...

Le fonti di finanziamento dell`impresa alla luce

by user

on
Category: Documents
11

views

Report

Comments

Transcript

Le fonti di finanziamento dell`impresa alla luce
Le fonti di finanziamento
dell’impresa alla luce
della teoria delle opzioni
Alessandro Mauro
Scuola Superiore Enrico Mattei
Ottobre 1998
______________________________
Scuola Superiore Enrico Mattei
Piazza Santa Barbara, 7
20097 S. Donato M.se (MI)
Italia
tel. ++39 - 2 - 52058962
fax ++39 - 2 - 52058937
email: [email protected]
Electronic copy available at: http://ssrn.com/abstract=1023161
Sommario
Sommario
Premessa
2
Aspetti introduttivi sul contratto di opzione
4
La parità tra l’opzione put e l’opzione call
9
Una interpretazione delle fonti di finanziamento dell’impresa 11
La formula di Black-Scholes
16
La volatilità del valore dell’impresa
20
Il processo stocastico del valore dell’impresa
23
L’azione vista come opzione composta
29
Una estensione: differenti priorità del debito
33
Un’altra estensione: il debito garantito
40
Conclusioni
42
Bibliografia
44
1
Electronic copy available at: http://ssrn.com/abstract=1023161
Premessa
Premessa
Ogni decisore, nel momento in cui effettua una scelta, predilige un piano di
azione tra tutti i possibili. In effetti, una scelta è tale solo quando si possa decidere
tra due o più alternative. Sino al momento della decisione, varie possibilità, ovvero
opzioni, sono quindi disponibili. Rimanendo ad un livello così astratto, queste
affermazioni sono ovviamente banali. Invece, in campo economico, esse sono state
formalizzate e sono oramai innumerevoli le situazioni di cui si è svelata la natura
opzionale. In alcuni esempi l’applicazione è scontata, in altri è meno immediata.
Tra questi ultimi è da comprendere senz’altro il caso delle fonti di
finanziamento dell’impresa: una società di capitali, quando indebitata, può scegliere
se ripagare o meno il debito, in base ad un puro calcolo di convenienza. Questa
idea, a priori sterile, diventa feconda qualora la si innesti nella moderna teoria delle
opzioni. Si getta così nuova luce sulla posizione degli stakeholders principali della
società, cioè gli azionisti ed i creditori, arrivando a fornire una valutazione
economica dei rispettivi diritti nonché dell’impresa nel suo complesso. Il
chiarimento e l’approfondimento di tale approccio alle fonti di finanziamento
dell’impresa costituisce lo scopo di queste pagine. Appare utile, prima di iniziare la
trattazione vera e propria, delineare brevemente i contenuti.
Nella prima parte si chiarisce cosa debba intendersi per contratto di opzione,
sottolineandone alcune caratteristiche fondamentali. Ciò permette di iniziare a
sviluppare l’idea di base, sino ad introdurre una nuova visione del capitale proprio e
del capitale di debito dell’impresa.
Nella seconda parte si spiega come sia possibile valutare una opzione.
Sebbene il taglio divenga necessariamente più quantitativo, le conclusioni che si
traggono sono interessanti e permettono di apprezzare pienamente la validità
dell’approccio. Non si trascura, inoltre, di discutere alcuni problemi che sorgono
qualora si voglia utilizzare operativamente la teoria delle opzioni in questo ambito.
2
Premessa
Con la terza ed ultima parte si intende dare maggiore realismo alla
costruzione teorica. Questo ulteriore passo consente di analizzare strutture
finanziarie più complesse, vale a dire in cui coesistono debiti con scadenze diverse,
ovvero in cui vi sia un ordine di priorità nel rimborso, oppure in cui una parte del
debito abbia una garanzia.

