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Introduzione
Quando vogliamo parlare di insegnamento della religione nella scuola dobbiamo tener presenti
alcune coordinate. La prima è dettata dai diversi Regimi giuridici di rapporto Stato e Chiesa; la seconda
riguarda la strutturazione e il funzionamento del sistema educativo nazionale; La terza riguarda la base
epistemologica su cui poggia il sapere religioso insegnato; infine dobbiamo prendere in considerazione sia i
modelli didattici di insegnamento. Tenendo conto di tutte e queste quattro coordinate, abbiamo scelto di
limitare la nostra indagine all'insegnamento della religione alla scuola pubblica laica, escludendo in toto la
scuola confessionale. Una seconda limitazione viene fatta definendo il campo d'indagine all'Europa, e più
specificatamente ai ventotto Paesi membri dell'Unione Europea. Abbiamo scelto poi di partire dalla
coordinata del modello epistemologico, relativa a quel modo di accreditare oggi l'insegnamento della
religione nella scuola pubblica. Ci sembra una via più originale dal momento che non è quella solitamente
seguita da altri. Nell'accostare singolarmente i ventotto Paesi dell'Unione Europea, abbiamo prestato
particolare attenzione alle fonti legislative in materia di insegnamento della religione, allo scopo di superare
così una lacuna che alcuni Autori hanno evidenziato in una recente ricerca che ha coinvolto il Consiglio delle
Conferenze dei Vescovi d'Europa, su iniziativa della Conferenza Episcopale Italiana, avviata nel 2005 e
conclusasi a fine 2007.
CAPITOLO I
LO STATUTO EPISTEMOLOGICO: MODELLI PLURALI
Il primo modo di accreditare l'insegnamento della religione, ha a che vedere con il riferimento
classico alla teologia intesa come scienza delle fede creduta; di questo modello si avvalgono quegli
insegnamenti propriamente confessionali (teaching/learning into religion), gestiti dalle Chiese, e proposti in
una funzione di educazione alla fede, con l'obiettivo di un miglior inserimento nella Comunità credente. Si
tratta di: insegnamenti religiosi impartiti nelle scuole confessionali, solitamente integrati a pieno titolo nel
sistema educativo pubblico; insegnamenti che presuppongono una visione teologica e antropologica interna
a ciascuna fede che viene trasmessa agli studenti; insegnamenti gestiti direttamente dalle rispettive Chiese.
La formazione degli insegnanti, sia quella professionale, sia quella teologico spirituale, è rivendicata
dall'Autorità scolastica, oppure è sancita dalla propria Comunità di appartenenza. Anche i programmi di
questi corsi, sono garantiti da una Chiesa (o da altra Organizzazione religiosa) e vengono costituiti in base al
proprio sapere teologico e catechistico. Rientrano in questa categoria quegli insegnamenti della religione
formalmente confessionali, gestiti dalle principali Chiese cristiane (quasi sempre in base a un Accordo con i
rispettivi Stati), e dalle Comunità ebraiche e musulmane. In tempo di cristianità, questo tipo di istruzione
religiosa, era il più comune e indiscusso nelle scuole pubbliche. Analizzando alcuni programmi curricolari di
religione in vigore ancora oggi, possiamo notare come la teologia della propria Chiesa di appartenenza,
resta ancora l'unico riferimento normativo epistemologico del discorso religioso sviluppato dalla scuola in
senso educativo. E' il caso dell'insegnamento della religione ortodossa in Grecia, a Cipro, in Romania,
oppure dell'insegnamento confessionale cattolico a Malta, in Irlanda, in Polonia e in Ungheria. Dobbiamo
infine evidenziare che, in Irlanda e Malta l'intero sistema scolastico è confessionale, ed è per questa ragione
che l'insegnamento della religione è impartito ancora sotto forma di catechesi scolastica; nei Paesi dell'Est
europeo le Intese tra Stato e Chiesa sono troppo recenti, spiegandone così il motivo per cui non vi è ancora
stata l'evoluzione verso un modello pienamente scolastico di istruzione religiosa. I pochi esempi di questo
modello di catechesi scolastica presenti nell'Europa occidentale (Malta, Irlanda) stanno scomparendo;
resistono invece, in posizione interlocutoria, l'insegnamento della religione cattolica in Polonia e in Ungheria;
permane invece l'insegnamento catechetico della religione nei Paesi europei appartenenti all'area ortodossa.
