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1. damien hirst . . . . . . . . . . . . . . . . 4 2. gallerie, collezionisti e
INDICE INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . 1. DAMIEN HIRST . . . . . . . . . . 2. GALLERIE, COLLEZIONISTI E ARTISTI DI BRAND: IL PERCORSO DI HIRST 3. . . . . . . . . . . . . 2 . . . . . 4 . . . . . . . . 45 L'ASTA PRESSO SOTHEBY'S, IL CATALOGO E LE DINAMICHE DI ASTA BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . 78 . . . . . . . . . . . . 101 1 INTRODUZIONE L'applicazione esagerata di metodologie e tecniche importate dalla pura economia ha trasformato l'arte, appiattendo e massificando il gusto e conformando la fruizione delle opere a quella di qualunque altro prodotto di largo consumo. La peculiarità dell'approccio personale, la riflessione intimistica dell'individuo sono ciò che l'arte chiede ai suoi fruitori, sono ciò che distingue l'opera d'arte da qualsiasi altro bene il cui valore è strettamente economico. Le nuove modalità del mercato artistico, se pur riescono egregiamente a proteggere l'interesse degli artisti (e degli altri attori della medesima compagine) che ne sfruttano le potenzialità e che sono divenuti protagonisti del sistema contemporaneo dell'arte, hanno sempre più dilatato le proprie influenze, fino ad intromettersi eccessivamente su ciò che dovrebbe rimanere distinto da ogni variabile speculativa e che in passato rappresentava la purezza dell'arte: il valore estetico e intrinseco dell'opera. In un contesto in cui anche il gusto è vendibile, l'arte si trasforma in merce scambiabile e le variabili economiche, che divengono la trama principale del tessuto artistico, operano in una logica di business. L'obiettivo della trattazione è quello di mettere in luce i meccanismi che oggi regolano il mercato dell'arte contemporanea e chi ne muove le redini e il proposito è raggiungibile esplorando e analizzando l'artista che ne è il protagonista in assoluto: Damien Hirst. Per poter comprendere il personaggio in modo più approfondito, è stato necessario cominciare dalla sua biografia, fin dai suoi esordi quando era ancora uno studente, per arrivare ai giorni nostri, un excursus della sua carriera che aiuta a focalizzare il ruolo che Hirst riveste nel contesto del mercato contemporaneo dell'arte. L'asta presso la casa d'aste Sotheby's svoltasi nei giorni 15-16 settembre 2008 è l'emblema ideale dell'attuale funzionamento del sistema artistico e fornisce una chiave di lettura per capire in che modo le quotazioni siano esplose al rialzo e perché subiscano ormai da decenni una continua crescita. L'asta ha scardinato alcuni dei meccanismi 2 chiave che sono a fondamento del sistema dell'arte, primo dei quali l'esigenza del mercato di comunicare con l'artista tramite un mediatore, come può esserlo la galleria. Hirst ha infatti venduto direttamente all'asta, senza mediazione, ma non è chiaro se questo evento inciderà sul futuro delle aste e quindi su una buona parte del mercato dell'arte contemporanea, perché è una peculiarità che pochi possono permettersi. Ad oggi Damien Hirst è il più importante artista vivente, per molti aspetti lo sarà anche per la storia dell'arte e se il concetto di bello o brutto, di piacevole o repulsivo per un'opera è soggettivo, soprattutto per l'arte concettuale, facilmente interpretabile è invece l'aspetto del marketing e della pubblicità ed è universalmente riconoscibile l'operazione pubblicitaria che accompagna i più importanti artisti contemporanei. Damien Hirst, dunque, non solo è il più importante artista vivente, ma è anche uno dei più emblematici prodotti pubblicitari di questi anni. 3 CAPITOLO I 1. DAMIEN HIRST E volevo essere famoso. Volevo essere un artista famoso. L'arte è più importante dei soldi. Però ci serve molto più potere di quello che abbiamo grazie ai soldi.1 DAMIEN HIRST Damien Hirst è un artista inglese, nato il 7 giugno del 1965 a Bristol, nella regione meridionale dell'Inghilterra. Poco dopo la nascita si trasferì insieme alla madre (Mary Brennan) a Leeds, dove passerà gran parte della sua giovinezza e dove seguirà un corso alla Leeds School of Art. “Sono rimasto per due anni a spasso, guardavo in giro, facevo dei lavoretti. Appena finita la scuola superiore avevo fatto domanda al St. Martin, però non mi hanno preso. Avevo un amico, Marcus Harvey, Damien Hirst che frequentava il Goldsmiths College. Per due anni avevo passato in rassegna tutti i college, ma a quel punto era ridicolo decidere se fare pittura o scultura, perché facevo di tutto. Quindi pensai che il Goldsmiths fosse il posto adatto a me.”2 1 D. Hirst e G. Burn, Manuale per giovani artisti: l'arte raccontata da Damien Hirst, Postmedia books, Milano 2004, p. 71. 2 Ivi, p. 16. 4 Dopo la scuola superiore a Leeds, dunque, riuscì nel 1986 ad iscriversi al corso di BA Fine Art al Goldsmiths College di Londra, dopo aver tentato inutilmente l'accesso al St. Martin, college di Arte e Design sempre nella capitale inglese. Si diplomò nel 1989. Il Goldsmiths College in quegli anni aveva un programma di studi che non prevedeva distinzione tra pittura e scultura e non era requisito fondamentale saper dipingere o disegnare, “tu vai lì e fai quello che ti pare, è questo il motivo iniziale che mi ha spinto ad andarci”3. Durante il secondo anno di college, nel 1988, organizzò Freeze, una mostra allestita in un deposito nella zona portuale di Londra, nella zona di Docklands. Alla mostra parteciparono, oltre ad Hirst, diciassette studenti suoi colleghi al Goldsmiths, l'artista di Leeds si occupò dell'intera gestione dell'esibizione, ricercò gli sponsor e lo spazio espositivo, scelse lui stesso le opere da esporre e curò il catalogo e l'inaugurazione. In quel periodo (per circa un anno) lavorava presso la galleria Anthony d'Offay e fu determinante per la nascita di Freeze, perché fu in galleria che Hirst capì i cosiddetti trucchi del mestiere. “Imballavo i quadri e li appendevo in galleria. Così avevo visto il mondo dell'arte da quel punto di vista. In un certo senso mi piaceva tutto questo. In quel periodo vivevo con Hugh, un mio amico di Leeds, che lavorava con me. Un giorno mi telefonò dicendomi che stava pensando di organizzare una mostra. Chiedeva la mia opinione, perché voleva fare una mostra a Leeds con altri artisti. […] Ma non la fece mai. Così credo che mi venne l'idea... […]. Al Goldsmiths c'era davvero ottima arte, creata dagli studenti. Ad un certo punto mi resi conto che quello che si faceva al college era meglio di quel che vedevo nella galleria dove lavoravo. Mi ero convinto che quegli studenti fossero fottutamente bravi. Ed ero consapevole, in un certo senso, del fatto che nessuno di noi sarebbe potuto sopravvivere nel mondo dell'arte così com'era allora. Dunque, molto semplicemente mi venne in mente di fare una mostra. Scelsi tutte le persone che già avevano fatto un lavoro brillante. […] Andavo in giro alla ricerca di un posto e trovai questo vecchio edificio, che non sapevo a chi appartenesse. […] «Avremo bisogno di denaro». Così domandai loro di finanziarci [ai dirigenti della società a cui apparteneva l'edificio] Ci dettero una piccola somma, di circa mille sterline. […] Poi 3 Ibidem. 5 recuperai le luci usate da d'Offay, perché lì non c'era luce, mentre in galleria le avevamo buttate via, abbandonate in una specie di cassonetto. […] A Londra c'erano due grosse società di sviluppo: c'era la Docklands e un'altra, chiamata Olympia & Yorke […]. Mi presentai da Olympia & Yorke chiedendo altre diecimila sterline per fare il catalogo, il che come richiesta poteva suonare un po' troppo azzardata, ma accettarono. Insomma, chiunque avvicinai mi disse di sì al primo colpo. Così facemmo il nostro catalogo e poi la nostra mostra, che fu intitolata Freeze”4. Il lavoro che Hirst portò in esposizione era composto da scatole di cartone decorate con del lattice. Freeze è considerata la mostra che diede avvio al movimento degli Young British Artists, di cui Hirst è l'esponente più rappresentativo, il punto di partenza della carriera artistica di quel gruppo di studenti che hanno rappresentato la corrente artistica britannica, una vera e propria mostra di auto-promozione. “La classe del Goldsmiths che partecipò a Freeze- Hirst, Matt Collishaw, Gary Hume, Michael Landy, Sarah Lucas e Fiona Rae - fu quella che in Gran Bretagna ebbe forse più successo in ogni tempo in termini di carriera artistica”5. Nei due anni successivi, nel 1989 e nel 1990, Hirst promosse insieme a due suoi amici Bellee Sellman e Carl Freedman due mostre collettive: rispettivamente Modern Medicine e Gambler. Nella mostra del 1989 furono esposti quattro pannelli con quattro fotografie di medicine cabinet (comuni nell'opera di Hirst) che vennero anche forate ed etichettate. Gambler, del 1990, fu allestita nello stesso edificio di Modern Medicine, una fabbrica abbandonata che chiamarono Building One, nel quartiere di Bermondsey (zona meridionale di Londra), ma il contributo di Hirst, inizialmente fu limitato alla sola organizzazione preliminare, poiché dopo una lite con gli altri due amici l'artista di Leeds lasciò il progetto e Sellman e Freedman continuarono da soli. Dopo qualche tempo Hirst fu invitato nuovamente a partecipare, i tre tornarono a collaborare e l'artista contribuì alla mostra con una serie di lavori con mosche (i fly piece), di cui la più importante fu un'opera diventata in seguito tra le più celebri del suo 4 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo archeologico nazionale, Electa, Napoli 2004, p. 55. 5 D. Thompson, Lo Squalo da 12 milioni di dollari, Mondadori, Milano 2009, p. 87. 6 lavoro: A Thousand Year (Un migliaio di anni), “una rappresentazione della vita e della morte nella quale delle larve di mosca venivano fatte schiudere in una vetrina e poi spinte a superare una separazione di vetro dalla presenza di una testa in decomposizione di mucca. venivano Infine una fulminate a metà del loro tragitto”6. Damien Hirst, A Thousand Year, 1990 seguire della Era possibile l'intera evoluzione decomposizione, il visitatore poteva tornare a guardare l'opera qualche giorno dopo e avrebbe trovato uno scenario diverso, la testa sempre più scarna e smunta e il cumulo di mosche sempre più grande. Per la costruzione dell'opera Hirst si rivolse ad un fabbricatore, non la costruì lui personalmente (come farà per le altre opere in teca) ma fece solo un modellino in scala in cartone e lavorò preliminarmente sugli elementi. L'idea del fly piece deriva anche dalla volontà di Hirst di utilizzare il vetro come elemento della composizione: “ho sempre amato i quadri di Bacon. E il vetro mi è sempre piaciuto, perché è come qualcosa di pericoloso che ti tiene a distanza. Puoi vederci attraverso, ma è solido. Mi è sempre piaciuta questa idea. Avevo messo il vetro nei medicine cabinets. Mi piaceva molto usare il vetro in modo che non ci fosse la cornice di un quadro. Inoltre volevo fare un'opera d'arte che aveva come oggetto qualcosa d'importante. Ci pensavo in continuazione. […] Volevo fare un'opera d'arte con un certo peso, una certa importanza e ci pensavo continuamente. Così mi venne l'idea del fly piece. Ricordo che pensavo che volevo fosse come un Naum Gabo, o qualcosa di simile, come punti nello spazio. Pensavo che le mosche potessero essere 6 Ibidem. 7 come punti nello spazio, in movimento nello spazio. Dunque decisi che volevo queste due zone, nettamente separate, ma dove potevi ben vedere all'interno. Non doveva necessariamente essere vetro; poteva anche essere una rete o qualcosa del genere. Penso di aver visto in Dan Graham qualcosa di simile, alla galleria Lisson”7. A Thousand Year fu acquistata al termine dell'esposizione da Charles Saatchi (pubblicitario anglo-iracheno e tra i più importanti collezionisti contemporanei) che ne rimase stupito, in realtà, per fare un passo indietro, il rapporto tra Hirst e Saatchi era cominciato già con la mostra Freeze, che il collezionista visitò. Proprio in quell'occasione Saatchi decise di iniziare a collezionare alcuni lavori dell'artista inglese e di altri artisti del gruppo che diventò successivamente quello degli YBAs (Young British Artists). Fu però con la visita alla mostra Gambler e l'acquisto di A Thousand Year che Saatchi si offrì di finanziare il lavoro futuro di Hirst. Nel 1991 l'artista di Leeds allestì insieme a Tamara Chodzko la sua prima personale in uno spazio autogestito: In & Out of Love. I lavori portati in esposizione furono due cabinet pieni di bicchieri per l'acqua, dal nome rispettivamente I Can See Clearly Now e We Don't See Eye to Eye, inoltre espose per la prima volta i lavori con le farfalle: “[...] Più in là, come procedevi, c'era un tavolo che nascondeva i radiatori; e appoggiate sul piano c'erano delle scodelle con acqua zuccherata e pagliette per pulire le pentole, colorate per attrarre le farfalle, oltre a quattro umidificatori. Alle pareti i quadri. C'era un monocromo bianco con dei ripiani sopra e c'erano delle larve vive di farfalla incollate sopra. Le farfalle nascevano dal quadro e volavano intorno, quindi c'era un ambiente per farfalle. C'erano monocromi bianchi. Al piano di sotto c'era un altro lavoro con dei portacenere sopra e tele con farfalle morte, annegate nella vernice. C'erano quattro scatole con dei buchi. Simili alle scatole che avevo usato per i fly pieces, una scatola lunga circa un metro con un buco su ogni facciata, […] quindi misi questi elementi nello spazio, che dovevano sembrare delle scatole dalle quali le farfalle uscivano per andare a morire nella vernice o qualcosa del genere. Bizzarro. Ecco com'era.”8 Un anno dopo, i lavori degli YBAs, che Saatchi accumulò nella sua collezione 7 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit. pp. 70-72. 8 Ivi, pp. 74-77. 8 privata furono esposti nella prima mostra assoluta dedicata al gruppo, organizzata dal collezionista stesso: Charles Saatchi's Young British Artists del 1992. Prima della mostra collettiva, il gruppo non aveva ancora il nome che oggi lo contraddistingue, fu proprio l'esposizione del 1992 a sancire la nascita, la consacrazione e l'etichetta degli Young British Artists. La mostra fu allestita alla Saatchi Gallery, la galleria privata di Saatchi, tra le opere esposte fu presentata di nuovo A Thousand Year, ma il pezzo senz'altro più importante, che caratterizzerà successivamente l'opera di Hirst, è The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living (L'impossibilità fisica della morte nella mente di un essere vivente). L'opera è composta da uno squalo tigre lungo oltre 4 metri posto in una vetrina riempita di formaldeide. “The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living è un vecchio titolo, è stato il primo pezzo che ho fatto. In effetti era una frase tratta da un testo che avevo scritto su Robert Longo. Scrissi semplicemente che il suo lavoro parlava dell'impossibilità fisica della morte nella testa di un essere vivente. […] Mi piaceva e mi è rimasto in mente, ho sempre desiderato fare un lavoro con gli squali... guardavo fotografie leggevo e Damien Hirst, The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, 1991 storie sugli squali, sulla loro capacità di terrorizzare. Allora ho cercato di capire se potevo avere uno squalo in galleria, non volevo dipingerlo, né avere un bel cibachrome, un lightbox o una foto. Poi ho pensato, se riuscissi ad averne uno in un grande spazio, nel liquido, grande abbastanza da spaventarti, in modo che pensi di essere li con lui e che ti possa mangiare, allora funzionerebbe”9. 9 D. Hirst e G. Burn, Manuale per..., cit., p. 18. 9 L'opera fu precedentemente commissionata e acquistata da Saatchi, che finanziò il progetto anticipando ad Hirst 50.000 sterline, l'artista in questo modo poté rivolgersi ad un pescatore australiano,Vic Hislop, che catturò lo squalo e lo spedì in Inghilterra, dove sotto la direzione e la supervisione dell'artista inglese venne trattato e sistemato nella teca di vetro riempita di formaldeide da una squadra di tecnici. L'opera fu rivenduta successivamente (nel 2005) da Saatchi al collezionista Steve Cohen tramite la mediazione del gallerista Larry Gagosian per 12 milioni di dollari e l'operazione rese all'epoca Hirst l'artista vivente più quotato dopo Jasper Johns, quella cifra risultava la più alta mai pagata per l'opera di un artista vivente (ad eccezione come già detto dell'artista statunitense), ma l'argomento sarà trattato più approfonditamente nel capitolo successivo. Hirst fu il primo ad esporre uno squalo come opera d'arte, ma non fu il primo ad avere l'idea di esporre uno squalo. Nel 1989, ben tre anni prima rispetto all'esposizione di The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living alla Saatchi Gallery, un negoziante di nome Eddie Saunders appese al muro (nel suo negozio di elettricista a Londra) un pesce martello che nel 2003 fu provocatoriamente esposto con il titolo A Dead Shark Isn't Art (Uno squalo morto non è arte) alla Stuckism International Gallery di Londra. Saunder mise in vendita lo squalo ad un milione di sterline con la seguente pubblicità: “«Saldi di fine anno: squalo per un milione di sterline soltanto; risparmiate 5 milioni di sterline sulla copia di Damien Hirst»”10 e sottolineò, a differenza di Hirst, lo sforzo di averlo catturato lui stesso con le proprie mani e che il suo era migliore, ma nonostante la pubblicità considerevole che ne derivò non ricevette neppure una proposta d'acquisto. Le opere di Hirst presentano titoli molto elaborati e complessi che contribuiscono alla loro lettura. Il motivo di questa scelta è legato alla capacità dei titoli di porre una riflessione e di invitare lo spettatore a cercare di intuirne il significato. A volte nasce prima il titolo e in seguito l'opera. “I titoli per me sono solo una verbalizzazione che serve a visualizzare quel che faccio con la scultura. A volte l'idea della scultura nasce insieme al titolo. […] Con A Thousand Years il titolo è venuto dopo. Avevo la scultura e ho cercato un titolo. Penso 10 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., pp. 88-89. 10 che con lo squalo avevo in mente da prima il titolo e non sapevo cosa farci, e poi ho fatto questa scultura e penso di aver messo insieme le due cose. Mi ero reso conto che The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, era un'espressione che avevo usato per descrivere l'idea della morte a me stesso. L'avevo usata nel mio saggio di tesi al Goldsmiths. Utilizzai quel termine per cercare di descrivere l'impossibilità fisica della morte nella mente di qualcuno in vita. […] Penso che in realtà si tratti di collage, è tutto un collage. Ci sono titoli e ci sono sculture. Ho anche la passione per le parole che uso come materiale visivo. Sono sempre alle prese con le parole e con le sculture e poi alla fine fondamentalmente le associo. […] Quando hai una frase in mente, ci pensi costantemente... Quel titolo mi spingerà a fare la scultura che si adatti perfettamente al suo senso”11. Per The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living il titolo “è solo un modo per descrivere la paura. Era solo paura, morte e paura, solo una cosa. Era solo quello. Pensavo che la morte fosse difficile da rappresentare. Mi sembrava che in quel tipo di espressione enigmatica, avrei detto quello che la scultura voleva dire. È come non poter credere di dover morire. Non riesci a credere che sia reale, non puoi credere che stia per mangiarti. Lo sai quando giri intorno al contenitore e vedi quella rifrazione, che fa saltare lo squalo”12. L'opera di Damien Hirst è dunque soprattutto una riflessione sulla morte, sulla fragilità dell'esistenza, sul progressivo declino di tutto ciò che esiste al mondo. Come in un tentativo di contrastare l'azione naturale di logorio e decadimento le opere in formaldeide si pongono come una fotografia, statica e immobile che ferma il tempo e i suoi effetti. In realtà, l'azione di decomposizione sugli animali non può essere arrestata e lo squalo di The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living non è più l'originale esposto nel 1992 alla Saatchi Gallery, l'animale poco dopo iniziò a deteriorarsi, la pelle si raggrinzì, una pinna cadde e la soluzione di formaldeide che circondava lo squalo si intorbidì. Nonostante il tentativo da parte dei curatori della galleria di iniettare uno schiarente all'interno della teca in vetro l'effetto rimase identico, anzi la decomposizione dell'animale subì un'accelerazione. 11 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit., pp. 122-123. 12 Ibidem. 11 Nel 2005, dopo che l'opera fu venduta a Steve Cohen, Hirst decise di sostituire il vecchio squalo, ormai logoro e irrecuperabile con un altro squalo bianco di uguali caratteristiche, si rivolse allo stesso pescatore (Vic Hislop) con cui aveva collaborato per il primo animale e chiese, inoltre, anche altri tre squali tigre ricevendone cinque, uno in omaggio. Al nuovo squalo fu iniettata una quantità più concentrata di formaldeide dieci volte superiore a quella impiegata per il primo squalo, ma il problema che si levò non era più legato ai dubbi di preservazione dell'animale, ma piuttosto riguardava i postulati a fondamento dell'arte. L'opera perse il suo originale protagonista, sostituendo l'animale con un altro, l'opera non sarebbe stata più la stessa. “Its condition highlights growing alarm over how to preserve the high-priced conceptual works, many made from organic materials, poor quality paint, junk and even blood and insects, produced by Hirst's Young British Artists movement. If the shark substitution goes ahead, it will also raise serious questions about what is an original work of art, and whether changing parts of it devalues it. Martin Gayford, the art critic for Bloomberg, said yesterday: «My take on it is to ask whether you regard the piece we are talking about as a work of art or as an idea. If somebody completely painted over a Rembrandt, it wouldn't be the same thing. But the shark constitutes an idea plus the way it's presented. It seems to me that if Hirst finds a new shark and has it pickled and it looks right to him then that's fine». Larry Gagosian tells the July issue of The Art Newspaper: «The shark is a conceptual piece and to substitute a shark of equal size and appearance, in my opinion, does not alter the piece». […] He said: «Steve Cohen is very happy with the piece and is not troubled at all with having to substitute it. It's not a direct analogy but if you have a work by Dan Flavin [the American installation artist who uses fluorescent light tubes] and one of his lights goes out and you substitute it, it doesn't matter. It doesn't affect the significance of the piece or the value of the piece». […] Mr Gayford said: «[...] We are entering unknown territory with some of the materials that artists are using today and the big question is what happens when Hirst is no longer among us».13 (La sua condizione mette in luce l'allarme crescente su come preservare i costosi lavori concettuali, molti fatti con materiali organici, vernice di 13 N. Reynolds, Hirst's pickled shark is rotting and needs to be replaced. Should it still be worth £6,5m?, in “The Telegraph”, 28 giugno 2006. 12 scarsa qualità, ciarpame e talvolta sangue e insetti, prodotti dal movimento degli Young British Artists di Hirst. Se la sostituzione dello squalo andrà in porto, solleverà seri interrogativi sul concetto di originalità dell'opera d'arte, la sostituzione di una parte di essa porterà alla svalutazione dell'opera. Martin Gayford, il critico d'arte di Bloomberg, ha detto ieri: «La mia idea è quella di chiedersi, ogniqualvolta si sta guardando un lavoro, se si ha di fronte un'opera d'arte o un concetto. Se qualcuno dipingesse sopra un Rembrandt, non sarebbe la stessa cosa. Ma lo squalo costituisce un'idea più che il modo in cui esso è presentato. Ciò che voglio dire è che se Hirst trovasse un nuovo squalo e lo mettesse in salamoia e a lui sembrerebbe soddisfacente, allora va bene». Larry Gagosian ha dato una risposta al problema: «Lo squalo è un lavoro concettuale e nella mia personale opinione la sostituzione dell'animale con uno di uguale stazza e fisionomia, non altererebbe il pezzo». […] Continua: «Steve Cohen è molto felice dell'opera e non avrebbe alcun problema per un'eventuale sostituzione. Non è una diretta analogia ma se si guarda a un lavoro di Dan Flavin [l'artista americano che crea installazioni con tubi di luci fluorescenti] e una delle sue luci si spegne e la si sostituisce, che cosa importa. Non incide sul significato del lavoro o sul valore dell'installazione». […] Continua Mr. Gayoford: «[...] Stiamo entrando in un territorio sconosciuto con alcuni dei materiali che gli artisti usano oggi e la grande questione è cosa succederà quando Hirst non sarà più tra noi»). Arte concettuale dunque, il concetto si slega dall'immagine rappresentata, dall'oggetto coinvolto nell'opera, che è tale perché assimilata da un discorso critico a fondamento che le dà significato. Bottle Rack (Scolabottiglie) di Duchamp del 1914 che fu il primo ready made nella storia dell'arte, oggi non è più l'originale, l'oggetto fu sostituito dall'artista stesso più avanti, così come Fountain (1917) sempre di Duchamp, l'orinatoio originale non esiste più. Hirst coglie molto dell'artista dadaista, in particolare il ready made, cioè la traslazione di oggetti comuni, quotidiani, sulla scena artistica, i suoi ready made sono animali, scatole di medicine, pillole, pacchetti di sigarette, sedie e tavoli da ufficio. “Per me è una comunicazione di idee piuttosto che una comunicazione di personalità. Voglio dire, più lo cambio, più parla di me. Invece meno lo cambio, più parla di un'idea universale. Tutti sanno cos'è un divano. Ma io lo striscio all'interno del 13 mio lavoro, perché credo in quelle idee molto umane dell'espressionismo astratto del tipo “dipingo quello che sento”. […] Voglio dire come de Kooning. “Oggi mi sento triste, farò un quadro marrone e viola”. Fare così e dire “Questo sono io”.”14 Come gli altri YBAs il suo linguaggio è aggressivo, diretto e facilmente codificabile e come gli altri YBAs ha sempre dato particolare attenzione alle dinamiche legate al mercato dell'arte, all'importanza dei media come strumento pubblicitario e alle sovvenzioni da parte di istituzioni pubbliche o di mecenati privati, molti artisti del movimento di Hirst sono finanziati privatamente da alcune istituzione inglesi, come il Department of National Heritage (dal 1997 Department for Culture, Media and Sport). L'enorme successo di Hirst, come si è potuto notare già agli esordi con The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living e l'esposizione Charles Saatchi's Young British Artists è strettamente legato a Charles Saatchi, che con la sua attività di promozione ha portato l'artista all'apice della scena internazionale (il rapporto tra i due si scioglierà nel 2003 per delle continue frizione scaturite soprattutto dalla retrospettiva organizzata quell'anno alla Saatchi Gallery). Sotto l'ala protettrice di Saatchi, Hirst in questi anni ha dato vita alla sua produzione che è possibile dividere principalmente in sei categorie15. 