Ringrazio il Prof. Renato Rizzini per tutti gli utili suggerimenti .... senza
dimenticare la paziente rilettura del lavoro. Un ringraziamento va anche a Matteo
Manera (Università Comm.le “L. Bocconi”) ed Axel Pierru (Istituto Francese del
Petrolio). La responsabilità per gli errori rimane ovviamente personale.
3
Aspetti introduttivi
Aspetti introduttivi sul contratto di opzione
L’opzione è un contratto che ha le seguenti caratteristiche: l’acquirente di
una opzione ha il diritto di acquistare o vendere una quantità di una determinata
attività finanziaria ad un prezzo prefissato, entro o ad una data scadenza.
Delineiamo gli aspetti fondamentali presenti in qualunque contratto di questo tipo,
per poi passare agli aspetti più specifici che costituiscono il tema di questo scritto.
Introduciamo, quindi, le principali definizioni comunemente utilizzate.
 Holder dell’opzione
L’acquirente del diritto
 Writer dell’opzione
Il venditore del diritto
 OPZIONE CALL
L’holder ha il diritto di acquistare
 OPZIONE PUT
L’holder ha il diritto di vendere
 Attività sottostante
Titolo o titoli che è possibile acquistare/vendere
 Prezzo di esercizio
Prezzo a cui è possibile acquistare/vendere
 Scadenza
Data in cui cessa il contratto di opzione
 OPZIONE EUROPEA
Il diritto può essere esercitato solo alla scadenza
Il diritto può essere esercitato in qualunque data
sino alla scadenza
 OPZIONE AMERICANA
L’holder di una opzione “call” potrà acquistare l’attività sottostante se pagherà il
prezzo di esercizio. La controparte è rappresentata dal writer della call: egli dovrà
vendere all’holder l’attività sottostante qualora questi decida di esercitare l’opzione.
Nel caso di opzione “put”, invece, l’holder è detentore del diritto di vendere
l’attività sottostante al writer della put e quest’ultimo riceverà in cambio il prezzo di
esercizio. E’ dunque chiaro che mentre l’holder (parte attiva), acquistando uno dei
due tipi di opzione, diventa detentore di un diritto, il writer (parte passiva) dovrà
sottostare alle decisioni dell’holder e concludere lo scambio qualora quest’ultimo lo
decida.
Limitando l’analisi alle sole opzioni europee, cerchiamo di comprendere in
quali casi convenga all’holder esercitare l’opzione ed in quali altri invece convenga
lasciare che l’opzione scada non esercitata. La seguente tabella racchiude
4
Aspetti introduttivi
sinteticamente tutti i casi possibili, la scelta più conveniente per l’holder ed il
relativo guadagno che egli consegue.
CALL
PUT
S* > E
S* < E
esercita
(S *  E )
non esercita
0
non esercita
0
esercita
(E  S *)
S* : prezzo dell’attività sottostante alla scadenza dell’opzione
E : prezzo di esercizio dell’opzione
E’ evidente che, se a scadenza S*>E, all’holder converrà esercitare l’opzione call,
perché così facendo potrà acquistare l’attività sottostante ad un prezzo (E) inferiore
al valore corrente di tale attività (S*). Egli, ad esempio, potrebbe rivendere
immediatamente su base spot tale attività e guadagnare lo spread S*-E. Il contrario
accadrebbe se l’holder esercitasse quando S*<E, in quanto egli realizzerebbe una
perdita; in questo caso quindi non vi sarà esercizio e non vi sarà né una perdita né
un guadagno. Spesso si indica concisamente il guadagno conseguibile dall’holder
della call nel seguente modo
max  S *  E , 0
Vale invece il discorso opposto qualora l’holder abbia acquistato una
opzione put. Infatti, avendo egli il diritto di vendere al writer l’attività sottostante al
prezzo di esercizio (E), è chiaro che troverà conveniente esercitare solo qualora
S*<E, potendo così vendere l’attività ad un prezzo superiore al suo valore corrente
di mercato. Nel caso in cui invece S*>E, egli lascerà cessare il contratto senza
esercitare. Nuovamente è possibile dare la seguente espressione concisa del
guadagno per l’holder della put
max  E  S *, 0
5
Aspetti introduttivi
Spostando adesso l’attenzione sul writer dell’opzione, la sua posizione è
sintetizzata nella seguente tabella, in cui si ribadiscono le azioni dell’holder.
S* > E
CALL
PUT
S* < E
l’holder esercita
l’holder non esercita
(E  S *)
0
l’holder non esercita
l’holder esercita
(S *  E )
0
1
Come vediamo, la posizione del writer è subordinata alla scelta dell’holder .
Siccome l’holder eserciterà solo quando potrà conseguire un guadagno, al meglio il
writer non realizzerà né un guadagno né una perdita, altrimenti subirà un perdita,
che rappresenta allo stesso tempo il guadagno dell’holder. Sottolineiamo perciò che
la posizione del writer è esattamente simmetrica a quella dell’holder.
Sinteticamente, la perdita che il writer della call potrà subire è la seguente
min  E  S *, 0
invece la perdita per il writer della put è
min  S *  E , 0
In sintesi, l’holder di una opzione, male che vada, non realizza né un
guadagno né una perdita, altrimenti realizza sicuramente un guadagno. Invece il
writer al meglio non perde niente, altrimenti subisce una perdita. Questa asimmetria
è insita nel contratto di opzione: l’holder ha solo il diritto (e non il dovere ) di
esercitare l’opzione, mentre il writer ha il dovere di eseguire lo scambio attività
sottostante-prezzo di esercizio qualora l’holder lo richieda. La scelta del writer di
sottostare a questo obbligo non è irrazionale, in quanto alla stipula del contratto di
opzione l’holder consegna al writer una somma di denaro nota come premio, che
rappresenta quindi il prezzo del contratto.
1
Fra breve mostreremo che la subordinazione del writer alle scelte dell’holder viene ricompensata.
6
Aspetti introduttivi
Tenendo perciò conto dell’esistenza del premio, dobbiamo riscrivere
correttamente i guadagni e le perdite conseguibili dai due soggetti nel contratto di
opzione, così come mostrato nella successiva tabella.
CALL
PUT
HOLDER
max  S *  E  c ,  c
max  E  S *  p ,  p
WRITER
min  E  S *  c ,  c
min  S *  E  p ,  p
c : premio opzione call; p : premio opzione put
Uno strumento molto utile per descrivere graficamente la posizione
dell’holder e del writer nel contratto di opzione è il grafico dei payoff, che, in
funzione del prezzo dell’attività sottostante a scadenza (S*) esprime il guadagno o
la perdita dei due soggetti. Per iniziare, mostriamo il grafico dei payoff per l’holder
dell’opzione call.
Guadagno
Holder della Call
0
|
E+c
S*
Perdita
-c
E
|
Notiamo come, per S*<E, anche se l’holder lascerà estinguere l’opzione
senza esercitarla, egli comunque incorrerà in una perdita dovuta al premio pagato
per acquistare l’opzione. Per valori di S* superiori a E sarà conveniente l’esercizio,
ma solo quando S*>E+c egli potrà guadagnare, in quanto sarà più che compensato
sia del prezzo di esercizio che del premio pagati. Si noti infine che, mentre la
perdita dell’holder della call è limitata al premio di esercizio pagato, il suo
guadagno è potenzialmente illimitato, in funzione del valore S* che l’attività
sottostante assumerà a scadenza.
7
Aspetti introduttivi
Analogamente mostriamo il grafico dei payoff per il writer dell’opzione
call.
Guadagno
Writer della Call
+c
|
E
E+c
|
S*
Perdita
0
Il grafico mostra nuovamente la perfetta simmetria tra le posizioni dei due soggetti.
Il writer incasserà sicuramente il premio c e quindi, per S*<E, egli realizzerà un
guadagno, in quanto l’holder della call non eserciterà l’opzione. Al contrario, se
S*>E, l’holder eserciterà. Il guadagno del writer si assottiglierà, fino a divenire
negativo per S*>E+c. Specularmente rispetto all’holder, il writer ha un guadagno
massimo limitato, mentre la sua perdita è potenzialmente illimitata.
Passiamo adesso all’analisi grafica relativa alla opzione put. Il seguente è il
grafico dei payoff per l’holder della put.
Guadagno
Holder della Put
0
|
S*
Perdita
E-p
-p .......................
E
|
L’holder della put pagherà senz’altro il premio p. Per valori di S* superiori
ad E non eserciterà, in quanto cederebbe al writer l’attività sottostante ad un prezzo
(E) inferiore al valore corrente di mercato S*. Invece, per S*<E, egli eserciterà il
8
Aspetti introduttivi
diritto; realizzerà un guadagno per S *  E  p , potendo così recuperare anche il
premio p pagato.
Il guadagno massimo dell’holder della put è limitato e ciò in quanto deve
essere S*  0 . Quest’ultima affermazione, a sua volta, è legata alla responsabilità
limitata degli azionisti nelle società di capitali.
Infine mostriamo il grafico dei payoff per il writer della put.
Guadagno
Writer della Put
S*
Perdita
+p ........................
E-p
|
|
0
E
Ancora una volta si noti la simmetria con la posizione dell’holder. Inoltre, a
differenza del writer della call, la perdita massima per il writer della put è limitata.
La parità tra l’opzione put e l’opzione call
Come si ricorderà, la asimmetria di diritti tra l’holder ed il writer
dell’opzione fa si che esista un prezzo, il premio, che l’holder dovrà pagare al writer
alla stipula del contratto.
Vogliamo adesso analizzare la natura di tale premio, iniziando con
l’evidenziare una relazione che sussiste tra il premio della call e quello della put e
che, tra l’altro, dimostra che il valore di mercato dei due premi non coincide.
Supponiamo di formare un primo portafoglio composto vendendo una
opzione call ed acquistando una unità dell’attività sottostante, ad esempio una
9
La parità put-call
2
azione; la tabella seguente mostra il valore odierno del portafoglio . Alla scadenza
T dell’opzione, l’azione acquistata avrà un valore S*. Per quanto riguarda l’opzione,
se S*>E l’holder eserciterà la call ed il portafoglio subirà una perdita pari a S *  E ;
in totale il portafoglio varrà E. Se invece S*<E, la call non verrà esercitata ed il
valore del portafoglio sarà in totale S*.
valore
valore
primo portafoglio
secondo portafoglio
cS
p  Ee  rT
se S* >E
S *  (S *  E )
E
se S* <E
S*
E  (E  S *)
Oggi
in T
Costruiamo adesso un secondo portafoglio, composto vendendo una opzione
3
put e dando a prestito una somma di denaro pari a Ee  rT . Tale prestito è supposto
essere privo di rischio di insolvenza e di durata pari alla scadenza dell’opzione (T).
A scadenza si avrà quindi una entrata di cassa certa e pari al valore nominale E del
prestito concesso. Per quanto riguarda la put venduta, se S*<E, essa verrà esercitata
dall’holder ed il portafoglio subirà una perdita pari a E  S * . In totale il
portafoglio varrà quindi S*. Se invece S*>E, la put non verrà esercitata ed il valore
del portafoglio sarà E. Tali considerazioni sono riportate sinteticamente nella
tabella.
Come si sarà notato, i due portafogli hanno valore identico a scadenza,
indipendentemente dal valore di S*. Appare ovvio pensare che, per evitare
possibilità di arbitraggio, i due portafogli dovranno avere un valore identico anche
4
al momento in cui vengono formati . Dobbiamo cioè concludere che
2
3
4
Le uscite di cassa e le posizioni lunghe (creditorie) hanno segno negativo, le entrate di cassa e le
posizioni corte (debitorie) hanno segno positivo.
Se si suppone che una quantità monetaria avrà valore pari ad E al tempo T, il suo valore attuale
(cioè odierno) è pari alla somma di denaro qui data a prestito, in un regime di capitalizzazione
continua degli interessi; r rappresenta il tasso di interesse, mentre e è il numero di Nepero, pari a
circa 2,72.
Nella accezione più semplice, il termine “arbitraggio” indica una operazione che consiste
nell’acquisto di una o più attività finanziarie e nella simultanea vendita, al fine di guadagnare la
differenza positiva (se esiste) tra prezzo di vendita e prezzo di acquisto, senza sopportare alcun
rischio. In mercati efficienti queste opportunità, quando si creano, vengono velocemente annullate
10
La parità put-call
c  S  p  Ee  rT
equazione nota come “parità put-call”, esprimendo il rapporto che intercorre tra i
premi dei due tipi fondamentali di opzione.
Tale parità può essere riespressa in vari modi. Ad esempio possiamo scrivere
c  p  S  Ee  rT
Perciò, come preannunciato all’inizio del paragrafo, in generale i premi dei due tipi
di opzione non coincidono. Inoltre vale anche
c  S  P   Ee  rT
e quindi acquistare una azione, una opzione put e vendere una opzione call è
equivalente a dare a prestito una somma di denaro pari a Ee  rT ; tale prestito è non
rischioso, cioè verrà sicuramente rimborsato a scadenza. Abbiamo costruito, in
sostanza, una posizione priva di rischio (o portafoglio coperto) a partire da
strumenti finanziari rischiosi. Ciò lascia intravedere le potenzialità delle opzioni
nella modificazione dei profili di rischio degli investitori.
Una interpretazione delle fonti di finanziamento dell’impresa
Nei precedenti paragrafi abbiamo delineato i tratti fondamentali del contratto
di opzione. A questo punto l’analisi potrebbe svilupparsi in svariate direzioni, la cui
semplice elencazione richiederebbe alcune pagine. Vogliamo invece concentrare
l’attenzione sullo specifico argomento che sarà il tema della trattazione per i
successivi paragrafi. Si tratta di una reinterpretazione delle passività emesse da una
dalla variazione dei prezzi. È perciò una ipotesi comune, nella moderna teoria della finanza,
supporre che non esistano opportunità di arbitraggio nei mercati finanziari.
11
Fonti di Finanziamento
passività emesse da una impresa in termini di contratto di opzione.
Come sappiamo, l’impresa si finanzia emettendo principalmente due tipi di
passività: capitale proprio, fornito dagli azionisti, e capitale di debito, fornito dai
creditori. Le differenze tra i due tipi di capitali sono profonde, poiché l’insieme dei
diritti/doveri afferenti gli azionisti è sostanzialmente diverso da quello che riguarda
i creditori. Fondamentalmente, e semplificando al massimo, gli azionisti hanno la
possibilità di gestire la società, ne sono i proprietari, mentre i creditori
semplicemente forniscono delle somme di denaro con la speranza che vengano
restituite ed adeguatamente remunerate. Tuttavia, se gli affari non andranno bene,
potrà accadere che le attività dell’impresa non saranno sufficienti ad onorare i diritti
dei creditori. In tale evenienza gli azionisti potranno avvalersi di un principio
fondamentale valido per le società di capitali, vale a dire la responsabilità limitata
alle somme conferite: i creditori non potranno rifarsi dei propri diritti sul
patrimonio personale degli azionisti, ma dovranno spartirsi quanto resta del
patrimonio della società. I conferimenti degli azionisti rappresentano una sorta di
perdita massima in cui essi possono incorrere partecipando alla società.
Introduciamo alcune semplificazioni allo scopo di sistematizzare quanto
affermato. Supponiamo che l’insieme del capitale di debito dell’impresa sia di un
unico tipo, zero-coupon bond, vale a dire una obbligazione che non paga cedole e la
cui remunerazione è legata alla differenza positiva tra valore di rimborso e valore di
emissione; indichiamo il primo con D. Alla scadenza T del debito, l’insieme delle
attività dell’impresa avrà un valore V*. Se avverrà che V*<D, la società non potrà
ripagare il debito; i creditori non potranno rifarsi sul patrimonio personale degli
azionisti, trattandosi di società con responsabilità limitata, ma si approprieranno del
valore residuo dell’impresa V* mediante una procedura di fallimento. Se invece
V*>D, la società potrà rimborsare il debito ed il valore che residuerà dopo tale
pagamento sarà di pertinenza degli azionisti. È facile concludere che la ricchezza
dei due gruppi è quella rappresentata nella seguente tabella.
ricchezza
azionisti
V* > D
debito rimborsato
V* < D
debito non rimborsato
(V *  D)
0
12
Fonti di Finanziamento
ricchezza
creditori
D
V*
V* : valore dell’impresa alla scadenza del debito
D : valore di rimborso del debito
Concentrando l’attenzione sugli azionisti, possiamo esprimere la loro ricchezza, alla
scadenza del debito, nel seguente modo
max V *  D, 0
Si tratta cioè del payoff ottenibile acquistando una opzione call in cui, come
abbiamo già detto, l’attività sottostante sia rappresentata dall’insieme delle attività
dell’impresa, ed il prezzo di esercizio sia il valore di rimborso del debito. Perciò, da
questo punto di vista, gli azionisti di una società di capitali sono assimilabili agli
holder di una opzione call, la quale permetta di acquistare l’intero patrimonio di
un’impresa ripagando il debito emesso. Alla luce di questa nuova interpretazione,
riassumiamo la nuova notazione nella seguente tabella.
VECCHIA
NOTAZIONE
NUOVA
NOTAZIONE
Attività
S
V
sottostante
(Azione)
(Impresa)
E
(Valore di rimborso del debito)
c
(Valore dell’azione)
Prezzo di
esercizio
Premio
dell’opzione
D
S
Si noti che adesso il premio dell’opzione call diviene il valore di mercato
dell’azione stessa, avendo appurato che la posizione degli azionisti è equivalente a
quella dell’holder di una call scritta sul valore V dell’impresa.
La posizione dei creditori, così come risulta dalla tabella della pagina
precedente, sinteticamente si esprime come min V *, D , ovvero equivalentemente
V *  min D  V*, 0 
13
Fonti di Finanziamento
I creditori, quindi, hanno acquistato la proprietà dell’impresa e hanno allo stesso
tempo venduto una call sul valore dell’impresa agli azionisti; questi ultimi potranno
riacquistare la proprietà dell’impresa pagando il valore nominale D del debito, e lo
faranno qualora V*>D. Otteniamo una conclusione in contrasto con la prospettiva
tradizionale con cui si guarda alle passività dell’impresa: gli azionisti non sono più i
proprietari dell’impresa (in quanto questa è stata venduta ai creditori), pur
conservando una opzione che permette di riaquistarla.
Con la parità put-call è possibile esprimere in un modo diverso la posizione
dei due gruppi. Utilizzando la nuova notazione, per gli azionisti vale la seguente
 S =  V  p  De -rT
Da quest’altro punto di vista, gli azionisti tornano ad essere proprietari
dell’impresa, avendola acquistata al prezzo V. Essi hanno anche ricevuto un
finanziamento (privo di rischio) dai creditori, pari al valore attuale di quanto sarà
rimborsato a scadenza ( De  rT ). Tuttavia ciò non basta a descrivere il rapporto
azionisti-creditori, in quanto il credito in realtà non è privo di rischio. Gli azionisti
hanno infatti acquistato dai creditori anche una opzione put, che permette loro di
cedere la proprietà della società ad un prezzo pari al valore di rimborso del debito
(D). Essi eserciteranno la put qualora V*<D.
Anche per i creditori la parità put-call permette una reinterpretazione della
posizione, in quanto
V  S = p  De -rT
La parte nuova è il lato destro dell’equazione. Il credito concesso alla società, come
già detto, è rischioso in quanto potrà non essere ripagato in pieno. Possiamo quindi
dire che i creditori hanno erogato un prestito non rischioso ( De  rT ) ma allo stesso
tempo hanno venduto agli azionisti una put che, se da questi esercitata, obbliga i
creditori ad acquistare la proprietà pagando un prezzo D (che non è altro che il
14
Fonti di Finanziamento
mancato rimborso del debito). Riassumiamo i risultati ottenuti nella tabella della
pagina successiva.
Siamo così in grado di tracciare alcune conclusioni. Grazie a questo
approccio opzionale alle passività dell’impresa, abbiamo fatto un passo avanti verso
una rappresentazione più compiuta della realtà, introducendo l’elemento
fondamentale rappresentato dal fattore rischio. Dobbiamo infatti sottolineare come
l’ipotesi di credito/debito non rischioso sia una astrazione eccessiva.
AZIONISTI
CREDITORI
Acquirenti opz. call
Proprietari impresa
+
Venditori opz. call
Interpretazione con la parità put-call
Proprietari impresa
+
Debitori
+
Acquirenti opz. put
Creditori
+
Venditori opz. put
Se accettiamo che gli azionisti dell’impresa siano soggetti che hanno come
obiettivo la massimizzazione del proprio benessere, allora sceglieranno in ogni caso
la condotta più conveniente e quindi anche il default sul debito. Come può notarsi, i
creditori, in effetti, non danno in prestito all’impresa l’intero valore attuale del
valore nominale del debito, in quanto contestualmente essi ricevono il premio per
l’opzione put venduta. Quindi, a parità di valore di rimborso (eventualmente)
ricevuto, essi oggi danno a prestito una somma di denaro inferiore rispetto al caso di
debito senza rischio. In totale, quindi, il tasso di interesse che tiene conto della
rischiosità del prestito (“tasso rischioso”) è più alto del tasso di interesse privo di
rischio e ciò riflette il rischio che i creditori effettivamente sopportano. La
differenza tra il primo ed il secondo tasso è comunemente detta “premio per il
rischio”, e quindi possiamo scrivere
Tasso rischioso 
 Tasso privo di 


