.959
4.475
5.318
7.574
5.949
8.234
9.233
12.561
13.123
12.941
12.351
10.016
13.012
17.316
18.257
22.454
24.382
27.264
29.985
32.906
33.492
34.717
40.408
44.645
48.982
41.035
50.460
44.160
46.999
57.401
49.387
50.873
49.347
48.111
Valori %
Italia Estero
93,20
95,00
93,02
93,21
84,98
82,86
82,67
85,48
79,55
66,02
60,14
63,95
58,11
61,66
59,99
58,39
45,23
51,98
54,46
53,35
62,41
46,72
43,90
43,96
38,89
35,85
35,01
33,67
32,13
30,97
31,38
28,83
33,68
34,62
37,20
33,70
36,15
33,70
31,85
34,69
32,00
32,80
33,07
6,80
5,00
6,98
6,79
15,02
17,14
17,33
14,52
20,45
33,98
39,98
36,05
41,89
38,34
40,01
41,61
54,77
48,02
45,54
46,65
37,59
53,28
56,10
56,04
61,11
64,15
64,99
66,33
67,87
69,03
68,62
71,17
66,32
65,38
62,80
66,30
63,85
66,30
68,15
65,31
68,00
67,21
66,93
Tabella A4. Composizione del fatturato per linee di prodotto, 1961-2004 (dati in milioni).
Cuoio
Lire corr. Lire 2004
1961
1962
1963
1964
1965
1966
1967
1968
1969
1970
1971
1972
1973
1974
1975
1976
1977
1978
1979
1980
1981
1982
1983
1984
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
323
365
404
333
360
360
320
360
397
380
383
530
745
727
929
1.125
1.230
1.419
1.806
1.771
1.580
1.561
1.500
1.474
1.616
354
275
-
6.763
7.271
7.485
5.825
5.916
5.800
5.091
5.571
5.846
5.329
5.086
6.376
7.504
6.250
6.854
7.028
6.833
6.811
7.156
5.912
4.533
3.895
3.385
3.063
3.165
663
490
-
Gomma
Lire corr. Lire 2004
26
61
67
89
120
161
320
466
740
728
1.114
1.458
1.613
2.189
2.684
2.709
2.780
3.096
4.253
4.800
5.629
5.084
5.322
5.922
7.268
8.414
9.155
10.256
12.915
15.652
13.847
15.908
14.838
13.195
16.647
16.961
15.518
15.095
14.835
427
983
1.066
1.377
1.767
2.258
4.249
5.606
7.454
6.258
8.219
9.108
8.961
10.507
10.635
9.043
7.976
7.725
9.596
9.973
11.023
9.516
9.492
9.907
11.459
12.468
12.869
13.836
16.764
19.283
16.420
18.542
16.990
14.873
18.295
18.155
16.216
15.395
14.835
Nastri e cinghie
Fatturato totale
Lire corr. Lire 2004 Lire corr. Lire 2004
20
60
120
160
170
488
644
876
1.603
1.950
2.678
3.958
3.970
6.230
7.960
10.050
13.002
15.436
18.947
21.513
21.341
23.415
28.609
36.015
42.027
38.142
45.324
42.258
45.032
55.009
49.770
51.916
52.457
53.289
280
797
1.444
1.612
1.461
3.600
4.023
4.867
7.695
7.726
8.939
11.356
9.906
14.057
16.538
19.681
24.337
27.530
31.696
33.920
31.623
32.914
38.596
46.747
51.777
45.229
52.830
48.385
50.760
60.455
53.274
54.252
53.501
53.289
353
400
444
368
426
461
427
489
572
621
843
1.226
1.795
1.805
2.789
3.552
4.128
5.694
7.171
7.931
9.287
9.787
13.679
15.679
18.763
20.305
23.522
27.024
30.751
32.742
35.991
42.086
51.860
60.812
55.105
65.293
60.406
62.893
76.641
70.649
71.586
71.994
71.884
7.391
7.968
8.227
6.437
7.001
7.428
6.793
7.567
8.423
8.709
11.194
14.750
18.080
15.517
20.576
22.189
22.933
27.332
28.413
26.474
26.645
24.420
30.865
32.576
36.744
38.007
41.951
45.208
