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Attività illegali nella gestione delle risorse forestali in Italia

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Attività illegali nella gestione delle risorse forestali in Italia
 ____________________________________________________________________________________________________________ Attività illegali nella gestione delle risorse forestali in Italia ____________________________________________________________________________________________________________ Davide PETTENELLA Diego FLORIAN Mauro MASIERO Laura SECCO Novembre 2011 Prevention of and Fight against Crime 2009. With the financial support of the Prevention of and Fight against Crime
Programme of the European Union.
European Commission-Directorate General Home Affairs
The information contained in this report does not necessarily reflect the position or opinion of the European Commission. Indice 1. Il campo d’indagine.............................................................................................................................. 3 1.1 Il campo di studio ..............................................................................................................................................3 1.1.1 Il settore forestale italiano ....................................................................................................................3 1.1.2 Filiera foresta-­‐legno-­‐mobile.................................................................................................................9 1.2 Reati e illeciti: normativa di riferimento .............................................................................................. 12 1.2.1 Normativa nazionale e regionale..................................................................................................... 12 1.2.2 Normativa internazionale................................................................................................................... 15 1.3 Istituzioni di controllo .................................................................................................................................. 16 1.3.1 Il ruolo della società civile.................................................................................................................. 18 2. Metodologia di ricerca e fonti informative ................................................................................18 3. Risultati..................................................................................................................................................19 3.1 Natura e dinamiche dei fenomeni di illegalità indagati ................................................................. 19 3.1.1 Illegalità storica....................................................................................................................................... 20 3.1.2 Illegalità dimenticata ............................................................................................................................ 26 3.1.3 Nuova illegalità........................................................................................................................................ 28 3.2 Le dimensioni dei fenomeni di illegalità indagati............................................................................. 32 3.3 Alcuni spunti di riflessione......................................................................................................................... 33 Bibliografia..................................................................................................................................................................... 34 ALLEGATO 1: Quadro sintetico della principale normativa e degli strumenti di programmazione regionale in ambito forestale ............................................................................................ 37 ALLEGATO 2: Questionario usato nel corso delle interviste ai testimoni privilegiati
............................................................................................................................................................................................. 38 Principali acronimi e abbreviazioni usati nel testo CE Commissione Europea CFS Corpo Forestale dello Stato D.Lgs. Decreto Legislativo EUTR European Union Timber Regulation FLEGT Forest Law Enforcement Governance and Trade ha ettaro INFC Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi di Carbonio M milione Mld. miliardo Ns. nostra PMI Piccole e medie imprese PMPF Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale PQSF Programma Quadro del Settore Forestale Reg. Regolamento 2 1. Il campo d’indagine 1.1 Il campo di studio Con riferimento al sistema foresta-­‐legno italiano è possibile individuare due insiemi, solo parzialmente sovrapposti, che costituiscono l’oggetto del presente studio: › il settore forestale, inteso come le attività direttamente legate alla gestione dei boschi, › la filiera foresta-­‐legno-­‐mobile ovvero la “catena di valore” che collega le attività economiche in bosco con quelle di lavorazione dei prodotti forestali (in primis il legname) fino al consumatore finale. In considerazione delle differenze di natura, dimensioni e caratteristiche tali insiemi sono di seguito presentati separatamente. Ciascuno di essi è suscettibile di ulteriori distinzioni di livello inferiore che saranno evidenziate e descritte di volta in volta nel testo. 1.1.1 Il settore forestale italiano La superficie forestale italiana è andata soggetta, a partire dalla fine degli anni ’40, a processi di graduale e continua espansione. Le ragioni di tali processi sono da imputarsi non solo a interventi di rimboschimento, ma anche -­‐ in misura presumibilmente crescente -­‐ a fenomeni di ricolonizzazione naturale di terreni marginali, quali aree caratterizzate da condizioni orografiche difficili (soprattutto in zone montane) e aree soggette all’abbandono dell’attività agricola. Secondo le stime dell’Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi di Carbonio (INFC)1 (2007) la superficie forestale nazionale totale ammonta a 10.467.537 di ettari (ha), pari a circa il 34,7% dell’intera superficie nazionale. Tale valore deriva dalla somma dei dati relativi a due distinte macrocategorie: “Bosco” e “Altre terre boscate” (box 1.1). Box 1.1 – Definizioni di Bosco e Altre terre boscate adottate nell’ambito dell’INFC 2005 La macrocategoria Bosco comprende le superfici forestali che soddisfano la definizione di Forest adottata dalla FAO per il Forest Resources Assessment (FRA) 2000 (UNECE-­‐FAO, 1997; FAO, 2000) e per l’analoga e più recente indagine FRA2005 (FAO, 2005). Si tratta di aree forestali con ampiezza minima di 0,5 ha e larghezza minima di 20 m, caratterizzate da una copertura arborea superiore al 10% determinata da specie capaci di raggiungere 5 m di altezza a maturità in situ. Dalla macrocategoria Bosco sono escluse le aree con copertura di specie arboree forestali superiore al 10% ma aventi uso prevalente agricolo o artificiale (residenziale, commerciale, industriale o di servizio ai trasporti e alle comunicazioni), quali parchi urbani, campeggi, seminativi con alberi sparsi, scarpate stradali e ferroviarie, ecc. (INFC, 2003). La categoria Altre terre boscate comprende le aree forestali con ampiezza minima di 0,5 ha e larghezza minima di 20 m, caratterizzate da una copertura arborea compresa tra 5% e 10% di specie capaci di raggiungere 5 m di altezza a maturità in situ o, in alternativa, da formazioni con una copertura superiore al 10% determinata da specie arbustive o da specie arboree incapaci di raggiungere l’altezza in situ a maturità di 5 m. La macrocategoria “Bosco”, con un’estensione stimata pari a 8.759.200 ha, costituisce l’83,7% della superficie complessiva, coprendo il 29,1% dell’intero territorio nazionale. All’interno di questa macrocategoria, oltre il 98% della superficie è rappresentato da Boschi alti (cedui e fustaie), mentre gli impianti artificiali di arboricoltura da legno ammontano a 122.252 ha, corrispondenti allo 0,4% della superficie territoriale nazionale. Infine la superficie delle “Aree temporaneamente prive di soprassuolo” è stata stimata pari a 53.981 ha (0,2 % del territorio italiano). Le realtà territoriali più densamente boscate sono la Liguria e il Trentino, con una 1 Salvo laddove diversamente indicato in maniera espressa, i dati riportati in questo paragrafo sono derivati da INFC (2007).
3 copertura percentuale rispettivamente pari al 62,6 e al 60,5%. Le Regioni meno ricche di boschi risultano essere invece la Puglia (7,5%) e la Sicilia (10%) (tabella 1.1). L’estensione complessiva della macrocategoria “Altre terre boscate” risulta pari a 1.708.333 ha (16,3% della superficie dell’intero Paese), il 58% dei quali coperto dagli arbusteti, in primis macchia e arbusteti mediterranei. Tabella 1.1 – Superficie forestale italiana per distretti territoriali e per macrocategorie (ha) Distretto territoriale Bosco (1) Altre terre boscate (2) Totale (1) + (2) % Abruzzo Alto Adige Basilicata Calabria Campania Emilia Romagna Friuli Venezia Giulia Lazio Liguria Lombardia Marche Molise Piemonte Puglia Sardegna Sicilia Toscana Trentino Umbria Valle d'Aosta Veneto 391.492 336.689 263.098 468.151 384.395 563.263 323.832 543.884 339.107 606.045 291.394 132.562 870.594 145.889 583.472 256.303 1.015.728 375.402 371.574 98.439 397.889 47.099 35.485 93.329 144.781 60.879 45.555 33.392 61.974 36.027 59.657 16.682 16.079 69.522 33.151 629.778 81.868 135.811 32.129 18.681 7.489 48.967 438.591 372.174 356.427 612.932 445.274 608.818 357.224 605.858 375.134 665.702 308.076 148.641 940.116 179.040 1.213.250 338.171 1.151.539 407.531 390.255 105.928 446.856 4,2% 3,6% 3,4% 5,9% 4,3% 5,8% 3,4% 5,8% 3,6% 6,4% 2,9% 1,4% 9,0% 1,7% 11,6% 3,2% 11,0% 3,9% 3,7% 1,0% 4,3% 8.759.202 1.708.335 10.467.537 100,0% Totale Fonte: INFC, 2007. Ns. elaborazione. Rispetto alla natura dei proprietari, la proprietà privata (63,5%) prevale su quella pubblica (32,4%)2 tanto con riferimento alla superficie forestale complessivamente considerata, quanto con riferimento alla sola macrocategoria Bosco. In particolare, sempre riferendosi a quest’ultima categoria, tra le forme di proprietà privata prevale in maniera netta (79%) quella individuale, mentre i restanti boschi privati appartengono per il 6,2% a società e imprese e per il 4,5% ad altri enti privati. Riguardo alla proprietà pubblica, prevale il ruolo di Comuni e Province (65,5%), seguiti dal Demanio statale e regionale (23,7%), mentre solo l’8,3% delle superfici appartiene ad altri enti pubblici. La struttura della proprietà fondiaria risulta poco dinamica, così che, nonostante i processi di abbandono e di estensivizzazione gestionale in corso, la dimensione media delle aziende (pubbliche e private) con boschi rimane molto ridotta. I dati medi di superficie sono fortemente influenzati dalla diffusione delle piccole aziende: quelle con ampiezza inferiore ai cinque ettari costituiscono il 59,7% del totale, anche se arrivano a coprire solo il 6,4% della superficie boscata complessiva. La superficie media delle aziende con superficie inferiore a cinque ettari è pari a 0,76 ettari. E’ lecito supporre che molte di esse non siano gestite oppure lo siano in modo del tutto saltuario (APAT, 2003; Pettenella e Masiero, 2007). Come già anticipato, le difficili condizioni orografiche costituiscono una delle principali ragioni del processo di abbandono gestionale. Poco meno del 60% della superficie boscata si 2 Quasi il 4% della superficie forestale italiana non è stata classificata dall’INFC con riferimento alla categoria “proprietà”.
4 trova in zone montane (ISTAT, 2005; INFC, 2007) mentre solo il 5% ricade in aree di pianura3 (ISTAT, 2005). Una componente significativa, pari a circa un terzo dei boschi di pianura, è costituita da pioppeti specializzati e altri impianti da arboricoltura da legno. Quindi, se nella gran parte delle aree montane e collinari la presenza di formazioni forestali è particolarmente significativa (tanto da incominciare a porre, in alcune regioni, il problema della difesa delle residue superfici agricole dalla diffusione spontanea del bosco) in pianura l’estensione di formazioni forestali non specializzate può essere ritenuta ancora molto ridotta (APAT, 2003). Rispetto alla forma di governo, i cedui costituiscono il 41,8% dei boschi italiani (3.663.143 ha) con una netta prevalenza dei cedui matricinati, rappresentanti -­‐ da soli -­‐ il 28% dei soprassuoli classificati all’interno della categoria Boschi alti. Si tratta per lo più di popolamenti prossimi al turno di utilizzazione o più che maturi: gli stadi adulto e invecchiato rappresentano infatti quasi il 90% dell’intera superficie governata a ceduo a livello nazionale. Tali formazioni sono caratterizzate da minore complessità, essendosi diffuse sia per motivi economici (forti legami con la piccola proprietà contadina in aree montane) sia per le peculiari caratteristiche stazionali (elevate pendenze, ridotta potenza dei suoli, ecc.). Si riscontra inoltre una marcata localizzazione in senso geografico con una netta prevalenza del ceduo nelle regioni del centro-­‐sud (Umbria, Emilia Romagna, Toscana e Lazio). Per contro le fustaie si estendono su una superficie complessiva di 3.157.965 ha, equivalenti al 36,1% della totalità dei boschi italiani. Anche in questo caso si riscontra una forte incidenza di soprassuoli maturi o stramaturi (35% delle fustaie coetanee, pari a circa 530.000 ha). Gli altofusti, in gran parte pubblici, si concentrano in Trentino, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta. Gli habitat forestali caratterizzano la maggior parte delle aree naturali protette istituite ai sensi della legge 6 dicembre 1991, n. 394, e buona parte dei siti NATURA 2000 individuati ai sensi delle Direttive 79/409/CEE e 92/43/CEE (MPAAF-­‐MA, 2008). Oltre a ciò, il 27.5% della superficie forestale nazionale (2.876.451 ha), per lo più rientrante nella macrocategoria Bosco, risulta tutelato da un vincolo naturalistico. Per le informazioni riguardanti i parametri socio-­economici del settore forestale (utilizzazioni boschive, prezzi dei prodotti forestali, import-­‐export, occupazione, dati sulle imprese, ecc.), l’ISTAT rappresenta la fonte quasi esclusiva poiché le informazioni in questione sono spesso raccolte su scala regionale e/o sub regionale. In termini strettamente finanziari4, il valore del settore forestale italiano risulta piuttosto limitato, equivalendo allo 0,05% del Prodotto Interno Lordo (PIL) nazionale (Merlo e Croitoru, 2005). La produzione forestale primaria nazionale (materie prime legnose) assomma, come valore medio nell’ultimo ventennio, a poco più del 1% della produzione totale del settore primario5, raggiungendo un valore di 1,45% se la si valuta in termini di valore aggiunto (MIPAAF, 2008). Sebbene l’INFC classifichi l’81% della superficie forestale nazionale (8.510.104 ha) come potenzialmente utilizzabile per prelievi di legname, le difficili condizioni orografiche, l’inadeguata viabilità di servizio, l’alto costo della manodopera, la polverizzazione della proprietà e altri fattori ancora fanno sì che solo una parte di tale superficie e della massa legnosa6 che ivi insiste sia effettivamente oggetto di prelievi. Le attività di utilizzazione 3 Per aree montane si intendono aree collocate a una quota superiore ai 600 m s.l.m., mentre per aree di pianura si intendono aree collocate a una quota inferiore ai 300 m s.l.m. 4 Si esclude pertanto, da tali valori, una valutazione del valore economico delle c.d. esternalità del settore forestale. 5 E’ utile ricordare che la produzione totale del settore primario risulta, in termini di valore aggiunto, pari a circa 2,5% del PIL nazionale. 6 Secondo i dati dell’INFC (2007) il volume di fusto e rami grossi all’interno della macrocategoria Bosco è pari a 1.269 milioni (M) m3 (mediamente 144,9 m3/ha). La stessa fonte fornisce il dato relativo all’incremento corrente totale delle foreste, stimato pari a 35,9 M m3, equivalenti a un incremento corrente medio pari a 4,1 m3/ha (2,83% di incremento percentuale). 