Comments
Description
Transcript
3 petrarca mosena
In «disarmato legno». Appunti su una figura e una metafora nel Canzoniere di Petrarca di Roberto Mosena In rima e in volgare nel Trecento si scriveva, in prevalenza, di cose d’amore. Già secondo il giudizio di De Sanctis1: «Malgrado l’esempio di Dante, non era ancora stabilito che in rima si potesse scrivere d’altro che di cose d’amore». Non sfugge alla regola il canzoniere d’amore per Laura. La storia raccontata da Petrarca, così, chiude idealmente il capitolo della lirica stilnovistica. Il libro, com’è noto, narra della lunga prigionia d’Amore del poeta, delle sue gioie e dei suoi dolori fino alla commiserazione di Laura, morta nell’anno terribile della peste, il 1348. Qui vogliamo concentrarci sul carattere del poeta, “vinto”, e su di una metafora cui spesso Petrarca si rivolge, soprattutto per indicare questo stato di sconfitta. Dopo il proemio iniziale, Petrarca comincia a fissare le coordinate del libro e decide di informarci di come Amore entri nel cuore e, con precisione, di quando ciò avvenga. Poi nel quarto e quinto sonetto ci rende noti il luogo e la data di nascita dell’amata. Il libro prende avvio con un buon corredo di informazioni, ma è necessario fermarci al secondo e al terzo sonetto. Amore attende per attaccare il poeta e lo fa, appunto, nel momento propizio, quando il poeta non è preparato per rispondere alla sua saetta, e viene colpito ove solea spuntarsi ogni saetta2. Prima di allora, se ne deduce, il poeta era sempre stato pronto a respingere l’attacco di Amore, ma questa volta non ebbe tanto né vigor né spazio che potesse al bisogno prender l’arme3, Petrarca dice di non aver avuto (supponiamo a differenza di altre volte) l’opportunità e il tempo necessario per armarsi o fuggire al riparo, rifugiarsi overo al poggio faticoso et alto 4 ovvero la Ragione, la razionalità che il poeta rivolto alle cose divine, alla contemplazione di Dio, esercita in una continua elevazione al di sopra delle cose mondane (come l’amore appunto, possibile solo verso Dio creatore del mondo, Le cui citazioni sono tratte da: F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, a cura di G. Contini, UTET, Torino 1981; dove il capitolo Il «Canzoniere» occupa le pp. 289-309. 2 RVF 2 8. Cito dall’edizione di Ugo Dotti (Donzelli, Roma 1996). 3 RVF 2 10-11. 4 RVF 2 12. 1 come ammonisce Agostino nel Secretum). Adesso vorrebbe liberarsi dallo strazio, ma gli riesce impossibile: ritrarmi accortamente da lo strazio del quale oggi vorrebbe, et non pò, aitarme5. Il tema è già qui tutto presente. Petrarca cerca di giustificare il proprio cedimento, dichiarandosi impreparato a rispondere. Facendone una questione di tempo in realtà vuole nascondere (come continuerà a fare) l’impotenza di Ragione contro Amore. Il dramma è, invece, molto più profondo. Il sonetto 3, dove il tema in questione è espresso in maniera ancor più chiara, riproponendo anche le metafore guerresche del sonetto precedente: Era il giorno ch’al sol si scoloraro per la pietà del suo factore i rai, quando i’ fui preso, et non me ne guardai, ché i be’ vostr’occhi, donna, mi legaro. Tempo non mi parea da far riparo contra colpi d’Amor: però m’andai secur, senza sospetto; onde i miei guai nel commune dolor s’incominciaro. Trovommi Amor del tutto disarmato et aperta la via per gli occhi al core, che di lagrime son fatti uscio et varco: però al mio parer non li fu honore ferir me de saetta in quello stato, a voi armata non mostrar pur l’arco 6. Ecco che, precisando il tempo del suo innamoramento, ci dice che non gli sembrava il momento di fare riparo contro gli attacchi d’Amore, non sospettava di doversi difendere e non se ne guarda, così iniziano i suoi “guai”: per non essere stato in guardia e per essersi fatto sorprendere. La condizione in cui Amore trova il poeta e lo prende è quella che abbiamo sottolineato in corsivo nel testo. Il poeta si trova «disarmato», impotente in tutto, senza armi da opporre all’amore. Preso nelle briglie, sa che la ragione non lo aiuterà nemmeno in futuro e tuttavia cerca di giustificare se stesso: non è con grande onore che Amore lo ha colpito con la sua saetta, mentre egli era in quello stato, «del tutto disarmato». Dunque, dal terzo brano di questo diario d’amore, Petrarca