1. Natural History. La prima è costituita dalla serie che lui chiama Natural History, che comprende animali morti (interi o sezionati) in teche di vetro conservati in formaldeide, sono quindi ready made a tutti gli effetti, sradicati dal loro contesto abituale e trasportati in galleria. Presentati come memento mori, “come «sospesi nella morte» e come «la gioia della vita e l'ineluttabilità della morte»” 16 raffigurano l'esplorazione della morte, sono parte essenziale della poetica della morte, tema centrale e basale dell'opera di Hirst. Il manifesto di Natural History è The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living, che divenne, negli anni novanta, il simbolo dell'arte britannica, ma anche emblema dell'arte di Damien Hirst stesso. “Non ho mai pensato a questi lavori come violenti. Li ho sempre visto come molto tristi. C'è una sorta di tragedia insita in quei pezzi. Alla fine era proprio come una 14 D. Hirst e G. Burn, Manuale per..., cit., p. 24. 15 La divisione in sei categorie è proposta da D. Thompson. 16 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p. 89. Entrambe sono definizioni date da Hirst. 14 specie di zoo di animali morti. Li ho sempre fatti con le zampe che non toccavano il pavimento. Sono cose galleggianti. Alcune persone mi hanno detto «Perché non fai una tigre o un rinoceronte?» E cose simili. Non puoi usare questo tipo di animale fantastico. Con lo squalo funziona, perché rappresenta una paura, che è probabilmente, anzi sicuramente legata al film Lo squalo. Abbiamo tutti quella paura degli squali, che in realtà è solo la paura dell'acqua. Ma poi gli animali, quelli che mangiamo, ho sempre sentito che avevano un impatto più forte. E pensavo anche all'aspetto religioso della cosa”17. E ancora: “alla gente non piace vedere animali in opere artistiche. È questo il problema fondamentale quando usi animali in arte. Non importa se stanno bene, alla gente non piace. Ma io voglio che tutto sia reale. Per me è solo un modo di rendere l'arte reale. Non è una rappresentazione, è la cosa vera. Penso di aver sempre cercato di fare questo. Sai, come con lo squalo, pensavo di fare una scatola leggera o un dipinto, un gran dipinto di uno squalo. Ma sapevo che nessuno ci avrebbe creduto, visto che siamo così abituati alle immagini. Allora, volevo sembrasse reale. Abbastanza reale da spaventarti”18 Il suo personale rapporto con la morte è conflittuale, ossessionante, si formò ben presto già all'età di sedici anni. Iniziò a frequentare l'obitorio di Leeds, dove si recò più volte per dipingere le persone morte per ustione e disegnare l'anatomia del corpo umano che stava cercando di studiare, i cadaveri erano sotto formaldeide. “Quand'ero ragazzino volevo sapere cos'è la morte e andai all'obitorio e in mezzo a tutti quei cadaveri mi sentii male, pensai di morire, era orribile. Ma tornai più volte a disegnarli. Il punto in cui inizia la morte e finisce la vita per me era lì, prima ancora che li vedessi. […] Dovevi tirarli fuori dalla vasca e tutto il resto, per studiarli. Erano sotto formaldeide”19. È lecito pensare che i cadaveri in formaldeide abbiano influito sulla composizione di Natural History, le opere più rappresentative di questa serie hanno tutte come oggetto animali conservati in formaldeide. “Mi resi conto che mi piaceva veramente la formaldeide, il suo aspetto. Possiede 17 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit., p. 132. 18 Ivi, p. 115. 19 D. Hirst e G. Burn, Manuale per..., cit., pp. 33-34. 15 quel senso di tragedia delle cose che decadono, quel tipo di decadenza immobile o quasi. Ma ancora una volta probabilmente tutto traeva origine dai medicine cabinets, perché l'armadietto con le cose dentro era reale. Quindi all'improvviso pensai che, se potevo prendere quello della farmacia, potevo prendere anche questo dal dipartimento di anatomia, e farci un collage con tutto il resto. Volevo sempre che le cose fossero vere e volevo che le persone si trovassero di fronte alla loro stessa esistenza. Insomma, non solo un'illusione, ma qualcosa di reale. Volevo che le persone pensassero Questo non dovrebbe stare in una galleria d'arte, e allo stesso tempo si domandassero il motivo della loro presenza in una galleria d'arte e dubitassero di essere nel posto giusto. Le cose in formaldeide sono fantastiche, sembrano sempre bellissime. Mi ricordo cose simili a scuola. All'ora d'arte a scuola avevamo sempre rane in ampolle di vetro e cose del genere. Eravamo soliti fare i disegni di queste e dei teschi che c'erano in giro”20. I lavori con animali non sono però un'esclusiva di Hirst, molti artisti prima di lui ne avevano avuto l'idea come Richard Serra in Habitat (la prima esposizione dell'artista statunitense, allestita a Roma alla Galleria della Salita nel 1966) oppure Jannis Kounellis di cui Hirst conosceva alcuni lavori. “A me non sembra un nuovo punto di partenza. Non era sbalorditivo usare animali, credo. […] Ero consapevole di rifarmi costantemente a qualcuno. Tanto pensavo che non importasse, visto che non si può fare niente di nuovo. Ero perfettamente consapevole che i medicine cabinets avessero qualcosa a che fare con Koons e con il consumismo o qualcosa di simile. Avevo visto la mostra alla galleria di Saatchi e ne ero cosciente. Sono come le mie versioni di Koons, come gli Hoover pieces o simili. Mi ricordo di aver pensato a Koons quando ho fatto quelli. I fly pieces erano simili a Nauman. Le scatole venivano da Sol Lewitt. Poi da Ellsworth Kelly venivano i monocromi e da Richter gli spot paintings. C'erano tutti questi riferimenti, ma non ne importava. Dal momento che non erano una copia. Pensavo: tanto è impossibile non riferirsi a nessuno!”21. 2. Cabinet series. La seconda categoria è la cabinet series che consiste in collezioni di armadietti per medicinali, che contengono confezioni di pillole e strumenti chirurgici. Un esempio può essere E.M.I. (1989), un'installazione composta da un 20 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit., p. 118. 21 D. Hirst e G. Burn, Manuale per..., cit., pp. 114-115. 16 armadietto contenente diversi tipi di medicinali (medicine cabinet). “Come nascono gli armadietti delle medicine? Credo di averli visti dal farmacista. […] Ero con lei dal farmacista [sua madre], si stava facendo fare una ricetta e si fidava completamente dei qualcosa di cui non sapeva niente. Negli armadietti delle medicine bottigliette, come non sono sculture perfettamente ci sono impacchettate, formali, organizzate. Dal farmacista mia madre guardava le stesse cose che facevo io e ci credeva ciecamente, mentre quando le vedeva in una galleria d'arte no. Secondo me era la stessa cosa, Damien Hirst, E.M.I., 1989 sapevo come stavano le cose e pensavo: “Ah, se solo potessi fare un'arte che faccia lo stesso effetto”, finché non ho deciso di farlo direttamente. Mi è sempre piaciuta l'idea che l'arte possa curare le persone. Sono ossessionato dal corpo. Mi piace il fatto che ci sono tutti questi elementi collegati all'organismo all'interno di un armadietto di medicine. Mi piace quel senso di consumismo alla Koons. Poi la maggior parte delle scatole di medicinali sono minimali, potrebbero provenire direttamente dal minimalismo, nel senso che il minimalismo implica sicurezza.”22. Il medicine cabinet assume la parvenza di un corpo umano, ogni medicinale è portato a curare attraverso il suo effetto un definito organo, o una specifica funzione e attività, diventa quindi metaforicamente una parte del corpo. Nella vita di tutti i giorni un armadietto dei medicinali rivela parecchio di chi lo possiede, ogni medicinale cura un particolare disturbo, l'armadietto comunica le 22 Ivi, p. 22. 17 ossessioni, alcuni aspetti della vita, le abitudini di chi ne cura la composizione. Il medicine cabinet prova a comunicare questa realtà con lo spettatore e si frappone con un'indole empatica, un'emanazione di colui che ne guarda la geometria essenziale, una scultura minimale in cui è possibile riconoscersi, nelle proprie debolezze e nelle proprie fobie ipocondriache. “Ho scelto la forma e le misure del cabinet come fosse un corpo. Volevo che fossero come corpi umani, con un addome un petto e un intestino. C'è qualcosa di umano in quella forma e in quella dimensione, perciò li feci con una piccola parte sopra, come una testa. Poi giocai un po' con l'idea di mettere le medicine per la testa in cima e quelle per i piedi in fondo. Cercai di scoprire a cosa servissero tutte le medicine. Ma alla fine, venendo da quel tipo di formazione sul colore, non riuscii a resistere dal farlo in termini di colore. Tutto è realizzato secondo parametri di colore e di come appare. L'intero cabinet è solo un'illusione, solo per nascondere il fatto di aver preso tutte le decisioni molto tradizionali”23. 3. Spot painting. La terza categoria riguarda gli spot painting, numerosi cerchietti colorati disposti per righe e colonne su una superficie monocroma bianca, un esempio è Pardaxin (2004). I titoli degli spot painting richiamano i nomi delle sostanze chimiche, come Pardaxin appunto, oppure Hydroxy Tetra Hydrocannabinol (1993) oppure ancora Argininosuccinic Acid (1995), il motivo non è recondito, “ho solo comprato un libro, il prontuario di riferimento dei medici, che è un elenco di sostanze. È un catalogo di sostanze chimiche, farmaceutiche che puoi trovare ovunque. È stato solo un pensiero successivo intitolarli con i nomi delle sostanze chimiche, prese da questo libro. L'ho visto ed ho pensato: devo proprio farle tutte.”24 Quella degli spot painting è una serie di quadri che, come per gli spin painting e i quadri con le farfalle, l'artista non ha più intenzione di proseguire, poiché hanno già esaurito la volontà espressiva alla base della loro creazione. L'idea alla base degli spot painting è legata alla pittura emozionale, all'espressione delle emozioni, la ricerca più intima dell'artista. “La prima idea era solo mettere alla prova quel tipo di pittura. Venivo da quel tipo di formazione alla Rothko: dipingi come senti. Se sei depresso, dipingi da depresso: un tipo di atteggiamento americano, da pittura anni Cinquanta 23 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit., pp. 105-106. 24 Ivi, p. 113. 18 astratta. Penso che a Leeds avessero saccheggiato l'idea. Penso a Peter Canyon, a Ivon Hitchens, a Patrick Heron, insomma a quel genere di pittura emozionale. […] Creai queste cose dove puoi riversare le emozioni dentro... Pensare ad una sorta di macchina impersonale che fa i quadri. Cercare di ridurre tutte quelle decisioni espressive fatte sul colore ad una griglia per creare un sistema dove poter scientificamente dipingere il tuo stato d'animo, perché in fin dei conti è ininfluente. Non importa come ti senti, vengono sempre fuori allegri: ecco, avevo come l'esigenza di far questo. Nella mia testa avevo l'idea di un artista che faceva una serie infinita di questi quadri, che erano più che altro una specie di logo. Feci solo quella griglia, dove dicevo che tutti gli spazi dovevano essere come gli spot e in ogni singolo nessun colore quadro è lo stesso. Solo che ogni dipinto deve essere diverso. Erano molto belli, quindi continuai a farli. Ho appena spesso di farli, ma l'idea iniziale era che fossero Damien Hirst, Pardaxin, 2004 25 una serie infinita” . Gli spot painting, però non vengono dipinti da Hirst, ogni quadro viene realizzato da un assistente, lui dice loro quali colori utilizzare e dove dipingere i pallini. Ne fece solo cinque all'inizio della serie, ma detestava realizzarli, appena riuscì a venderne uno usò i soldi ricavati per pagare qualcuno che li dipingesse per lui. Per spiegare il suo rapporto con gli spot painting, Hirst offre una similitudine con l'architettura, un parallelo con l'architetto statunitense Frank Lloyd Wright, il progettista del Guggenheim Museum di New York. La creatività artistica del progetto appartiene all'architetto, che 25 Ivi, pp. 96-97. 19 ne delinea le forme virtuali assecondando, così la propria arte, la realizzazione materiale dell'edificio è compito che non spetta a lui, allo stesso modo la creatività di uno spot painting, l'idea, il gusto, l'arte, appartengono ad Hirst, la realizzazione ad un gruppo di assistenti. “[...] È un architetto del cazzo, non sa costruire un muro. Allora, è meglio vivere in una casa progettata da Frank Lloyd Wright e costruita da lui, sapendo che non sa tirare su un muro, o in una casa progettata da lui e costruita da altre persone? Qual'è la migliore delle due? […] Ho fatto solo cinque quadri puntinati. Sono capace di farli, ma quando ho iniziato sapevo esattamente dove stavo arrivando, sapevo esattamente cosa sarebbe successo e non potevo perdere tempo a farli. Allora ho preso delle persone, i miei puntinati fanno cagare, li ho fatti sul supporto sbagliato, si vedono i fori del compasso in mezzo ai punti. All'inizio dissi che era voluto, perché volevo ci fosse una certa verità. Se li guardi attentamente puoi capire come li ho fatti, fanno cagare a confronto a... La persona più in gamba a dipingere quadri puntinati per me è stata Rachel Howard. Era fantastica, assolutamente fantastica. Se vuoi i pallini, i migliori sono quelli fatti da Rachel”26. Il discorso appare, in realtà, poco convincente, mentre il lavoro creativo e artistico di un architetto si completa con il progetto, che è il risultato del suo processo creativo (e non l'edificio costruito che è l'aspetto strutturale e applicativo del progetto creativo), lo stesso non si può dire di un artista, l'opera è il progetto dell'artista, è la diretta espressione dell'idea artistica, che non potrebbe mai essere espressa se non con l'opera stessa. Separare l'opera dall'artista, se pur comprensibile per le composizioni in teca e formaldeide o le installazioni per cui l'analogia con l'architettura potrebbe trovare affinità, significa bloccare la naturale evoluzione del pensiero artistico che nasce nella mente e vive sulla tela. Se lo spot painting esprime una pittura emozionale, rivela al mondo il sentimento di colui che con la sua mano ha dato vita al dipinto, se Rachel Howard compone l'opera, il mondo potrà ammirare il suo sentimento, se Damien Hirst compone l'opera, potremo contemplare il suo essere, se l'artista inglese vuole esprimere se stesso attraverso la figura di un suo assistente, il naturale processo creativo dell'artista è bloccato, finisce dove inizia quello di Howard o chi per lei. 26 D. Hirst e G. Burn, Manuale per..., cit., pp. 85-86. 20 Nel 1999, la British Airways utilizzò un motivo simile ad un quadro spot painting per una sua campagna pubblicitaria, Hirst fece denuncia alla compagnia aerea per violazione di copyright, sono quindi quadri molto riconoscibili, un'icona dell'arte di Damien Hirst e addirittura, sempre nel 1999 fu chiesto all'artista inglese di creare uno speciale spot painting da dipingere su un componente della navicella spaziale che sarebbe stata inviata su Marte nel 2003, per la missione Beagle II e fu il primo artista il cui lavoro fu mandato nello spazio. 4. Sping painting. La quarta categoria è costituita dagli spin painting, dipinti su una ruota che viene fatta girare, viene versato così il colore. “Si racconta che nel processo di realizzazione Hirst indossi una tuta e occhiali protettivi, salga su una scaletta e getti vernice su una tela rotante o su una base di legno urlando «Più rosso!» O «Trementina!» a un assistente.”27. Beautiful sphincter, revolving oops brown (2003) è un esempio di spin painting, sono quadri secondari, i più deboli dell'opera di Hirst, sono semplici sia dal punto di vista estetico, compositivo, sia Damien Hirst, Beautiful revolving sphincter, oops brown, 2003 nel vengono modo in cui realizzati, facendo cadere il colore su una macchina che ruota. “Adoro la macchina che gira, ma appena sono asciutti e si fermano mi annoio subito. Se ne avessi uno appeso al muro lo girerei, Detto questo, sono quel che sono. Sono oggetti molto semplici, infantili. Non credo che avranno una grande influenza nella storia della pittura. Li considero un po' delle sculture. […] Sono 27 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p. 91. 21 belli quando sono grandi. È perché sono grandi che penso che funzionino. In confidenza li trovo solo gradevoli; credo che siano di poco valore e ingannevoli. Sono molto fumo e poco arrosto. Poi a volte ne vedo uno su un muro, ed è come se mi accorgessi che sono proprio belli. Non ne comprerei uno. […] Ho una relazione di odio amore con loro”28. Esiste un secondo tipo di spin painting, differente dagli altri perché presenta uno scheletro stilizzato al centro e una tonalità più scura di colori, i primi esemplari di questo genere sono stati presentati per la prima volta a Città del Messico. 5. Butterfly painting. La quinta categoria, i butterfly painting, riprende ancora il filone principale della riflessione sulla morte e le sue dinamiche. I butterfly painting sono collage composti da migliaia di ali di farfalla assemblate su una tela monocroma di vernice lucida, oppure componimenti con intere farfalle dai colori accesi. L'interesse di Hirst verso questi nacque molto soprattutto in insetti presto, preparazione della sua prima personale In & Out of Love (1991) quando già li allevava nella sua stanza da letto, acquistò pupe e larve per curarle e studiarne i comportamenti e le dinamiche biologiche. L'idea dei monocromi nacque, in realtà per caso “mi ricordo che una volta dipingevo qualcosa di bianco e delle mosche ci si Damien Hirst, Kaleidoscope VII, 2004 posarono, pensai «Fanculo!», ma poi a ripensarci era divertente. Era divertente l'idea dell'artista che cerca di fare un monocromo e che viene sabotato dalle farfalle che vanno a finire annegate nella pittura o roba del genere. Poi afferri la bellezza della farfalla, ma, in effetti, è qualcosa di orribile. È come se una farfalla fosse volata lì attorno per poi morire atrocemente nella 28 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit., p. 190. 22 pittura. La morte di un insetto comunque ha questa bellezza veramente ottimistica di una cosa meravigliosa. Ricordo di aver pensato a tutto ciò. Non marciscono come gli esserei umani”29. I butterfly painting si fondono con l'esigenza espressiva realista dell'artista inglese, un legame molto forte con il reale, la realtà, come in Natural History e in cabinet series “la differenza tra l'arte e la vita consiste nello smettere di giocare con questa idea. Con i monocromi bianchi delle farfalle volevo fare qualcosa di reale. Era molto importante, perché era arte. Veniva direttamente dalla mia idea di quanto fosse importante l'arte, per cui volevo fare qualcosa senza colore che fosse reale; […] I monocromi bianchi: questo è vero amore, è come le farfalle che volano in un buon ambiente ma dentro non c'è colore, [...]”30. Anche i butterfly painting sono realizzati da un team di tecnici e assistenti che lavora sotto la direzione dell'artista di Leeds e sono generalmente venduti da White Cube, la galleria londinese di Jay Jopling, che rappresenta Hirst sul territorio britannico e non solo. Le loro quotazioni possono raggiungere generalmente le 300.000 sterline ciascuno e uno dei primi lavori di questo genere è stato acquistato da David Beckham per 250.000 sterline. 6. Quadri fotorealistici. L'ultima categoria riguarda una serie di quadri fotorealistici. Le trentuno opere sono state esposte per la prima volta nel 2005 in occasione della mostra Damien Hirst: The Elusive Truth alla Gagosian Gallery di New York . Addicted to Crack, Abandoned by Society (drogata di crack, abbandonata dalla società), Autopsy with Sliced Human Brain (Autopsia con cervello umano affettato), sono solo esempi dei titoli che Hirst diede a queste opere per cercare ancora un effetto propagandistico e provocatorio così come il tema principale dei quadri: episodi di morte violenta. Di nuovo la morte, quindi, grande filone comune dell'opera di Damien Hirst, ma un'altra analogia lega questi lavori con gli altri dell'artista inglese: le opere portano la firma di Hirst, ma non sono state realizzate da lui, ma da un team di assistenti. Così come lo squalo, gli spot painting, gli spin painting, i butterfly painting, fu una squadra di persone a realizzare le opere sotto la sua direzione artistica e ciascuno si divideva il lavoro in modo che nessuno ne fosse interamente responsabile, Hirst aggiunse solo 29 Ivi, pp. 82-83. 30 Ivi, p. 78. 23 qualche pennellata e la sua firma che appare come una convalida, una certificazione di qualità. Lui stesso ha affermato di non saper dipingere, ma che un'opera di qualità inferiore avrebbe attratto comunque un collezionista pronto ad acquistarla, solo se fosse stato lui a realizzarla. “Sulla questione di etica artistica che implica l'utilizzare quattro studi e quaranta assistenti per produrre degli Hirst che poi l'artista si limita a firmare, ha detto: «Mi piace l'idea di una fabbrica che produce le opere, il che separa le opere dalle idee, ma non mi piacerebbe una fabbrica che produce idee». […] La critica d'arte del Village Voice Jerry Saltz commentò: «Il meglio che si possa dire di queste opere è che Hirst sta lavorando nell'interstizio tra il quadro e il nome del pittore: Damien Hirst sta facendo dei Damien Hirst. I quadri in sé sono delle etichette portatori di brand. Come dei Prada o dei Gucci: per godere dell'euforia di un brand si paga di più. Per cifre tra i 250.000 dollari e i 2 milioni, zotici e speculatori Damien Hirst, Addicted to Crack, Abandoned by Society , 2004-2005 possono acquistare un'opera che non è altro che un nome»”31. I trentuno quadri fotorealistici furono venduti tutti il primo giorno della mostra alla Gagosian Gallery e la più altra cifra raggiunta da uno di questi lavori fu di 2,2 milioni di dollari. Fu messa in vendita anche una linea economica, composta da magliette stampate con le immagini delle opere oggetto dell'esposizione. 31 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., pp. 92-93. 24 Alcune opere di Hirst possono integrare diverse categorie, così un'opera può presentare elementi di Natural History combinati con la cabinet series principi dello painting. Ne esempio e spot è un Isolated Elements Swimming in the Same Direction for the Purpose Damien Hirst, Isolated Elements Swimming in the Same Direction for the Purpose of Understanding, 1991 of Understanding, (Isolati elementi nuotano nella stessa direzione per il fine della conoscenza) del 1991, dove pesci in formaldeide (Natural History) contenuti in un armadietto di medicinali (cabinet series) sono organizzati secondo precise scelte di colori, struttura e forma che richiamano le caratteristiche dello spot painting. Al tema principale dell'opera di Damien Hirst cioè l'esplorazione della morte si lega un'altra tematica, intrecciata fortemente con la moralità: il fumo. “Il rapporto tra piacere e morte. La sigaretta nel suo rituale appagante ed autodistruttivo consuma se stessa ed il suo amante. La sigaretta ha una durata, un arco vitale, una lenta corruzione per poi morire e diventare scoria. Il mozzicone è scaglia, impronta, scheletro di un corpo logoro e finito, di un mutamento finale”32. La sigaretta è vita, il fuoco dell'accendino è carburante e il mozzicone è morte, il posacenere è un cimitero. Il fumo è un suicidio teorico, il danno che provoca è un effetto conosciuto ed accettato dal fumatore, ma nonostante ciò la sigaretta continua ad essere consumata. Il lento suicidio, concetto che esalta Hirst, è il prezzo che si è disposti a pagare, il compromesso accettato per il piacere del fumo. In Considered, Stubbed Out, Forgotten, 1993 (Giudicato, spento, dimenticato), numerosi mozziconi di sigaretta sono rigorosamente sistemati in fila in un contenitore simile ai medicine cabinet, in Horror at 32 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit., p. 37. 25 Home (Orrore a casa) e Party Time (L'ora della festa) entrambe del 1995 un enorme posacenere si presta a cimitero di pacchetti, sigarette e mozziconi. La superficie pulita, levigata, pura del contenitore contrasta con l'immondizia del suo contenuto. In The Acquired Inability to Escape, Divided (L'inabilità acquisita di fuggire, diviso) del 1993, Damien Hirst esprime il suo concetto di claustrofobia, di vuoto e l'opera, insieme ad altre come The Acquired Inability to Escape, Inverted (1993) e The Acquired Damien Hirst, Party Time, 1995 Inability to Escape, Inverted and Divided (1993), fa parte di una stessa serie. In esse è osservabile una gabbia di vetro, con una scrivania, una sedia e altri oggetti di uso comune, successivamente ci si accorge del vuoto, la mancanza della presenza umana. Come per molte delle sue opere, anche in questo lavoro nasce prima il titolo e successivamente la composizione. “Stavo parlando di un pezzo di Bruce Nauman nel quale c'erano dei ratti in una scatola o di un video su quel lavoro che si chiamava Learned Helplessness in Rats e disse, «Non mi ricordo il nome perché lo so solo in tedesco». Disse, «Credo che sia qualcosa come The Acquired Inability to Escape». Pensai subito che fosse un titolo bellissimo, quindi andai a controllare e scoprii che in effetti si chiamava Learned Helplessness in Rats. Allora mi sono tenuto il titolo per me. E ho fatto una scultura che vi si associasse. Ripensando a tutte le mie sculture, le dimensioni di quella [The Acquired Inability to Escape Divided] sono le mie preferite in assoluto. L'altezza del tavolo, tutte le divisioni, dividere il vetro nel tavolo, le sedie. Tutte le sue misure sono 26 perfette. Uso molto quella forma di contenitore. È la vetrina migliore”33. Claustrofobia, prigione, trappola, confinati spazi, “in questa opera credo che la cosa fondamentale siano le due sezioni. Una sezione e un'altra sezione, come le avevo già usate per i fly pieces. È come essere chiusi in una stanza dove c'è una piccola apertura che ti può condurre nella stanza accanto, da cui però non riesci a passare. Ha le misure di un essere umano, ti fa entrare, ma non è abbastanza grande per passarci attraverso. C'è solo questa sottile fessura, abbastanza sottile per poterci infilare le dita attraverso, come in una cella. C'è una entrata, ma l'entrata non è percorribile. È come se tu fossi spiritualmente escluso, entri nello spazio, e poi non c'è niente dall'altra parte. Quindi è come se uscissi da questo posto per andare in un altro, dove non c'è possibilità per te. L'intera storia in qualche modo ti intrappola continuamente e ti trattiene imprigionato lì. C'è una specie di via Damien Hirst, The Acquired Inability to Escape, 1992 d'uscita, ma non è una vera via di fuga”34. Tagliare lo spazio, tagliare il vetro e gli oggetti, residui di sigarette, di mozziconi è il fumo, come traccia dell'Uomo, come segno del suo passaggio, “quando ho realizzato Freeze, i primi spot paintings che ho fatto sui muri erano copie identiche l'uno dell'altro, uno aveva il bordo tagliato e l'altro il fondo, c'erano spot a metà sul fondo e spot a metà sul margine destro. Ho fatto questi tagli allora per differenziare due affreschi uguali. Tagliare riguardava soprattutto quel genere di spazio sociale, 33 Ivi, pp. 125-127. 