48.485
48.517
50.593
56.778
67.314
74.920
65.344
76.242
69.167
70.892
84.230
75.631
74.807
73.428
71.883
199
Appendice statistica
Tabella A5. Composizione percentuale del fatturato per linee di prodotto, 1961-2004
1961
1962
1963
1964
1965
1966
1967
1968
1969
1970
1971
1972
1973
1974
1975
1976
1977
1978
1979
1980
1981
1982
1983
1984
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
200
Cuoio
Gomma
Nastri e cinghie
Vari
Fatturato totale
91,50
91,25
90,99
90,49
84,51
78,09
74,94
73,62
69,41
61,19
45,43
43,23
41,50
40,28
33,31
31,67
29,80
24,92
25,18
22,33
17,01
15,95
10,97
9,40
8,61
1,74
1,17
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
6,10
13,23
15,69
18,20
20,98
25,93
37,96
38,01
41,23
40,33
39,94
41,05
39,07
38,44
37,43
34,16
29,93
31,63
31,09
30,61
30,00
25,04
22,63
21,91
23,64
25,70
25,44
24,37
24,90
25,74
25,13
24,32
24,56
20,98
21,72
24,00
21,68
20,97
20,64
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
3,22
7,12
9,79
8,91
9,42
17,50
18,13
21,22
28,15
27,19
33,77
42,62
40,56
45,54
50,77
53,56
64,03
65,62
70,11
69,96
65,18
65,06
67,98
69,45
69,11
69,22
69,29
69,95
71,60
71,77
70,44
72,52
72,86
74,13
8,50
8,75
9,01
9,51
9,39
8,68
9,37
8,18
9,62
9,66
9,49
8,97
8,36
9,97
9,25
9,15
9,91
8,48
10,19
9,75
10,43
11,85
12,40
9,22
7,82
9,18
10,58
7,97
6,41
9,12
9,51
7,65
5,65
5,15
5,65
6,39
5,48
7,42
6,51
5,56
5,80
6,17
5,23
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
Tabella A6. Composizione della forza lavoro, 1961-2004
Operai
Impiegati
(%)
1961
1962
1963
1964
1965
1966
1967
1968
1969
1970
1971
1972
1973
1974
1975
1976
1977
1978
1979
1980
1981
1982
1983
1984
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
89
89
86
94
110
108
110
112
123
124
118
110
106
111
119
113
120
123
128
145
152
155
153
154
167
188
190
206
196
192
207
208
201
199
201
(82,41)
(84,76)
(82,69)
(81,03)
(82,09)
(81,82)
(80,88)
(81,16)
(82,00)
(81,05)
(80,82)
(79,14)
(77,94)
(76,55)
(75,32)
(73,86)
(74,07)
(75,93)
(67,72)
(70,73)
(73,08)
(72,43)
(70,83)
(70,64)
(70,17)
(72,31)
(71,43)
(71,03)
(69,75)
(67,84)
(68,54)
(67,75)
(67,00)
(66,78)
(67,22)
Totale
(%)
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
19
16
18
22
24
24
26
26
27
29
28
29
30
34
39
40
42
39
61
60
56
59
63
64
71
72
76
84
85
91
95
99
99
99
98
(17,59)
(15,24)
(17,31)
(18,97)
(17,91)
(18,18)
(19,12)
(18,84)
(18,00)
(18,95)
(19,18)
(20,86)
(22,06)
(23,45)
(24,68)
(26,14)
(25,93)
(24,07)
(32,28)
(29,27)
(26,92)
(27,57)
(29,17)
(29,36)
(29,83)
(27,69)
(28,57)
(28,97)
(30,25)
(32,16)
(31,46)
(32,25)
(33,00)
(33,22)
(32,78)
95
96
96
85
78
91
93
97
101
108
105
104
116
134
132
136
138
150
153
146
139
136
145
158
153
162
162
189
205
208
214
216
218
238
260
266
290
281
283
302
307
300
298
299
201
Appendice statistica
Tabella A7. Fatturato per addetto, 1961-2004 (valori in milioni).