 rischio : r 
+
 Premio per il


 rischio

15
Fonti di Finanziamento
Per valutare il premio per il rischio, e quindi il tasso di interesse rischioso, l’unica
incognita è rappresentata dal premio dell’opzione put (essendo il valore attuale del
debito già noto). Nel prossimo paragrafo presentiamo un modello che valuta il
premio delle opzioni call e put.
16
Formula di Black-Scholes
La formula di Black-Scholes
La reinterpretazione delle fonti di finanziamento dell’impresa che abbiamo
proposto precedentemente non ha scopo puramente speculativo. A partire da questo
paragrafo vogliamo infatti mostrare l’utilità di un tale approccio.
5
F. Black e M. Scholes, in un famoso contributo , hanno ricavato una
formula, oramai identificata con il loro nome, che permette di calcolare il valore di
una opzione call europea. Essi stessi hanno proposto l’applicazione di tale formula
alla valutazione del capitale proprio e del debito dell’impresa. Le premesse sono
quelle delineate nel paragrafo precedente; il valore S del capitale proprio, secondo
la formula di Black-Scholes, risulta essere
S  V N d 1   De  rT N d 2 
dove V è il valore di mercato del totale delle attività dell’impresa, D è il valore
nominale del debito che dovrà essere rimborsato alla scadenza T, d 1 e d 2 sono due
funzioni di V , D, T , r , V  , r rappresenta il tasso di interesse privo di rischio,  V è
lo scarto quadratico medio di V ed è una misura della rischiosità totale delle attività
6
dell’impresa .
La formula matematica riportata ha una semplice spiegazione intuitiva.
Infatti, se l’esercizio di questa opzione da parte degli azionisti fosse certo, il valore
di S sarebbe semplicemente V  De  rT , cioè il valore odierno dell’impresa meno il
valore attuale del debito che gli azionisti dovranno rimborsare per riappropriarsi
dell’impresa. Tuttavia, siccome l’esercizio non è certo, tale valore deve essere
ponderato nel modo mostrato dalla formula di Black-Scholes.
Dobbiamo notare che la formula fornisce anche il valore di una singola
azione, in quanto questo non è altro che il valore S del capitale proprio diviso per il
5
6
Black-Scholes (1973).
La formula di Black-Scholes originale, cioè quella che valuta una opzione call europea, è la
seguente:
c  S N d 1   Ee  rT N d 2  , ed ovviamente si ottiene da quella di cui sopra,
semplicemente tornando alla vecchia notazione (vedi pag. 13).
16
Formula di Black-Scholes
numero di azioni emesse. Perciò parleremo indifferentemente di valore del capitale
proprio o di valore dell’azione.
Così come avviene per le opzioni standard, anche per il capitale proprio
interpretato in termini opzionali è utile una analisi di sensitività che evidenzi come
varia il valore dell’azione al variare di uno dei parametri che ne influenza il valore,
ceteris paribus. Con la nomenclatura solitamente utilizzata, possiamo affermare

S
0
D

" Rho" 