Dai primi anni '70 in Europa si è cominciato a distinguere la catechesi della Comunità
dall'insegnamento religioso scolastico; un insegnamento dipendente dalla Chiesa e da questa affidato agli
insegnanti, perché considerato uno strumento di educazione alla fede all'interno del contesto scolastico.
Facendo nostra la distinzione proposta dagli Autori del mondo anglosassone quando parliamo di
insegnamento confessionale dobbiamo distinguere il learning into religion dal learning from religion; con il
primo si intende quella operazione che porta a imparare da credenti partendo dall'interno della propria
tradizione di fede con l'obiettivo di un miglior inserimento nella Comunità credente; con il secondo ci si
riferisce alla pura e semplice conoscenza delle tradizioni religiose in quanto ispiratrici di grandi culture, fonti
di valori e possibili risposte al senso della vita. Da un punto di vista epistemologico, ci troviamo di fronte ad
una didattica religiosa fondata sia in ragione teologica che scientifica. Il passaggio dalla catechesi scolastica
in funzione della fede a modelli di studio culturale della religione, ha coinvolto almeno una dozzina dei Paesi
membri dell'Unione Europea: dal sistema tedesco e austriaco fino a quello belga e olandese, da quello degli
Stati del nord Europa a quelli del Centro Est (Slovacchia, Lituania e Repubblica Ceca), ed infine l'Italia, la
Spagna e il Portogallo, dove la revisione dei Concordati ha attenuato la confessionalità formale
dell'insegnamento della religione cattolica, mantenendo invece solo la confessionalità materiale e di
gestione. Pertanto nei Paesi dove l'insegnamento della religione è sancito dalla Costituzione ed è
curricolare, e connotato secondo le varie confessioni (facciamo riferimento alla Germania e al Belgio), la
vera ragione d'essere di tale insegnamento non è più quella originaria, legata all'appartenenza dello
studente-battezzato a una determinata Comunità religiosa, ma al fatto che lo studente-cittadino, credente o
meno che sia, possiede a scuola il diritto di essere informato correttamente su un dato credo religioso,
assieme al diritto di essere informato sulle altre religioni e confessioni, senza però essere iniziato alla fede.
In Spagna, sotto il Governo di José Luis Rodríguez Zapatero, vi è una nuova legge sull'istruzione, la Ley
Orgánica de Calidad de Educación, operativa dal 2007, che prevede una materia obbligatoria nei quattro
corsi della scuola secondaria denominata «Historia y cultura de las Religiones», i cui contenuti vengono
stabiliti dal Governo in chiave laica; disciplina che è stata motivo di numerose polemiche da parte di molte
famiglie, vedendo in essa il rischio di un indottrinamento ideologico da parte dello Stato. Il referendum
popolare di Berlino dell'aprile 2009, indetto per decidere l'obbligatorietà o meno dell'insegnamento di etica in
parallelo con un insegnamento opzionale di religione confessionale, si concluse a favore del ProEthik, indizio
che ci fa intravvedere la progressiva emancipazione da un insegnamento etico-religioso connotato
confessionalmente.
In Europa esistono anche forme di insegnamento della religione e di etica non confessionale,
gestiti direttamente dall'Autorità scolastica a livello nazionale, ma anche a livello regionale e locale. Sono
fondate unicamente sulla plausibilità scientifica delle scienze della religione vengono chiamate «Learning
about religion(s)». Appartengono a questa forma di insegnamento la «Multifath religious Education» della
Gran Bretagna, i corsi obbligatori di storia religiosa integrati nella storia politica nazionale tipici dell'area
scandinava, i corsi di religione e cultura, introdotta di recente in alcuni Cantoni svizzeri Zurigo e Lucerna, ma
anche nel Canton Ticino, fino ai corsi di etica non confessionale attivati come materia opzionale alternativa
in almeno una dozzina di sistemi europei tra cui l'Austria, il Belgio, la Lettonia, la Lituania, il Lussemburgo, la
Repubblica Ceca e la Slovacchia. L'ultimo modello che vogliamo prendere in considerazione è quello
dell'approccio al fatto religioso che si caratterizza, perché non ha in sé né una base teologica né viene
sviluppato secondo le regole dell'una o dell'altra delle scienze della religione. Questa prassi che si verifica
occasionalmente nella generalità dei sistemi scolastici, è stata formalizzata però in Francia, dove la
tradizione della laicità e la legge di separazione tra Stato e Chiesa (1905) non consentono alla scuola
pubblica di istituire una disciplina autonoma di religione del tipo non confessionale, quale possono essere
storia delle religioni o etica naturale. L'unica soluzione praticabile è quella di un insegnamento che metta in
luce i fatti religiosi contenuti nelle diverse discipline.