comincia a definirsi disarmato ed è un po’ come ammettere la propria sconfitta o la sconfitta di un sistema intero; la vittoria di Laura e di Amore sulla forza morale, sulla ragione, sulle capacità ascetiche del poeta che sarà roso dal germe del pentimento, sempre vagheggiato, ma mai realmente ottenuto. Il viaggio al centro di questa esperienza è fatto anche di orgoglio, Petrarca non può e non vuole ammettere più di quanto sia lecito. Il poeta è subito vinto perché disarmato nei confronti dell’amore. I suoi 5 6 RVF 2 13-14. RVF 3. desideri, allora, non sono più governati dalla ragione, non rispondono più e lui corre dietro a Laura che si dà alla fuga. La strada della temperanza, della ragione, del discernimento sembra, dunque, essergli ormai preclusa. Ed eccolo, infatti, esclamare: i’ mi rimango in signoria di lui7, rimango in balìa d’Amore, sono suo prigioniero. Il “disarmato”, infatti, diviene “prigioniero” e l’arte del poeta si esercita in maniera mirabile su questa condizione di prigionia dagli occhi di Laura, legato dai lacci d’amore e così via, in un susseguirsi di immagini che impreziosiscono il libro. Altre volte non lamenterà affatto la sua condizione: Laura è creatura “divina” ed egli dimentica di aver perso la strada sicura e aver imboccato quella della “perdizione” che tanto temeva all’inizio. Così in un madrigale: Nova angeletta sovra l’ale accorta scese dal cielo in su la fresca riva, là ’nd’io passava sol per mio destino. Poi che senza compagna et senza scorta mi vide, un laccio che di seta ordiva tese fra l’erba, ond’è verde il camino. Allor fui preso; et non mi spiacque poi, sì dolce lume uscia degli occhi suoi8. Come si legge, il poeta si definisce ancora disarmato, senza difesa, passava solo senza “scorta”. La condizione esistenziale e umana del disarmato si prolunga ben oltre nel testo, è una immagine o figura che si accompagna a quella del prigioniero ovunque nel libro, dove sembra di individuare il carattere del vinto, del disarmato, come quello più presente: la tinta cui più spesso Petrarca ricorre per difendersi, giustificarsi, descriversi e per celebrare, dopo il tiro giocato da Amore in avvio, la bellezza e le doti di Laura. Direttamente il sonetto successivo offre ancora dei versi che si ricollegano al tema. Qui il poeta non sa dove poter scampare, è vinto dagli occhi di Laura: Fuggir vorrei9: però confessa che volver non mi posso 10, cioè non si può volgere verso un luogo dove non ci sia quell’intensa luce. Non c’è scampo: RVF 6 10. RVF 106. 9 RVF 107 5. 10 RVF 107 10. 7 8 Solo d’un lauro tal selva verdeggia che ’l mio adversario con mirabil arte vago fra i rami ovunque vuol m’adduce11. Solo di Laura splende il mondo e Amore, suo «nuovo signore», porta ovunque il poeta, suo disarmato prigioniero. Gli esempi che si possono addurre come prove sono così espliciti che basteranno quelli già citati per convalidare non solo l’immagine del disarmato-prigioniero, ma anche ciò che essa implica a livello interno, nella coscienza dell’autore e nella struttura del Canzoniere: la vera sconfitta è la constatazione dell’impotenza di Ragione contro Amore, autentico dramma esistenziale per il poeta. Già De Sanctis sentì chiaramente quello che qui stiamo dicendo: In vita di Laura, sorge l’opposizione tra il senso e la ragione, tra la carne e lo spirito. […] Quello che sente è in opposizione con quello che crede. Crede che la carne è peccato; che il suo amore è spirituale; che Laura gli mostra la via che al ciel conduce; che il corpo è un velo dello spirito. […] Il suo amore non è così possente che lo metta in istato di ribellione verso le sue credenze, né la sua fede è così possente che uccida la sensualità del suo amore. […] Manca al Petrarca la forza di sciogliersi da questa contraddizione, e più vi si dimena, più vi s’impiglia. Il Canzoniere in vita di Laura è la storia delle sue contraddizioni. […] Dove è rappresentata la lotta interna tra la ragione e il senso, la ragione che parla e il senso che morde. […] Non c’è dunque nel Canzoniere una storia, un andar graduato da un punto all’altro; ma è un vagar continuo tra le più contrarie impressioni, secondo le occasioni o lo stato dell’animo in questo o quel momento della vita. Non ci è storia, perché nell’anima non ci è una forte volontà, né