5 boschiva, in base ai dati registrati dall’ISTAT e pubblicati da Eurostat, sono molto contenute e, dai primi anni ‘80, sono caratterizzate da un trend negativo per la componente dei prelievi di legname da industria, compensato da un trend positivo per quella relativa alla legna ad uso energetico. Dall’analisi dell’andamento storico dei prelievi forestali in Italia (figura 1.1) si evince infatti come nei primi anni del secondo dopoguerra la legna da ardere rappresentasse più del 70% dei prelievi (9-­‐10 milioni (M) m3 su un totale 12-­‐14 M m3 utilizzati). Tale percentuale è andata gradualmente diminuendo fino alla prima metà degli anni ’70, tanto da raggiungere un minimo relativo nel 1973 (44,2% dei prelievi totali); nel 1976 si è avuto il minimo storico dei prelievi di legna ad uso energetico, corrispondente a soli 2,5 M m3. Negli anni successivi le utilizzazioni di legna da ardere sono aumentate gradualmente fino ad arrivare a un massimo di quasi 7 M m3 nel 1999, riportando i prelievi di biomassa a fini energetici ai livelli della fine degli anni ’50 (APAT, 2003). A partire dal 2000 si è avuta una nuova flessione, sino a 4,8 M m3 nel 2002, con una lieve ripresa l’anno successivo (quasi 5,6 M m3) (Pettenella e Masiero, 2007). Come osservato da Pettenella e Andrighetto (2011), le utilizzazioni boschive di legna da ardere al 2009 (ultimo dato disponibile) sono state stimate pari a 4,9 M m3, un valore che equivale al 65,7% dei prelievi totali di legno effettuati nei boschi italiani (7,6 M m3). Tale percentuale è andata aumentando negli ultimi anni. Ciò può essere interpretato come chiaro segno di un processo di despecializzazione delle produzioni di legname verso quelle di minor valore assoluto e a minor valore aggiunto finale, al punto tale che la composizione dei prelievi registrata dall’ISTAT è tornata a valori analoghi a quelli dei primi anni ’60. Figura 1.1 – Prelievi forestali in Italia, 1950-­2008 (m3) Fonte: Istat, anni vari. Ns. elaborazione. Deve essere inoltre sottolineato che, mentre il ruolo particolarmente significativo delle produzioni a fini energetici fino ai primi anni ’50 era spesso connesso a un prelievo eccessivo rispetto alla capacità produttiva degli ecosistemi (sino a 2,6 m3/ha nel 1949 e 2,5 m3/ha ancora nel 1953), a seguito dell’evidente rallentamento delle utilizzazioni negli anni ’60, ’70 e ’80, la ripresa dei tagli avviene in un quadro complessivo di parziale utilizzazione degli incrementi: l’utilizzazione di 1-­‐1,5 m3/ha/anno (totale dei prelievi riferito alla superficie forestale Istat) consente comunque un significativa crescita delle provvigioni medie unitarie. In prospettiva, i prelievi di biomassa a fini energetici sembrano destinati a rappresentare ancora il mercato di riferimento sia in termini relativi, che assoluti. Se tale considerazione può 6 apparire positiva in una ristretta prospettiva di politica energetica, facendo riferimento al valore aggiunto della selvicoltura italiana e ai problemi di approvvigionamento industriale, le condizioni produttive del settore devono destare alcuni elementi di preoccupazione (APAT, 2003; Pettenella e Masiero, 2007). In sintesi, se si osserva quanto accaduto negli ultimi 50 anni, è possibile notare come, a fronte di una superficie forestale nazionale raddoppiata, si sia assistito a un dimezzamento del valore della produzione. Le conseguenze di tali dinamiche -­‐ in termini, ad esempio, di incremento degli import di legname e despecializzazione della manodopera, con conseguenti impatti anche sulle condizioni di lavoro -­‐ saranno meglio delineate nei prossimi capitoli. Se è vero che tradizionalmente si riconosce al bosco una funzione primaria di tipo produttivo, associandola in particolare alla produzione di prodotti legnosi, è tuttavia innegabile che, su scala locale e nelle politiche di sviluppo rurale, un ruolo economico viepiù crescente è ricoperto dai prodotti forestali non legnosi (box 1.2). Box 1.2 – Prodotti forestali non legnosi I prodotti forestali non legnosi rappresentano un importante fattore di attivazione delle funzioni di gestione forestale attiva da parte dei proprietari, tanto in forma singola, quanto in forma associata. L’esercizio dell’attività venatoria, la raccolta di funghi spontanei (come prodotto commerciale e come servizio ricreativo), di tartufi, di sughero, di castagne e nocciole, di piccoli frutti (quali ad esempio lamponi, mirtilli, fragole, ribes), di erbe medicinali e aromatiche, di pinoli, di lettiera, e di altri prodotti forestali non legnosi costituiscono importanti nicchie nelle strategie di marketing territoriale e di singole imprese. Anche nelle aree forestali più produttive utilizzate abitualmente per la produzione di legname, la vendita di alcuni servizi ricreativi rappresenta, per i gestori forestali, una fonte di reddito molto più consistente che non la vendita del legname. A titolo di esempio può essere utile citare il caso del Comune di Asiago, in Veneto, dove le entrate dalla vendita dei permessi per la raccolta di funghi nel 2005 risultavano superiori a 250.000 Euro, una somma pari ad oltre 5 volte le entrate derivanti invece dal taglio del legname (Rigoni, 2006). La quantità e il valore complessivo della produzione di prodotti forestali non legnosi sono stimati dall’Istat con riferimento a 12 differenti prodotti (tabella 1.2). L’ultimo anno di riferimento disponibile è il 2008. Si tratta di dati da prendere con molta cautela: la costruzione di statistiche su attività economiche informali, spesso non legate alla successiva commercializzazione, è obiettivamente molto complessa. Indicatori indiretti dell’importanza economica di alcuni prodotti non legnosi potrebbero essere tratti dalla raccolta dei dati sulle licenze, permessi e patentini d’idoneità che sono venduti e concessi dalle autorità competenti, dati tuttavia non oggetto di rilevazione statistica. Il valore economico dei prodotti forestali non legnosi è comunque confermato dalla creazione, in diverse Regioni, di associazioni dei proprietari e di iniziative di valorizzazione commerciale tramite la definizione di marchi d’origine (DOP, IGP) in base al Regolamento Comunitario 510/2006 (Pettenella, 2009). Tabella 1.2 -­‐ Raccolta dei principali prodotti spontanei forestali non legnosi (quantità in quintali; valori in 1.000 di euro) Anni Quantità Castagne Pinoli con guscio Tartufi bianchi Tartufi neri Nocciole (b) Mirtilli Fragole Lamponi Ghiande Sughero gentile (c) Sugherone (c) 2005 575.274 12.749 34.658 188 817 368.190 1.207 411 432 31.513 52.052 9.555 2006 526.151 9.684 33.067 193 688 475.347 2.016 416 334 34.493 93.240 11.815 2007 137.573 3.898 6.628 97 635 564.012 1.916 430 411 16.662 73.324 16.245 2008 302.175 3.503 9.961 96 589 88.790 1.081 336 292 5.284 61.936 15.179 2005 84.943 1.363 42.888 12.199 10.651 99.580 845 346 283 2.666 8.765 264 2006 55.515 1.816 39.985 15.370 10.804 70.378 1.714 376 252 3.287 17.326 300 2007 18.749 823 8.048 7.489 9.439 114.069 1.689 429 340 458 12.069 564 2008 36.532 694 11.365 7.578 8.018 15.217 582 297 204 199 3.892 406 Valore Funghi (a) (a) esclusi quelli coltivati artificialmente; (b) allo stato secco; (c) allo stato greggio commerciale Fonte: Bollettino mensile di statistica, http://www.istat.it/dati/catalogo/ 7 Con riferimento alla dimensione occupazionale, va osservato come il livello di informazione sul lavoro in foresta in Italia risulti certamente inferiore a quello relativo ad altri aspetti della gestione forestale (superfici forestali, tipologie, prelievi, tagliate, incendi, stato fitosanitario, ecc.). L'ISTAT non fornisce dati di dettaglio sulle ditte boschive e sui lavoratori forestali né nelle statistiche annuali relative al settore forestale, né nei censimenti, né ancora nelle statistiche sul lavoro (Pettenella e Secco, 1997). In realtà l’Ottavo Censimento Generale dell’Industria (ISTAT, 2001) include dati relativi al comparto delle utilizzazioni boschive, indicando che in esso sono attive 3.164 imprese, per un totale di 6.617 addetti. Si tratta di imprese di piccolissime dimensioni (2 addetti/impresa in media), prevalentemente a conduzione famigliare e scarsamente dotate di macchinari. Rispetto al Censimento precedente (1990) gli addetti sono quasi dimezzati, a fronte di un numero di imprese leggermente inferiore. Ne deriva una drastica riduzione della dimensione media, con conseguente ridotta capacità lavorativa operativa delle imprese, in un contesto già reso problematico dalla stagionalità del lavoro e dalla sua forte esposizione a infortuni. L’attività delle imprese di utilizzazione a fini commerciali di legname non è tuttavia l’unica nel settore: è possibile infatti distinguere gli operatori forestali in tre principali categorie di attività, ciascuna con peculiarità specifiche (tabella 1.3). Tabella 1.3 – Principali categorie di attività per gli operatori forestali italiani: quadro di sintesi Dimensioni settore Attività prevalente Professionalità e produttività Sicurezza Regolarità Altro Impieghi non ad alto grado di professionalità e rischio: produttività spesso limitata Problematiche limitate in ragione del preciso quadro di responsabilità dei datori di lavoro Inquadramento contrattuale regolare Prevalenza nelle regioni del Sud (85-­‐92% del totale), in particolare Sicilia (30.000 operai) e Calabria (11.200). Forte presenza manodopera stagionale, anche senilizzata. Presenza femminile superiore rispetto agli altri ambiti. Manutenzione e miglioramento dei soprassuoli, rimboschimenti, taglio ed esbosco Condizioni molto eterogenee in relazione ai settori di lavoro. In genere più elevate rispetto alla categoria precedente Condizioni simili a quelle della categoria precedente, ma i ritmi di lavoro più elevati implicano maggiori livelli di rischio Inquadramento contrattuale di norma regolare, ma influenzato dai volumi di lavoro e dalle condizioni operative delle singole imprese Presenza significativa di giovani lavoratori. Prevalenza di impiegati a tempo determinato (stagionali) Taglio ed esbosco Condizioni variabili in relazione al datore di lavoro (pubblico/privato) e ai contesti di lavoro (fustaia/ceduo) Lavoro spesso condotto non nel rispetto delle norme, in condizioni di alta incidenza degli infortuni. Ampie e crescenti dimensioni del lavoro irregolare, anche mediante ricorso (sfruttamento) a manodopera extracomunitaria Assenza di lavoratrici. Senilizzazione degli operatori italiani. Scarsi o nulli livelli di controllo pubblici delle condizioni di lavoro Operai forestali alle dipendenze dirette di enti pubblici Diverse decine di amministrazioni, 65-­‐70.000 operai Manutenzione e miglioramento dei soprassuoli, rimboschimenti, antincendio Cooperative forestali 500 imprese, 4-­‐6.000 addetti Ditte boschive 8-­‐9.000 unità locali, 6-­‐7.000 delle quali specializzate; 24-­‐28.000 operai professionali affiancati da un numero imprecisato di addetti non professionali Fonte: Pettenella e Secco, 1997; Manzato, 2004. Ns. elaborazione. Oltre alle figure degli operatori forestali sensu strictu -­‐ sulle quali si ritornerà nel corso dell’analisi dei processi di irregolarità che caratterizzano il settore, con riferimento in particolare agli aspetti di salute e sicurezza -­‐ debbono essere considerate anche altre figure direttamente o indirettamente coinvolte nel sistema, quali ad esempio liberi professionisti, terzisti e vivaisti. Rispetto a quest’ultima categoria è possibile ricordare che ad oggi operano in Italia circa 200 vivai forestali pubblici, quasi sempre inadeguati per dimensioni 8 (mediamente 2 ha), dotazione infrastrutturale, grado di meccanizzazione, adozione di moderne tecniche di produzione, professionalità del personale a produrre materiali di propagazione di qualità adeguata e a costi competitivi. Di contro, negli ultimi anni, la vivaistica forestale privata ha cominciato ad affermarsi anche in Italia. Complessivamente la capacità produttiva del Paese resta per qualità e prezzi incapace di competere con la concorrenza straniera, creando così condizioni favorevoli all’introduzione di ingenti quantitativi di materiali di propagazione di origine inadeguata (APAT, 2003a). 1.1.2 Filiera foresta-­legno-­mobile La filiera foresta-­‐legno-­‐mobile è intesa come l’insieme di tutte le attività che vanno dalla produzione (impianti arborei e foreste) e utilizzazione del legname, alla sua trasformazione in prodotti semilavorati, per giungere infine alla produzione del prodotto finito e alla sua commercializzazione al pubblico (Brun e Magnani, 2003). Escludendo gli addetti e le imprese che fanno capo ai settori delle utilizzazioni legnose (già considerate nel precedente paragrafo) e del commercio del legname (classificate dall’ISTAT nell’ambito delle attività di servizio), l’industria nazionale del legno-­‐mobile nel 2001 occupava -­‐ secondo i dati dell’ultimo Censimento dell’industria (ISTAT, 2001) -­‐ circa 390.000 addetti e interessava un totale di quasi 82.000 imprese. Analizzando, invece, i dati consuntivi riferiti al 20107 diffusi dall’Ufficio Studi Cosmit/FederlegnoArredo, si evince che le imprese italiane del settore legno-­‐arredo sono 73.548, per un totale di 389.646 addetti, con differenti valori per i due sub-­‐settori di riferimento: legno-­‐edilizia e arredo (Federlegno, 2011) (tabelle 1.4 e 1.5). La stessa fonte evidenzia un fatturato complessivo alla produzione per il 2010, pari a 32,8 Miliardi (Mld) di Euro. Il settore legno-­‐arredo costituisce, insieme al sistema moda e alle produzioni alimentari di nicchia, uno degli assi portanti del Made in Italy con un volume complessivo della produzione che incide per il 6% sul totale dell’industria manifatturiera italiana. Tabella 1.4 – Dati consuntivi del settore legno-­arredo italiano, dicembre 2009 e 2010, variazioni anni precedenti (Milioni di Euro, prezzi correnti) 2009 Fatturato alla produzione (a) 32.856 Variazione % 2009-­10 33.496 1,9% Esportazioni (b) 10.925 11.628 6,4% -­‐21,9% -­‐2,0% 8,4% Importazioni (c) 4.244 5.059 19,2% -­‐19,1% -­‐8,6% 9,6% Saldo (b -­‐ c) 6.681 6.568 -­‐1,7% -­‐24,0% 5,9% 6,9% Consumo interno apparente 25.944 26.712 3,0% -­‐16,8% -­‐7,8% 4,0% 33,2% 34,7% 4,4% -­‐ -­‐ -­‐ Export/fatturato (% b/a) 2010 Variazione % 2009-­08 -­‐18,2% Variazione Variazione % 2008-­07 % 2007-­06 -­‐5,6% 4,5% Addetti 396.964 389.646 -­‐1,8% -­‐3,1% -­‐0,6% 0,3% Imprese 73.618 73.548 -­‐0,1% -­‐2,4% -­‐2,8% -­‐2,4% Fonte: Federlegno, 2011. Ns. elaborazione. Il settore è principalmente basato su piccole e medie imprese (PMI), prevalentemente artigiane (88% quelle del legno, 80% circa quelle dei mobili), con cultura orientata alla produzione e per lo più bassi investimenti in ricerca e sviluppo. Le imprese non sono riconosciute come leader dell’innovazione tecnologica e mancano, in generale, di personale altamente specializzato (Pettenella et al., 2006). 7 Cioè riferiti al 31 dicembre 2010. 9 Tabella 1.5 – Dati consuntivi del settore legno-­arredo italiano, distinti per sub-­settori, dicembre 2009 e 2010 (Milioni di Euro, prezzi correnti) 2009 2010 32.856 33.496 Variazione % 2009-­10 1,9% Arredamento 20.932 21.301 1,8% Legno-­ediliziarredo 11.924 12.195 2,3% 10.925 11.628 6,4% Arredamento 9.494 10.004 5,4% Legno-­ediliziarredo 1.430 1.624 13,5% 4.244 5.059 19,2% Arredamento 2.635 3.110 18,0% Legno-­ediliziarredo 1.608 1.849 21,2% 6.681 6.568 -­‐1,7% Arredamento 6.859 6.894 0,5% Legno-­ediliziarredo -­178 -­326 -­82,7% 25.944 26.712 3,0% Arredamento 14.073 14.408 2,4% Legno-­ediliziarredo 11.871 12.304 3,7% 33,2% 34,7% 4,4% Arredamento 45,4% 47,0% 3,5% Legno-­ediliziarredo 12,0% 13,3% 11,0% 396.964 389.646 -­‐1,8% Arredamento 227.227 222.456 -­2,1% Legno-­ediliziarredo 169.736 167.190 -­1,5% 73.618 73.548 -­‐0,1% Arredamento 33.145 33.140 0,0% Legno-­ediliziarredo 40.473 40.407 -­0,16% Fatturato alla produzione (a) Esportazioni (b) Importazioni (c) Saldo (b -­‐ c) Consumo interno apparente Export/fatturato (% b/a) Addetti Imprese Fonte: Federlegno, 2011. Ns. elaborazione. I maggiori vantaggi competitivi sono legati alla qualità del design e alla flessibilità offerta dai distretti industriali specializzati. Il consumo di legname di alta qualità -­‐ soprattutto di latifoglie (temperate e tropicali) da fonti non nazionali -­‐ ha un ruolo cruciale nello sviluppo del settore. Infatti, il mercato italiano rappresenta il primo mercato per l’export di tronchi e altri prodotti legnosi da Camerun, Costa d’Avorio, Romania, Bosnia Erzegovina, Albania e Serbia, tutti paesi riconosciuti a livello internazionale per gli alti livelli di illegalità nei settori del taglio e commercio dei prodotti forestali, con impatti negativi a livello ambientale (deforestazione e degrado delle foreste) e sociali (ISPRA, 2009). Escludendo le imprese di utilizzazione boschiva, già prese in considerazione nel paragrafo 1.1.1, le imprese che fanno parte della filiera del legno possono essere classificate secondo quanto riportato in tabella 1.6. 10 Tabella 1.6 – Classificazione delle imprese della filiera foresta-­legno Categoria Codice Ateco [DD201] N. imprese (% su totale) 2.141 (2,7%) N. addetti (% su totale) 18.000 (4,7%) Imprese di prodotti semifiniti in legno (compensati, tranciati, pannelli) [DD202] 856 (1,1%) 13.000 (3,4%) Imprese di seconda lavorazione (mobilifici) [DN361] 32.000 (39,9%) Imprese di imballaggi in legno [DD204] Imprese di prima lavorazione (segagione) Falegnamerie industriali Imprese che producono prodotti in legno, sughero, paglia e materiali da intreccio Localizzazione geografica prevalente Italia nord-­‐occidentale, Appennino tosco-­‐romagnolo e Calabria. Note Pianura Padana e Friuli Venezia Giulia Imprese con dimensioni in media superiori rispetto agli altri settori produttivi (14,9 addetti in media). In aggiunta a ciò il reddito di questo comparto è il più alto fra le industrie del sistema legno. 204.000 (53,1%) Settore particolarmente interessato dall’organizzazione in Distretti Industriali (da 10 a 20, secondo il metodo identificativo usato) collocati per lo più al centro-­‐nord Italia (Lombardia, Veneto, Friuli VG, Trentino A.A., Emilia Romagna, Marche, Toscana, ecc). Si possono distinguere tre tipologie industriali: (i) imprese di piccole dimensioni, a conduzione famigliare, che operano in ambito locale e producono mobili di pregio; (ii) grandi imprese, con un numero di addetti medio-­‐alto e forti capitali impiegati. Si distingue un sotto-­‐gruppo più ricercato, che usa materiali e accessori di pregio e produce mobili di design, e un sotto-­‐gruppo con produzioni “di massa”; (iii) contoterzisti per altre imprese di maggiori dimensioni 1.800 (2,2%) 13.000 (3,4%) Tutto il territorio nazionale, con maggiore concentrazione sulle coste adriatiche, il Nord-­‐