A conclusione possiamo dire che la maggior parte degli Stati membri dell'Unione Europea, sta
vivendo una fase di ininterrotto ripensamento, che sembra indicare che l'insegnamento della religione in
Europa si sta avviando oltre la stagione dell'insegnamento confessionale. Una transizione che chiede
un'ulteriore e più approfondita investigazione a partire dai suoi fondamenti che pensiamo possano essere
individuati negli orientamenti di politica educativa di alcune istituzione europee.
CAPITOLO II
ORIENTAMENTI DI POLITICA EDUCATIVA DI ISTITUZIONI EUROPEE IN ORDINE
ALL'INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE
La nostra analisi è andata a questo punto concentrandosi sulle attività e sui recenti documenti
dell'Unione Europea, del Consiglio d'Europa e dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in
Europa; si tratta di Organizzazioni che hanno in comune la promozione dei diritti dell'uomo, della democrazia
e dei principi dello Stato di diritto. L'Unione Europea in modo particolare è stata chiamata a gestire queste
nuove e molteplici presenze di religioni, senza poter rivendicare il monopolio su una religione in particolare,
secondo quanto prescritto dal Trattato sul Funzionamento dell'Unione. Inoltre, deve rispettare i principi
dell'attribuzione, della sussidiarietà e della proporzionalità, secondo i quali, come «Ente superiore», è
chiamata ad intervenire nei confronti di «Enti inferiori» soltanto quando questi ultimi non sono in grado di
farlo e senza che a quest'ultimo siano sottratti spazi vitali. Un elemento non trascurabile, dal momento che,
non sembra conciliarsi con il principio di sussidiarietà, la scelta di creare nel febbraio 2009 il Wergend
Centre di Oslo che opera a livello centrale per la formazione e l'applicazione di programmi unificati di
insegnamento della religione a-confessionale, scelta auspicata ripetutamente a partire dalla
Raccomandazione 1720 (2005) del Consiglio 'Europa.
L'Unione Europea, inoltre, di fronte la società multiculturale, ha dovuto cercare una base
giuridica comune, rappresentata dai diritti umani e tra questi quello della libertà di religione; pertanto rispetta
anche coloro che sono senza religione, visto che è implicito nel diritto di libertà religiosa la facoltà di
cambiare religione o di non averne alcuna; ma anche deve far fronte a presenze di nuove religioni, come
quella islamica che non accetta la separazione tra religione e politica, separazione a cui l'Europa era giunta
pagando l'altissimo prezzo delle guerre di religione e della Rivoluzione francese.
L'indagine si è spostata poi al Consiglio d'Europa, verso le sue attività e Raccomandazioni.
Attraverso la promozione dei seminari, il Consiglio d'Europa ha avuto modo di ribadire che la religione, pur
essendo un'opzione privata che non deve mescolarsi con la politica, è una componente ineliminabile delle
culture umane. Dal momento che la religione è capace di determinare all'interno delle società spinte
fondamentalistiche sotto forma di razzismo e xenofobia, conflitti etici e attività terroristiche, più volte il
Consiglio ha raccomandato che queste incongruenze vengano eliminate anche mediante proposte educative
come ad esempio l'insegnamento della religione, in quanto ritenuta capace di promuovere il dialogo, con e
tra le religioni. Ma le Raccomandazioni non mancano di sottolineare come lo studio del fatto religioso, deve
avere tra le sue finalità, quella di educare alla tolleranza, premunendosi contro ogni forma di proselitismo
che potrebbe derivare da un insegnamento confessionale. Ciò ha portato a emarginare la possibilità di un
insegnamento obbligatorio di tutte le religioni, anche là dove una religione è predominante, verso un nuovo
insegnamento a-confessionale about religions. Tale approccio è stato ribadito anche nei Toledo Principles
on Teaching about religions and beliefs in public schools promosso sotto l'autorità dell'OSCE. In tutto il
documento riveste particolare importanza il diritto della libertà religiosa che godono i figli e i loro genitori
nella scelta scelta dell'insegnamento della religione o del suo esonero; come pure viene sottolineato il
principio di neutralità che lo Stato deve applicare nella fase di elaborazione del curricolo, facendo in modo
che sia imparziale ed equilibrato, senza favorire alcuna religione, nell'insegnamento.