7
S
0
r
S
" Theta" 
0
T
S
" Delta" 
0
V
S
" Vega" 
0
 V
Le prime tre derivate parziali toccano la struttura finanziaria dell’impresa.
La riduzione del valore nominale D del debito ovvero l’accrescimento del tasso r
privo di rischio oppure una scadenza T del debito più lunga, accrescono la ricchezza
degli azionisti. Questi risultati sono coerenti con quelli che si ottengono dal Capital
Asset Pricing Model (C.A.P.M.).
Allo stesso tempo, il valore dell’azione aumenta all’aumentare del valore V
dell’impresa oppure quando la rischiosità delle attività si accresce; questo risultato,
che può apparire singolare, sarà commentato più avanti. Con la figura seguente,
ottenuta utilizzando nuovamente la formula di Black-Scholes, otteniamo una
rappresentazione grafica dei segni delle derivate di cui sopra.
7
Tali derivate parziali sono calcolabili a partire dalla formula di Black-Scholes. Si veda HayatPoncet-Portait (1993), pp.320-322.; Cox-Rubinstein (1985), p.221.
17
Formula di Black-Scholes
V
S
SD
SC
SB
SA
V
Qui sono riportati quattro differenti valori dell’azione, S A  S D , che
corrispondono a quattro differenti valori della volatilità
 A   D , con
 V A   V B   V C   V D . La linea in grassetto rappresenta il valore di V. Si può
affermare che
i)
Il valore dell’azione cresce quando il valore dell’impresa aumenta.
ii) Se la rischiosità dell’impresa è più grande, l’azione vale di più, perché
S A  S B  SC  S D per qualunque valore di V.
iii) Con una volatilità molto alta (è questo il caso di  V D ) la crescita di S, a
seguito della crescita di V, diviene pressoché lineare.
iv) Se  V   , S  V e quindi il valore dell’impresa tende a coincidere con la
ricchezza degli azionisti.
v) Per bassi valori della volatilità (nel nostro caso  V A ) se V cresce,
S  V  D e  rT  . In effetti, in questo caso il valore di V non muterà molto
sino alla scadenza e, se è alto, il rimborso diviene certo ed anche il valore del
capitale proprio è deterministico. Se invece, al contrario, la volatilità è alta (per
esempio  D ), allora S  V  D e  rT  solamente per valori di V veramente
alti, vale a dire quando V   . Altrimenti, il valore di V non è sufficiente a
garantire il pagamento del debito, perché vi è l’incertezza dovuta alla grande
rischiosità dell’impresa.
Per quanto riguarda il punto ii), dobbiamo notare che i creditori non saranno
favorevoli all’accrescimento della rischiosità dell’impresa. Infatti, in tal caso, la
probabilità che la società non ripaghi i propri debiti tende ad aumentare. Gli
18
Formula di Black-Scholes
azionisti (ovvero, in loro vece, i manager), dopo l’emissione del debito,
prediligeranno tuttavia la scelta dei progetti più rischiosi. Infatti, grazie alla
responsabilità limitata, gli azionisti si approprieranno dei vantaggi di tale politica
(possibile valore V dell’impresa molto alto), mentre non ne sopporteranno gli
svantaggi (possibile valore V molto basso). Questo fenomeno è conosciuto con il
8
nome di “problema di sostituzione delle attività” ed è un tipo di “moral hazard”.
Le diverse clausole che limitano la libertà degli azionisti (o meglio del
management) nella gestione dell’impresa hanno spesso lo scopo di limitare la
probabilità che tali soggetti intraprendano scelte contrarie agli interessi dei creditori.
La formula di Black-Scholes può essere utilizzata in diversi modi. Si
supponga che siano noti il valore nominale D del debito, la sua scadenza T, il tasso
privo di rischio r, la volatilità  V del valore dell’impresa. Allora, conoscendo il
valore del capitale proprio (S), utilizzando la formula possiamo conoscere il valore
di mercato dell’impresa (V); vale anche il caso opposto, cioè conoscendo V
possiamo calcolare S. In effetti, la variabile che con più probabilità si conosce è S, e
quindi possiamo risolvere implicitamente, con l’ausilio di un calcolatore, la formula
per avere una stima di mercato del valore V delle attività dell’impresa.
Tuttavia, anche se non conosciamo il valore di V, possiamo ricorrere a delle
stime. Ad esempio, Modigliani e Miller hanno sostenuto che il valore dell’impresa
non indebitata è semplicemente la somma scontata di tutti i dividendi futuri e
questo valore è lo stesso per l’impresa indebitata, se non esiste tassazione (cd.
proposizione I di Modigliani-Miller). Quindi, stimando per tale via V, si può
calcolare S con la formula e tale valore può essere confrontato con il vero valore di
mercato, se le azioni dell’impresa sono ammesse alla quotazione in una borsa
valori.
Infine, se assumiamo che il valore della impresa è pari al valore di mercato
di tutti i titoli che essa ha emesso, possiamo affermare che V=B+S. Sostituendo
nella formula di Black-Scholes, otteniamo la valutazione di mercato del debito, vale
a dire
8
“Asset substitution problem”. Si veda Jensen-Mekling (1976).
19
Formula di Black-Scholes
B  V N   d1   De  rT N d 2 
Da ciò risulta evidente che il valore B del debito è una combinazione lineare
delle somme, opportunamente ponderate, che i creditori potranno ottenere in caso di
pagamento del debito (cioè D) oppure in caso di fallimento (cioè V).
Il grafico seguente mostra i risultati di una simulazione ottenuta utilizzando
quest’ultima formula; i valori del debito BA  BD sono stati calcolati utilizzando
quattro
differenti
volatilità,
con
V A  V B  VC  V D.
Siccome
BA  BB  BC  BD , si dimostra effettivamente l’esistenza del problema di
sostituzione delle attività. I valori del debito coincidono per valori di V molto bassi
oppure molto alti. Infatti, nel primo caso è pressoché sicuro che il debito non sarà
ripagato, indipendentemente dal valore della volatilità; nel secondo caso, al
contrario, il debito sarà sicuramente ripagato e quindi il suo valore odierno tende a
De  rT .
B
BA
BB
BC
BD
V
La volatilità del valore dell’impresa
Sino ad ora non abbiamo menzionato il problema più importante in vista
della utilizzazione pratica della formula di Black-Scholes, vale a dire il problema
della stima della volatilità del valore della attività sottostante il contratto di opzione
(nel nostro caso la volatilità  V del valore dell’impresa). Si tratta di una variabile
20
La volatilità
che non può essere osservata direttamente ed il cui valore non è costante nel corso
del tempo.
Una delle ipotesi del modello di Black-Scholes è invece proprio la
conoscenza del valore della volatilità (almeno da parte di alcuni investitori), e la
costanza di tale valore. Non possiamo non notare, perciò, che la realtà si discosta
sensibilmente da tali assunzioni. Gli studiosi hanno elaborato diverse soluzioni che
tentano di risolvere tali problemi. Qui ci concentriamo sui metodi di stima della
9
volatilità .
Un primo metodo consiste nella stima della volatilità per mezzo del calcolo
10
dello scarto quadratico medio a partire da dati storici , in questo modo ottenendo
una stima campionaria. Lo stimatore non distorto dello scarto quadratico medio di
11
V ha formula
 V 
1
n1
n
 (V
i
 V )2
i 1
dove n rappresenta il numero di osservazioni disponibili e V il valore medio
assunto da V nel campione osservato.
È possibile utilizzare questo metodo solo se l’attività sottostante è quotata in
qualche mercato, in quanto solo in questo modo è possibile avere dei dati storici.
Perciò non possiamo ottenere una stima campionaria per il valore delle attività
dell’impresa, per il quale infatti non disponiamo di una serie di prezzi di mercato.
Quindi, per il nostro approccio, questo primo metodo è inutilizzabile.
12
Un secondo metodo è quello detto della volatilità implicita . La volatilità
implicita è quel valore della volatilità che risolve la formula di Black-Scholes
9
Non tratteremo metodi econometrici di stima, quali sono il EWMA (Exponentially weighted moving
average) ed il GARCH (Generalised autoregressive conditional heteroskedastic).
10
11
Vedere, per esempio, Hull (1997), pp.232-235.
Tale formulazione, in effetti, trascura il fatto che la formula di Black-Scholes presuppone una
particolare distribuzione di probabilità per il valore dell’attività sottostante. Per approfondimenti si
veda Cox-Rubinstein (1985), p.255 e ss..
12
Il primo contributo sull’argomento si trova in Latané-Rendleman (1976).
21
La volatilità
quando i valori delle altre variabili (S,V,D,T,r) sono noti. Per esempio, supponendo
che il valore di tali variabili siano quelli riportati nella tabella seguente
S
V
D
T
r
4.000.000
10.000.000
7.000.000
1 anno
0,08
il valore della volatilità implicita di V risulta essere  V =0,52. È ovvio che,
sostituendo questo valore nel lato destro della formula di Black-Scholes, si ottiene
S=4.000.000.
Questo metodo incontra due ostacoli nella sua applicazione. Innanzitutto,
utilizzando opzioni scritte sulla stessa attività sottostante ma con diversi prezzi di
13
esercizio, si ottengono solitamente valori diversi della volatilità implicita , ed è
perciò necessario stabilire un criterio per aggregare tali valori in modo da ottenere
una stima unica della volatilità del valore di tale attività. Inoltre, ancora una volta, il
metodo presuppone la conoscenza del valore di mercato V e quindi è inapplicabile
al pari del primo metodo.
M.Brenner e M.G.Subrahmanyam
14
hanno sviluppato un terzo metodo che
potremo definire metodo dell’opzione “in the money”. Esso permette di calcolare
la volatilità del valore dell’attività sottostante se, tra le opzioni quotate, ve ne è una
quotata “in the money”, situazione in cui, secondo la definizione degli autori, il
prezzo dell’attività sottostante è uguale al valore attuale del prezzo di esercizio. In
tal caso è possibile calcolare esplicitamente una formula per la volatilità:
V 
S
2
V t
15
Si tratta di un metodo molto pratico , che però richiede la conoscenza del
valore dell’attività sottostante e quindi nuovamente non è utilizzabile per il valore
dell’impresa: si avrebbe una sola formula per stimare V e  V . Solo se disponiamo
13
14
15
Problema noto come “volatility smile”.
Brenner-Subrahmanyam (1988).
In quanto non richiede la risoluzione implicita della formula di Black-Scholes. Tale metodo può
essere esteso ad opzioni che non sono quotate esattamente “in the money”; si veda Chance (1996).
22
La volatilità
di quotazioni per S e B possiamo conoscere il valore V, utilizzando l’uguaglianza
V=B+S.
In conclusione, alla luce della descrizione fatta dei tre metodi, l’unica
possibilità di avere una stima della volatilità  V del valore dell’impresa sembra
essere legata alla conoscenza di tutte le altre variabili che entrano nella formula di
Black-Scholes, vale a dire S,V,D,T,r. I problemi più grossi riguardano V e T, ma
16
ipotizzando che il debito sia costituito unicamente da uno zero-coupon bond
e
qualora si abbia una stima del valore di tale debito, V può essere sostituito da B+S,
17
così risolvendo il problema .
Una volta nota la volatilità del valore dell’impresa, questa potrebbe essere
utilizzata per diversi scopi. Solo per fare un esempio, si potrebbe pensare di
effettuare dei confronti intertemporali (collegando i cambiamenti della volatilità a
fattori endogeni ovvero esogeni all’impresa), oppure dei confronti tra imprese dello
stesso settore al fine di ottenere una stima quantitativa della diversa rischiosità degli
asset.
Il processo stocastico del valore dell’impresa
Vogliamo adesso evidenziare alcuni passaggi chiave che portano alla
formula di Black-Scholes, senza comunque entrare nella difficile derivazione
matematica.
La valutazione dell’opzione (call) è ottenuta costruendo un portafoglio
composto dal titolo sottostante, cioè l’azione, e la call. Con l’opportuna scelta delle
quantità dei due titoli si può fare in modo che l’evoluzione del valore del
portafoglio sia non stocastica, con ciò replicando l’evoluzione del valore di un titolo
privo di rischio; le quantità dei due titoli presenti nel portafoglio vanno
16
17
Cfr. p.12.
È quello che fa C.C.Hsia, il quale, per calcolare la scadenza T del debito ricorre al concetto di
“duration”. Si veda Hsia (1991).
23
Il processo stocastico
continuamente aggiustate, comprando quantità aggiuntive di un titolo e vendendo
quelle dell’altro. Per evitare opportunità di arbitraggio tra il portafoglio così
composto e titolo privo di rischio, bisogna imporre che le evoluzioni del valore dei
due siano identiche. Tale condizione porta ad ottenere un equazione differenziale
che, una volta risolta, dà la formula cercata, così definendo un prezzo per l’opzione.
In realtà, si può mostrare che il portafoglio di cui sopra può contenere due
titoli qualsiasi tra i tre (azione, opzione, titolo non rischioso) in quanto comunque,
con l’opportuna scelta delle quantità, è possibile replicare istantaneamente
l’evoluzione del valore del terzo titolo. Nel nostro caso, tuttavia, abbiamo un grado
di libertà in meno. Infatti le attività dell’azienda non sono tradable, cioè non sono
scambiate con frequenza in un mercato organizzato. Quindi, se l’attività sottostante
è costituita dall’insieme delle attività che compongono l’impresa, il portafoglio
replicante può essere costituito esclusivamente dal titolo privo di rischio e
18
dall’azione, e replicare l’evoluzione del valore dell’impresa .
Dobbiamo sottolineare che l’eliminazione di opportunità di arbitraggio tra
attività sottostante, opzione e titolo privo di rischio di per sé non porta alla formula
di Black-Scholes. Infatti, un altro pilastro della derivazione della formula è
rappresentato dalla specificazione formale della evoluzione del valore dell’attività
sottostante, vale a dire, qui, del valore dell’impresa. Per questo i due autori
ipotizzano una distribuzione di probabilità log-normale ovvero, in modo
equivalente, un rendimento istantaneo che segue un particolare processo stocastico,
chiamato moto browniano geometrico, che matematicamente si esprime nel
seguente modo
dV  Vdt   V VdW
18
Per approfondimenti, si veda Cox-Rubinstein (1985), pp.387-388. Per completezza dobbiamo
ricordare che esiste un metodo alternativo per la valutazione dei titoli derivati, che utilizza la teoria
delle martingale: la valutazione si ottiene semplicemente scontando i flussi di cassa attesi, questi
ultimi calcolati con una opportuna scelta della misura di probabilità. Per l’applicazione di tale
metodo al caso di Black-Scholes, si veda Hayat-Poncet-Portait (1993), pp. 296-298.
24
Il processo stocastico
ovvero, equivalentemente
dV
 dt   V dW
V
ed in cui  è il tasso di rendimento atteso (anche chiamato “deriva”), dt è un
piccolo intervallo di tempo, mentre  V continua ad essere la volatilità del valore V
dell’impresa, riferita all’intervallo di tempo dt . Se essa è nulla, il valore
dell’impresa è certo e si accresce al tasso capitalizzato nel continuo  , ovvero per
ogni istante T il valore dell’impresa risulta essere VT  V0 e T (con V0 il valore
all’istante iniziale). Tuttavia, normalmente, la volatilità è differente da zero, e
dunque l’evoluzione di V diviene stocastica, perché dW rappresenta un processo
stocastico di Wiener. Ipotizzare che l’evoluzione di V sia governata da un moto
browniano geometrico è una via intermedia tra due casi estremi: il perfetto
determinismo e la massima casualità. Il risultato è una particolare evoluzione
stocastica di V; tra le caratteristiche peculiari sottolineiamo la proprietà di
indipendenza tra gli incrementi di V: la probabilità che il valore di V si muova in
alto o in basso è indipendente da quanto è avvenuto nel passato.
Quanto detto può essere reso più evidente ricorrendo ad una simulazione. A
tal fine bisogna servirsi della versione in tempo discreto del moto browniano
geometrico, cioè
V   Vt   V V 
t
dove  è un campione casuale estratto da una funzione di densità di probabilità
normale standard (cioè con media nulla e varianza unitaria). Assumendo
(cioè il 10% annuo),  V =0,3 (cioè il 30% annuo), t=1/365, ed infine il
valore iniziale di V pari a 100, il grafico relativo alla simulazione per la durata di un
anno (365 valori) è il seguente
25
Il processo stocastico
Vt
140
130
0,3
120
110
0
100
90
80
tempo
Si può notare la differenza tra l’evoluzione non stocastica (linea retta,
 V =0) e quella stocastica governata dal moto browniano geometrico. In questo
secondo caso, il valore finale dell’impresa dopo un anno è più basso di quello di
partenza, in quanto è pari a circa 94. Se il valore nominale del debito fosse
superiore, per esempio 97, alla fine dell’anno questa impresa non ripagherebbe tale
debito. Infatti, come sappiamo, gli azionisti hanno acquistato una opzione che gli
permette di cedere ai creditori l’impresa ed in questo caso eserciterebbero tale
opzione. Questo risultato dipende sia dal particolare campione casuale utilizzato
(con un altro campione potrebbe non esserci default sul debito), sia dalla scadenza
del debito. Infatti per un lungo intervallo di tempo il valore dell’impresa si mantiene
superiore al valore nominale del debito: se il debito scadesse in quel periodo, esso
sarebbe ripagato.
Se invece l’evoluzione del valore dell’impresa fosse deterministica, il debito
verrebbe ripagato, in quanto il valore finale dell’impresa sarebbe pari a circa 110,5.
Il grafico, inoltre, mette bene in luce l’indipendenza degli incrementi in un
moto browniano geometrico. Spesso tale caratteristica può essere in realtà
indesiderata, in quanto può apparire più verosimile che le variazioni del valore V
dell’impresa siano tra loro correlate: in un periodo positivo per l’impresa, una
variazione positiva del valore sarà più probabilmente seguita da un’altra variazione
positiva.
Processi più complessi possono tenere conto di questa osservazione.
Introduciamo quindi il processo Ornstein-Uhlenbeck (che rientra nella classe dei
processi di “ritorno verso la media”), la cui formulazione matematica è la seguente
26
Il processo stocastico
dV   V  V  dt   V dW


