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pp. 18-23

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pp. 18-23
Le awersità
degli alberi da ornamento
Gabriele Goidànich
Concludiamo la panoramica sulle avversità degli alberi da
ornamento, stralciata dall'omonimo Atlante di prossima pubblicazione, presentando alcuni pericolosi insetti fitofagi, gli agenti
delle carie e la problematica dei traumi e delle ferite.
Traumi e ferite
Gli alberi ornamentali sono particolarmente soggetti a traumi e ferite
siano esse provocate dalle operazioni
colturali a cui vanno sottoposti, siano
dovute ad incidenti del traffico
quando collocati lungo le vie di comunicazione od in vicinanza di abitazioni, siano infine dovute ad azioni
vandaliche quali purtroppo si ha
molte occasioni di constatare nei
parchi pubblici e più ancora nelle
piccole aree verdi all'interno di agglomerati cittadini.
Fra le operazioni colturali quella
maggiormente responsabile di lesioni è la potatura, pratica di cui oltre a
tutto è abbastanza facile abusare, ma
che comunque si rende necessaria
per correggere eventuali anormalità
subentrate nella struttura della chioma, per adattare meglio l'albero agli
spazi di cui dispone, per evitare che
esso crei disturbi alla viabilità o sia
causa di danno a cose e persone che
sostino sotto la sua chioma allorché
alterazioni subentrate nei tessuti legnosi rendono precaria la stabilità
dell'albero intero o di parti di esso.
Altro motivo di intervento cesorio
può essere l'opportunità di ringiovanire la chioma in esemplari che per
età e per traversie subite hanno perso
18
!
la prestanza che in condizioni di
normale sviluppo dovrebbero avere.
Anche per facilitare il successo di interventi di prevenzione e di cura
verso infezioni ed infestazioni si può
rendere necessario sfoltire la vegetazione asportando consistenti parti
della ramatura e lasciando, quindi,
ferite aperte.
Lesioni che talvolta compromettono la stessa sopravvivenza dell'albero sono dovute ad eventi metereologici, neve, gelo, venti, fulmini , ecc.
Il carico della neve fa sentire i suoi
effetti dannosi in modo particolare
su alberi che per la loro struttura facilitano l'accumulo o non ne agevolano l'allontanamento al termine
della nevicata. E il caso delle conifere, tanto più di quelle che hanno i
rami lungamente orizzontali e con
fogliame molto fitto che determina
una ampia superficie di impatto della meteora.
Il gelo è causa di lesioni che possono interessare solo gli strati più
periferici degli organi legnosi e, allora, si risolvono in semplici necrosi
superficiali transitorie se non è stato
compromesso il cambio; altrimenti,
nel tempo, si formano depressioni,
cancri, eventualmente accompagnati
da colatura di resina e di gomma.
Quando l'effetto del gelo si fa risentire profondamente fino all'interno degli organi legnosi insorgono
degli spacchi ad andamento Iongitudinale o semicircolare, singoli o concentrici, in corrispondenza delle linee di passaggio dal legno autunnale
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a quello primaverile nelle cerchie
annuali di accrescimento. Gli spacchi longitudinali dipendono dal repentino contrarsi, per effetto dell'abbassamento termico, della corteccia e degli strati periferici del legno i quali vengono così forzati ad
aprirsi un varco per compensare la
costrizione sulla massa legnosa intema che mantiene il volume originario. Tali spacchi si realizzano di
norma negli elementi esposti a sud,
ove è molto accentuato lo sbalzo termico, in atmosfera gelida, al termine
dei periodi di insolazione.
Gli spacchi semicircolari («cipollatura»: termine che vuole indicare
l'aspetto che presenta un bulbo di
cipolla tagliato trasversalmente) dipendono dal più rapido disgelamento degli strati esterni del legno, mentre quelli interni rimangono contratti.
Il vento, se riesce a far superare il
grado di resistenza al piegamento cui
può sottostare il tessuto legnoso, è
causa di spezzatura di rami e di
branche. Gli stessi effetti si hanno
ancor più facilmente in presenza di
gelo, che rende i tessuti fragili ed in
alberi carichi di neve, tanto più
quando questa sia bagnata, cioè carica di acqua e quindi pesante.