34 Ivi, pp. 128-129. 27 claustrofobico. Si trattava di poter trovare una zona dove rinchiudere tutto insieme e dargli un senso maggiore. È facile mettere uno squalo in un contenitore, e la gente avrà paura dello squalo se ci si avvicina, perché può immaginare di essere lì con lo squalo nel contenitore. Ma devi saper sfruttare una paura più profonda o un qualcosa di spaziale, come la claustrofobia. Se non sai cosa sia la paura, penso che in The Acquired Inability to Escape riesci a estrapolarlo. È come una stanza per fumatori, o una stanza per interrogatori. È claustrofobico riguardo al vetro”35. Il vetro, elemento costante del lavoro di Hirst, una sostanza tanto solida e pericolosa quanto trasparente e invisibile, capace di creare una distanza tra l'opera e lo spettatore, che può vedere ma non toccare. Anche le fessure, gli spiragli sono essenziali, rappresentano un accesso, una via di unione tra lo spazio esterno e quello interno, invitano in modo subdolo lo spettatore a penetrare visivamente aldilà del vetro, a immedesimarsi nel nucleo chiuso, nella trappola claustrofobica, così da innocente esploratore, lo spettatore si trasforma in vittima. Nello stesso anno della collettiva Charles Saatchi's Young British Artists Hirst e per il soddisfacente risultato della mostra, Damien Hirst fu nominato per il Turner Prize del 1992, premio d'arte contemporanea organizzato annualmente dalla Tate Gallery, arrivò tra i finalisti ma non riuscì a vincere il premo. Nel 1993 partecipò alla quarantacinquesima Biennale di Venezia, presentando l'opera Mother and Child, Divided (Madre e Figlio, separati) del 1993 che verrà anche inserita nella sua personale Some Went Mad, Some Ran Away del 1995 per cui vincerà sempre in quell'anno il Turner Prize. “Come in Mother and Child, Divided (1993), una cosa emozionale con la quale ti rapporti in un modo brutale e non emotivo, e che però diventa anche una cosa minimale o strutturale. La divisione che c'è nel titolo è reale, visto che in effetti sono tagliati a metà. Quel concetto preciso di uccidere le cose per guardarle, in un certo qual modo, se provi a considerare una relazione con un altro essere umano da un punto di vista scientifico, è come cercare di risolvere delle questioni romantiche con una mente scientifica; o cercare di risolvere questioni scientifiche quando sei coinvolto emotivamente. Le mucche le tagli in sei pezzi ed era un modo per avere due cose 35 Ivi, p. 127. 28 insieme. Potresti dire che sia amore. Potresti dire: di queste due mucche ne farò una sola. Ovviamente è morta ed è piuttosto brutale. Stanno un pezzo da una parte, uno dall'altra. Ma la violenza di ciò credo sia la violenza insita in Damien Hirst, Mother and Child, Divided, 1993 ogni sorta di relazione, come quando cerchi di tenere in piedi una relazione, che cade a pezzi. E poi il titolo ammetteva che non avrebbe mai funzionato. A un certo punto, ti rassegni al fatto che non sia possibile. Le parole tradiscono le bugie intrinseche. La verità sembra essere un tipo di ricerca impossibile. Le menzogne costituiscono una gran parte della nostra vita”36. Damien Hirst non è preoccupato dell'inarrestabile processo di decomposizione che gli animali protagonisti delle sue opere subiranno comunque, o meglio per l'artista inglese l'idea, il concetto è più importante dell'opera vera e propria e fintanto che i cadaveri degli animali si conserveranno fino alla fine della sua vita, a lui non importa cosa succederà loro dopo. Nel mese di agosto 1995, i funzionari della sanità pubblica newyorkese vietarono ad Hirst di esporre in galleria l'opera Two Fucking, Two Watching, (una mucca morta e un toro che si accoppiavano mediante un dispositivo idraulico), gli animali non erano stati conservati in formaldeide poiché l'idea alla base dell'opera era simile a quella di A Thousand Year, lasciare che il processo di decomposizione subisse il suo naturale percorso. L'esposizione non fu permessa per problemi innanzitutto di ordine sanitario e igienico, in secondo luogo perché l'odore emanato dalle carcasse in decomposizione sarebbe stato troppo forte e avrebbe causato nausea tra i visitatori. 36 Ivi, p. 145. 29 Nella primavera del 1996, dal 4 maggio al 15 giugno, la Gagosian Gallery di New York organizzò la prima importante personale di Hirst in America: No Sense of Absolute Corruption. Si trattò della via preferenziale per il mercato americano, l'ultimo tassello per la definitiva consacrazione, che doveva avvenire obbligatoriamente negli Stati Uniti (così com'è tuttora). L'opera principale portata in esposizione fu Some Comfort Gained from the Acceptance of the Inherent Lies in Everything (Un po' di conforto guadagnato dall'accettazione della sostanziale bugia di ogni cosa) del 1995, due mucche sezionate in 12 pezzi e ciascuno immerso in una colonna riempita di formaldeide. “Penso sia come quei che cabinets Damien Hirst, Some Comfort Gained from the Acceptance of the Inherent Lies in Everything, 1995 erano intitolati The Lovers' Cabinets (1991) e ognuno aveva un proprio nome, The Committed Lovers, The Spontaneous Lovers, The Compromising Lovers, The Dedicated Lovers. Erano solo le budella di otto mucche in vasi di vetro dentro quattro cabinets. Stavo proprio pensando alle relazioni, a Jack Spratt e sua moglie. Come quella filastrocca: Jack Spratt non poteva mangiare grasso, sua moglie non poteva mangiare magro, per cui insieme facevano piazza pulita nel piatto. Vuol dire che facevano compromessi, a lei non piaceva il magro, a lui non piaceva il grasso, per cui ciascuno mangiava quello dell'altro e finivano tutto. Pensavo a quello. Come in Mother and Child Divided (1993), una cosa emozionale con la quale ti rapporti in un modo brutale e non emotivo […]”37. È del 1996 anche l'opera This Little Piggy Went to Market, This Little Piggy Stayed Home (Questo piccolo porcellino è andato al mercato, questo piccolo porcellino è rimasto a casa) dove un maiale è diviso a metà e ciascuna parte dell'animale rimane separata dall'altra ed è inserita in una teca inondata di formaldeide. Ciascuna metà del maiale scivola l'un l'altra su un binario automatizzato, che permette alle due parti di 37 Ivi, pp. 144-145. 30 separarsi unirsi più e insieme volte. Il titolo dell'opera è un chiaro riferimento ad una filastrocca Damien Hirst, This Little Piggy Went to Market, This Little Piggy Stayed Home, 1996 per bambini molto diffusa nella cultura inglese, ma questa scelta particolare non ha alcun motivo a fondamento. “Non preferisco quel titolo agli altri. Qualche volta penso che sto diventando troppo serio, allora tiro fuori un titolo stupido, come chiamare qualcosa «Fanculo». In effetti stavo cercando un altro titolo per quello. Stavo pensando che mi piacerebbe cambiarne il titolo. Somiglia a un affettatrice; è un affettatrice da maiale e allora pensi che sarebbe buffo se lo chiamassi come qualcosa che ha a che fare con ciò, ma non lo so. This Little Piggy Went to Market, This Little Piggy Stayed Home è quel tipo di separazione, una parte di te va in una direzione e l'altra metà nell'altra. Succede quando hai due opinioni su qualcosa. Forse è un buon titolo”38. Il 1997 fu un anno importante per l'artista inglese, nell'autunno di quell'anno alla Royal Academy of Art di Londra fu inaugurata una mini-retrospettiva sugli Young British Artists: Sensation, che sbarcò successivamente anche a Brooklyn, New York. Furono portati in esibizione i lavori più rappresentativi di Hirst e degli altri YBAs proveniente dalla collezione di Charles Saatchi. Quando la mostra sbarcò a New York, incontrò numerose polemiche, portate avanti soprattutto dall'allora sindaco della capitale statunitense Rudolph Giuliani. Le proteste scaturirono, oltreché per le altre opere (tra cui quelle di Hirst), considerate troppo provocatorie, soprattutto per The Holy Virgin Mary (La Santa Vergine Maria) di Chris Ofili, un altro YBAs. L'opera rappresentava la Vergine Maria, in chiave africana, di colore, circondata nello sfondo da immagini tratte dai film caratteristici del Blaxploitation (un genere di film nato negli 38 Ivi, p. 144. 31 Stati Uniti nei primi anni sessanta, sviluppato e portato avanti soprattutto da afroamericani e rivolto principalmente ad un pubblico afroamericano) e primi piani di genitali femminili ritagliati da riviste pornografiche. Le forme assunte dalla composizione di questi elementi erano un riferimento ai cherubini e ai serafini che comunemente sono presenti nelle raffigurazioni dell'Immacolata Concezione e nell'Assunzione di Maria. Giuliani tentò di vietare l'opera ed eventualmente chiudere del tutto l'esibizione, ma l'unico effetto che le sue proteste provocarono, fu una considerevole mole di pubblicità per il Brooklyn Museum of Art e la mostra andò come previsto. Fu sempre nel 1997 che Damien Hirst iniziò ad espandere le sue attività, concentrandosi non solo sull'arte, ma anche sul business, seguendo una strada che aveva già intrapreso precedentemente soprattutto quando, nel 1995, diresse il video del brano Country House del gruppo pop inglese Blur. Nel 1997 firmò la regia e la sceneggiatura del cortometraggio Hanging Around, interpretato dal comico e cabarettista inglese Eddie Izzard. Sempre lo stesso anno disegnò copertine per alcuni album del gruppo elettropop britannico Eurythmics e divenne co-proprietario della casa discografica Turtleneck, con l'attore e amico Keith Allen, con cui ha lavorato per diversi progetti. Iniziò a scrivere la sua autobiografia I Want To Spend the Rest of My Life Everywhere, with Everyone, One to One, Always, Forever, Now (Edizioni Booth-Clibborn, Londra 1997) che verrà pubblicata l'anno dopo e sempre nel 1998 fu coinvolto in un gruppo pop, Fat Les, che registrò due singoli. Il 1997 fu soprattutto l'anno di Pharmacy, un bar ristorante inaugurato a Notting Hill da Hirst, Jonathan Kennedy e Matthew Freud (esperto in pubbliche relazioni, parente del pittore Lucien Freud e alla lontana di Sigmund Freud). Il ristorante vide la collaborazione di Jasper Morrison per gli arredi e Prada che disegnò le divise del personale. Hirst si occupò degli allestimenti, riempì il ristorante con medicine cabinet e butterfly painting. L'ambiente era un chiaro riferimento a quello delle farmacie, all'esterno la tipica croce verde al neon, all'interno armadietti di medicinali, pillole e stampe della tavola periodica degli elementi chimici, le toilette erano corredate di guanti in latex e supposte, i cocktail avevano nomi come Detox o Voltarol Retarding Agent. L'idea a fondamento di Pharmacy nacque in realtà cinque anni prima, è del 1992 32 l'installazione Pharmacy, un'intera farmacia a grandezza naturale, occupava un'intera stanza e fu installata alla Cohen Gallery di New York nell'inverno del 1992. Seguirono altre cinque esposizioni della stessa opera, nel 1994 la seconda installazione al Dallas Museum in Texas, un anno dopo alla Kukje Gallery di Seoul (Corea del Sud) Hirst presentò la sua terza installazione di Pharmacy, il 1999 fu l'anno della quarta installazione, questa volta in Europa alla Tate Gallery di Londra e nel 2001 la quinta installazione alla Tate Modern. Dal 24 ottobre 2009 al 7 marzo 2010 è stata esposta la sesta installazione di Pharmacy al BALTIC Centre for Contemporary Art (Gateshead, Nord-Est dell'Inghilterra) in collaborazione con la Tate, per celebrare i centosettantacinque anni dell'Università di medicina di Newcastle. “Quando ho fatto Pharmacy a New York, la mostra migliore che avessi fatto fino a quel momento, c'è stato un attimo in cui ho pensato che dicesse molto dei nostri tempi, cazzo. Quando ho fatto la mostra c'era un ascensore piccolissimo che portava direttamente in galleria. Si aprivano le porte e ti trovavi davanti il tavolo della galleria e il retro del tavolo della farmacia, con su una tazza di tè, un sandwich, il telefono e altra roba. Quindi andavi oltre il tavolo e pensavi “Oh cazzo!”. Ti trovavi all'improvviso dietro il bancone di una farmacia. Ti sentivi nel posto sbagliato. Quasi tutti tornavano all'ascensore dicendo “Oh no, è una farmacia”. Ti ritrovavi dietro la cassa. Tornavano tutti in ascensore. Scendevano e poi tornavano su. “Dov'è la mostra di Damien Hirst?... È questa?... Cazzo, è un lavoro”. Fantastico. È così che dovrebbe funzionare. Alla Tate non è andata così, non ha funzionato molto bene. Ma il fatto è che nell'attimo esatto in cui lo fai... L'ho fatto lì e basta. Non c'era nient'altro. Era la cosa più contemporanea che potessi fare, che potessi fare allora”39. Il ristorante del 1997 fu la naturale evoluzione di quel progetto, la farmacia a grandezza di stanza si allargò fino a diventare un intero edificio. Pharmacy (il ristorante come l'installazione) si inseriva nella tematica della medicina che, intrecciata con l'esplorazione della morte rappresenta un'altra grande poetica del lavoro di Hirst. Il rapporto tra arte e medicina è ciò che l'artista inglese vuole evidenziare, “[l'arte] può curarti, guarirti o cose del genere. È probabilmente meglio delle medicine. Penso che l'arte sia una buona cosa e molto importante. […] Ogni medicina ha infiniti effetti 39 D. Hirst e G. Burn, Manuale per..., cit., pp. 74-75. 33 collaterali. […] Credo che quel che si dimentica è che siamo destinati a morire. Perdono di vista il problema. Possono solo curarti per un attimo. Quando ti danno le medicine per tenerti in vita, arrivi a un punto in cui devi dire che non ne vale più la pena, credo. Le due cose sulle quali non sappiamo nulla, le due cose di cui non ti insegnano nulla a scuola sono la nascita e la morte, il che è proprio assurdo. Sesso e morte non sono materia d'insegnamento e sono senz'altro le due cose più importanti: da dove veniamo e come andremo a finire. È giusto dare medicine alla gente, ma penso che sarebbe meglio educarla sul sesso e la morte. Suppongo che ora con l'AIDS sia molto più chiaro. È un grande e sporco affare, quello dei farmaci. Certo, sono migliori che passato. sono Le nel pillole Damien Hirst, Pharmacy, 1992, particolare dell'installazione sorprendenti. Ma è come per il denaro. Guarda il denaro e i soldi, sono pezzi di metallo, carta e perciò Damien Hirst, Pharmacy Restaurant, 1997, particolare dell'insegna devono usare l0arte per venderli. Ci deve essere un disegno su una banconota, perché se dai alla gente un pezzo di carta bianca, ti diranno «Togliti dai piedi, questo non vale niente». Quindi devi farci un disegno per crederci: questa cosa pulita e lucida. Se producessero pillole 34 fatte a mano nessuno comprerebbe una pillola nera, che implica l'idea di morte, per tutti quei soldi”40. Pharmacy doveva dare l'illusione di essere una grande farmacia, il nome del ristorante e l'aspetto dell'insegna esterna, potevano però trarre in inganno, così la Royal Pharmaceutical Society fece causa ad Hirst, Pharmacy finì su tutti i giornali e la pubblicità del locale crebbe ancora di più attirando celebrità come Hugh Grant, Madonna e Kate Moss. Per tenere alto e vivo l'interesse verso il ristorante, Hirst modificava, a cadenza costante, il nome del locale con gli anagrammi di Pharmacy come Achy Ramp o Army Chap e continuò a farlo fino a che l'interesse della stampa scemò, la croce verde fu rimossa e al nome fu aggiunta anche la scritta «Bar Ristorante». Il ristorante Pharmacy rimase per Hirst comunque un progetto di secondaria importanza rispetto all'installazione, “l'arte è speciale, mentre i ristoranti sono noiosi. L'effetto è diluito. All'inizio, se lo guardavi come opera d'arte, era fantastico. Però non è un'opera d'arte, è un ristorante, questo è il suo ciclo vitale. Se lo vedi da artista ti sorprende, la gente si siede in giro in maniera completamente diversa da tutto ciò che hai visto prima. È emozionante, ti piace. Poi però ti accorgi che è solo un ristorante, e che l'arte vera è alla Tate. Purtroppo. Sono due cose diverse. Voglio dire, la gente mi chiede “Se un armadietto di medicine costa 200.000 sterline, allora Pharmacy quanto vale?”. Ma non funziona così, Ho un contratto in cui non si scherza e dice che se qualcosa non funziona i pezzi non potranno essere considerati come opere d'arte.”41 Questa intervista risale al 18 aprile del 2000, tre anni dopo successe esattamente il contrario, nel 2003 Pharmacy chiuse e a seguito della chiusura Sotheby's decise di mettere all'asta gli arredi del locale, insieme al catalogo dell'asta stessa, la cui copertina fu disegnata da Hirst. “Centocinquanta oggetti furono messi in vendita in quella che Barker [Oliver Barker, esperto d'arte contemporanea di Sotheby's] descrisse come la prima asta, nei duecentocinquantanove anni di Sotheby's, costituita completamente da opere realizzate da un unico artista vivente”42. 40 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit., pp. 111-113. 41 Ivi, p. 213. 42 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p. 94. 35 L'asta chiuse con una vendita complessiva pari a 11,1 milioni di sterline, a fronte di 3 milioni di valutazione, “gli oggetti del Pharmacy brandizzati da Hirst, venduti all'asta come opere d'arte, avevano realizzato in una sera un profitto maggiore di quanto il ristorante avesse fatto in sei anni”43. I più importanti pezzi venduti furono: • Full of Love (Pieno d'amore): tela con farfalle, venduta al gallerista londinese Timothy Taylor per 364.000 sterline, superando Hary Blain di Haunch of Venison, che operava in rappresentanza di François Pinault (proprietario di Christie's); • The Fragile Truth (La fragile verità): armadietto di medicinali a sei scomparti, venduto a Blain (che questa volta ebbe la meglio su Taylor) per 1 milione e 200.000 sterline; • Diversi oggetti come: sei posacenere e due bicchieri di Martini, venduti rispettivamente per 1600 sterline e 4800 sterline, una coppia di saliere e pepiere, venduta per 1920 sterline e un paio di inviti ad una festa di compleanno che furono acquistati dalla gallerista londinese Anne Faggionato per 1440 sterline, quaranta rotoli della tappezzeria dorata disegnata da Hirst aggiudicati per 9600 sterline e un lotto di sei sedie di Jasper Morrison venduto per 10.000 sterline. Nel maggio 2003, il suo spot painting fu mandato nello spazio, si trattava in realtà di un componente della sonda terrestre inglese Instrument Calibration for Beagle Lander, Damien Hirst, spot painting, 2003 43 Ivi, p. 95. 36 Beagle, Hirst ne dipinse la superficie con i cerchietti tipici dello spot painting. Il pezzo serviva alla sonda per calibrare i suoi strumenti e fu lanciata su Marte come parte della missione Mars Express dell'Agenzia Spaziale Europea. “L'opera era accompagnata da una canzone della rock band inglese Blur, che sarebbe dovuta partire per segnalare che il Beagle era atterrato. La notte di Natale del 2003 il Beagle atterrò sulla superficie di Marte a 225 chilometri all'ora e il veicolo e lo spot painting finirono in mille pezzi”44. Nel gennaio 2005, Charles Saatchi vendette l'opera The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living a Steve Cohen; lo squalo ormai rovinato fu sostituito da un altro squalo bianco simile al precedente per imponenza e ferocia che Hirst acquistò da Vic Hislop, il pescatore che già gli aveva venduto nel 1991 l'originale. Il nuovo animale fu esposto nella mostra Re-Object, al Kunsthaus Museum di Bregenz, in Austria che si tenne dal 18 febbraio al 13 maggio del 2007. L'evento era legato al ready made e alla cultura pop e le opere in esposizione non furono solo quelle di Hirst, ma anche quelle di Marchel Duchamp, Gerhard Merz e Jeff Koons. Sempre nel 2007, The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living con il nuovo squalo fu spedito al Metropolitan Museum di New York, donato in prestito da Steve Cohen e lasciato in esposizione per tre anni. “Una delle cose che conferisce valore ad un'opera d'arte è la sua rarità, il presupposto che è unica nel suo genere e che non potrà mai essere riprodotta. Per proteggere il valore dello squalo di Cohen, ci si sarebbe aspettati che Hirst non ne avrebbe mai riprodotta una copia. Invece lo fece. All'inizio del 2006, Hirst inaugurò The Death of God, la sua prima mostra in America Latina, alla Galeria Hilario Galguera di Città del Messico. All'entrata, in mezzo alla sala, era esposta The Wrath of God (L'ira di Dio), un altro squalo tigre in formaldeide”45. Lo squalo in questione era quello che Vic Hislop spedì in omaggio ad Hirst, fu venduto per 4 milioni di dollari al Leeum Samsung Museum di Seul, Corea del Sud. Cohen, comunque, non parve dare importanza alla questione. Tra maggio e giugno 2007 Hirst mise a segno due importanti vendite record sempre da Sotheby's, la prima riguardava uno spot painting di 194 x 154 cm, venduto 44 Ivi, pp. 95-96. 45 Ivi, p. 89. 37 per un milione e mezzo di Euro, la seconda vendita fu invece relativa all'opera Lullaby Spring (Ninnananna primavera) del 2002, un medicine cabinet di acciaio e vetro contenente 6136 pillole realizzate a mano e fu aggiudicata per 19,1 milioni di dollari, superando il precedente record di 17 milioni di dollari per l'opera costosa da più realizzata un vivente apparteneva artista che Damien Hirst, Lullaby Spring, 2002 a Jasper Johns, inoltre la cifra record superò anche la quotazione dell'opera gemella, sempre di Hirst, Lullaby Winter (Ninnananna inverno) sempre del 2002, aggiudicata per 7,4 milioni di dollari non più di un mese prima a New York. La firma di Damien Hirst non è solo il punto finale del suo discorso artistico, è qualcosa di più, “Gill [Adrian Anthony Gill, giornalista e critico gastronomico del Sunday Times] possedeva un vecchio ritratto di Iosif Stalin dipinto da un anonimo, che diceva, «era appeso sopra la scrivania come sprone a lavorare duro». L'aveva pagato 200 sterline. Nel febbraio 2007 Gill lo propose a Christie's per venderlo in un'asta infrasettimanale di minore importanza. La casa d'asta lo rifiutò dicendo che non trattava opere che ritraevano Hitler o Stalin. «E se si trattasse di uno Stalin di Hirst o di Warhol?», «In questo caso, naturalmente, saremmo felicissimi di averlo». Gill chiamò Damien Hirst e gli chiese se avrebbe dipinto un naso rosso sul suo Stalin. Hirst accettò, e aggiunse la sua firma sotto quel naso. Con la firma di Hirst, Christie's lo accettò e lo offrì per una stima tra le 8000 e le 12.000 sterline. Diciassette rilanci dopo, il martello 38 batté la cifra di 140.000 sterline. Dopotutto, si trattava di un Hirst autografo”46. Il concetto qui espresso è un'anticipazione di ciò che sarà spiegato approfonditamente nel capitolo successivo ma già spiega come Damien Hirst sia riuscito a plasmare la sua firma, aggiungendole un valore extra-artistico sfruttando le leve pubblicitarie e promozionali durante l'arco della sua carriera. Un'altra opera molto particolare e rappresentativa della carriera di Hirst è For the Love of God (Per l'amor di Dio) composta nel 2007, l'unica nella storia dell'arte a godere di pubblicità sui giornali addirittura un anno prima che venisse realizzata. «For the Love of God» sarebbe stato esattamente ciò che pare abbia detto la madre di Hirst appena venuta a conoscenza del progetto (da cui il titolo). L'opera, tempestata di 8601 diamanti di tipo industriale incrostati a pavé, ha una quantità di pietre preziose tre volte superiore a quella della Corona Imperiale e sarebbe la più grande commissione accolta da un Damien Hirst, For the Love of God, 2007 gioielliere dai tempi della Corona stessa, per un totale di 1100 carati. Il diamante più prezioso da 52,4 carati è rosa ed è al centro della fronte, per un valore di circa 4 milioni di sterline. Il progetto è il calco di un teschio umano su modello di un un uomo di circa trentacinque anni deceduto tra il 1720 e il 1810 (che Hirst comprò a Islington, un borgo londinese, in un negozio di tassidermia). Il teschio, in scala 1:1, è in platino con denti umani. “Hirst dice che For the Love of God si inserisce nella tradizione del memento mori: i teschi un tempo venivano dipinti per ricordarci la nostra mortalità. Rappresenta anche un omaggio agli Aztechi, dato che attualmente Hirst passa quattro mesi all'anno 46 Ivi, p. 96. 