uno scopo ben chiaro; perciò è tutta in balìa d’impressioni momentanee, tirata in opposte direzioni12. Oltre l’immagine del disarmato è opportuno descrivere una metafora cara al poeta che la usa in più luoghi: la metafora dell’uomo innamorato e visto come una nave13. La metafora della navigazione amorosa assume un’importanza di rilievo nel Canzoniere, dove si piega a significare lo stato del poeta vinto, in balìa delle onde. Ecco, dunque, che Petrarca tocca terra ed è allegro del suo naufragio-sconfitta: Più di me lieta non si vede a terra RVF 107 12-14. Cfr. F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, cit. 13 Già usata con successo anche da Guido Cavalcanti (si veda G. Cavalcanti, Rime, a cura di L. Cassata, Donzelli, Roma 1995, in particolare il sonetto XLIV, v. 11: «lo core ardendo in la disfatta nave». La nave come metafora dell’esistenza, in questo sonetto d’amore per Pinella che dalle acque prende refrigerio, mentre Guido è una nave in fiamme. Oppure si veda Giacomo da Lentini nella famosissima Madonna, dir vo voglio dove scrive ai versi 48-54: «Omo che cade in mare, - a che s’aprende. / Lo vostro amor che m’ave / in mare tempestoso, / è si como la nave / c’a la fortuna getta ogni pesanti, / e campan per lo getto / di loco periglioso». Ma immagini del Canzoniere si trovano, com’è noto, anche altrove nel testo del siciliano, ad esempio in Meravigliosamente, vv. 58-60: «Davanti a la più bella, / fiore d’ogni amorosa, / bionda più c’auro fino»). 11 12 nave da l’onde combattuta et vinta14, Il naufragio è dolce al poeta, come per altri versi lo sarà al Leopardi, ma ciò che preme è la raffigurazione che egli dà di sé: si paragona a una nave combattuta e vinta dalle onde. Petrarca è sempre disarmato e vinto, come la nave in preda alla tempesta, ma è anche pronto a navigare e naufragare: presto di navigare a ciascun vento 15, La metafora della vita come navigazione assume una valenza esistenziale, vitanaufragio a indicare la sofferenza e le pene d’amore, ma anche la dolcezza e la bellezza della condizione di innamorato. Accade allora che il nostro cada: mi spinse, onde in un rio che l’erba asconde caddi, non già come persona viva16. Naufragio che si cela nell’erba. Petrarca desidera in diversi luoghi l’arrivo al sospirato porto. La vita, l’amore è un naufragio al quale egli non può sottrarsi perché disarmato, perché: Passa la nave mia colma d’oblio 17 nel celebre incipit di un sonetto, mentre in altro scrisse: O cameretta che già fosti un porto a le gravi tempeste mie dïurne18, La metafora della vita amorosa/tempestosa si somma a quella del disarmato e prigioniero, divenendo anch’essa tipica del libro. Forse il luogo in cui viene ripresa più scopertamente è nella seguente sestina: Chi è fermato di menar sua vita su per l’onde fallaci et per li scogli scevro da morte con un picciol legno, non pò molto lontan esser dal fine: però sarrebbe da ritrarsi in porto mentre al governo anchor crede la vela. L’aura soave a cui governo et vela commisi entrando a l’amorosa vita et sperando venire a miglior porto, poi mi condusse in più di mille scogli; RVF 26 1-2. RVF 63 13. 16 RVF 67 7-8. 17 RVF 189 1. 18 RVF 234 1-2. 14 15 et le cagion’ del mio doglioso fine non pur d’intorno avea, ma dentro al legno. Chiuso gran tempo in questo cieco legno errai, senza levar occhio a la vela ch’anzi al mio dì mi trasportava al fine; poi piacque a lui che mi produsse in vita chiamarme tanto indietro da li scogli ch’almen da lunge m’apparisse il porto. Come lume di notte in alcun porto vide mai d’alto mar nave né legno se non gliel tolse o tempestate o scogli, così di su da la gomfiata vela vid’io le ’nsegne di quell’altra vita, et allor sospirai verso ’l mio fine. Non perch’io sia securo anchor del fine: ché volendo col giorno esser a porto è gran vïaggio in così poca vita; poi temo, ché mi veggio in fraile legno, et più che non vorrei piena la vela del vento che mi pinse in questi scogli. S’io esca vivo de’ dubbiosi scogli, et arrive il mio exilio ad un bel fine, ch’i’ sarei vago di voltar la vela, et l’anchore gittar in qualche porto! Se non ch’i’ ardo come acceso legno, sì m’è duro a lassar l’usata vita. Signor de la mia fine et de la vita, prima ch’i’ fiacchi il legno tra li scogli drizza a buon porto l’affannata