L'eccesso di caldo è in grado di
causare «Cancri» a causa del riverbero esercitato da parte di opere in
muratura, piano stradale, argini in
terra battuta, ecc.
Il fulmine, a seconda della direzione di impatto sull'albero e, naturalmente, in rapporto alla consistenza del potenziale elettrico di cui è
dotato, è causa di scortecciamenti, di
squarci, di capitozzature e, perfino,
di frantumazione di interi alberi.
La cura delle ferite si basa sul
principio di facilitare la cicatrizzazione della superficie esposta, in
tempi e modi tali da evitare l'instaurarsi su di esse di processi di alterazione che portino, per azione diretta
od indiretta, alla compromissione
degli elementi interni.
Per raggiungere le finalità indicate
occorre rifilare gli orli delle ferite:
ciò agevola l'attività degli elementi
istologici cambiali che a tali orli si
affacciano, sì da metterli in grado di
compiere rapidamente ed efficacemente la loro azione riparatrice.
Analoga ripulitura va fatta sulle superfici legnose esposte, le quali vanno poi protette, previa disinfezione,
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l) Ferita aperta per carie in un platano.
con le apposite sostanze di cui si dirà.
Tali superfici è bene siano per quanto più possibile asciutte al momento
in cui si procede alla loro copertura,
altrimenti è facile che il materiale a
tal fine usato non faccia presa. In
particolare per certi alberi, come betulle ed aceri, che possono «piangere» dalle lesioni, bisogna fare in modo che questa abbondante perdita di
linfa si arresti (chiudendo provvisoriamente la ferita) e solo dopo procedere alla occlusione definitiva.
In ogni caso e con tutti i sistemi di
disinfezione e di copertura bisogna
far attenzione a non compromettere
la vitalità degli appena ricordati tessuti periferici di rigenerazione alla
cui attività è affidato il recupero dell'integrità dell'organo lesionato.
Come antisettico si può ricorrere
ad una poltiglia bordolese ben neutralizzata o ad una soluzione di solfato di rame (0,5 kg in 15 litri di acqua) od anche di cloruro mercurico
(20 gr in 10 litri di acqua).
Quali materiali ricoprenti servono
bene le resine poliviniliche tipo Vinavi! eventualmente potenziate con
aggiunta di Benomil. Serve del pari
l'asfalto che, però, dovendo essere
applicato a caldo può nuocere ai tessuti vivi; altrimenti si ricorre all'asfalto sciolto in benzina od emulsionato in acqua (con eventuale aggiunta di 2 gr di sublimato corrosivo
ogni litro di emulsione, al fine di
conferire al materiale proprietà antisettiche); oppure il catrame (da solo
o miscelato con creosoto, nella proporzione di 3 parti ed l parte). Da
tener presente che le coperture sia di
asfalto che di catrame facilmente si
spaccano e richiedono ripassi per assicurare la loro efficienza. Utilizzabile anche la pasta bordolese (l ,8 kg
di solfato di rame in 10 litri di acqua,
cui si aggiunge 3,6 kg di calce previamente sciolta in altri 10 litri di
acqua) che si può distribuire a pennellature le quali, peraltro, dovrebbero ripetersi nel tempo dato che la
copertura che ne risulta è poco durevole. Simile è il comportamento di
una pasta ottenuta sciogliendo della
biacca in olio di lino e da distribuire
del pari con pennellature.
Un materiale consigliabile risulta
dalla miscela di 2 parti di lanolina,
allungata con una parte di olio di
semi di lino e con l'aggiunta di una
soluzione di permanganato di potassio (0,25 della miscela lanolina-olio);
il permanganato va prima sciolto in
una piccola quantità di acetone. Bene si prestano anche le cere da innesto che, peraltro, possono risultare
eccessivamente costose quando si
debba intervenire su gran numero di
tagli.
Un prodotto su cui oggi si fa largo
affidamento è il «Lac-balsam» che
ha il pregio di resistere all'acqua e di
permettere la traspirazione e respirazione dei tessuti sottostanti (qualità che manca a molti dei materiali
ricoprenti sopra indicati), di essere
elastico e malleabile e di adattarsi
quindi alle modificazioni della superficie che si possono verificare nel
corso della riparazione. Sono, peraltro, noti ed usati anche il «Pelton», il
«Lego», il «Santar S.M.» (che contiene Captafol).