39 nella sua seconda casa in Messico”47. Il contributo di Hirst per l'opera si è limitato come per gran parte della altre sue produzioni, alla supervisione, mentre la realizzazione e la produzione del teschio di diamanti (costato tra i 12 e i 15 milioni di sterline) è stata realizzata dalla gioielleria Bentley and Skynner di Bond Street a Londra. Esposta nel giugno 2007 alla White Cube di Londra nella mostra Beyond Belief, fu acquistata nel settembre 2007 da un gruppo di investitori per 50 milioni di sterline (prezzo al quale fu messo in vendita) qualificando così l'opera come la più costosa di un artista vivente. Gli investitori versarono solo la parte relativa alla loro quota e cioè 38 milioni di sterline, poiché Hirst volle mantenere per sé il 24 per cento della proprietà dell'opera. White Cube, inoltre mise in vendita anche delle serigrafie del teschio, tutte in edizione limitata, le più care erano cosparse di polvere di diamanti e raggiungevano prezzi dalle 900 alle 10.000 sterline. “L'artista Dinos Chapman ha definito il teschio un'opera di genio, non per l'arte, ma per il marketing. Un banditore di Christie's, alla domanda sui prezzi, scuote la testa e dice «Se comprerei un Hirst? No. Ma noi non dettiamo il gusto, è il mercato a crearlo, noi mettiamo semplicemente l'arte all'asta»” 48. Anche questo discorso sarà approfondito nel successivo capitolo. Damien Hirst è attivo anche nel contesto veneziano, dal 7 giugno all'8 settembre 2007, in occasione della cinquantaduesima Biennale di Venezia, è stata allestita a Palazzo Pesaro Papafava l'esposizione New Religion , in collaborazione con la Galleria Michela Rizzo. Le opere, tra serigrafie, sculture e fotografie furono già create nel 2005 per la galleria londinese Paul Stolper Gallery, dove sempre quell'anno ci fu la prima edizione della mostra. Il tema è quello classico, il rapporto tra vita e morte, in una prospettiva dedicata al rapporto tra medicina e religione, “non posso fare a meno di pensare che la scienza sia la nuova religione per molte persone. È davvero altrettanto semplice e altrettanto complessa”49. Religione, amore, arte e scienza intrecciati assieme come unico grande tema, “tutti sono solo strumenti che possono aiutarti a trovare una via attraverso l'oscurità in cui brancoliamo. Nessuno di loro in realtà funziona fino a questo punto, ma aiutano. Tra tutti, la scienza sembra essere l'unico strumento giusto in 47 Ivi, pp. 96-97. 48 Ivi, p. 99. 49 D. Hirst, New Religion, Damiani, Bologna 2007, p. 5. 40 questo momento. Come la religione, fornisce quel barlume di speranza che forse andrà tutto bene alla fine. Immagino di voler più che altro far pensare la gente. In questo caso, volevo che le persone pensassero alla combinazione di scienza e religione, fondamentalmente. La gente tende a considerarle come due cose nettamente separate, una fredda e clinica, l'altra emozionante, amorevole, calda. Io volevo scavalcare questi confini e dare qualcosa che sembra clinico e freddo ma ha anche tutte le connotazioni religiose e metafisiche. Adesso è il momento perfetto, perché la chiesa sta facendo un'enorme confusione su tutto”50. Il rapporto con Venezia è sempre costante, è tuttora in corso (dal 12 aprile al 30 luglio 2010) la mostra Death in Venice allestita nella Galleria Michela Rizzo, in collaborazione con la Paul Stolper Gallery di Londra. Il titolo dell'esposizione è un chiaro riferimento al romanzo di Thomas Mann, Death in Venice. Il tema è quello tradizionale della morte. Le opere portate da Hirst in esposizione sono oltre venti, tutte della sua ultima produzione, “[...] una serie di sei teschi intitolati Dead, due grandi grafiche Sceptic e Faithles, dove composizioni di farfalle richiamano l’iconografia delle vetrate delle cattedrali europee in un’immagine sospesa tra laicità e fede, un dipinto di grandi Primal dimensioni Urges Painting, Beatiful opera circolare della serie degli spin painting (tele dipinte durante un movimento rotatorio) e ancora, teschi coperti di polvere di diamante. In queste opere l’artista inglese sembra quasi che si rapporti Damien Hirst, Nowhere Women" Death - 8 , 2010 50 Ibidem. 41 con i colori e le declinazioni della cultura pop e ancora una volta classicità e glamour vengono uniti in una visione assolutamente contemporanea”51. Oltre alle opere più comuni dell'artista inglese, sono esposte in mostra anche una serie di dieci teschi, disegnati a matita con il collage tanto caro al primo Hirst. Lo scheletro qui muta, ruba gli occhi e la bocca a persone vive, cambia in continuazione da un aspetto a un altro, ma rimane in sostanza sempre lo stesso e ricorda a chi lo scruta che la vita è destinata a dissolversi, memento mori come Natural History. Nel 2009 l'artista di Leeds ha collaborato con Lance Armstrong per un'operazione di beneficenza (e di pubblicità) cimentandosi nella decorazione della bicicletta del ciclista statunitense per il Tour de France, incollando ali di farfalla che lui stesso ed i suoi collaboratori hanno staccato dal corpo degli insetti utilizzati. “Lance is an inspiration to many people on many levels. Bono first approached me about the bike and described Lance to me as “the greatest sportsman the world has ever known after Ali!” It was a great opportunity to work with someone I admire and create something the I've bike, Damien Hirst, Butterfly bike , 2009 never done before. The technical problems were immense, as I wanted to use real butterflies and not just pictures of butterflies, because I wanted it to shimmer when the light catches it like only real butterflies do, and we were trying not to add any extra weight to the bike.”52. (Lance è una fonte d'ispirazione per tante persone a diversi livelli. Bono per 51 Comunicato stampa di Death in Venice, Galleria Rizzo, Disponibile da: www.galleriamichelarizzo.net [Consultato nel mese di maggio 2010]. 52 Invervista di Damien Hirst disponibile su: www.trekbikes.com [Consultato nel mese di febbraio 2010]. 42 primo mi parlò della bicicletta e mi descrisse Lance come “il più grande uomo di sport che il mondo abbia mai conosciuto dopo Ali!”. E 'stata una grande opportunità per lavorare con qualcuno che ammiro e così ho creato la bicicletta, una cosa che non ho mai fatto prima. I problemi tecnici sono stati immensi, così ho voluto usare delle vere farfalle e non solo immagini di farfalle, perché volevo che brillassero quando la luce le catturasse, cosa che può succedere solo con le vere farfalle e abbiamo cercato di non aggiungere alcun peso extra per la bici). Nel Febbraio del 2008, Hirst e Bono (il cantante degli U2), organizzarono The (RED) auction, un'asta tenuta da Sotheby's nella sede di New York, interamente dedicata alla beneficenza. I proventi della vendita furono destinati all'Organizzazione delle Nazioni Unite, per sostenere i programmi di soccorso in Africa, in particolare al progetto condotto dal Global Fund di lotta all'AIDS/HIV alla Tubercolosi e alla Malaria. La vendita, che incluse lavori donati da artisti come Anish Kapoor, Marc Quinn, Marc Newson, Keith Tyson, Takashi Murakami e Banksy, realizzò un introito complessivo pari a 42,58 milioni di Dollari, un record storico mai realizzato per un asta di beneficenza. Sempre in quell'anno, nel settembre del 2008, Hirst decise di mettere all'asta da Sotheby's tutte le opere che aveva in studio (circa 223 lavori) e di venderle, scavalcando, per così dire, i soggetti mediatori (come le gallerie) e vendendo direttamente ai compratori, seguendo, quindi, una modalità inedita per un artista fino a quel momento. L'asta ebbe luogo precisamente nei giorni 15 e 16 di quel mese, registrando un record storico mai raggiunto prima nel mercato dell'arte, vendendo tutti i lotti per un incasso complessivo pari a 112 milioni di Sterline (circa 140 milioni di Euro), più del doppio rispetto alle stime fatte dagli esperti Sotheby's. L'analisi dell'asta e il relativo catalogo saranno oggetto del terzo capitolo. Damien Hirst è rappresentato da Larry Gagosian (Gagosian Gallery) negli Stati Uniti, mentre per l'Europa e non solo è rappresentato da Jay Jopling (White Cube), le sue opere sono incluse tra le più importanti collezioni private come quelle di Charles Saatchi, Steve Cohen e François Pinault e in alcune collezioni permanenti di musei pubblici e gallerie, espone, inoltre nei più importanti Musei internazionali di arte contemporanea, come il MOMA di New York e la Tate di Londra. Ora vive nella 43 residenza di Toddington Manor nel Gloucestershire, contea a sud-ovest dell'Inghilterra con la moglie Maia Norman e i loro tre figli. Lavora a casa sua e nel suo studio a Londra, nominato da lui Science. “All'età di quarantadue anni, Damien Hirst è più ricco, più famoso e forse più potente di qualsiasi altro artista vivente”53. 53 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p. 98. 44 CAPITOLO II 2. GALLERIE, COLLEZIONISTI E ARTISTI DI BRAND: IL PERCORSO DI HIRST Per capire il percorso che ha portato Damien Hirst al successo è necessario conoscere i meccanismi che oggi regolano il mercato dell'arte contemporanea. Cosa sono i galleristi, i collezionisti e gli artisti di brand? Il concetto di brand (letteralmente marca o marchio di fabbrica) è un assunto che ha preso piede con l'avvento del marketing, nato nei primi anni del '900 negli Stati Uniti. Con questo termine s'intende l'insieme dei segni distintivi che contraddistinguono e caratterizzano un'impresa e di cui essa si serve per esaltare e differenziare il proprio prodotto rispetto ad altri dello stesso genere. Questa e tante altre sono solo parte delle molteplici potenzialità del marketing, disciplina che, sviluppatasi e diffusasi nel corso del secolo scorso nell'ambito pubblicitario dei più importanti mercati, era rimasto, però, uno strumento del tutto sconosciuto a quello artistico. Il concetto di branding, solitamente associato ai prodotti di consumo, una volta assimilato anche dai prodotti artistici ha mantenuto le medesime caratteristiche, producendo i medesimi benefici: un'arte brandizzata acquisisce valore in quanto assimila personalità e distinzione. L'influenza che questa leva ha sui prezzi dell'arte è notevole, un collezionista è disposto a pagare di più per un'opera per così dire, di marca, piuttosto che per una che non lo è, questo valore aggiunto, conosciuto con il nome di brand equity, si è ormai diffuso influenzando la formazione delle quotazioni artistiche. Il concetto è simile a quello che regola il valore degli altri beni di lusso, il meccanismo che li governa è strettamente legato alla visibilità che essi possono comportare, garantita da una marca ben riconoscibile. Allo stesso modo l'arte crea distinzione, e ciò che è più importante per chi appartiene ai ranghi più elevati, non è il denaro in sé, quanto la sicurezza di possedere 45 un'opera d'arte rara e ricercata che pone il collezionista in una posizione di status più elevata rispetto agli altri. “I mercanti e gli esperti […] dicono pubblicamente che i prezzi sono quelli che qualcuno sarà disposto a pagare, e in privato che comprare arte della fascia di prezzo più alta spesso è un gioco per super ricchi che ha come ricompensa notorietà e prestigio culturale”54. Il primo artista a sfruttare la pubblicità e le potenzialità ad essa legate fu Andy Warhol, che negli anni sessanta introdusse l'idea di “artista-come-celebrità, un'estensione del concetto della superstar nella musica, nel cinema e nello sport”55. Andy Warhol, nato il 6 agosto del 1928 a Pittsburgh, negli Stati Uniti, è noto come maggior esponente della Pop Art, è conosciuto per la sua capacità di descrivere la cultura, i costumi e le abitudini della società americana della sua epoca ma è ancor più famoso per il suo brand. Warhol fu il primo artista a sfruttare queste nuove leve del successo, ma certamente non l'ultimo, molti altri artisti ne hanno seguito l'esempio, come ad esempio Jeff Koons “il Ronald Reagan della scultura”56, Tracey Emin e Damien Hirst. Arte quindi come industria, come fabbrica, come factory. Fu quella di Andy Warhol, nel 1963 a raccogliere i giovani artisti newyorchesi per dare loro uno spazio adatto per creare arte, ma il suo nome, The Factory (La Fabbrica), suggerisce l'interpretazione giusta da dare alla volontà di Andy Warhol, l'accezione, la sfumatura corretta adatta alla Factory warholiana è quella più economica. Un'officina artistica, un luogo collettivo di produzione dell'arte, simile a quello di una qualunque industria commerciale. “Il carattere unico e sorprendentemente attuale dell'esperienza della Factory newyorchese, la particolarissima bottega di lavoro dell'autore [Warhol] che, nell'epoca della riproducibilità tecnica delle opere d'arte, non può che coincidere con una 'fabbrica'”57. Sorprendentemente attuale, mai sopita, sempre viva. La Factory non è mai 54 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p. 12. Il paragone tra Jeff Koons e il quarantesimo Presidente degli Stati Uniti d'America nasce da una somiglianza comportamentale e caratteriale che rende i due personaggi simili tra loro. Thompson continua definendo Koons “rivestito di teflon e mellifluo come lo può essere una volpe”, sorridente, gentile, affabile al limite dello smielato, del plastificato (rivestito di teflon), l'effetto è così marcato che porta a credere che la sua sia più una forma di furbizia che di bontà d'animo. 55 Ivi, p. 100. 56 Ivi, p. 110. 57 F. Prisco, Warhol e la “Factory”, quando l'arte contemporanea diventa industriale, in “Il Sole 24 Ore”, 5 marzo 2008. 46 tramontata, ha assunto forme diverse, ma il concetto a fondamento è rimasto intatto. Hirst possiede uno studio dove lavorano circa quaranta persone, assistenti che realizzano per lui le opere, come per la serie degli spin painting, gli spot painting e i butterfly painting, “in questo momento mi piace essere il datore di lavoro ed avere responsabilità nei confronti di altre persone […]. Mi piace l'idea di una fabbrica che produca lavoro, che separi il lavoro dalle idee, ma non mi piacerebbe una fabbrica per produrre delle idee”58. Il confine rimane comunque sottile e fragile. Il rischio che la fabbrica di opere si trasformi in un'officina che produce in serie le idee è concreto e la certezza che questa metamorfosi non sia già avvenuta viene meno. Riprendendo il concetto di brand nell'arte, è necessario estendere il discorso a più ampio raggio, questa importante leva economica, infatti, non è da circoscrivere al solo artista, ma integratasi pienamente negli ingranaggi del mercato si è estesa anche agli altri attori del sistema, vale a dire ai galleristi, ai collezionisti e in alcuni casi anche ai musei. Una galleria di brand è un “luogo dove gli artisti brandizzati nascono e vengono incubati”59. Queste gallerie leader sono le più importanti in assoluto, costituiscono il vertice del sistema dell'arte contemporanea e sono in grado da sole di determinare le tendenze dominanti attraverso un controllo monopolistico o oligopolistico sulla produzione degli artisti, “mirano a un rinnovamento permanente dell'offerta e cercano continuamente dei nuovi artisti da promuovere”60 (John Maynard Keynes). Sono organizzate seguendo le caratteristiche tipiche di un'azienda commerciale, con filiali in altre città, un'importante rete di collegamenti e collaborazioni e un adeguato numero di dipendenti, vantano potenti clienti, come i più ricchi collezionisti, le banche e i musei più influenti. Alcune di queste gallerie sfruttano strategie di marketing molto simili alle più grandi case di moda, stimolando i bisogni del cliente per poi soddisfarne la domanda, trasformandosi spesso in mass-market brand (riconosciuti, cioè, da un mercato vasto e globalizzato). “Insomma la scuderia di cui fa parte un artista 58 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit., pp. 232-233. 59 Ivi, p. 38. 60 Dichiarazione dell'economista Keynes riportata in R. Moulin, L'artiste, l'istitution et le marchè, Flammarion, Paris 1992, p.49. (ora anche in, F. Poli, Il sistema dell'arte contemporanea, 3 ed., Editori Laterza, Bari 2008, p.70). 47 è la carta vincente oggi sul mercato. Anche perché sono le grandi gallerie ad avere i mezzi per fare mostre quasi museali. Il video di Bill Viola, Ocean without a Shore nell'ex chiesetta di San Gallo a Venezia è stato pagato da Haunch of Venison (controllata da Christie's) che rappresenta Viola fuori dagli Usa, da James Cohan (gallerista Usa di Viola) e Kukje Gallery, rappresentante in Korea. «In essenza di politiche culturali del Museo di Arte Moderna di New York – spiega Arnold Glimcher di Pace Gallery da New York – il mondo delle gallerie funziona collettivamente come un museo d'arte contemporanea»”61. Il “gallerista superstar”62 è a tutti gli effetti un manager, applica le strategie di vendita più aggressive per attrarre a se i collezionisti, ha a disposizione grosse somme di capitale da investire, una fitta rete di contatti e un buon intuito nella scelta dei giovani artisti. Il suo modus operandi consiste nel seguire l'artista durante tutta la sua fase di maturazione e lanciarlo nel mercato promuovendolo presso musei, fiere e gallerie di altri paesi, colloca le sue opere nelle più importanti collezioni, permettendo così all'artista di avanzare rapidamente nel mercato. Molti di loro non amano essere definiti mercanti d'arte, termine che rivela un'accezione prettamente commerciale, economica, legata quindi ai ritorni in termini di capitale, preferiscono considerarsi più propriamente galleristi, termine, invece, un po' più morbido, più legato all'essenza pura, culturale dell'arte. Per questo i mercanti più abili sono quelli le cui gallerie somigliano meno a spazi commerciali, quanto più a musei dove il prezzo non è mai esposto. Sostanzialmente, però, a prescindere dal termine usato, rimangono abili venditori, talvolta senza alcuna laurea in economia o in storia dell'arte, che adottano strategie di vendita aggressive, con un grosso ritorno economico. “Il gallerista di brand intraprende una serie di attività di marketing che comprendono le pubbliche relazioni, la pubblicità, le mostre e i prestiti. La maggior parte delle attività di marketing non hanno per scopo vendite immediate, ma il rafforzamento del brand del gallerista e la copertura per gli artisti sulla stampa di settore. Il marketing inizia con le pubbliche relazioni: cene riservate per presentare i clienti e critici d'arte ai nuovi artisti; brunch e aperitivi 61 M. Pirrelli e A. Somers Cocks, Galleristi e mercanti trasformisti dell'arte, in “Il Sole 24 Ore”, 4 agosto 2007. 62 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p. 41. 48 all'inaugurazione delle mostre”63. Storicamente il primo che può definirsi il capostipite di questa tipologia di galleristi è stato Joseph Henry Duveen64, affermatosi sulla scena del mercato dell'arte internazionale agli inizi del novecento e fino agli anni '30 dello stesso secolo. “Come fece questo mercante d'arte a trasformare coriacei imprenditori americani in appassionati cultori di dipinti d'alta epoca? E come fece a convincere altezzosi milord inglesi a cedere capolavori mozzafiato che da secoli troneggiavano nelle loro avite dimore? Fece così: mise a punto il 'metodo Duveen', una sorta di 'arte di vender arte' fatta di velocità di giudizio, abilità psicologica, esercizio retorico, piccole astuzie, efficaci stratagemmi e infallibile tempismo. Innanzitutto acquistava con grande prudenza, perché il mercato dell'arte antica era infettato dai falsi e da attribuzioni troppo generose. Naturalmente, Duveen non fu immune da trappole e scivoloni in tal senso (subì anche clamorosi processi per vicende di falsi), ma nel complesso riuscì a difendere bene la propria reputazione. Una volta verificata l'autenticità di un'opera, questa veniva acquistata al massimo prezzo, come elemento di garanzia, e di conseguenza venduta al collezionista a cifre considerevolmente più alte rispetto alla media. Il dipinto acquistato diventava però un 'Quadro Duveen', fornito di tutti i possibili crismi, non ultimo quello che il mercante era pronto in ogni momento a ricomprarlo al medesimo prezzo di vendita.”65. Duveen quindi, era un abile venditore e un abile comunicatore, i prezzi che applicava erano molto alti e li giustificava dicendo che «quando si paga per qualcosa che non ha prezzo, si sta facendo un affare»66 e ancora «L'Europa possiede un sacco di beni artistici, gli Stati Uniti un sacco di soldi e grandi case vuote: io li faccio incontrare»67. I galleristi moderni vendono status sociale sotto forma di arte, Duveen fu il primo. Nel corso del secolo scorso, tanti altri importanti mercanti si sono imposti sulla 63 Ivi, p. 42. 64 Duveen nacque il 14 ottobre del 1869 a Hull, cittadina inglese dello Yorkshire, regione nella zona orientale dell'Inghilterra, era figlio di Sir Joseph Joel Duveen, un'importante imprenditore di origine olandese ed ebraica. 65 M. Carminati, Duveen, re dei mercanti, in “Il Sole 24 Ore”, 30 settembre 2007. 66 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p. 43. 67 Ibidem. 49 scena internazionale, uno su tutti Leo Castelli, banchiere italiano, nato a Trieste nel 1907. La sua galleria newyorkese, la Leo Castelli Gallery divenne famosa soprattutto perché culla degli artisti americani dell'espressionismo astratto, fu il mercante d'arte di artisti del calibro di Jackson Pollock, Willem de Kooning, scoprì il talento di Jasper Johns, Robert Rauschenberg e successivamente Cy Twombly, Claes Oldenburg, Jim Dine, artisti che contribuirono a forgiare il brand Castelli. Agli esordi della sua carriera di mercante espose artisti europei come Wassilly Kandinsky, durante gli anni sessanta e settanta, ormai nel pieno della sua attività e della sua fama organizzò la prima mostra americana di Francis Bacon, rappresentò tra gli altri, Roy Lichtenstein, Andy Warhol e Frank Stella. Castelli cercava principalmente di anticipare le tendenze artistiche, scegliendo gli artisti in base alla loro personalità e per garantire loro maggiore sicurezza e tranquillità, assicurava la possibilità di avere uno stipendio fisso, fu il caso, ad esempio di Frank Stella che stipulò con Castelli un vitalizio di 300 dollari al mese per 3 anni affinché si dedicasse a tempo pieno alla pittura, Stella infatti nel 1960 lavorava come imbianchino e poteva dedicarsi alla sua passione solo quando era libero da impegni lavorativi. “Negli anni settanta, Castelli era il più influente gallerista di arte contemporanea al mondo: i collezionisti dicevano di acquistare un «Castelli» piuttosto che un Johns o un altro degli artisti della sua galleria”68. Castelli è quindi riconosciuto come prototipo del mercante moderno, un gallerista capace di porsi al centro di una rete intrecciata di rapporti proficui da lui stesso creati, con i più importanti direttori di musei, con le più autorevoli gallerie di tutto il mondo e con i più potenti collezionisti. Castelli è quindi considerato l'erede di Duveen, come presenza imponente e carismatica nel mercato internazionale dell'arte. Muore nel 1999, lasciando in eredità un ruolo fondamentale e cruciale per la scena artistica. Questo ruolo verrà presto conquistato da Larry Gagosian. Di origine armena, nato nel 1945 a Los Angeles, iniziò la sua carriera vendendo manifesti, stampe e poster nella sua città natale. Nel 1979 aprì la sua prima galleria a New York, nella stessa strada dove era ubicata quella di Castelli e proprio di fronte. Il modo di operare di Gagosian è differente rispetto a quello che fu di Castelli, infatti, mentre la peculiarità di quest'ultimo 68 Ivi, p. 47. 50 era quella di anticipare i movimenti artistici e scovare i giovani artisti più promettenti per formarli e seguirli durante l'arco della loro carriera, l'americano, invece, fonda la sua esclusività sui rapporti con altri artisti di brand, già illustri, cerca di attirare artisti di altre gallerie offrendo loro condizioni migliori e punta maggiormente sui rapporti con i collezionisti più importanti. Gli artisti da lui rappresentati sono numerosi e di differenti nazionalità e dato che gli artisti di brand preferiscono essere rappresentati da gallerie diverse nei diversi paesi, Gagosian, invece, sfruttando le sue grandi risorse finanziare, ha aperto numerose filiali internazionali e ha creato una catena di gallerie che gli permette di gestire meglio i suoi artisti. Le Gagosian gallery (questo è il nome del suo brand) sono otto in tutto: tre a New York, una a Beverly Hills, due a Londra, una a Roma (aperta nel 2007) e una recente inaugurata ad Atene nel 2009, in più ha due uffici, uno a La Jolla in California e l'altro ad Hong Kong ed un Gagosian shop a New York. Quella di Gagosian si può definire una vera e propria multinazionale che opera nel mercato dell'arte. Questa rete internazionale di gallerie permette, quindi, di rappresentare numerosi artisti nei vari paesi dove le gallerie sono situate, il gallerista americano cura gli interessi dei più importanti artisti di brand, tra cui si annoverano Richard Serra, Rachel Whiteread, Cecily Brown, Jenny Saville, Jeff Koons, Maurizio Cattelan, Vanessa Beecroft, Mike Kelley, Chris Burden, Cy Twombly e i fondi di Warhol e De Kooning. Inoltre, rappresenta negli Stati Uniti il fondo di Giacometti e Damien Hirst. Nella primavera del 1996 Hirst si apprestava ad esporre i propri lavori per la prima volta negli Stati Uniti, per la mostra No Sense of Absolute Corruption alla Gagosian Gallery di New York, fu per lui la svolta decisiva, l'ultima tappa per la consacrazione internazionale e non esisteva altro palcoscenico migliore se non la galleria di Gagosian. Hirst ne era ben consapevole e le sue parole in un'intervista datata aprile 1996, un mese prima circa dell'inaugurazione della mostra, furono chiare: “per me, dal punto di vista del mondo dell'arte, dopo Gagosian non c'è più nessun posto in cui andare”69. Il suo rapporto con galleria è sofisticato e va aldilà di un semplice contratto di mediazione e sponsorizzazione, “ho un rapporto con la galleria. Mi pagano un milione di dollari per 69 D. Hirst e G. Burn, Manuale per..., cit., p. 53. 