con il contributo di Ascanio Celestini, Chiara Saraceno e Nadia
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con il contributo di Ascanio Celestini, Chiara Saraceno e Nadia
23 APRILE 2016 NUMERO 17 | SETTIMANALE € 2,50 60017 9 771594 123000 con il contributo di Ascanio Celestini, Chiara Saraceno e Nadia Urbinati BioBottle Sant’Anna. Per il benessere di mamme e bambini. * Dai vegetali nasce la prima bottiglia al mondo biodegradabile . Senza una sola goccia di petrolio. www.santanna.it santannasanthe *Tutti i dettagli sul sito. Il tappo è in PE e deve essere conferito nella raccolta differenziata della plastica. ONDA PAZZA di MAURO BIANI 23 aprile 2016 3 SOMMARIO DEL NUMERO 17 - 23 APRILE 2016 Numero difficile, perché quando tutti vincono - i rederendari con 15 milioni di voti, gli astensionisti che hanno impedito il quorum - non vince la verità. Chiara Saraceno ce lo racconta, il referendum No Triv, a modo suo. Nadia Urbinati spiega che, vi piaccia o no, questo era solo l’antipasto della madre di tutta le battaglie, il referendum costituzionale, per il quale Renzi si gioca il collo. E così facendo evita che se ne parli nel merito. Vecchia tecnica. Insomma ci chiedono di seppellire la Costituzione nata dalla Resistenza. Talmente grossa che Vauro, in copertina, scrive “Non ci arRenziamo”. Ascanio Celestini, invece, racconta le sue conversazioni con Andrea Camilleri. E quando gli parlò di un paesino delle colline metallifere dove, ammazzati dai nazifascisti, finirono gli operai che difendevano le miniere. Oggi non ti ammazzano col plotone e i fucili puntati ma muori di lavoro, muori di mancate protezioni, muori perché il denaro è re e il lavoro sembra tornato solo una variabile dipendente. Una goccia di sangue ci salverà? Può darsi, ci spiega Pietro Greco. Pare che nel sangue siano marcati i segni del tumore che arriva. Controllare, prevenire, curare. Ma quanto costa e quando? Poi, dai, Left è anche da leggere, parliamo di supereroi, prima e intorno a Lo chiamavano Jeeg robot, che ha vinto 7 premi al David di Donatello. Damasco com’è, cosa si dice in Egitto su the young italian man, il nostro Giulio Regeni, e Giulio Cavalli che indaga sull’eredità di Gianroberto Casaleggio: c.m. come cambieranno i 5 stelle? 03 ONDA PAZZA di Mauro Biani 05 IL COMMENTO di Ilaria Bonaccorsi 06 LETTERE 07 PICCOLE RIVOLUZIONI di Paolo Cacciari 07 IL NUMERO 07 LA DATA PRIMO PIANO 20 SOCIETÀ 26 L’eredità di Casaleggio: un ottimista in rete di Giulio Cavalli Bologna, la sfida a sinistra di Edoardo Barbi Se l’Austria alza il muro di Giacomo Zandonini 26 29 32 ESTERI 36 Cittadini del mondo allo Student Hotel di Giorgia Furlan 36 Quel prezzo troppo alto per il Sì di Erdogan di Uski Audino 40 The young italian man, Giulio Regeni di Michela AG Iaccarino 42 New York ha parlato di Corradino Mineo 44 CULTURA E SCIENZA 54 07 UP&DOWN 08 FOTONOTIZIE 12 PARERI di Paolo Guerrieri 34 VAURANDOM di Vauro Senesi 36 PARERI di Vito Laterza 60 LIBRI di Filippo La Porta 60 TEATRO di Massimo Marino 4 La Costituzione imposta che dividerà i cittadini di Nadia Urbinati 12 Numeri, trivelle e proclami di vittoria di Luca Sappino 16 Ho votato e non pensavo a Renzi! di Chiara Saraceno 18 Resistenza ed etica del lavoro di Ascanio Celestini 20 Santa Libera dei Ribelli: partigiani dopo la Resistenza di Raffaele Lupoli 23 23 aprile 2016 Una goccia di sangue contro il cancro di Pietro Greco 48 La scrittrice Suad Amiry racconta Damasco di Simona Maggiorelli 51 Niccolò Fabi: Libertà è consapevolezza di Tiziana Barillà 54 Noi italiani da sempre supereroi di Francesco Gatti 56 Martinelli: Teatro, arte e vita 58 di Donatella Coccoli 61 ARTE di Simona Maggiorelli 62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli 62 TELEDICO di Giorgia Furlan 63 APPUNTAMENTI 64 TRASFORMAZIONE di Massimo Fagioli 66 IN FONDO A SINISTRA di Fabio Magnasciutti IL COMMENTO di Ilaria Bonaccorsi LA “TROPPA DEMOCRAZIA” E L’ARTE DI TENDERE LA STORIA Referendum e Costituzione, Costituzione e Resistenza. Resistenza e democrazia. E, persino, vita e Resistenza. Volevamo mettere insieme tutto questo. Per il 17 aprile scorso, per il 25 prossimo e per l’ottobre che verrà. Settimana difficile questa, al solito. Ma per quelle facili non è tempo. Perché resistere oggi non vuol dire difendere la libertà, ci racconta Ascanio Celestini, ma il lavoro. Persino dalla morte. Quella fisica. Come a Taranto. Lavorare e morire insieme. Come un tempo a Niccioleta. Lo leggerete. La Resistenza del Terzo millennio vuol dire riuscire a “tenersi” un lavoro anche se fa morire te e i tuoi cari. Vuol dire resistere “in vita”. Come non sono riusciti a fare quei 400 in mare. E vuol dire anche resistere, come scrive Nadia Urbinati, a quelli che impegnati “a fare” ti chiedono di non rompere troppo le scatole. Di non chiedere troppo, di non volere troppo. Semmai la vita, quella fisica. Per il resto c’è tempo. E ci pensano loro, perché loro “fanno”: «Ciascuno faccia il proprio lavoro, noi “facciamo” e governiamo e voi “fate” i vostri interessi e lavorate; è sufficiente che voi designiate con il voto ogni cinque anni una classe di politici, ed è desiderabile che rompiate poco le scatole tra un’elezione e l’altra e per questo, che il vostro vociare venga ben filtrato e tenuto in sordina. Noi penseremo al vostro bene, noi sbloccheremo il Paese - voi fidatevi e lasciateci governare», così leggerete su Left di questa settimana. “Si prega di non pensare”, sembra ci dicano i nostri governanti. Resistenza, vita e lavoro nello scritto di Celestini. Resistenza rifiuto e amore per la “troppa democrazia” in quello della Urbinati. Per Left è impossibile “non pensare”. Siamo come i partigiani di Santa Libera che si ribellarono a Togliatti, di cui scrive Raffaele Lupoli. Utopici e irragionevoli, non riusciamo a non pensare. Qualche giorno fa qualcuno ci scriveva irridendo la parola “democrazia”, che valore ha la democrazia dunque? Ecco, per noi ne ha uno grande. Immenso. Non è tempo per scherzare. Con la democrazia. Non è tempo per non capire che solo lei è garante di uguaglianza e libertà, ed è garante di vita per una Sinistra che è venuta e troverà anche rappresentanza politica. Perché, come scrive sempre la Urbinati, questo governo con questa riforma costituzionale sembra voglia portare «a compimento l’idea della Trilaterale che nel 1975 lanciò il progetto di domare i movimenti di critica e di contestazione, accusati di destabilizzare i governi con le loro richieste di giustizia sociale e le lotte per i diritti civili. Come scriveva Samuel Huntington nel documento della Trilaterale che si intitolava La crisi della democrazia (“crisi” perché vi erano troppo attivismo dei cittadini e troppe richieste della società) i cittadini vogliono sapere troppo, anche ciò che è prudente che solo i governi sappiano. La troppa democrazia è stato il costante problema dei conservatori a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale - e la lotta per cambiare le democrazie parlamentari è parte di questo progetto». La “troppa democrazia” è stato il costante problema dei conservatori. Anche dei nostri “giovani” conservatori di potere (e non di democrazia), perché nel disprezzo del «ciaone» di Carbone non c’è “troppa democrazia”. Nella definizione di «referendum bufala» di Renzi non c’è “troppa democrazia”. Come anche nell’invito all’astensionismo di Napolitano non c’è “troppa democrazia”. Mentre nello scritto che ci ha inviato nella notte Chiara Saraceno, chiedendoci se ci interessasse pubblicarlo, sì, c’è troppa democrazia. «Non mi indigno quindi per il fallimento del referendum ad opera dei non votanti. Mi indigno che Renzi (con il sostegno, ahimé, di Napolitano) abbia dichiarato stupido, vittima di una bufala, chi è andato a votare nel merito e populista chi lo ha incoraggiato a farlo. Non è un messaggio destinato a rafforzare la fiducia dei cittadini verso la politica e le istituzioni e a incoraggiare la cittadinanza attiva». Si impone, arrivati a questo punto, un nostro “ciaone”, ideale e gentile, alla ganga governante, dobbiamo fare davvero troppe cose in questi mesi. E ve le dobbiamo raccontare tutte. Resistere, per Left, vorrà dire esercitare «l’arte di tendere la Storia», come ci racconta Pino Tripodi a pagina 25. Perché il tempo per noi è prezioso. Non è denaro. 