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Le fonti di finanziamento dell`impresa alla luce
Le fonti di finanziamento dell’impresa alla luce della teoria delle opzioni Alessandro Mauro Scuola Superiore Enrico Mattei Ottobre 1998 ______________________________ Scuola Superiore Enrico Mattei Piazza Santa Barbara, 7 20097 S. Donato M.se (MI) Italia tel. ++39 - 2 - 52058962 fax ++39 - 2 - 52058937 email: [email protected] Electronic copy available at: http://ssrn.com/abstract=1023161 Sommario Sommario Premessa 2 Aspetti introduttivi sul contratto di opzione 4 La parità tra l’opzione put e l’opzione call 9 Una interpretazione delle fonti di finanziamento dell’impresa 11 La formula di Black-Scholes 16 La volatilità del valore dell’impresa 20 Il processo stocastico del valore dell’impresa 23 L’azione vista come opzione composta 29 Una estensione: differenti priorità del debito 33 Un’altra estensione: il debito garantito 40 Conclusioni 42 Bibliografia 44 1 Electronic copy available at: http://ssrn.com/abstract=1023161 Premessa Premessa Ogni decisore, nel momento in cui effettua una scelta, predilige un piano di azione tra tutti i possibili. In effetti, una scelta è tale solo quando si possa decidere tra due o più alternative. Sino al momento della decisione, varie possibilità, ovvero opzioni, sono quindi disponibili. Rimanendo ad un livello così astratto, queste affermazioni sono ovviamente banali. Invece, in campo economico, esse sono state formalizzate e sono oramai innumerevoli le situazioni di cui si è svelata la natura opzionale. In alcuni esempi l’applicazione è scontata, in altri è meno immediata. Tra questi ultimi è da comprendere senz’altro il caso delle fonti di finanziamento dell’impresa: una società di capitali, quando indebitata, può scegliere se ripagare o meno il debito, in base ad un puro calcolo di convenienza. Questa idea, a priori sterile, diventa feconda qualora la si innesti nella moderna teoria delle opzioni. Si getta così nuova luce sulla posizione degli stakeholders principali della società, cioè gli azionisti ed i creditori, arrivando a fornire una valutazione economica dei rispettivi diritti nonché dell’impresa nel suo complesso. Il chiarimento e l’approfondimento di tale approccio alle fonti di finanziamento dell’impresa costituisce lo scopo di queste pagine. Appare utile, prima di iniziare la trattazione vera e propria, delineare brevemente i contenuti. Nella prima parte si chiarisce cosa debba intendersi per contratto di opzione, sottolineandone alcune caratteristiche fondamentali. Ciò permette di iniziare a sviluppare l’idea di base, sino ad introdurre una nuova visione del capitale proprio e del capitale di debito dell’impresa. Nella seconda parte si spiega come sia possibile valutare una opzione. Sebbene il taglio divenga necessariamente più quantitativo, le conclusioni che si traggono sono interessanti e permettono di apprezzare pienamente la validità dell’approccio. Non si trascura, inoltre, di discutere alcuni problemi che sorgono qualora si voglia utilizzare operativamente la teoria delle opzioni in questo ambito. 2 Premessa Con la terza ed ultima parte si intende dare maggiore realismo alla costruzione teorica. Questo ulteriore passo consente di analizzare strutture finanziarie più complesse, vale a dire in cui coesistono debiti con scadenze diverse, ovvero in cui vi sia un ordine di priorità nel rimborso, oppure in cui una parte del debito abbia una garanzia. Ringrazio il Prof. Renato Rizzini per tutti gli utili suggerimenti .... senza dimenticare la paziente rilettura del lavoro. Un ringraziamento va anche a Matteo Manera (Università Comm.le “L. Bocconi”) ed Axel Pierru (Istituto Francese del Petrolio). La responsabilità per gli errori rimane ovviamente personale. 3 Aspetti introduttivi Aspetti introduttivi sul contratto di opzione L’opzione è un contratto che ha le seguenti caratteristiche: l’acquirente di una opzione ha il diritto di acquistare o vendere una quantità di una determinata attività finanziaria ad un prezzo prefissato, entro o ad una data scadenza. Delineiamo gli aspetti fondamentali presenti in qualunque contratto di questo tipo, per poi passare agli aspetti più specifici che costituiscono il tema di questo scritto. Introduciamo, quindi, le principali definizioni comunemente utilizzate. Holder dell’opzione L’acquirente del diritto Writer dell’opzione Il venditore del diritto OPZIONE CALL L’holder ha il diritto di acquistare OPZIONE PUT L’holder ha il diritto di vendere Attività sottostante Titolo o titoli che è possibile acquistare/vendere Prezzo di esercizio Prezzo a cui è possibile acquistare/vendere Scadenza Data in cui cessa il contratto di opzione OPZIONE EUROPEA Il diritto può essere esercitato solo alla scadenza Il diritto può essere esercitato in qualunque data sino alla scadenza OPZIONE AMERICANA L’holder di una opzione “call” potrà acquistare l’attività sottostante se pagherà il prezzo di esercizio. La controparte è rappresentata dal writer della call: egli dovrà vendere all’holder l’attività sottostante qualora questi decida di esercitare l’opzione. Nel caso di opzione “put”, invece, l’holder è detentore del diritto di vendere l’attività sottostante al writer della put e quest’ultimo riceverà in cambio il prezzo di esercizio. E’ dunque chiaro che mentre l’holder (parte attiva), acquistando uno dei due tipi di opzione, diventa detentore di un diritto, il writer (parte passiva) dovrà sottostare alle decisioni dell’holder e concludere lo scambio qualora quest’ultimo lo decida. Limitando l’analisi alle sole opzioni europee, cerchiamo di comprendere in quali casi convenga all’holder esercitare l’opzione ed in quali altri invece convenga lasciare che l’opzione scada non esercitata. La seguente tabella racchiude 4 Aspetti introduttivi sinteticamente tutti i casi possibili, la scelta più conveniente per l’holder ed il relativo guadagno che egli consegue. CALL PUT S* > E S* < E esercita (S * E ) non esercita 0 non esercita 0 esercita (E S *) S* : prezzo dell’attività sottostante alla scadenza dell’opzione E : prezzo di esercizio dell’opzione E’ evidente che, se a scadenza S*>E, all’holder converrà esercitare l’opzione call, perché così facendo potrà acquistare l’attività sottostante ad un prezzo (E) inferiore al valore corrente di tale attività (S*). Egli, ad esempio, potrebbe rivendere immediatamente su base spot tale attività e guadagnare lo spread S*-E. Il contrario accadrebbe se l’holder esercitasse quando S*<E, in quanto egli realizzerebbe una perdita; in questo caso quindi non vi sarà esercizio e non vi sarà né una perdita né un guadagno. Spesso si indica concisamente il guadagno conseguibile dall’holder della call nel seguente modo max S * E , 0 Vale invece il discorso opposto qualora l’holder abbia acquistato una opzione put. Infatti, avendo egli il diritto di vendere al writer l’attività sottostante al prezzo di esercizio (E), è chiaro che troverà conveniente esercitare solo qualora S*<E, potendo così vendere l’attività ad un prezzo superiore al suo valore corrente di mercato. Nel caso in cui invece S*>E, egli lascerà cessare il contratto senza esercitare. Nuovamente è possibile dare la seguente espressione concisa del guadagno per l’holder della put max E S *, 0 5 Aspetti introduttivi Spostando adesso l’attenzione sul writer dell’opzione, la sua posizione è sintetizzata nella seguente tabella, in cui si ribadiscono le azioni dell’holder. S* > E CALL PUT S* < E l’holder esercita l’holder non esercita (E S *) 0 l’holder non esercita l’holder esercita (S * E ) 0 1 Come vediamo, la posizione del writer è subordinata alla scelta dell’holder . Siccome l’holder eserciterà solo quando potrà conseguire un guadagno, al meglio il writer non realizzerà né un guadagno né una perdita, altrimenti subirà un perdita, che rappresenta allo stesso tempo il guadagno dell’holder. Sottolineiamo perciò che la posizione del writer è esattamente simmetrica a quella dell’holder. Sinteticamente, la perdita che il writer della call potrà subire è la seguente min E S *, 0 invece la perdita per il writer della put è min S * E , 0 In sintesi, l’holder di una opzione, male che vada, non realizza né un guadagno né una perdita, altrimenti realizza sicuramente un guadagno. Invece il writer al meglio non perde niente, altrimenti subisce una perdita. Questa asimmetria è insita nel contratto di opzione: l’holder ha solo il diritto (e non il dovere ) di esercitare l’opzione, mentre il writer ha il dovere di eseguire lo scambio attività sottostante-prezzo di esercizio qualora l’holder lo richieda. La scelta del writer di sottostare a questo obbligo non è irrazionale, in quanto alla stipula del contratto di opzione l’holder consegna al writer una somma di denaro nota come premio, che rappresenta quindi il prezzo del contratto. 1 Fra breve mostreremo che la subordinazione del writer alle scelte dell’holder viene ricompensata. 