1961
1962
1963
1964
1965
1966
1967
1968
1969
1970
1971
1972
1973
1974
1975
1976
1977
1978
1979
1980
1981
1982
1983
1984
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
202
Lire corr.
Lire 2004
3,72
4,17
4,63
4,33
4,68
4,96
4,40
4,84
5,30
5,91
8,11
10,57
13,40
13,67
20,51
25,74
27,52
37,22
49,12
57,06
68,29
67,50
86,58
102,48
115,82
125,34
124,46
131,82
147,84
153,00
166,63
193,06
217,90
233,89
207,16
225,15
214,97
222,24
253,78
230,13
238,62
241,59
240,41
77,80
83,00
85,69
75,73
76,93
79,87
70,03
74,92
77,99
82,95
107,63
127,15
134,93
117,55
151,30
160,79
152,89
178,64
194,61
190,46
195,92
168,41
195,35
212,92
226,81
234,61
221,97
220,53
233,10
226,72
234,22
260,45
282,83
288,16
245,65
262,43
246,14
250,51
278,90
246,33
249,36
246,40
240,41
Storia della concia nel Biellese
Gian Paolo Chiorino*
Volendo narrare la storia di un’azienda, la “Chiorino S.p.A.”, che nei
primi cinquant’anni della sua vita fu un’industria conciaria e che nei secondi cinquanta operò un radicale cambiamento del prodotto, delle lavorazioni e della clientela, pare giusto rammentare la storia, che molti ignorano, dell’industria della concia nel Biellese dove questa azienda ha operato e prosperato per mezzo secolo.
E’ una storia lunga e interessante, frutto di lentissimi progressi e perfezionamenti operati prima da modesti artigiani, poi da piccole aziende e infine da
industrie che hanno creato opportunità di lavoro, investimenti in macchinario e in
ricerca, utilizzo ottimale delle pelli degli animali e del cuoio da esse ricavato.
Le concerie a Biella.
Le localizzazioni produttive, oggi come mille anni fa, non sono frutto del
caso ma di una serie di fattori concomitanti che le fanno nascere in un certo luogo.
Quali furono i motivi che portarono già nel Medio Evo all’esistenza di artigiani
conciatori a Biella? Poiché da essi derivarono lo sviluppo dell’industria conciaria
nella nostra città e la nascita della Conceria Lorenzo Chiorino, merita approfondire l’argomento.
Dallo studio “Le pelli e l’arte conciaria nel Piemonte medioevale” di
Anna Maria Nada Patrone emerge che nel Biellese si realizzarono alcuni fattori favorevoli, quali la disponibilità di pelli grezze in loco e nella vicina pianura
vercellese, l’abbondanza di acqua di ottima qualità e di rogge che la trasportavano, la disponibilità di estratti vegetali ricchi di tannino quali la corteccia e le
galle delle querce e infine la disponibilità di capitali, modesta nel Medio Evo ma
più consistente in seguito, necessaria per finanziare una produzione che, dalla pelle
* Ringrazio Lodovico Sella, Nanni Magliola, Stefano Chiorino, Umberto Chiorino, Paola Sozzi, Marco
Serralunga per le informazioni e le fotografie gentilmente fornitemi.
203
Storia della concia nel Biellese
greggia al cuoio finito, durava allora da due a tre anni. Inoltre furono importanti sia la presenza di calzolai e di sellai, che necessitavano del conciato per la
loro attività, ben organizzati in una forte corporazione di cui facevano parte
anche gli artigiani conciatori, sia la volontà e l’impegno nel lavoro degli artigiani biellesi e un certo spirito commerciale che li portò a vendere il conciato anche in
altre zone del Piemonte.
Per questi motivi Biella fu sin dal Medio Evo un piccolo e operoso polo conciario che si trasformò nel tempo, senza andare in crisi come altri poli italiani, e
operò fino alla metà del ‘900. Gli altri poli piemontesi erano in epoca medioevale
Torino, Vercelli, Casale, la Valle d’Aosta, il Cuneese e il Canavese. Le prime notizie sull’esistenza nel XII secolo a Biella di “Pelliparii, qui pelles parant, praeparant et vendunt”, si trovano nelle carte dell’Archivio comunale. In un contratto di
compravendita del 1197 compare come teste un “Conradus de Ardicione Pellipario
Bugelle” e in un altro dello stesso anno un “Silus Pelliparius” con terreni “in territorio Bugelle de super S. Mauricio”. Sempre nel XII secolo sono citati lungo il
Cervo i “batenderia”, dove oltre a battere la lana e la canapa, si triturava la corteccia di quercia per la concia vegetale.