vela19. Testo esemplare e riassuntivo delle idee sopra accennate: la vita del disarmato si presenta come una pericolosa navigazione, tra scogli e affanni, con una vela stanca e un porto che non arriva mai, un viaggio, cioè, troppo faticoso per un “fragile legno”. La metafora che usa Petrarca è, come l’immagine precedente, una figura tipica del Canzoniere, che si piega a significare la difficile, dubbiosa esistenza del poeta che nella vita amorosa non trova le certezze cui era abituato nella vita precedente. Questa metafora si presenta come una scelta forte per rappresentare in concreto la vita amorosa come una difficile navigazione, presaga di tristi naufragi e scogli da superare. Ed è qui forse che Petrarca consuma lo stacco definitivo dallo Stilnovo. La scelta di questa idea del mare è determinante per rendere la sua riflessione sul proprio stato e la sua concezione della vita amorosa. Dall’antichità in avanti il mare ha sempre suscitato una paura incontrollabile nell’uomo, innumerevoli sono i proverbi che sconsigliano all’uomo di avventurarsi per mare, al punto che affidarsi al mare sembra una follia20. RVF 80. Scrive Jean Delumeau: «L’oceano ha per lungo tempo sminuito l’uomo, che si sentiva piccolo e fragile davanti ad esso e sopra di esso: ragion per cui la gente di mare veniva paragonata ai 19 20 Il poeta disarmato ha, dunque, l’intuizione di ambientare il suo libro oltre che nei boschi fitti di verdi lauri, anche per mare21. Egli stesso diventa la nave («fraile legno», «cieco legno»), il legno che sfida gli scogli e le onde, il mare procelloso. L’idea del mare suscitava probabilmente più ai suoi contemporanei che non a noi un sentimento di paura, il quale contribuiva a determinare con estrema esattezza le caratteristiche dell’amore concepito come pericolo e la dura condizione esistenziale entro cui si dibatteva Petrarca che come un legno navigava nell’alto mare aperto. Disarmato da Amore che vince Ragione, il prigioniero va per selve e per mare, ma il suo desiderio e la sua ricerca sono destinati a naufragare con Laura, mentre la ragione e la solitudine lo riporteranno a Dio. Le due terzine di un sonetto recitano componendo figura e metafora: Et io pur vivo, onde mi doglio et sdegno, rimaso senza ’l lume ch’amai tanto, in gran fortuna e ’n disarmato legno. Or sia qui fine al mio amoroso canto: secca è la vena de l’usato ingegno, et la cetera mia rivolta in pianto 22. Il Canzoniere è luogo di crisi del pensiero, crisi dell’interiorità del poeta e dell’uomo che compie la scelta stilistica di scrivere in volgare, che si affida al cuore e al destino abbandonando la ragione (nel suo giovanil errore). Luogo di crisi aperte, scelte poco risolute, quasi sempre pentite. Dice ancora De Sanctis: Se il poeta avesse avuto piena e chiara coscienza della sua malattia, di questa attività interna inutile e oziosa, una specie di lenta consunzione dello spirito, impotente ad uscir da sé e attingere il reale, avremmo la tragedia dell’anima, come Dante ne concepì la commedia, una tragedia, nella quale il medio evo avrebbe riconosciuto la sua impotenza e la sua condanna; tra’ dolori della contraddizione vedremmo il misticismo morire, spuntare l’alba della realtà, il senso o il corpo, proscritto e dichiarato il peccato, ripigliare la parte che gli tocca nella vita23. Ma qui si può aggiungere che proprio nel continuo barcamenarsi tra spirito e corpo, Petrarca scrive la tragedia della sua anima, mascherata e resa apparentemente lieve solo per virtù stilistiche e grazia compositiva. montanari e agli uomini del deserto. […] A partire da Omero e Virgilio fino alla Franciade e ai Lusiadi non vi è stato un poema epico senza qualche tempesta, che d’altronde è sempre stata in primo piano anche nei romanzi medievali (Bruto, Rou, Tristano, ecc.): la tempesta che all’ultimo istante divide Isotta dal suo amato». Si veda J. Delumeau, La paura in Occidente, SEI, Torino 1979, pp. 53-67. 21 Rinvio indicativamente a recenti studi sulla “geografia” petrarchesca: F. Calitti, Valchiusa «locus locorum», in Spazi, geografie, testi, a cura di S. Sgavicchia, Bulzoni, Roma 2003, pp. 9-29, e N. Longo, Petrarca: geografia e letteratura, Salerno Editrice, Roma 2007. 22 RVF 292 9-14. 23 Cfr. F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, cit.