6 Aspetti introduttivi Tenendo perciò conto dell’esistenza del premio, dobbiamo riscrivere correttamente i guadagni e le perdite conseguibili dai due soggetti nel contratto di opzione, così come mostrato nella successiva tabella. CALL PUT HOLDER max S * E c , c max E S * p , p WRITER min E S * c , c min S * E p , p c : premio opzione call; p : premio opzione put Uno strumento molto utile per descrivere graficamente la posizione dell’holder e del writer nel contratto di opzione è il grafico dei payoff, che, in funzione del prezzo dell’attività sottostante a scadenza (S*) esprime il guadagno o la perdita dei due soggetti. Per iniziare, mostriamo il grafico dei payoff per l’holder dell’opzione call. Guadagno Holder della Call 0 | E+c S* Perdita -c E | Notiamo come, per S*<E, anche se l’holder lascerà estinguere l’opzione senza esercitarla, egli comunque incorrerà in una perdita dovuta al premio pagato per acquistare l’opzione. Per valori di S* superiori a E sarà conveniente l’esercizio, ma solo quando S*>E+c egli potrà guadagnare, in quanto sarà più che compensato sia del prezzo di esercizio che del premio pagati. Si noti infine che, mentre la perdita dell’holder della call è limitata al premio di esercizio pagato, il suo guadagno è potenzialmente illimitato, in funzione del valore S* che l’attività sottostante assumerà a scadenza. 7 Aspetti introduttivi Analogamente mostriamo il grafico dei payoff per il writer dell’opzione call. Guadagno Writer della Call +c | E E+c | S* Perdita 0 Il grafico mostra nuovamente la perfetta simmetria tra le posizioni dei due soggetti. Il writer incasserà sicuramente il premio c e quindi, per S*<E, egli realizzerà un guadagno, in quanto l’holder della call non eserciterà l’opzione. Al contrario, se S*>E, l’holder eserciterà. Il guadagno del writer si assottiglierà, fino a divenire negativo per S*>E+c. Specularmente rispetto all’holder, il writer ha un guadagno massimo limitato, mentre la sua perdita è potenzialmente illimitata. Passiamo adesso all’analisi grafica relativa alla opzione put. Il seguente è il grafico dei payoff per l’holder della put. Guadagno Holder della Put 0 | S* Perdita E-p -p ....................... E | L’holder della put pagherà senz’altro il premio p. Per valori di S* superiori ad E non eserciterà, in quanto cederebbe al writer l’attività sottostante ad un prezzo (E) inferiore al valore corrente di mercato S*. Invece, per S*<E, egli eserciterà il 8 Aspetti introduttivi diritto; realizzerà un guadagno per S * E p , potendo così recuperare anche il premio p pagato. Il guadagno massimo dell’holder della put è limitato e ciò in quanto deve essere S* 0 . Quest’ultima affermazione, a sua volta, è legata alla responsabilità limitata degli azionisti nelle società di capitali. Infine mostriamo il grafico dei payoff per il writer della put. Guadagno Writer della Put S* Perdita +p ........................ E-p | | 0 E Ancora una volta si noti la simmetria con la posizione dell’holder. Inoltre, a differenza del writer della call, la perdita massima per il writer della put è limitata. La parità tra l’opzione put e l’opzione call Come si ricorderà, la asimmetria di diritti tra l’holder ed il writer dell’opzione fa si che esista un prezzo, il premio, che l’holder dovrà pagare al writer alla stipula del contratto. Vogliamo adesso analizzare la natura di tale premio, iniziando con l’evidenziare una relazione che sussiste tra il premio della call e quello della put e che, tra l’altro, dimostra che il valore di mercato dei due premi non coincide. Supponiamo di formare un primo portafoglio composto vendendo una opzione call ed acquistando una unità dell’attività sottostante, ad esempio una 9 La parità put-call 2 azione; la tabella seguente mostra il valore odierno del portafoglio . Alla scadenza T dell’opzione, l’azione acquistata avrà un valore S*. Per quanto riguarda l’opzione, se S*>E l’holder eserciterà la call ed il portafoglio subirà una perdita pari a S * E ; in totale il portafoglio varrà E. Se invece S*<E, la call non verrà esercitata ed il valore del portafoglio sarà in totale S*. valore valore primo portafoglio secondo portafoglio cS p Ee rT se S* >E S * (S * E ) E se S* <E S* E (E S *) Oggi in T Costruiamo adesso un secondo portafoglio, composto vendendo una opzione 3 put e dando a prestito una somma di denaro pari a Ee rT . Tale prestito è supposto essere privo di rischio di insolvenza e di durata pari alla scadenza dell’opzione (T). A scadenza si avrà quindi una entrata di cassa certa e pari al valore nominale E del prestito concesso. Per quanto riguarda la put venduta, se S*<E, essa verrà esercitata dall’holder ed il portafoglio subirà una perdita pari a E S * . In totale il portafoglio varrà quindi S*. Se invece S*>E, la put non verrà esercitata ed il valore del portafoglio sarà E. Tali considerazioni sono riportate sinteticamente nella tabella. Come si sarà notato, i due portafogli hanno valore identico a scadenza, indipendentemente dal valore di S*. Appare ovvio pensare che, per evitare possibilità di arbitraggio, i due portafogli dovranno avere un valore identico anche 4 al momento in cui vengono formati . Dobbiamo cioè concludere che 2 3 4 Le uscite di cassa e le posizioni lunghe (creditorie) hanno segno negativo, le entrate di cassa e le posizioni corte (debitorie) hanno segno positivo. Se si suppone che una quantità monetaria avrà valore pari ad E al tempo T, il suo valore attuale (cioè odierno) è pari alla somma di denaro qui data a prestito, in un regime di capitalizzazione continua degli interessi; r rappresenta il tasso di interesse, mentre e è il numero di Nepero, pari a circa 2,72. Nella accezione più semplice, il termine “arbitraggio” indica una operazione che consiste nell’acquisto di una o più attività finanziarie e nella simultanea vendita, al fine di guadagnare la differenza positiva (se esiste) tra prezzo di vendita e prezzo di acquisto, senza sopportare alcun rischio. In mercati efficienti queste opportunità, quando si creano, vengono velocemente annullate 10 La parità put-call c S p Ee rT equazione nota come “parità put-call”, esprimendo il rapporto che intercorre tra i premi dei due tipi fondamentali di opzione. Tale parità può essere riespressa in vari modi. Ad esempio possiamo scrivere c p S Ee rT Perciò, come preannunciato all’inizio del paragrafo, in generale i premi dei due tipi di opzione non coincidono. Inoltre vale anche c S P Ee rT e quindi acquistare una azione, una opzione put e vendere una opzione call è equivalente a dare a prestito una somma di denaro pari a Ee rT ; tale prestito è non rischioso, cioè verrà sicuramente rimborsato a scadenza. Abbiamo costruito, in sostanza, una posizione priva di rischio (o portafoglio coperto) a partire da strumenti finanziari rischiosi. Ciò lascia intravedere le potenzialità delle opzioni nella modificazione dei profili di rischio degli investitori. Una interpretazione delle fonti di finanziamento dell’impresa Nei precedenti paragrafi abbiamo delineato i tratti fondamentali del contratto di opzione. A questo punto l’analisi potrebbe svilupparsi in svariate direzioni, la cui semplice elencazione richiederebbe alcune pagine. Vogliamo invece concentrare l’attenzione sullo specifico argomento che sarà il tema della trattazione per i successivi paragrafi. Si tratta di una reinterpretazione delle passività emesse da una dalla variazione dei prezzi. È perciò una ipotesi comune, nella moderna teoria della finanza, supporre che non esistano opportunità di arbitraggio nei mercati finanziari. 11 Fonti di Finanziamento passività emesse da una impresa in termini di contratto di opzione. Come sappiamo, l’impresa si finanzia emettendo principalmente due tipi di passività: capitale proprio, fornito dagli azionisti, e capitale di debito, fornito dai creditori. Le differenze tra i due tipi di capitali sono profonde, poiché l’insieme dei diritti/doveri afferenti gli azionisti è sostanzialmente diverso da quello che riguarda i creditori. Fondamentalmente, e semplificando al massimo, gli azionisti hanno la possibilità di gestire la società, ne sono i proprietari, mentre i creditori semplicemente forniscono delle somme di denaro con la speranza che vengano restituite ed adeguatamente remunerate. Tuttavia, se gli affari non andranno bene, potrà accadere che le attività dell’impresa non saranno sufficienti ad onorare i diritti dei creditori. In tale evenienza gli azionisti potranno avvalersi di un principio fondamentale valido per le società di capitali, vale a dire la responsabilità limitata alle somme conferite: i creditori non potranno rifarsi dei propri diritti sul patrimonio personale degli azionisti, ma dovranno spartirsi quanto resta del patrimonio della società. I conferimenti degli azionisti rappresentano una sorta di perdita massima in cui essi possono incorrere partecipando alla società. Introduciamo alcune semplificazioni allo scopo di sistematizzare quanto affermato. Supponiamo che l’insieme del capitale di debito dell’impresa sia di un unico tipo, zero-coupon bond, vale a dire una obbligazione che non paga cedole e la cui remunerazione è legata alla differenza positiva tra valore di rimborso e valore di emissione; indichiamo il primo con D. Alla scadenza T del debito, l’insieme delle attività dell’impresa avrà un valore V*. Se avverrà che V*<D, la società non potrà ripagare il debito; i creditori non potranno rifarsi sul patrimonio personale degli azionisti, trattandosi di società con