Un altro accenno a Biella è la notizia che la durata delle lavorazioni di
concia era stabilita in tutto il Piemonte dalla autorità cittadine, ad eccezione della
nostra città in cui era stabilita dalla corporazione “dei calzolai e dei conciapelli”,
dotata di un proprio statuto sin dal 1291 e facente parte delle sette corporazioni di
mestieri biellesi. Era l’unica congregazione del Piemonte, insieme a Novara, che
provvedeva alle sepolture dei confratelli defunti più poveri, esempio di mutuo soccorso e del sorgere delle prime forme di assistenza. Per difendere l’attività dei soci,
la corporazione dei calzolai e dei conciapelli di Biella richiedeva a ciascuno di non
andare “ad laborandum cum aliquo qui non sit de collegio”, cioè di non insegnare il mestiere ad estranei. Che si trattasse di una corporazione forte, tra le sette
arti presenti a Biella, è confermato dal fatto che essa eleggeva quattro consoli, contro i tre dei tessitori e dei beccai e i due dei fabbri, sarti, drappieri, massari e notai.
Le corporazioni svolgevano un ruolo di protagoniste nel Biellese del basso Medioevo.
E’ significativo sottolineare che lo statuto della corporazione biellese dei conciapelli è solo di vent’anni posteriore a quello di Venezia, il che indica che il mestiere di
conciatore era ben radicato già nel Medioevo tra la nostra gente e che gli sviluppi
successivi fino alla metà del ’900 partirono da solide premesse lontane nel tempo.
La presenza di conciatori nel Biellese è evidenziata dall’affresco del “Cristo
della domenica” di un anonimo Maestro biellese del 1470 ca. all’interno del
204
Duomo di Biella. La figura del Cristo è ferita da molteplici strumenti di lavoro
artigianale e tra essi si notano alcuni attrezzi tipici dell’arte della concia. Cristo
assume su di sé come ferite i peccati commessi dagli artigiani quando violavano l’osservanza del precetto festivo, tutelato dalle regole delle corporazioni.
L’ultimo documento sulla Biella conciaria del ‘400 riguarda l’importazione di pelli gregge, che era incoraggiata e facilitata perché gli allevamenti in loco
non fornivano materia prima a sufficienza per le concerie esistenti, a differenza di
Vercelli in cui era vietata per difendere gli allevatori locali.
Nel Rinascimento, un segno della presenza di artigiani conciatori biellesi si
trova nella supplica da loro indirizzata nel 1586 a Carlo Emanuele I, duca di
Savoia, in favore della “pecia” o “feyra” ricavata dalla posatura del vino nelle
botti o dalle vinacce bruciate e che era un ottimo agente conciante in concorrenza con
la “rusca” ricavata dalla corteccia macerata della quercia. La supplica asseriva
che “… la pecia passa et acconcia assay più presto che non solo rusca,
lasciando (le pelli) d’avantagio si guastereno”. Cioè, mettendo pecia e rusca
insieme, la concia penetra meglio e più in fretta nella pelle, che resta meno in vasca
e non si guasta. E’ interessante notare che la “rusca”, svolta la sua azione conciante
e quindi povera di tannino, veniva prelevata dal fondo delle vasche di concia, pressata in pallotti detti “mute”, poi essiccata all’aria e utilizzata come combustibile
povero. Nulla veniva sprecato.