In questo caso la deriva è proporzionale allo scarto V  V ; le variazioni
di V (cioè dV) saranno proporzionali allo scostamento che si è verificato,
nell’istante precedente, tra V ed il valore V : il valore V dell’impresa tende a
ritornare verso V . Tale tendenza è tanto più forte quanto più grande è il valore di
 (“velocità di richiamo”), ma è comunque resa stocastica dalla presenza del
processo di Wiener rappresentato da dW . Il caso limite in cui   0 può
rappresentare il caso di uno shock persistente al valore dell’impresa, caso in cui
esso non tende a tornare verso V , ma magari verso un nuovo V1 . Tale valore è una
sorta di “valore normale”, valore medio o valore di equilibrio dell’impresa che, solo
per fare un esempio, potrebbe essere rappresentato dalla somma scontata di tutti gli
utili futuri.
Anche in questo caso proponiamo una simulazione, utilizzando lo stesso
campione casuale utilizzato nel caso del moto browniano geometrico. La
formulazione matematica in tempo discreto del processo Ornstein-Uhlenbeck è la
seguente
Vt  V 1  e    e  Vt 1   t
con  campione casuale estratto dalla funzione di densità normale seguente
 2

 t  N  0, V 1  e 2 


2
Il valore iniziale dell’impresa è posto nuovamente pari a 100, e pari a 100 è
anche il valore normale V . I risultati che sono riportati nel grafico successivo sono
ottenuti conservando il valore della volatilità identica alla simulazione precedente,
cioè  V =0,3, e ponendo  uguale a 0,001.
27
Il processo stocastico
Vt
V 

101
100
99
tempo
Si noterà come, malgrado la bassissima velocità di richiamo  verso il
valore normale V  100, il valore dell’impresa tende comunque a ritornare
velocemente a tale valore, le oscillazioni sono frequenti (a causa dell’alta volatilità)
ma sono racchiuse in una banda molto stretta (rispetto al moto browniano
geometrico), e le variazioni del valore dell’impresa sono correlate negativamente
(quindi non sono indipendenti).
Per evidenziare il ruolo della volatilità, manteniamo invariata la velocità 
e portiamo  V a 0,1: otteniamo una evoluzione pressoché identica al moto
browniano geometrico, come mostrato nel seguente grafico. Osservando la scala
delle ordinate si noterà, comunque, come ogni valore di V sia, rispetto al caso del
moto browniano geometrico, più vicino al valore V  100: la velocità di richiamo
 continua a mantenere la sua influenza. Si mostra inoltre cosa accade se, a parità
di volatilità, la velocità  viene portata a 0,002: si ritorna ad una evoluzione simile
al grafico precedente ma con oscillazioni meno frequenti e di minore ampiezza, in
quanto la volatilità è in questo caso più bassa.
Vt
102