51 fare una mostra e poi li recuperano. […] Sei semplicemente nella posizione in cui ti danno dei soldi per fare degli esperimenti”70. Quest'ultima frase lascia spazio ad una precisa interpretazione, il concetto espresso non è dissimile rispetto a quello della Factory warholiana, è direttamente collegabile e anzi lo amplia. Mentre quello di Warhol è un discorso circoscritto all'artista, quello espresso nella dichiarazione citata è esteso anche alla galleria d'arte. Non solo è l'artista a produrre in serie le opere, ma è la galleria stessa ad alimentare questo meccanismo, per poter così rientrare nell'investimento, esattamente come quanto accade per qualsiasi altro settore merceologico. Se la galleria d'arte privata è portata a interpretare il ruolo di mecenate, vien da sé che, in quanto impresa commerciale, non si limiterà semplicemente a proteggere l'artista in un rapporto di sereno patrocinio e senza ingerenza nella sua libera attività di ispirazione, ma ne spronerà la continua produzione artistica come risorsa economica per soddisfare l'esigente mercato. Il meccanismo è espresso perfettamente da Hirst, afferma di ricevere un finanziamento per garantire alla galleria un'adeguata produzione e a questi livelli, la sicurezza del ritorno economico e della copertura dell'investimento, con le dovute precauzioni è solida. I brand Hirst e Gagosian sono garanzia sufficiente. Gagosian, ovviamente, è legato ad una rete di maggiori collezionisti, tra i più importanti collaborano con lui David Geffen, Samuel Newhouse jr, David Ganek, Charles Saatchi e François Pinault, proprietario di Palazzo Grassi a Venezia e della casa d'asta Christie's. “Larry Gagosian is perhaps New York's most exotic and most talked about art dealer […]. Mr. Gagosian, or Go-Go, as he is nicknamed, brashly bestrides the US artdealing scene. […] He is a powerhouse: he shows the work of such names as Richard Serra, Walter de Maria, Jeff Koons, Ed Ruscha and Rachel Whiteread. Mr Gagosian also represents the estate of Andy Warhol, and in New York shows British artists such as Damien Hirst, Douglas Gordon and Jenny Saville.[...] Cristina Ruiz, editor of the Art Newspaper, said: "Everything you hear about Gagosian stresses that he loves to close a deal. He loves the art - but he is one of those dealers who absolutely loves to sell, and he is very successful at it. Yes, he employs aggressive selling techniques, but that's how 70 Ivi, p. 148. 52 dealers get stuff done"71. (Larry Gagosian è forse il mercante d'arte più esotico e più chiacchierato di New York […] Mr. Gagosian, o Go-Go, com'è soprannominato, domina prepotentemente la scena del mercato dell'arte statunitense. […] Egli è dinamico e vulcanico: espone il lavoro di nomi come Richard Serra, Walter de Maria, Jeff Koons, Ed Ruscha e Rachel Whiteread. Mr. Gagosian rappresenta anche il fondo di Andy Warhol e a New York espone artisti come Damien Hirst, Douglas Gordon e Jenny Saville. […] Cristina Ruiz, editrice di Art Newspaper, afferma: “Tutto ciò che voi sentite dire su Gagosian evidenzia il suo piacere per gli affari. Lui ama l'arte ma è uno di quei mercanti a cui piace soprattutto vendere, ed è un vincente in questo. Sì, lui impiega tecniche aggressive di vendita, ma è questo ciò che i mercanti fanno). Nella classifica dei 100 personaggi più influenti e potenti del mondo dell'arte (The Power 10072), che ogni anno la rivista britannica Art Rewiev stila considerando fattori come l'influenza sulla produzione artistica internazionale , il giro d'affari e l'attività degli ultimi 12 mesi, Gagosian è risultato primo nel 2004: "the world's greatest art businessman" (l’art businessman più importante del mondo). Il suo piazzamento è rimasto comunque costante, mantenendosi al secondo posto nei successivi quattro anni e giungendo quinto nel 2009. “Nell’ambiente lo chiamano “lo squalo” […] È Larry Gagosian, il 62enne californiano (di origine armena) che ha rivoluzionato il mercato dell’arte contemporanea con le sue intuizioni in un rapporto inscindibile di senso estetico e finanziario”73. La rivista americana New York Times lo ha definito “Dogged, unreadable and enamored with risk”74 (Ostinato, criptico, innamorato del rischio). Ancora su di lui: “[...] Larry Gagosian, 63, has built a contemporary and modern art empire unlike any other the business has ever seen, with galleries in New York, Los Angeles, London and Rome. His stable of talent -- nearly all of them poached from rivals -- includes seven- and eight-figure luminaries like Richard Prince, Jeff Koons and Damien Hirst. And the profits from primary-market sales are dwarfed by the riches that Mr. Gagosian has 71 C. Higgins, King's Cross a Go-Go as top US art dealer unveils new gallery, in “The Guardian”, 10 maggio 2004. 72 Art Review, The Power 100, Disponibile su: www.artreview100.com [Consultato il 5 maggio 2010]. 73 A. Carnevale, A Roma arriva Gagosian, lo squalo che ha rivoluzionato il mercato dell'arte, in “Panorama”, 18 dicembre 2007. 74 D. Segal, Larry Gagosian, in “The New York Times”, 9 marzo 2009. 53 earned by helping the superrich quietly sell masterpieces to one another”75. (Larry Gagosian, 63 anni, ha costruito un impero nell'arte contemporanea e moderna come nessun altro business ha mai visto, con gallerie a New York, Los Angeles, Londra e Roma. La sua scuderia di talenti– quasi tutti strappati ai rivali include 7 e 8 figure luminarie come Richard Prince, Jeff Koons and Damien Hirst. E i profitti delle vendite sul mercato primario sono rimpiccioliti dalle ricchezze che Mr. Gagosian ha guadagnato aiutando i super ricchi a vendere in modo quieto e tranquillo grandi pezzi d'arte l'un l'altro). Per capire quest'ultima considerazione è necessario conoscere il concetto di mercato primario e mercato secondario legati al sistema dell'arte. Il mercato primario accoglie le opere che per la prima volta fanno la loro comparsa e che per la prima volta conoscono una valutazione di carattere economico. È certamente il più incerto tra i due, può conoscere grandi oscillazioni di prezzo legate al fatto che le opere non sono ancora state stimate e il loro valore si stabilisce all'atto dello scambio (il primo in assoluto e inedito per l'opera). Il mercato secondario, invece è quello degli scambi secondari, quello delle opere già in circolazione, che già sono state vendute per la prima volta, che hanno già una storia nel mercato e hanno già conosciuto valutazioni economiche. Gagosian opera in tutti e due, ma preferisce il mercato secondario (come in linea di massima la maggior parte dei galleristi) sia perché comporta meno spese generali, sia perché esula dai rapporti con gli artisti che potrebbero lasciarsi influenzare dalla loro insicurezza e sia perché tramite il mercato secondario è possibile influenzare considerevolmente le quotazioni di un artista. Ciò è possibile farlo ad esempio partecipando all'asta di un'opera d'arte, alcuni galleristi partecipano attivamente al rilancio delle quotazioni, fino a che il prezzo non raggiunge la quota da loro prefissata, proteggendo così il proprio mercato, oppure, per evitare che un'opera rimanga invenduta loro stessi la acquistano per proteggere il futuro mercato dell'artista rappresentato. La mancata vendita, per l'opera stessa è una macchia difficilmente trascurabile. 75 Ibidem. 54 L'articolo citato continua paragonando il mercato dell'arte del dopoguerra ad un mercato azionario: “To understand Mr. Gagosian's success you need to understand that the postwar art world is basically a stock market with a couple of thousand really valuable shares. Few people have any idea where those shares are located, because they're hanging in the homes and sitting in the warehouses of collectors, who, for obvious security reasons, tend to keep their holdings well-guarded secrets. […] Mr. Gagosian never bothered to hide his interest in making scads of money, but he quickly developed a refined eye for great art and how to showcase it. He opened a gallery in Chelsea, one of the first in that neighborhood, in 1985, and scored some high-profile triumphs that put him on the Manhattan art map. Those include a cold call to the Connecticut home of Emily and Burton Tremaine, owners of ''Victory Boogie-Woogie,'' by Piet Mondrian, which was sold to Si Newhouse for $12 million”76. (Per comprendere il successo di Mr. Gagosian è necessario capire che il mondo dell'arte del dopoguerra è sostanzialmente un mercato azionario dove solo un paio di migliaia di azioni hanno un vero valore. Solo alcune persone hanno idea di dove sia localizzate queste azioni, perché sono appese nelle case o sono posizionate nei magazzini dei collezionisti, i quali per ovvi motivi di sicurezza tendono a mantenere nascosto ciò che possiedono. Mr. Gagosian non si è mai preoccupato di nascondere il suo interesse nel fare un mucchio di denaro, ma velocemente ha sviluppato un occhio molto raffinato per la grande arte e su come metterla in vetrina. Ha aperto una galleria in Chelsea, una delle prime in quel vicinato nel 1985 ed è riuscito a raggiungere qualche grande successo che lo ha messo sulla mappa dell'arte di Manhattan. Questi trionfi includono una chiamata a freddo presso la casa in Connecticut di Emily e Burton Tremain, i possessori di “Victory Boogie-Woogie” di Piet Mondrian, che è stato venduto a Si Newhouse per 12 milioni di dollari). S.I. Newhouse è un imprenditore statunitense, proprietario delle Edizioni Condè Nast, fu il primo cliente importante del gallerista americano. Gagosian cura gli interessi di Hirst negli Stati Uniti e quando Charles Saatchi nel 2005 decise di vendere lo squalo dell'artista britannico, all'epoca di sua proprietà (e da lui stesso commissionato e finanziato nel 1991) fu Larry Gagosian a mediare la vendita, 76 Ibidem. 55 cercando per conto del collezionista un compratore disposto ad acquistare lo squalo per 12 milioni di dollari, cifra minima alla quale Saatchi sarebbe stato disposto a privarsi dell'opera. Gagosian riuscì ad accontentare il collezionista vendendo l'opera a Steve Cohen, un magnate americano che gestisce fondi di investimento, proprio per 12 milioni di dollari, rendendo all'epoca l'opera, con questa transazione, come la più costosa mai pagata per un artista vivente, ad eccezione di Jasper Johns. La strategia di Gagosian e degli altri galleristi di brand consiste in una massiccia copertura pubblicitaria mediatica, su riviste e giornali di settore soprattutto per rafforzare il brand, inoltre di estrema importanza dev'essere la costante collocazione delle opere nelle collezioni dei maggiori collezionisti. “La strategia commerciale di promozione dei prodotti artistici non può non avere caratteristiche molto sofisticate, adeguate allo snobismo di una clientela d'élite. Continuo deve essere l'impegno per mantenere viva l'aura di fascino culturale e per enfatizzare il valore d'eccellenza e di rarità delle opere”77. Il contesto attuale è caratterizzato da un sempre più veloce rinnovamento dei movimenti artistici, che si basa sulla complessa rete di gallerie leader, grandi collezionisti e musei più importanti. Per rendere l'ascesa dei nuovi artisti più rapida, legittimandoli al mercato in breve tempo, l'investimento (come ad esempio la promozione attraverso la critica d'arte, la densa organizzazione di mostre e lo sfruttamento del marketing sviluppato sui media) deve essere ingente. “Essenziale è la collocazione delle opere dell'artista in questione non solo nei musei, ma anche nelle collezioni delle fondazioni private che contano davvero, come quelle, per citare alcuni nomi notissimi, di Charles Saatchi (Londra), dei De Menil (New York), di Peter Ludwig (Aachen), di François Pinault (Parigi) o di Dakis Joannou (Atene).”78. In passato, invece, la valorizzazione era caratterizzata da tempi certamente più lunghi, la legittimazione e la maturazione dell'artista cresceva in una lenta progressione e l'interesse dei collezionisti lievitava di pari passo, insieme alla fame speculativa che generava prezzi in lenta ascesa. In un contesto così frenetico come quello che 77 F. Poli, Il sistema dell'arte..., cit., p. 66. 78 Ivi. 69. 56 caratterizza questa fase storica è possibile quindi che il semplice collezionista (o più in generale l'investitore) non abbia il tempo di approfondire le proprie conoscenze in merito all'arte e più in particolare ai criteri di valutazione legati alle opere. È proprio questa situazione di asimmetria informativa che genera insicurezza ed è ciò che porta il compratore di arte contemporanea ad affidarsi esclusivamente al brand come rassicurazione per i propri acquisti, diventa quindi a tutti gli effetti un sostituto del giudizio estetico. Ecco che quindi, la riconoscibilità del marchio (il nome) dell'artista si sostituisce alla valutazione qualitativa dell'opera, divenendo un connotato talmente importante da rendere legittimo al mercato qualsiasi lavoro prodotto dall'artista stesso. È possibile addirittura che il cliente di un mercante d'arte influente e brandizzato (come Larry Gagosian) possa arrivare ad affidare la scelta per l'acquisto di un'opera esclusivamente al mercante stesso, sostituendo a tutti gli effetti il proprio giudizio con quello del gallerista. Il rapporto di fiducia può essere talmente stretto da portare il cliente ad acquistare senza neppure visionare l'opera. “Il lavoro di un artista emergente che una galleria vende a 4000 sterline può essere offerto a 12000 sterline da una galleria di brand. Per quanto possa sembrare strano, è il branding del gallerista e il giudizio e la scelta da lui fatti per conto del collezionista che aggiungono valore.”79. Accanto ai collezionisti insicuri, si impongono invece quelli autorevoli, potenti e influenti. In passato il collezionista era guidato da finalità prettamente culturali, certamente anche da ambizioni personali, ma slegate da ragionamenti puramente economici. La collezione era la diretta espressione della propria identità, una porzione aggiuntiva della propria mente e della propria personalità, era quindi molto diffusa l'intenzione e molto forte il desiderio di mantenere integra la propria collezione anche dopo la morte. Questa volontà non promuoveva solo gli interessi individuali del collezionista, ma spesso si ripercuoteva positivamente sulla collettività che poteva così godere di un arricchimento del patrimonio artistico pubblico. Questo prototipo di collezionista è possibile trovarlo ancora oggi, anche se sporadicamente, ma ciò che è cambiata è soprattutto l'influenza che questo modello di 79 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p. 20. 57 collezionismo può avere nei meccanismi artistici. Il collezionista “all'antica”80 oggi è considerato non più di un cliente, magari blandito e corteggiato dai mercanti, ma non più un soggetto capace di influire sui processi di valorizzazione delle opere. L'evoluzione del grande collezionismo, posta in essere in questi ultimi decenni, è avvenuta proprio in tal senso. Il grande collezionista, oggi, è in grado di condizionare i processi di valorizzazione degli artisti e, quindi di influenzare i meccanismi dell'arte a tutti i livelli. È divenuto simile ai grandi mercanti, compra e vende opere anche in grandi quantità di artisti giovani ed emergenti, a prezzi bassi, in un'ottica di breve-medio termine che prevede la crescita progressiva delle valutazioni sia economiche che culturali delle opere acquistate e degli artisti selezionati. Riesce in questo intento, analizzando e controllando le principali tendenze artistiche internazionali in un costante aggiornamento che permette a lui di mantenere ristretta l'èlite degli artisti e gestendone quotazioni. Egli stesso è garanzia per la qualità delle opere, innesca un processo di acquisto a catena che si attiva nel momento in cui un artista diviene parte della sua collezione, la sola presenza legittima i collezionisti minori ad acquistare e suscita l'interesse dei direttori dei musei. “Dunque è giusto dire che questo genere di protagonista del sistema artistico, quando si muove ai massimi livelli, può arrivare a svolgere allo stesso tempo varie funzioni: di valorizzatore e promotore degli artisti; di leader d'opinione nelle scelte degli altri collezionisti; di ascoltato consigliere presso i responsabili di musei; di «mecenate» dell'arte quando eventualmente dona delle opere a muse o quando dà vinta a una fondazione (in entrambi i casi spesso per ragioni fiscali); di critico curatore quando organizza mostre di opere della sua collezione in spazi pubblici o privati; e in fine di mercante tout court quando vende (o fa vendere da mercanti ufficiali) opere delle sue raccolte con esiti economici soddisfacenti.”81. Un esempio su tutti dello stereotipo del moderno collezionista, o meglio, collezionista-gallerista è Charles Saatchi. Di origine anglo-irachena, è considerato il 80 F. Poli, Il sistema dell'arte..., cit., p. 102. 81 Ivi, p. 103. 58 promotore ed il maggiore responsabile del successo dei più importanti artisti esplosi negli anni Ottanta. È importante chiarire che la figura di Saatchi non rimane inquadrata solo nella pura cornice del collezionista, ma si estende anche alle competenze proprie dei mercanti e quindi dei galleristi. Saatchi, come già accennato nel primo capitolo in riguardo alla collettiva Charles Saatchi's Young British Artists del 1992 (che sancì l'avvio del movimento degli Young British Artists) possiede una sua galleria, la Saatchi Gallery ed è doveroso precisarlo per comprenderne meglio il ruolo. La sua fama nacque nel 1970, quando con il fratello Maurice fondò la Saatchi & Saatchi, un'agenzia pubblicitaria che salì alla ribalta come promotrice, nel 1979, della campagna elettorale del partito conservatore britannico ed arrivando alle soglie degli anni novanta a divenire una delle più grandi ed importanti agenzie pubblicitarie del mondo. Saatchi, quindi, nasce come pubblicitario, è pertanto facilmente intuibile come le sue conoscenze in merito siano state di fondamentale importanza per la sua attività di collezionista d'arte, o ancor più precisamente nelle vesti di mecenate di famosi artisti della scena contemporanea internazionale (come Hirst, ma non solo) e di importanti movimenti artistici. Il movimento degli Young British Artist nacque dalla mente di Saatchi, che iniziò a collezionare i lavori dell'allora gruppo di giovani artisti studenti del Goldsmiths celebrandoli poi nella prima collettiva dedicata a loro: Charles Saatchi's Young British Artists del 1992, che aprì la strada al movimento. Non furono gli artisti ad influenzare il gusto di Saatchi, ma fu quest'ultimo a formare il loro, molti Young British Artist frequentarono la sua galleria e formarono lì il proprio senso artistico. Il personaggio di Saatchi, analizzato a tutto tondo, risulta quindi essere qualcosa in più di un mero compratore d'arte, bensì un promotore di spicco che condiziona le trame del mercato, una figura centrale nel panorama dell'arte contemporanea, un mercante d'arte a tutti gli effetti, è uno dei pochi collezionisti moderni ad aver dato vita ad un movimento artistico. “A volte la figura del collezionista e quella del dealer si confondono: Charles Saatchi ha influenzato con acquisti e vendite in blocco i prezzi di diversi artisti.”82. Va da sé, alla luce di queste considerazioni, che il nome Saatchi sia diventato 82 M. Pirrelli e A. Somers Cocks, Galleristi e mercanti..., cit.. 59 anch'esso un brand, un forte marchio capace da solo di influenzare prepotentemente i meccanismi dell'arte. “Le riviste del settore, le case d'asta e i collezionisti a volte etichettano un'opera d'arte come nella «collezione Saatchi» o «di proprietà di Saatchi» o «ricercata da Saatchi». Ognuna di queste definizione verosimilmente accresce il prezzo dell'opera dell'artista in questione. Meno fortunato risulterà un artista segnalato come «rifiutato da Saatchi» o «rivenduto da Saatchi»”83. È quindi intuibile che un collezionista del calibro e dell'importanza di Saatchi (o di altri personaggi influenti come lui, ad esempio per citare alcuni nomi, Steve Cohen, François Pinault, Hélène e Bernard Arnault, Samuel Newhouse Jr) influenza talmente il valore di un'opera, che il solo fatto di appartenere alla relativa collezione, diviene di per sé un valore aggiunto, una brand equity. Per accrescere, quindi, la quotazione di un'opera il collezionista la include semplicemente nella propria collezione, oppure si limita ad esprimerne un interesse. In riferimento a ciò e opportuno tornare per un attimo agli Young British Artist, in particolare a Damien Hirst. Il rapporto tra l'artista e Saatchi sbocciò già con Freeze, del 1988, il collezionista visitò la mostra e fu in quell'occasione che iniziò a collezionarne le prime opere. Due anni più tardi, nel 1990 Saatchi acquistò due armadietti di medicine e A Thousand Years, fu proprio di queste opere che rimase stupito e si offrì, da quel momento in poi di finanziare il lavoro futuro di Hirst. Fu il collezionista anglo-iracheno ad anticipare all'artista britannico 50.000 sterline per l'esecuzione materiale dell'opera The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, commissionandola e finanziandola di fatto e quindi consentendo all'artista di acquistare, trasportare e sistemare lo squalo tigre nella teca riempita di formaldeide. L'opera, come già descritto, fu poi rivenduta da Charles Saatchi sotto la mediazione di Larry Gagosian al collezionista Steve Cohen, che l'acquistò per 12 milioni di dollari, cifra che fu stabilita e voluta proprio da Saatchi. È proprio Hirst che rivela la strategia del collezionista (e anche la propria), in un'intervista del gennaio del 1992: “gli interessano i soldi, ecco perché ha speso così tanto per lo squalo. Ha tutti questi lavori, ne ha almeno sei, forse di più, e pensa: 'Se 83 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p. 119. 60 pago seimila per uno, tutto il resto aumenta di valore'. Poi arriva a un punto in cui non sale più, allora vende tutto e si cerca un altro artista. Comunque non mi interessa. Non ci penso. Ma siccome so cos'è la moda, non per altro ma perché vivo nel mondo di oggi, faccio dei lavori che sono considerati di moda. È inevitabile. Viene fuori nel lavoro. Il lavoro sembra alla moda e allora Saatchi lo compra […]”84. È chiaro, quindi, quanto sia rilevante l'influenza del collezionista anglo-iracheno su Hirst che, potendo lavorare sotto la sua protezione, è riuscito a scavalcare in fretta i gradini per la consacrazione al grande pubblico. Il rapporto fra i due fu simbiotico e senza ombra di dubbio molto proficuo per entrambi (nel 2003 il rapporto si è sciolto). “Qualcuno sostiene perfino che [Saatchi] abbia inventato il personaggio artistico di Hirst”85. Così come un collezionista di questo calibro può influenzare e portare rapidamente al successo un giovane artista così, allo stesso modo, può intralciarne il cammino. Celebre fu il caso dell'italiano Sandro Chia, del 1985. Chia all'epoca era un giovane pittore, legato al movimento della Transavanguardia italiana (di cui è uno degli esponenti maggiori) iniziava nei primissimi anni ottanta a muovere importanti passi in ambito internazionale. Nel 1982, Saatchi organizzò una grande festa in suo onore, in occasione della mostra personale di Chia presso la galleria Anthony d’Offay di Londra. Fin dagli esordi il collezionista manifestò interessi verso l'artista e ne acquistò diversi quadri donandone alcuni alla Tate Gallery di Londra. Il rapporto durò qualche anno, quando iniziarono ad emergere delle divergenze e delle differenti vedute riguardo ad alcune opere di Chia presenti nella collezione di Saatchi. Non furono questi piccoli screzi però a provocare la rottura, ma un litigio avvenuto nel 1985 che segnò il termine ultimo del loro rapporto. Saatchi vendette le sette opere in suo possesso alle gallerie dalle quali le aveva acquistate (Sperone Westwater di New York e Bruno Bischofberger di Zurigo) e dichiarò in fretta alla stampa che stava depurando la sua collezione. Di queste due gallerie, che all'epoca rappresentavano Chia, nessuna lo rappresenta più e la richiesta di sue opere è andata indebolendosi. 84 D. Hirst e G. Burn, Manuale per..., cit., p. 29. 85 Ibidem. 61 “Saatchi diede dimostrazione del suo potere punitivo, e, dopo il caso di Sandro Chia, ogni artista sa che quello che Saatchi dà in termini di legittimazione e reputazione, Saatchi può togliere”86. Anche Saatchi è incluso nella classifica dei cento personaggi più influenti e potenti del mondo dell'arte (The Power 10087), risultando primo nel 2002. Come per Gagosian, la posizione nel corso degli anni è rimasta sempre costante, anche se meno a ridosso del vertice, ma pur sempre tra i primi cento, gli anni più rilevanti sono stati il 2003, dove giunse sesto e il 2006 e il 2007 dove giunse settimo. Questi posizionamenti sono giustificati dal fatto che “ai livelli più alti di mercato, molti grandi collezionisti non si limitano solo più a comprare o vendere quadri, ma diventano, in forma più o meno occulta, veri e propri finanziatori di mercanti, per operazioni speculative su larga scala con valori giù confermati o con nuovi artisti da lanciare”88. Non sono solo galleristi, collezionisti, artisti e case d'asta ad avere la caratteristica del brand, anche un quarto attore influenza il mercato dell'arte: il museo d'arte contemporanea. I musei d'arte contemporanea sono un elemento essenziale nella catena della valorizzazione, i più importanti musei, quelli considerati leader svolgono una funzione di prim'ordine per quanto riguarda la legittimazione degli artisti. Innanzitutto le nuove strutture museali per l'arte contemporanea tendono sempre di più a divenire delle emanazioni del potere economico e del prestigio culturale delle città in cui sono costruite, la grandiosità e fastosità dell'architettura che le riveste diviene protagonista, come nel caso del Museo Guggenheim di Bilbao, progettato da Frank Gehry, architetto attualmente tra i più importanti della scena internazionale. Talvolta questo eccessivo protagonismo dell'architettura può portare ad offuscare il contenuto del museo (le opere d'arte) e a porre la stessa struttura come fonte di attrazione, l'edificio diviene quindi importante anche nella sua veste di calamita turistica, con un elevato valore simbolico dal punto di vista monumentale. La sede del museo diviene essa stessa “un'opera d'arte destinata a contenere altre opere d'arte” 89 e 86 Ivi, p. 127. 87 Art Review, The Power 100..., cit.. 88 F. Poli, Il sistema dell'arte..., cit., p. 60. 89 J. Giovannini, Art into Architecture, in Guggenheim Magazine, New York 1997, riportato in, A. Dal Lago e S. Giordano, Mercanti d'Aura, Il Mulino, Bologna 2006, p. 131. 