Dove si stabilirono i primi artigiani conciatori biellesi? Come in altre città
italiane e europee, sorse a Biella un piccolo quartiere nel rione Vernato dove si concentrò questa attività artigianale favorita dalla presenza di una roggia importante, quella del Piazzo che derivava l’acqua dal torrente Oropa. Anche a Biella
ci fu la strada dei conciatori, ancor oggi via Conciatori, che con l’attuale via della
Rocchetta delimitò la zona e per quanto possibile tenne i non sempre apprezzati
odori della concia lontano dal centro della città. Zona che non cambiò dal Medio
Evo fino alla metà del ‘900: gli unici cambiamenti avvennero tra la fine dell’800
e l’inizio del ‘900 quando alcune concerie si installarono o si ampliarono sulla
costa del Piazzo, mentre una sorse lungo il torrente Cervo e alcune piccole ad
Andorno, Mosso Santa Maria, Brusnengo, Crevacuore e Masserano.
Mutarono lentamente anche le dimensioni che nel corso dei secoli dai singoli
artigiani, riuniti in corporazioni, passarono ad aziende artigiane e poi a piccole
realtà industriali, migliorando lentamente i metodi di concia e seguendo lo sviluppo degli altri poli conciari italiani e europei. Un incremento deciso si verificò nella
seconda metà dell’800 di pari passo con l’industrializzazione in Italia: anche nelle
205
Storia della concia nel Biellese
concerie di Biella si ampliarono gli spazi industriali, i dipendenti, i capitali
impiegati, le macchine per la concia e la rifinizione e migliorò la tecnica che da
empirica passò a sperimentale e poi a teorica.
Soprattutto cambiò a Biella il prodotto e la sua distribuzione, passando in
breve tempo da cuoi per calzolai e per sellai, per guanti e per pellicce, al solo cuoio
per impiego industriale, anche se una parte del conciato biellese era adatto ad altre
applicazioni e veniva venduto come semilavorato ad artigiani utilizzatori: la
Selleria Gallina, anch’essa al Vernato, fu ad esempio un grosso utilizzatore locale
di cuoio. Questo drastico e totale cambiamento di destinazione del conciato biellese
fu una scelta legata alla realtà industriale tessile e meccanotessile della zona e alle
sue richieste in termini di prodotto.
Ma esaminiamo prima il passaggio a Biella dall’artigianato conciario
all’industria. La prima piccola realtà industriale fu la Conceria Antonio
Varale, sorta nel 1733, per la produzione di pelli per pellicceria e per guanti,
sull’attuale via Ivrea angolo Costa Nuova del Piazzo. Nel 1840 la Conceria
Varale si riconvertì nella prima fabbrica biellese di cinghie in cuoio, nel 1870
si ampliò ulteriormente e nel 1881 iniziò la produzione di articoli per l’industria tessile. Nel 1900, alla morte del cav. Giuseppe Varale, l’attività della
ditta fu continuata da Pietro Sozzi, successore in linea materna, espandendosi in
un’area di 35.000 metri quadri nella regione collinare del Vernato e acquistando l’antica Conceria Strobino. L’attività proseguì con successo fino al 1968,
poi fu ridotta e chiusa definitivamente nel 1970. Fu in questa azienda che
Lorenzo Chiorino entrò alla fine dell’800 come impiegato amministrativo e tecnico, seguito poi dal fratello Umberto.
Altra azienda di antica data, sempre al Vernato, fu la Conceria Magliola,
già operativa nel 1740 e diretta nel 1820 da Paolo Magliola, originario di
Chiavazza, e poi dai figli e dai nipoti fino al 1954. Il libro del 1900 di
Alessandro Roccavilla “Biella cent’anni fa” riferisce che la Conceria Nipoti Paolo
Magliola aveva un motore a vapore di 8 cavalli e due motori idraulici della stessa potenza, nonché 60 vasche di concia. La sua produzione era per 4/5 di suola e
1/5 di tomaia, con la specialità del “Cuoio Buenos Aires”. Un pronipote di Paolo
Magliola, Vittorio, lasciò l’azienda e avviò con Leone Bersano all’inizio del ‘900
la Conceria Bersano, anch’essa al Vernato, che si chiuse 50 anni dopo.