responsabilità limitata, ma si approprieranno del valore residuo dell’impresa V* mediante una procedura di fallimento. Se invece V*>D, la società potrà rimborsare il debito ed il valore che residuerà dopo tale pagamento sarà di pertinenza degli azionisti. È facile concludere che la ricchezza dei due gruppi è quella rappresentata nella seguente tabella. ricchezza azionisti V* > D debito rimborsato V* < D debito non rimborsato (V * D) 0 12 Fonti di Finanziamento ricchezza creditori D V* V* : valore dell’impresa alla scadenza del debito D : valore di rimborso del debito Concentrando l’attenzione sugli azionisti, possiamo esprimere la loro ricchezza, alla scadenza del debito, nel seguente modo max V * D, 0 Si tratta cioè del payoff ottenibile acquistando una opzione call in cui, come abbiamo già detto, l’attività sottostante sia rappresentata dall’insieme delle attività dell’impresa, ed il prezzo di esercizio sia il valore di rimborso del debito. Perciò, da questo punto di vista, gli azionisti di una società di capitali sono assimilabili agli holder di una opzione call, la quale permetta di acquistare l’intero patrimonio di un’impresa ripagando il debito emesso. Alla luce di questa nuova interpretazione, riassumiamo la nuova notazione nella seguente tabella. VECCHIA NOTAZIONE NUOVA NOTAZIONE Attività S V sottostante (Azione) (Impresa) E (Valore di rimborso del debito) c (Valore dell’azione) Prezzo di esercizio Premio dell’opzione D S Si noti che adesso il premio dell’opzione call diviene il valore di mercato dell’azione stessa, avendo appurato che la posizione degli azionisti è equivalente a quella dell’holder di una call scritta sul valore V dell’impresa. La posizione dei creditori, così come risulta dalla tabella della pagina precedente, sinteticamente si esprime come min V *, D , ovvero equivalentemente V * min D V*, 0 13 Fonti di Finanziamento I creditori, quindi, hanno acquistato la proprietà dell’impresa e hanno allo stesso tempo venduto una call sul valore dell’impresa agli azionisti; questi ultimi potranno riacquistare la proprietà dell’impresa pagando il valore nominale D del debito, e lo faranno qualora V*>D. Otteniamo una conclusione in contrasto con la prospettiva tradizionale con cui si guarda alle passività dell’impresa: gli azionisti non sono più i proprietari dell’impresa (in quanto questa è stata venduta ai creditori), pur conservando una opzione che permette di riaquistarla. Con la parità put-call è possibile esprimere in un modo diverso la posizione dei due gruppi. Utilizzando la nuova notazione, per gli azionisti vale la seguente S = V p De -rT Da quest’altro punto di vista, gli azionisti tornano ad essere proprietari dell’impresa, avendola acquistata al prezzo V. Essi hanno anche ricevuto un finanziamento (privo di rischio) dai creditori, pari al valore attuale di quanto sarà rimborsato a scadenza ( De rT ). Tuttavia ciò non basta a descrivere il rapporto azionisti-creditori, in quanto il credito in realtà non è privo di rischio. Gli azionisti hanno infatti acquistato dai creditori anche una opzione put, che permette loro di cedere la proprietà della società ad un prezzo pari al valore di rimborso del debito (D). Essi eserciteranno la put qualora V*<D. Anche per i creditori la parità put-call permette una reinterpretazione della posizione, in quanto V S = p De -rT La parte nuova è il lato destro dell’equazione. Il credito concesso alla società, come già detto, è rischioso in quanto potrà non essere ripagato in pieno. Possiamo quindi dire che i creditori hanno erogato un prestito non rischioso ( De rT ) ma allo stesso tempo hanno venduto agli azionisti una put che, se da questi esercitata, obbliga i creditori ad acquistare la proprietà pagando un prezzo D (che non è altro che il 14 Fonti di Finanziamento mancato rimborso del debito). Riassumiamo i risultati ottenuti nella tabella della pagina successiva. Siamo così in grado di tracciare alcune conclusioni. Grazie a questo approccio opzionale alle passività dell’impresa, abbiamo fatto un passo avanti verso una rappresentazione più compiuta della realtà, introducendo l’elemento fondamentale rappresentato dal fattore rischio. Dobbiamo infatti sottolineare come l’ipotesi di credito/debito non rischioso sia una astrazione eccessiva. AZIONISTI CREDITORI Acquirenti opz. call Proprietari impresa + Venditori opz. call Interpretazione con la parità put-call Proprietari impresa + Debitori + Acquirenti opz. put Creditori + Venditori opz. put Se accettiamo che gli azionisti dell’impresa siano soggetti che hanno come obiettivo la massimizzazione del proprio benessere, allora sceglieranno in ogni caso la condotta più conveniente e quindi anche il default sul debito. Come può notarsi, i creditori, in effetti, non danno in prestito all’impresa l’intero valore attuale del valore nominale del debito, in quanto contestualmente essi ricevono il premio per l’opzione put venduta. Quindi, a parità di valore di rimborso (eventualmente) ricevuto, essi oggi danno a prestito una somma di denaro inferiore rispetto al caso di debito senza rischio. In totale, quindi, il tasso di interesse che tiene conto della rischiosità del prestito (“tasso rischioso”) è più alto del tasso di interesse privo di rischio e ciò riflette il rischio che i creditori effettivamente sopportano. La differenza tra il primo ed il secondo tasso è comunemente detta “premio per il rischio”, e quindi possiamo scrivere Tasso rischioso Tasso privo di rischio : r + Premio per il rischio 15 Fonti di Finanziamento Per valutare il premio per il rischio, e quindi il tasso di interesse rischioso, l’unica incognita è rappresentata dal premio dell’opzione put (essendo il valore attuale del debito già noto). Nel prossimo paragrafo presentiamo un modello che valuta il premio delle opzioni call e put. 16 Formula di Black-Scholes La formula di Black-Scholes La reinterpretazione delle fonti di finanziamento dell’impresa che abbiamo proposto precedentemente non ha scopo puramente speculativo. A partire da questo paragrafo vogliamo infatti mostrare l’utilità di un tale approccio. 5 F. Black e M. Scholes, in un famoso contributo , hanno ricavato una formula, oramai identificata con il loro nome, che permette di calcolare il valore di una opzione call europea. Essi stessi hanno proposto l’applicazione di tale formula alla valutazione del capitale proprio e del debito dell’impresa. Le premesse sono quelle delineate nel paragrafo precedente; il valore S del capitale proprio, secondo la formula di Black-Scholes, risulta essere S V N d 1 De rT N d 2 dove V è il valore di mercato del totale delle attività dell’impresa, D è il valore nominale del debito che dovrà essere rimborsato alla scadenza T, d 1 e d 2 sono due funzioni di V , D, T , r , V , r rappresenta il tasso di interesse privo di rischio, V è lo scarto quadratico medio di V ed è una misura della rischiosità totale delle attività 6 dell’impresa . La formula matematica riportata ha una semplice spiegazione intuitiva. Infatti, se l’esercizio di questa opzione da parte degli azionisti fosse certo, il valore di S sarebbe semplicemente V De rT , cioè il valore odierno dell’impresa meno il valore attuale del debito che gli azionisti dovranno rimborsare per riappropriarsi dell’impresa. Tuttavia, siccome l’esercizio non è certo, tale valore deve essere ponderato nel modo mostrato dalla formula di Black-Scholes. Dobbiamo notare che la formula fornisce anche il valore di una singola azione, in quanto questo non è altro che il valore S del capitale proprio diviso per il 5 6 Black-Scholes (1973). La formula di Black-Scholes originale, cioè quella che valuta una opzione call europea, è la seguente: c S N d 1 Ee rT N d 2 , ed ovviamente si ottiene da quella di cui sopra, semplicemente tornando alla vecchia notazione (vedi pag. 13). 16 Formula di Black-Scholes numero di azioni emesse. Perciò parleremo indifferentemente di valore del capitale proprio o di valore dell’azione. Così come avviene per le opzioni standard, anche per il capitale proprio interpretato in termini opzionali è utile una analisi di sensitività che evidenzi come varia il valore dell’azione al variare di uno dei parametri che ne influenza il valore, ceteris paribus. Con la nomenclatura solitamente utilizzata, possiamo affermare S 0 D " Rho" 7 S 0 r S " Theta" 0 T S " Delta" 0 V S " Vega" 0 V Le prime tre derivate parziali toccano la struttura finanziaria dell’impresa. La riduzione del valore nominale D del debito ovvero l’accrescimento del tasso r privo di rischio oppure una scadenza T del debito più lunga, accrescono la ricchezza degli azionisti. Questi risultati sono coerenti con quelli che si ottengono dal Capital Asset Pricing Model (C.A.P.M.). Allo stesso tempo, il valore dell’azione aumenta all’aumentare del valore V dell’impresa oppure quando la rischiosità delle attività si accresce; questo risultato, che può apparire singolare, sarà commentato più avanti. Con la figura seguente, ottenuta utilizzando nuovamente la formula di Black-Scholes, otteniamo una rappresentazione grafica dei segni delle derivate di cui sopra. 7 Tali derivate parziali sono calcolabili a partire dalla formula di Black-Scholes. Si veda HayatPoncet-Portait (1993), pp.320-322.; Cox-Rubinstein (1985), p.221. 