62 impone la propria architettura al pubblico. I più monumentali musei d'arte contemporanea sono delle vere e proprie cattedrali90 in chiave moderna, che esprimono la prosperità di chi le costruisce, ma anche dove l'effetto di sacralizzazione delle opere è ingigantito: “[...] Sono gli allestimenti e la vastità delle sale a intimidire. Indipendentemente dal significato che molti artisti volevano attribuire alle loro opere […] è inevitabile che i visitatori subiscano un effetto di sacralità. Operando su tele di grandi dimensioni e riproducendo su vasta scala versioni fantastiche di oggetti d'uso comune, gli artisti Pop volevano trasfigurare e innalzare la quotidianità, rovesciando il suo tradizionale rapporto con l'arte; ma ora le loro opere, installate in sale lunghe decine di metri e alte in proporzione, acquistano un'aura di grandiosità non dissimile da quella dei mosaici in oro del Duomo di Monreale o degli affreschi della Cappella Sistina”91. Dunque, i musei d'arte contemporanea, almeno quelli più importanti, non offrono solo una funzione celebrativa in senso turistico e di esaltazione del contesto locale (e del committente) ma assolvono anche l'incarico di promotori dell'arte e dei movimenti artistici emergenti, non solo attraverso un “processo di aurizzazione”92 (proprio soprattutto del modello Guggenheim) legato alle dimensioni ingigantite degli spazi espositivi, ma anche attraverso la funzione dei direttori museali. Al giorno d'oggi la figura del direttore museale coincide sempre più con quella del manager, se in passato si occupava di gestire al meglio il patrimonio di opere d'arte presenti nella collezione museale, di conservarlo e di arricchirlo, oggi, invece, la figura si è allargata a quella più generale di manager dell'arte, con una forte connotazione manageriale e una forma mentis economica. Questa trasformazione è dovuta al fatto che in passato il processo di legittimazione dell'arte era molto più lento, la valorizzazione avveniva in tempi lunghi e il direttore museale poteva curare e seguire con maggior minuzia lo sviluppo della 90 Ivi, p. 132. 91 Ibidem. 92 Ivi, p. 133. Con tale definizione A. Dal Lago e S. Giordano intendono propriamente quel processo finalizzato alla creazione di un'aura che avvolge le opere, si lega alla connotazione di sacralità degli spazi espositivi e alla cattedralità dei musei moderni (il riferimento è in particolare al Museo Guggenheim di Bilbao) l'esempio, a proposito di un'opera avente aura, esposto nel libro è quello della Gioconda, aura come carisma, come alone di unicità capace di attrarre il grande pubblico. 63 maturazione artistica. L'arte contemporanea, invece, è caratterizzata da tempi certamente più veloci e frenetici, la valorizzazione e la maturazione avvengono sempre più celermente, il museo dunque si è dovuto adeguare, allineandosi ai tempi agli altri attori del sistema, quali gallerie e collezionisti che hanno risposto per primi ai cambiamenti dei meccanismi dell'arte. Il direttore museale, dunque, oggi è più vincolato alla produzione artistica contemporanea, “per i direttori e i curatori di musei, l'impegno per approfondire lo studio della storia dell'arte tende ad essere subordinato all'esigenza pressante di avere sempre una informazione il più aggiornata possibile su quanto sta avvenendo (o sta per avvenire) nel contesto artistico internazionale, attraverso una frequentazione continua di mostre, un rapporto stretto con i galleristi, collezionisti e altri direttori, e un'attenzione speciale per gli artisti famosi e per i giovani emergenti”93. Il museo, interviene maggiormente e direttamente nel contesto artistico contemporaneo rispetto al passato, avviando esso stesso i processi di legittimazione e di valorizzazione o divenendone parte attiva, attraverso una rete di collegamenti che racchiude i maggiori componenti della catena artistica e di cui il museo rappresenta uno dei maggiori punti di riferimento. “Una volta, anche solo qualche decennio fa, le mostre nei musei erano un punto di arrivo per la carriera di un artista, oggi sono un indispensabile punto di partenza per poter decollare ai livelli alti del mercato internazionale”94. È proprio questa peculiarità che rende il museo un potente elemento di condizionamento del mercato dell'arte, così come un'opera acquisisce valore se collocata all'interno della collezione di un influente collezionista di brand, allo stesso modo un'opera o più propriamente un artista acquisisce prestigio, valore e legittimazione se vanta nel suo curriculum l'esposizione in un museo di brand, un museo che ha cioè, una forte visibilità e rilevanza internazionale e un forte connotato valorizzatore. Sono diverse le vie seguite dai musei per acquisire un forte brand, riveste notevole importanza, oltreché la veste architettonica della sede che conferisce immediatamente una forte riconoscibilità95, progettata appositamente da architetti dal 93 F. Poli, Il sistema dell'arte..., cit., p. 134. 94 Ivi, p. 133. 95 F. Gostoli, Spazi guida per la progettazione di un museo contemporaneo, Libreria Editrice Cafoscarina, Venezia 2008, p. 23. F. Gostoli riprende il DL n. 112/1998 emanato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che 64 grande profilo internazionale (riconoscibili essi stessi), anche la presenza nella collezione di un'opera notevolmente famosa che consente da sola di attrarre buona parte del pubblico, un'opera riconoscibile appunto, l'esempio più rinomato è sicuramente quello della Gioconda di Leonardo da Vinci, ospitata al Louvre di Parigi. Quella del museo francese è una vera e propria strategia promozionale, “una ricerca fatta dal Louvre ha rivelato che più della metà delle persone che visitano il museo ogni giorno, ci si reca soltanto per vedere la Gioconda, tanto che il museo parigino ha approntato un'entrata separata dedicata a chi vuole vedere esclusivamente quell'opera”96. Anche opere più recenti sono state emblema di questo tipo di strategia come Nighthawks (Sparvieri della notte) del pittore statunitense Edward Hopper composta nel 1914 e acquistata dall'Art Institute di Chicago tra il 1926 e il 1942 e sempre nella stessa operazione furono incluse anche Une dimanche après-midi à l'Île de la Grande-Jatte (Una domenica pomeriggio all'isola della Grande-Jatte) del 1886 di Georges Seurat e American Gothic (Gotico americano) di Grant Wood del 1930. Nel 2006 Ron Lauder, imprenditore americano e collezionista d'arte, comproprietario della Esteé Lauder, la multinazionale attiva nel mercato dei cosmetici, acquistò l'opera Ritratto di Adele Bloch-Bauer I (1907) di Gustav Klimt per 135 milioni di dollari. Lauder è proprietario della Neue Galerie di New York, un piccolo museo che espone principalmente arte del Modernismo austriaco e tedesco e questa operazione promozionale fu studiata per innescare l'interesse mediatico e convogliare così un alto numero di turisti verso la galleria. Il successo fu di grandi proporzioni e il numero di visitatori crebbe da una media precedente l'acquisto di ottocento al giorno ad una di circa seimila persone nei mesi successivi, “considerando che la capacità della galleria era di trecentocinquanta persone, ciò significava che spesso si formavano code di quarantacinque minuti. […] La pubblicità che tutta l'operazione convogliò su di sé permise alla Neue Galerie di entrare nell'elenco delle principali attrazioni culturali della città”97. La trattativa per l'acquisto fu detta i criteri di standard minimi di qualità e le linee guida per la costruzione di un museo, in particolare F. Gostoli si sofferma sui significati di flessibilità, controllabilità, accessibilità e riconoscibilità, definendo quest'ultima come un elemento legato alla forma del museo, ai colori e alle sue dimensioni, una riconoscibilità capace di “cogliere le diversità di un luogo urbano o agricolo”, riprendendo, quindi il concetto di museo come espressione del luogo in cui è costruito. 96 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p. 304. 97 Ivi, p. 306. 65 privata, per cui, in realtà, non è possibile sapere se il prezzo stabilito per la vendita fosse effettivamente quello e benché meno è stato confermato ufficialmente, la cifra di 135 milioni di dollari è presunta, Lauder si limitò a confermare che si trattava di un record di vendita e quello valido fino a quel momento era di 104 milioni di dollari stabiliti all'asta per Garçon à la pipe (Ragazzo con la pipa) di Picasso nel 2004. È certo, invece, che non era interesse di nessuno smentire un importo così eclatante e fu proprio per la cifra pubblicizzata che l'interesse dei visitatori crebbe. Sono queste operazioni che consentono di creare un brand condiviso a livello internazionale. Il Museum of Modern Art con sede a New York, conosciuto al grande pubblico come MOMA, è a tutti gli effetti un museo di brand, ha un'importanza storica nel tessuto artistico americano determinante, contribuendo più di ogni altro museo alla promozione a livello internazionale dell'arte americana. Nato nel 1929 su finanziamento di importanti imprenditori della scena americana, tra cui i Rockefeller, divenne in breve tempo un grande punto di riferimento per l'arte moderna e contemporanea riuscendo a sviluppare un esteso interesse verso l'arte da parte del grande pubblico. Il suo primo direttore (rimasto in carica fino al 1967) fu Alfred Barr, uno storico statunitense che svolse un ruolo chiave per l'accrescimento della collezione del MOMA, considerata una delle più grandi ed importanti al mondo. Fu molto criticato perché si ritenne che Barr agisse in prima persona per indirizzare il flusso artistico, considerata anche la sua posizione di estrema importanza nel mondo artistico americano. Ma a prescindere da Barr, l'influenza del MOMA sul sistema artistico, era già inevitabile: “il prestigio conferito ad un artista dal fatto di avere una sua opera esposta nella collezione permanente del MOMA, la più importante del mondo, era inestimabile; non c'era onore più grande di una mostra retrospettiva”98. Il ruolo e l'importanza rivestita dal MOMA (preso ad esempio, ma il discorso rimane valido anche per gli altri maggiori musei) non è mutata e ancora oggi è ritenuta una tappa fondamentale per il successo di un artista. “Il museo d'Arte Moderna di New York, è una tale pietra miliare nella carriera, è come un punto fermo, o è come una retrospettiva alla Tate Gallery. Un sacco di artisti, a 98 I. Sandler, American Art of the 1960s, Harper and Row, New York 1988, p. 107, riportato in, F. Poli, Il sistema dell'arte..., cit., p. 120. 66 un certo punto della loro carriera, sono passati per quei musei”99. Damien Hirst, a cui appartengono queste parole, inizia precocemente il suo rapporto con i maggiori musei d'arte contemporanea, già nel 1992, appena quattro anni dopo la sua prima mostra Freeze, espose al Dallas Museum in Texas per l'installazione Pharmacy, seguirono poi altre cinque esposizioni per la stessa installazione, ma già nel 1999 per il quarto allestimento, Hirst espose alla Tate Gallery di Londra, a soli undici anni dalla prima mostra da studente. Il rapporto con la Tate non si fermò a quell'evento, ma proseguì anche nel 2001 alla Tate Modern per la quinta installazione di Pharmacy. Nel 2003 avrebbe dovuto organizzare sempre con il museo londinese la sua prima retrospettiva, ma saltò perché proprio in quell'anno si ruppe il rapporto con Saatchi a seguito di un litigio sfociato per una mostra organizzata alla Saatchi Gallery. La sua prima retrospettiva verrà organizzata l'anno dopo, nel 2004, al Museo Archeologico Nazionale di Napoli: The Agony and the Ecstasy. Il ruolo che i musei d'arte contemporanea hanno all'interno della rete del sistema arte è ben integrato, il rapporto con i maggiori galleristi e collezionisti è vivo e talmente solido che spesso l'influenza reciproca è profonda. I collezionisti o i galleristi possono suggerire ai musei le opere da acquistare, come avvenne pochi anni fa per il Guggenheim quando acquistò opere di Alison Fox, giovane artista ancora studente, suggerita al museo da Charles Saatchi che già l'aveva nella sua collezione. Inoltre, quando un'opera viene donata, la clausola principale è che quell'opera venga sempre esposta, a scapito delle opere non donate, limitando di fatto il lavoro dei curatori che hanno meno possibilità di scelta e di decisione su ciò che verrà esposto. Il rapporto con i galleristi di brand può arrivare addirittura alla collaborazione per l'organizzazione delle mostre e se da un lato l'accordo nasce dall'esigenza del museo di reperire i fondi necessari sfruttando le risorse della galleria, dall'altro il rapporto per forza di cose si estende anche all'organizzazione a 360 gradi, dagli aspetti meramente economici e pubblicitari a quelli più specifici della consulenza artistica fino alla scelta vera e propria delle opere da portare nelle sale espositive. Diviene naturale credere che l'accordo può diventare più occulto, prevedendo una via preferenziale per una futura retrospettiva di un artista rappresentato dalla galleria stessa e l'ottenimento di 99 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit., p. 248. 67 informazioni particolari e riservate come quelle sui futuri progetti del museo a livello di mostre e retrospettive. Recentemente, in occasione degli ottant'anni di vita dell'artista Cy Twombly, la Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea (GNAM) di Roma ha promosso la prima grande retrospettiva italiana dell'artista statunitense, un'esposizione celebrativa avvenuta nel 2009, dal cinque marzo al ventiquattro maggio. Larry Gagosian, quando nel 2007 aprì la sua Gagosian Gallery a Roma decise di inaugurare il nuovo spazio con una mostra dedicata proprio a Cy Twombly (che Gagosian rappresenta). La curatela della mostra alla GNAM è stata affidata a Nicholas Serota (Direttore Generale della Tate di Londra), l'evento è stato organizzato, quindi, con la collaborazione del Museo londinese. Il lasso di tempo tra l'inaugurazione della Gagosian Gallery di Roma e l'organizzazione dell'evento alla GNAM è breve, appena due anni, ma chiaramente una Galleria nazionale come quella di Roma deve avere una programmazione ben strutturata e l'esigenza di pianificare molto tempo prima il suo programma espositivo, per cui è ammissibile che i due eventi siano strettamente concatenati. È plausibile che ci sia stato un rapporto stretto tra Larry Gagosian, la GNAM e la Tate e questo caso va ad inserirsi come esempio nel discorso sulla collaborazione profonda tra galleristi e musei. L'accesso dell'artista al museo è dunque più facile e immediato, non è più frutto di una maturazione storica come avveniva in passato, ma è condizionato dal modo in cui egli viene pubblicizzato e, quindi, da chi viene rappresentato. Gli artisti e le loro opere, dunque, viaggiano su un circuito di interscambio tra grandi gallerie, maggiori collezioni private e collezioni museali in un contesto di influenza reciproca che alimenta il successo degli artisti e le quotazioni delle opere. La legittimazione avviene in questo modo, in un vortice di relazioni, una sorta di catena di montaggio del valore, che prevede diverse tappe in corrispondenza dei maggiori protagonisti del mercato dell'arte e di cui il museo è parte fondamentale. “Quando un museo compra e presenta un artista, gli conferisce anche quella legittimità che un tempo era data dalla distanza forzata di quarant'anni tra l'esecuzione dell'opera e l'acquisizione, e che ora è stata sostituita dall'opinione del curatore o di una commissione. Quando Alfred Barr comprò tre dipinti di Jasper Johns per la collezione del MOMA alla prima mostra personale dell'artista, il museo conferì immediata 68 autorevolezza all'artista e legittimità ai suoi prezzi”100. La prima mostra personale di Jasper Johns, del 1958 fu organizzata da Leo Castelli, che all'epoca rappresentava l'artista statunitense e fu in quell'occasione che Barr acquistò i tre dipinti e subito l'anno successivo invitò Johns a esporre le sue opere per la collettiva Sixteen Americans al MOMA. Questo è un altro esempio, simile a quello di Gagosian e il GNAM, questa volta esplicito, di come i grandi galleristi abbiano un rapporto simbiotico con i Musei d'arte contemporanea e di come sia diventato ormai semplice e precoce per un artista accedere ai più grandi musei internazionali. Jasper Johns nel 1958 era appena stato scoperto da Castelli, precisamente da un anno, quando nel 1957 espose alla collettiva Artists of the New York School: Second Generation, che attirò l'attenzione del gallerista di origini italiane, la sua produzione artistica era appena agli esordi, ma nel 1958, appena ventottenne poteva già vantare una mostra al MOMA. L'esposizione in un museo di brand non solo influisce sul valore dell'opera esposta con conseguente aumento delle quotazioni, ma anche di riflesso, sull'intera carriera dell'artista, così come ne beneficia ovviamente chi ha opere relative all'artista in questione nella propria collezione, anch'essa, di conseguenza, lieviterà di valore. In un sistema che accontenta più o meno tutti, certamente anche il museo ne trae profitto, può succedere, infatti, che il museo stesso venda l'opera all'asta subito dopo l'esposizione, sfruttando esso stesso il suo brand, che influenzerà la quotazione favorendone un repentino rialzo proprio per via del fatto che provenga dal museo stesso. Ovviamente anche la casa d'aste ne trae beneficio, non solo in termini economici (commissione) ma soprattutto quanto a reputazione e prestigio, molto più importanti. “Quando il MOMA espone il lavoro di un artista, trasmette un brand condiviso, aggiungendo all'opera un prestigio che il mondo dell'arte chiama «provenienza». Il brand del MOMA offre rassicurazioni a chi acquista: un'opera d'arte che è stata mostrata al MOMA o che è stata parte della sua collezione, avrà un prezzo maggiore grazie alla sua provenienza”101. Questo concetto vale per il MOMA così come per gli altri musei di brand, quali 100 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p., 310. 101 Ivi, p. 19. 69 ad esempio, per citare alcuni nomi, negli Stati Uniti il Metropolitan Museum di New York, la National Gallery di Washington, il Jean Paul Getty Museum di Los Angeles, in Inghilterra, a Londra la Tate Modern, la Tate Britain e la National Gallery, a Parigi il Louvre, a Madrid il Prado e i Guggenheim Museum. Così il sistema del mercato dell'arte si articola tra i suoi principali protagonisti e così com'è importante chi ne è attore è importante anche il contesto in cui il mercato si realizza. Attualmente i centri principali per l'arte contemporanea sono Londra e New York, è in queste due città che si concentrano i maggiori elementi del sistema dell'arte contemporanea, è qui che gli artisti, i collezionisti o i galleristi si formano, o almeno è da qui che passano frequentemente. Se New York era già un importante centro all'inizio del novecento, Londra lo è diventato molto più tardi, la presenza di Gagosian con le sue gallerie ha solo confermato l'importanza che la capitale inglese riveste al giorno d'oggi nel mercato dell'arte contemporanea: “More important, though, Mr Gagosian's affirmation that he wants to do big business in London confirms the city's status as the centre of Europe's art market. «As an international city, it is second to none» said Mr Ratibor. «Collectors come here, museum directors come - there are people here to meet». «London in the past 10-15 years has become the central place in Europe for collectors - as it never had been before» said Mr Craig-Martin.”102(La cosa più importante, comunque, è l'affermazione di Mr. Gagosian che ha intenzione di fare grandi business a Londra, conferma lo status della città come centro europeo del mercato dell'arte «Essendo una città internazionale, non è seconda a nessuno» dice Mr. Ratibor. «I collezionisti e i direttori museali arrivano qui - ci sono persone importanti da incontrare». «Londra nei 10-15 anni passati è diventata il luogo centrale in Europa per i collezionisti - come non lo è mai stata prima» ha detto Mr. Craig-Martin”). Quella di Gagosian è solo una delle presenze importanti, ma dimostra quanto quelli di New York e Londra siano diventati ormai dei canali preferenziali, dei vincoli essenziali per il successo. Chiunque si trova ai margini di questo nucleo rimarrà sfavorito, viceversa chi ne potrà sfruttare le potenzialità verrà privilegiato e potrà accedere facilmente ai livelli più alti del mercato dell'arte. 102 C. Higgins, King's Cross a Go-Go..., cit.. Mr. Ratibor è Stefan Ratibor, il co-direttore della Gagosian gallery (Britannia street) di Londra. 70 “Ci sono, per esempio, artisti di importanza indubitabile le cui opere hanno quotazioni più basse di quanto ci si aspetterebbe […] e viceversa ci sono artisti, del medesimo livello, con quotazioni molto più alte. Questo […] dipende soprattutto dal potere delle strutture mercantili e museali di promozione e distribuzione che stanno dietro a ciascun artista. Le più potenti sono naturalmente quelle al centro del sistema dell'arte e sono l'espressione della cultura dominante a livello mondiale. Attualmente New York è il centro del mondo dell'arte contemporanea. […] Chi fa parte di contesti culturali più decentrati si trova svantaggiato in tutti i sensi e non ha obiettivamente la possibilità di raggiungere alti livelli di notorietà […]. Le quotazioni dei più noti artisti americani (o, in Europa, soprattutto di area tedesca e inglese) sono quasi irraggiungibili dagli italiani. A prescindere dalla qualità, troppo grande è, normalmente, lo scarto fra le rispettive possibilità di carriera internazionale”103. I casi di artisti italiani arrivati a raggiungere elevate quotazioni sono quelli ad esempio di Maurizio Cattelan, Francesco Vezzoli, Vanessa Beecroft, Francesco Clemente, ma rimangono casi isolati o comunque circoscritti ad una cerchia ristretta, la grande maggioranza di artisti tra i più quotati sono certamente americani e inglesi (con un buon numero anche di artisti di provenienza tedesca). Sostanzialmente, riprendendo il concetto di brand già espresso, si può a tutti gli effetti affermare che New York e Londra sono due città altamente riconoscibili nel sistema dell'arte contemporanea. “New York e Londra sono due centri nevralgici per il mercato dell'arte contemporanea di fascia più alta, ed è là che il branding dell'arte è più evidente e ha più peso. […] New York e Londra sono esse stesse dei brand”104. Hirst è stato lanciato in America da Gagosian e riprendendo di nuovo No Sense of Absolute Corruption, la prima mostra in America di Hirst organizzata nel 1996 alla Gagosian Gallery di New York, sono molto chiare le parole dell'artista pronunciate poche settimane prima dell'inaugurazione: “se posso farcela in America senza trasferirmi là molti di quelli che mi tengono d'occhio capiranno cosa significa. Spero che la gente capisca che se puoi farcela là puoi farcela ovunque. […] C'è un modo facile 103 F. Poli, Il sistema dell'arte..., cit., pp. 53-54. 104 D. Thompson, Lo Squalo da…, cit., p. 310. 71 per farcela nel mondo: trasferirsi in America”105. È necessario, per chiudere l'analisi dei principali soggetti coinvolti nel sistema dell'arte contemporanea, analizzare l'influenza di un'altra figura: il critico d'arte. L'avvento dell'arte concettuale ha scardinato il legame che vincolava il messaggio, il concetto, all'immediatezza della raffigurazione, un'emancipazione dell'idea che ha portato il discorso critico a divenire parte integrante, non più subordinato, ma essenziale quasi quanto l'opera stessa, se non addirittura equivalente. Il linguaggio quindi subentra prepotentemente portandosi con sé il pensiero, la riflessione scindendo il filo comune tra ciò che è rappresentato, ciò che è realtà e ciò che, invece, è il significato. In Ceci n'est pas une pipe (1929) di Magritte questo concetto è emblematizzato, la visione suggerisce alla percezione che ciò che si sta guardando è una pipa, ma la didascalia (Ceci n'est pas une pipe, appunto) appare un paradosso, si scontra con ciò che è direttamente assimilato dall'immediatezza della percezione visiva, che avverte il limite dell'apparenza, in realtà il messaggio intrinseco è che ciò che è dipinto è solo una rappresentazione dell'oggetto comune, non è l'oggetto reale. Una disgregazione tra parola e oggetto che rende autonoma la prima nei confronti dell'immagine, che attiva l'importanza del pensiero come chiave essenziale per contemplare l'opera, è la riflessione che deve suggere la percezione. Magritte è un artista surrealista, è antecedente al movimento concettuale che si svilupperà in seguito, dalla metà degli anni '60, ma quest'opera presenta già degli elementi che rimandano all'arte concettuale, One & Three Chairs (1965), di Joseph Kosuth, uno dei maggiori esponenti dell'arte concettuale, suggerisce un messaggio molto simile a quello di Ceci n'est pas une pipe, mostra, infatti, tre rappresentazioni diverse di sedia: una come oggetto reale, una come fotografia e una come definizione linguistica tratta dal vocabolario. Chiara è anche qui, l'intenzione di provocare una riflessione sulla relazione tra immagini e parola, proprio come l'opera di Magritte. La fruizione, dunque, è mutata e per risultare completa e pienamente efficace ha dovuto legarsi ad una teoria a supporto. “[...] Guardare un dipinto senza essere provvisti di una «teoria convincente» vuol 105 D. Hirst e G. Burn, Manuale per..., cit., p. 51. 72 dire «essere privi di qualcosa di fondamentale»” 106. È qui che, in un discorso allargato, si inserisce il critico d'arte, perché è colui che elabora il discorso critico, che è appunto essenziale per l'opera, quanto l'opera stessa. Vien da sé che la particolare figura del critico si inserisce tra i protagonisti del contesto dell'arte contemporanea perché capace di confezionare l'artista e l'opera in particolare, o il movimento artistico in generale, in una definizione critica. Accanto al concetto di branding, quindi, bisogna introdurre anche il concetto di packaging107. Questo termine è anch'esso di diretta derivazione dal marketing e dalla pubblicità, si riferisce, propriamente per questi due contesti, alla confezione con cui un bene è presentato al consumatore, ha un valore altamente comunicativo, non ha quindi unicamente la funzione di mero involucro dell'oggetto. Traslando questo concetto all'arte, il critico è colui che teorizza il movimento artistico, lo battezza, lo qualifica ed etichetta l'artista secondo il proprio schema. “Il critico si fa veicolo delle esigenze del mercato nel mondo degli artisti e garante di questi presso il mercato. […] Permette la riconoscibilità dell'opera di un'artista (potremmo dire del suo «marchio di qualità»). Il critico deve cioè garantire al mercante non solo la qualità delle opere, ma anche l'importanza dell'artista all'interno di un certo movimento o discorso”108. Garanzia, dunque, un attestato di qualità, il critico decide cosa è opera d'arte e si fa portavoce di rassicurazione così al mercante quanto più all'acquirente (che spesso insicuro, si fa dipendente del giudizio critico), o più in generale alla globalità del sistema artistico. La condizione di oggettività per stabilire la qualità di un'opera si è di molto assottigliata, il critico d'arte è divenuto un soggetto valorizzatore, in grado quindi di influenzare il mercato, presentando il prodotto artistico in una confezione critica che ne da valore, un discorso teorico che è in grado di indirizzare la percezione di qualità dell'opera. “L'arte contemporanea è possibile grazie a un'incessante produzione discorsiva, in 106 T. Wolfe, Come ottenere il successo nell'arte, Umberto Allemandi & C., Torino 1987, p. 8, riportato in, A. Dal Lago e S. Giordano, Mercanti..., cit., p. 94. Le parole riportate nel libro di Wolfe, sono state pronunciate dal critico di riferimento del New York Times. 