Assai importante è, però, che in
tutti i casi in cui ciò sia possibile, si
eviti la produzione di ferite, specialmente di quelle di difficile riparazione. Si incominci dalla potatura,
facendo in modo che l'asportazione
delle branche di certe dimensioni
non determini quegli spacchi che per
il tipo di lesione che producono sono
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difficilmente cicatrizzabili. La tecnica cui ricorrere è la seguente: si esegue a breve distanza dalla diramazione un primo taglio che interessa la
metà inferiore della sezione della
branca; ad esso segue un secondo
taglio altrettanto profondo nella
parte superiore. Il peso della branca
provvede allo spontaneo distacco di
questa; altrimenti si opera una leggera pressione verso il basso, ma in
ogni caso la temuta lesione non ha,
non può aver luogo. L'operazione va
poi completata con l'eliminazione
del moncone per evitare che esso sia
possibile insediamento di processi di
alterazione che poi penetrano all'interno. Al di fuori di questo pericolo
l'asportazione dei monconi è una
necessità se si vuole ottenere una
buona cicatrizzazione della ferita :
cicatrizzazione che può riuscire così
perfetta da praticamente farne
scomparire col tempo la traccia.
I tagli - almeno quelli ampi vanno sempre protetti in modo che
non permettano il soffermarsi su di
essi di umidità o detriti di terra e di
foglie : il che costituirebbe minaccia
per il buon esito delle medicazioni
che si fossero fatte anche a regola
d'arte .
Per quanto detto, i tagli in vicinanza delle biforcazioni vanno praticati sempre in prossimità del punto
di divergenza dei due elementi legnosi in modo che venga allontanato
quello che al momento o, col crescere, aumentando di peso, potrebbe
portare allo sbrancamento.
Quando, per qualsiasi motivo, non
appare opportuna l'eliminazione
delle parti dell'albero in pericolo di
sbrancamento, bisogna procedere
alla loro fissazione con legature metalliche o di plastica, di sempre maggior resistenza quanto più elevata è
la forza di leva che - data la sua
grossezza e la dimensione delle ramificazioni periferiche - la parte
interessata è in grado di esercitare sul
punto di attacco.
Per l'esecuzione di questi fissaggi
non vi sono regole precise: qui può
esplicarsi rinventiva e l'abilità dell'operatore. In certi casi, si presenta
più opportuno ricorrere a fasce dotate di anelli per l'ancoramento dei
cavetti metallici che vengono poi
immobilizzati mediante i morsetti ad
U. Tali fasce devono potersi allargare perché altrimenti, col tempo, sono
causa di pericolose strozzature.
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In altri casi converrà l'uso di semplici viti ad occhiello tra cui tendere i
cavi: ciò se il legno ha consistenza
tale da garantire la loro resistenza
alla trazione che eserciterà il cavo di
collegamento, sotto la sollecitazione
che esso riceve dal peso delle parti
collegate. Altrimenti è da ricorrere
ad aste metalliche che attraversino
(dopo aver praticato un foro mediante trapano) lo spessore della
branca e che portino ad una delle
due estremità un anello per l'ancoramento del cavo e dall'altra siano
modo per impedire la sbrancatura di
parti molto pesanti che si intende
conservare, è quello di applicare dei
sostegni, delle staffe di consistenza
tale che sopportino il carico che su di
esse viene ad appoggiare.
Con altrettanta cura vanno evitate
le strozzature che si determinano,
man mano che l'albero cresce, in
corrispondenza delle legature, segnatamente a quelle fatte con materiale molto resistente, fili e cavi metallici in testa. Tali strozzature oltre a
compromettere lo sviluppo delle
3) Esiti di un taglio mal fatto.
2) Copertura con Lac-Balsam e cinghiatura.
~)
debitamente filettate per esser tenute
in sito per mezzo di una madre-vite.