23 aprile 2016 5 Lettere DIRETTORE Corradino Mineo [email protected] VICE DIRETTORE RESPONSABILE Ilaria Bonaccorsi [email protected] REDAZIONE Una poesia di Baudelaire per il mare dopo la delusione del referendum Tiziana Barillà [email protected] Donatella Coccoli [email protected] Ilaria Giupponi [email protected] Raffaele Lupoli [email protected] Simona Maggiorelli [email protected] Luca Sappino [email protected] TEAM WEB Martino Mazzonis [email protected] Giorgia Furlan [email protected] GRAFICA Alessio Melandri (Art director) [email protected] Antonio Sileo (Illustrazioni) Monica Di Brigida (Photoeditor) [email protected] Progetto grafico: CatoniAssociati EDITORIALENOVANTA SRL Società Unipersonale c.f. 12865661008 Via Ludovico di Savoia 2/B 00185 - Roma tel. 06 91501100 [email protected] Amministratore delegato: Giorgio Poidomani REDAZIONE Via Ludovico di Savoia, 2B - 00185 - Roma tel. 06 91501239 - [email protected] PUBBLICITÀ Federico Venditti tel. 06 91501245 - [email protected] ABBONAMENTI Dal lunedì al venerdì, ore 9/18 [email protected] STAMPA Nuovo Istituto Italiano d’Arti Grafiche S.p.a. Via Zanica, 92 - Bergamo Coordinamento Esterno: Alberto Isaia [email protected] DISTRIBUZIONE Press Di Distribuzione Stampa Multimedia Srl 20090 Segrate (Mi) Registrazione al Tribunale di Roma n. 357/1988 del 13/6/1988 Iscrizione al Roc n. 25400 del 12/03/2015 QUESTA TESTATA NON FRUISCE DI CONTRIBUTI STATALI Copertina: Vauro Senesi CHIUSO IN REDAZIONE IL 19 APRILE 2016 ALLE ORE 21 6 Tanti sono i poeti che, con rime struggenti, si ispirano a lui. Tanti sono i pittori che, con impetuose pennellate, gettano i suoi mutevoli colori su tele vuote... la storia dell’arte è colma di lui. Fogli e fogli di pentagrammi sono fitti di note marine. Anche il fotografo più inesperto, non perde occasione per cogliere scatti che sa che gli rimarranno nel cuore. È compagno ideale delle nostre agognate vacanze, e le sue lunghe battigie sono sempre lì, disponibili, per le nostre passeggiate. Quante volte, lui, è stato galeotto supremo di baci rubati, di amori appassionati, di cuori infranti. I bambini, spensierati nella loro essenza così pura, semplice, spontanea, giocano con lui perché sanno di potersi fidare. Non ne hanno paura. Forse risulterò troppo rigorosa e più poetica che politica dinanzi a questo argomento, ma voglio dire quello che sento e penso. Tutto questo lo scrivo perché sono indignata e delusa di fronte al flop referendario, di fronte a quegli italiani “ignoranti” che non hanno avuto coraggio e passione di andare a votare, creando così anche un flop economico. Si, perché i referendum costano alle tasche del nostro Bel Paese già abbastanza maltrattato. Li invito, così, a leggere questa poesia di Charles Baudelaire perché, forse, il mare, non lo amano poi così tanto! «Uomo libero, sempre amerai il mare! Il mare è il tuo specchio, tu contempli la tua anima nell’infinito muoversi della sua onda, e il tuo spirito non è un abisso meno amaro. Ami tuffarti in seno alla tua immagine. L’abbracci con lo sguardo, con le braccia, e con il cuore a volte distratto dal proprio battito al rumore di questa distesa indomabile e selvaggia. Siete tutti e due tenebrosi e discreti. Uomo, nessuno ha mai sondato il fondo dei tuoi abissi! Oh mare, nessuno ha conosciuto le tue intime ricchezze, tanto siete gelosi di custodire i vostri segreti! Eppure ecco che vi combattete da secoli 23 aprile 2016 [email protected] immemorabili, che vi combattete senza pietà nè rimorso, talmente amate la carneficina e la morte, o lottatori eterni, o fratelli implacabili!» (Charles Baudelaire, “L’uomo e il mare”) Silvia Verzilli Confindustria Sicilia e la separazione dal passato A proposito dell’articolo “L’antimafia degli affari tutta chiacchiere e distintivo” pubblicato su Left del 26 marzo, riceviamo da Confindustria Sicilia Dal 2004 Confindustria Sicilia, partendo da Caltanissetta, allora guidata da Antonello Montante, ha segnato una netta linea di demarcazione con il passato, buttando fuori dall’associazione alcuni potentissimi colleghi, imprenditori che avevano rivestito ruoli apicali negli organi associativi regionali e che, come hanno sottolineato alti magistrati in occasioni pubbliche, grazie al metodo mafioso e a protezioni politiche, avevano creato un sistema di potere di portata regionale se non nazionale. Tale rigenerazione non è stata frutto di un pacifico e indolore processo democratico, ma l’esito di un vero e proprio braccio di ferro… A chi giova, dunque, infangare e distruggere ciò che Montante e Confindustria Sicilia hanno fatto in questi anni? A chi giova confondere le acque rendendole torbide? È risaputo che la mafia agisce in due modi: uccide o si vendica screditando, “mascariando”. Nessuna voglia di “infangare” né di “mascariare”, resta che Antonello Montante è sotto indagine per concorso esterno con la mafia, che Ivanhoe Lo Bello è indagato per una “associazione a delinquere” che avrebbe costituito insieme ad alcuni protagonisti dello scandalo Guidi-Gemelli. Certo, ogni indagato è da considerarsi innocente fino all’eventuale condanna. Ma il dovere dell’informazione è di non tacere e non presumere che i magistrati siano mossi da intenti reconditi o inconfessabili. c.m. PICCOLE RIVOLUZIONI di PAOLO CACCIARI © Arcaini, Angelo Carconi/Ansa QUANTI FICHI E CHE MERAVIGLIE NEL GIARDINO DI POMONA A Cisternino, nel cuore della Valle d’Itria, è sorto un conservatorio botanico a pieno campo che è assieme un centro di studi scientifici, un laboratorio didattico, un centro culturale, un museo etnografico, un’arca di dieci ettari per cultivar antiche e rare. Si chiama I giardini di Pomona, in onore della dea romana dei frutti. È una Onlus (www.igiardinidipomona.it), fa parte dell’associazione nazionale per la valorizzazione della biodiversità, della Rete delle masserie didattiche della Puglia e della Rete mediterranea delle città del fico. L’ha creata più di dieci anni fa Paolo Belloni, un ricercatore del Nord che si è trasferito qui per trovare un sito idoneo per la sua missione: salvare il patrimonio genetico delle specie coltivabili eroso dalla perdita di fertilità dei suoli, dalla salinizzazione delle falde, dall’impoverimento microbiologico, dalla chimicizzazione dell’agricoltura industriale, oltre che dalla perdita di cultura contadina. Vorrei che immaginaste cosa sono in questi giorni di primavera I giardini di Pomona. Colori, profumi, fragranze, canti di uccelli e insetti che si sprigionano da oltre 1.000 varietà di piante fruttifere arboree messe a dimora. Una, fra tutte, è la più amata da Belloni: Ficus carica (il fico), perché - mi dice - «oltre a produrre un frutto squisito, è la pianta più parsimoniosa e generosa che ci sia». La sua collezione ha raggiunto le 560 varietà di fichi afgani, bosniaci, francesi, portoghesi, albanesi, israeliani e naturalmente italiani. Si tratta di una delle più importanti raccolte del mondo. Assieme a colleghi in Francia, Danimarca, Malesia ne studia i comportamenti in condizioni diverse. Il fico è un piccolo scrigno di tesori di elementi organolettici utili all’alimentazione e alla salute. Contiene più potassio delle banane, più vitamina A dei kiwi, più fibre, calcio e minerali vari. Soprattutto, l’albero è rustico, resistente ai cambiamenti climatici, ai venti salini, cresce nei terreni pietrosi, non ha necessità di essere impollinato dalle api, è facile da riprodurre. Quando l’essere umano avrà distrutto ogni forma di vita intorno a sé, il fico (anche essiccato e conservato) ci salverà. Ma a Pomona c’è anche una collezione del melograno (Punica granatum), una di melo e pero, una di agrumi protetti da muretti a secco. Sta prendendo corpo un progetto di Foresta alimentare in aridocoltura (peramcoltura in condizioni estreme). I giardini di Pomona sono meta di visite guidate e attività pratiche delle scuole e di visitatori che possono così vedere una sorta di catalogo delle buone pratiche e delle tecnologie attualmente disponibili per la conservazione della vita sul pianeta. Per questo al centro di un labirinto di lavanda è stato messo a dimora un simbolo universale della pace: il cachi di Nagasaki, figlio di una piantina scampata alla bomba e ritrovata fra le macerie. Era il 9 agosto del 1945. LA DATA IL NUMERO 26 aprile 1986 28% Nella centrale nucleare di Chernobyl, nell’Ucraina settentrionale, all’1 e 23 si verifica una violenta esplosione nel reattore nr. 4. Da qui l’incendio e l’immissione nell’aria di materiale radioattivo che contaminò i terreni e che provocò l’evacuazione di oltre 300mila abitanti. Il rapporto del Chernobyl Forum conta 65 morti accertati e più di 4.000 casi di tumore della tiroide fra quelli che avevano fra 0 e 18 anni al tempo del disastro. Secondo Greenpeace la stima in 70 anni è molto più grave: 6 milioni di vittime. I Verdi europei hanno calcolato invece una stima tra le 30 e 60mila morti presunte. È la percentuale degli italiani che riesce a leggere solo frasi brevi o singole parole ma non un libro o un testo complesso. Sono i risultati dello studio Adults skills in Focus pubblicato dall’Ocse-Piaac e che analizza persone dai 16 ai 65 anni con dati che risalgono al 2013. Mentre l’analfabetismo totale è scomparso, rimane una fetta di popolazione vittima del cosiddetto analfabetismo di ritorno. Un fenomeno che molti anni fa già denunciava il linguista Tullio De Mauro e che a quanto pare è ancora molto presente in un Paese in cui non si investe in formazione continua. UP DOWN Ranieri eroe del Leicester Bertinotti testimonial di Cl C’è un italiano che in Gran Bretagna è l’uomo dell’anno. È Claudio Ranieri, 64 anni, allenatore del Leicester, una squadra “non miliardaria”, che lottava per non retrocedere e che adesso si trova a + 5 in classifica. Non sarà facile arrivare alla vittoria, ma Ranieri, bistrattato dalle squadre italiane come l’Inter o la Roma si sta prendendo la sua rivincita. Ha creato un ottimo rapporto con la squadra e ne va fiero. «I giocatori hanno il mio stesso temperamento, credono che nella vita il carattere, la tenacia, l’umiltà siano molto, quasi tutto», ha detto in una intervista a la Repubblica. Lui la gramsciana (!) «connessione sentimentale» con il popolo l’ha trovata. L’ha ritrovata, per la precisione, l’anno scorso al Meeting di Comunione e liberazione. Così come è rimasto colpito dalla «capacità di prevedere il futuro» di don Giussani ieri e di don Carròn oggi, leader spirituali di Cl. Lui è Fausto Bertinotti, segretario di Rifondazione comunista dal 1994 al 2006 e per qualche anno, personaggio politico che aveva incarnato le speranze della Sinistra. La quale però, secondo Bertinotti, politicamente adesso «è morta». La dimostrazione è che lui va in tour col libro di Julian Carròn? 