Italia, la Campania e la Sicilia -­‐ [DD203] 32.500 (40,5%) 96.000 (25%) Tutto il territorio nazionale Produzioni tipiche delle falegnamerie industriali sono gli infissi, i parquet e le scale in legno. Si tratta di assortimenti che hanno come destinazione il comparto dell’edilizia. [DD205] 11.000 (13,7%) 40.000 (10,4%) Tutto il territorio nazionale Comprendono differenti tipologie produttive, ivi comprese la produzione artistica, artigianale e industriale di oggettistica in legno, la realizzazione di parti di mobili (gambe, pomelli, maniglie di legno, ecc.) nonché la produzione di articoli di paglia, vimini, giunco e sughero, come in Sardegna. Diffusa la piccola dimensione aziendale (8,4 addetti in media), con le imprese artigiane che costituiscono circa il 67% del totale (con 6,1 addetti in media). Forte dipendenza dall’import di materie prime Fonte: Istat, 2001; Brun e Magnani, 2003; Bernetti e Romano, 2007; Federlegno, 2011. Ns. elaborazione. Considerando i trend storici si nota che la situazione “fotografata” nel 2001 dal Censimento dell’ISTAT e quella stimata negli ultimi anni (con ulteriori riduzioni delle dimensioni medie e dei dati complessivi delle imprese e degli addetti) è conseguenza della progressiva apertura alla competizione internazionale dei due settori. Al fine di conservare una posizione di leadership nel mercato rispetto a paesi con forti vantaggi competitivi in termini di costo della manodopera e di approvvigionamento della materia prima legnosa, è stato privilegiato dapprima il decentramento delle attività produttive a livello locale e, in seguito, internazionale. Ciò è stato reso possibile dalla flessibilità tecnologica dei processi di lavorazione del legno e dall’introduzione di innovazioni di prodotto (si pensi all’utilizzo dei 11 Medium Density Fibreboard in sostituzione di pannelli ottenuti da legname di maggior valore) che hanno consentito di ottenere una riduzione dei costi, accompagnata da una maggiore duttilità e reattività rispetto ai mutamenti congiunturali. Un’ulteriore conseguenza di tali processi è rappresentata dallo sviluppo di imprese specializzate nella subfornitura, piuttosto che dall’accorpamento di cicli produttivi in grandi strutture aziendali (Bernetti e Romano, 2007). La destrutturazione è alla base anche dei sempre più frequenti casi di integrazione internazionale della produzione del settore, con delocalizzazione all’estero delle fasi a maggiore intensità di manodopera e maggiormente dipendenti dalla disponibilità di materie prime. A completare il quadro, vi sono infine le industrie del settore carto-­tecnica e dell’editoria [DD21] che nel 2001 contavano circa 4.570 imprese, occupando circa 83.600 addetti (ISTAT, 2001). Concentrandosi sul comparto che produce carta, cartoni e paste per carta, i dati di settore più aggiornati diffusi da Assocarta attraverso il proprio sito web8 indicano che in Italia operano 139 aziende, che gestiscono 180 stabilimenti e impiegano circa 21.800 addetti. La medesima fonte indica una produzione annua di carte e cartoni pari a circa 9,5 M tonnellate, un terzo delle quali destinate all’export. Tale livello della produzione segna un recupero del 6,9% rispetto ai livelli del 2009, ma restano ancora lontani i valori record fatti registrare nel 2007 (oltre 10,1 M tonnellate) (Assocarta, 2011). Gli input impiegati per tale produzione sono rappresentati per il 50% da carta da macero e per quasi il 34% da paste per carta. In termini di dimensioni, capitale investito e tecnologia il settore della carta presenta caratteristiche ben diverse rispetto a quello del legno, caratterizzandosi soprattutto per la presenza di barriere all’ingresso in termini di capitale d’investimento. Ai fini del presente studio tale settore non ricopre un ruolo centrale, se non con riferimento ai possibili rischi di import di materie prime provenienti da fonti a rischio di illegalità. Un processo accomuna i due settori industriali presi in considerazione: il progressivo allentamento delle relazioni intersettoriali tra l’offerta interna di legname grezzo e la domanda industriale, sempre più legata a materie recuperate internamente (scarti di lavorazione o prodotti post-­‐consumo riciclati, come la carta da macero) o importati. Quest divaricazione è stata accompagnata da una concentrazione dell’offerta italiana sui prodotti a basso valore (legna da ardere) legate a forme di autoconsumo o di consumo locale, in mercati per loro natura meno trasparenti, più facilmente caratterizzati da lavoro irregolare e da transazioni informali, in violazione delle norme fiscali e sulla tutela del lavoro. 1.2 Reati e illeciti: normativa di riferimento Nell’esame delle norme di riferimento per il settore forestale e i settori correlati è necessario -­‐ per ragioni di chiarezza -­‐ distinguere l’ambito normativo nazionale/regionale rispetto a quello internazionale. Poiché un’analisi descrittiva dell’intero corpus normativo in materia forestale richiederebbe uno spazio eccessivo rispetto alla natura e alle finalità di questo rapporto, si forniscono di seguito solamente un inquadramento generale, seguito da alcuni spunti e cenni, con riferimento a specifiche aree tematiche di rilievo ai fini dell’analisi qui presentata. 1.2.1 Normativa nazionale e regionale La prima legge forestale nazionale é coincisa con il Regio Decreto n. 3967 del 1877, che istituiva un sistema di vincoli per la protezione del territorio. Nel 1923 tale norma è stata sostituita dalla Legge Serpieri9 che disciplina ancora oggi il settore forestale a livello nazionale per gli aspetti non trattati dalle modifiche al titolo V della Costituzione che hanno 8 Si veda: www.assocarta.it/it/dati-­‐di-­‐settore.html
9 R.D.L. n. 3267/1923 “Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani”.
12 assegnato alle Regioni le competenze in materia di agricoltura e foreste. Di fatto la Legge Serpieri -­‐ nel tentativo di conciliare l’aspetto produttivo del bosco con quello sociale e di difesa contro fenomeni di dissesto idrogeologico -­‐ ha introdotto vincoli e limitazioni (vd. il vincolo idrogeologico) che hanno fortemente influenzato la normativa sulle risorse forestali e, più in generale, la gestione delle stesse. Con il Regio Decreto di applicazione del 16 maggio 1926 n. 1126, sono state disciplinate anche le procedure amministrative funzionali all’utilizzazione e alla gestione delle risorse forestali, con l’aggiunta di un’interessante innovazione: l’obbligo alla predisposizione di Piani economici (piani di gestione o di assestamento forestale) per la gestione dei boschi pubblici. Sono inoltre state definite le Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale (PMPF), che ancora oggi stabiliscono per boschi, arbusteti, terreni saldi o coltivati, modalità di uso compatibili con la salvaguardia delle aree sottoposte a vincolo idrogeologico al fine di prevenire dissesti, erosione del suolo e degrado. Allo stato attuale oltre il 76% della superficie forestale nazionale è soggetto all’attuazione delle PMPF, mentre le forme di Pianificazione di orientamento riguardano circa il 2% dei casi e quelle di Pianificazione di dettaglio (Piani di assestamento o di gestione a livello aziendale) il 14,2% della superficie forestale totale (IFNC, 2007). Con il D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11, le funzioni amministrative statali in materia di agricoltura e foreste sono state trasferite alle Regioni10. Il processo di attribuzione alla Regioni di responsabilità in materia agro-­‐forestale avviato nel 1972 si è completato con il D.Lgs n. 143/97, attuativo nel settore agricolo e forestale del decentramento operato dalle cosiddette leggi Bassanini e, in seguito, con la Legge Costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001. Per effetto di questa ultima, infatti, la materia foreste, non essendo espressamente prevista nel nuovo articolo 117 della Costituzione, commi 2 e 3, deve ritenersi di competenza residua-­‐esclusiva regionale11. L’Allegato 1 presenta un quadro di sintesi della principale normativa e degli strumenti di programmazione regionale in ambito forestale. Rispetto alle funzioni generali di programmazione di settore il primo vero documento programmatico e normativo rilevante per il settore forestale è rappresentato dalla Legge Pluriennale di spesa per il settore agricolo (Legge n. 752 del 1986), che ha permesso la redazione del primo Piano e programma forestale nazionale13. Si è trattato di un documento separato dal Piano agricolo nazionale, che riconosceva nei propri obiettivi l’autonomia e la specificità al settore forestale e in cui il bosco veniva inteso come risorsa naturale rinnovabile in grado di svolgere ulteriori funzioni oltre la produzione legnosa. Con l’approvazione del Decreto Legislativo (D.Lgs) n. 227 del 2001 e le successive Linee guida nazionali per il settore forestale l’Italia si è impegnata a formulare e/o implementare programmi forestali o strumenti equivalenti (nazionali e regionali). Nel 2008 il Programma Quadro per il Settore Forestale (MIPAAF-­‐MA, 2008) ha definito una cornice programmatica di riferimento per l’intervento pubblico nel settore. Va tuttavia evidenziato che né il primo Piano e Programma forestale, né le Linee guida e il Programma Quadro sono stati accompagnati da misure finanziarie o di regolamentazione, risultando solo strumenti esortativi, di scarso impatto operativo. Rispetto alla disciplina di singoli temi rilevanti per il presente rapporto si presentano di seguito alcuni approfondimenti di dettaglio in merito al vincolo paesaggistico-­‐ambientale, al danno ambientale, al reato di incendio boschivo e alla disciplina della raccolta dei prodotti forestali. 10 In tale quadro è anche avvenuto il parziale trasferimento alle Regioni delle proprietà dello stato gestite dall’allora Azienda di Stato per le Foreste Demaniali (ASFD), oggi Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. 11 A fronte di una competenza esclusiva per il settore in esame, il legislatore ha stabilito che in campo ambientale le Regioni devono coordinarsi con l’autorità centrale, ponendo le basi per conflitto strutturale di competenze, dal momento che la gestione forestale è intimamente connessa alla gestione di risorse ambientali. 13 Approvato dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) il 2.12.1987. 13 Con la Legge Galasso (L. 431 del 1985), poi rivista e inclusa nel Testo Unico Ambientale (D.Lgs 231 del 2001), recante disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale, è stato istituito il "vincolo paesaggistico". In forza di esso i boschi sono stati classificati come bellezze naturali, vedendosi attribuite funzioni nuove tra le quali quelle “estetico-­‐ricreative”. Il riconoscimento di tali valenze ha permesso ai boschi di beneficiare della tutela prevista dalla Legge Galasso e successive modifiche e integrazioni. Con il c.d. Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs n. 42 del 22 gennaio 2004) ad esempio, si prevede che, in virtù del “vincolo paesaggistico ambientale”, gli interventi che possono modificare in modo permanente l’aspetto esteriore dei boschi devono essere sottoposti a uno specifico iter autorizzativo. In data 7 luglio 2011, il Consiglio dei Ministri (n. 145), su proposta della Presidenza dello stesso ha approvato un Decreto legislativo -­‐ attualmente alla firma del Presidente della Repubblica -­‐ concernente l’attuazione della Direttiva Comunitaria 2008/99/CE14 sulla tutela penale dell’ambiente. In questa maniera si dà seguito all’obbligo imposto dall’Unione Europea di incriminare comportamenti pericolosi per l’ambiente, sanzionando penalmente condotte illecite individuate dalla Direttiva e fino ad oggi non sancite come reati. In aggiunta a ciò si introducono criteri di responsabilità delle persone giuridiche, in precedenza non previsti per i reati ambientali. Le nuove fattispecie incriminatrici introdotte nel codice penale prevedono di sanzionare la condotta di chi uccide, distrugge, preleva o possiede -­‐ fuori dai casi consentiti dalla legge -­‐ esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette e di chi distrugge o comunque deteriora in modo significativo un habitat all’interno di un sito protetto15. Tra le fattispecie specifiche di reato ai danni del patrimonio forestale un ruolo di primo piano è indubbiamente giocato dagli incendi. L'incendio boschivo, sia doloso che colposo, costituisce un delitto contro la pubblica incolumità e, come tale, è perseguito penalmente. Fino al 2000 l'incendio boschivo era considerato un'aggravante dell'incendio generico, ed era trattato dall'art. 423 del Codice Penale. Nel 2000, per la prima volta, è stato riconosciuto dal legislatore come reato autonomo e da allora è disciplinato dall'art. 423 bis del Codice Penale -­‐ confermato dall'art. 11 della Legge 11 novembre 2000, n. 353 -­‐ secondo il quale chiunque cagioni un incendio su boschi, selve o foreste ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento, propri o altrui, è punito con la reclusione da 4 a 10 anni. Se l'incendio è cagionato per colpa, la reclusione va da 1 a 5 anni. Le pene sono, inoltre, aumentate della metà se l'incendio induce un danno grave, esteso e persistente all'ambiente (CFS, 2011). Da ultimo, è utile richiamare la normativa che disciplina le attività di raccolta e commercializzazione di funghi e tartufi. Per quanto riguarda i funghi, si possono ricordare due norme nazionali che disciplinano -­‐ in termini ampi -­‐ la raccolta e commercializzazione dei funghi epigei freschi e conservati: la L. 23 agosto 1993, n. 352, che stabilisce i criteri generali per la vendita, la certificazione, il confezionamento e l’etichettatura, e D.P.R. 14 luglio 1995, n. 376, che -­‐ tra le altre cose -­‐ assimila la vendita dei funghi a quella di altri prodotti ortofrutticoli. Rimane comunque di competenza delle Regioni la definizione di leggi regionali disciplinanti la raccolta e commercializzazione di funghi spontanei16. Per i tartufi, invece, le attività di raccolta, coltivazione e commercio sono disciplinate dalla L. 16 dicembre 1985, n. 75217. 14 Direttiva 2008/99/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, sulla tutela penale dell’ambiente. Gazzetta ufficiale n. L 328 del 06/12/2008, pp. 28 – 37. 15 Consiglio dei Ministri n.145 del 07/07/2011. Si veda: www.governo.it/Governo/ConsiglioMinistri/testo_int.asp?d=64264 16 Per un quadro di dettaglio della normativa regionale si veda il link: http://www.fungocenter.it/normativa.php. 17 L. 16 dicembre 1985, n. 752 “Normativa quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo”. 14 1.2.2 Normativa internazionale Per quanto riguarda la normativa internazionale si ritiene utile fornire indicazioni di maggior dettaglio relative a tre riferimenti che saranno richiamati anche nel capitolo 3. La Convenzione sul Commercio Internazionale delle Specie Selvatiche di Flora e Fauna Minacciate di Estinzione (Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora, CITES) è stata approvata a Washington nel 1973 ed é attualmente ratificata da 172 paesi. La Convenzione regolamenta il commercio di specie della flora e della fauna opportunamente individuate all’interno di tre appendici e prevede l’istituzione di un sistema di licenze per autorizzarne l’importazione, l’esportazione e la ri-­‐esportazione. Ogni paese che abbia ratificato la Convenzione è tenuto a designare un’autorità competente alla gestione del sistema di licenze (permessi e certificati) e all’esecuzione dei controlli correlati. Sempre a livello nazionale deve inoltre essere nominata un’autorità scientifica preposta a vigilare sugli effetti del commercio nei confronti della condizione delle specie interessate. La convenzione CITES è stata ratificata dall’Italia con la Legge n. 874 del 19 dicembre 1975, ed é entrata in vigore nel nostro Paese il 31 dicembre 1979. L’autorità pubblica responsabile in via principale dell’implementazione di questa Convenzione è il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (Direzione Conservazione Natura), presso il quale è anche costituita la Commissione Scientifica CITES alla quale competono valutazioni di carattere tecnico-­‐