Queste stesse aste metalliche, di
maggiori dimensioni e con entrambe
le estremità avvitabili, sono utilizzabili - singole o a coppie, anche ripetute - per fissare grosse brancature tra loro non molto distanziate;
oppure per rinforzare i tronchi che
minacciano di aprirsi dopo che in
essi si sono determinate ferite profonde con le operazioni di slupatura
o per incidenti metereologici. Altro
parti distali portano, se molto approfondite, alla spezzatura del ramo
con tutte le conseguenze negative
che, direttamente od indirettamente,
sono connesse. Le legature quindi
vanno fatte alquanto larghe; e, comunque, nei punti in cui contrastano
con la corteccia dell'albero vanno
provviste di uno spessore di protezione fatto di tessuto, di gomma, di
materiale plastico.
Altro modo di evitare lesioni agli
alberi ornamentali, e tanto più a
Particolare dei tiranti metallici.
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quelli collocati in luoghi pubblici e
- più particolarmente - in zone
ove si svolge il traffico di mezzi di
trasporto, è di circondare i tronchi di
protezioni, in legno od in metallo,
non importa quale che sia la loro
forma, se rotondeggiante, se quadrata, a liste verticali od orizzontali,
ecc.
Anche quando si tratta dell'apparato radicale si deve cercare di limitare lesioni al minimo indispensabile
in rapporto agli interventi che si
praticano. Una occasione è fornita
ripari rapidamente e completamente.
La carie del legno
È un processo che si riscontra
molto comunemente negli alberi ornamentali di una certa età e che ha
diversi gradi di dannosità in rapporto alla sua localizzazione o all'estensione che ha raggiunto. Praticamente
tutti gli alberi ne vanno soggetti anche se più di frequente lo si constata
5) Stroncatura di un albero per il grave processo di carie in atto . .
dalla necessità di scavare fossi per la
messa in opera di cavi o di condutture o per circoscrivere la zona di
espansione delle radici che disturbano strade, marciapiedi, costruzioni.
Si deve in tali casi studiare un andamento dello scavo in modo da non
interessare grosse radici. Se per forza
di cose a questo non si può rinunciare bisogna ricorrere agli stessi accorgimenti indicati per le parti aeree
(tagli lisci e protetti da materiali cicatrizzanti) per far sì che la lesione
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nei platani, negli ippocastani, negli
olmi e nei tigli.
N ella sua essenza la carie consiste
nella disgregazione dei tessuti operata da organismi fungini appartenenti a vari generi (Fomes, Poria,
Lenzites, Coriolus, Polyporus, Phellinus, Daedalea, Ganoderma, ecc.), i
quali grazie alla carica di enzimi di
cui sono dotati riescono ad aggredire
i componenti delle cellule trasformandole in un materiale che spesso
viene a perdere qualsiasi somiglian-
za con quel~o da cui è derivato.
Nei suoi termini finali i processi di
carie riducono, infatti, il legno in una
sostanza friabile che riempie le cavità prodottesi nei tronchi o nelle
branche degli alberi od in qualche
maniera ne fuoriesce accumulandosi
nel terreno sottostante.
Prima di raggiungere questo limite
di trasformazione il legno si presenta
variamente alterato, in modo da assumere aspetti di «carie bianca» ,
«Carie bruna», «C. lamellare», «C. alveolare» , «C. fibrosa» , eçc ... Le prime
due definizioni sono in rapportb al
tipo di componenti che gli agenti
fungini aggrediscono e quindi digeriscono con preferenza: se si tratta di
quelli cellulosici, fondamentalmente
bianchi, ne risulta la carie bruna; al
contrario si ha carie bianca quando
le preferenze dei miceti sono per i
componenti ligninici, scuri, le cosiddette «Sostanze incrostanti» delle
pareti cellulosiche del legno. Gli altri
termini indicano l'aspetto macroscopico dei tessuti cariati, indipendentemente dalle loro caratteristiche
cromatiche.
Il processo di carie ha come prima
conseguenza ·dannosa la perdita delle funzioni meccaniche da parte del
legno compromesso, per cui è fàcile
che si verifichino rotture di varia rilevanza negli organi aerei periferici e
spaccature o cadute di alberi interi.