Anche la Conceria Serralunga ebbe antiche origini: già nel 1825 Pietro
Serralunga, originario di Valle San Nicolao e stabilitosi al Piazzo alla fine del
‘700, era censito come artigiano conciario. Il nipote, Pietro anche lui, fondò nel
206
1. La Conceria Antonio Varale di Biella (1910 ca).
2. Il cuoificio Magliola di Biella alla fine dell’ottocento (Archivio Fondazione Sella).
207
Storia della concia nel Biellese
1840 l’omonima conceria sulla sponda destra del Cervo, che produceva cuoi per
calzature, valige e selleria, passando agli articoli industriali (cinghie di trasmissione e “tacchetti”) nel 1886. Giovanni Battista, figlio di Pietro, migliorò
ancora la qualità del prodotto che riuscì ad eguagliare quella delle ben più note
concerie inglesi, francesi e belghe, per cui ottenne nell’ultimo decennio dell’800
premi e medaglie in esposizioni italiane ed estere. La conceria Serralunga si
ampliò nel 1914 e continuò l’attività fino agli anni ’80 del ‘900, poi si riconvertì in industria di materie plastiche, dedicandosi al settore del giardinaggio e
dell’arredo di design, rivolgendosi direttamente al consumatore.
Un’idea più precisa di quali e quante fossero le concerie biellesi all’inizio
del ‘900 è fornita da una serie di dati ricavati da una rassegna statistica del
1873, dalla “Guida del Biellese” di Pertusi e Ratti del 1892, dalla “Guida
commerciale-industriale-amministrativa“ del 1910, del 1915 e del 1926, da
“Il Biellese e le sue massime glorie” del 1938 e da “L’industria biellese” di
Andrea Coda Bertetto. Riordinando questi sparsi dati, si riscontra la seguente
situazione:
1820 – Risultano presenti nel Biellese diciannove concerie, per lo più artigianali, eccetto le concerie Varale, Paolo Magliola e F. Canova.
1873 – Le concerie con una struttura industriale o artigianale evoluta censite nel Biellese sono cinque a Biella (Varale, F.lli Magliola, Pietro Serralunga,
Antonio Strobino e Felice Apostolo), due ad Andorno (F.lli Cantono e Corte Luigi
e Giacomo) e tre a Crevacuore (F.lli Tasca, Giuseppe Serminato e Federico
Sandretti). Crevacuore deriva da crava (capra) e corium (cuoio)
1892 – Sono le stesse dieci concerie di Biella, Andorno e Crevacuore, cui si
aggiungono, probabilmente non censite nel 1793, quelle di Francesco Mongini a
Brusnengo, di Cesare Berardo Boggio a Mosso Santa Maria, di Marucchi F.lli fu
Pietro e di Francesco Patriarca a Masserano, tutte aziende artigiane, in totale
quindi quattordici.
1910 – A Biella sono sette, essendosi aggiunte la Magliola e Blotto e la
Lorenzo Chiorino. La Fratelli Magliola è diventata Nipoti di Paolo Magliola.
1915 – Sempre sette concerie a Biella: la Lorenzo Chiorino è diventata F.lli
Chiorino e la Magliola e Blotto è diventata Luigi Antonio Magliola. In totale i
dipendenti sono 450.
1928 – Sono otto a Biella, essendosi aggiunta la Conceria Umberto
Chiorino dopo la divisione tra Lorenzo e il fratello. La Magliola e Bersano è ora
Conceria Bersano. Sono sempre due ad Andorno, mentre quelle di Brusnengo, Mosso
208
1. La Conceria Umberto Chiorino di Biella (1930 ca).
2. La Conceria Pietro Serralunga di Biella (1925 ca).
209
Storia della concia nel Biellese
Santa Maria, Masserano e Crevacuore non vengono più citate: erano state chiuse o
rimaste piccole ditte artigiane. I dipendenti sono 480 in totale.
1932-1933 - I dipendenti sono scesi a 430 per le conseguenze della crisi
del 1929.
1937 - Ci sono otto concerie nel Biellese con 550 dipendenti in totale: la
Serralunga ne ha 130, la Varale 100, la Lorenzo Chiorino 95, la Luigi Antonio
Magliola 85, la Umberto Chiorino 70 e la Bersano 50.