scientifico relativamente all’applicazione della Convenzione a livello nazionale. Spetta invece al Ministero delle Attività Produttive il rilascio delle licenze di importazione ed esportazione previste dai Regolamenti Comunitari, mentre l'autorità competente per l'assegnazione dei certificati di (ri)export è il Corpo Forestale dello Stato (CFS), che è anche responsabile dei controlli CITES alle dogane italiane. In Italia sono presenti, oltre al Servizio CITES Centrale, ospitato presso l’Ispettorato Generale del CFS (Roma), 23 unità di controllo (Nuclei Operativi CITES, NOC) nei porti marittimi e negli aeroporti internazionali, per verificare i permessi d’importazione-­‐esportazione per animali e piante. Sono inoltre presenti 28 uffici di certificazione (Servizi CITES Territoriali, SCT) nelle maggiori città italiane e in ogni capoluogo di regione, al fine di completare il lavoro di investigazione. Con riferimento agli strumenti messi in campo dall’Unione Europea nell’intento di contrastare i fenomeni di illegalità nel settore forestale deve essere sicuramente menzionato il Piano d’Azione per il Forest Law Enforcement, Governance and Trade (FLEGT Action Plan). Tale Piano, proposto dalla Commissione Europea nel maggio 2003, è stato approvato dal Consiglio nel Novembre 2003 e si articola in una serie di misure che interessano sette differenti aree specifiche d’intervento (Commissione Europea, 2003, 2005 e 2007; Consiglio dell’Unione Europea, 2003). L’approvazione del Piano d’Azione è stata seguita dall’approvazione del Regolamento 2173/2005 e delle relative Misure attuative (Regolamento 1024/2008). Lo strumento di attuazione principale proposto nel Piano d’Azione FLEGT consiste in una negoziazione volontaria, finalizzata a stabilire degli accordi bilaterali (Voluntary Partnership Agreement, VPA) tra paesi produttori e l’Unione Europea relativamente all’introduzione di un sistema di licenze in grado di garantire la legalità dei prodotti legnosi esportati verso i mercati europei. Ad oggi sono 6 i VPA già siglati (Camerun, Ghana, Indonesia, Liberia, Repubblica Centroafricana e Repubblica del Congo), mentre altri quattro sono in corsi di negoziazione (Gabon, Malesia, Vietnam e Repubblica Democratica del Congo)18. Più recentemente l’azione di contrasto dei fenomeni di commercio di legno illegale si è arricchita di una nuova iniziativa ad opera dell’Unione Europea: la c.d. EU Timber Regulation (EUTR), disciplinata dal Regolamento 995/2010. Nel definire gli obblighi degli operatori 18 Per aggiornamenti si veda la pagina web: www.euflegt.efi.int/portal/home/vpa_countries/
15 comunitari che commercializzano legno e prodotti da esso derivati, tale Regolamento in sostanza proibisce la commercializzazione sul mercato europeo di legno di provenienza illegale. Più in dettaglio, gli operatori sono tenuti all’esercizio della c.d. “Dovuta Diligenza” (Due Diligence), che prevede la raccolta d’informazioni adeguate circa l’origine del legno, l’attuazione di procedure di verifica del rischio e, se del caso, l’implementazione di procedure di mitigazione del rischio stesso. Ciò con l’eventuale supporto di Organismi di controllo (Monitoring organisation) riconosciuti dalla Commissione Europea, e sotto l’azione di sorveglianza operata dalle c.d. Autorità Competenti, responsabili dell’applicazione del Regolamento a livello di singolo Stato Membro e più, in particolare, del controllo periodico degli operatori, dei commercianti e degli Organismi di Controllo. L’entrata in vigore del Regolamento è prevista nel marzo 203. E’ interessante evidenziare che a livello internazionale nessuna materia prima (si pensi ai minerali, al petrolio, alle risorse idriche, ai prodotti alimentari, …) sia stata oggetto di interventi normativi così specifici e impegnativi per l’azione di controllo pubblico della legalità della produzione e commercializzazione, aspetto che può essere interpretato alla luce di diversi fattori: la particolare diffusione di attività illegali nel settore forestale, gli impatti che la violazione delle norme ha sulla stabilità delle risorse naturali e lo sviluppo locale, la percezione del problema da parte della società civile e l’efficacia dell’azione di denuncia e azione delle organizzazioni che la rappresentano. 1.3 Istituzioni di controllo L’organo istituzionale in capo al quale convergono le principali responsabilità e mansioni di prevenzione e controllo in campo forestale è il Corpo Forestale dello Stato (CFS). Il CFS19 è nato nel 1948, con il D.Lgs. n. 804, come naturale prosecuzione dell'Amministrazione forestale per la custodia e la tutela dei boschi istituita da Carlo Felice di Savoia già nel 1822. I compiti originariamente affidati al CFS comprendevano la salvaguardia del patrimonio boschivo nazionale, la sistemazione dei versanti e la vigilanza sulle buone pratiche selvicolturali. Negli anni Settanta, con il trasferimento alle Regioni delle competenze in materia forestale, l'aspetto tecnico/gestionale ha iniziato a rivestire un ruolo sempre meno centrale nelle iniziative del CFS, con un progressivo spostamento dell’attenzione verso i reati in materia forestale e ambientale in genere20. Con un personale composto di circa 8.500 unità, oggi il Corpo rappresenta una forza di polizia a ordinamento civile, specializzata nella tutela del patrimonio naturale e paesaggistico, nella prevenzione e repressione dei reati in materia ambientale e agroalimentare. La struttura organizzativa è coordinata da un Ispettorato Generale e comprende una componente territoriale -­‐ 15 Comandi Regionali, 83 Comandi Provinciali e 1.061 Comandi Stazione a livello di singolo Comune o gruppi di Comuni -­‐ e reparti operativi specializzati, articolati in strutture organizzative di vario tipo e dimensioni, ognuno proiettato su un segmento di competenza istituzionale (CFS, 2010). La tabella 1.7 propone un quadro descrittivo di sintesi dei reparti specializzati del CFS. Tabella 1.7 – Quadro di sintesi dei reparti specializzati del CFS Reparti Nuclei Investigativi a livello provinciale (NIPAF) Anno istituzione Riorganizzati nel 2006 Principali attività Dimensioni/Risorse Vigilanza, prevenzione e repressione delle violazioni compiute in danno all’ambiente. Coordinamento con i 76 Nuclei provinciali coordinati nel Nucleo Investigativo Centrale di Polizia Ambientale e Forestale (NICAF) 19 Le informazioni riportate in questo paragrafo sono riprese -­‐ salvo laddove diversamente indicato -­‐ dal sito web www.corpoforestale.it. 20 Nelle regioni a statuto speciale e nelle Provincie Autonome di Trento e Bolzano, il CFS è sostituito da corpi forestali regionali o provinciali. Le competenze sono simili tra loro ma questi corpi svolgono prevalentemente funzioni tecnico-­‐
gestionali, non più proprie del CFS. 16 corrispondenti organismi di polizia, nazionali ed internazionali, specializzati in indagini sui reati ambientali. Nucleo Investigativo Antincendio Boschivo (NIAB) 2000 Prevenzione, contrasto e repressione dei reati di incendio boschivo. Collaborazione con i 76 Nuclei provinciali e con i quasi 1.100 Comandi Stazione del Corpo. 491 strutture sul territorio nazionale per l’individuazione del punto di insorgenza degli incendi, di accertamento incendi, di accertamento della causa e di repertazione degli ordigni incendiari. Nucleo Agroalimentare e Forestale (NAF) 2001 Lotta alle frodi, alla contraffazione nel settore agroalimentare; contrasto alle sofisticazioni di bevande e cibi -­‐ Nucleo Operativo Antibracconaggio (NOA) 2005 Direzione tecnica e coordinamento delle operazioni antibracconaggio di rilievo nazionale Reparti Operativi costituiti da personale CFS proveniente sia dal Nucleo centrale sia dai Comandi periferici, in numero variabile a seconda delle esigenze che richiede la singola operazione. Nucleo Investigativo Reati in Danno degli Animali (NIRDA) 2007 Contrasto e repressione dei fenomeni criminosi che comportano reati in danno agli animali. -­‐ Sezione Investigativa del Servizio CITES 1980 Attuazione in Italia alla Convenzione di Washington sul commercio delle specie di flora e di fauna in via di estinzione (CITES) 28 Servizi CITES Territoriali (SCT), distribuiti su tutto il territorio nazionale, con funzione di rilascio certificati e controllo territoriale su eventuali infrazioni o violazioni delle norme CITES nonché attività di indagine; 23 Nuclei Operativi CITES (NOC) presso le Dogane. Fonte: CFS, 2010. Ns. elaborazione. Accanto al CFS si possono ricordare altri organi di polizia che operano in sinergia (e talvolta in sovrapposizione) con il CFS stesso. Anzitutto è opportuno ricordare il ruolo dell’Arma dei Carabinieri, in particolare del Comando Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari e del Comando Carabinieri Tutela Ambientale. Il primo Comando, istituito nel 1994 col nome di "Carabinieri Tutela Norme Comunitarie e Agroalimentari", è posto alle dipendenze funzionali del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ed è deputato allo svolgimento di attività straordinarie di controllo sull’erogazione e il percepimento di aiuti comunitari nel settore agroalimentare, della pesca e dell’acquacoltura, nonché sulle operazioni di ritiro e vendita di prodotti agroalimentari. Il Comando si articola su 3 Nuclei Antifrodi Carabinieri (NAC) con sede in Parma, Roma e Salerno con competenza territoriale rispettivamente per il Nord, il Centro ed il Sud Italia, e su un Nucleo di Coordinamento Operativo (NCO) con sede in Roma. Per le attività di coordinamento internazionale si avvale di un Ufficiale di collegamento all’OLAF, l’Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode, con sede a Bruxelles (Comando Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari, 2011). Il Comando Tutela Ambientale, invece, assolve funzioni di polizia giudiziaria in materia ambientale21, con riferimento ai seguenti ambiti d’intervento: (i) inquinamento del suolo, idrico, atmosferico ed acustico; (ii) salvaguardia del patrimonio naturale; (iii) impiego di sostanze pericolose ed attività a rischio di incidente rilevante; (iv) materiali strategici radioattivi ed altre sorgenti radioattive; (v) protezione dalla esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici; (vi) organismi geneticamente modificati. 21 Ad esclusione degli accertamenti di natura tecnico-­‐scientifica, per i quali il Comando si avvale degli organismi pubblici a ciò preposti, in particolare di Agenzie Ministeriali quali ISPRA e ARPA, del Servizio Sanitario Nazionale, nonché del Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche (Ra.C I.S). 17 Il Comando è posto alle dipendenze funzionali del Ministro dell’Ambiente, del Territorio e del Mare e comprende una struttura centrale, con sede in Roma, e una struttura periferica composta da 29 Nuclei Operativi Ecologici (NOE), riuniti sotto 3 "Gruppi CC TA", a competenza areale (Nord -­‐ Centro -­‐ Sud) con sede rispettivamente a Treviso, Roma e Napoli. In forze delle competenze specifiche, il Comando mantiene intensi e stretti rapporti di collaborazione con Europol, sulla base delle direttive emanate dal Consiglio Generale per la Lotta alla Criminalità Organizzata (gennaio 1992), e con Interpol22. Rilevante sotto il profilo del contrasto a reati con connotazione ambientale è anche il contributo di un terzo Comando: quello per la per la Tutela della Salute Pubblica, che si avvale del supporto di 37 Nuclei Antisofisticazioni e Sanità (NAS). Nelle Regioni e nelle Province a statuto speciale, operano, infine, sei Corpi di polizia forestale con finalità analoghe a quelle del CFS. Funzioni di polizia locale nel campo della tutela ambientale e dell’attività venatoria sono esercitate da organismi operanti su scala provinciale e locale. Può essere utile rilevare che nessun paese europeo ha una un numero così ampio di corpi di polizia forestale. In controtendenza a quanto avvenuto in Italia, in diversi paesi europei l’amministrazione forestale, un tempo caratterizzata da funzioni di polizia, è stata riformata concentrando l’attività sulle funzioni tecniche e amministrative. 1.3.1 Il ruolo della società civile Accanto agli organismi istituzionali deputati allo svolgimento di azioni di controllo, deve essere segnalata l’azione di numerosi soggetti della società civile. Si tratta soprattutto (ma non solo) di organizzazioni ambientaliste che svolgono un’azione importante in termini di denuncia e monitoraggio, assicurando un presidio capillare del territorio, ma anche di proposta, fornendo visibilità a buone pratiche e iniziative virtuose. Senza la pretesa di risultare esaustivi si possono ricordare il lavoro di Legambiente, soprattutto con riferimento all’annuale Rapporto sulle ecomafie, della Lega Italiana Protezione Uccelli (LIPU), rispetto ai fenomeni di caccia illegale, del World Wildlife Fund (WWF), per quanto riguarda il fenomeno degli incendi (con la pubblicazione del c.d. Incendiometro) ma anche per l’individuazione e tutela delle aree di alto valore di conservazione, e di Greenpeace, con particolare attenzione ai problemi dell’illegal logging e del commercio internazionale del legno illegale. Sono riconducibili alla società civile anche numerose iniziative di promozione della buona gestione delle foreste. Su tutte si può ricordare l’esempio della certificazione forestale secondo gli schemi internazionali del Forest Stewardship Council (FSC) e del Programme for the Endorsement of Forest Certification schemes (PEFC). 