23 aprile 2016 7 FOTO NOTIZIA SIRIA RITORNO A PALMIRA CON QUEL CHE RESTA 14 aprile 2016. Tappeti, qualche coperta, un frigorifero. Una famiglia siriana torna là dove c’era la sua casa per recuperare i ricordi di una vita. Alle loro spalle, la cittadella di Palmira, nella provincia centrale di Homs in Siria. Dall’inizio della guerra in Siria, nel 2011, la storica cittadella di Palmira ha subito molte distruzioni: il tempio di Baalshamin risalente al II secolo a.C. e anticamente adibito al culto del dio Mercurio, il tempio di Bel, uno dei più importanti edifici del sito archeologico siriano dedicato al dio Bel, l’equivalente del dio Zeus per i greci e Giove per i romani, risalente al I secolo a.C. Secondo il quotidiano britannico The Independent, i reperti delle rovine sono già in vendita sul mercato nero internazionale. Il 27 marzo l’esercito regolare siriano ha annunciato la riconquista di Palmira e del suo sito archeologico, che dal 21 maggio 2015 erano nelle mani dell’Is. Foto di Hassan Ammar, AP Photo PARERI ECONOMIA di Paolo Guerrieri L’alternativa economica al “ristagno secolare” L a crescita dell’economia mondiale continua, ma la sua dinamica già modesta potrebbe affievolirsi ulteriormente a causa di una serie di rischi crescenti, di natura reale e finanziaria, che minacciano da vicino Paesi avanzati e Paesi emergenti. Questo è il messaggio, tutt’altro che rassicurante, emerso dai Rapporti e dagli incontri del Fmi e della Banca mondiale svoltisi la scorsa settimana a Washington. Il risultato è che circa 44 milioni di cittadini sono attualmente disoccupati nei Paesi avanzati, con un incremento stimato di 12 milioni di posti di lavoro persi rispetto al 2007, mentre l’inflazione ha raggiunto i livelli più bassi dai tempi dell’inizio della crisi. Il perché di andamenti così deludenti è presto detto: c’è una carenza di domanda aggregata a livello mondiale che finisce per deprimere produzione e occupazione. La debole domanda complessiva per consumi e investimenti è dunque alla radice dell’attuale anemico sentiero di crescita mondiale. Tanto che ormai si parla di uno scenario di “ristagno secolare” come una concreta inquietante prospettiva a medio termine per la maggior parte dei Paesi avanzati e non. Dovesse consolidarsi porterebbe a una ulteriore caduta degli investimenti rispetto ai livelli già molto bassi di oggi e renderebbe pressoché impossibile recuperare livelli di occupazione vicini a quelli precedenti la crisi. Certo con significative differenze, come sempre, da Paese a Paese. L’economia americana, ad esempio, presenta condizioni economiche di fondo sicuramente migliori di quelle europee. Non tali, tuttavia, da poter evitare negli Stati Uniti come in Europa una rinnovata modesta dinamica dei salari e una ulteriore crescita delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito. Un fenomeno quest’ultimo che ha fortemente contribuito alla debolezza della domanda aggregata e dell’economia globale. 10 23 aprile 2016 Di fronte allo spettro del “ristagno secolare” la risposta della politica economica in tutti i Paesi avanzati è stata per ora debole. Non si è finora andati oltre l’implementazione di politiche monetarie ultra espansive di natura non convenzionale (Quantitative easing, Qe). Pur se utili a evitare una nuova grande depressione, le politiche Qe per i loro intrinseci limiti non sono riuscite a rilanciare stabilmente la crescita, dal momento che hanno favorito molto di più i mercati finanziari che l’economia reale. Com’è noto servirebbero politiche in grado di sostenere più direttamente la domanda aggregata, come politiche fiscali espansive, politiche di redistribuzione del reddito e, soprattutto, politiche dirette a realizzare investimenti pubblici rivolti a soddisfare Non basta il quantitative grandi bisogni col- easing: servono politiche lettivi, come infra- fiscali espansive, strutture materiali e redistribuzione del reddito non, ricerca e edu- e soprattutto investimenti cazione, mobilità e pubblici. Per ricerca, sanità. Quest’ultimi mobilità, educazione, sanità vengono invocati anche nell’ultimo Rapporto del Fondo monetario internazionale, ove si dimostra come tali investimenti potrebbero essere agevolmente finanziati nell’era dei tassi di interesse zero e potrebbero anche contribuire - in presenza di larghi margini di capacità produttiva inutilizzata - a ridurre il debito dei Paesi che li realizzino, generando reddito, produzione e occupazione aggiuntiva. Esistono, in conclusione, alternative economiche percorribili all’approccio dominante. Il problema è la forza dei gruppi di interesse a livello nazionale e internazionale che si oppongono con successo alla loro realizzazione. Anche se al prezzo di rischi crescenti per il futuro dell’economia mondiale. PARIGI di Vito Laterza A proposito di “Nuit debout” Non basta la protesta spontanea N uit debout è l’ultima incarnazione delle forme di protesta spontanea di massa che si diffondono con sempre maggiore frequenza in varie parti del mondo. Il 31 marzo scorso, dopo una marcia organizzata da sindacati e studenti contro la riforma del lavoro proposta dal governo Hollande, alcuni dei manifestanti hanno deciso di rimanere in Place de la Republique a Parigi e, da allora, la piazza è occupata da manifestanti, giovani, intellettuali, pensionati, lavoratori, artisti, che chiedono una società diversa, più umana e democratica. Il movimento si è già diffuso in decine di città francesi e in molti altri centri europei. Come Occupy negli Stati Uniti, gli indignados in Spagna e, più recentemente, gli studenti universitari in Sudafrica, il movimento si caratterizza per il suo spontaneismo, le sue assemblee permanenti, senza leader auto-proclamati e senza gerarchie. Luoghi in cui si sperimenta la democrazia diretta e, con l’uso attivo e costante dei social media, si diffondono notizie di eventi e messaggi per attirare sempre più partecipanti. Il governo francese ha paura e cerca di porvi rimedi con l’antico metodo del bastone e della carota: azioni di repressione poliziesca intervallati da annunci di aiuti ai giovani disoccupati. Alcuni analisti parlano già di un nuovo ’68. In realtà è un film già visto e che ritroveremo sempre più frequentemente nei prossimi anni. È forse arrivato il momento di limitare gli entusiasmi, senza, per questo, smettere di accogliere con favore movimenti di questo tipo, che si battono contro i mali e le distorsioni del sistema capitalistico. È chiaro che l’effetto della piazza profonde in tanti una piacevole sensazione di liberazione. La percezione del cambiamento, quello vero, amplifica le passioni e infiamma gli animi. Finché ci sarà gente in piazza e i social media produrranno viralità, tutto sembra possibile. Ma i movimenti spontanei degli ultimi anni hanno portato a pochi risultati effettivi. Sembra, appunto, di vivere un eterno replay: la democrazia diretta senza le- ader ha spesso significato confusione di ruoli e di metodi, senza sapere chi debba fare cosa e contrattare con chi e su quale programma. Quando ci sono obiettivi di breve termine da raggiungere, non è chiaro chi abbia effettivamente il mandato delle folle, e i leader temporanei vengono facilmente spodestati e rimpiazzati, a seconda dell’umore e delle varie lotte intestine tra i vari aspiranti. Quello che viene a mancare è, soprattutto, qualsiasi approccio alla contrattazione: la spinta utopica della massa sognante vuole tutto e ora, e non è disposta a sedersi a un tavolo. Le trattative sono considerate materia per i burocrati, per i corrotti, per i poteri forti che annichiliscono qualsiasi tentativo di cambiamento. E le folle fino a un certo punto hanno anche ragione. La fobia palpabile per qualsiasi procedura tradizionale di confronto e contrat- Basta con la litania modaiola tazione è il risultato dei movimenti “giovani” di un sistema che ha e “in crescita”. Chi aspira reso tutte le leve della legittimamente a ricoprire rappresentanza inef- ruoli nei nuovi modelli ficaci, se non diretta- di organizzazione sociale mente corrotte e ipo- deve crescere in fretta crite. Basta, però, con la litania modaiola dei movimenti “giovani” e “in crescita”. Chi aspira legittimamente a ricoprire ruoli nei nuovi modelli di organizzazione sociale deve maturarne la consapevolezza. Bisogna tornare a riflettere sui metodi e sulla riforma dei sistemi di rappresentanza, oltre che sui livelli di dibattito democratico necessari per il cambiamento. Bisogna riscoprire l’importanza della politica di comunità, a contatto con i cittadini “fisici”, fuori dai social media, delle iniziative a lungo termine, piuttosto che l’assemblea spontanea tra estranei connessi via facebook. Bisogna essere creativi, certo, e anche scettici del sistema attuale. Stare in piedi in piazza ogni notte può certo aiutare a scuotere gli animi, ma non produrrà in automatico il cambiamento che tutti auspicano. 