17 Formula di Black-Scholes V S SD SC SB SA V Qui sono riportati quattro differenti valori dell’azione, S A S D , che corrispondono a quattro differenti valori della volatilità A D , con V A V B V C V D . La linea in grassetto rappresenta il valore di V. Si può affermare che i) Il valore dell’azione cresce quando il valore dell’impresa aumenta. ii) Se la rischiosità dell’impresa è più grande, l’azione vale di più, perché S A S B SC S D per qualunque valore di V. iii) Con una volatilità molto alta (è questo il caso di V D ) la crescita di S, a seguito della crescita di V, diviene pressoché lineare. iv) Se V , S V e quindi il valore dell’impresa tende a coincidere con la ricchezza degli azionisti. v) Per bassi valori della volatilità (nel nostro caso V A ) se V cresce, S V D e rT . In effetti, in questo caso il valore di V non muterà molto sino alla scadenza e, se è alto, il rimborso diviene certo ed anche il valore del capitale proprio è deterministico. Se invece, al contrario, la volatilità è alta (per esempio D ), allora S V D e rT solamente per valori di V veramente alti, vale a dire quando V . Altrimenti, il valore di V non è sufficiente a garantire il pagamento del debito, perché vi è l’incertezza dovuta alla grande rischiosità dell’impresa. Per quanto riguarda il punto ii), dobbiamo notare che i creditori non saranno favorevoli all’accrescimento della rischiosità dell’impresa. Infatti, in tal caso, la probabilità che la società non ripaghi i propri debiti tende ad aumentare. Gli 18 Formula di Black-Scholes azionisti (ovvero, in loro vece, i manager), dopo l’emissione del debito, prediligeranno tuttavia la scelta dei progetti più rischiosi. Infatti, grazie alla responsabilità limitata, gli azionisti si approprieranno dei vantaggi di tale politica (possibile valore V dell’impresa molto alto), mentre non ne sopporteranno gli svantaggi (possibile valore V molto basso). Questo fenomeno è conosciuto con il 8 nome di “problema di sostituzione delle attività” ed è un tipo di “moral hazard”. Le diverse clausole che limitano la libertà degli azionisti (o meglio del management) nella gestione dell’impresa hanno spesso lo scopo di limitare la probabilità che tali soggetti intraprendano scelte contrarie agli interessi dei creditori. La formula di Black-Scholes può essere utilizzata in diversi modi. Si supponga che siano noti il valore nominale D del debito, la sua scadenza T, il tasso privo di rischio r, la volatilità V del valore dell’impresa. Allora, conoscendo il valore del capitale proprio (S), utilizzando la formula possiamo conoscere il valore di mercato dell’impresa (V); vale anche il caso opposto, cioè conoscendo V possiamo calcolare S. In effetti, la variabile che con più probabilità si conosce è S, e quindi possiamo risolvere implicitamente, con l’ausilio di un calcolatore, la formula per avere una stima di mercato del valore V delle attività dell’impresa. Tuttavia, anche se non conosciamo il valore di V, possiamo ricorrere a delle stime. Ad esempio, Modigliani e Miller hanno sostenuto che il valore dell’impresa non indebitata è semplicemente la somma scontata di tutti i dividendi futuri e questo valore è lo stesso per l’impresa indebitata, se non esiste tassazione (cd. proposizione I di Modigliani-Miller). Quindi, stimando per tale via V, si può calcolare S con la formula e tale valore può essere confrontato con il vero valore di mercato, se le azioni dell’impresa sono ammesse alla quotazione in una borsa valori. Infine, se assumiamo che il valore della impresa è pari al valore di mercato di tutti i titoli che essa ha emesso, possiamo affermare che V=B+S. Sostituendo nella formula di Black-Scholes, otteniamo la valutazione di mercato del debito, vale a dire 8 “Asset substitution problem”. Si veda Jensen-Mekling (1976). 19 Formula di Black-Scholes B V N d1 De rT N d 2 Da ciò risulta evidente che il valore B del debito è una combinazione lineare delle somme, opportunamente ponderate, che i creditori potranno ottenere in caso di pagamento del debito (cioè D) oppure in caso di fallimento (cioè V). Il grafico seguente mostra i risultati di una simulazione ottenuta utilizzando quest’ultima formula; i valori del debito BA BD sono stati calcolati utilizzando quattro differenti volatilità, con V A V B VC V D. Siccome BA BB BC BD , si dimostra effettivamente l’esistenza del problema di sostituzione delle attività. I valori del debito coincidono per valori di V molto bassi oppure molto alti. Infatti, nel primo caso è pressoché sicuro che il debito non sarà ripagato, indipendentemente dal valore della volatilità; nel secondo caso, al contrario, il debito sarà sicuramente ripagato e quindi il suo valore odierno tende a De rT . B BA BB BC BD V La volatilità del valore dell’impresa Sino ad ora non abbiamo menzionato il problema più importante in vista della utilizzazione pratica della formula di Black-Scholes, vale a dire il problema della stima della volatilità del valore della attività sottostante il contratto di opzione (nel nostro caso la volatilità V del valore dell’impresa). Si tratta di una variabile 20 La volatilità che non può essere osservata direttamente ed il cui valore non è costante nel corso del tempo. Una delle ipotesi del modello di Black-Scholes è invece proprio la conoscenza del valore della volatilità (almeno da parte di alcuni investitori), e la costanza di tale valore. Non possiamo non notare, perciò, che la realtà si discosta sensibilmente da tali assunzioni. Gli studiosi hanno elaborato diverse soluzioni che tentano di risolvere tali problemi. Qui ci concentriamo sui metodi di stima della 9 volatilità . Un primo metodo consiste nella stima della volatilità per mezzo del calcolo 10 dello scarto quadratico medio a partire da dati storici , in questo modo ottenendo una stima campionaria. Lo stimatore non distorto dello scarto quadratico medio di 11 V ha formula V 1 n1 n (V i V )2 i 1 dove n rappresenta il numero di osservazioni disponibili e V il valore medio assunto da V nel campione osservato. È possibile utilizzare questo metodo solo se l’attività sottostante è quotata in qualche mercato, in quanto solo in questo modo è possibile avere dei dati storici. Perciò non possiamo ottenere una stima campionaria per il valore delle attività dell’impresa, per il quale infatti non disponiamo di una serie di prezzi di mercato. Quindi, per il nostro approccio, questo primo metodo è inutilizzabile. 12 Un secondo metodo è quello detto della volatilità implicita . La volatilità implicita è quel valore della volatilità che risolve la formula di Black-Scholes 9 Non tratteremo metodi econometrici di stima, quali sono il EWMA (Exponentially weighted moving average) ed il GARCH (Generalised autoregressive conditional heteroskedastic). 10 11 Vedere, per esempio, Hull (1997), pp.232-235. Tale formulazione, in effetti, trascura il fatto che la formula di Black-Scholes presuppone una particolare distribuzione di probabilità per il valore dell’attività sottostante. Per approfondimenti si veda Cox-Rubinstein (1985), p.255 e ss.. 12 Il primo contributo sull’argomento si trova in Latané-Rendleman (1976). 21 La volatilità quando i valori delle altre variabili (S,V,D,T,r) sono noti. Per esempio, supponendo che il valore di tali variabili siano quelli riportati nella tabella seguente S V D T r 4.000.000 10.000.000 7.000.000 1 anno 0,08 il valore della volatilità implicita di V risulta essere V =0,52. È ovvio che, sostituendo questo valore nel lato destro della formula di Black-Scholes, si ottiene S=4.000.000. Questo metodo incontra due ostacoli nella sua applicazione. Innanzitutto, utilizzando opzioni scritte sulla stessa attività sottostante ma con diversi prezzi di 13 esercizio, si ottengono solitamente valori diversi della volatilità implicita , ed è perciò necessario stabilire un criterio per aggregare tali valori in modo da ottenere una stima unica della volatilità del valore di tale attività. Inoltre, ancora una volta, il metodo presuppone la conoscenza del valore di mercato V e quindi è inapplicabile al pari del primo metodo. M.Brenner e M.G.Subrahmanyam 14 hanno sviluppato un terzo metodo che potremo definire metodo dell’opzione “in the money”. Esso permette di calcolare la volatilità del valore dell’attività sottostante se, tra le opzioni quotate, ve ne è una quotata “in the money”, situazione in cui, secondo la definizione degli autori, il prezzo dell’attività sottostante è uguale al valore attuale del prezzo di esercizio. In tal caso è possibile calcolare esplicitamente una formula per la volatilità: V S 2 V t 15 Si tratta di un metodo molto pratico , che però richiede la conoscenza del valore dell’attività sottostante e quindi nuovamente non è utilizzabile per il valore dell’impresa: si avrebbe una sola formula per stimare V e V . Solo se disponiamo 13 14 15 Problema noto come “volatility smile”. Brenner-Subrahmanyam (1988). In quanto non richiede la risoluzione implicita della formula di Black-Scholes. Tale metodo può essere esteso ad opzioni che non sono quotate esattamente “in the money”; si veda Chance (1996). 