2. Metodologia di ricerca e fonti informative La raccolta delle informazioni funzionali all’indagine ha richiesto l’utilizzo tanto di fonti primarie, quanto di fonti secondarie. Per quanto riguarda le fonti primarie, sono state compiute interviste dirette a cinque funzionari del CFS impegnati in attività d’indagine, prevenzione e contrasto dei reati contro il patrimonio forestale e ambientale. La scelta dei funzionari è stata dettata non solo dalla familiarità degli stessi con i temi oggetto d’indagine, ma anche con l’intento di assicurare un’ampia copertura geografica, pur con un focus principale sul Centro-­‐Sud Italia, in virtù delle maggiori criticità riscontrabili. L’Allegato 2 riporta copia del questionario somministrato ai funzionari. Sono inoltre state intervistate quindici imprese del settore legno-­‐arredo del Centro-­‐Sud Italia (Puglia, Basilicata e Lazio), al fine di sondarne il livello di sensibilità rispetto ai temi oggetto d’indagine e di raccogliere informazioni in merito ai canali di 22 Per maggiori informazioni si veda: http://www.carabinieri.it/Internet/Cittadino/Informazioni/Tutela/Ambiente 18 approvvigionamento del legname. Infine sono state raccolte indicazioni e testimonianze da parte di una decina di operatori del settore (professionisti, rappresentanti del mondo accademico, operatori di imprese boschive, ecc.). Con riferimento alle fonti secondarie, l’elenco risulta piuttosto nutrito, comprendendo l’esame di banche dati di ambito giuridico (Banca dati della Cassazione e altre Banche dati di sentenze), testi normativi, i Dossier Attività annuali e i comunicati stampa del CFS, le pubblicazioni consultabili all’interno del sito web dell’Osservatorio sul Lavoro in Bosco (OLAB), report di Associazioni di categoria (ad esempio Federlegno), bollettini mensili Istat, documenti di analisi e approfondimento tematici predisposti da organismi istituzionali (ad esempio l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ISPRA, del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare), report e comunicazioni di organizzazioni non governative, e altre pubblicazioni, ivi compresa letteratura grigia, letteratura scientifica sull’argomento prodotta da terzi e precedenti pubblicazioni del gruppo di ricerca. Le informazioni raccolte sono state impiegate per proporre una classificazione dei fenomeni di illegalità e procedere quindi a una fotografia dello stato attuale e -­‐ laddove possibile -­‐ dell’evoluzione storica dei fenomeni individuati. E’ stata dedicata attenzione anche all’azione di contrasto, soprattutto con riferimento all’operato del CFS e delle altre istituzioni preposte a prevenzione e controllo dei reati e degli illeciti. Da ultimo è stata operata una stima di massima degli impatti economici dei fenomeni individuati, con particolare enfasi su quelli emergenti. Scopo della stima è quello di individuare un ordine di grandezza degli effetti derivanti dai fenomeni analizzati, senza la pretesa di esaurire l’argomento e con la finalità di permetterne, attraverso l’incrocio di dati quantitativi e valutazioni qualitative, la definizione di una politica di prevenzione e lotta all’illegalità. Devono essere sottolineate sin d’ora le difficoltà incontrate nel reperimento di dati e informazioni relative a reati e illeciti nel settore forestale. Se per taluni fenomeni esiste oramai una nutrita bibliografia di riferimento, con ampia disponibilità di studi ed evidenze scientifiche, in altri casi la situazione è meno nettamente definita. Anche laddove la base informativa risulta nutrita e consistente, del resto, si pongono talvolta problemi di discrepanza tra le fonti. Evidente in tal senso l’esempio della stima dei tassi di taglio illegale nei diversi paesi: i valori forniti dalle organizzazioni non governative sono mediamente molto più elevati rispetto a quelli forniti da enti e organismi istituzionali nazionali. In assenza (o carenza) di riferimenti certi e solidi in letteratura, molti dei dati raccolti si basano su deduzioni e assunzioni sviluppate sulla scorta dell’esperienza empirica, nonché su testimonianze e segnalazioni fatte da operatori ed esperti del settore. E’ tuttavia importante evidenziare come tali dati denotino comunque una sostanziale convergenza, consentendo di tratteggiare con sufficiente precisione i fenomeni più diffusi e ricorrenti. 3. Risultati In questa sezione del rapporto sono riportati i risultati dell’indagine condotta. L’obiettivo è quello di presentare una fotografia dei fenomeni di illegalità relativi al settore forestale, fornendone altresì una lettura storica e di prospettiva. 3.1 Natura e dinamiche dei fenomeni di illegalità indagati I fenomeni di illegalità riscontrati nel corso dell’indagine sono stati raggruppati in tre ampie categorie: l’illegalità “storica”, l’illegalità “dimenticata” e le nuove forme di illegalità. Tale distinzione è dettata dalla necessità di una lettura del fenomeno in relazione all’azione di 19 contrasto messa in atto nel nostro paese. Ciascuna delle tre categorie sopra citate sarà presentata in dettaglio nei prossimi paragrafi. 3.1.1 Illegalità storica Con la denominazione “illegalità storica” ci si riferisce a forme d’illegalità da tempo riscontrabili sul territorio e contro le quali si esplica buona parte dell’azione di indagine, prevenzione e contrasto da parte delle istituzioni competenti, in primis il CFS. In tale gruppo rientrano fenomeni illegali quali incendi dolosi e colposi, tagli boschivi irregolari, pascolo abusivo in bosco, discariche di rifiuti in bosco, abusivismo edilizio, bracconaggio e frodi nell’utilizzo di contributi pubblici. Con riferimento agli incendi boschivi, è stato stimato che, in Italia, solamente il 2% degli stessi è dovuto a cause naturali, mentre il rimanente 98% è da attribuirsi a cause antropiche, spesso riconducibili a situazioni di natura dolosa o colposa. Nell’ultimo decennio in Italia si sono osservati, in media, più di 7.200 incendi/anno, con una superficie interessata di oltre 80.000 ha, di cui più del 45% (40.000 ha) rappresentato da superfici boscate. Il dato relativo al numero degli incendi, così come alla superficie incendiata, è comunque in flessione rispetto a quanto osservato negli anni Settanta (50.000 ha), Ottanta (53.000 ha) e Novanta (55.000 ha). In maniera analoga, la dimensione media della superficie forestale interessata da incendi evidenzia una flessione nel tempo, essendo passata da 13,5 ha negli anni Settanta a 11,6 ha nell’ultimo decennio (Istat, 2010)23. Di contro, l’incidenza relativa della componente dolosa è andata aumentando: essa risultava di poco inferiore al 49% nel 1999, mentre ora sfiora il 60% (CFS, 2002; CFS e Legambiente, 2007; CFS, 2010). Oltre a ciò -­‐ come riportato da un funzionario del CFS operante nel Centro Italia e intervistato in qualità di testimone privilegiato -­‐ si assiste a una crescente incidenza degli incendi dolosi sulle formazioni boscate di pianura, piuttosto che di collina o montagna. Tale fenomeno é da mettere in relazione a un’accresciuta percezione in termini “monumentali” della presenza arborea in pianura. Una percezione, estesa, oltre che agli esemplari realmente significativi, anche a forme e strutture arboree o para-­‐forestali l’importanza delle quali è talvolta associata solamente al sito di contesto o è funzionale a evitare un uso del suolo o di destinazione dell’area non sempre condiviso dalla totalità della popolazione. Nonostante il numero crescente degli eventi, la visibilità degli incendi in pianura e in collina rischia di essere inferiore, poiché l’estinzione dei focolai risulta più facile e veloce di quanto non possa accadere in aree impervie e più difficilmente accessibili. Ne consegue una tendenza a sottostimare la portata dei fenomeni e dei danni correlati, dal momento che non sempre incendi di portata minore sono comunicati e denunciati, creando, secondo le parole del funzionario intervistato, “[…] un gravissimo danno del flusso informativo relativo proprio al fenomeno dei focolai e delle attività dei piromani, ovvero al problema non di carattere ambientale bensì di ordine e sicurezza pubblica”. Complessivamente nel periodo 2000-­‐2009 il CFS ha segnalato all’Autorità Giudiziaria sul territorio nazionale 3.875 persone, di cui 131 tratte in arresto o sottoposte a custodia cautelare (CFS, 2010). Le ragioni individuabili alla base dei fenomeni di dolo sono molteplici e possono includere sia azioni finalizzate alla ricerca del profitto, sia manifestazioni di protesta e risentimenti o più semplicemente incuria verso il bosco (CFS, 2002). Si possono ricordare, tra le altre, l’azione di pastori finalizzata a favorire la rinnovazione della vegetazione erbacea 23 Non mancano, in realtà, dati in controtendenza. Ad esempio il 2007 è stato definito “l’annus horribilis” per l’estensione e la gravità degli incendi. Il CFS ha contato in totale 10.614 incendi, il 50% in più dell’anno precedente, con 23 vittime, 227.729 ettari di superficie percorsa dal fuoco di cui 116.602 boscata. Il 27% di essi ha riguardato aree protette: 62.309 ettari di terreno di cui 34.106 boscati (CFS e Legambiente, 2007; WWF, 2008). 20 per la produzione di foraggio, incendi appiccati dagli stessi addetti allo spegnimento, motivazioni correlate all’attività di bracconaggio (diradamento della vegetazione, induzione di spostamenti da parte degli animali, ritorsioni, ecc.), estorsione o speculazione, con riferimento ad esempio alla possibilità di beneficiare dell’eventuale cambio di destinazione d’uso del suolo o di effettuare interventi di riforestazione nelle zone percorse dal fuoco (Vadalà, 2009; CFS, 2010). Rispetto ai tagli boschivi, si riscontrano problemi soprattutto in termini di illeciti amministrativi -­‐ con particolare riferimento al numero di matricine effettivamente rilasciate e, più in generale, a possibili danni derivanti dalle operazioni di utilizzazione -­‐ piuttosto che di reati penalmente rilevanti. Le statistiche ISTAT relative agli illeciti amministrativi e penali per infrazioni alle leggi forestali e ai vincoli idrogeologico e paesaggistico per l’anno 2005 (ultimo anno di disponibilità dei dati) hanno registrato 84 illeciti penali su un totale di circa 94.000 utilizzazioni annuali condotte in media su scala nazionale. I riscontri si riferiscono in maniera prevalente alla Provincia Autonoma di Bolzano (68%) e -­‐ in maniera marginale -­‐ ad altre 4 regioni (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Puglia e Sicilia). In termini complessivi gli illeciti amministrativi e penali sono risultati di poco inferiori alle 7.000 unità, con ruolo preponderante del Centro (40%) e del Sud (37%) Italia. Il maggior numero di illeciti (in termini assoluti) si riscontra, nell’ordine, per: Lazio, Toscana, Sicilia, Umbria e Lombardia (ISTAT, 2005a). Secondo i dati più recenti distribuiti dal CFS (2010) nel 2009 non sono stati riscontrati reati legati alle utilizzazioni e ai tagli boschivi, mentre gli illeciti amministrativi sono stati 4.276. Negli ultimi anni si è tuttavia osservato un aumento nel numero dei reati e degli illeciti connessi al disboscamento, furto e danneggiamento di piante. Si sono riscontrati in tutto oltre 500 casi nel corso del 2009 (CFS, 2010), con dimensioni fortemente variabili secondo le circostanze. Come osservato da un funzionario del CFS intervistato ai fini della presente indagine, l’espansione del bosco determina una saturazione progressiva degli spazi agrari e delle radure, generando un continuum che permette di fatto una tolleranza maggiore degli eventi criminosi di qualsiasi natura rispetto al passato. Ciò anche perché risulta diminuita l’ordinaria percezione -­‐ tanto in termini quantitativi, quanto in termini qualitativi -­‐ dei danneggiamenti alle formazioni boschive. Va tuttavia rilevato che l’applicazione della legge da parte delle autorità di controllo è stata in alcuni casi ritenuta eccessiva e in contrasto con norme di buon senso: sono stati, ad esempio, sanzionati il prelievo non autorizzato di pochi steri di legna da ardere a fini non commerciali, lo sconfinamento di un capo di bestiame da aree di pascolo in boschi, i tagli (non autorizzati) di robinia in uliveti abbandonati in fase di recupero produttivo in quanto le aree erano sottoposte a vincolo idrogeologico, il mancato rilascio di qualche matricina in condizioni in cui la matricinatura minima è ritenuta anche da autorevoli accademici eccessiva e tecnicamente non giustificata24. In relazione al problema del controllo dei tagli un’area “grigia” nel panorama forestale italiano è rappresentata dai prelievi di legna da ardere. Sebbene in questo caso non sia possibile parlare di illegalità tout-­court, è innegabile che vi siano elementi di scarsa trasparenza sufficienti a sollevare legittimi dubbi sulla piena regolarità dei flussi di utilizzazione e commercio. In particolare uno dei problemi osservati si riferisce all’incongruenza tra i dati ufficiali sui prelievi forestali pubblicati (sino a due anni fa) dall’ISTAT e le stime derivabili sulla base di diversi studi e modelli basati sui consumi. La tendenza alla sottostima da parte dei dati ISTAT è stata sollevata nel corso degli anni da numerose indagini (APAT, 2003; Magnani, 2005). Più di recente Corona et al. (2007) hanno confrontato le superfici di boschi 24 Lo stesso sito del CFS riporta spesso casi di illeciti minori perseguiti con massimo rigore che fanno venire alla memoria un’Italia di un secolo fa, quando, in una economia rurale di sussistenza, i boschi erano soggetti al morso del “fessipete dall’unghia luciferina” (come veniva definita la capra negli atti parlamentari alla fine dell’800). Il quadro attuale dei problemi e delle priorità è in effetti, come si cerca di evidenziare nei paragrafi successivi, ben diverso. 21 cedui tagliate a raso in alcune regioni del Centro-­‐Sud Italia -­‐ rilevandole tramite immagini satellitari ad alta risoluzione -­‐ e quelle riscontrate dall’amministrazione forestale e pubblicate dall’ISTAT. Il rapporto tra le due stime è stato calcolato pari a 1,45. Si può facilmente ipotizzare che alla sostanziale sottostima delle tagliate pubblicate dall’ISTAT corrisponda una sottostima delle quantità effettivamente prelevate. In effetti, mentre i dati ISTAT parlano di prelievi oscillanti, secondo l’anno, tra 3 e 5 M m3, diversi studi basati sui consumi di legna da ardere a uso domestico suggeriscono valori nettamente più elevati. Hellrigl (2002), citando le indagini campionarie sui consumi ad uso residenziale effettuate dall’ENEA nella seconda metà degli anni ’90 (Gerardi et al., 1998; Gerardi e Parrella, 1999) ha ipotizzato un livello di consumi nel periodo 1997-­‐1999 tra i 16 e i 20 M t/anno. Tali dati, se assunti nelle stime nazionali, consentirebbero di raggiungere livelli di produzione e consumo coerenti con quelli di altri paesi europei (Hellrigl, 2002a). Un’indagine effettuata dall’ARPA Lombardia e APAT sui consumi di legna da ardere ed uso domestico in Italia ha stimato al 2006 un consumo ad uso residenziale di 19,1 M t (APAT-­‐ARPA Lombardia, 2007). Assumendo un coefficiente di conversione di 1 m3 = 0,5 t (Mantau et al., 2010), i consumi residenziali stimati in 16-­‐20 M t risulterebbero nel range di 32-­‐40 M m3. Stime operate da Pettenella e Andrighetto (2011) sulla base di dati forniti da Steierer et al. (2007) e da Mantau et al. (2008) restituiscono valori pari rispettivamente a circa 23,0 M m³ (11,5 M t) e 16,5 M m³ (8,3 M t). Anche tenendo conto del contributo dell’import25 dunque, i dati Istat risultano assolutamente insufficienti nel dare ragione dei possibili consumi interni di legna da ardere. Naturalmente ciò non significa -­‐ come già osservato -­‐ che i valori in difetto comportino automaticamente la presenza di fenomeni di illegalità. Nondimeno quanto sopra riportato, da un lato conferma le note difficoltà nel recuperare dati attendibili e certi relativi al settore forestale, con conseguenti limiti anche per l’azione di monitoraggio e contrasto di eventuali irregolarità; dall’altro autorizza a parlare, anche sulla scorta dell’esperienza empirica, di ampie zone “opache” associate alla raccolta e vendita di legna da ardere. Zone di scarsa trasparenza che potrebbe anche sottintendere la presenza di fenomeni di irregolarità legati, ad esempio, a prelievi in eccesso rispetto a quanto dichiarato e -­‐ in maniera correlata – all’esistenza di un mercato “sommerso” della legna da ardere con correlati fenomeni di evasione fiscale sotto forma di mancato o parziale pagamento dell’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA). L’abusivismo edilizio e la presenza di discariche illegali di rifiuti in bosco restano fenomeni diffusi -­‐ pur su scale diverse -­‐ in tutto il Paese, spesso concentrati in territori di pregio naturalistico e/o paesaggistico. E’ difficile isolare informazioni statistiche di rilievo riferite a reati interessanti il settore forestale, ma al tempo stesso è possibile trovare ampi riferimenti a singoli casi ed episodi di illegalità all’interno dei comunicati stampa e dei Dossier annuali pubblicati dal CFS. Le situazioni riscontrabili sono fortemente variabili, comprendendo -­‐ con riferimento ai fenomeni di abusivismo -­‐ casi di espansione o costruzione ex-­novo di edifici a uso abitativo, esempi di strutture per il ricovero animali o attrezzi e ancora la realizzazione di altane da caccia realizzate senza le necessarie autorizzazioni. In qualche caso i reati di abusivismo si pongono pertanto in relazione di funzionalità con altri reati, ad esempio correlati al pascolo irregolare in bosco o all’esercizio abusivo della caccia. Come osservato da uno dei funzionari del CFS intervistati, tuttavia, il diffondersi degli incendi e, conseguentemente, delle misure e azioni di contrasto degli stessi, ha avuto anche un’azione deterrente nei confronti dell’abusivismo. Ciò in particolare a seguito dell’istituzione ex Legge n. 353/2000 del Catasto degli incendi boschivi. Le zone boschive e i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella 25 Secondo dati riportati dal Sistema Faostat, nel 2009 sono stati importati 0,95 M m3 (0,48 M t) di legna da ardere e carbone di legna (+22,0% rispetto all’anno precedente) e 1,4 M m3 (0,7 M t) di cippato e scarti in legno. Va, comunque, tenuto presente che tali quantità vengono impiegate anche per la produzione di pannelli di particelle, di fibre e, in misura minore, per paste ad uso cartario (Gargiulo e Zoboli, 2007). 