Alcuni degli agenti di carie ricordati, dopo aver alterato gli elementi
del cilindro centrale, morti, sonb in
grado di invadere anche i tessuti più
esterni che sono invece vitali ed, in
tal maniera, compromettere la sopravvivenza dell'albero. Ciò avviene
segnatamente per quei funghi che
sono capaci di insediarsi in alberi indenni, contrariamente a quanto è per
i tipici agenti di carie che richiedono
la presenza di ferite, di soluzioni di
continuità di qualsiasi tipo per poter
iniziare la loro opera di distruzione .
La eliminazione della carie e gli
interventi da compiere sugli alberi
cariati è il banco di prova delle capacità degli addetti alla salvaguardia
del verde ornamentale. Le tecniche
cui ricorrere sono molte e assai differenti a seconda degli scopi che si
vogliono raggiungere.
Qualsiasi manuale che tratti il ca~
pitolo della «dendrochirurgia» ne fa
menzione e descrizione. In sostanza
si tratta di allontanare tutto il materiale legnoso alterato arrivando, con
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arnesi ben affilati, a mettere a nudo il
legno indenne («Slupatura») che va
poi protetto da possibili successivi
attacchi da parte dei medesimi-od
altri funghi xilovori, sia disinfettando la superficie, sia facendo in modo
che l'ambiente in cui i miceti cariogeni si vengono poi a trovare non
risulti favorevole al loro sviluppo:
quindi chiusura delle aperture da cui
potrebbero penetrare nuovi germi o
materiali che li ospitano ed, assieme,
drenaggio delle cavità affinché non
si soffermi acqua.
Più problematica è la restituzione
della solidità, della funzione meccanica ai tronchi cariati: l'impiego di
materiali pesanti più che favorire la
resistenza può aggravare l'instabilità
dell'albero ed il ricorso a sostanze
occludenti non facilmente rimovibili
rende difficoltose le ispezioni per
controllare lo «Stato di salute>> delle
cavità e l'esecuzione di eventualmente necessari interventi di ulteriore «Slupatura».
Per lungo tempo si è ricorso al cemento per le cavità relativamente
piccole, mentre per le più ampie a
vere e proprie opere di muratura
usando mattoni di varie dimensioni
al fine di occupare tutto lo spazio
disponibile. I mattoni venivano tenuti in sito con calce ed il tutto era
poi ricoperto con la medesima calce
o con cemento. Si cadeva qui nell'inconveniente, prima indicato, della pesantezza della <<Otturazione>> e
se il residuo legnoso che circondava
la cavità era di limitato spessore o
comunque non molto resistente poteva esser resa precaria la stabilità
del tronco «operatO>> sotto, ad esempio, la spinta generata da colpi di
vento o per la tensione esercitata da
una squilibratura della chioma. Va
aggiunto che il materiale di cui s'è
parlato è facilmente soggetto a spaccature specie se la cavità subisce deformazioni a seguito di urti o nel
corso dell'accrescimento dell'albero.
Meno pregiudizievole è l'impiego di
materiale leggero, quali blocchi di
legno inalterabile (per natura o per
trattamenti ad hoc subiti), anch'essi
disposti in modo da riempire quanto
più possibile i vuoti interni e tra loro
collegati mediante incastri o inchiodature. Più leggere di tutti gli occludenti sono le resine uretaniche : trattasi di preparati liquidi che si consolidano al momento che si mescolano
fra loro : ne risulta una massa di no22
tevole resistenza anche alle sollecitazioni da deformazione e che per il
modo con cui si forma riesce ad occupare tutti, anche i più irregolari,
spazi della cavità. Il loro impiego,
peraltro, richiede una abilità dell'operatore e certe condizioni ambientali, specie termiche, perché la solidificaziorie avvenga regolarmente.
L'asfalto è pure risultato un buon
materiale di riempimento per piccole
cavità, anche se può rammollirsi nei
periodi di forte caldo. Più che asfalto
puro è indicato un impasto che si
ottiene aggiungendo della segatura o
piccoli truccioli di legno duro all'asfalto fatto liquefare.