23 aprile 2016 11 12 23 aprile 2016 © Illustrazione Antonio Pronostico LA “COSTITUZIONE IMPOSTA” CHE DIVIDERÀ I CITTADINI “Troppa democrazia” fa male. Questo è il senso della revisione della Costituzione appena approvata dal Parlamento italiano e che sarà oggetto di referendum nel prossimo mese di ottobre di Nadia Urbinati I l testo riformato della Costituzione della Repubblica italiana è stato approvato in seconda lettura da una Camera semivuota e con i soli voti della maggioranza. Le opposizioni hanno lasciato l’aula. Il testo è nato e si è imposto come espressione di parte e che soddisfa prima di tutto e solo una parte. È un esempio di come la politica ordinaria voglia costituzionalizzarsi; di come il potere di una parte voglia e riesca ad imporre le sue regole a tutti e su tutti. Dichiarando che chi si oppone non capisce o, se capisce, è conservatore. A questa visione manichea del prendere o lasciare - per cui hanno ragione solo coloro che vincono - si adatta bene lo stile maggioritarista di questo testo rivisto della Costituzione, un testo scritto con lo scopo dichiarato di dare alla maggioranza un potere straordinario - a questo serve la propaganda del “fare” e del “decidere”-, senza troppo preoccuparsi di equilibrarlo con poteri di garanzia e di controllo adatti a questo sbilanciamento esecutivista dell’ordinamento istituzionale. La legge di revisione della Carta appena approvata è come uno schiaffo al costituzionalismo liberaldemocratico che con fatica e alterne vicende si è fatto strada in questi due secoli e mezzo. Dopo le Costituizioni “concesse” dell’Ottocento; dopo quelle conquistate e condivise del Novecento; una nuova categoria dovrà essere coniata per denotare questa revisione: quella di Costituzione imposta. La Costituzione della maggioranza è una Costituzione imposta - dividerà i cittadini come ha diviso il Parlamento e sarà a tutti gli effetti amata solo da chi ne gode i frutti, ovvero da chi governa (non importa chi). Questa revisione svela l’ipocrisia del governo rappresentativo, mostrando che, come scrivevano i critici della democrazia, esso non è che uno strategemma astuto grazie al quale una minoranza comanda con il favore della maggioranza. Ma chi difende la democrazia non può accettare questa concezione, non può concludere che, alla fin dei conti, tutti sono eguali e la differenza tra un governo democratico e un governo autoritario è solo una distinzione sofistica. Questa revisione e il modo con il quale è stata voluta e gestita fa un pessimo servizio alla democrazia - che in effetti disprezza grandemente facendone l’equivalente di un orpello retorico che serve solo a far perdere tempo a chi sta al governo. Il dirigismo (il mito scientista e buro-tecnicratico della “governamentality” di cui parlava Michel Foucault) è il mito che muove l’ideologia del “fare”. Visto che democrazia è una parola vuota, perché non mettere nero su bianco che chi governa deve avere una corsia preferenziale? L’ideologia sponsorizzata da questa revisione è un capitolo nel libro scritto dei critici della democrazia. Per capirlo torniamo all’approvazione della riforma. Quell’importantissimo momento è passato senza quasi essere notato. Non ha avuto titoli cubitali e a tutta pagina. L’approvazione ha come chiuso un processo il cui esito era scritto - questo lo spirito che una stampa nazionale quasi tutta allineata con la maggioranza ha patrocinato, preparato e gestito. Tanta stanchezza 23 aprile 2016 13 © Daniele Scudieri/Imagoeconomica Alla guida di Libertà e Giustizia La politologa Nadia Urbinati, docente di Scienze politiche alla Columbia University di New York, è il nuovo presidente di Libertà e Giustizia, l’associazione fondata nel 2002 con l’obiettivo, si legge nel manifesto costitutivo, «di spronare i partiti perché esercitino fino in fondo il loro ruolo di rappresentanti di valori, ideali e interessi legittimi». Dal 2004 LeG si impegna in difesa della Costituzione ed è molto attiva nel 2006 nel coordinamento per il referendum confermativo della revisione costituzionale voluta dal centrodestra, respinta dal voto dei cittadini. L’assemblea annuale di LeG il 16 aprile ha eletto anche il vicepresidente, lo storico dell’arte e docente universitario Tomaso Montanari. dell’opinione si adatta poco al pomposo proclama con il quale Matteo Renzi presentò la proposta in Senato lo scorso ottobre - «aspettiamo questa riforma da settant’anni». Tanta stanchezza si spiega con il clima consensuale che circonda questa maggioranza risicata - segno della discrepanza tra opinione e numeri: questo spiega il senso della revisione imposta. Ha numeri risicati in Parlamento ma un’opinione quasi unanime oschestrata dai media nazionali. Chi governa? Governa l’opinione o governano i numeri? Il governo dell’opinione è ovviamente extraprocedurale; e questa revisione è nata fuori dell’alvero del proceduaralismo democratico. Ricapitoliamo in breve le tappe della sua storia. L’ha voluta una minoranza che per mezzo di un’elezione tutta privata (le primarie del Pd aperte, inoltre, anche ai non iscritti) ha conquistato un partito; e infine ha conquistato il governo, per mezzo di un largo uso che il Presidente della Repubblica ha fatto delle sue prerogative di risolvere le crisi di governo senza andare alle elezioni. Arrivata a Palazzo Chigi nel febbraio 2014, la minoranza guidata da Matteo Renzi e i suoi fedelissimi è riuscita in poco tempo a domare la maggioranza del suo partito e a cementificare la coaStranissima minoranza-maglizione (tanto che pochi si ricor- Stranissima gioranza che diventa come un dano oggi che questo è un go- minoranzatreno ad alta velocità grazie a verno di coalizione, tanto esso maggioranza questa, tanti amici extra istituzionali, sembra un monocolore Pd) - in che diventa un treno questa condizione ha immedia- ad alta velocità con il contributo determinanmente avviato la macchina del- grazie ad amici te dell’opinione accreditata la revisione costituzionale. extra istituzionali sia delle testate giornalistiche Agli elettori che avevano ge- e ai media allineati private sia di quelle televisive nerato il Parlamento, nessun pubbliche. Una maggioranza partito aveva proposto in campagna elettorale risicata nei numeri che gode del potere della di voler fare una tanta riforma. Il Pd che Ren- voce che conta. L’allineamento dei mezzi di inzi ha preso sotto di sé sembra un altro partito formazione e comunicazione tradizionali fa di rispetto a quello che aveva vinto (benché di questo governo debole nei numeri una potenza pochissimo) le elezioni nel febbraio 2013. E - con il ben noto argomento dell’eccezionalità: poi, il partito a guida Renzi non si premunì di «Non si dà alternativa a Matteo Renzi». Il quale avviare alcun dibattito tra i suoi iscritti e soste- Renzi mette a frutto questo assurdo argomennitori per spiegare la necessità della revisione to dello spauracchio emergenziale con l’arma costituzionale e i caratteri che doveva avere. propagandistica del referendum che egli stesso Un leader extra parlamentare ha con la forza traforma in plebiscito: non la Costituzione è il della sua maggioranza e del governo creato al tema del referendum, ma lui, Renzi. Quirinale imposto un testo e dato ordini di ac- Non era mai successo nella nostra Storia recettarlo senza troppo scalpitare. pubblicana questo gioco di prestigio, nemme14 23 aprile 2016 no nel lungo mezzo secolo Dalla fine Sembra essere stata portata a comdi governi a guida demo- della Seconda pimento l’idea della Trilaterale che cristiana, quando vi erano guerra mondiale nel 1975 lanciò il progetto di docomunque una società e per i conservatori mane i movimenti di critica e di un’opinione politica non il problema è la troppa contestazione, accusati di destabiomologate e non domate. Vi democrazia. Ora lizzare i governi con le loro richieè da pensare che sia proprio hanno la loro riforma ste di giustizia sociale e le lotte per per chiudere quella pratica costituzionale i diritti civili. Come scriveva Sadi opposizione, di pluralimuel Huntington nel documento smo vociante, che questa riforma sia stata così della Trilaterale che si intitolava La crisi della fortemente voluta. Come se chi fa politica per democrazia (“crisi” perché vi era troppo attiviprofessione e opera nelle istituzioni dicesse a smo dei cittadini e troppe richieste della socievoce alta ai cittadini: ciascuno faccia il pro- tà) i cittadini vogliono sapere troppo, anche ciò prio lavoro, noi “facciamo” e governiamo e voi che è prudente che solo i governi sappiano. La “fate” i vostri interessi e lavorate; è sufficiente troppa democrazia è stato il costante problema che voi designiate con il voto ogni cinque anni dei conservatori a partire dalla fine della Seuna classe di politici, ed è desirabile che rom- conda guerra mondiale - e la lotta per cambiare piate poco le scatole tra un’elezione e l’altra le democrazie parlamentari è parte di questo e per questo, che il vostro vociare venga ben progetto. Questo è il senso della revisione della filtrato e tenuto in sordina. Noi penseremo al Costituzione appena approvata dal Parlamento vostro bene, noi sbloccheremo il Paese - voi fi- italiano e che sarà oggetto di referendum nel datevi e lasciateci governare. prossimo mese di ottobre. 