Un interessante accordo aziendale tra sette concerie, cinque di Biella e le
due di Andorno, viene sottoscritto il 1° marzo 1908 “all’uopo di collettivamente tutelarsi contro le continue pretese degli operai impiegati nei loro stabilimenti”. Il problema stava nel fatto che un mercato del lavoro specializzato e
limitato, circa 400 dipendenti in totale, veniva disturbato dalle iniziative di
qualche capo o operaio qualificato di offrirsi a concerie concorrenti, nonché dalla
cattiva abitudine di qualcuno dei contraenti di assumere operai senza libretti
di lavoro e con paga più bassa.
E’ opportuno ora inquadrare la dimensione produttiva dell’industria
conciaria in Italia, nel Piemonte e a Biella in quel periodo. I dati statistici
sono questi: all’inizio del ‘900 in Italia c’erano circa 2.000 aziende conciarie,
con 30.000 addetti e una media di 15 addetti per azienda. In Piemonte le
aziende erano 194 con 3.016 addetti, sempre con una media di 15 addetti per
azienda; nella provincia di Novara, in cui Biella era compresa, 81 aziende con
785 addetti e una media di 10 addetti per azienda. Nel Biellese c’erano 9
aziende con circa 300 addetti e una media di 32 addetti per azienda, più del
doppio di quella nazionale e del Piemonte.
Le concerie biellesi, radicate in una realtà prevalentemente tessile e meccanotessile, si orientarono a soddisfare le esigenze di queste industrie vicine. Era il periodo delle turbine idrauliche lungo le rogge e i torrenti, delle caldaie a vapore che
azionavano un solo motore centralizzato. La forza motrice veniva trasmessa, nei
vari piani in cui le aziende erano allora strutturate, mediante grandi cinghie che
azionavano gli alberi di trasmissione disposti sotto il soffitto di ogni piano e lunghi quanto il reparto. Questi alberi portavano decine di pulegge in ghisa, una per
ogni macchina da azionare: telai, self-acting, orditoi, lavaggi, folloni, macchine
di tintura e di finissaggio. Ogni macchina aveva una cinghia in cuoio spostata
mediante uno spostacinghie dalla puleggia folle a quella fissa per avviarla.
Per le concerie biellesi erano chilometri di cinghie da produrre partendo
dalla parte migliore delle pelli bovine, la schiena, che veniva privata dei fian-
210
chi, delle spalle e delle zampe, riducendola in forma rettangolare, detta “groppone”. Cinghie da produrre e da vendere, in concorrenza con la produzione
inglese, la cui qualità era considerata inizialmente dagli utilizzatori assolutamente irraggiungibile. Ma si sa come sono fatti i Biellesi e che testa hanno:
così Lorenzo, per rimanere nella famiglia Chiorino, quando si mise in proprio
lavorava di giorno e studiava di notte la nuova concia minerale al cromo, che
stava sostituendo per le cinghie quella vegetale al tannino. E appena possibile,
consigliò al figlio Fulvio di iscriversi a Londra all’Istituto conciario, dopo
essersi diplomato in ragioneria al Bona e poi in chimica conciaria all’Istituto
Nazionale per le Industrie del Cuoio di Torino.
L’industria tessile non richiedeva solo cinghie, ma anche accessori per i
telai (tiranti per la spada di lancio della navetta, tacchetti per arrestarla e
rilanciarla, paracolpi e parabattenti per frenare il loro potente movimento alternativo, tirantini per muovere i licci), per le pettinatrici della lana (manicotti),
per la filatura pettinata (frottatori per i passaggi e cinghiette per lo stiro del
filato), per la filatura cardata (lacciuoli divisori, manicotti frottatori).
Con queste richieste e con continue sollecitazioni tecniche, l’industria conciaria biellese fu stimolata a crescere, a investire in ricerca, a modernizzarsi, a cercare altri settori che avessero richieste simili e integrassero i periodi di crisi dell’industria tessile. Ampliò così i campi produttivi, si aprì all’esportazione, sfruttò le
migliori caratteristiche delle pelli e del cuoio fino ad ottenere il massimo dei risultati che questo materiale naturale potesse offrire. Furono cinquant’anni di crescita
e di progresso qualitativo e quantitativo dell’industria conciaria biellese di cui la
Conceria Lorenzo Chiorino fu attore importante, passando attraverso due guerre
mondiali e la crisi del 1929 e superando momenti difficili.