Tutto sommato la migliore risoluzione è, insomma, quella di non
procedere alla otturazione delle cavità. Ciò specialmente quando il
processo di carie è di limitata portata
sì che la stabilità dell'albero non è
compromessa o quando si teme che
l'operazione di slupatura non sia
riuscita ad eliminare completamente
il processo di alterazione in atto.
Una soluzione intermedia a quelle
delineate è la messa in opera di una
parete mobile che nasconda alla vista la cavità, qualora questa sembri,
data la localizzazione dell'albero,
troppo antiestetica.
Con cavità aperta o chiusa può
apparire necessario il rafforzamento
delle pareti che la delimitano: ciò si
raggiunge con la collocazione di aste
metalliche o con l'apposizione di
collari metallici o di materiale plastico (comunque, nel tempo, allentabili) collocati in varie posizioni: dopo che, naturalmente, la cavità erano
state ripulite, disinfettate e protette
in superficie nei modi prima indicati.
Con ogni soluzione è altresì necessario, abbiamo già ricordato, impedire le infiltrazioni di acqua ed
assicurare il drenaggio, debitamente
schermando (non sigillando), le
aperture per la prima finalità, procedendo a fori di scarico per la seconda.
La saperda maggiore
del pioppo
Tutti i tipi di pioppo sono soggetti
all'attacco di questo insetto cerambicide, le cui grosse larve scavano
gallerie nei tessuti legnosi compromettendone in modo anche gravissimo la qualità e minacciando la so-
pravvivenza stessa della pianta se
l'infestazione è forte ed il pioppo è
giovane o indebolito per varie cause.
L'insetto (Saperda carcharias) è un
coleottero molto vistoso per le sue
dimensioni e per le ampie antenne
che ne coronano il capo. È lungo dai
2,5 ai 3 cm, di un color bruno-nero,
rivestito peraltro da una peluria che
gli conferisce un riflesso giallo-cinereo-rossiccio.
Lo si trova in giugno-luglio fra i
fogliami degli alberi (oltre che del
pioppo, anche del salice) ove si accoppia e procede poco dopo a deporre le uova tra la corteccia delle
parti inferiori del tronco. Le larve
che ne nascono, dopo aver svernato
tra la corteccia, si pòrtano nel legno
ove scavano gallerie ascendenti che
divengono sempre più grosse man
mano che la larva cresce d'età. Essa,
a completo sviluppo è lunga 30-40
mm, larga 6-7 ; di color bianco-rossiccio con grossi peli pure qi questo
colore; rossiccio è anche il piccolo
capo, dotato di antenne molto corte.
La larva continua la sua attività xilovora per tutto l'anno, passa nelle
gallerie il secondo inverno e fuoriesce all'inizio dell'estate successiva.
La presenza delle gallerie all'interno dei tronchi è rilevabile anche
dall'esterno per la presenza dei fori
attraverso i quali vengono espulse
notevoli quantità di rosura (l'altra
rimane ad ingombrare il lume delle
gallerie) assieme a colature di linfa
che rigano vistosamente la superficie
del tronco.
I tronchi; in più, possono apparire
deformati a causa di reazioni ipertrofiche che si producono attorno alle zone maggiormente tormentate
dalle gallerie.
I danni della saperda posscmo essere aggravati dal contemporaneo
attacco di altri xilovori quali la Sesia
apiforme o la S. tafaniforme (lepidotteri molto caratteristici per avere
le ali in larga parte trasparenti e
l'addome percorso trasversalmente
da fasce di un giallo vivace) e, specialmente, il Cossus.
Per la lotta anche qui si può ricorrere, come per il Cossus, alla insinuazione di un filo di ferro dolce,
attraverso i fori , nelle gallerie fino a
che queste non sono molto sviluppate e la rosura che le ingombra non
impedisca di raggiungere e ferire la
larva. Oppure si interviene con i fuscelli antitarlo e con la immissicme,
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tramite appositi iniettori, di sostanze
liquide o gassose che si spandono nei
meandri operati dalle larve.
Sono operazioni piuttosto labori.ose, ma che sugli alberi ornamentali hanno la loro giustificazione
d'applicabilità.