101

100
s
99
V 
98
tempo
28
Il processo stocastico
Questa impresa ripagherà il debito emesso ? Se manteniamo l’ipotesi di
valore del debito pari a 97, la risposta è affermativa, perché in ogni caso il valore
dell’impresa è superiore. Se invece il valore di rimborso fosse per esempio 103,
l’impresa sicuramente non ripagherebbe il suo debito. Il fatto che il valore
dell’impresa tenda a ritornare verso il valore normale V (in presenza di valori di 
non troppo bassi) riduce, in effetti, i margini di incertezza rispetto al moto
browniano geometrico: l’incertezza circa la possibilità o meno di default viene
confinata ai casi in cui il valore di rimborso sia molto vicino al valore V ; tale
default sarebbe comunque momentaneo, essendo le variazioni di V correlate
negativamente.
Concludiamo sottolineando che i due processi sommariamente presentati
non esauriscono né la classe dei processi stocastici né quella (più ristretta) dei
processi stocastici che gli economisti hanno applicato allo studio dei titoli derivati.
A puro titolo di esempio, ricordiamo che sono stati studiati dei modelli in cui
l’evoluzione stocastica dell’attività sottostante è caratterizzata dal fatto che vi sia
una probabilità positiva che si verifichino delle discontinuità nel valore dell’attività.
Ovviamente la valutazione del titolo derivato che risulta da tali diversi processi
stocastici è in generale differente da quella che si ottiene nel caso del moto
browniano geometrico con la formula di Black-Scholes.
L’azione vista come una opzione composta
L’applicazione della formula di Black-Scholes per la valutazione del
capitale proprio e del debito dell’impresa poggia su una precisa ipotesi riguardo la
struttura finanziaria dell’impresa. Si assume infatti che l’indebitamento consista in
una unica emissione obbligazionaria di tipo “zero-coupon”, cioè priva del flusso
cedolare. Tale ipotesi appare poco realistica in quanto, al contrario, le imprese
moderne utilizzano una moltitudine di strumenti finanziari molto diversificati e
spesso complessi.
29
L’opzione composta
Limitando comunque la nostra attenzione ai casi più comuni, è normale il
pagamento di cedole durante la vita del debito, sino alla scadenza. Inoltre l’impresa
ha una struttura finanziaria in cui coesistono diversi contratti di indebitamento, che
hanno differenti scadenze e che, quindi, si sovrappongono.
Il modello di Black-Scholes, che si fonda su quella ipotesi estremamente
semplificatrice, non può tenere conto di tali complicazioni. R. Geske, invece, ha
ricavato una formula per la valutazione dell’opzione composta, che è applicabile
qualora si voglia più compiutamente tenere conto della reale struttura finanziaria
19
dell’impresa .
Nel modello si fa l’ipotesi di una struttura finanziaria che presenta due
scadenze, t* e T, in cui l’impresa dovrà pagare rispettivamente le somme x* e D. Si
possono proporre diverse interpretazioni di una tale situazione, ad esempio:
a) Un unico debito, per il quale x* rappresenta la cedola e D il valore nominale
che dovrà essere rimborsato in T.
b) x* e D possono essere i valori nominali di due differenti debiti zero-coupon che
l’impresa dovrà rimborsare nelle due differenti scadenze.
c) x* e D possono rappresentare, sinteticamente, il debito a breve termine e quello
a lungo termine.
Sino alla prima scadenza t* gli azionisti sono detentori di una opzione call,
che essi potranno esercitare pagando la somma x* ai creditori. Tuttavia, se essi
eserciteranno questa opzione, non acquisteranno in effetti la proprietà dell’impresa,
perché alla scadenza T essi si troveranno nuovamente davanti ad una scelta simile:
essi potranno esercitare una seconda opzione pagando la somma D ai creditori. Solo
se eserciteranno questa seconda opzione, essi diverranno proprietari dell’impresa;
dunque la seconda opzione è esercitata, in T, se V  D . Tuttavia, gli azionisti
potranno prendere tale decisione soltanto se avranno già esercitato la prima opzione
al tempo t* (cioè se avranno effettuato il primo pagamento pari a x*). Essi
eserciteranno la prima opzione soltanto se il valore della seconda opzione, al tempo
19
Cfr. Geske (1977).
30
L’opzione composta
t*, è superiore al prezzo di esercizio x*: la loro ricchezza in t* è max  S *  x*, 0 ,
con S* il valore dato dalla formula di Black-Scholes per la seconda opzione al
tempo t*.
In questo quadro, gli azionisti sono perciò detentori di una opzione
20
composta, vale a dire una opzione call scritta su di un’altra opzione call ; è questa
seconda opzione ad essere scritta sul valore V dell’impresa, e non la prima, che è
invece scritta sulla seconda opzione. Quest’ultima, in definitiva, rappresenta
l’attività sottostante sino alla scadenza t*.
Geske, utilizzando l’ipotesi di Black-Scholes che i rendimenti istantanei del
valore dell’impresa seguano un moto browniano geometrico, ha calcolato la
formula che valuta l’opzione composta. Utilizzando la nostra notazione, il valore S
del capitale proprio considerato come opzione composta è

S  V N 2 h  V t * , k + V T ;



t* T 
 D e -rT N 2 h , k ; t * T 
 x * e -rt* N h.
in cui N 2   è la funzione di ripartizione della normale bivariata,
coefficiente di correlazione, h e k sono funzioni di V , x*, D, r , V , t *, T  .
t * T è il
Il significato intuitivo della formula è simile a quello già dato a proposito
della formula di Black-Scholes: se l’esercizio delle due opzioni fosse certo, il valore
del capitale proprio sarebbe S  V  D e -rT  x * e -rt * , vale a dire il valore
totale delle attività meno il valore nominale scontato dei debiti da ripagare; tuttavia
è necessario ponderare questo valore con delle probabilità perché l’esercizio, alle
due scadenze, non è certo.
Si riottiene la soluzione di Black-Scholes (vale a dire il caso di un debito
zero-coupon) se t* e T coincidono. Analogamente, per T   , l’opzione composta
20
Esistono, in effetti, quattro tipi di opzioni composte (l’opzione call su una opzione call oppure su
una put, l’opzione put su una opzione call oppure su una opzione put). Rubinstein (1991-1992) ha
studiato simultaneamente questi casi.
31
L’opzione composta
si trasforma in una normale opzione call con prezzo d’esercizio x* e scadenza t*. È
per questo che, quando T   , il valore del capitale proprio S valutato come
opzione composta è inferiore al valore di S valutato come una normale opzione call
con prezzo di esercizio x* e scadenza t*.
Così come accade per la formula di Black-Scholes, anche questa di Geske è
influenzata dalla struttura finanziaria dell’impresa. Infatti si può dimostrare che
S
0
V
S

0
D

S
0
T
S

0
r


S
0
  V2
21
S
0
x*
S

0
t*

Si noti che il segno delle prime cinque derivate parziali è lo stesso della
formula di Black-Scholes e quindi il significato resta identico. In più, se il valore
nominale x* del debito da pagare in t* aumenta, il valore dell’azione si abbasserà,
perché gli azionisti dovranno pagare una somma più grande per avere la possibilità
di riacquistare l’impresa alla scadenza T; al contrario, se è la scadenza t* a crescere,
anche il valore dell’azione aumenta, perché il valore attuale della somma da
rimborsare ai creditori diminuisce.
Utilizzando la stessa argomentazione del modello di Black-Scholes, si può
affermare che il valore totale del debito è


B  V 1  N 2 h  V t * , k + V T ;