22 preesistente all’incendio per almeno quindici anni (c.d. vincolo quindicennale). La procedura amministrativa definita dalla Legge prevede che una volta individuate le particelle catastali interessate dagli incendi, sia prodotto un elenco delle stesse da affiggere all’Albo Pretorio del Comune per 30 giorni. Durante tale periodo è prevista la possibilità, per i cittadini interessati, di presentare ricorso contro l’apposizione del vincolo. Trascorso tale periodo senza che non siano state sollevate obiezioni, il vincolo risulta attivo a tutti gli effetti. Tra le forme storiche di illegalità sicuramente si può annoverare il pascolo in bosco, rispetto al quale è tuttavia necessaria una distinzione tra due fattispecie: quella del pascolo abusivo e quella del pascolo non legittimato. Il primo, disciplinato dall’art. 636 comma 2 del Codice Penale, si riferisce al pascolo effettuato su fondi e terreni altrui senza la necessaria autorizzazione. In particolare il pascolo in bosco è di norma disciplinato dalle Leggi Forestali Regionali e dalle PMPF locali, in quest’ultimo caso facendo per lo più rinvio alla Legge Serpieri e al concetto di vincolo idrogeologico e disponendo limitazioni relative alle aree pascolabili, nonché al carico animale. Ciò soprattutto nell’intento di conciliare le pratiche selvicolturali con quelle dell’allevamento animale, così da prevenire e limitare i danni al bosco e al suolo. In tal senso le tipologie più frequenti di reato riguardano non solo la violazione del succitato art. 636 del Codice Penale, ma anche l’esercizio del pascolo in are boscate ove ciò non sia permesso, ad esempio laddove il novellame non abbia ancora raggiunto le dimensioni mimine (di norma 2 metri d’altezza), in boschi di nuova formazione, in boschi gravemente danneggiati dagli incendi o da altre cause, in boschi troppo radi e deperienti, ecc. Ancora, le irregolarità possono manifestarsi sottoforma di carico eccessivo, vale a dire di presenza di un numero eccessivo di capi per unità di superficie. La fattispecie del pascolo non legittimato si configura, invece, allorché il pascolo sia effettuato su aree idonee, ma senza che sia corrisposto il c.d. Fido Pascolo. Come segnalato da funzionari del CFS intervistati nell’ambito del presente studio, ciò è in effetti imputabile in numerosi casi alla mancanza di controllo e di procedure amministrative adeguate da parte dei Comuni, che dovrebbero vigilare sull’uso dei terreni e sull’effettiva corrispondenza tra aree di pascolo e numero di capi dichiarati e reali. Come segnalato dal CFS, inoltre, perseguire questi reati non è sempre semplice, anche per la violazione -­‐ riscontrata in diversi casi -­‐ delle norme che impongono marcature auricolari o microchip identificativi per gli animali. Anche i reati contro la tutela della fauna selvatica autoctona, che possiamo riunire sotto l’etichetta comune di bracconaggio, rappresentano una delle forme storiche di irregolarità riscontrabile nei boschi italiani. Ciò è testimoniato anche dal fatto che una delle principali funzioni del CFS, sin dalla sua costituzione, è proprio rappresentata dal contrasto ai reati in tale campo. Nel corso del 2009 sono stati registrati in tutto 938 reati, con l’aggiunta di quasi 2.300 illeciti amministrativi e sanzioni pecuniarie per 2,4 M di euro (CFS, 2010). Il fenomeno del bracconaggio non solo non è in regresso, ma in alcune regioni, come in Puglia, è controllato dal crimine organizzato, che arriva a far pagare sino a mille euro a persona per due-­‐tre notti di caccia abusiva agli uccelli acquatici in zone umide. In generale, laddove sussistono interessi economici e operano organizzazioni criminali con fortissimo controllo del territorio, come avviene in Sicilia, Calabria e Campania, c’è spesso connessione tra la criminalità organizzata e l’attività di cattura illegale della fauna selvatica. In qualche caso tali connessioni hanno anche carattere simbolico, oltre che economico. In provincia di Reggio Calabria, ad esempio, il ghiro -­‐ oggetto di un’intensa attività di bracconaggio nei boschi di leccio e castagno della fascia collinare e pedemontana del versante ionico della provincia -­‐ fa parte del rituale della ‘ndrangheta, essendo la sua carne utilizzata nei piatti di pacificazione tra le ‘ndrine in lotta (Malara, 2010). In generale il mercato del bracconaggio appare florido, tanto che nel corso dell’anno i bracconieri si spostano da una regione all'altra, soprattutto nel Centro-­‐Sud Italia, seguendo i flussi e le disponibilità della fauna. Tali dinamiche contribuiscono a spiegare perché in alcune regioni (Abruzzo, Campania, Basilicata, Calabria, 23 Lazio, Puglia, Toscana e Sicilia) si registrano maggiori reati rispetto ad altre: molti bracconieri agiscono “in trasferta” contribuendo a mantenere i dati degli illeciti elevati con riferimento a regioni diverse rispetto a quella di residenza. Benché non esista un dato omogeneo e completo relativo al valore economico delle attività di caccia illegale in Italia, é possibile riferirsi a dati spot che consentono almeno di intravedere in maniera sommaria le dimensioni del fenomeno. Legambiente (2005) ha stimato che in almeno il 50% dei casi il bracconaggio é esercitato per ragioni di lucro, essendo parchi e aree protette le zone più interessate dai fenomeni di illegalità. Secondo i dati riportati da Furlan (2009), nel bresciano e nel bergamasco la vendita di piccoli uccelli può arrivare a fruttare a un singolo cacciatore di frodo fino a 20.000 Euro/anno. L’esercizio del bracconaggio ai danni del ghiro in provincia di Reggio Calabria consente di rivendere sul mercato illegale gli esemplari catturati al prezzo di oltre 50 Euro/kg. In particolare nell’alta Locride, al confine con le province di Catanzaro e Vibo Valentia, la domanda di questi animali è così elevata che le catture in loco non riescono a soddisfarla, e si ricorre all’importazione da altre zone della regione o da altre regioni. Sempre in provincia di Reggio Calabria la LIPU stima che almeno il 70% dei cacciatori che fanno la posta ai tordi utilizzino richiami elettronici illegali (Malara, 2010). Baretta (2008) ha approfondito lo studio del fenomeno del bracconaggio in Friuli Venezia Giulia, una regione particolarmente interessante sotto questo profilo in quanto per la sua stessa conformazione geomorfologia gode di una notevole varietà di habitat e, in forza della posizione geografica, si pone come fondamentale corridoio di transito del flusso migratorio proveniente dal Nord-­‐Est europeo e diretto verso il Bacino Mediterraneo. Oltre a ciò, pur non rientrando tra le Regioni italiane con il maggior numero di cacciatori, il Friuli Venezia Giulia si caratterizza per una tradizione venatoria che risale all’epoca dell’Impero romano. Di lunga tradizione è pure la pratica del bracconaggio, tant’è che il Frulli Venezia Giulia attualmente rientra tra le aree a maggior rischio di caccia illegale (hot-­spots) (box. 3.1). Box 3.1 – Il fenomeno del bracconaggio in Friuli Venezia Giulia Baretta (2008) ha analizzato gli illeciti venatori di natura penale in Friuli Venezia Giulia rilevati dalle Forze di Polizia competenti a livello provinciale. L’analisi dei dati forniti dalle amministrazioni provinciali ha permesso di rilevare cinque tipologie di illeciti: · uccellagione; · utilizzo di mezzi di caccia/cattura vietati; · abbattimento e detenzione di specie protette e particolarmente protette; · caccia in tempi e luoghi vietati; · altri reati. Le forme di bracconaggio più diffuse in Friuli Venezia Giulia sono le prime tre indicate nella lista sopra riportata. L’uccellagione è senza ombra di dubbio la fattispecie più comune, nonostante sia completamente assente nella Provincia di Trieste. Nel periodo 2000-­‐2006 sono stati rilevati complessivamente 295 casi di uccellagione, per i quali i mezzi di cattura più frequenti sono risultati le reti (166 casi rilevati, pari al 56% del totale), il vischio (95 casi, 32%) e le trappole (34 casi, 12%). La diffusione di tale pratica è sicuramente da mettersi in relazione ai flussi migratori che attraversano la Regione, ma non va dimenticato che essa assume nel contempo una connotazione tradizionale. L’uccellagione, infatti, era in passato l’unica caccia permessa al popolo, mentre la nobiltà locale si dedicava alla caccia dei grossi mammiferi stanziali. Già in passato i mezzi di aucupio più diffusi erano le reti e il vischio. Altra forma di bracconaggio molto diffusa è l’utilizzo di mezzi vietati di caccia/cattura, che nel periodo 2000-­‐
2006 ha fatto registrare 156 casi a livello regionale. Tra i mezzi vietati, il laccio rappresenta quello più frequentemente utilizzato (109 casi, pari al 70% del totale). Si tratta di uno strumento di caccia non selettiva di antichissime origini, tuttora impiegato per la cattura sia dei grossi ungulati sia dei piccoli mammiferi quali la lepre, il tasso e la volpe. Oltre al laccio, si riscontrano l’uso di munizioni spezzate nella caccia agli ungulati (23 casi, 15%), l’utilizzo di trappole (14 casi, 9%) e l’impiego di armi vietate o alterate (10 casi, 6%). Un discorso a parte meritano l’abbattimento e la detenzione di specie protette e particolarmente protette. In 67 casi su 103 rilevati tra il 2000 e il 2006 tale reato si riferisce alla detenzione di specie di avifauna. Questo dato contribuisce a mettere in luce l’esistenza di un mercato illecito dell’avifauna che interessa il Friuli Venezia 24 Giulia unitamente ad altre regioni e ad altri paesi, principalmente dell’area balcanica. Ne sono la prova recenti indagini condotte a livello internazionale, a opera del CFS, del Corpo Forestale Regionale e del Corpo Provinciale degli Agenti di Vigilanza Ambientale di Udine, con il coordinamento della Procura della Repubblica di Udine, come, ad esempio l’operazione Balkan Birds, l’operazione Volo Libero, o, la più recente, operazione Pi greco. Queste indagini condotte a livello nazionale e internazionale, hanno evidenziato l’esistenza di associazioni a delinquere che operano nel traffico nazionale ed internazionale di avifauna (per lo più con riferimento a specie protette dalla Convenzione di Washington), smantellando così giri di affari di milioni di euro all’anno. Altre tipologie di reato riguardano prevalentemente l’abbattimento e la detenzione di specie di uccelli e di mammiferi, protette e particolarmente protette, ad opera di cacciatori, in violazione della normativa nazionale e regionale sull’attività venatoria. Una breve considerazione a parte deve essere fatta per i richiami e le sanzioni comminati dalla Commissione Europea all’Italia per il non corretto recepimento della Direttiva 70/409/CEE, disciplinante la tutela dell’avifauna26. Il riferimento è in particolare alla c.d. “caccia in deroga”, per la quale 13 Regioni italiane sono state fatte oggetto di procedura e la Regione Veneto è già stata riconosciuta responsabile dell'infrazione comminata all'Italia dalla Corte di Giustizia in data 11 novembre 2010, con conseguente sanzione amministrativa27. Al tema del bracconaggio “in casa” si collega senz’altro anche quello relativo al traffico di specie di fauna e flora protette, nell’ambito di quanto previsto dalla Convenzione di Washington (CITES). Complessivamente nel 2010 il Servizio CITES del CFS ha accertato 202 reati penali nel contrasto al commercio illegale delle piante e degli animali e ha contestato 277 illeciti amministrativi per un totale di quasi 370.000 Euro. Nel corso dello stesso anno sono stati posti sotto sequestro 1.333 animali vivi (+43% rispetto al 2009), 94 animali morti o parti di animali, 2.450 prodotti derivati da animali (+90%) e 17.991 prodotti di pellame (+93%). Il valore complessivo delle specie sequestrate nel corso del 2010 risulta di poco inferiore ai 3 M Euro. E’ utile ricordare che l’Italia rappresenta uno dei più grandi mercati di articoli e prodotti derivanti da specie animali e vegetali protette, un mercato che genera un giro di affari, a livello internazionale, superiore ai 100 Mld di Euro/anno (CFS, 2011a). Diversi casi e indagini hanno inoltre dimostrato il ricorso a falsi o non regolari documenti CITES, o equipollenti, per coprire il commercio e la detenzione di esemplari di provenienza illegale. Sono inoltre da segnalare sempre più frequenti casi di importazioni illegali di selvaggina (specie non CITES e specie CITES) cacciata nei Balcani e, più in generale, nell’Europa dell’Est. In molti di questi casi, più che riferirsi a problemi di legalità relativi all’origine della selvaggina, le violazioni sono di carattere sanitario, in virtù del fatto che i Paesi di provenienza sono fatti oggetto di bandi di importazione per rischi sanitari (CFS, 2010). Un ultimo ambito di illegalità storico è quello relativo alle frodi nel campo della gestione degli incentivi pubblici e in particolare dei contributi comunitari nell’ambito delle politiche di sviluppo delle aree rurali. Tale settore riveste un ruolo sicuramente di rilievo nel panorama nazionale, come testimoniato dai numeri dell’attività operativa del Comando Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari (2011). 26 Si veda ad esempio la Sanzione 2006/2131 “Non corretto recepimento della direttiva 70/409/CEE relativa alla conservazione degli uccelli selvatici (caccia)”. 27 Si veda la Sentenza della Corte (Quarta Sezione) 11 novembre 2010 -­‐ Commissione europea/Repubblica italiana (Causa C-­‐
164/09) pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea n. 12 del 15 gennaio 2011. Va tuttavia ricordato anche negli ultimi mesi del 2011 tanto il TAR, quanto la Corte Costituzionale hanno dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri contro la delibera regionale di autorizzazione della caccia in deroga per la stagione 2010-­‐2011. 25 3.1.2 Illegalità dimenticata Sotto la categoria dell’illegalità dimenticata si annoverano forme d’illegalità spesso sottovalutate o scarsamente fatte oggetto di attenzione da parte degli addetti ai lavori e dal pubblico in genere. Anche in questo caso la casistica è nutrita e comprende -­‐ inter alia -­‐ il mancato rispetto della normativa sulla salute e sicurezza nelle lavorazioni boschive e l’import di legname di provenienza estera illegale. Gli aspetti di salute e sicurezza -­‐ e, in termini più ampi, di regolarità del lavoro -­‐ rappresentano sicuramente un cono d’ombra nell’ambito del sistema forestale italiano. Nonostante la presenza di una normativa che, in teoria, dovrebbe tutelare ampiamente le condizioni di sicurezza e regolarità del lavoro in foresta, nelle utilizzazioni boschive e, in genere, negli interventi selvicolturali il lavoro irregolare rappresenta un fenomeno ampiamente riscontrabile. I dati e le informazioni disponibili su questo argomento sono purtroppo scarsi e di cattiva qualità, per di più la stagionalità del lavoro e l’attività svolta generalmente in aree remote ed economicamente marginali non facilitano la raccolta di informazioni. Come segnalato già qualche anno fa dal Consiglio Editoriale della Rivista Sherwood (2002) “[…] esiste però la diffusa percezione, da parte degli operatori del settore, che in Italia il lavoro in foresta, soprattutto nelle aree appenniniche, stia cambiando verso modelli organizzativi non basati su criteri di accresciuta professionalità degli addetti, di regolarità e continuità delle attività economiche o di prevenzione degli incidenti ma, al contrario, verso l’impiego di manodopera dequalificata, non adeguatamente equipaggiata, ingaggiata senza un regolare contratto, esposta a gravi rischi di incidenti sul lavoro e sottopagata”. Il lavoro nero, in condizioni di sicurezza precarie, ha effetti indiretti di spiazzamento delle ditte che operano nel rispetto delle normative: il lavoratore costa di meno ed è facilmente condizionabile dal datore di lavoro, così che le ditte e i boscaioli che operano in condizioni regolari rischiano di venire progressivamente emarginati da un mercato non regolato, con pesanti ripercussioni a livello sociale e ambientale (Pettenella, 2009). Alcuni dati d’interesse sono stati elaborati dall’Istat (2003), che ha pubblicato stime relative all’occupazione in termini di numero di persone fisiche occupate, unità di lavoro (numero teorico dei lavoratori a tempo pieno) e posizioni lavorative, distinguendo la componente regolare da quella non regolare. I dati di interesse ai fini della presente indagine sono quelli relativi al settore di attività economica “Agricoltura, caccia e selvicoltura” per quanto