Altrimenti negli impianti estesi e
dove si verifichino infestazioni gravi
vanno praticate in primavera (aprile-maggio) pennellature alle parti
inferiori dei tronchi con emulsioni di
parathion al 3-4 di p.a., capaci di
colpire le larve non ancora penetrate
S. maggiore e che si può perseguire
ton analoghi criteri. Anche qui notevoli sono le reazioni ipertrofiche
degli organi legnosi infestati.
Entrambe le Saperde possono iniziare i loro attacchi fino dal vivaio, sì
che è bene controllare, prima dell'impianto, che i giovani pioppi non
ne siano colpiti.
Abbastanza frequenti, specialmente sui vecchi alberi malandati,
sono diversi altri Cerambicidi che si
fanno subito riconoscere sia per le
grosse dimensioni che, più ancora,
6) Saperda maggiore.
7) Galerucella luteola.
in profondità. Consigliati sono anche
i trattamenti, alla stessa epoca, con
Parathion, Metil-parathion (100 gr
di p.a. per hl di acqua), Triclorfon
(Dipterex) e Fentoato (Cydial) alle
dosi di 300 gr di p.a. per hl.
Tali trattamenti, comunque, non
sono necessari nel primo anno dell'impianto. Interesse vi è più che altro ad intervenire nel 2°-4° anno irrorando i primi metri inferiori del
fusto: ciò avrà benefica influenza
sugli attacchi che l'insetto potrebbe
produrre, negli anni venienti, nelle
parti superiori del tronco irraggiungibili dagli irroratori.
Meno dannosa e meno frequente è
Saperda minore (Saperda populnea)
che colpisce specialmente il Populus
tremula. Come dice il nome è un insetto di dimensioni alquanto più
piccole (lungo 9-15 mm), che ha
comportamento simile a quella della
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!
8) Phytodecta viminalis.
per le lunghe antenne divaricate ed
arcuate. Anche le relative larve sono
di assai notevoli dimensioni e producono gallerie profondamente incidenti sulla compattezza dei tronchi: tanto più quando, come non di
rado avvie.Q.e, agiscono numerose in
una stessa sede.
La Galerucella dell'olmo
È un coleottero crisomelide che
allo stato adulto, ma specialmente a
quello di larva si nutre delle foglie di
olmo le cui lamine rimangono in
larga parte o totalmente scheletrite,
pur mantenendo almeno all'inizio la
loro forma originale: l'erosione operata dall'insetto lascia infatti intatte
le nervature e l'epidermide superiore
del lembo. L'adulto è lungo sui 6-8
mm, di un color giallo cupo-verdastro, con tre macchie nere sul corsaletto e due fasce del medesimo colore
verso il margine esterno delle elitre.
La larva, che subisce diverse mute,
inizialmente nerastra poi con varie
maculature gialle, quando adulta
misura sui 9 mm di lunghezza e 2,5 dì
larghezza.
La Galerucella luteola sverna come
insetto perfetto riparato fra le cortecce e le cavità degli alberi o sul
terreno in vicinanza di questi. In
primavera, dopo essersi nutrita delle
foglie sulle quali pratica delle erosioni irregolarmente rotondeggianti
(sostanzialmente differenti da quelle
!arvali), deposita gruppi di uova
gialle da cui nascono le larve che in
un paio di settimane sono mature, si
trasformano in ninfe da cui derivano, dopo 7-10 giorni di quiescenza, i
nuovi adulti che ripetono il ciclo.
Se, come non di rado avviene,
l'infestazione prende proporzioni
massicce .tanto da praticamente privare l'albero di tutto l'apparato verde, l'olmo può andare soggetto a serie crisi di vitalità che, fra l'altro, lo
rendono sensibile ad un contemporaneo o successivo attacco di altri fitofagi o a malattie dell'apparato aereo e di quello sotterraneo.
Diversi altri Crisomelidi che hanno biologia ed attività fitofaga simile
alla Galerucella, si riscontrano sulle
alberature dei viali e dei parchi cittadini. Tra questi sono da ricordare
la Crisomela del pioppo (Melasoma
pupuli), la Crisomela del salice (C.
saliceti), il Melasoma aeneum che
può danneggiare gli ontani, la Phillodecta vitel/inae e la Phytodecta viminalis che si nutrono dei salici,
quest'ultima delle alberature in zone
montane.
D
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