Il Libro Bianco del Consiglio d'Europa, invece, ha avuto lo scopo di identificare le modalità per
promuovere un dialogo interculturale; porta con sé la convinzione che il rispetto della diversità culturale è
compatibile con quello di valori universali condivisi, quali possono essere la dignità umana di ogni individuo,
e l'idea di un'umanità comune. Il documento ribadisce che tutte le tradizioni culturali sia maggioritarie che
minoritarie non possono mai prevalere su principi e valori espressi nella Convenzione europea per i diritti
dell'uomo e da altri strumenti del Consiglio d'Europa; tra questi, quello dell'uguale dignità, che è la base per il
vivere insieme in una società democratica. Ma il Libro Bianco non va oltre circa la necessità di un dialogo
aperto e trasparente a livello interreligioso che contribuisca a rinforzare, in seno alla società, il consenso
intorno alle soluzioni dei problemi sociali. In sostanza, esso non si spinge fino a riconoscere il valore della
confessionalità.
CAPITOLO III
LA PRESENZA DELLA SANTA SEDE NELLE POLITICHE DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE E GLI
APPORTI DEL CONSIGLIO DELLE CONFERENZE DEI VESCOVI D'EUROPA RELATIVI
ALL'INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE
Nell'ambito del processo dell'unificazione europea, le principali confessioni ricercano attraverso
forme di confronto e di dialogo formalmente identificate, una garanzia sicura della libertà della propria autoorganizzazione, della propria identità e dell'attività necessaria per sostenerla; sono inoltre coscienti che a
causa della crisi religiosa che sta attraversando oggi l'Europa, la loro voce perde di rilievo sia in ambito
formativo come pure in quello di orientamento delle convinzioni e del costume. Dentro questo quadro, la
Chiesa cattolica si iscrive fondamentalmente secondo modalità che le sono proprie perché, a differenza di
altre confessioni cristiane, è riconosciuta nel suo supremo organo di Governo, la Santa Sede, come soggetto
di diritto internazionale.
Parlare di Santa Sede significa descrivere una realtà che presenta implicazioni sia di ordine
politico, come pure di carattere giuridico, implicazioni che abbiamo preso in considerazione al fine di
determinare i presupposti e i principi su cui si basa e si ispira la presenza e la condotta della Santa Sede
nelle relazioni internazionali. Il profilo politico lo abbiamo inteso attraverso il rapporto di reciprocità Chiesamondo messo in luce dal Concilio Ecumenico Vaticano II; ne è emerso un profilo della Chiesa cattolica
chiamata a vivere nel mondo, manifestando così il suo interesse per ciò che capita all'interno della Comunità
internazionale e viceversa. Il profilo giuridico invece ci ha portato a prendere in considerazione due precisi
ordinamenti: quello canonico e quello internazionale.
Abbiamo poi considerato come l'attività politica della Santa Sede in ambito internazionale, è
preceduta, accompagnata e seguita anche dell'azione delle Conferenze Episcopali, organismi collegiali
formati da Vescovi che esercitano congiuntamente il loro ministero apostolico per i fedeli di quel territorio.
Ma le Conferenze Episcopali, sotto forma di Organizzazioni internazionali non governative operano anche
presso le Organizzazioni internazionali intergovernative occupandosi di argomenti di loro interesse.
Limitando l'indagine all'Europa, è il caso della Commissione degli episcopati dell'Unione europea e del
Consiglio delle Conferenze dei Vescovi d'Europa, quest'ultima secondo gli Statuti, deve favorire lo scambio
di notizie e di esperienze, la collaborazione pastorale, e in certi casi il coordinamento di alcune attività.