22 La volatilità di quotazioni per S e B possiamo conoscere il valore V, utilizzando l’uguaglianza V=B+S. In conclusione, alla luce della descrizione fatta dei tre metodi, l’unica possibilità di avere una stima della volatilità V del valore dell’impresa sembra essere legata alla conoscenza di tutte le altre variabili che entrano nella formula di Black-Scholes, vale a dire S,V,D,T,r. I problemi più grossi riguardano V e T, ma 16 ipotizzando che il debito sia costituito unicamente da uno zero-coupon bond e qualora si abbia una stima del valore di tale debito, V può essere sostituito da B+S, 17 così risolvendo il problema . Una volta nota la volatilità del valore dell’impresa, questa potrebbe essere utilizzata per diversi scopi. Solo per fare un esempio, si potrebbe pensare di effettuare dei confronti intertemporali (collegando i cambiamenti della volatilità a fattori endogeni ovvero esogeni all’impresa), oppure dei confronti tra imprese dello stesso settore al fine di ottenere una stima quantitativa della diversa rischiosità degli asset. Il processo stocastico del valore dell’impresa Vogliamo adesso evidenziare alcuni passaggi chiave che portano alla formula di Black-Scholes, senza comunque entrare nella difficile derivazione matematica. La valutazione dell’opzione (call) è ottenuta costruendo un portafoglio composto dal titolo sottostante, cioè l’azione, e la call. Con l’opportuna scelta delle quantità dei due titoli si può fare in modo che l’evoluzione del valore del portafoglio sia non stocastica, con ciò replicando l’evoluzione del valore di un titolo privo di rischio; le quantità dei due titoli presenti nel portafoglio vanno 16 17 Cfr. p.12. È quello che fa C.C.Hsia, il quale, per calcolare la scadenza T del debito ricorre al concetto di “duration”. Si veda Hsia (1991). 23 Il processo stocastico continuamente aggiustate, comprando quantità aggiuntive di un titolo e vendendo quelle dell’altro. Per evitare opportunità di arbitraggio tra il portafoglio così composto e titolo privo di rischio, bisogna imporre che le evoluzioni del valore dei due siano identiche. Tale condizione porta ad ottenere un equazione differenziale che, una volta risolta, dà la formula cercata, così definendo un prezzo per l’opzione. In realtà, si può mostrare che il portafoglio di cui sopra può contenere due titoli qualsiasi tra i tre (azione, opzione, titolo non rischioso) in quanto comunque, con l’opportuna scelta delle quantità, è possibile replicare istantaneamente l’evoluzione del valore del terzo titolo. Nel nostro caso, tuttavia, abbiamo un grado di libertà in meno. Infatti le attività dell’azienda non sono tradable, cioè non sono scambiate con frequenza in un mercato organizzato. Quindi, se l’attività sottostante è costituita dall’insieme delle attività che compongono l’impresa, il portafoglio replicante può essere costituito esclusivamente dal titolo privo di rischio e 18 dall’azione, e replicare l’evoluzione del valore dell’impresa . Dobbiamo sottolineare che l’eliminazione di opportunità di arbitraggio tra attività sottostante, opzione e titolo privo di rischio di per sé non porta alla formula di Black-Scholes. Infatti, un altro pilastro della derivazione della formula è rappresentato dalla specificazione formale della evoluzione del valore dell’attività sottostante, vale a dire, qui, del valore dell’impresa. Per questo i due autori ipotizzano una distribuzione di probabilità log-normale ovvero, in modo equivalente, un rendimento istantaneo che segue un particolare processo stocastico, chiamato moto browniano geometrico, che matematicamente si esprime nel seguente modo dV Vdt V VdW 18 Per approfondimenti, si veda Cox-Rubinstein (1985), pp.387-388. Per completezza dobbiamo ricordare che esiste un metodo alternativo per la valutazione dei titoli derivati, che utilizza la teoria delle martingale: la valutazione si ottiene semplicemente scontando i flussi di cassa attesi, questi ultimi calcolati con una opportuna scelta della misura di probabilità. Per l’applicazione di tale metodo al caso di Black-Scholes, si veda Hayat-Poncet-Portait (1993), pp. 296-298. 24 Il processo stocastico ovvero, equivalentemente dV dt V dW V ed in cui è il tasso di rendimento atteso (anche chiamato “deriva”), dt è un piccolo intervallo di tempo, mentre V continua ad essere la volatilità del valore V dell’impresa, riferita all’intervallo di tempo dt . Se essa è nulla, il valore dell’impresa è certo e si accresce al tasso capitalizzato nel continuo , ovvero per ogni istante T il valore dell’impresa risulta essere VT V0 e T (con V0 il valore all’istante iniziale). Tuttavia, normalmente, la volatilità è differente da zero, e dunque l’evoluzione di V diviene stocastica, perché dW rappresenta un processo stocastico di Wiener. Ipotizzare che l’evoluzione di V sia governata da un moto browniano geometrico è una via intermedia tra due casi estremi: il perfetto determinismo e la massima casualità. Il risultato è una particolare evoluzione stocastica di V; tra le caratteristiche peculiari sottolineiamo la proprietà di indipendenza tra gli incrementi di V: la probabilità che il valore di V si muova in alto o in basso è indipendente da quanto è avvenuto nel passato. Quanto detto può essere reso più evidente ricorrendo ad una simulazione. A tal fine bisogna servirsi della versione in tempo discreto del moto browniano geometrico, cioè V Vt V V t dove è un campione casuale estratto da una funzione di densità di probabilità normale standard (cioè con media nulla e varianza unitaria). Assumendo (cioè il 10% annuo), V =0,3 (cioè il 30% annuo), t=1/365, ed infine il valore iniziale di V pari a 100, il grafico relativo alla simulazione per la durata di un anno (365 valori) è il seguente 25 Il processo stocastico Vt 140 130 0,3 120 110 0 100 90 80 tempo Si può notare la differenza tra l’evoluzione non stocastica (linea retta, V =0) e quella stocastica governata dal moto browniano geometrico. In questo secondo caso, il valore finale dell’impresa dopo un anno è più basso di quello di partenza, in quanto è pari a circa 94. Se il valore nominale del debito fosse superiore, per esempio 97, alla fine dell’anno questa impresa non ripagherebbe tale debito. Infatti, come sappiamo, gli azionisti hanno acquistato una opzione che gli permette di cedere ai creditori l’impresa ed in questo caso eserciterebbero tale opzione. Questo risultato dipende sia dal particolare campione casuale utilizzato (con un altro campione potrebbe non esserci default sul debito), sia dalla scadenza del debito. Infatti per un lungo intervallo di tempo il valore dell’impresa si mantiene superiore al valore nominale del debito: se il debito scadesse in quel periodo, esso sarebbe ripagato. Se invece l’evoluzione del valore dell’impresa fosse deterministica, il debito verrebbe ripagato, in quanto il valore finale dell’impresa sarebbe pari a circa 110,5. Il grafico, inoltre, mette bene in luce l’indipendenza degli incrementi in un moto browniano geometrico. Spesso tale caratteristica può essere in realtà indesiderata, in quanto può apparire più verosimile che le variazioni del valore V dell’impresa siano tra loro correlate: in un periodo positivo per l’impresa, una variazione positiva del valore sarà più probabilmente seguita da un’altra variazione positiva. Processi più complessi possono tenere conto di questa osservazione. Introduciamo quindi il processo Ornstein-Uhlenbeck (che rientra nella classe dei processi di “ritorno verso la media”), la cui formulazione matematica è la seguente 26 Il processo stocastico dV V V dt V dW In questo caso la deriva è proporzionale allo scarto V V ; le variazioni di V (cioè dV) saranno proporzionali allo scostamento che si è verificato, nell’istante precedente, tra V ed il valore V : il valore V dell’impresa tende a ritornare verso V . Tale tendenza è tanto più forte quanto più grande è il valore di (“velocità di richiamo”), ma è comunque resa stocastica dalla presenza del processo di Wiener rappresentato da dW . Il caso limite in cui 0 può rappresentare il caso di uno shock persistente al valore dell’impresa, caso in cui esso non tende a tornare verso V , ma magari verso un nuovo V1 . Tale valore è una sorta di “valore normale”, valore medio o valore di equilibrio dell’impresa che, solo per fare un esempio, potrebbe essere rappresentato dalla somma scontata di tutti gli utili futuri. Anche in questo caso proponiamo una simulazione, utilizzando lo stesso campione casuale utilizzato nel caso del moto browniano geometrico. La formulazione matematica in tempo discreto del processo Ornstein-Uhlenbeck è la seguente Vt V 1 e e Vt 1 t con campione casuale estratto dalla funzione di densità normale seguente 2 t N 0, V 1 e 2 2 Il valore iniziale dell’impresa è posto nuovamente pari a 100, e pari a 100 è anche il valore normale V . I risultati che sono riportati nel grafico successivo sono ottenuti conservando il valore della volatilità identica alla simulazione precedente, cioè V =0,3, e ponendo uguale a 0,001. 