23 aprile 2016 15 CON L’ASTENSIONE HA VINTO RENZI MA A OTTOBRE CONTERANNO I SÌ E I NO Ha vinto, puntando sull’astensione, e questo è innegabile. Ma il dato del referendum sulle trivelle, in vista delle amministrative e del referendum costituzionale, dice altro. Ecco un po’ di numeri di Luca Sappino M atteo Renzi canta vittoria, anche se dice che hanno vinto «gli operai». E si intesta il risultato del referendum, con la vittoria più che scontata dell’astensione. Sua è tutta l’astensione, suo è il trucco, sua la scelta tattica di sommare i contrari agli indifferenti, dando indicazione per la diserzione e non per il più diretto no, che comunque più di due milioni di italiani hanno preferito mettere nero su bianco sulla scheda, dicendosi così favorevoli al prolungamento oltre la naturale scadenza delle concessioni per le trivellazioni in mare, entro le note 12 miglia. Parla di operai Renzi («Io il quesito l’ho interpretato così», gli fa eco il ministro Maria Elena Boschi, «volete o non volete continuare a garantire undicimila posti di lavoro?»), ma considera sua la vittoria dell’astensione. E non ha tutti i torti, perché il referendum è fallito e centrati sono i due obiettivi del premier: vincere il primo di tre delicati passaggi elettorali - dopo le trivelle ci sono le amministrative e poi c’è il referendum costituzionale - e tenere lì le trivelle, senza che nessuno metta fretta alle compagnie che potranno estrarre con comodo quel poco gas e quel poco petrolio che resta sotto. Ma ha un problema, Matteo Renzi, che fa solo finta di non vedere. A questo problema è dedicato questo pezzo, un’analisi del risultato referendario che parte da una verità sgradita al premier: né alle amministrative né al referendum costituzionale, che è senza quorum, si può vincere puntando sull’astensione. Su questo tema si era speso con efficacia Umberto Terracini, nei giorni in cui la seconda commis16 23 aprile 2016 sione della Costituente discuteva proprio della necessità di prevedere un quorum per i referendum - in un clima di diffusa preferenza per la democrazia rappresentativa, meno soggetta al plebiscitarismo. Terracini, il 17 gennaio 1947 disse: «Non si comprende perché un deputato eletto col voto del trenta per cento degli elettori debba essere riconosciuto come capace di esprimere la volontà di un determinato raggruppamento della popolazione, mentre poi quando il trenta per cento di quel gruppo popolare esprime direttamente la sua volontà, questa non dovrebbe avere valore». Disse così Terracini e lo stesso potrebbe valere per un sindaco: perché è sindaco anche un signore eletto dal 45 per cento dei votanti, come capitò a Ignazio Marino o al presidente dell’Emilia Romagna Bonaccini, ma quello stesso 45 per cento dei votanti non può decidere per quanto continuare a estrarre il suo petrolio dal suo mare? Il dubbio è fondato. Ma così prevede la Carta fondamentale. E Renzi lo sa. Alle amministrative non c’è quorum e per questo il dato del referendum, letto con più attenzione, dovrebbe preoccupare, se non Renzi, almeno Roberto Giachetti, candidato renziano a Roma, già pericolosamente finito terzo nell’ultimo sondaggio di Ghisleri pubblicato dal Corriere della Sera, terzo al 20 per cento dietro Giorgia Meloni, salita al 22. E non sarà così, per carità, ma a Roma sulle trivelle ha votato il 34,74 per cento. Non tutti l’avranno fatto mossi da spirito antirenziano (e anzi i più si saranno pure concentrati sul solo merito del quesito, come ha fatto Chiara Saraceno, che lo spiega nelle pagine che seguono), ma sicco- IN SENATO DOPO IL REFERENDUM © Giuseppe Lami/Ansa S me Ignazio Marino è stato eletto con il 63 per cento dei consensi, espressi però dal 45,05 degli aventi diritto, Giachetti deve proprio sperare che il più del popolo NoTriv invece voti per lui, che, peraltro, ha votato in favore delle trivellazioni. Il problema è che a Roma, domenica 17, ha votato poco più di un milione di persone, un milione e 73mila romani. E di questi 943.952 hanno detto sì, mentre solo 119.015 hanno dato la stessa risposta di Giachetti. Sono meno della metà dei voti che prese il Pd alle amministrative del 2013. Sono poco più di un quinto dei voti raccolti dal super Pd di Renzi alle ultime europee, quello che nella capitale superò A Roma sulle trivelle ha il 43 per cento (sul 52 votato oltre un milione per cento di votandi persone, di cui quasi ti), con 500mila voti. 994mila contro e solo Non sono paragoni 119mila a favore. Giachetti che fanno ben spedeve sperare che non siano rare. Consapevoli di tutti elettori antirenziani questo meccanismo, possiamo scommettere, i tre principali candidati del Pd alle prossime amministrative sono andati a votare - a votare no - senza essere sgridati da Renzi. È andato a votare Giachetti, sono andati Fassino a Torino, e Sala a Milano. Tutti e tre rischiano di non farcela per un deficit di voto a sinistra e lì cercano di coprirsi. L’ultimo sondaggio Ipsos dà a Sala solo un punto di vantaggio sul candidato di centrodestra Parisi (38 per cento a 37), e a Milano al referendum è andato a votare il 29,88 per cento degli elettori. Considerando che alle ultime amministrative ha votato il 67 per cento degli elettori, apete di cosa ha parlato Schifani nel dibattito sulla fiducia in Senato dopo lo scandalo GuidiTempa Rossa? Delle intercettazioni, che rovinano le vite di stimati professionisti, che devono essere regolate, controllate, imbavagliate. Sulla scia dell’apripista, il presidente emerito, Giorgio Napolitano che, dopo aver invitato all’astensione, è subito passato al sodo: il bavaglio ai magistrati che intercettano. Che mai più si odano frasi, forse irrilevanti sul piano penale, ma sapide sul piano politico, come quella con cui Federica Guidi dice al suo amante, quasi marito, padre del figlio, Gianluca Gemelli: «Non sono una sguattera guatemalteca». “Sguattera” dalla quale il bel amì non pare pretendesse servizi sessuali, ma traffico di influenza, informazioni riservate, raccomandazioni e spintarelle. Basta «barbarie giustizialista» fa eco Renzi. Volete sapere quali siano stati gli interventi più appassionati in difesa del governo? Quello dell’ex grillina Fucksia, del socialista Boemi e di D’Anna, amico di Verdini. Il partito della maggioranza, partito di Renzi, partito della Nazione è ormai un robot che si clona da solo. «Ascoltiamo tutti e poi decidiamo noi. Questo è avere la schiena dritta» grida Renzi, dopo aver provocato in aula i grillini, «quando avrete finito con le sceneggiate televisive, noi vi aspetteremo là». A marzo, Renzi ha trascorso in tv 19 ore, 5 minuti e 53 secondi, mentre di lui si è parlato per 24 ore. Nel 2011 l’allora presidente del Consiglio, Berlusconi, rimase in tv per 56 minuti al giorno: in totale, cinque ore in meno di Renzi. E la Rai? Il Tg1 ha dato a Renzi 22 minuti e 38 secondi, il Tg2 17 minuti e mezzo, il Tg3 12 e mezzo; nel 2011 Berlusconi era stato alla Rai per 18 minuti e 27 secondi. Ma chi fa sceneggiate nei Talk è sempre un altro. Secondo Renzi, che fa infuriare persino Mentana. Quanto alla premessa: “noi ascoltiamo”; sì, ma cosa? Maria Elena Boschi racconta così il quesito referendario: «Volete voi mantenere 11mila posti di lavoro?». «Noi politici viviamo spesso in una bolla di autoreferenzialità», ha detto il premier. Parlava di sé? Corradino Mineo 23 aprile 2016 17 © Antonio Calanni/AP Photo non è poco. La situazione è migliore che a Roma, anche perché a Milano non c’è il fattore 5 stelle, benché nel 2011 c’era l’entusiasmo Pisapia mentre oggi è previsto dai più che l’affluenza sarà più bassa. Nella città di Fassino, sempre sulle trivelle, domenica scorsa ha votato il 36,40 per cento degli elettori. Difficile, certo, è che siano tutti antirenziani, come dicevamo. È quello che sperano Michele Emiliano e la minoranza dem, in ottica di conta interna, ed è quello che sperano i 5 stelle o Sinistra italiana, in ottica di contesa elettorale. Il tema qualcosa ha contato nel portare ai seggi quasi 16 milioni di italiani: «Se si valutano i risultati con qualche attenzione», ha notato giustamento Ilvo Diamanti, «l’importanza delle “trivelle” appare evidente. Basta considerare la geografia della partecipazione elettorale. I livelli più elevati di affluenza si osservano, infatti, nelle aree maggiormente interessate al problema. Cioè, alle trivellazioni. In particolare, la Basilicata (l’unica dove sia stato superato il quorum del 50 per cento degli elettori aventi diritto), quindi, la Puglia e il Veneto. Fra le Regioni che hanno promosso il referendum, emergono li- HO VOTATO NON PENSANDO A RENZI, STRANO? La politicizzazione del referendum è stata cercata dal premier e dai suoi oppositori. Ed è un vero peccato di Chiara Saraceno H o votato al referendum sulle trivellazioni. Sono stupida, antirenziana, una che «rema contro»? Nella narrativa del presidente del Consiglio e della sua maggioranza, dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ma anche di gran parte di coloro che hanno incitato ad andare a votare e dei commentatori ex post dei risultati, sembra che le alternative siano solo queste. Anche un’amica che stimo, il giorno dopo il referendum, saputo che ero andata a votare, mi ha molto sgridato, di- 18 23 aprile 2016 cendomi che così facevo il gioco di chi vuole buttare giù il governo. Non c’è spazio per la posizione di coloro che ritenevano il quesito referendario legittimo e importante in sé, a prescindere dal loro giudizio sul governo Renzi e su Renzi stesso. Non c’è spazio neppure per coloro che ritenevano il quesito limitato ma comprensibile, quindi che erano e sono sufficientemente sicuri (arroganti?) della propria intelligenza da averlo capito per quello che era: non un giudizio di dio pro o contro Renzi, ma un giudizio da esprimere su una questione molto concreta e circoscritta, ovvero se fosse opportuno prolungare indefinitamente le concessioni di trivellazione fino a esaurimento