Siamo poi passati alla ricerca sull'insegnamento della religione nelle scuole in Europa, che il Consiglio delle
Conferenze dei Vescovi d'Europa ha promosso, su iniziativa e con il sostegno operativo ed economico della
CEI
Da come si evince dalle relazioni proposte al primo incontro che ha dato il via alla ricerca, la
Chiesa cattolica è ben consapevole che la sua presenza nella scuola è sfidata a causa della
contrapposizione tra laicità e diritto alla libertà religiosa. In questo contesto, è stato ribadito come la Chiesa
cattolica, anche attraverso l'insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica, dà un suo
contributo all'educazione attraverso la formazione integrale della persona. I rapporti riguardanti ventinove
Paesi, quasi tutti membri dell'Unione Europea, non sono stati analizzati interamente. Ci è sembrato però
opportuno analizzare due domande auspicando che l'una ci permettesse di monitorare e fotografare la
formazione attuale degli insegnanti, l'altra, invece, la posizione delle altre chiese e Comunità cristiane, per
tentare di cogliere la loro posizione circa l'a-confessionalità dell'insegnamento. Dall'analisi dei singoli rapporti
è emerso come il riconoscimento della funzione pubblica degli insegnanti di religione è universale. Nei Paesi
dove l'insegnamento della religione è confessionale, oltre alla cura iniziale degli insegnanti da parte della
Chiesa cattolica, vi è anche un'approvazione da parte dell'Autorità ecclesiastica, in molti casi si tratta di una
vera e propria missio canonica. Sono emerse anche forme di collaborazione che si instaurano per la
formazione in servizio degli insegnanti (Slovacchia, Austria e Italia) In alcuni Paesi, quali Polonia,
Repubblica Ceca e Inghilterra e Galles si è sentita l'esigenza di rivedere o riqualificare la formazione iniziale
o permanente degli insegnanti di religione, o perché ritenuta insufficiente, o perché ritenuta inadeguata agli
attuali bisogni formativi della società. Sulla questione delle collaborazioni interconfessionali, è emerso un
dato importante, e cioè come le altre Chiese cristiane hanno problematizzato l'insegnamento confessionale e
in modo specifico quello cattolico, in quanto più favorevoli o interessate a quello a-confessionale, e per
questo sembrano essere più in linea con le linee politiche educative delle istituzioni europee.
Il documento finale chiede anche garanzie istituzionali e giuridiche stabili, l'inserimento
dell'insegnamento nei curricoli, come pure alternative coerenti e credibili; come pure non ha mancato di
aprire prospettive interessanti soprattutto dal punto di vista pastorale.
CAPITOLO IV
DAL MAGISTERO I CONTRIBUTI DELLA SANTA SEDE ALLE ISTITUZIONI EUROPEE PER UN
INSEGNAMENTO ANCHE CONFESSIONALE DELLA RELIGIONE NELLA SCUOLA PUBBLICA
Le richieste del Consiglio delle Conferenze dei Vescovi d'Europa, sono state prese in
considerazione sia dalla Congregazione per l'Educazione Cattolica, attraverso la Lettera Circolare 520/2009,
sia gli interventi magisteriali di Benedetto XVI. Si tratta di contributi che ci indicano, per deduzione, non
avendo potendo attingere direttamente ai singoli dibattiti, le argomentazioni con le quali la Santa Sede abbia
difeso l'insegnamento della religione cattolica presso le Organizzazioni europee, attraverso l'attività
multilaterale svolta dai Rappresentanti Pontifici, presenti nelle Organizzazioni stesse in qualità di membri o
osservatori. La Lettera Circolare della Congregazione per l'Educazione Cattolica, in modo particolare, oltre
ad offrirci una sintesi magisteriale su cui poggia l'insegnamento della religione cattolica, che per sua natura è
confessionale, non ha mancato di farci intravvedere i fondamenti giuridici su cui tale insegnamento risulti
essere legittimo: si tratta del diritto di ogni uomo all'educazione e alla libertà religiosa, declinabile nel diritto
dei genitori di far impartire un'educazione secondo i propri principi e quindi di far impartire un'educazione
anche religiosa. Si tratta di diritti riconosciuti dalle principali Convenzioni internazionali, trovano riscontro
nelle Costituzioni e nelle legislazioni statuali. Sono diritti sui quali la Chiesa cattolica deve continuare il
dialogo per non vedere estromessa non solo la sua Libertas Ecclesiae, ma anche i diritti soggettivi dei suoi
fedeli.