27 Il processo stocastico Vt V 101 100 99 tempo Si noterà come, malgrado la bassissima velocità di richiamo verso il valore normale V 100, il valore dell’impresa tende comunque a ritornare velocemente a tale valore, le oscillazioni sono frequenti (a causa dell’alta volatilità) ma sono racchiuse in una banda molto stretta (rispetto al moto browniano geometrico), e le variazioni del valore dell’impresa sono correlate negativamente (quindi non sono indipendenti). Per evidenziare il ruolo della volatilità, manteniamo invariata la velocità e portiamo V a 0,1: otteniamo una evoluzione pressoché identica al moto browniano geometrico, come mostrato nel seguente grafico. Osservando la scala delle ordinate si noterà, comunque, come ogni valore di V sia, rispetto al caso del moto browniano geometrico, più vicino al valore V 100: la velocità di richiamo continua a mantenere la sua influenza. Si mostra inoltre cosa accade se, a parità di volatilità, la velocità viene portata a 0,002: si ritorna ad una evoluzione simile al grafico precedente ma con oscillazioni meno frequenti e di minore ampiezza, in quanto la volatilità è in questo caso più bassa. Vt 102 101 100 s 99 V 98 tempo 28 Il processo stocastico Questa impresa ripagherà il debito emesso ? Se manteniamo l’ipotesi di valore del debito pari a 97, la risposta è affermativa, perché in ogni caso il valore dell’impresa è superiore. Se invece il valore di rimborso fosse per esempio 103, l’impresa sicuramente non ripagherebbe il suo debito. Il fatto che il valore dell’impresa tenda a ritornare verso il valore normale V (in presenza di valori di non troppo bassi) riduce, in effetti, i margini di incertezza rispetto al moto browniano geometrico: l’incertezza circa la possibilità o meno di default viene confinata ai casi in cui il valore di rimborso sia molto vicino al valore V ; tale default sarebbe comunque momentaneo, essendo le variazioni di V correlate negativamente. Concludiamo sottolineando che i due processi sommariamente presentati non esauriscono né la classe dei processi stocastici né quella (più ristretta) dei processi stocastici che gli economisti hanno applicato allo studio dei titoli derivati. A puro titolo di esempio, ricordiamo che sono stati studiati dei modelli in cui l’evoluzione stocastica dell’attività sottostante è caratterizzata dal fatto che vi sia una probabilità positiva che si verifichino delle discontinuità nel valore dell’attività. Ovviamente la valutazione del titolo derivato che risulta da tali diversi processi stocastici è in generale differente da quella che si ottiene nel caso del moto browniano geometrico con la formula di Black-Scholes. L’azione vista come una opzione composta L’applicazione della formula di Black-Scholes per la valutazione del capitale proprio e del debito dell’impresa poggia su una precisa ipotesi riguardo la struttura finanziaria dell’impresa. Si assume infatti che l’indebitamento consista in una unica emissione obbligazionaria di tipo “zero-coupon”, cioè priva del flusso cedolare. Tale ipotesi appare poco realistica in quanto, al contrario, le imprese moderne utilizzano una moltitudine di strumenti finanziari molto diversificati e spesso complessi. 29 L’opzione composta Limitando comunque la nostra attenzione ai casi più comuni, è normale il pagamento di cedole durante la vita del debito, sino alla scadenza. Inoltre l’impresa ha una struttura finanziaria in cui coesistono diversi contratti di indebitamento, che hanno differenti scadenze e che, quindi, si sovrappongono. Il modello di Black-Scholes, che si fonda su quella ipotesi estremamente semplificatrice, non può tenere conto di tali complicazioni. R. Geske, invece, ha ricavato una formula per la valutazione dell’opzione composta, che è applicabile qualora si voglia più compiutamente tenere conto della reale struttura finanziaria 19 dell’impresa . Nel modello si fa l’ipotesi di una struttura finanziaria che presenta due scadenze, t* e T, in cui l’impresa dovrà pagare rispettivamente le somme x* e D. Si possono proporre diverse interpretazioni di una tale situazione, ad esempio: a) Un unico debito, per il quale x* rappresenta la cedola e D il valore nominale che dovrà essere rimborsato in T. b) x* e D possono essere i valori nominali di due differenti debiti zero-coupon che l’impresa dovrà rimborsare nelle due differenti scadenze. c) x* e D possono rappresentare, sinteticamente, il debito a breve termine e quello a lungo termine. Sino alla prima scadenza t* gli azionisti sono detentori di una opzione call, che essi potranno esercitare pagando la somma x* ai creditori. Tuttavia, se essi eserciteranno questa opzione, non acquisteranno in effetti la proprietà dell’impresa, perché alla scadenza T essi si troveranno nuovamente davanti ad una scelta simile: essi potranno esercitare una seconda opzione pagando la somma D ai creditori. Solo se eserciteranno questa seconda opzione, essi diverranno proprietari dell’impresa; dunque la seconda opzione è esercitata, in T, se V D . Tuttavia, gli azionisti potranno prendere tale decisione soltanto se avranno già esercitato la prima opzione al tempo t* (cioè se avranno effettuato il primo pagamento pari a x*). Essi eserciteranno la prima opzione soltanto se il valore della seconda opzione, al tempo 19 Cfr. Geske (1977). 30 L’opzione composta t*, è superiore al prezzo di esercizio x*: la loro ricchezza in t* è max S * x*, 0 , con S* il valore dato dalla formula di Black-Scholes per la seconda opzione al tempo t*. In questo quadro, gli azionisti sono perciò detentori di una opzione 20 composta, vale a dire una opzione call scritta su di un’altra opzione call ; è questa seconda opzione ad essere scritta sul valore V dell’impresa, e non la prima, che è invece scritta sulla seconda opzione. Quest’ultima, in definitiva, rappresenta l’attività sottostante sino alla scadenza t*. Geske, utilizzando l’ipotesi di Black-Scholes che i rendimenti istantanei del valore dell’impresa seguano un moto browniano geometrico, ha calcolato la formula che valuta l’opzione composta. Utilizzando la nostra notazione, il valore S del capitale proprio considerato come opzione composta è S V N 2 h V t * , k + V T ; t* T D e -rT N 2 h , k ; t * T x * e -rt* N h. in cui N 2 è la funzione di ripartizione della normale bivariata, coefficiente di correlazione, h e k sono funzioni di V , x*, D, r , V , t *, T . t * T è il Il significato intuitivo della formula è simile a quello già dato a proposito della formula di Black-Scholes: se l’esercizio delle due opzioni fosse certo, il valore del capitale proprio sarebbe S V D e -rT x * e -rt * , vale a dire il valore totale delle attività meno il valore nominale scontato dei debiti da ripagare; tuttavia è necessario ponderare questo valore con delle probabilità perché l’esercizio, alle due scadenze, non è certo. Si riottiene la soluzione di Black-Scholes (vale a dire il caso di un debito zero-coupon) se t* e T coincidono. Analogamente, per T , l’opzione composta 20 Esistono, in effetti, quattro tipi di opzioni composte (l’opzione call su una opzione call oppure su una put, l’opzione put su una opzione call oppure su una opzione put). Rubinstein (1991-1992) ha studiato simultaneamente questi casi. 31 L’opzione composta si trasforma in una normale opzione call con prezzo d’esercizio x* e scadenza t*. È per questo che, quando T , il valore del capitale proprio S valutato come opzione composta è inferiore al valore di S valutato come una normale opzione call con prezzo di esercizio x* e scadenza t*. Così come accade per la formula di Black-Scholes, anche questa di Geske è influenzata dalla struttura finanziaria dell’impresa. Infatti si può dimostrare che S 0 V S 0 D S 0 T S 0 r S 0 V2 21 S 0 x* S 0 t* Si noti che il segno delle prime cinque derivate parziali è lo stesso della formula di Black-Scholes e quindi il significato resta identico. In più, se il valore nominale x* del debito da pagare in t* aumenta, il valore dell’azione si abbasserà, perché gli azionisti dovranno pagare una somma più grande per avere la possibilità di riacquistare l’impresa alla scadenza T; al contrario, se è la scadenza t* a crescere, anche il valore dell’azione aumenta, perché il valore attuale della somma da rimborsare ai creditori diminuisce. Utilizzando la stessa argomentazione del modello di Black-Scholes, si può affermare che il valore totale del debito è B V 1 N 2 h V t * , k + V T ; t* T D e -rT N 2 h , k ; t * T x * e -rt* N h. L’interpretazione è simile a quella già data nel caso del debito zero-coupon; in più, qui si tiene conto che il secondo debito potrà non essere pagato e sicuramente non sarà rimborsato se vi è stato default sul primo debito. 21 Si veda Geske(1979), pp. 71-72. 