Area condominiale, parcheggia l`auto impedendo l`uscita dei
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Area condominiale, parcheggia l`auto impedendo l`uscita dei
dottrina di Ugo Terracciano* Area condominiale, parcheggia l’auto impedendo l’uscita dei condomini: è violenza privata C C’è chi lo fa per dispetto, chi per tutelare (arbitrariamente) un suo preteso diritto. Fatto sta che l’auto può diventare anche strumento di violenza e coercizione nei riguardi del vicinato più prossimo e meno benvisto 20 ’è chi lo fa per dispetto, chi per tutelare (arbitrariamente) un suo preteso diritto. Fatto sta che l’auto può diventare anche strumento di violenza e coercizione nei riguardi del vicinato più prossimo e meno benvisto. E quale luogo, se non il condominio, può essere teatro ideale per agire – magari col sotterfugio - in danno del detestato coinquilino? La cassazione ci insegna, per esempio, che nel cortile condominiale, parcheggiando, si può infliggere al vicino di casa una piccola penitenza e poi tentare di camuffarla da semplice svagatezza. Ad una brava signora, però, un simile sgarbo è costato la condanna alla pena di trenta giorni di reclusione più le spese di risarcimento del danno. La singolare vicenda – su cui è intervenuta appunto la Cassazione con sentenza 1 febbraio 2011, n. 7592 – nata come una delle tante liti condominiali, era finita con una denuncia per violenza privata, e con le relative conseguenze di giustizia. Cos’era successo? La signora in questione era arrivata a casa. Nel cortile condominiale c’era l’auto di una vicina con la quale non correva buon sangue. E’ la classica occasione che fa l’uomo ladro: la signora accede al cortile, parcheggia di traverso e, se apparentemente si poteva dire che avesse solo parcheggiato male, di fatto così facendo aveva intenzionalmente murato l’uscita all’auto della dirimpettaia. Azione perfetta: all’apparenza una mera disattenzione, a voler proprio esagerare un comportamento inurbano, ma niente di censurabile sul piano legale. Cosa può capitare a chi parcheggia fuori posto in area privata? Impagabile, d’altra parte, il gusto di vedere la vicina agitarsi in trappola, tra la fretta di uscire, la rabbia più nera ed un incolmabile senso di insufficienza, disarmante per l’impotenza di fronte a ciò che si è costretti a subire. Forse è uno di quei casi nei quali a soddisfazione è postuma e si ottiene in Tribunale. E così è stato perché il gesto è costato non solo una condanna ma anche il risarcimento del danno. Secondo quanto accertato dal Tribunale, intenzionalmente parcheggiando la propria autovetturaall’interno del cortile condominiale in modo tale da impedire l’uscita di quella della vicina, e quindi omettendo, nonostante le ripetute sollecitazioni, di rimuovere detta autovettura, la signora aveva costretto la persona offesa a restare a lungo sul posto anziché allontanarsi, come essa avrebbe voluto, con il proprio automezzo. In termini giuspenalistici si chiama violenza privata. A difenderla era intervenuta la testimonianza della figlia che aveva riferito come la madre si fosse tanto affannata per cercare le chiavi dell’auto, avendo dimenticato dove le aveva riposte al rientro casa. Peccato che tutti gli altri condomini avevano concordato su un’altra versione: l’imputata aveva lasciato trascorre circa un’ora “senza scendere o anche solo affacciarsi per spiegare di aver smarrito le chiavi”; atteggiamento, questo, più che ragionevolmente ritenuto indicativo di una volontà tesa ad impedire alla vicina, almeno per un certo tempo, di allontanarsi, come ella avrebbe voluto, con la propria autovettura. Meno credibile invece la difesa della signora secondo cui si era convinta che il marito e il padre, presenti sul posto, avessero provveduto loro ad informare del momentaneo smarrimento delle chiavi la persona offesa. Insomma, mentre la vicina schiumava di rabbia, la signora non aveva avuto nemmeno la delicatezza di rassicurarla, spiegandole il contrattempo. Tanto è bastato per giungere alla conclusione che la macchina di traverso fosse stata posta intenzionalmente in danno della condomina. A spazzare via tutto questo ragionamento è infine intervenuta la prescrizione del reato, dato il lungo tempo trascorso. In Cassazione insomma il tutto si è ridotto ad un nulla di fatto. Niente più condanna, insomma, ma il principio resta. Del resto non si tratta della prima pronuncia in questo senso. La stessa Cassazione, con la sentenza 4 luglio 2005, n. 24614 aveva condannato per lo stesso reato un automobilista che, parcheggiata l’auto in doppia fila era rimasto inerte di fronte alle sollecitazioni di chi l’aveva invitato a spostarsi per consentirgli l’uscita dallo spazio di sosta regolare. Vero è che abbiamo avuto qualche decisione anche di segno opposto. Per esempio assolto il conducente di un trattore che, del tutto intenzionalmente, aveva bloccato una macchina sbarrandole la strada su un tratturo. In quel caso, la Cassazione non aveva ravvisato gli estremi della violenza privata perché, se costrizione c’era stata, mancavano i presupposi della violenza o minaccia necessari ad integrare la fattispecie penale (Cass. Sez. V pen., 30.9.1998). Alla base di questa visione si pone l’idea che l’inerzia non contiene in sé quella violenza o minaccia che rappresentano gli elementi tipici di questo reato. Peccato che la giurisprudenza abbia elaborato, invece, il concetto di “coazione indiretta” cioè imposta anche per inerzia. Non deve del resto nemmeno trattarsi necessariamente di una forza compulsava, invincibile, una vis maior cui resisti non potest. Secondo la Cassazione (Cass. Sez. V pen. Sentenza 17.12.2003), anche trattenere una persona per le spalle, impedendole di entrare in una cabina telefonica, integra gli estremi dell’art. 610 del codice penale. A proposito di violenza privata perpetrata con “l’arma” dell’auto, con la sentenza 14 dicembre 2010, n. 44016 la quinta Sezione Penale aveva condannato un conducente che postosi all’inseguimento ha tentato di speronare un altro automobilista per costringerlo a fermarsi. Con la decisione 11 febbraio 2011, n. 5142 la Corte è intervenuta sul caso di un automobilista che per auto tutelare un suo preteso diritto aveva parcheggiato l’auto di traverso per impedire l’accesso della vicina. Infine, sul caso specifico del parcheggio selvaggio in area condominiale ricordiamo che la Cassazione aveva lasciato già il segno qualche anno fa, con la sentenza16 maggio 2006 n. 16571. Nella circostanza l’imputato, introdottosi con la propria vettura, nell’altrui area condominiale, aveva parcheggiato il mezzo in modo tale da impedire l’uscita sulla pubblica via all’auto della parte offesa, rifiutando di spostarsi una volta invitato da quest’ultima. Nel reato di violenza privata - aveva già ricordato la Cassazione - il requisito della violenza, ai fini della configurabilità del delitto, si identifica con qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente della libertà di determinazione e di azione l’offeso, il quale sia, pertanto, costretto a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà. L’intenzione di mantenere il proprio veicolo – parcheggiato irregolarmente in un’area condominiale alla quale non aveva diritto di accedere - in modo tale da impedire ai condomini di transitare per uscire sulla strada, rifiutando reiteratamente di liberare l’accesso, e addirittura pretendendo “con evidente protervia ed arroganza” che la persona offesa attendesse secondo proprie necessità, basta per integrare la violenza quale normativamente prevista. * Funzionario della Polizia di Stato e Docente di Politiche della Sicurezza Presso l’Università di Bologna 21