dei giacimenti, o invece far valere la scadenza delle concessioni. In un Paese in cui tutto viene sempre prorogato, e una volta che uno ottenga una concessione di suolo pubblico sembra aver acquisito un diritto eterno (si pensi alle concessioni per lo sfruttamento privato delle spiagge), non era un quesito del tutto irrilevante. Certamente non una «bufala», come graziosamente l’ha definito Renzi (con sprezzo anche dei giudici della Corte Costituzionale che lo avevano ammesso). C’erano buone ragioni sia per votare sì, sia per votare no. velli di partecipazione molto elevati anche in Molise e nelle Marche. Tra le altre: in Abruzzo ed Emilia Romagna. In altri termini: lungo la fascia adriatica». Però, e c’è un però, il referendum che ci attende in autunno, come detto, non ha quorum, e sarebbe valido anche se andasse a votare un solo elettore. E ancora una volta il dato delle trivelle diventa meno buono per palazzo Chigi, notando che le forze politiche schierate per il sì - i 5 stelle, con decisione, solo dopo l’esplosione del caso Guidi - alle ultime Europee valevano poco meno dei voti espressi al referendum (circa 12 milioni di voti, tra 5 stelle, la lista Tsipras, Forza Italia e Lega). A quelle stesse elezioni sempre il super Pd di Renzi, il Pd del 40 per cento citato per quasi un anno a seguire per legittimare «il governo del cambiamento», prese 11 milioni di voti. Ne riuscirà a muovere di più, Renzi, in autunno, raccontando di aver abolito un Senato che non ha abolito ma solo svuotato di senatori eletti e funzioni? Riuscirà ad appassionare gli italiani e non solo gli odiati talk show al destino del Cnel senza fargli troppo notare che dietro la «democrazia decidente» c’è un mix tra riforma e legge elettorale fortemente maggioritario? Quello che è certo è che servirà tutta la demagogia anticipata, non per nulla, dallo stesso premier: «Nel dibattito che farò in campagna elettorale», ha detto Renzi il giorno dell’approvazione della riforma, «non discuteremo soltanto di singole norme o valutazioni giuridiche, discuteremo anche di argomenti più demagogici. Sarei ingiusto se non lo dicessi». Servirà tutta la sua narrazione, anche per- Prospero: «Dovrebbe ché - e lo ricorda a Left il filososo e ricordarsi Renzi che politologo Michele Prospero, «do- l’esercizio del potere che vrebbe ricordarsi, Renzi, che l’eser- gli è concesso in questa cizio del potere che gli è concesso fase si basa su un numero in questa fase, questo dispotismo di di voti che è poco più della minoranza, si basa su un numero di metà degli elettori che voti che è poco più della metà degli hanno votato domenica» elettori che sono andati a votare domenica contro il suo parere. Il Pd», è il dato che ricorda il professore, «nel 2013 ha preso 8 milioni e 600mila voti e anche alle Europee, che per mesi sono stato il vanto del presidente del Consiglio, la sua prima “legittimazione”, i voti furono 11 milioni, sempre meno dei soli sì di domenica». A favore del sì c’era l’opportunità di non lasciare aperte indefinitamente piattaforme che non sempre lavorano a pieno regime, e in molti casi sono addirittura in stato non estrattivo, ma che ora rimarranno a disposizione e non verranno smantellate ripristinando la situazione ambientale per un tempo indefinito, ovvero fino a quando non si potrà dimostrare che i giacimenti sono effettivamente esauriti. E il pallino, così, è tutto in mano delle compagnie. A favore del sì c’era anche l’opportunità di dare un segnale in direzione di una maggiore coerenza delle politiche energetiche con gli impegni presi a livello internazionale. A favore del no c’era la questione occupazionale (su cui i fautori del sì hanno obiettivamente detto poco, almeno sul che fare nel breve e medio periodo), gli investimenti già fatti, un impatto ambientale ridotto rispetto a quello iniziale, quando le piattaforme sono state costruite e messe al lavoro. Buone ragioni da una parte e dall’altra, dunque, su cui sarebbe stata opportuna una discussione, anche da parte del governo e di Renzi. Queste buone ragioni sono invece state tacitate dalla forte politicizzazione del referendum da parte sia degli oppositori di Renzi, sia di Ren- zi stesso. Sia chiaro: non considero il non andare a votare al referendum una prova di mancanza di democrazia. Non solo perché l’astensione è legittima, ma perché il far mancare il quorum è il modo più efficace per bocciare un referendum. Quindi non andare a votare, in questo caso, può essere un esercizio di democrazia esattamente come andare a votare a favore e più potente che andare a votare contro. Certo, risulta un gesto opaco e ambiguo, perché alla scelta intenzionale si mescola quella degli indifferenti, ma, almeno questa volta, non si può negare che anche tra chi ha votato sì si mescolano i voti di merito con quelli di protesta antigovernativa, quindi anche in questo caso il significato del voto non è univoco. Forse gli unici voti chiaramente identificabili come nel merito della questione sono, in questo particolare caso, quelli per il no. Non mi indigno quindi per il fallimento del referendum ad opera dei non votanti. Mi indigno che Renzi (con il sostegno, ahimé, di Napolitano) abbia dichiarato stupido, vittima di «una bufala», chi è andato a votare nel merito e «populista» chi lo ha incoraggiato a farlo. Non è un messaggio destinato a rafforzare la fiducia dei cittadini verso la politica e le istituzioni e ad incoraggiare la cittadinanza attiva. 23 aprile 2016 19 o stic o ron io P ne © 20 23 aprile 2016 zio stra Illu on Ant RESISTENZA ED ETICA DEL LAVORO «Camilleri mi racconta una delle stragi meno conosciute, l’eccidio nazifascista di Niccioleta in val di Cecina, in quelle colline metallifere dove le vittime difendevano posti di lavoro». La loro vita di Ascanio Celestini L avoravano tutti, lavoravano tanto, lavoravano sempre i minatori della Maremma. Si chiamavano anche operai di miniera. Gente che se ne va sotto terra. Se ne va lì sotto a raccogliere argento e carbone, pirite e lignite. All’inizio di agosto del 2012 vado a trovare Andrea Camilleri nella sua casa di Bagnolo di Santa Fiora in provincia di Grosseto. Ci sediamo sotto due castagni nel giardino. Si chiamava Angelo Mai il vecchio proprietario che gli ha venduto il terreno. Gliel’ha venduto e poi ci ha ripensato è andato a trovarlo con l’accetta e voleva portarsi via quei due grossi alberi. Diceva che gli aveva venduto la terra, ma non gli alberi che ci stavano sopra, ma Andrea riuscì a dissuaderlo e stanno ancora lì nel suo giardino a fare ombra. C’era anche un serpente in questo pezzo di terra alcuni anni fa. «Era un innocuo verdone» mi dice. Il nome col quale viene chiamato dipende dai posti. A Roma quel tipo di biscia l’ho sempre sentita chiamare «frustone», in altri luoghi è chiamato «blacco» o «biacco». «Alle sette del mattino attraversava qui e se ne andava» mi dice, «alle sette di sera riattraversava. Allora gli davamo il latte e lui beveva». Lo chiamavano Don Gaetano a quel serpente e gli davano il latte come a un gattino. Sotto ai castagni di Bagnolo salvati dall’ascia di Angelo Mai, però, Andrea Camilleri non mi vuole parlare della sua casa e di quando c’è venuto a stare per passare qualche settimana d’estate. Ma lui è uno straordinario narratore e prima di arrivare al centro della storia mi ci vuole accompagnare piano piano. E ancora per un po’ ci gira attorno. Mi racconta che in ogni paese c’è un cognome che lo caratterizza. Per esempio a Castel del Piano si chiamano tutti «Ginanneschi» dice «e tutti si chiamano Peppe di nome. Una volta venne uno a chiedere dei mietitori e partirono otto mietitori, otto Peppe Ginanneschi… racconto meraviglioso del sindaco di Castel del Piano, narratore meraviglioso. Otto Peppe Giganteschi e un asino che si chiamava Peppe». Così, piano piano, Andrea mi avvicina al suo racconto come quando fai un regalo a qualcuno e glielo porti in un pacco incartato e infiocchettato. Prima di capire cos’è devi togliere il fiocco e scartarlo. Il regalo di Andrea è una storia del paese di Niccioleta. Ci stava la miniera a Niccioleta, ma non solo lì. C’erano miniere in molti paesi attorno. Le chiamano «colline metallifere» e coprono un territorio che interessa quattro province. Furono sfruttate soprattutto tra la fine dell’800 e la prima metà del ’900 quando ai cognomi tutti uguali che riempivano questi paesi se ne aggiunsero altri che venivano dal Veneto e dalla Sicilia e dalla Sardegna. Venivano per lavorare Ernesto Balducci che era nato da quelle parti parla della «loro 23 aprile 2016 21 religione del lavoro e della famiglia, questa elementare religione del popolo che essi hanno vissuto fino a morirne». E infatti è proprio di questo che Camilleri vuole parlarmi. Stava finendo la guerra ai primi di giugno del 1944 da quelle parti e i tedeschi cominciavano ad andarsene, ma a Niccioleta i minatori temono che prima di partire facciano saltare in aria la miniera. Così prendono le poche armi che hanno, qualche pistola e qualche fucile da caccia e fanno i turni di guardia per difendere il proprio lavoro. Dura poco perché si accorgono che se davvero arrivassero i tedeschi sarebbero meglio armati e per gli operai di Niccioleta finirebbe male. E infatti i tedeschi arrivano, ma sono tedeschi solo il comandante e i sottufficiali. I militari erano tutti italiani con divise tedesche. Si tratta dei militari scappati dopo l’8 settembre che i tedeschi avevano