32 L’opzione composta Appare così evidente, ancora una volta, l’utilità di un approccio in termini di teoria delle opzioni nella valutazione delle passività emesse dall’impresa. Infatti, se la struttura finanziaria dell’impresa fosse costituita solo da obbligazioni zerocoupon non rischiose, si potrebbe valutarle semplicemente come un portafoglio di obbligazioni, utilizzando gli approcci classici quali quello del Valore Attuale Netto. Tuttavia, se effettivamente esiste una possibilità di default, è necessario utilizzare il modello dell’opzione composta, evitando così di assegnare al debito una valutazione più alta rispetto al suo fair value. Per rendere il modello di Geske meno semplificato si dovrebbe tener conto che nella struttura finanziaria dell’impresa esistono molte scadenze in cui si deve pagare delle cedole oppure rimborsare il valore nominale. Ad ogni scadenza n, gli azionisti sono holder di una opzione call che, se esercitata (per mezzo del pagamento del debito/cedola in scadenza) permette loro di acquistare l’opzione n-1. Ugualmente, in ognuna di queste date, gli azionisti hanno la possibilità di default su tutta la serie dei pagamenti ancora da effettuare, così lasciando ai creditori il valore residuo dell’impresa. Anche questa visione della posizione degli azionisti è dovuta a F.Black e 22 M.Scholes . Una formula è stata sviluppata per questo caso molto generale; essa è molto complessa, perché utilizza la funzione di ripartizione della normale n-variata, vale a dire con dimensione n pari al numero di scadenze del debito. Tuttavia Geske ha dimostrato che il problema può essere semplificato: se le cedole sono pagate ad intervalli di uguale durata, la matrice di covarianza è simmetrica. Con tale semplificazione, l’integrale della funzione di densità normale di dimensione n è 23 ridotto al prodotto di integrali normali di dimensione più bassa . Una estensione: differenti priorità nel debito 22 23 Black-Scholes (1973), pp.651-652. Si veda Geske (1977) ed anche Selby-Hodges (1987). 33 Priorità nel debito Abbiamo già avuto occasione di parlare del “problema di sostituzione delle attività”, vale a dire del conflitto di interessi che esiste tra azionisti e creditori rispetto al livello di rischiosità desiderato per le attività dell’impresa. Come sappiamo, gli azionisti preferiranno accrescere la volatilità delle attività, perché potranno appropriarsi di tutti i guadagni di questa politica, mentre non pagheranno per le eventuali perdite, a causa della propria responsabilità limitata. Di conseguenza, la condotta ottimale per gli azionisti è di scegliere i progetti più rischiosi e così facendo rendono molto alta la probabilità che il debito non sarà ripagato. Perciò, se l’analisi resta confinata a questo semplice modello teorico, appare difficile trovare una motivazione razionale per la concessione di prestiti alle imprese. Tuttavia, guardando al mondo reale, esistono soggetti che danno a prestito fondi alle imprese. In effetti, tali prestiti hanno una struttura più complessa rispetto al caso teorico che noi abbiamo studiato sino ad ora. Spesso, nel contratto di prestito, esistono delle clausole che hanno per obiettivo quello di limitare la libertà degli azionisti e garantire i diritti dei creditori. Rispetto alle garanzie per i creditori, è noto che i loro diritti sono soddisfatti prima di quelli degli azionisti. È per questo che, se alla scadenza avviene che V*<D, il valore V* va ai creditori e niente spetta agli azionisti. La valutazione della posizione dei creditori e degli azionisti è quella già data con il modello di BlackScholes. Noi sappiamo, inoltre, che l’impresa non ha mai soltanto un debito zero coupon nella sua struttura finanziaria, e perciò abbiamo studiato il caso di debiti con differenti scadenze utilizzando l’opzione composta. Tuttavia esiste un’altra differenziazione, molto importante, tra i debiti dell’impresa. Infatti, spesso, esiste un debito che ha la priorità di rimborso, detto “debito senior” (D.S.) oppure privilegiato, ed un debito che al contrario è subordinato, detto “debito junior” (D.J.) oppure postergato, vale a dire sarà ripagato soltanto se il valore dell’impresa sarà sufficiente e solo se il D.S. è stato già completamente ripagato; il D.J., a sua volta, ha priorità rispetto alle azioni ordinarie. Questo ordine di priorità stabilisce una differenziazione tra i diversi debiti e quindi ha delle ripercussioni sulla loro valutazione; anche il valore del capitale proprio ne sarà influenzato. Lo studio di 34 Priorità nel debito questa differenziazione ci permetterà di utilizzare nuovamente i modelli di BlackScholes e di Geske. Caso I: stessa scadenza 24 Cominciamo con il caso più semplice , supponendo che l’impresa debba pagare il valore nominale del D.S., cioè DS , ed il valore nominale del D.J., cioè DJ , alla stessa scadenza T. In tale data, in base al valore finale V* dell’impresa, si possono realizzare tre casi: V * DS I due debiti non sono ripagati ed il valore residuo dell’impresa (V*) va esclusivamente ai creditori senior. Niente spetta ai creditori junior ed agli azionisti. DS V * DS DJ Il D.S. viene completamente pagato. Il D.J. è parzialmente onorato, perché i creditori junior ricevono ciò che resta dopo che il D.S. è stato pagato, vale a dire V * DS . Niente va agli azionisti. DS DJ V * Il valore dell’impresa è sufficiente per pagare i due debiti e ciò che residua, vale a dire V * DS DJ , spetta agli azionisti. Il passo successivo consiste nella valutazione dei due debiti e del capitale proprio. Si può facilmente comprendere come la situazione dei detentori del D.S. sia simile al caso di Black-Scholes, in cui non vi è alcun ordine di priorità tra debiti ed esiste quindi soltanto un debito ordinario omogeneo. I creditori senior, in effetti, hanno la proprietà dell’impresa, ma hanno venduto una opzione call ai creditori junior, che potranno acquistare l’impresa al prezzo DS . Il valore del D.S., che 24 Il modello è dovuto a Black-Cox (1976). 35 Priorità nel debito indichiamo con BS , è dunque BS V S DS , in cui S DS è il valore dell’opzione call sull’impresa con prezzo di esercizio DS . Conseguentemente, possiamo scrivere BS V N d1 DS e rT N d 2 La posizione degli azionisti è sempre interpretabile come l’acquisto di una opzione call, ma questa volta con prezzo di esercizio pari a DS DJ . Quindi, utilizzando la stessa notazione, il valore del capitale proprio è S DS DJ VN d1 DS DJ e rT N d 2 in cui d1, d 2 sono le funzioni d1 , d 2 modificate tenendo conto che il prezzo di esercizio è qui pari a DS DJ . La posizione dei detentori del D.J. è equivalente ad un acquisto ed una simultanea vendita di due differenti opzioni call. Più precisamente, i creditori junior acquistano dai creditori senior una opzione call con prezzo di esercizio DS e vendono agli azionisti un’altra opzione call con prezzo d’esercizio DS DJ ; gli azionisti potranno perciò ricomprare l’impresa al prezzo DS DJ , vale a dire ripagando il valore nominale dei due debiti. Ugualmente, considerando che il valore dell’impresa è uguale al valore delle passività che ha emesso, possiamo scrivere: BJ V S DS DJ BS = S DS S DS DJ La formula di Black-Scholes fornisce il valore delle due opzioni considerate e quindi il valore del D.J., cioè B J V N d 1 N d 1 DS e rT N d 2 N d 2 D J e rT N d 2 A partire da questa formula notiamo che, mentre l’analisi del D.S. è rimasta identica rispetto al caso di Black-Scholes, per il D.J. si ottengono delle conclusioni 36 Priorità nel debito sorprendenti: può infatti accadere che BJ cresca quando cresce il tasso di interesse, oppure si allunga la scadenza, oppure aumenta la volatilità di V, vale a dire può accadere che B J 0 r B J 0 T B J 0 V I segni di queste tre derivate parziali coincidono con quelli che si ricavano valutando l’azione con la formula di Black-Scholes. In effetti, le prime due derivate parziali sono abbastanza strane per un debito in quanto, intuitivamente, ci aspetteremo il contrario. La terza è in contrasto con il “problema di sostituzione delle attività”: i detentori del D.J. possono essere favorevoli all’accrescimento della rischiosità dell’impresa. La spiegazione è presto data. I segni delle tre derivate parziali saranno quelli riportati quando V è basso (rispetto a DS DJ ), vale a dire quando la probabilità che il D.J. non sia ripagato è molto alta: in questa eventualità, quindi, il D.J. diviene molto simile al capitale proprio. Rispetto all’effetto della volatilità, si può guardare il prossimo grafico, in cui i valori del D.J. (in questo caso B J A, B J B , B J C ), sono riportati per differenti Valore debito junior volatilità, V A V B V C , al variare di V. BJA BJ B BJ C V 37 Priorità nel debito Si può notare che, per bassi valori di V, la maggiore volatilità determina un accrescimento del valore del D.J., vale a dire B J A B J B B J C ; il contrario è vero per valori di V sufficientemente alti. In più, è utile notare come ad un certo punto il valore BJ A divenga costante (e risulta uguale a DJ e rT ): il valore V dell’impresa è così alto che il pagamento del D.J. diviene pressoché certo e quindi il valore del D.J. è semplicemente il valore attuale della somma che dovrà essere pagata a scadenza. Infine, per valori di V ancora più alti (qui non riportati) accade che i valori B J B e B J C tendono a coincidere con il valore B J A : quando il pagamento diviene certo, i differenti valori della volatilità di V perdono rilevanza nella valutazione del D.J.. Caso II: differenti scadenze Un caso più generale rispetto a quello discusso finora consiste nel supporre 25 che il D.S. ed il D.J. abbiano due differenti scadenze . In tale evenienza il valore nominale del D.S., DS , dovrà essere pagato alla scadenza TS , mentre il valore nominale del D.J., DJ , dovrà essere pagato alla data TJ . Siccome vi è un ordine di priorità tra i due tipi di debito, logicamente deve essere TS TJ . Rispetto alla seconda scadenza TJ , si applica semplicemente l’analisi à la Black-Scholes. Così se il valore dell’impresa a quella data, cioè VT , è superiore a J DJ , i detentori del D.J. saranno ripagati ed il valore residuo dell’impresa andrà agli azionisti. Nel caso contrario, il valore VT andrà ai creditori junior. La formula di J Black-Scholes fornisce il valore del capitale proprio e del D.J. al tempo TS . Il valore del capitale proprio risulta essere STS VTS N d1 D J e 25 r TJ TS N d2 Il modello è sviluppato in Geske (1977). 