riguarda il numero di occupati regolari e non regolari e al settore “Agricoltura, selvicoltura e pesca” per quanto riguarda le unità di lavoro. Tali dati, pur con tutte le limitazioni dovute all’accorpamento della selvicoltura nella stessa categoria delle attività agricole e della caccia e pesca, consentono di ipotizzare un’elevata presenza di lavoratori irregolari nel settore forestale. In aggiunta a quanto appena indicato, i dati Istat evidenziano come, nel periodo 1992-­‐2001, a fronte di un calo complessivo dell’occupazione agricola, il peso relativo degli occupati non regolari sia aumentato di circa 10 punti percentuali. In termini di unità di lavoro, il tasso di irregolarità nel settore Agricoltura, selvicoltura e pesca (unità di lavoro non regolari rispetto a quelle totali) è diversificato da Regione a Regione, andando da un massimo di 50% in Calabria a un minimo del 18,6% in Toscana. Una stima di grande massima dell’incidenza del lavoro irregolare in selvicoltura è stata realizzata da Pettenella e Secco (2004) con riferimento a due distinti scenari: quello basato sui dati ufficiali Istat sui prelievi (scenario Minimo) e quello risultante da una stima dei prelievi legata ai consumi effettivi di legna da ardere (scenario Massimo). Assumendo la presenza in Italia di 24-­‐28.000 addetti stabili professionali, nello scenario Massimo (probabilmente quello più vicino alla realtà) su un addetto professionale sono stimati 2-­‐3 addetti occasionali, presumibilmente operanti al di fuori di un contesto di regolarità rispetto alla normativa sulla salute e sicurezza e dei rapporti contrattuali di 26 lavoro28. Questa ipotesi collocherebbe l’attività delle ditte boschive al primo posto in una graduatoria nazionale della mancata tutela del lavoro nei diversi settori economici (Pettenella, 2009). Come chiosa finale, si ritiene utile riportare l’affermazione fatta da un Funzionario del CFS a latere di un Congresso sul Lavoro irregolare in bosco tenutosi ad Arezzo nel 200429: “Se dovessimo controllare il rispetto della normativa sulla saluta e sicurezza, non ci sarebbe un solo cantiere forestale aperto in tutta Italia”. In effetti, soprattutto per quanto riguarda la normativa sulla salute e sicurezza delle attività boschive, il mancato rispetto delle norme più elementari (l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, ad esempio) è talmente diffuso che le condizioni di regolarità nelle attività di utilizzazione boschiva sono l’assoluta norma e quelle del rispetto della legge una eccezione (box. 3.2). A questo proposito si tenga presente che il lavoro in foresta è considerato, insieme a quello in miniera, quello a più alta incidenza di infortuni. Già da anni operatori del settore hanno fatto richiesta che le attività forestali siano considerate a fini pensionistici come “lavori particolarmente usuranti” in base al D. Lgs. 11 agosto 1993 n. 374 (Maiandi e Paoli S, 2003), Box 3.2 – Il mancato rispetto della normativa sulla salute e sicurezza delle attività in bosco Una verifica delle ordinarie condizioni di illegalità dei cantieri forestali in Italia in relazione alla normativa di tutela della salute e scurezza degli operatori e di come queste condizioni rappresentino la norma è facilmente effettuabile con una ricerca su Youtube. Qualche esempio illuminante: Abbattimento piante: http://www.youtube.com/watch?v=Z4lpT6vqTHw Lavorazione legna: http://www.youtube.com/watch?v=nyloh-­‐azAyE Esbosco con verricello: http://www.youtube.com/watch?v=91OJiJTxx4I&feature=related Esbosco via cavo: http://www.youtube.com/watch?v=_kOCDI-­‐g9Ew&NR=1 Esbosco con mulo: http://www.youtube.com/watch?v=OyoMc6OsXNw&feature=related Carico legname: http://www.youtube.com/watch?v=OLUo6NQa90s&feature=related Rispetto all’importazione di legname di provenienza illegale30, è necessario ricordare che -­‐ come evidenziato da un rapporto curato dall’ISPRA (2009) -­‐ l’Italia occupa il sesto posto mondiale e secondo posto europeo per volumi d’import di legno e derivati, intrattenendo stretti rapporti commerciali con paesi nei quali i fenomeni di illegalità nel settore forestale risultano piuttosto noti e di fatto conclamati. In particolare il nostro Paese è il primo partner commerciale per l’export di legname e derivati da parte di Camerun, Costa d’Avorio, Romania, Bosnia, Albania e Serbia. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’Italia non importa solamente prodotti di elevato valore unitario: dall’analisi delle statistiche internazionali di fonte FAO risulta che il nostro Paese è il primo importatore mondiale di legna da ardere e il quarto di cippato e scarti in legno. Una stima conservativa operata dall’ISPRA (2009) quantifica la percentuale di legno illegale importato dall’Italia come oscillante tra il 7 e il 10% dell’import totale, per un valore complessivo oscillante tra 1,7 e 3,7 Miliardi US$. Con riferimento ai fenomeni di illegal logging si guarda con attenzione all’attuazione del Regolamento Comunitario 995/2010 (EUTR) che entrerà in vigore nel marzo del 2013. Nel 28 A mero titolo di esempio si riporta quanto emerso nel corso di controlli effettuati nel 2007 presso ditte boschive in Toscana. In tali circostanze il CFS ha rilevato come 17 imprese su 58 verificate (29%) presentassero delle irregolarità. Rispetto alle 186 persone complessivamente registrate nei cantieri corrispondenti, 41 (22%) non disponevano di un regolare contratto di lavoro, trattandosi quasi esclusivamente di lavoratori extracomunitari, un quarto dei quali clandestini (ARSIA, 2007). 29 Convegno: Professionalità -­‐ Regolarità -­‐ Sicurezza. Presupposti per un settore forestale di qualità. Organizzato da Sherwood, con il patrocinio della Regione Toscana e della Provincia di Arezzo. Arezzo, 30 Gennaio 2004. 30 Si potrebbe mettere in discussione alla luce della normativa attuale che l’importazione di legname di origine estera illegale non comporta necessariamente responsabilità legali per gli importatori in Italia. In questa sede l’attenzione è tuttavia posta ai problemi di violazione delle leggi collegate alla gestione delle risorse forestali in genere, e non a quelle esclusivamente italiane. Peraltro, come già ricordato, il Reg. 995/2010 estende delle responsabilità legali anche agli importatori in Italia di legname prodotto e messo sul mercato illegalmente all’estero. 27 definire gli obblighi degli operatori comunitari che commercializzano legno e prodotti da esso derivati, tale Regolamento in sostanza proibisce la commercializzazione sul mercato europeo di legno di provenienza illegale. Come già successo con il Regolamento FLEGT, tuttavia, l’Italia non sembra dimostrarsi particolarmente reattiva nel prepararsi all’attuazione di simili misure, a differenza di quanto fatto da altri paesi, quali Regno Unito31 e Spagna32. 3.1.3 Nuova illegalità La terza e ultima categoria di fenomeni di illegalità analizzati in questo rapporto va sotto il nome di nuova illegalità. Ci si riferisce a nuovi ed emergenti fenomeni che si sono affacciati sulla scena nazionale (e, talvolta, internazionale) solamente negli ultimi tempi o, quanto meno, solo di recente hanno cominciato a essere oggetto di attenzioni da parte degli addetti ai lavori. Le tipologie che si possono elencare sotto questa etichetta sono quanto mai varie e diversificate. Tra esse rientrano i fenomeni di riciclaggio di denaro “sporco” tramite acquisto di lotti boschivi a prezzi artatamente gonfiati nel corso di aste pubbliche di acquisto. L’aumento dei prezzi ha normalmente un effetto di spiazzamento delle imprese regolari che non sono in grado di competere con imprese sostenute da ingenti capitali di provenienza dubbia o notoriamente illecita. Come ricordato dal Rapporto sulle Ecomafie di Legambiente 2010, esistono -­‐ soprattutto nel Centro-­‐Sud Italia -­‐ riscontri di infiltrazioni del crimine organizzato in attività di riciclaggio del denaro attraverso l’acquisto di lotti boschivi, e -­‐ in qualche caso -­‐ anche nell’assegnazione di appalti per i tagli. In particolare in tale Rapporto si osserva come “[…] quello della mafia dei boschi, soprattutto nelle terre d’Aspromonte, è un fenomeno antico che sta tornando prepotentemente d’attualità: nel novembre del 2009 [sono stati] arrestati esponenti di un vero e proprio cartello, frutto dell’alleanza di ben quattro ‘ndrine impegnate a spartirsi il controllo di tutte le attività. Ogni appalto per il taglio dei boschi, per esempio, fruttava almeno 5.000 euro di pizzo”. Informazioni emerse nel corso delle interviste con funzionari del CFS evidenziano come fenomeni quali quelli appena descritti siano in espansione e non più limitati al solo Meridione, ma oramai riscontrabili anche nel Centro Italia. Accanto al riciclaggio per mezzo dell’acquisto di lotti boschivi, inoltre, sta prendendo piede anche il riciclaggio connesso all’acquisto di terreni forestali, al domanda dei quali è aumentata negli ultimi anni, ad esempio al fine di costituire riserve dei caccia. Non esistono, tuttavia, al momento linee investigative attivate, ma più semplicemente segnalazioni recepite e riscontrate dal CFS. Situazioni di illegalità sono riscontrabili anche con riferimento al settore degli imballaggi in legno (pallet). Come osservato da Assoimballaggi (2006), sono tre i fenomeni che compromettono l'efficienza economica e ambientale del circuito dei pallet basato sull'interscambio fra aziende: (i) circolazione di pallet marchiati come conformi agli standard tecnici pur in presenza di elementi di non conformità; (ii) importazione di imballaggi in legno da paesi dell'Est Europa, con rischi di minore qualità tecnica del prodotto e di uso di legno di provenienza illegale; (iii) fiorire di un mercato parallelo di pallet irregolarmente sottratti al regolare circuito dell'interscambio. Tali imballaggi sono illegalmente ceduti a operatori commerciali che provvedono a immetterli nuovamente sul mercato, provocando differenti tipologie di impatti negativi (box 3.3). 31 Si veda a titolo di esempio il portale www.cpnet.org. 32 Già a fine agosto 2011 il Ministero dell’Ambiente spagnolo ha pubblicato una proposta di Decreto per dare attuazione a misure relative sia al Regolamento FLEGT, che al Regolamento CE 995/2010 (EUTR). 28 Box 3.3 – Impatti del mercato nero degli imballaggi in legno Si possono distinguere almeno quattro diverse tipologie di impatti negativi scaturenti dal mercato nero degli imballaggi in legno (Assoimballaggi, 2006): (1) mancati introiti per l'Erario. L’evasione dell’IVA generata dalla sottrazione di pallet al circuito dell'interscambio, con conseguente rivendita a commercianti che li acquistano senza documentazione fiscale né registrazione contabile e provvedono a ricollocarli sul mercato, senza corrispondere l'imposta dovuta sul valore aggiunto, é stimata in circa 396 M Euro/anno. Tale cifra deriva dal fatto che in Italia hanno luogo statisticamente 4 cicli di utilizzo dei pallet per ogni abitante, pari a circa 240.000.000 cicli di utilizzo annui. Di questi cicli si stima che circa il 30% sia gestito illegalmente e al prezzo medio di 5,50 Euro/pallet (Fava et al., 2009). Dinamiche simili si osservano anche nell'importazione di pallet da paesi comunitari operata da parte di aziende create appositamente per gestire la compravendita di tali prodotti. Gli imballaggi entrano in Italia tramite dichiarazione Intrastat, in regime di esenzione IVA. Le aziende importatrici rivendono i bancali applicando l'IVA, senza tuttavia corrispondere allo Stato quanto dovuto. Di norma sono imprese con vita breve, di uno o due anni al massimo, che per di più, incamerando l'imposta evasa, sono in grado di proporre prezzi di vendita molto vantaggiosi; (2) aumento dei costi per l’industria e la distribuzione che sono chiamate a reintegrare il parco dei pallet necessari alle consegne. A fronte di perdite anche consistenti vi è il rischio concreto che le imprese cerchino di ridurre il danno riacquistando bancali da operatori non qualificati in grado di proporre prezzi vantaggiosi; (3) ridotta efficienza a seguito del mancato riutilizzo delle risorse rinnovabili (legno) e non (energia) connesse alla produzione dei pallet. Oltre a ciò possono anche verificarsi problemi di contaminazione degli imballaggi, con conseguenti impatti negativi sulla salute degli operatori e dei consumatori; (4) riduzione dei prezzi sino al 25% rispetto alla quotazione media. Come conseguenza di ciò si ha un reiterarsi dei fenomeni della illegalità e l’introduzione di oneri finanziari che si riversano in proporzione sui prezzi dei beni di consumo. Un altro esempio di “nuova” illegalità è rappresentato dalla produzione e commercializzazione di pellet realizzati con legname trattato e non rispondente ai requisiti di legge. Ciò in particolare nel caso di impiego -­‐ nonostante le restrizioni e i divieti imposti dalle norme in vigore -­‐ di legno e scarti di legno di derivazione industriale recanti residui di colle e vernici. Nel recente passato ha suscitato grande clamore mediatico il sequestro di pellet lituano contaminato da Cesio 137. Il problema, in particolare, riguardava non il materiale in sé, ma le ceneri prodotte dalla combustione, nelle quali sono stati rilevati valori di radioattività fino a 40 volte superiori ai limite di legge. Va precisato che, a seguito di indagini ed esami condotti ad hoc, l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) (cit. AIEL, 2009) ha decretato la “non rilevanza radiologica dei valori riscontrati e dunque la non pericolosità per la salute pubblica”. Nondimeno il tema della tracciabilità e della trasparenza in merito alla filiera delle materie prime utilizzate per la produzione del pellet -­‐ e più in generale nel sistema legno-­‐energia -­‐ rimane di grande attualità, come ricordato di recente anche dal Manifesto per lo sviluppo sostenibile del settore legno energia pubblicato da AIEL nel corso degli Stati Generali del Legno-­‐Energia (Verona, 17 giugno 2011). Un’ulteriore area di irregolarità è rappresentata dalla raccolta e commercializzazione di funghi e tartufi. Si possono in tal senso identificare differenti fattispecie di illegalità. La prima si configura come evasione fiscale ed è correlata al fatto che i raccoglitori di funghi sono soggetti a c.d. regime di esonero purché abbiano volume d’affari costituito per almeno i due terzi da cessioni di prodotti inclusi nella Parte I della Tabella A riportata come Allegato 1 al DPR 633/1972 e comunque non superiore a 2.582,28 Euro a prescindere dal luogo in cui sia esercitata l’attività34̀. Il regime di esonero solleva i raccoglitori dagli obblighi documentali e contabili (fatturazione, registrazione, liquidazione periodica, versamento e dichiarazione annuale) normalmente previsti. Coloro che acquistino da produttori agricoli esonerati devono autofatturare gli acquisti con diritto alla detrazione senza, comunque, alcun obbligo di versare 34 La soglia massima è innalzata a 7.746,85 Euro se l’esercizio dell’attività avviene esclusivamente nei comuni montani con meno di 1.000 abitanti, nonché nelle zone abitate con meno di 500 abitanti ricomprese negli altri comuni montani individuati dalle Regioni. 29 l’imposta. Le autofatture devono essere annotate dagli acquirenti distintamente nel registro degli acquisti con la possibilità di detrarre l’IVA sulle stesse (Agenzia delle Entrate, 2004). All’interno di questo quadro, l’esperienza empirica segnala numerosi casi di sovrafatturazione, con le imprese acquirenti (commercianti e trasformatori di funghi) che emettono autofatture maggiorate al fine di ridurre i pagamenti dell’IVA a proprio carico. Meccanismi analoghi sono adottati anche con riferimento ad altri prodotti non legnosi, quali asparagi selvatici e pinoli. Una seconda fattispecie segnalata da funzionari del CFS nonché da esperti e operatori del settore, ma rispetto alla quale non esistono al momento vere e proprie evidenze documentali di riscontro, si riferisce a processi di riciclaggio di denaro operati da aziende italiane che acquistano funghi a prezzi superiori alla media in paesi dei Balcani, dell’Europa Centro-­‐