Nel 1950 la situazione delle concerie italiane era la seguente: 720 aziende
(da 2000 che erano 50 anni prima) con 17.000 dipendenti (da 30.000 nel
1900) con una media di 25 addetti per azienda, molto più alta nel Nord in cui
c’erano industrie importanti e più bassa nel Centro e nel Sud dove nei due poli conciari più noti, Santa Croce sull’Arno in Toscana e Solofra in Campania, molte
lavorazioni erano affidate a piccoli terzisti.
In Piemonte nel 1950 le aziende erano 81, di cui 6 a Biella con 600
dipendenti con una media di 100 addetti per azienda, quattro volte quella
nazionale. Tutte erano attrezzate per la concia di cuoio per uso industriale e formavano un’isola a sé stante nel panorama dell’industria conciaria italiana. La
valutazione della produzione di cuoio a Biella, sempre nel 1950, parla di
211
Storia della concia nel Biellese
400.000 chili di cuoio per cinghie di trasmissione e di 575.000 chili di cuoio
per articoli tecnici, all’80% destinati alla produzione di accessori per l’industria tessile italiana e straniera. Nei trent’anni che vanno dal 1920 al 1950
le concerie biellesi mantennero dimensioni e produzione. Il declino, lento ma inesorabile, iniziò dopo il 1950 con l’ingresso della gomma e delle materie plastiche nel campo degli articoli tecnici. Nel 1961 i dipendenti delle concerie biellesi scesero a 320, dai 600 del 1950.
L’industria chimica, la ricerca di nuovi materiali durante e dopo la
Seconda guerra mondiale, la gomma sintetica, le materie plastiche derivate dal
petrolio, occuparono man mano gli spazi applicativi del cuoio industriale. I tacchetti in pergamena di bufalo per i telai furono prodotti in polietilene ad alta
densità; i paracolpi e i parabattenti in cuoio al cromo vennero sostituiti da quelli in tela gommata; i frottatori in gomma nitrilica con rinforzo in tela presero
il posto di quelli in cuoio conciato al tannino. Alcune concerie biellesi chiusero,
due soltanto seppero affrontare la sfida dei nuovi materiali e cambiarono totalmente produzione, macchinari, impianti, riqualificando la mano d’opera. La
Conceria Chiorino fu una delle due e oggi festeggia il centenario della sua fondazione.
212
Ringraziamenti
Nella preparazione di questo scritto gli Autori hanno ricevuto aiuto
e suggerimenti da molte persone che desiderano ora qui ringraziare. La
famiglia Chiorino, anzitutto, ha chiarito con pazienza nel corso di lunghe
interviste diversi aspetti della storia dell’impresa. Giorgio Borri e Cesare
Garella hanno fornito una prospettiva interna ma distinta da quella familiare sugli sviluppi tecnologici e dell’organizzazione del lavoro. Un aiuto
prezioso è stato offerto dal personale degli archivi, in particolare da
Graziana Bolengo, responsabile, e Patrizia Ferrarotti dell’Archivio di stato
di Biella, da Teresio Gamaccio della Fondazione Sella e da Angela
Lavecchia del Comune di Ponderano. Lodovico Sella ha indicato utili riferimenti bibliografici, mentre Maurizio Sella ha suggerito insostituibili
elementi di comprensione della realtà imprenditoriale biellese.
La responsabilità di eventuali errori resta comunque esclusivamente
degli Autori.
215
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Finito di stampare
nel mese di febbraio 2006
presso
Musumeci S.p.A.
Quart (Valle d’Aosta)
Stampato su carta CyclusPrint
certificata Ecolabel
Guido Corbetta è professore
ordinario
dell’Università
Bocconi, titolare della cattedra
Aidaf - Alberto Falck di
Strategia delle aziende familiari
e direttore del Centro di
Ricerca Imprenditorialità e
Imprenditori (EntER).
Michele D’Alessandro, dottore
di ricerca in Storia economica
e sociale dell’Università
Bocconi, è Jean Monnet Fellow
presso l’Istituto Universitario
Europeo di Fiesole.
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