arrestato e internato. A loro era stata data la possibilità di tornare in libertà vestendo la divisa repubblichina o tedesca. La maggior parte rifiuta, ma quelli che accettano sanno che verranno utilizzati per un lavoro di repressione nei confronti di partigiani e civili. Lo sanno e accettano. Proprio questo accadde a Niccioleta. Il 13 giugno vennero fucilate sei persone e il giorno successivo altre 77. «Perché c’ho questa sorta di idea fissa su Niccioleta?» dice Andrea «Perché di tutte queste stragi fatte dai tedeschi in Italia, questa è una delle meno conosciute. L’altra cosa che mi ha sempre colpito, e molto, è che questi che muoiono fucilati dai tedeschi non sono dei partigiani. Perché questi si organizzano? Perché temono di perdere il posto di lavoro». Questa storia che sembrava tanto lontana si rovescia e diventa parente di tante altre che viviamo ancora oggi. Ecco la religione del lavoro della quale parla Balducci. La stessa di tanti operai dell’Ilva di Taranto, per esempio. Ce li ricordiamo quando sono scesi in strada e hanno organizzato manifestazioni di protesta e blocchi stradali perché il giudice aveva ordinato il blocco degli impianti. La motivazione erano i tanti decessi per tumore accertati in 7 anni e le tonnellate di polveri immesse ogni anno nell’atmosfera. Infatti i Tamburi, il quartiere operaio, è un quartiere coperto di polvere. Le donne stendono i vestiti e le lenzuola ad asciugare e quando li ritirano devono scrollarli da quella polvere. Sono le lenzuola tra le quali vanno a dormire, i vestiti che indossano loro e i loro bambini. La prima volta che sono stato a Taranto era il 2009. Prima dello spettacolo partecipo ad un convegno. Un uomo seduto in platea si alza, prende il microfono e racconta della figlia. «Otto anni fa in questo giorno abbiamo fatto il suo funerale. Aveva un linfoma fulminante. Non ho chiesto che le salvassero la vita, ma almeno che avesse una morte dignitosa. Invece nell’ospedale non hanno potuto trovare nemmeno un respiratore pediiatrico per mia figlia di cinque anni». Lavorano, lavorano tanto. Il lavoro è la loro fede. Per il lavoro non pretendono più una vita dignitosa. Chiedono solo di morire con dignità. 22 23 aprile 2016 «Colui che ri-racconta un fatto realmente accaduto inevitabilmente fornisce una propria interpretazione del fatto stesso. Anche inconsciamente. Quindi, Ascanio ti prego di leggere le mie cartelle come il mio personale, e discutibile, punto di vista», scrive Andrea Camilleri nella nota che accompagna il monologo di Ascanio Celestini sulla strage di Niccioleta contenuta nel volume Quanto vale un uomo (Skira) scritto da Camilleri, Celestini Marco Paolini,e Marco Baliani. L’idea di farne un testo teatrale, uno spettacolo e un libro con cd è nata allo scrittore siciliano dopo aver letto un libro dello storico Paolo Pezzino ed aver ascoltato narrazioni orali. Al centro di quei racconti c’è il lucido e spietato eccidio di 77 persone, senza motivo, compiuto dai nazisti in un vicolo buio. Dunque anche senza intenti dimostrativi. Quel crimine efferato colpisce anche perché senza movente palese. E ancora oggi solleva molte domande. s.m. © Illustrazione Antonio Pronostico Racconti di Camilleri, Baliani, Celestini e Paolini I PARTIGIANI RIBELLI FUORI DALLA STORIA UFFICIALE Nel 1946 a Santa Libera, in Piemonte, un gruppo di partigiani si ribellò all’amnistia voluta da Togliatti. «Non accettavano che la Resistenza diventasse parola vuota», dice Pino Tripodi, che ci ha scritto un libro di Raffaele Lupoli U na resistenza nella Resistenza. Anzi, dopo la ria ufficiale». Un divorzio, una dissonanza dalla Resistenza. Dimenticata e senza la maiusco- narrazione mainstream, che ha condotto nel dila. Eppure, ancora in grado di dire tanto su menticatoio le gesta di quel gruppo di partigiani, ciò che è stato e su ciò che è il nostro Paese. Il “ge- quasi tutti comunisti, che, arroccati nella fraziosto insurrezionale” dell’agosto 1946 a Santa Libe- ne sopra Santo Stefano Belbo (Cuneo), impura, piccola frazione tra le Langhe e il Monferrato, gnavano nuovamente le armi e minacciavano di è al centro del nuovo libro di Pino Tripodi, Per usarle. Quell’amnistia voluta dal capo del Partito sempre partigiano (DeriveApprodi). L’idea di par- rimetteva in libertà centinaia di fascisti appena tenza era quella di un saggio che riconsegnasse imprigionati e questo era soltanto uno dei segnaai suoi giusti meriti la figura di Giovanni “Primo” li preoccupanti dell’orientamento, a loro avviso Rocca, comandante partigiano tra i più impor- troppo conservatore, dell’esecutivo. tanti e poi alla guida dell’insurrezione dell’agosto Serviva un gesto forte e quel manipolo di partigiadel 1946, scattata dopo il provni non esitò a rimettersi in giovedimento d’amnistia emanato «La ribellione di Santa co. Un fatto eclatante, che il Pci da Palmiro Togliatti, ministro Libera lancia un allarme non prese sotto gamba, tanto della Giustizia del governo di purtroppo ignorato. che a trattare con loro, tra il 20 unità nazionale. «Durante un Quando la Costituzione e il 26 agosto del 1946, fu inviapranzo convocato per discutere viene approvata l’Italia to Cino Moscatelli, comandanla cosa mi sfuggì di dire “come si è già infilata nel tunnel te delle Brigate Garibaldi della libro di Storia non servirebbe a democristiano» Valsesia, in aggiunta all’intenulla ma come opera letteraria ressamento diretto di Pietro sarebbe fantastica”. I compagni di pasto furono Nenni. I partigiani rinunciarono all’insurrezione d’accordo, talmente d’accordo che - infidi - mi af- e tornarono ad Asti, pressati da chi - dentro e fuori fidarono l’opera», racconta a Left lo scrittore (au- il partito - evocava una guerra civile come quella tore tra l’altro di Io sono un black bloc e Io servo che aveva già preso le mosse in Grecia. L’amnidello Stato e tra i promotori del progetto Terra e stia non fu cancellata e molte delle loro rivendilibertà/critical wine). cazioni furono ignorate, ma la ribellione di Santa È cominciata così, per Tripodi, una full immer- Libera resta agli atti come un lucido campanelsion di «19 mesi, il medesimo tempo che va dall’8 lo d’allarme. Purtroppo ignorato. Al punto che, settembre ’43 al 25 aprile ’45, passati intensa- spiega Tripodi, «quando nel 1948 la Costituzione mente a scrivere e a pensare, per via di quella viene approvata l’Italia si è già infilata nel tunnel storia, alla Storia, per mezzo di quel personaggio, democristiano». Eppure la giustizia sociale e l’ua tutti i personaggi che fanno la Storia e che poi guaglianza, parole d’ordine del gesto insurreziosono dimenticati, costretti al divorzio dalla Sto- nale delle Langhe, sono anche nell’ossatura della 23 aprile 2016 23 Carta fondamentale. Allora che differenza c’è tra i sfatta». La ribellione di Santa Libera ci è vicina anvalori dei ribelli di Santa Libera e quelli della Resi- che per questo: allora come adesso «si ha bisogno stenza che hanno gettato le fondamenta della Costi- di luoghi della trasformazione, della cooperazione, tuzione italiana? «Quell’involucro formale - succede di luoghi dell’immanenza in cui mescolare la nospesso nella storia - viene sostanzialmente deriso e stra vita, non di non luoghi della trascendenza per calpestato dalla realtà delle cose. Ci vorranno il ’68, consolare e bloccare in ghiacciaia ogni prurito di l’autunno caldo e il ’77 per riprendere con le dovu- cambiamento». Sfogliando il libro non si può non te differenze il filo di quella matassa», prosegue lo guardare all’oggi: quella dei ribelli di Santa Libescrittore. «I ribelli di Santa Libera non accettano che ra appare quasi come una profezia avverata. Ma gli ideali della Resistenza rimangano parole vuote, che lezione può trarne la società dei giorni nostri? che i padroni riprendano a governare, che le orga- «Una lezione eccezionale: quella che in Per semnizzazioni dei lavoratori facciano le belle statuine. pre partigiano viene denominata l’arte di tendere Tolto dai piedi il fascismo, desiderano cambiamenti la Storia. L’imperativo di esperire ogni mossa per sociali radicali, riconoscimento pieno dei diritti dei ottenere il massimo del possibile in una situaziopartigiani. Si vedono invece messi ai margini. Ciò ne storica data. Senza pretendere di più, ma senza che poi si calpesta nonostante la Costituzione, Roc- accontentarsi di niente che risulti anche imperca e compagni lo pretendono prima che la Costitu- cettibilmente di meno». Il contrario di quello che zione venga varata». ci chiede oggi la politica del “fare purché si faccia”, L’insurrezione di Santa Libera godeva di un grande del meno peggio al quale non c’è mai fine. Tripodi appoggio proletario e partigiano, ma scontava una arriva a mettere in discussione il valore stesso della situazione profondamente sfavorevole, a comincia- Resistenza con la maiuscola. Per lui non c’è nessun re dal fatto che si scontrava con le direttive del Par- rapporto tra l’anelito dei ribelli di Santa Libera e le tito. «Anche in questo Santa Libera è celebrazioni del 25 aprile. Tanto che stata precorritrice» dice Pino Tripo- «Allora come nel libro scrive, a proposito di queste di. «Quante altre volte i movimenti adesso si ha bisogno ultime, che «i partigiani si rendono sono andati oltre le organizzazioni di luoghi della utili spolverandosi a festa una volta che pure li avrebbero dovuto rap- trasformazione, l’anno per dimostrare che tutte le presentare. Stupisce che i