Orientale e in Svezia e Finlandia, per poi rivenderli su altri mercati, ivi compreso quello italiano, spesso facendo prima transitare i prodotti per paesi terzi (ad esempio, Romania) al fine di renderne meno agevole la tracciabilità. Lo stesso meccanismo può essere adottato per l’evasione dell’IVA. Altra fattispecie riscontrata è quella relativa alla vendita come tartufi illegalmente importati (vd. Box 3.4) e di specie dei generi Tirmania, Terfezia e Picoa, funghi ipogei provenienti dalla Cina e da paesi dell’area del Magreb (soprattutto Marocco -­‐ Zambonelli e Iotti, 2011). Tali prodotti non sono inclusi nell’allegato 1, della legge n. 752 del 1985, che reca l’elenco delle specie di tartufi commerciabili definendone le relative caratteristiche. I tuberi importati sono privi dei caratteri organolettici propri dei tartufi nazionali, nondimeno si caratterizzano per una raccolta molto più agevole ed economica nei paesi d’origine e presentano per di più una notevole porosità che li rende particolarmente adatti all’assorbimento di aromi. In virtù di tale ultima caratteristica essi sono sottoposti a processi di aromatizzazione sia per semplice mescolamento con tartufi veri e propri, sia -­‐ e più spesso -­‐ mediante l’impiego di bismetilthyometano, un derivato di sintesi degli idrocarburi usato anche nell’aromatizzazione di olii, formaggi, pasta, ecc. al tartufo. In questo caso l’illegalità si potrebbe configurare sottoforma di possibile frode commerciale (ed eventualmente agroalimentare), laddove si presenti un prodotto di qualità inferiore per uno di maggior pregio. Box 3.4 – Tartufi: un mercato illegale in crescita Un pericoloso surrogato del tartufo nero pregiato (il Tuber melanosporum) è il Tuber indicum Cooke et Massee di provenienza cinese. Come riportato da Zambonelli e Iotti (2011), questo tartufo è simile al nero pregiato, ma di qualità nettamente inferiore. “In Italia la commercializzazione di T.indicum è vietata, ma viene ugualmente venduto illegalmente e utilizzato per frodi commerciali al posto del tartufo nero pregiato. Nel 2006 la Cina ha esportato 800 tonnellate di T.indicum. Inoltre in Cina sono già state realizzate numerose coltivazioni di T.indicum e di T.melanosporum e dal 2008 alcune sono già in produzione. Ciò fa pensare ad una tendenza futura d’importazione sempre maggiore di tartufi dalla Cina all’Europa” (Zambonelli e Iotti, 2011, p. 14). Un problema simile di frode commerciale interessa il Choiromyces meandriformis (“trifola bianca matta”), presente in paesi del centro-­‐nord Europa la cui commercializzazione è vietata in Italia in quanto ritenuto tossico ma che si ritrova saltuariamente in partite di tartufi bianchi pregiati che hanno lo stesso aspetto esteriore. Del tutto simile il problema del Tuber oligospermum (Tul & Tul.) Trapp di provenienza marocchina utilizzato in sostituzione del nostro T.magnatum. Il fenomeno, più volte denunciato da Assotartufai37, è stato preso in considerazione anche dal Parlamento Italiano che, tra il 2006 e il 2007, ha sviluppato -­‐ pur senza ancora pervenire all’approvazione -­‐ una proposta di legge38 per la revisione della legislazione vigente in materia di raccolta e commercializzazione dei tartufi al fine di tutelare tanto il consumatore, 37 Si veda ad esempio: www.assotartufai.it/index.php?option=com_sobi2&sobi2Task=sobi2Details&catid=7&sobi2Id=61 38 Si vedano le tre proposte contenute nel Progetto di Legge n. 165, recante titolo Revisione della legislazione sui tartufi (A.C. nn. 177, 1764, 2285) e predisposto dal Servizio Studi -­‐ Dipartimento agricoltura della Camera dei deputati (XV Legislatura). 30 quanto un prodotto tipico di estrema rilevanza sotto il profilo tradizionale-­‐culturale e commerciale. Tra gli ambiti di illegalità meno noti all’opinione pubblica, non dimeno rilevanti sul piano economico e legale, può essere citato anche il caso della coltivazione di cannabis indica all’interno di aree boscate. I funzionari del CFS intervistati hanno riportato casi relativi principalmente relativi a Calabria, Campania e Sicilia, nondimeno un semplice esame delle fonti di cronaca consente di individuare con relativa facilità un elevato numero di esempi anche relativi alle zone dell’Appennino Centro-­‐Settentrionale (Emilia Romagna, Liguria, Toscana), nonché a regioni del Nord (Lombardia). Si può assumere che sia dunque un reato diffuso, seppure non omogeneamente, su scala nazionale, con maggiore concentrazione nelle regioni segnalate dal CFS. Da ultimo, si ritiene utile segnalare i rischi di frodi commerciali nella vendita di investimenti forestali per la compensazione dei crediti di Carbonio nel c.d. mercato volontario. Si tratta di una materia ancora in fase di chiara definizione giuridica relativamente ai diritti di proprietà del servizio di fissazione di carbonio legati alla realizzazione di piantagioni e al miglioramento della produttività di quelli esistenti. Gli interventi che si realizzano in Italia sono già conteggiati dallo Stato (su base campionaria e senza un riferimento specifico alle singole proprietà) e inclusi nel Registro nazionale dei sink forestali ai fini del raggiungimento degli obiettivi fissati per l’Italia dal Protocollo di Kyoto. Come buona parte degli altri paesi europei, l’Italia rendiconta infatti l’aumento dello stock di carbonio dovuto alla riforestazione/afforestazione (Articolo 3.3 del Protocollo di Kyoto) e alla gestione forestale (Articolo 3.4). Quest’ultima, considerata opzionale dal Protocollo di Kyoto, è stata inclusa dal Governo italiano anche perché, grazie a un’intensa pressione nell’attività negoziale, al nostro Paese è stato concesso un limite di rendicontabilità in termini relativi molto elevato: 10,2 Mt CO2 equivalenti per anno, pari a 2,78 Mt di C (Pilli et al., 2006; Federici et al., 2008). L’Italia, nel presentare i dati relativi all’Articolo 3.4, ha considerato tutta la superficie forestale attuale come sottoposta a forme di gestione, includendo tra gli altri prati e pascoli soggetti a ricolonizzazione naturale (Brotto e Pettenella, 2010)39. In un simile scenario gli spazi per l’uso delle stesse risorse nell’ambito del mercato volontario di crediti di carbonio sembrerebbero nulli o minimi40, ed esiste il fondato sospetto che gli investimenti offerti nel mercato volontario siano basati su un doppio conteggio. In un recente dibattito pubblico organizzato per la presentazione del volume INEA sul mercato volontario dei crediti (Brotto et al., 2011), un alto funzionario del CFS ha paragonato la vendita di investimenti forestali compensativi realizzati in Italia alla vendita del Colosseo ad ignari turisti. E’ strano che su questo tema di una certa rilevanza economica né le autorità centrali dello Stato, né la Magistratura siano ancora intervenute. Nel Regno Unito la recente approvazione di un Carbon Code ha cercato di prevenire ogni rischio di possibile frode nel settore. Su basi diverse si può ricordare che esistono già evidenze in merito a frodi perpetrate nell’ambito del sistema di commercio dei crediti di carbonio, anche al di fuori del settore forestale. Uno dei casi più rilevanti si è avuto all’inizio del 2010, quando l’Interpol ha denunciato la presenza di fenomeni di evasione fiscale per circa 5 Mld di Euro complessivi nella compravendita di crediti nell’ambito dello EU Emissions Trading Scheme (ETS). Tali fenomeni interessano anche l’Italia, dove ventuno persone risultano indagate in un’inchiesta 39 Si tratta -­‐ è bene ricordarlo -­‐ di valori particolarmente elevati: il sink totale di 10,2 Mt CO corrisponde al 30% 2
dell’impegno nazionale di riduzione calcolato sul livello di emissioni del 1990 (1,95% rispetto al 6,5%). Tale valore è di gran lunga superiore, in termini relativi, a quelli riscontrabili negli altri paesi europei: in Italia si dovrebbe infatti concentrare il 24,1% del carbonio fissato nelle foreste dell’UE (15) ed il 21,3% dell’UE (27). 40 In effetti nel conteggio fatto dallo Stato per il Protocollo non rientrano le foreste urbane e quelle di minima estensione. 31 coordinata dalla Procura di Milano e condotta dalla Guardia di Finanza per una frode fiscale stimata in 500 M di Euro. Sulla scorta di queste esperienze l’Interpol ha indicato che l’immissione massiccia di crediti di carbonio provenienti da progetti forestali potrebbe -­‐ in assenza di adeguati meccanismi di trasparenza e garanzia -­‐ favorire l’aumento di processi fraudolenti (FERN, 2010). 3.2 Le dimensioni dei fenomeni di illegalità indagati Per loro stessa definizione e natura, i fenomeni di illegalità sono difficilmente misurabili e monitorabili. E’ comunque possibile ipotizzare una stima di massima della dimensione economica dell’illegalità nel settore forestale italiano, basata su dati presenti in letteratura e in parte già anticipati nei precedenti paragrafi. Si tratta di considerazioni di carattere indicativo e parziali, dal momento che non per tutte le tipologie di illegalità è stato possibile recuperare informazioni utili a effettuare una stima realistica. Si è stimato un valore complessivo compreso tra 1.379,9 e 3.450,3 M Euro, in larghissima misura (66,7-­‐77%) dipendente dall’import di legno illegale. Gli incendi occupano la seconda posizione, arrivando a pesare in media sino al 15,6% dei costi totali dell’illegalità. Rilevante è anche il contributo dato dall’evasione fiscale associata al commercio irregolare degli imballaggi in legno, così come da quella legata alla vendita irregolare della legna da ardere. In questo secondo caso, peraltro, si tratta di un valore con ogni probabilità sottostimato, poiché è stato adottato un approccio di tipo prudenziale, assumendo che tutta la legna registrata dall’Istat sia commercializzata regolarmente. Il contributo delle altre voci è invece più contenuto. Tabella 3.1 – Stime della dimensione economica delle attività illegali nel sistema foresta-­legno italiano Attività illegale Incendi dolosi e colposi (a) Commercio illegale animali e piante (CITES) Evasione fiscale per vendita irregolare legna da ardere (b) Import legno illegale Evasione fiscale commercio irregolare pallet Evasione fiscale per sovrafatturazione raccolta funghi (c) Totale Valore stimato (M Euro)* 215,6 % su Totale* 15,6-­‐6,2% Fonte AIB, 2008, WWF, 2008 CFS, 2010 3 0,2-­‐0,1% CFS, 2011a 126 -­‐ 176 9,2-­‐5,1% Ns. stime su dati Istat, anni vari 934 -­‐ 2.658 66,7-­‐77,0% ISPRA, 2009 100 -­‐ 396 7,2-­‐11,5% Assoimballaggi, 2006; Fava et al., 2009 1,3 -­‐ 1,7 0,1% Ns. stime su dati Istat, anni vari 1.379,9 – 3.450,3 100% * laddove siano riportati 2 valori, questi sono da intendersi come gli estremi di un intervallo di riferimento. Il primo valore percentuale s’intende calcolato sul corrispondente valore monetario inferiore, mentre il secondo s’intende calcolato sul corrispondente valore monetario superiore. Fonte: Ns. elaborazione. NOTE METODOLOGICHE (a) Si è considerato il 98% della superficie percorsa mediamente da incendi nel corso degli ultimi dieci anni, adottando un costo medio di solo ripristino pari a 5.500 Euro/ha. (b) Si sono assunti come valori di riferimento quelli già ampiamente descritti nel paragrafo 3.2. Si sono assunti consumi interni oscillanti tra 18-­‐22 M t; prelievi interni pari a 3 M t, così come registrati dall'ISTAT; legna proveniente da import e altri fonti interne (scarti lavorazione, recupero, ecc.) pari a 5 M t. In via prudenziale si è assunto che la legna da ardere proveniente da prelievi e fonti interne sia commercializzata in maniera regolare sotto il profilo fiscale, con pieno pagamento dell’IVA. Ne consegue una stima di 10-­‐14 M t di legna commercializzata irregolarmente (cioè “in nero”). Assumendo un prezzo di vendita medio su strada pari a 60 Euro/t si ricava un valore complessivo pari a 600-­‐840 M Euro. Ne deriva che l’IVA evasa è pari a tali valori moltiplicati per l’aliquota del 21%, cioè pari a 126 – 176 M Euro. 32 (c) Si sono assunti come valori di riferimento quelli già riportati nella tabella 1.2. E’ stato calcolato un dato medio relativo al valore della produzione di funghi e tartufi (bianchi e neri) con riferimento agli ultimi quattro anni di disponibilità dei dati (2006-­‐2008). Assumendo un range di evasione dell’IVA compreso tra il 70 e il 90% e adottando un’aliquota IVA del 4% si può stimare l’IVA evasa sia pari al 70-­‐90% del valore medio dei prelievi, moltiplicato per l’aliquota del 4%, cioè pari a 1,3 -­‐ 1,7 M Euro. E’ utile considerare come i dati indicati in tabella 3.1 si riferiscano per lo più a forme di illegalità che in questo rapporto sono state classificate come “dimenticate” o emergenti. Si tratta, in altre parole, di fenomeni che sono in larga misura poco noti o che solo in tempi relativamente recenti hanno cominciato a manifestarsi. Ne conseguono una necessità e un’urgenza ancor più forti in termini di approfondimento degli elementi conoscitivi e, quindi, delle azioni di prevenzione e contrasto. Deve essere infine osservato che i valori indicati sono tutti di carattere finanziario, mentre è lecito supporre che molte delle azioni illegali considerate determinino esternalità negative di ingente portata -­‐ tanto sul piano sociale, quanto su quello ambientale -­‐ così che è possibile affermare che il reale peso economico di tali azioni risulta di sicuro più elevato rispetto ai valori qui riportati. Ciò è particolarmente evidente nel caso degli incendi boschivi, per i quali si è considerato ai fini della stima il solo costo di ricostruzione, senza prendere in considerazione gli impatti in termini di ridotta o compromessa capacità di erogazione di servizi ambientali da parte degli ecosistemi forestali colpiti. 3.3 Alcuni spunti di riflessione Nell’analizzare i possibili fenomeni di illegalità e irregolarità nel settore forestale italiano si riscontra anzitutto un’oggettiva difficoltà di accesso ai dati. Spesso e volentieri, infatti, le informazioni non sono organizzate in maniera organica e non sempre sono reperibili presso fonti ufficiali, acquisendo più spesso la forma di indicazioni informali e segnalazioni ad opera di esperti e operatori del settore. In maniera analoga, non sempre rispetto ai fenomeni esposti esistono linee investigative già attive ad opera delle istituzioni preposte, così che più spesso si rimane nel campo delle segnalazioni recepite ad opera delle stesse. Non di meno, la sostanziale convergenza dei segnali registrati consente di tracciare un quadro che -­‐ pur non riuscendo sempre a scendere al dettaglio più minuto -­‐ descrive un sistema con evidenti e ampie zone grigie o manifestamente sfocianti nell’irregolarità. Un sistema plastico, capace di adeguarsi all’evoluzione dei tempi, come testimoniato dall’emergere di nuove e più recenti forme di illegalità che sembrano assecondare le dinamiche del settore forestale e l’affermarsi di nuovi spazi e opportunità di mercato. Alla luce del quadro appena tracciato, è auspicabile l’adozione di buone prassi in grado di giocare un ruolo di reale ed efficace contrasto tanto dei fenomeni di irregolarità, quanto delle condizioni anomale e distorte che ne favoriscono o assecondano la genesi. Ciò, ad esempio, con riferimento a una maggiore attenzione e trasparenza nella spesa pubblica (investimenti, partecipazioni pubbliche in aziende del settore delle biomasse, gestione degli operai forestali, ecc.), così da orientarla verso soluzioni più responsabili e virtuose, ma anche a una maggiore capacità di organizzazione centralizzata e controllo delle aste pubbliche di vendita del legname, così da limitare fenomeni di riciclaggio e di infiltrazione malavitosa. Maggiori attenzioni meritano anche le norme sulla salute e sicurezza degli operatori forestali, ad esempio incoraggiando più di quanto già non si sia fatto l’adozione di albi e patentini per ditte operanti in bosco e procedure autorizzative ai tagli coordinate tra le Regioni. Tali pratiche, inoltre, dovrebbero essere completate da un severo rafforzamento dei controlli in merito all’attuazione della normativa sul lavoro delle ditte boschive. Maggiore prontezza, poi, dovrebbe essere dimostrata nel recepire e implementare le disposizioni comunitarie in materia forestale, ad esempio con riferimento all’attivazione di un chiaro quadro informativo e di supporto ai fini dell’attuazione del Regolamento 995/2010. 33 Bibliografia Agenzia delle Entrate (2004). L’Agenzia informa 2004. Guida Fiscale per il settore agricolo. Agenzie delle Entrate -­‐ Ufficio Relazioni esterne, Roma. AIB (2008). Il servizio Antincendio Boschivo del Corpo Forestale dello Stato. Campagna AIB 2008. Corpo forestale dello Stato, Roma. AIEL (2009). Il pellet non era radioattivo. Comunicato stampa del 20 ottobre 2009. Associazione Italiana Energie Agroforestali, Legnaro (PD). AIEL (2011). Manifesto per lo sviluppo www.aiel.cia.it/immagini/upload/SGLE_locandina.pdf. sostenibile del settore legno energia. APAT (2003). Le biomasse legnose. Un’indagine sulle potenzialità del settore forestale italiano nell’offerta di fonti di energia. 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