t* T



 D e -rT N 2 h , k ; t * T 
 x * e -rt* N h.
L’interpretazione è simile a quella già data nel caso del debito zero-coupon;
in più, qui si tiene conto che il secondo debito potrà non essere pagato e
sicuramente non sarà rimborsato se vi è stato default sul primo debito.
21
Si veda Geske(1979), pp. 71-72.
32
L’opzione composta
Appare così evidente, ancora una volta, l’utilità di un approccio in termini di
teoria delle opzioni nella valutazione delle passività emesse dall’impresa. Infatti, se
la struttura finanziaria dell’impresa fosse costituita solo da obbligazioni zerocoupon non rischiose, si potrebbe valutarle semplicemente come un portafoglio di
obbligazioni, utilizzando gli approcci classici quali quello del Valore Attuale Netto.
Tuttavia, se effettivamente esiste una possibilità di default, è necessario utilizzare il
modello dell’opzione composta, evitando così di assegnare al debito una
valutazione più alta rispetto al suo fair value.
Per rendere il modello di Geske meno semplificato si dovrebbe tener conto
che nella struttura finanziaria dell’impresa esistono molte scadenze in cui si deve
pagare delle cedole oppure rimborsare il valore nominale. Ad ogni scadenza n, gli
azionisti sono holder di una opzione call che, se esercitata (per mezzo del
pagamento del debito/cedola in scadenza) permette loro di acquistare l’opzione n-1.
Ugualmente, in ognuna di queste date, gli azionisti hanno la possibilità di default su
tutta la serie dei pagamenti ancora da effettuare, così lasciando ai creditori il valore
residuo dell’impresa.
Anche questa visione della posizione degli azionisti è dovuta a F.Black e
22
M.Scholes . Una formula è stata sviluppata per questo caso molto generale; essa è
molto complessa, perché utilizza la funzione di ripartizione della normale n-variata,
vale a dire con dimensione n pari al numero di scadenze del debito. Tuttavia Geske
ha dimostrato che il problema può essere semplificato: se le cedole sono pagate ad
intervalli di uguale durata, la matrice di covarianza è simmetrica. Con tale
semplificazione, l’integrale della funzione di densità normale di dimensione n è
23
ridotto al prodotto di integrali normali di dimensione più bassa .
Una estensione: differenti priorità nel debito
22
23
Black-Scholes (1973), pp.651-652.
Si veda Geske (1977) ed anche Selby-Hodges (1987).
33
Priorità nel debito
Abbiamo già avuto occasione di parlare del “problema di sostituzione delle
attività”, vale a dire del conflitto di interessi che esiste tra azionisti e creditori
rispetto al livello di rischiosità desiderato per le attività dell’impresa. Come
sappiamo, gli azionisti preferiranno accrescere la volatilità delle attività, perché
potranno appropriarsi di tutti i guadagni di questa politica, mentre non pagheranno
per le eventuali perdite, a causa della propria responsabilità limitata. Di
conseguenza, la condotta ottimale per gli azionisti è di scegliere i progetti più
rischiosi e così facendo rendono molto alta la probabilità che il debito non sarà
ripagato. Perciò, se l’analisi resta confinata a questo semplice modello teorico,
appare difficile trovare una motivazione razionale per la concessione di prestiti alle
imprese.
Tuttavia, guardando al mondo reale, esistono soggetti che danno a prestito
fondi alle imprese. In effetti, tali prestiti hanno una struttura più complessa rispetto
al caso teorico che noi abbiamo studiato sino ad ora. Spesso, nel contratto di
prestito, esistono delle clausole che hanno per obiettivo quello di limitare la libertà
degli azionisti e garantire i diritti dei creditori.
Rispetto alle garanzie per i creditori, è noto che i loro diritti sono soddisfatti
prima di quelli degli azionisti. È per questo che, se alla scadenza avviene che
V*<D, il valore V* va ai creditori e niente spetta agli azionisti. La valutazione della
posizione dei creditori e degli azionisti è quella già data con il modello di BlackScholes.
Noi sappiamo, inoltre, che l’impresa non ha mai soltanto un debito zero
coupon nella sua struttura finanziaria, e perciò abbiamo studiato il caso di debiti con
differenti scadenze utilizzando l’opzione composta. Tuttavia esiste un’altra
differenziazione, molto importante, tra i debiti dell’impresa. Infatti, spesso, esiste
un debito che ha la priorità di rimborso, detto “debito senior” (D.S.) oppure
privilegiato, ed un debito che al contrario è subordinato, detto “debito junior”
(D.J.) oppure postergato, vale a dire sarà ripagato soltanto se il valore dell’impresa
sarà sufficiente e solo se il D.S. è stato già completamente ripagato; il D.J., a sua
volta, ha priorità rispetto alle azioni ordinarie. Questo ordine di priorità stabilisce
una differenziazione tra i diversi debiti e quindi ha delle ripercussioni sulla loro
valutazione; anche il valore del capitale proprio ne sarà influenzato. Lo studio di
34
Priorità nel debito
questa differenziazione ci permetterà di utilizzare nuovamente i modelli di BlackScholes e di Geske.
Caso I: stessa scadenza
24
Cominciamo con il caso più semplice , supponendo che l’impresa debba
pagare il valore nominale del D.S., cioè DS , ed il valore nominale del D.J., cioè
DJ , alla stessa scadenza T. In tale data, in base al valore finale V* dell’impresa, si
possono realizzare tre casi:
V *  DS
I due debiti non sono ripagati ed il valore residuo
dell’impresa (V*) va esclusivamente ai creditori senior.
Niente spetta ai creditori junior ed agli azionisti.
DS  V *  DS  DJ
Il D.S. viene completamente pagato. Il D.J. è parzialmente
onorato, perché i creditori junior ricevono ciò che resta dopo
che il D.S. è stato pagato, vale a dire V *  DS . Niente va
agli azionisti.
DS  DJ  V *
Il valore dell’impresa è sufficiente per pagare i due debiti e
ciò che residua, vale a dire V *  DS  DJ , spetta agli
azionisti.
Il passo successivo consiste nella valutazione dei due debiti e del capitale
proprio. Si può facilmente comprendere come la situazione dei detentori del D.S.
sia simile al caso di Black-Scholes, in cui non vi è alcun ordine di priorità tra debiti
ed esiste quindi soltanto un debito ordinario omogeneo. I creditori senior, in effetti,
hanno la proprietà dell’impresa, ma hanno venduto una opzione call ai creditori
junior, che potranno acquistare l’impresa al prezzo DS . Il valore del D.S., che
24
Il modello è dovuto a Black-Cox (1976).
35
Priorità nel debito
indichiamo con BS , è dunque BS  V  S  DS  , in cui S  DS  è il valore
dell’opzione call sull’impresa con prezzo di esercizio DS . Conseguentemente,
possiamo scrivere
BS  V N   d1   DS e  rT N d 2 
La posizione degli azionisti è sempre interpretabile come l’acquisto di una
opzione call, ma questa volta con prezzo di esercizio pari a DS  DJ . Quindi,
utilizzando la stessa notazione, il valore del capitale proprio è
S  DS  DJ   VN d1   DS  DJ  e  rT N d 2 
in cui d1, d 2 sono le funzioni d1 , d 2 modificate tenendo conto che il prezzo di
esercizio è qui pari a DS  DJ .
La posizione dei detentori del D.J. è equivalente ad un acquisto ed una
simultanea vendita di due differenti opzioni call. Più precisamente, i creditori junior
acquistano dai creditori senior una opzione call con prezzo di esercizio DS e
vendono agli azionisti un’altra opzione call con prezzo d’esercizio DS  DJ ; gli
azionisti potranno perciò ricomprare l’impresa al prezzo DS  DJ , vale a dire
ripagando il valore nominale dei due debiti. Ugualmente, considerando che il valore
dell’impresa è uguale al valore delle passività che ha emesso, possiamo scrivere:
BJ  V  S  DS  DJ   BS
= S  DS   S  DS  DJ 
La formula di Black-Scholes fornisce il valore delle due opzioni considerate e
quindi il valore del D.J., cioè
B J  V  N d 1   N d 1  DS e  rT  N d 2   N d 2   D J e  rT N d 2 
A partire da questa formula notiamo che, mentre l’analisi del D.S. è rimasta identica
rispetto al caso di Black-Scholes, per il D.J. si ottengono delle conclusioni
36
Priorità nel debito
sorprendenti: può infatti accadere che BJ cresca quando cresce il tasso di interesse,
oppure si allunga la scadenza, oppure aumenta la volatilità di V, vale a dire può
accadere che



B J
 0
 r
B J
 0
 T
B J
 0
 V
I segni di queste tre derivate parziali coincidono con quelli che si ricavano
valutando l’azione con la formula di Black-Scholes. In effetti, le prime due derivate
parziali sono abbastanza strane per un debito in quanto, intuitivamente, ci
aspetteremo il contrario. La terza è in contrasto con il “problema di sostituzione
delle attività”: i detentori del D.J. possono essere favorevoli all’accrescimento della
rischiosità dell’impresa.
La spiegazione è presto data. I segni delle tre derivate parziali saranno quelli
riportati quando V è basso (rispetto a DS  DJ ), vale a dire quando la probabilità
che il D.J. non sia ripagato è molto alta: in questa eventualità, quindi, il D.J. diviene
molto simile al capitale proprio.
Rispetto all’effetto della volatilità, si può guardare il prossimo grafico, in
cui i valori del D.J. (in questo caso B J A, B J B , B J C ), sono riportati per differenti
Valore debito junior
volatilità,  V A   V B   V C , al variare di V.
BJA
BJ B
BJ C
V
37
Priorità nel debito
Si può notare che, per bassi valori di V, la maggiore volatilità determina un
accrescimento del valore del D.J., vale a dire B J A  B J B  B J C ; il contrario è vero
per valori di V sufficientemente alti. In più, è utile notare come ad un certo punto il
valore BJ A divenga costante (e risulta uguale a DJ e  rT ): il valore V dell’impresa è
così alto che il pagamento del D.J. diviene pressoché certo e quindi il valore del
D.J. è semplicemente il valore attuale della somma che dovrà essere pagata a
scadenza. Infine, per valori di V ancora più alti (qui non riportati) accade che i
valori B J B e B J C tendono a coincidere con il valore B J A : quando il pagamento
diviene certo, i differenti valori della volatilità di V perdono rilevanza nella
valutazione del D.J..
Caso II: differenti scadenze
Un caso più generale rispetto a quello discusso finora consiste nel supporre
25
che il D.S. ed il D.J. abbiano due differenti scadenze . In tale evenienza il valore
nominale del D.S., DS , dovrà essere pagato alla scadenza TS , mentre il valore
nominale del D.J., DJ , dovrà essere pagato alla data TJ . Siccome vi è un ordine di
priorità tra i due tipi di debito, logicamente deve essere TS  TJ .
Rispetto alla seconda scadenza TJ , si applica semplicemente l’analisi à la
Black-Scholes. Così se il valore dell’impresa a quella data, cioè VT , è superiore a
J
DJ , i detentori del D.J. saranno ripagati ed il valore residuo dell’impresa andrà agli
azionisti. Nel caso contrario, il valore VT andrà ai creditori junior. La formula di
J
Black-Scholes fornisce il valore del capitale proprio e del D.J. al tempo TS . Il
valore del capitale proprio risulta essere
STS  VTS N d1   D J e
25
 r  TJ  TS 
N d2
 
Il modello è sviluppato in Geske (1977).
38
Priorità nel debito
Il valore BJ
del D.J., sempre al tempo TS , è semplicemente B J T  VTS  S TS ,
S
TS
vale a dire
BJ  VT N   d1   DJ e  r  T T  N d 2 
J
TS
S
S
Al tempo TS gli azionisti pagheranno il D.S. soltanto se ST  DS ; nel caso
S
contrario, il valore VT dell’impresa andrà ai creditori senior. Quindi il valore,
S
calcolato oggi, del D.S. è


BS  V 1  N h   V TS
  D
S
e  rT N h
S
Geske, a questo punto, introduce una ipotesi abbastanza utilizzata nella
letteratura sull’argomento: il D.S. è pagato con una nuova emissione di capitale
proprio. Questa ipotesi è coerente con la struttura del modello ed anche con la
realtà: spesso la presenza di un debito senior impedisce alla società di emettere
passività con diritti equivalenti, ma è ovviamente libera l’emissione di passività
subordinate, come è appunto il caso, per antonomasia, dell’emissione di azioni. Gli
azionisti potranno procedere a questa emissione soltanto se ST  DS . Infatti, nel
S
caso contrario, nessuno acquisterebbe le nuove azioni: la somma che la società
potrebbe pagare grazie alla nuova immissione di capitale (cioè DS ) sarebbe
superiore al valore della parte di impresa che essi andrebbero ad acquistare. In
effetti, se ST  DS , si avrà una trasformazione di debito in capitale proprio ed i
S
vecchi azionisti non dovranno pagare alcunché. Quindi la loro posizione è
equivalente all’acquisto di una opzione composta con il primo prezzo di esercizio
nullo, mentre il secondo è uguale a DJ . In definitiva il valore del capitale proprio
oggi è