107 Ivi, p. 112. 108 Ivi, p. 100. 73 cui un ruolo decisivo è assunto dalla critica. Oggi il critico non è più come il mero depositario dei valori estetici o il tramite tra vita intellettuale o arte. Se in arte il discorso è tutto, il critico ha il ruolo di vero demiurgo dell'attività artistica.”109 In realtà, nel contesto del mercato artistico, i concetti di branding e packaging, sono molto simili, tutti e due vogliono identificarsi con la qualità, il brand, però è più legato alla concezione di marchio, il packaging, invece, a quella di etichetta, più inerente, quindi alla teorizzazione dei movimenti artistici e all'importanza di circoscrivere un artista ad una corrente, che prende la forma di un involucro, così come la confezione del discorso critico sull'opera. Il critico d'arte plasma il movimento artistico, gli da forma, lo alimenta, ma se, come detto, si fa portavoce del mercato presso gli artisti (e viceversa), può non limitarsi a rimanere neutrale, egli può divenire a tutti gli effetti un committente e trasformarsi, quindi, in un “co-ideatore dei presupposti teorici e discorsivi che presiedono alla creazione dell'opera”110. Il critico assume, quindi, in alcuni casi un ruolo talmente importante da divenire autore stesso dell'opera, capace di rendere l'artista addirittura secondario nel processo di produzione artistica: “Il critico, capace di costruire un impianto teorico-discorsivo così potente da non rendere necessario un manufatto o un'opera in particolare, diviene ora autore […]. Certo, l'artista deve pure esistere, ma il suo ruolo rispetto al contratto è divenuto del tutto marginale, come puramente esteriore è quello del pubblico, ridotto a consumatore passivo di un prodotto elaborato in tutto e per tutto indipendentemente dal suo giudizio”. Un critico che si pone a livello di co-autore, è un soggetto altamente influente e ciò non vale, ovviamente, per la maggioranza dei critici d'arte, ma solo per alcuni di essi, non tutti sono ugualmente importanti, come vale, d'altronde per i galleristi e i collezionisti. Storicamente fu determinante Clement Greenberg, o George Maciunas, il primo come critico teorizzatore del movimento Color Field (vicino all'Espressionismo astratto di Jackson Pollock) il secondo come teorizzatore del movimento del Fluxus. Greenberg è considerato colui che aprì la strada a Pollock, De Kooning, Frankenthaler e Morris Louis, o che comunque ne influenzò molto la carriera. George Maciunas, invece, fu l'ideatore e l'inventore del movimento del Fluxus (che vide tra i suoi artisti Daniel 109 Ivi, p. 93. 110 Ivi, p. 100. 74 Spoerri, Dick Higgins, Yoko Ono) ne fu il teorizzatore, capace, quindi, di inventarne l'etichetta. La figura del critico d'arte ha subito recentemente una metamorfosi e si è trasformata in quella di curatore d'arte. Il curatore è un critico più operativo, non si limita alla scrittura di critica, ma il suo ruolo e più ampio e comprende attività quali ad esempio l'organizzazione di mostre private o pubbliche o quella più generica di consulenza, può collaborare con le case d'asta o curare collezioni private o pubbliche e via dicendo. È quindi una nuova generazione legata ancor più indissolubilmente con gli altri attori del sistema dell'arte contemporanea, è essenziale per il curatore d'arte stringere continui rapporti con galleristi, collezionisti, direttori di musei e artisti per avere sempre un'informazione il più possibile aggiornata. Il curatore è quindi una figura dinamica, molto attivo a livello internazionale, continuamente in viaggio. “Si tratta del settore dei critici più strettamente legati al mercato. La loro funzione all'interno del sistema dell'arte interagisce strettamente con quella dei galleristi e dei collezionisti, e dunque il loro lavoro di valorizzazione culturale rischia di non distinguersi granché da quello della valorizzazione mercantile”111. Il curatore è più di un mediatore che interpreta l'arte e la presenta al pubblico, rispetto al critico possiede competenze manageriali e relazionali necessarie a svolgere la sua attività. Il curatore, quindi, nel momento in cui esprime un discorso critico, una propria e personale visione culturale è anche critico, se ciò viene a mancare, l'attività curatoriale rimane puramente manageriale. Il suo ruolo è potenzialmente e particolarmente esposto al conflitto di interessi poiché la sua figura rimane molto attiva nella promozione di un artista. Il curatore d'arte, quindi, non si limita a rimanere mediatore nel contesto in cui opera, ma si pone come parte attiva nella catena di valorizzazione artistica. In conclusione, quindi, per tirare le somme su ciò che è oggi il mercato dell'arte contemporanea e il suo funzionamento, si può riassumere il discorso con un concetto chiaro e semplice, quello della squadra, della scuderia: “insomma la scuderia di cui fa parte un artista è la carta vincente oggi sul mercato”112, un meccanismo che si muove su 111 F. Poli, Il sistema dell'arte..., cit., p. 158. 112 M. Pirrelli e A. Somers Cocks, Galleristi e mercanti..., cit.. 75 ingranaggi ben definiti “[...] Sono il mercato e le istituzioni economiche dell'arte, grazie alla supervisione creativa dei critici, a decidere quali sono gli artisti che «valgono» [...]”113. Damien Hirst è un artista di brand, è cioè perfettamente inserito in questo contesto. La sua scuderia, per così dire, racchiude la più grande concentrazione di brand che si sia mai vista nel mondo dell'arte: Saatchi, Gagosian, White Cube di Jay Jopling (che lo rappresenta in Inghilterra), Steve Cohen (che acquistò lo squalo) e ovviamente fanno parte del suo curriculum anche i “timbri” dei maggiori musei di brand, come il MOMA di New York, che acquisì lo squalo donato da Steve Cohen, subito dopo che il collezionista lo acquistò da Saatchi, le esposizioni alla Tate di Londra e via dicendo. Come per Gagosian e Saatchi, anche Damien Hirst è inserito nella speciale classifica The Power 100114 risultando primo ben due volte, nel 2005 e nel 2008 e rimanendo in ottime posizioni anche per gli altri anni, come nel 2006 dove giunse undicesimo e nell'anno dopo dove giunse sesto. La transazione avvenuta nel 2005 dello squalo (The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living) sintetizza in toto tutto ciò scritto fino ad ora. L'opera fu finanziata e commissionata (e ovviamente acquistata) da Charles Saatchi a Damien Hirst nel 1991 per 50.000 sterline, quando l'artista era, quindi, ancora agli esordi, l'intermediario della transazione fu Larry Gagosian, il primo compratore ad interessarsi dell'acquisto fu Nicholas Serota, il direttore della Tate Modern, per conto del museo stesso, aveva, però un budget limitato (perché ovviamente legato alle esigenze economiche del museo). Saatchi, al momento della messa in vendita, aveva accordato con Gagosian che la cifra minima alla quale sarebbe stato disposto a vendere era quella di 12 milioni di dollari, Serota offrì solo 2 milioni e Gagosian (che agiva per conto di Saatchi) rifiutò la proposta. È facile intuire perché quella somma non sia stata accettata, 12 milioni di dollari, a quel tempo, sarebbero divenuti la più alta cifra mai pagata per l'opera di un'artista vivente (dopo Jasper Johns) e la pubblicità che ne sarebbe conseguita sarebbe stata certamente eclatante, con articoli sulle più importanti testate giornalistiche mondiali e 113 A. Dal Lago e S. Giordano, Mercanti..., cit., p. 121. 114 Art Review, The Power 100..., cit.. 76 naturalmente, quindi, con ripercussioni sulle quotazioni delle altre opere di Hirst. Fu il magnate Steve Cohen che accettò di comprare alla cifra richiesta e concluse la transazione così a 12 milioni di dollari. All'acquisto seguì, ovviamente, una forte pubblicità e come era facile intuire, le ripercussioni positive sul valore e le quotazioni delle altre opere firmate Hirst furono da allora enormi. Come per il caso di Lauder e l'acquisto del Ritratto di Adele Bloch-Bauer I la trattativa fu privata, per cui non è dato a sapere se Cohen abbia realmente versato quella cifra, 12 milioni di dollari furono l'importo apparso più frequentemente sui giornali, il New York Magazine scrisse addirittura 13 milioni, ovviamente una volta che una cifra del genere è resa pubblica, nessuno ha interesse a smentirla. Cohen, in seguito, donò lo squalo al MOMA e “il mondo dell'arte salutò l'acquisizione come una vittoria del MOMA sulla Tate Modern di Londra”115. Non è importante quale dei due musei l'avrebbe accolta nella propria collezione, ciò che importa è la consacrazione e la legittimazione che ne è derivata (sia per l'opera che per chi l'ha firmata) a conclusione di una strategia certamente non casuale, avviata con la transazione, che pare avere tutti i connotati di un'operazione di marketing a tutti i livelli, studiata a tavolino. “Per avere successo come artisti bisogna esporre in una buona galleria […]. È soprattutto una questione di marketing. […] Ci vuole una buona galleria perché la classe dominante si accorga di te e si crei abbastanza fiducia sul tuo futuro perché i collezionisti ti comprino, che sia a cinquecento dollari o a cinquantamila. Non importa quanto bravo sei: se non ti promuovono nel modo giusto, il tuo nome non sarà tra quelli che sono ricordati”116 (Warhol e Hackett). 115 D. Thompson, Lo Squalo da…, cit., p. 7. 116 A. Warhol e P. Hackett, Andy Warhol racconta gli anni Sessanta, Meridiano Zero, Padova 2004, pp. 25-26, in, A. Dal Lago e S. Giordano, Mercanti..., cit., pp. 151-152. 77 CAPITOLO III 3. L'ASTA PRESSO SOTHEBY'S, IL CATALOGO E LE DINAMICHE DI ASTA. Nei giorni 15 e 16 settembre 2008 ha avuto luogo presso la sede londinese della casa d'asta Sotheby's (a New Bond Street) l'asta relativa a duecentoventitré opere di Damien Hirst, provenienti direttamente dallo studio dell'artista. La novità, come lo stesso Hirst ha sottolineato, consiste nello scardinamento dei meccanismi tipici del mercato dell'arte, dove l'artista è mediato dalla galleria d'arte che ne cura gli interessi fino alla vendita. Quello di Sotheby's, invece, ha rappresentato un evento inedito nella storia dell'arte: l'artista ha venduto le opere provenienti dal suo studio direttamente ai collezionisti, senza la mediazione di alcun soggetto (a parte la casa d'asta stessa). “«Credo che occorra un pizzico di coraggio o forse di follia per arrivare al punto da tagliarsi fuori dal giro delle gallerie, e portare un bel carico di opere appena sfornate direttamente sul mercato, senza storie: Ehi, vince chi offre di più! Bum. Aggiudicato!», ha detto l' artista in un' intervista rilasciata a Gordon Brown per il catalogo. Le gallerie tagliate fuori sono le più celebri al mondo: Gagosian e White Cube. Ovviamente girano voci di combine, subito smentite da Damien Hirst: «È tutto chiaro e trasparente. Io non sto facendo niente del genere. Dipende tutto dalle vendite: se i prezzi sono bassi sono bassi, se sono alti sono alti. Quello che voglio dire è che il mercato è molto più grande di quanto uno si immagina. Credo che in teoria sia molto, molto più grande, e a tutti è stato fatto credere che si deve prestare enorme attenzione. E così tutti soltanto a pensarci vanno nel panico. Io invece penso che il mercato può assorbire tanta arte, specialmente se è buona arte».”117 Il rapporto con le gallerie, però, certamente non si è logorato, anzi, l'ufficio stampa della Gagosian Gallery, per l'occasione, ha voluto ribadire il contrario: “As 117 P. Vagheggi, Damien Hirst una montagna di dollari, in “La Repubblica”, 8 settembre 2008, p.32. 78 Damien’s long-term gallery, we’ve come to expect the unexpected. He can certainly count on us to be in the room with paddle in hand”118. (Come galleria a lungo termine di Hirst, noi ci aspettiamo da lui l'inaspettato. Può certamente contare su di noi, saremo in sala con una paletta in mano). Per comprendere questa dichiarazione è necessario conoscere i meccanismi alla base del funzionamento di un'asta di questo livello e il discorso sarà approfondito in seguito. L'asta è stata la naturale conclusione della mostra Beautiful inside my head forever, interamente dedicata ai lavori di Damien Hirst e tenuta nei giorni precedenti (dal 5 al 15 settembre 2008) sempre nella sede della rinomata casa d'asta londinese, ha presentato un ventaglio di opere realizzato dall'artista nel corso degli ultimi due anni. La mostra, che ha registrato circa ventiduemila visite, ha avuto in esposizione lavori tra i più importanti dell'opera di Hirst, dalle sculture in formaldeide a quelle in plastica, dai medicine cabinet, agli spin painting, ripercorrendo temi cari all'artista inglese, come la poetica della morte (nelle opere con animali in formaldeide o in quelle con farfalle come i butterly painting), la poetica della medicina (medicine cabinet) e quella del fumo, tutte e tre indissolubilmente legate. Beautiful inside my head forever è nata come celebrazione da parte di Sotheby's del ventesimo anniversario di Freeze, la mostra che nel 1988 diede il battesimo alla stagione della YBAs e quindi alla carriera di Damien Hirst. L'opera senza dubbio emblema dell'evento è stata The Golden Calf, un vitello immerso in formaldeide, incoronato da un'aureola d'oro massiccio, con le corna e gli zoccoli ricoperti d'oro diciotto carati. L'animale è posto all'interno di una teca di vetro, anch'essa dai bordi placcati d'oro e riprende temi mitologici antichi legati alla religione ebraica: Golden Calf, il vitello d'oro, appunto, un idolo, un'immagine di culto che, secondo la Bibbia Ebraica, fu realizzato da Aaron per appagare gli Istraeliti durante l'assenza di Mosè. La stima valutata per quest'opera era compresa tra gli 8 e i 12 milioni di sterline (10 – 15 milioni di Euro) e la cifra battuta all'asta non si è allontanata molto dalle stime, il pezzo è stato venduto per 13 milioni di Euro. 118 L'intervista è disponibile sul sito www.sothebys.com alla pagina relativa al catalogo dell'asta di Damien Hirst [Consultato nel mese di marzo 2010]. 79 Sotheby's per l'occasione ha voluto creare un lussuoso catalogo diviso in cinque volumi, di cui tre dedicati alla vendita e due monografici per The Golden Calf e The Kingdom, le due opere protagoniste dell'evento. Di seguito alcune delle più importanti opere presenti in catalogo: The Golden Calf (2008) Lotto 13, vendita serale. Vitello, oro 18 carati, vetro, acciaio placcato d'oro, soluzione di silicone e formaldeide con un piedistallo di marmo di Carrara. Dimensioni: 398.9 x 350.5 x 167.6cm. Valutazione: £ 8,000,000-12,000,000 € 10,120,000-15,180,000 Venduto per: £ 10,345,250 (ca. € 13,000,000) 80 The Kingdom (2008) Lotto 5, vendita serale. Squalo tigre, vetro, acciaio, soluzione di silicone e formaldeide con basamento di acciaio. Dimensioni: 214 x 383.6 x 141.8cm. Valutazione: £ 4,000,000 – 6,000,000 € 5,060,000-7,590,000 Venduto per: £ 9.561.250 (ca. € 12,000,000) The Dream (2008) Lotto 110, vendita mattutina. Puledro, vetro, acciaio, resina, soluzione di silicone e formaldeide. Dimensioni: 231 x 332.6 x 138.1cm. Valutazione: £ 2,000,000-3,000,000 € 2,530,000-3,800,000 Venduto per: £ 2,337,250 (ca. € 3,000,000) 81 The Incredible Journey (2008) Lotto 211, vendita pomeridiana. Zebra, vetro, acciaio, soluzione di silicone e formaldeide. Dimensioni: 208.6 x 322.5 x 108.8cm. Valutazione: £ 2,000,000-3,000,000 € 2,530,000-3,800,000 Venduto per: £ 1,105,250 (ca. € 1,400,000) Aurothioglucose (2008) Lotto 7, vendita serale. Spot painting, pittura su tela. Dimensioni: 172.7 x 274.3cm. Valutazione: £ 400,000-600,000 € 510,000-760,000 Venduto per: £ 668,450 (ca. € 840,000) 82 Memories of / Moments With You (2008) Lotto 11, vendita serale. Acciaio cromato d'oro e vetro, con diamanti lavorati, dittico. Dimensioni: 91 x 137.2 x 10cm. Valutazione: £ 800,000-1,200,000 € 1,020,000-1,520,000 Venduto per: £ 2,617,250 (ca. € 3,300,000) Unknown Pleasures (2008) Lotto 206, vendita pomeridiana. Vetro e acciaio placcato d'oro con diamanti lavorati. Dimensioni: 91 x 137.2 x 10cm. Valutazione: £400,000-600,000 € 510,000-760,000 Venduto per: £ 1,665,250 (ca. € 2,400,000) 83 The Rose Window, Durham Cathedral (2008) Lotto 27, vendita serale. Farfalle e vernice metallizzata su tela in cornice d'artista. Dimensioni: Diametro: 270cm. Valutazione: £700,000-900,000 € 890,000-1,140,000 Venduto per: £ 1,273,250 (ca. € 1,600,000) Beautiful Helios Hysteria Intense Painting Extra Inner (with Beauty) (2008) Lotto 227, vendita pomeridiana. Spin painting su tela. Dimensioni: Diametro: 45.7cm. Valutazione: £ 60,000-80,000 € 76,000-102,000 Venduto per: £ 121,250 (ca. € 152,000) 84 Psalm 28: Ad te, Domine. (2008) Lotto 102, vendita giornaliera. Farfalle su tela. Dimensioni: 45.7 x 45.7cm. Valutazione: £ 60,000-80,000 € 76,000-102,000 Venduto per: £ 127,250 (ca. € 160,000) 1,6 – Hexanediamine (2008) Lotto 107, vendita giornaliera. Pastelli colorati su carta. Dimensioni: 123.9 x 123.9cm. Valutazione: £ 30,000-40,000 € 38,000-51,000 Venduto per: £ 73,250 (ca. € 92,000) (sito web di Sotheby's)119 119 Il catalogo è disponibile sul sito www.sothebys.com [Consultato nel mese di marzo 2010]. 85 “After the success of the Pharmacy auction, I always felt I would like to do another auction. It’s a very democratic way to sell art and it feels like a natural evolution for contemporary art. Although there is risk involved, I embrace the challenge of selling my work in this way. I never want to stop working with my galleries. This is different. The world’s changing, ultimately I need to see where this road leads”120 (Hirst). (Dopo il successo della vendita all’asta di Pharmacy, io sentii immediatamente il desiderio di fare un’altra vendita all’asta. È un modo democratico di vendere arte e sembra una naturale evoluzione per il mercato dell’arte contemporanea. Anche se effettivamente si corre dei rischi. Io abbraccio la sfida di vendere così il mio lavoro in asta. Ciononostante voglio assolutamente continuare a lavorare con le mie gallerie. Ma questo è diverso. Il mondo sta cambiando. E io ho sempre più bisogno ultimamente di vendere dove questa strada conduce). Complessivamente in sala sono stati presentati centosessantasette lotti, venduti in diversi momenti delle due giornate: il primo giorno, nella sessione serale, sono state messe all'asta circa quaranta opere tra le più importanti, mentre il giorno dopo, nella sessione diurna i lavori presentati sono stati quelli più accessibili, come ad esempio i disegni, con un valore stimato più contenuto. L'asta ha incluso anche quattro lavori i cui proventi erano destinati alla beneficenza e sono: • Beautiful Love Demelza Painting with Beautiful Butterflies (lotto 30, valutazione: €320,000-480,000) venduto a beneficio di Demelza, casa di cura per bambini; • Beautiful Love Survival Painting with Beautiful Butterflies (lotto 8, valutazione: €320,000-480,000) venduto a beneficio di Survival International; • Beautiful Love Strummerville Painting with Beautiful Butterflies (lotto 109, valutazione: €320,000-480,000) venduto a beneficio di Strummerville – fondazione Joe Strummer per la nuova musica; • Beautiful Love Kids Co Twenty-Five to Ten Painting with Beautiful Butterflies (lotto 209, valutazione: €320,000-480,000) venduto a beneficio di Kids Company – fondata nel 1996 da Camila Batmanghelidjh; 120 Ivi. 86 • Bill with Shark (lotto 203, valutazione: €160,000-240,000) un dipinto ad olio, basato sulla fotografia di Jean Pigozzi che ritrae Bill Gates mentre osserva lo squalo in formaldeide di Hirst, venduto a beneficio della Fondazione Bill & Melinda Gates. Il valore complessivo dei lotti era stimato intorno ai 65 milioni di sterline (circa 81 milioni di Euro) e, nonostante la recessione economica mondiale ormai incombente, la speranza dell'artista era di riuscire a vendere tutto. “È un gioco assai complicato. Ne è cosciente Hirst: «Ci sono sempre speranze e timori. La mia speranza più grande è quella di vendere tutto. Sì, certo, proprio tutto. Ma d' altro canto è pur vero che in definitiva, se le cose dovessero andare male, questa esperienza sarà servita in ogni caso ad aprire una nuova strada. Avrà pur sempre cambiato il mondo,il mondo dell' arte. Lo avrà cambiato e ne avrà spalancato le porte»" 121. E così è stato, l'asta ha registrato un record storico mai raggiunto prima nel mercato dell'arte, vendendo tutti i lotti per un incasso complessivo pari a 112 milioni di Sterline, circa 140 milioni di Euro. La cifra raggiunta era grande più del doppio rispetto alle stime fatte dagli esperti Sotheby's. L'ultimo record relativo ad un asta pubblica dedicata ad un singolo artista, fu quello del 1993, con 20 milioni di Dollari di incasso, dove ad essere vendute furono le opere di Picasso. La scelta di rivolgersi a Sotheby's fu dettata dalla volontà di continuare un rapporto già ben solido e di una relazione speciale tra l'artista e la casa d'asta che vide la luce già 4 anni prima, nel 2004. In quell'anno all'asta furono proposti i rimanenti cimeli artistici (come gli arredi e il mobilio) del ristorante Pharmacy, chiuso nel 2003, disegnati direttamente da Hirst, totalizzando un incasso pari a 11 milioni di Sterline (circa 8 milioni di Euro) contro una valutazione di 3,5. In quella occasione Sotheby's non pretese alcuna percentuale e l'incasso, al netto delle tasse d'acquisizione andò tutto nelle tasche di Hirst, così come è avvenuto anche per l'asta del 15 e 16 settembre 2008. 121 P. Vagheggi, Damien Hirst una..., cit.. 87 Bypassando le gallerie Hirst ha così potuto evitare la loro percentuale sulle vendite che generalmente si aggira intorno al quaranta o cinquanta per cento, così l'enorme incasso derivante dall'asta milionaria è arrivato all'artista per l'intero importo. “A chi lo ha accusato di essere troppo attaccato al soldo, Hirst ha risposto che l'idea di vendere è nata dalla necessità di liberarsi di opere che, pur se realizzate assieme a 180 assistenti negli ultimi due anni, appartengono al «periodo giovanile». «È giunto il momento di occuparmi di altro, non farò più, ad esempio, collage di farfalle. Questo è un modo di voltare pagina». A 43 anni, sottolinea, sa di non essere immortale. Ha bisogno di rinnovarsi. L'aspetto commerciale è importante, precisa. «Il fatto che queste opere abbiano un loro valore sul mercato le fa sembrare particolarmente vive. L'importante è che siano sempre i soldi a inseguire l'arte, e non il contrario»” 122. Sempre sulla questione del suo rapporto con i soldi e la popolarità Hirst ha aggiunto: “«Frank Dunphy, il mio business manager, mi ha sostenuto, letteralmente, mentre affrontavo la cosa. Penso che gli artisti abbiano sempre grossi problemi con i soldi. È una regola! Gli artisti sono artisti: ciò che vogliono davvero è dipingere. E tutti sono alla ricerca del prossimo Van Gogh, o di qualcosa che non costi un centesimo e valga un milione. Warhol è stato il primo a rendere accettabile che gli artisti pensassero ai soldi. Ma da un certo punto di vista è come se Warhol non ci fosse mai stato. Prima di lui e dopo di lui è come se gli artisti abbiano sempre pensato che i soldi arrugginiscono l' arte. Ma l' arte adesso è più popolare. Per quanto mi riguarda, penso che gli artisti debbano affrontare la questione soldi». Ancora sull'argomento, in parte contraddicendosi Hirst aggiunge: «Credo di aver avuto, da sempre, la paura innata che forse l' arte potesse alla resa dei conti svanire in una nuvoletta di fumo. La paura di scoprire che i soldi sono più importanti o più travolgenti, più potenti. Io faccio "pit art" in cambio di soldi. Non posso farci niente. Questo è il genere di cose che mi passano per la testa. Io faccio "pit art" in cambio di soldi per una specie di scommessa. Spero sempre che per me i soldi restino al secondo posto e l' arte al primo, questo è un dato di fatto. Ma se dovessi scoprire che i soldi sono più importanti e più potenti, allora l' arte dovrebbe dileguarsi. Quindi è una scommessa stupida da fare per un artista, da un certo punto di vista. Ecco perché credo di avere un istinto irrefrenabile ad 122 P. De Carolis, E Hirst vince la sfida: asta da record, in “Corriere della Sera”, 16 settembre 2008. 88 allontanarmene, la cosa mi spaventa. Se dovessi perdere il coraggio, allora sarebbe come ammettere che i soldi sono più importanti. Insomma, io provo il desiderio istintivo di cambiare le cose. Nel bene come nel male. Del resto, io ho soltanto 43 anni e mi trovo in questa posizione incredibile, affascinante. È come se mi chiedessi: "Che cosa pensi di fare adesso? Startene seduto ad ammuffire?»”123. Ma come mai un record così eclatante? Dove ha origine? È il termometro oggettivo della qualità delle opere o è il sistemico risultato di un processo che implica particolari condizioni psicologiche? Per capire come in questo tipo di eventi le quotazioni subiscano delle brusche esplosioni, è necessario descrivere come funzionano le aste nel mercato dell'arte contemporanea. Innanzitutto è doveroso precisare e sottolineare dove l'asta è avvenuta: presso Sotheby's. La casa d'aste londinese, insieme a Christie's (anch'essa nata a Londra) rappresenta sicuramente la punta di diamante del sistema aste nel mondo dell'arte e inoltre, insieme, compongono un forte duopolio difficile da scardinare, un nucleo inavvicinabile, capace di dissuadere ogni forma di concorrenza. L'unica casa d'aste che ha un rilievo vicino alle due sopracitate è la newyorkese Phillips de Pury & Luxemburg, rappresenta il terzo posto nell'ordine gerarchico di importanza, ma rimane comunque ad un livello inferiore e non incarna un brand così forte e riconosciuto come le due storiche case d'aste inglesi. Phillips de Pury & Luxemburg, in realtà, non si pone a diretto confronto con Christie's e Sotheby's, come ha fatto, senza successo, in passato, ma cerca ora di distinguersi puntando soprattutto a divenire il vertice della sua nicchia di mercato e cioè quella dell'arte emergente, favorendo compratori giovani, alla loro prima apparizione nel mondo del collezionismo, offrendo loro opere con la “vernice fresca”124. Christie's e Sotheby's, invece, rappresentano l'ultimo stadio di legittimazione per un artista, il riconoscimento finale; si pongono quindi nell'ultima fase di maturazione della carriera artistica, il mercato dell'arte emergente si profila, per esse, come una nicchia di second'ordine. Operano, quindi, soprattutto nel mercato secondario, dove qui risultano 123 P. Vagheggi, Damien Hirst una..., cit.. 124 D. Thompson, Lo Squalo da…, cit., p. 137. 