Gli interventi di Benedetto XVI, hanno messo in luce anche la tendenza di correnti laiciste
presenti nelle Organizzazioni stesse, tendenti a voler escludere l'insegnamento confessionale, tendenze che
sono senz'altro espressione di una certa cultura relativistica che sta relegando la religione dal suo ambito
pubblico verso il privato. Benedetto XVI, oltre ad affermare e a dimostrare che l'insegnamento della religione
non ferisce la laicità dello Stato, non ha mancato di fare interventi a garanzia del diritto della libertà religiosa
e di quei diritti derivanti da esso; come pure ha sottolineato, tra l'altro, che il rispetto della libertà religiosa, è
un'acquisizione di civiltà politica e giuridica, e costituisce un riferimento essenziale a cui ogni Stato ha
l'obbligo di riferirsi. Di fronte la tendenza di estromettere il valore della confessionalità dell'insegnamento
all'interno del dialogo interculturale, non ha mancato di ribadire come detto dialogo debba avere come punto
di partenza la consapevolezza dell'identità dei suoi interlocutori. Proprio in questo orizzonte la religione
cattolica è una risorsa perché è una disciplina che ha come specifico la formazione integrale dell'uomo e
della sua identità, perché mette a contatto con una religione vivente e significativa per l'esistenza di
ciascuno. In questo modo, diversamente dalle istituzioni europee, dà un significato nuovo alla religione, non
solo come fattore che genera tolleranza o fanatismo. Benedetto XVI non ha mancato di evidenziare la
necessità dell'insegnamento della religione cattolica, inserendo la problematica anche all'interno della
grande emergenza educativa, dove sempre di più si riduce l'educazione a istruzione e e l'istruzione alla
semplice trasmissione di determinate abilità o capacità di fare.
Sono interventi, dunque, nei quali possiamo intravvedere lo spirito e le argomentazioni con cui
la Santa Sede sta lavorando presso le Organizzazioni internazionali per ottenere garanzie istituzionali e
giuridiche stabili.
A conclusione ci si è sembrato utile prendere in considerazione anche una osservazione di
Carlo Cardia a favore dell'insegnamento confessionale che non era emersa. Il giurista difende la
confessionalità dell'insegnamento, quale garante del rapporto personale e antropologico con una specifica
religione d'appartenenza o d'elezione, che esiste nelle famiglie, che è presente nel rapporto tra la psicologia
del bambino e la propria religione, legame che la scuola può prolungare o affinare, su richiesta delle
famiglie, ma non recidere, rispettandone così il loro diritto di libertà religiosa.
Una considerazione, che mentre favorisce la presenza di insegnamenti confessionali plurimi
nella scuola, porta quest'ultimi a scontrarsi con il limite imposto dal Consiglio d'Europa, che permetterebbe sí
l'insegnamento della religione confessionale a condizione sia rispettoso dei valori del Consiglio stesso, tra
cui il rispetto dei diritti umani. Ciò porterebbe all'esclusione di alcune confessioni, come l'islam, che pur
appoggiando l'insegnamento della religione confessionale, vede nei diritti umani un'invenzione occidentale e
non pertanto universale.
Siamo di fronte a problematiche che coinvolgeranno sempre più le politiche nazionali, e che non
dovranno però concludersi indebitamente a favore della a-confessionalità dell'insegnamento, senza
prendere in seria considerazione il valore che porta con sé l'insegnamento confessionale della religione
cattolica e il diritto di educazione e di libertà religiosa che ogni uomo porta con sé.
Il dibattito, insomma, è destinato a rimanere aperto. Noi non abbiamo avuto la pretesa di
risolvere con questa ricerca il dibattito in corso, ma soltanto di sviscerarlo facendone emergere i fondamenti
giuridici su cui continuare il dialogo.
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