S  V N 2 h   V TS , k   V TJ , TS TJ 

 DJ e  rT N 2 h, k , TS TJ
J

39
Priorità nel debito
Sapendo che BJ  V  BS  S , si può inoltre conoscere il valore odierno del D.J.,
che risulta essere
 


B J  V N h   V TS  N 2 h   V TS , k   V TJ , TS TJ


 
 DJ e  rT N 2 h, k , TS TJ  DS e  rT N h
J
S
Un’altra estensione: il debito garantito
L’analisi del debito senior e del debito junior ci ha permesso di studiare una
prima differenziazione del debito all’interno della struttura finanziaria di una stessa
impresa. Il concetto di “debito garantito” ci permetterà, adesso, di esplicitare
un’altra differenziazione non meno importante.
Quando l’impresa emette un debito garantito, una parte delle attività
dell’impresa stessa viene destinata a garantire il pagamento di tale debito,
tipicamente per mezzo di un’ipoteca. Ciò equivale a dire che, nel caso il debito non
venga onorato dagli azionisti, tali attività saranno utilizzate esclusivamente per
ripagare il debito garantito.
A titolo d’esempio, supponiamo che l’impresa abbia emesso soltanto due
tipi di debito. Il primo è il debito garantito, il quale ha un valore nominale DG ed
una garanzia il cui valore è G. L’altro debito è ordinario e quindi è privo di
garanzia; esso ha la stessa scadenza del debito garantito e valore nominale pari
a D P . Essendo V il valore dell’impresa (V include G), è chiaro che si avrà default se
40
Il debito garantito
alla scadenza V *  DG  D P , con V* sempre il valore di V a scadenza. In tale
evenienza potremo distinguere due ulteriori casi:
V * G  DP
Il valore nominale D P del debito ordinario è completamente
rimborsato, mentre per il debito garantito il rimborso sarà pari
a V *  D P , in quanto questa somma risulta essere maggiore
di G.
V * G  DP
I detentori del debito senza garanzia riceveranno V *  G . La
garanzia G andrà ai detentori del debito garantito.
Quindi si può ricondurre sinteticamente la posizione dei creditori garantiti, a
scadenza, alla formula min  DG , max V *  DP , G  ovvero, in maniera
equivalente
DG - max  DG  max V *  DP , G , 0
Appare perciò evidente che, quando si considera la possibilità di default, il
pagamento ricevuto dai creditori garantiti non sarà sempre pari a DG . Infatti essi,
oltre ad accordare un prestito all’impresa, vendono allo stesso tempo una opzione
put scritta sul valore più grande tra V *  DP e G. Questo particolare tipo di opzione
è stato studiato da R.M. Stulz, che ha calcolato il valore delle opzioni scritte sul
massimo o sul minimo di due attività rischiose, supponendo che l’evoluzione del
26
valore di tali attività sia governata da un moto browniano geometrico .
26
Per approfondimenti si veda l’articolo originale, Stulz (1982).
41
Conclusioni
Conclusioni
Prima di trarre alcune conclusioni, appare opportuno riassumere
brevemente il contenuto di queste pagine.
Si è inizialmente definito il contratto di opzione, chiarendone le
caratteristiche, tra le quali spicca la parità tra l’opzione put e l’opzione call. Grazie
a questa base conoscitiva, si è potuto mostrare come la teoria delle opzioni sia utile
per proporre una visione inconsueta delle fonti di finanziamento dell’impresa.
Successivamente si è reso più operativo l’approccio, introducendo il modello di
valutazione delle opzioni di Black-Scholes, discutendone alcune ipotesi meno
realistiche e le possibili soluzioni. Infine si sono introdotti altri modelli con
l’obiettivo di meglio descrivere e studiare la struttura finanziaria dell’impresa.
Nella premessa avevamo affermato che ogni decisione ha, a monte, una
opzione tra due o più alternative; da ciò discende la potenzialità applicativa della
teoria delle opzioni. Qui abbiamo trattato soltanto una delle possibili applicazioni,
ma ricordiamo che molto è stato scritto anche riguardo la valutazione di opzioni
27
complesse (c.d. opzioni esotiche) e delle opzioni reali .
Rimanendo però ai temi già discussi, vogliamo delinearne alcune possibili
estensioni. Di alcune si parla già nel corso dello scritto e non ci si ritornerà sopra.
Invece un campo che non abbiamo esplorato è quello della validazione empirica
dei modelli teorici introdotti. Tale verifica si sarebbe senz’altro potuta fare, ma a
costo di una perdita di linearità ed organicità nella trattazione, che invece si sono
volute preservare visto il taglio divulgativo prescelto.
In secondo luogo, altri tipi di opzioni potrebbero essere utilizzati per
descrivere,
probabilmente più
efficacemente,
le fonti
di
finanziamento
dell’impresa, sulla falsariga di quanto fatto con l’opzione composta e con
l’opzione sul massimo di due attività rischiose. Per esempio l’opzione americana,
cioè l’opzione che può essere esercitata in ogni data prima della scadenza, potrebbe
ben descrivere una situazione in cui il default sul debito può verificarsi in ogni
27
Per le prime si veda, a livello introduttivo, Brierwood-Smith (1993), mentre per le opzioni reali il
testo fondamentale è Dixit-Pyndyck (1993).
42
Conclusioni
ogni momento, e non soltanto alla scadenza (come avviene invece utilizzando la
semplice opzione europea).
Continuando, dobbiamo dire che la teoria delle opzioni non è limitata,
come potrebbe apparire, al solo lato delle passività di bilancio. Infatti, come mostra
28
M. Rubinstein , è possibile dividere le attività di una impresa in una parte
rischiosa ed una parte non rischiosa; ciò permette di considerare esplicitamente la
struttura finanziaria dell’impresa ed ottenere una volatilità degli asset dell’impresa
di tipo stocastico.
29
Infine, così come ha fatto C.S.Hsia , è possibile dimostrare la coerenza tra
l’approccio opzionale alle fonti di finanziamento dell’impresa con il Capital Asset
Pricing Model e con le Proposizioni di Modigliani-Miller. Tale conclusione, oltre
a stabilire una certa unitarietà tra queste moderne teorie della finanza, fornisce dei
metodi alternativi per il calcolo del costo del debito e dell’equity (e quindi del
capitale) di una impresa.
Questi sono solo alcuni degli aspetti su cui può concentrarsi l’attenzione
del lettore, nella speranza di aver qui fornito le necessarie basi teoriche per il
successivo approfondimento.
28
29
Si veda Rubistein (1983).
L’articolo originale è Hsia (1981). Si veda anche Copeland-Weston (1988).
43
Bibliografia
Bibliografia
Black, F., Cox, J., (1976), “Valuing corporate securities: some effects of bond
indenture provisions”, Journal of Finance, Vol.31 (May), pp.351-368.
Black, F., Scholes, M.J., (1973), “The pricing of options and corporate liabilities”,
Journal of Political Economy, Vol.81, n.3 (May-June), pp.637-654.
Brenner, M., Subrahmanyam, M.G., (1988), “A simple formula to compute the
implied standard deviation”, Financial Analysts Journal, (SeptemberOctober), pp.80-83.
Brierwood, D., Smith, H., (1993), “Exotic options”, in The Equity Derivatives
Handbook, a cura di J.Watson.
Chance, D.M., (1996), “A generalized simple formula to compute the implied
volatility”, The Financial Review, Vol.31, n.4 (November), pp.859-867.
Copeland, T.E., Weston, J.F., (1988), “Financial Theory and Corporate Policy”,
Addison-Wesley Publishing Company.
Cox, J.C., Rubinstein, M., (1985), “Options Markets”, Prentice-Hall, Inc..
Dixit, A.K., Pindyck, R.S., (1993), “Investment under Uncertainty”, Princeton
University Press.
Geske, R., (1977), “The valuation of corporate liabilities as compound options”,
Journal of Financial and Quantitative Analysis”, (November), pp.541-552.
Geske, R., (1979), “The valuation of compound options”, Journal of Financial
Economics, Vol.7 (March), pp.63-81.
Hayat, S., Poncet, P., Portait, R., (1993), “Mathématiques financières. Évaluation
des actifs et analyse du risque”, Dalloz, Paris.
Hsia, C.C., (1981), “Coherence of the Modern Theories of Finance”, Financial
Review, Vol.16 (Winter), pp.27-42.
44
Bibliografia
Hsia, C.C., (1991), “Estimating a firm’s cost of capital: an option pricing
approach”, Journal of Business Finance and Accounting, Vol.18, n.2
(January), pp.281-287.
Hull, J.C., (1997), “Options, Futures, and other Derivatives”, Prentice Hall
International.
Latané, H.A., Rendleman, R.J., (1976), “Standard deviations of stock price ratios
implied in option prices”, Journal of Finance, vol. 31, pp.369-381.
Merton, R.C., (1973), “The theory of rational option pricing”, Bell Journal of
Economics and Management Science, vol. 4, pp.141-183.
Myers, S.C., (1992), “Cost of Capital”, in The New Palgrave Dictionary of Money
and Finance, a cura di P.Newman et al., vol.1, pp.486-489.
Jensen, M.C., Meckling, W.H., (1976), “Theory of the firm: managerial behavior,
agency costs and ownership structure”, Journal of Financial Economics,
Vol.3.
Rubinstein, M., (1983), “Displaced Diffusion Option Pricing”, The Journal of
Finance, Vol. 38, n.1 (March), pp.213-217.
Rubinstein, M., (1991-1992), “Double Trouble”, Risk, Vol.5, n.1 (DecemberJanuary).
Selby, M.J.P., Hodges, S.D., (1987), “On the evaluation of compound options”,
Management Science, Vol.33, n.3 (March), pp.347-355.
Stulz, R.M., (1982), “Options on the minimum or the maximum of two risky
assets”, Journal of Financial Economics, Vol.10, pp.161-185.
45
Fly UP