38 Priorità nel debito Il valore BJ del D.J., sempre al tempo TS , è semplicemente B J T VTS S TS , S TS vale a dire BJ VT N d1 DJ e r T T N d 2 J TS S S Al tempo TS gli azionisti pagheranno il D.S. soltanto se ST DS ; nel caso S contrario, il valore VT dell’impresa andrà ai creditori senior. Quindi il valore, S calcolato oggi, del D.S. è BS V 1 N h V TS D S e rT N h S Geske, a questo punto, introduce una ipotesi abbastanza utilizzata nella letteratura sull’argomento: il D.S. è pagato con una nuova emissione di capitale proprio. Questa ipotesi è coerente con la struttura del modello ed anche con la realtà: spesso la presenza di un debito senior impedisce alla società di emettere passività con diritti equivalenti, ma è ovviamente libera l’emissione di passività subordinate, come è appunto il caso, per antonomasia, dell’emissione di azioni. Gli azionisti potranno procedere a questa emissione soltanto se ST DS . Infatti, nel S caso contrario, nessuno acquisterebbe le nuove azioni: la somma che la società potrebbe pagare grazie alla nuova immissione di capitale (cioè DS ) sarebbe superiore al valore della parte di impresa che essi andrebbero ad acquistare. In effetti, se ST DS , si avrà una trasformazione di debito in capitale proprio ed i S vecchi azionisti non dovranno pagare alcunché. Quindi la loro posizione è equivalente all’acquisto di una opzione composta con il primo prezzo di esercizio nullo, mentre il secondo è uguale a DJ . In definitiva il valore del capitale proprio oggi è S V N 2 h V TS , k V TJ , TS TJ DJ e rT N 2 h, k , TS TJ J 39 Priorità nel debito Sapendo che BJ V BS S , si può inoltre conoscere il valore odierno del D.J., che risulta essere B J V N h V TS N 2 h V TS , k V TJ , TS TJ DJ e rT N 2 h, k , TS TJ DS e rT N h J S Un’altra estensione: il debito garantito L’analisi del debito senior e del debito junior ci ha permesso di studiare una prima differenziazione del debito all’interno della struttura finanziaria di una stessa impresa. Il concetto di “debito garantito” ci permetterà, adesso, di esplicitare un’altra differenziazione non meno importante. Quando l’impresa emette un debito garantito, una parte delle attività dell’impresa stessa viene destinata a garantire il pagamento di tale debito, tipicamente per mezzo di un’ipoteca. Ciò equivale a dire che, nel caso il debito non venga onorato dagli azionisti, tali attività saranno utilizzate esclusivamente per ripagare il debito garantito. A titolo d’esempio, supponiamo che l’impresa abbia emesso soltanto due tipi di debito. Il primo è il debito garantito, il quale ha un valore nominale DG ed una garanzia il cui valore è G. L’altro debito è ordinario e quindi è privo di garanzia; esso ha la stessa scadenza del debito garantito e valore nominale pari a D P . Essendo V il valore dell’impresa (V include G), è chiaro che si avrà default se 40 Il debito garantito alla scadenza V * DG D P , con V* sempre il valore di V a scadenza. In tale evenienza potremo distinguere due ulteriori casi: V * G DP Il valore nominale D P del debito ordinario è completamente rimborsato, mentre per il debito garantito il rimborso sarà pari a V * D P , in quanto questa somma risulta essere maggiore di G. V * G DP I detentori del debito senza garanzia riceveranno V * G . La garanzia G andrà ai detentori del debito garantito. Quindi si può ricondurre sinteticamente la posizione dei creditori garantiti, a scadenza, alla formula min DG , max V * DP , G ovvero, in maniera equivalente DG - max DG max V * DP , G , 0 Appare perciò evidente che, quando si considera la possibilità di default, il pagamento ricevuto dai creditori garantiti non sarà sempre pari a DG . Infatti essi, oltre ad accordare un prestito all’impresa, vendono allo stesso tempo una opzione put scritta sul valore più grande tra V * DP e G. Questo particolare tipo di opzione è stato studiato da R.M. Stulz, che ha calcolato il valore delle opzioni scritte sul massimo o sul minimo di due attività rischiose, supponendo che l’evoluzione del 26 valore di tali attività sia governata da un moto browniano geometrico . 26 Per approfondimenti si veda l’articolo originale, Stulz (1982). 41 Conclusioni Conclusioni Prima di trarre alcune conclusioni, appare opportuno riassumere brevemente il contenuto di queste pagine. Si è inizialmente definito il contratto di opzione, chiarendone le caratteristiche, tra le quali spicca la parità tra l’opzione put e l’opzione call. Grazie a questa base conoscitiva, si è potuto mostrare come la teoria delle opzioni sia utile per proporre una visione inconsueta delle fonti di finanziamento dell’impresa. Successivamente si è reso più operativo l’approccio, introducendo il modello di valutazione delle opzioni di Black-Scholes, discutendone alcune ipotesi meno realistiche e le possibili soluzioni. Infine si sono introdotti altri modelli con l’obiettivo di meglio descrivere e studiare la struttura finanziaria dell’impresa. Nella premessa avevamo affermato che ogni decisione ha, a monte, una opzione tra due o più alternative; da ciò discende la potenzialità applicativa della teoria delle opzioni. Qui abbiamo trattato soltanto una delle possibili applicazioni, ma ricordiamo che molto è stato scritto anche riguardo la valutazione di opzioni 27 complesse (c.d. opzioni esotiche) e delle opzioni reali . Rimanendo però ai temi già discussi, vogliamo delinearne alcune possibili estensioni. Di alcune si parla già nel corso dello scritto e non ci si ritornerà sopra. Invece un campo che non abbiamo esplorato è quello della validazione empirica dei modelli teorici introdotti. Tale verifica si sarebbe senz’altro potuta fare, ma a costo di una perdita di linearità ed organicità nella trattazione, che invece si sono volute preservare visto il taglio divulgativo prescelto. In secondo luogo, altri tipi di opzioni potrebbero essere utilizzati per descrivere, probabilmente più efficacemente, le fonti di finanziamento dell’impresa, sulla falsariga di quanto fatto con l’opzione composta e con l’opzione sul massimo di due attività rischiose. Per esempio l’opzione americana, cioè l’opzione che può essere esercitata in ogni data prima della scadenza, potrebbe ben descrivere una situazione in cui il default sul debito può verificarsi in ogni 27 Per le prime si veda, a livello introduttivo, Brierwood-Smith (1993), mentre per le opzioni reali il testo fondamentale è Dixit-Pyndyck (1993). 42 Conclusioni ogni momento, e non soltanto alla scadenza (come avviene invece utilizzando la semplice opzione europea). Continuando, dobbiamo dire che la teoria delle opzioni non è limitata, come potrebbe apparire, al solo lato delle passività di bilancio. Infatti, come mostra 28 M. Rubinstein , è possibile dividere le attività di una impresa in una parte rischiosa ed una parte non rischiosa; ciò permette di considerare esplicitamente la struttura finanziaria dell’impresa ed ottenere una volatilità degli asset dell’impresa di tipo stocastico. 29 Infine, così come ha fatto C.S.Hsia , è possibile dimostrare la coerenza tra l’approccio opzionale alle fonti di finanziamento dell’impresa con il Capital Asset Pricing Model e con le Proposizioni di Modigliani-Miller. Tale conclusione, oltre a stabilire una certa unitarietà tra queste moderne teorie della finanza, fornisce dei metodi alternativi per il calcolo del costo del debito e dell’equity (e quindi del capitale) di una impresa. Questi sono solo alcuni degli aspetti su cui può concentrarsi l’attenzione del lettore, nella speranza di aver qui fornito le necessarie basi teoriche per il successivo approfondimento. 28 29 Si veda Rubistein (1983). L’articolo originale è Hsia (1981). Si veda anche Copeland-Weston (1988). 43 Bibliografia Bibliografia Black, F., Cox, J., (1976), “Valuing corporate securities: some effects of bond indenture provisions”, Journal of Finance, Vol.31 (May), pp.351-368. Black, F., Scholes, M.J., (1973), “The pricing of options and corporate liabilities”, Journal of Political Economy, Vol.81, n.3 (May-June), pp.637-654. Brenner, M., Subrahmanyam, M.G., (1988), “A simple formula to compute the implied standard deviation”, Financial Analysts Journal, (SeptemberOctober), pp.80-83. Brierwood, D., Smith, H., (1993), “Exotic options”, in The Equity Derivatives Handbook, a cura di J.Watson. Chance, D.M., (1996), “A generalized simple formula to compute the implied volatility”, The Financial Review, Vol.31, n.4 (November), pp.859-867. Copeland, T.E., Weston, J.F., (1988), “Financial Theory and Corporate Policy”, Addison-Wesley Publishing Company. Cox, J.C., Rubinstein, M., (1985), “Options Markets”, Prentice-Hall, Inc.. 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