89 “le strutture finanziariamente e strategicamente più potenti”125. Sono entrambe nate a Londra, ma hanno tutte e due un'importante sede anche a New York, sono posizionate, sostanzialmente, nei due maggiori centri dell'arte contemporanea. “Christie's e Sotheby's controllano l'80 per cento del mercato delle aste d'arte di primo livello, e hanno il monopolio quasi assoluto delle opere che vengono vendute al di sopra del milione di dollari”126. È quindi immediato intuire che ciò descritto è il caso di due case d'aste di brand. Sono entrambe brandizzate, dunque, e come ampiamente definito nel capitolo precedente, di per sé, già solo questa caratteristica permette di creare un forte valore aggiunto. La cupola mediatica di cui godono le case d'aste è unica nel mondo dell'arte, non ha eguali nel sistema artistico e tutto ciò, di riflesso si ripercuote, ovviamente, anche sulle opere oggetto delle aste. L'attenzione delle riviste e dei giornali (come ad esempio il New York Times) è incredibilmente ampia e concentrata, tanto da rendere le aste serali più un evento in senso lato che una semplice vendita di lotti. Ma in fondo è proprio così, un'asta da Sotheby's o Christie's (soprattutto quella serale) è un evento mondano, “un indicatore di status sociale”127 per chiunque vi partecipa, anche se non ha intenzione di acquistare. “Nell'arte contemporanea, il più grande valore aggiunto proviene dalle case d'aste brandizzate, Christie's e Sotheby's, che portano con sé status, qualità e compratori famosi che dispongono di ricchezze impressionanti. […] Cosa si spera di acquistare quando si fa un'offerta a una prestigiosa asta serale di Sotheby's? Un insieme di cose: un quadro, naturalmente, ma anche, possibilmente, un nuovo modo in cui gli altri ci vedono. Come Rober Lacey spiega nel suo libro su Sotheby's, si compra a un'asta per acquisire status e la conferma del proprio buon gusto”128. Ma più analiticamente, cos'è che in questi avvenimenti mette in moto l'esplosione delle quotazioni? I risvolti psicologici implicati nel funzionamento di un'asta sono la fetta sicuramente più determinante per quanto riguarda la formazione dei prezzi ed è per 125 F. Poli, Il sistema dell'arte..., cit., p. 79. 126 D. Thompson, Lo Squalo da…, cit., p. 131. 127 Ivi, p. 133. 128 Ivi, p. 18. 90 questo che le quotazioni formatesi in un'asta non sono di certo un indice sempre oggettivo della qualità delle opere. “Piuttosto che utilizzare un processo basato sul consenso per valutare uno sforzo artistico, un'asta sfrutta la competizione e l'ego dei compratori per raggiungere il più alto prezzo possibile”129. Più propriamente è il banditore che è chiamato a sfruttare questa leva, ed è lui il vero protagonista dell'asta, interpreta un ruolo essenziale e diversamente da come si potrebbe supporre, non è un semplice vigile dello svolgimento, un assistente che si limita ad accogliere le proposte di prezzo e aggiudicare l'asta. Il suo ruolo è più simile ad un vero e proprio direttore d'orchestra, che con la sua gestualità e la sua direzione determina la qualità dell'esecuzione orchestrale, così il battitore indirizza l'asta e ne determina l'esito finale. “Quando era direttore di Christie's Europe, Simon de Pury affermò: «Se vendessi lo stesso lotto per quattro volte con quattro diversi banditori d'asta, otterresti quattro pezzi finali differenti». Da Christie's, i banditori Christopher Burge e Jussi Pylkkanen, e da Sotheby's, Tobias Meyer e l'astro nascente Oliver Barker, sono tenuti in tale considerazione che la trattativa con chi vende può includere la garanzia che sia uno di loro a battere il lotto”130. Innanzitutto è importante che l'asta abbia inizio già in un clima di entusiasmo e in un'atmosfera euforica e per riuscire in ciò l'intervento della casa d'aste nei giorni precedenti l'evento è fondamentale, l'impegno per alimentare l'interesse e conservarlo vivo è massimo, è importante tenere alta l'attenzione mediatica, anche sfruttando il catalogo della mostra che sarà svelato in anteprima. Durante l'asta, per riuscire a convogliare l'andamento delle quotazioni sui binari voluti, “il battitore è in grado di utilizzare varie tattiche per far alzare i prezzi fino al livello voluto dal venditore (con cui si accorda preventivamente sul cosiddetto prezzo di riserva), attraverso false chiamate in sala o annunciando offerte per delega”131. 129 Ivi, p. 132. 130 Ivi, p. 161. 131 F. Poli, Il sistema dell'arte..., cit., p. 86. 91 Quindi, non sempre e non tutte le offerte sono reali, per far sì che il prezzo salga velocemente, anche e soprattutto oltre il prezzo di riserva, si stabilisce un meccanismo di false offerte, sia per suscitare l'interesse per i lotti che non ne stimolano, sia per mantenere continuo e acceso il clima incalzante che sempre caratterizza le aste maggiori. Da chi arrivano queste offerte non reali? Innanzitutto bisogna precisare che oltre ai presenti in sala, esistono altri due tipi di partecipanti: quelli collegati al telefono e quelli assenti. L'anonimato è la condizione essenziale, infatti, lasciando da parte i compratori più conosciuti che abitualmente partecipano a questi grandi eventi e sono pertanto facilmente riconoscibili, nessuno conosce chi fa offerte e per conto di chi, soprattutto è impossibile per chi è presente in sala, sapere chi c'è dall'altra parte della cornetta di un assistente della casa d'aste pronto a ricevere proposte d'acquisto (ammesso che siano reali) e tantomeno è possibile conoscere chi ha concordato precedentemente la propria offerta sull'agenda del banditore (partecipanti assenti). Le condizioni per proporre un'offerta falsa, sono quindi favorevoli, ed è ancora più semplice se è la stessa casa d'aste a promuoverle: sulla sua agenda, dove sono segnate le offerte dei partecipanti assenti, il banditore può leggere, per così dire, delle offerte non reali, al solo scopo di rilanciare un'asta il cui ritmo è diventato troppo lento. Oppure il collaboratore incaricato di ricevere tramite cornetta le offerte, può proporre un prezzo che in realtà non esiste, perché non esiste nessuno dall'altro capo del telefono. Sfruttando l'anonimato, il passo tra un'offerta vera ed una falsa è davvero breve, il venditore stesso, ovviamente interessato affinché la quotazione salga sempre più, può commissionare a qualcuno l'incarico di rilanciare in sala. Nell'intervista rilasciata dalla Gagosian Gallery, già proposta all'inizio di questo capitolo (reperibile sul sito web di Sotheby's, alla pagina relativa al catalogo dell'asta di Hirst) questo meccanismo è ammesso non troppo velatamente: “As Damien’s long-term gallery, we’ve come to expect the unexpected. He can certainly count on us to be in the room with paddle in hand”132. (Come galleria a lungo termine di Hirst, noi ci aspettiamo da lui l'inaspettato. Può certamente contare su di noi, saremo in sala con una paletta in 132 L'intervista è disponibile sul sito www.sothebys.com alla pagina relativa al catalogo dell'asta di Damien Hirst [Consultato nel mese di marzo 2010]. 92 mano). La paletta è ovviamente lo strumento utilizzato da colui che vuole rilanciare con una propria offerta e questa dichiarazione, probabilmente provocatoria e ironica (ma nulla vieta di pensare il contrario), sta ad indicare che la galleria sarà lì, pronta a sostenere i prezzi. Qualora non ci fosse un'atmosfera viva e un interesse animato, dunque, si attiverebbe il meccanismo delle offerte false che servono a mantenere il ritmo su un livello costante e stimolante, tutto ciò, ovviamente, affinché i prezzi salgano velocemente. Il sito arslife.com, un portale di critica ed economia dell'arte, ha pubblicato un elenco di nomi relativi agli acquirenti che si sono aggiudicati alcuni lotti dell'asta di Damien Hirst da Sotheby's. Un secondo elenco invece è relativo agli underbidder cioè a coloro che hanno rilanciato per la penultima offerta prima dell'aggiudicazione. L'elenco è il seguente (la lettera che segue il nome indica il numero del lotto): • Acquirenti: White Cube (1), Gilda Moratti (3), Alberto Mugrabi (20), Gary Tatinsian (22), White Cube (26), Jimmy LaHoud (28), LaHoud (29), Harry Blain (32), Gagosian Gallery (34), Moratti (35) Blain (36), Nick MacLean (38), White Cube (39), Andrea Caratsch (42), White Cube (46), Tatinsian (53), Blain (55), Gary Tatinsian (113), Anne Faggionato (115), White Cube (119), Tatinsian (136), Faggionato (145), Tatinsian (146), Faggionato (148), Fernando Mignoni (164), Christophe Van de Weghe (169), Tatinsian (171) Julian Treger (175), Tatinsian (209), Tatinsian (222), Mignon (240); • Underbidder: Mugrabi (4), White Cube (5), White Cube (11), Gagosian (13), Gagosian (16), Treger (19), Fernando Mignoni e LaHoud (20), Haunch of Venison (23), Haunch of Venison (24), White Cube (25), White Cube (27), Charles Booth-Clibborn (31), White Cube (36), Mark Fletcher (38), White Cube (40), Anthony d’Offay (46), Mark Fletcher (47), White Cube (48), White Cube (51), Kenny Schachter e Mugrabi (53), Christophe Van de Weghe (54), Mignoni (106), White Cube (110), White Cube (115), Mignoni (134), White Cube (135), Kenny Schachter (143), White Cube (155), Sofia Urbina (168), Tiqui Atencio (179), Manfredi della Gherardesca (205), Gherardesca (206), Booth-Clibborn (208), Ricahrd Balfour-Lynn (233), Urbina (239)133. 133 L'elenco è reperibile all'indirizzo: www.arslife.com. La fonte citata è un giornalista di cui però non è rivelata l'identità per cui non è una fonte pienamente attendibile, fatta eccezione per alcuni nomi, quelli più conosciuti come Jay Jopling (White Cube), la cui identità all'acquisto era nota [Consultato nel mese di maggio 2010]. 93 Il nome di White Cube (una delle gallerie che rappresenta Hirst) compare sia tra gli acquirenti, sia tra gli underbidder, tra questi ultimi è presente addirittura dodici volte. Compare anche la Gagosian Gallery (che rappresenta l'artista negli Stati Uniti) sia nella prima che nella seconda lista. Il conflitto di interessi è evidente, le gallerie di Hirst hanno partecipato attivamente all'asta perché un eventuale esito negativo della stessa avrebbe provocato una sensibile svalutazione della collezione di opere con firma Hirst posseduta dalle due gallerie. “«Credo che occorra un pizzico di coraggio o forse di follia per arrivare al punto da tagliarsi fuori dal giro delle gallerie [...]”134, così aveva dichiarato Damien Hirst alla vigilia dell'asta, ma le sue principali gallerie erano tutte presenti in sala, tutte e due con la paletta alzata e tutte e due con il principale interesse di sostenere i prezzi. La dichiarazione rilasciata dalla Gagosian Gallery, già proposta in precedenza, assume un significato preciso, conferma il meccanismo. “Un portavoce di White Cube dichiarava al 'The Times' che Jopling ha puntato su ben 20 dei 56 lotti in vendita lunedì sera. Le offerte di White Cube hanno aiutato a fare innalzare il prezzo del risultato più sorprendente di lunedì, un cabinet di acciaio contenente diamanti, Fragments of Paradise, venduto per 5.193.250 £, ben 4 milioni di £ al di sopra del prezzo iniziale di stima, ad un acquirente anonimo in lingua russa, al telefono con la rappresentante di Sotheby's Alina Davey”135. White Cube compare tra i partecipanti attivi un numero significativo di volte, ciò significa che ha inciso in maniera determinante sull'esito di un alto numero di lotti e quindi sul successo dell'intera asta. A differenza di quanto affermato da Hirst, quindi, le gallerie non sono state affatto tagliate fuori (per utilizzare i termini esatti della dichiarazione), bensì il loro intervento ha aiutato le quotazioni a rimanere sui livelli desiderati contribuendo, dunque, al successo dell'operazione. È sempre il banditore però ad avere la responsabilità di coordinare le offerte e di mantenere, attraverso le tecniche da lui conosciute, l'interesse sempre vivo ed un clima effervescente. “I banditori cercano sempre di trovare il giusto ritmo dell'asta, intervallando correttamente le offerte tra loro ogni secondo e mezzo o due, in pratica giusto il tempo 134 P. Vagheggi, Damien Hirst una..., cit.. 135 C. Zampetti, Hirst in asta supera Picasso, in “Il Sole 24 Ore”, 17 settembre 2008. 94 sufficiente per alzare la mano, ma non abbastanza per stare troppo a pensarci. Il ritmo incalzante invoglia a partecipare”136. Un banditore esperto e particolarmente carismatico, rappresenta in termini di risultati di vendita almeno il 10 per cento di margine aggiuntivo rispetto all'esito delle aste coordinate da battitori di minor caratura e arriva a questo risultato poiché è capace più di ogni altro di far leva, come già accennato, sulla competizione e l'ego dei compratori. Prima di approfondire questo discorso, è doveroso chiarire che anche nell'ambito (o forse soprattutto) delle aste entrano in gioco le caratteristiche del brand, più di quanto ci si possa aspettare. Il meccanismo che spinge un compratore a fare un offerta per un'opera brandizzata (o che riporta la firma di un artista di brand, o che risponde a tutte le caratteristiche spiegate nel capitolo precedente come la collezione da cui proviene, l'acquisizione da parte di un museo d'arte contemporanea ecc.) è legato al beneficio che egli ne trarrà in termini di status, di appartenenza ad una specifica classe sociale. La possibilità di esporre un quadro altamente riconoscibile appeso nella propria abitazione e di poterlo condividere, ostentare, è l'elemento certamente più importante, più di qualsiasi valutazione di carattere estetica o qualitativa. La brama del compratore è la forza motrice che spinge ad alzare sempre per ultimo la paletta delle offerte. Avendo pochi secondi a disposizione per via del ritmo incalzante tenuto vivo dal banditore, il compratore ha pochissimo tempo per formulare le sue valutazioni e decidere cosa fare, in una situazione del genere l'istinto prevale su qualsiasi forma di raziocinio. “Le quotazioni di molto lotti crescono proprio grazie a questioni di ego. È assolutamente scorretto pensare che la vendita all'asta, innescando meccanismi di concorrenza tra i compratori, finisca per assegnare il giusto valore agli oggetti. Quando ci sono due persone che desiderano lo stesso oggetto, l'obiettivo del banditore diventa quello di rinfocolare la sfida tra i due e farla durare più a lungo possibile cercando di evitare il ritiro di uno dei due rivali. Alcune frasi solitamente pronunciate da Pylkkanen – «Ultima offerta... Ne è sicuro? … Senza rimpianti?» - servono proprio a questo. Più 136 D. Thompson, Lo Squalo da…, cit., p. 169. 95 dura la fase dei rilanci, meno diventa importante il valore estetico dell'opera e più trionfano rivalità e competizione”137. Il nodo gordiano insito nell'ego, che spinge i compratori alla competizione è il rimpianto. Nella logica di una competizione ristretta, un ultimo rilancio potrebbe essere quello definitivo, quello vittorioso ed è così che le offerte si concatenano fino a che uno dei rivali cede. Il rimorso che deriva dalla sola idea che un ultimo rilancio avrebbe potuto aggiudicare l'asta è struggente, certamente non consolabile dalla certezza di non essersi impegnati al pagamento di una cifra considerevole. Date queste condizioni, le dinamiche di budget divengono immediatamente fragili: ogni compratore, prima di iniziare l'asta, decide la cifra massima che è disposto a spendere, ma se si spinge in questo vortice di competizione, è chiaro che la barriera del budget e il relativo limite psicologico crollano e a quel punto il prezzo è incontrollabile. L'aggiudicazione di The Kingdom, lo squalo in formaldeide presentato all'asta da Sotheby's, è avvenuta proprio a conclusione di una competizione tra due contendenti. La stima iniziale dell'opera era compresa tra 4 e 6 milioni di sterline, intorno ai 3,5 milioni i rilanci rallentarono sensibilmente, il ritmo si affievolì e il rischio che il lotto potesse essere aggiudicato ad una cifra di molto inferiore rispetto alla stima diventava sempre più concreto. La fase di impasse venne superata quando due contendenti iniziarono a rilanciare con un ritmo incalzante per prevaricare uno sull'altro finché la quotazione non raggiunse velocemente i 9.561.250 £ (circa 12 milioni di Euro), cifra alla quale il lotto fu aggiudicato. La sola logica che rimane valida, dunque, è quella della prevaricazione, l'aggiudicazione dell'asta supera ogni limite, la competizione si fa più dura e nessuno dei contendenti avrà, quindi, intenzione di rinunciare all'opera, emblema e trofeo della vittoria. Ovviamente, quanto detto è riferito solo a chi compra individualmente, per se stesso e non al compratore legato ad un museo o ad una galleria, il cui ruolo è specificamente relazionato agli interessi di un gruppo di persone (ad esempio il consiglio di amministrazione), in questo caso il budget stabilito rimane una barriera insormontabile, che, se viene superata, porta a conseguenze certamente non irrilevanti. 137 Ivi, p. 170. 96 In un contesto di forte competizione, quindi, il banditore cercherà di sfruttare nel migliore dei modi la sua posizione tentando di allungare per più tempo possibile la lotta all'aggiudicazione, diviene determinante la sua abilità dialettica, la sua gestualità e la capacità di entrare in empatia con i presenti in sala. “L'obiettivo di tutti i banditori è instaurare relazioni personali con i compratori. Durante l'asta Pylkkanen guarda in continuazione la sala in cerca di rilanci. […] I compratori più famosi li chiama per nome: «David, me ne dai tre e due [3,2 milioni di sterline]?». Per le ultime offerte una espressioni come: «Ti piace... Allora dammi quattro e cinque», oppure: «Vuoi lasciartelo sfuggire?» o, a un compratore ritiratosi: «Vuoi rientrare?»”138. Il banditore dev'essere bravo anche a leggere e a cogliere le sfumature dei movimenti, anche minimi, di chi ha di fronte in platea, che spesso comunicano informazioni preziose: “Christopher Burge sostiene ci sia un linguaggio del corpo che permette di comprendere quando qualcuno si accinge a fare un'offerta: si raddrizza sulla sedia e si aggiusta la cravatta, per esempio. Per Burge è utile leggere questi gesti per capire come procedere e come gestire i rilanci in prossimità della conclusione”139. Se il mezzo più comune e diretto per esprimere la propria volontà di acquistare è alzare la paletta, alcuni compratori, addirittura, concordano precedentemente con il banditore un codice comportamentale specifico, come muovere il capo in un determinato modo, oppure tenere le braccia conserte in un preciso momento, tutti segnali che il banditore deve tenere a mente e che sono indirizzati solamente a lui poiché fanno parte di una specifica strategia per mascherare le proprie mosse agli altri compratori. Norton Simon, importante industriale e collezionista statunitense del '900, a quanto si dice, usava una tattica alquanto originale e senza dubbio criptica e indecifrabile per indicare il suo interesse ad un lotto: uscire dalla sala. Era un modo per depistare gli altri compratori, che, abituati a fidarsi del suo gusto (fiducia di cui sempre godono i grandi collezionisti), avrebbero creduto che Simon non fosse interessato al lotto e di conseguenza avrebbero perso loro stessi l'interesse a fare offerte. Nel 138 Ivi, p.173. 139 Ibidem. 97 momento in cui rientrava in sala, automaticamente usciva dalla competizione, palesando al banditore il suo disinteresse. Altri compratori, quelli più importanti e più esperti, come Larry Gagosian, si distinguono dai novizi inesperti perché non entrano mai nella competizione durante i primi momenti dell'asta, generalmente non si lanciano subito con le offerte, lo fanno solo nel momento in cui a contendersi l'opera sono solo due persone. “Quando uno dei due sta per ritirarsi e l'altro inizia a rilassarsi e il banditore dice: «Ultima possibilità», allora il compratore esperto entra in gioco. Il più debole viene definitivamente estromesso e l'altro messo alle corde”140. Una tattica usata dalle case d'asta per stimolare l'interesse dei compratori verso un'opera e far sì che la quotazione salga conseguentemente è quella della referenza. Il banditore può presentare un lotto annunciando che esso “«è vincolato da una promessa di prestito fatta al MOMA (oppure alla Tate o al Centre Pompidou) per il prossimo settembre»”141. Ovviamente per il compratore sapere che quell'opera sarà esposta in un museo così prestigioso, sarà garanzia sufficiente di qualità e farà di tutto per aggiudicarsela. Ma la promessa di prestito può non pervenire dalla spontanea volontà del museo, è possibile che sia la stessa casa d'aste a proporre l'iniziativa al MOMA, alla Tate ecc., proprio per sfruttare il beneficio che ne deriva. La casa d'aste è quindi un soggetto attivo nel processo di asta, non rimane solamente una struttura neutra, un semplice vigile che controlla lo svolgimento e certifica il risultato dell'asta. La sua attività è talmente vincolata all'esito delle aste che a sua volta cerca in ogni modo di influenzarlo, il prestigio che una vendita record porta in termini pubblicitari è smisurato, ma soprattutto, un esito che non ha eguali nella storia, porta benefici ben comprensibili in termini di manifestazione del proprio potere nei confronti della concorrenza e in un duopolio ferrato come quello tra Christie's e Sotheby's l'esito delle aste è di vitale importanza. “Un caso clamoroso […] è stata la vendita, nel 1987 da Sotheby's, degli Iris di Van Gogh, che raggiunsero i 54 milioni di dollari. È venuto fuori dopo che il compratore, l'australiano Alan bond, era stato finanziato per metà del prezzo dalla stessa 140 Ivi, p. 174. 141 Ivi, p. 171. 98 casa d'aste (che per insolvenza dell'acquirente è diventata alla fine proprietaria dell'opera). Diventando sovente finanziatrici degli acquisti in vari modi (con forme di prestito diretto o facilitazioni di pagamento, o collaborando a operazioni con mercanti), le case d'asta non sono più semplicemente delle strutture di intermediazione, ma tendono ad accrescere il loro potere di controllo e gestione del mercato”142. Insomma, le aste sono tutto fuorché eventi chiari, che in sala o al telefono o sul libro del banditore ci sia una reale offerta non è dato a sapere, che chi alza la paletta sia un reale acquirente interessato all'acquisto oppure un incaricato direttamente collegato al venditore affinché tenga ben accesa la competizione non è possibile saperlo. La dichiarazione rilasciata dalla Gagosian Gallery appare come una confessione, è presumibile che abbia un'accezione ironica, tanto più che è trovabile direttamente sul sito della Sotheby's, ciò che è sicuro, invece, è che il meccanismo descritto esiste ed è utilizzato. Nel caso specifico relativo all'asta di Hirst non è possibile conoscere la maggior parte dei compratori poiché sono anonimi, le uniche sicure identità, importanti ai fini di questa trattazione, sono quelle di Jay Jopling (White Cube) e Gagosian, anche la galleria londinese Haunch of Venison, presente nell'elenco, ha collaborato spesso con Damien Hirst, ma potrebbe aver acquistato per interessi propri. Gli elementi certi che è possibile trovare nell'asta svoltasi nel settembre del 2008 sono ancora una volta, quelli legati al concetto di brand. Secondo Damien Hirst “«questa esperienza sarà servita in ogni caso ad aprire una nuova strada. Avrà pur sempre cambiato il mondo, il mondo dell'arte. Lo avrà cambiato e ne avrà spalancato le porte»" 143 è chiaro e altrettanto ovvio, invece, che un evento del genere è possibile promuoverlo solo da chi è all'apice della propria carriera, se un artista appena affacciatosi sul mercato proponesse un asta con lo scopo di vendere direttamente le proprie opere, senza aver avuto un'adeguata mediazione (con un incisivo inserimento nel mercato e un'efficace e determinante pubblicità), probabilmente troverebbe difficoltà a vendere anche solo un lotto, certamente non raggiungerebbe quotazioni elevate, ma nemmeno adeguate. 142 F. Poli, Il sistema dell'arte..., cit., p. 86. 143 P. Vagheggi, Damien Hirst una..., cit.. 99 La carriera di Hirst è stata ampiamente analizzata, rappresenta oggi il prototipo di artista di brand, è stato rappresentato e valorizzato da una vera e propria struttura che al giorno d'oggi si può dire sia la più potente e la più influente esistita nel mercato recente dell'arte contemporanea. Quando un'opera è firmata da un artista come Damien Hirst, assorbe implicitamente e per forza di cose il riflesso che gallerie come Gagosian e White Cube hanno impresso nella carriera dell'artista inglese. Se un collezionista come Charles Saatchi, il cui gusto è preso a riferimento dal resto del mercato, ha nella propria collezione opere di Damien Hirst, il prestigio che ne deriva si ripercuote su tutta l'opera dell'artista e diventa un sinonimo di valore. Se Damien Hirst, alla luce di queste considerazioni, propone un'asta con l'intenzione di vendere tutta la sua produzione saprà, contrariamente a quanto può dichiarare alla stampa, che l'esito sarà da prima pagina, l'unica variabile su cui può nascere un dubbio è a quanto ammonterà il record. Il record c'è stato, la certezza che questo evento cambierà radicalmente il presente e il futuro del mercato dell'arte contemporanea no, almeno non per tutti. 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