movimen- della cooperazione, nefandezze d’Italia vengono comti non se ne siano quasi accorti. Se dell’immanenza piute nel nome della Resistenza». E si guarda alle esperienze partigiane in cui mescolare a Left conferma: «C’è di buono solo più evocate, infatti, in tutti questi la nostra vita» che, in attesa di trovare uno straccio decenni che ci separano dalla Residi futuro, tanti ragazzi guardano con stenza si sono osannate di più quelle dei Gap, o della interesse a quel passato». Una critica senza sconti, Volante Rossa che a differenza di Santa Libera erano che ha il merito di riaprire il dibattito, di proporre strettamente poste sotto il controllo del Pci e bazzi- una riflessione sull’Italia di ieri e di oggi e sulle pracavano spesso con le ali più staliniste del partito». tiche di cambiamento. A questo proposito, il racScorrendo le pagine dense di Per sempre partigia- conto di Tripodi, iniziato a tavola, in qualche modo no si legge: «Ridotta alla ragione santa libera (le finisce ancora a tavola, nello specifico davanti a un minuscole sono dell’autore, ndr) rimangono tutti bicchiere di vino. Santa Libera dei Ribelli è anche il fuochi fatui», come ad ammettere che il valore di nome di un vino rosso superiore che Claudio Solito, quel progetto insurrezionale è nel suo essere contro dell’azienda La Viranda di San Marzano Oliveto (At), la ragione, romantico ma quasi utopico. «È vero», ha dedicato all’insurrezione dell’agosto 1946. Un replica lo scrittore, «tutte le profonde ragioni dei altro vino, Rosso Unito, mescola quattro esperienze ribelli di Santa Libera cozzavano contro la ragione enologiche ribelli (La Viranda, Aurora, A vita, Valstorica. Ciò potrebbe far parlare di ribellione utopi- li Unite) in un esperimento di “unione delle forze” ca. Ma non bisogna dimenticare che quei partigiani nato da una visione comune di società. Vini e libro erano contadini, operai. Uomini pratici che inten- saranno presentati assieme il 25 aprile a Roma (vedi devano risolvere con urgenza problemi fondamen- box a destra). «È una piccola dimostrazione che la tali per l’Italia del tempo. Più che a un’utopia, a un rivoluzione si fa vedere nelle piazze, ma i suoi luoghi non luogo - le utopie sono sorelle gemelle dei miti d’elezione sono i campi, le case, le tavole», conclu- pensavano, credo, a una topia, a un luogo preci- de lo scrittore. «La rivoluzione si esprime di tanto in so - dell’Italia, dell’Europa - nel quale la loro sete di tanto con le urla delle folle ma marcia rapida negli giustizia e uguaglianza cominciasse a essere soddi- atti minuti della quotidianetà». 24 23 aprile 2016 © Illu str azi one Ant oni oP ron o stic o L’appuntamento Il comandante partigiano Giovanni Rocca, nome di battaglia “Primo”, nell’illustrazione di Antonio Pronostico. All’epoca dell’insurrezione di Santa Libera, nell’agosto del 1946, aveva 25 anni. Di origini contadine, dopo la rivolta ha scritto il libro Un esercito di straccioni al servizio della libertà 23 aprile 2016 25 Il pomeriggio del 25 aprile, alle 17, il libro di Pino Tripodi Per sempre partigiano sarà al centro dell’evento organizzato a Roma da Left insieme all’associazione Officina Culturale Via Libera. Nell’ambito della Festa della Liberazione del Csoa Spartaco al Parco degli Acquedotti (ingresso di via Lemonia), la presentazione in anteprima nazionale del libro sarà accompagnata da un reading e dalla degustazione dei vini resistenti Santa Libera dei Ribelli e Rosso Unito (dolcetto, barbera, gaglioppo e montepulciano di altrettante case vinicole unite in un’unica bottiglia), assieme al bianco Selva Lacandona prodotto a Chiaiano, Napoli, nei terreni confiscati alla camorra. Al protagonista del libro di Tripodi, il partigiano comunista Giovanni “Primo” Rocca - classe 1921, nativo di Canelli (At) la cooperativa agricola La Viranda ha dedicato un altro vino, il Libertario Rosso. © Matteo Bazzi/Ansa L’EREDITÀ DI CASALEGGIO, OTTIMISTA INTERNETTIANO Il Movimento 5 stelle non è nato dal basso ma da un colloquio nel camerino di un teatro, tra i due fondatori, il comico e l’informatico. Che ora lascia un’eredità difficile da gestire di Giulio Cavalli 26 23 aprile 2016 D Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista al funerale di Gianroberto Casaleggio, il 14 aprile a Milano. Nella pagina che segue, il figlio Davide Casaleggio i sicuro non sarà semplice, questo no. tro Smeraldo, prese vita il MoVimento 5 Stelle. La morte di Gianroberto Casaleggio, al A chi si chiede chi c’è dietro Grillo o si riferisce di là degli aspetti affettivi e umani che a “un’oscura società di marketing” voglio chialo legano a Beppe Grillo e a tutti i mi- rire che non sono mai stato “dietro” a Beppe litanti del M5s delle origini, presenta Grillo, ma al suo fianco». interrogativi importanti per il furto del Movi- Grillo e Casaleggio: solo guardandoli insieme mento 5 Stelle e ne evidenzia i limiti. possiamo dunque riuscire ad immaginare la Ma andiamo con ordine: Gianroberto Casaleg- “testa” del Movimento. Casaleggio nella sua gio non è stato banalmente un tecnico informa- azienda (la Casaleggio Associati, pochi passi tico e nemmeno un aspirante politico, tutte le dalla Scala a Milano, oggi ufficialmente ereditaversione che cercano di rinchiuderlo in un solo ta dal figlio Davide) è l’uomo che di suo pugno ambito peccano di superficialità o di malafede (o dei suoi collaboratori più fidati) scrive i post visto che il “padre” del Movimento 5 Stelle è sta- firmandosi Grillo. Sono gli anni del boom dei to uno tra i primi in Italia a intendere la rete non blog politici e l’Italia ha un modello: Antonio Di solo come mezzo ma soprattutto come luogo. Pietro con la sua Italia Dei Valori. Il consulente Quando in Italia Casaleggio disse «internet di- di Di pietro, quello che trasforma il claudicanventerà come l’aria, come profetizzò Nicholas te oratore in un tribuno 2.0 è proprio CasalegNegroponte», questo Paese cominciava ad ac- gio con la sua azienda, e sono in molti di quelli creditare le email come mezzo istituzionale di vicino a Di Pietro a innervosirsi per la “troppa comunicazione spingendo il telefax. influenza” che il comunicatore Gianroberto rieÈ stato un visionario Casasce a prendersi anche sulle deleggio? Di sicuro è stato uno Molte delle idee alla cisioni politiche: l’Idv è quindi dei pochi a capire la ricaduta base del Movimento, un M5s in nuce, con i bozzoli dell’esser connessi nella vita la Casaleggio Associati di tutti quelli che saranno poi quotidiana; forse non ne è sta- le ha sperimentate con i capisaldi dei grillini (e anche to il precursore ma di sicuro l’Idv di Di Pietro, finché la polemica sul ruolo della Caè stato il primo importatore anche lì non si pose saleggio Associati). dell’ottimismo internettiano il tema del ruolo troppo I candidati giudicati dalla che cominciava a galleggiare politico per una società rete, ad esempio, sono un’idea in giro per il mondo. Per que- di comunicazione dell’Idv; il messaggio di essere sto l’incontro tra Grillo e Cadiversi da tutti gli altri come se saleggio è stata l’alchimia tra un precursore esistesse una casta e poi altro, è di Antonio Di senza forza pubblica e una voce pubblica che Pietro, che galleggia per anni nel brodo di chi stava per essere isolata: il risultato è inevitabil- vuol far credere di essere contro tutti e di avere mente una miscela vincente. «Nel 2004 Beppe tutti contro; lo stesso vincolo di mandato (con Grillo - scrive Casaleggio in una lettera indiriz- multe per i traditori) è una (sfortunata) idea di zata al Corriere della Sera il 30 maggio del 2012 Di Pietro che è stata bocciata in tutte le sedi giu- lesse il mio libro Il Web è morto, viva il Web, diziarie; e poi c’è il “banchetto”, il “referendum”, rintracciò il mio cellulare e mi chiamò. Lo in- la comunicazione non tanto di quello che avviecontrai alla fine di un suo spettacolo a Livorno ne in parlamento («l’attività parlamentare non e condividemmo gran parte delle idee. In se- interessa a nessuno», era il mantra dell’esecuguito progettammo insieme il blog beppegril- tivo nazionale dei dipietristi) ma di ipotetiche e lo.it, proponemmo la rete dei Meetup (gruppi ben rappresentate battaglie “contro i poteri forche si incontrano sul territorio grazie alla rete), ti” sono lo storytelling che funziona sulla rete ed organizzammo insieme i Vday di Bologna e di è così che De Magistris “magistrato contro tutTorino, l’evento Woodstock a 5 Stelle a Cesena e ti” ottiene un miracoloso risultato alle europee altri incontri nazionali, come a Milano dove, il del 2009 ed è così che “il cittadino qualunque” 4 ottobre 2009, giorno di San Francesco, al tea- diventa la rappresentazione ideale dell’oppres23 aprile 2016 27 so. L’Idv per Casaleggio sono le prove generali morte di Gianroberto inevitabilmente incorona del Movimento 5 Stelle, con una differenza so- il figlio Davide (quanto di più lontano del resto, stanziale: nel Movimento non ha cerchi magici dall’utopia di un movimento politico orizzonda cui difendersi come nell’Idv ma è lui stesso tale che si ritrova a fare i conti con una succesil cerchio magico. E così oltre che fondare un sione di sangue, quasi dinastica): solo dentro partito che finge di essere partito dal basso ma gli uffici di Casaleggio si può consultare il cache in realtà nasce da un colloquio in camerino, pitale politico del movimento. E questo, anche Casaleggio è anche il proprietario di tutta l’ar- Casaleggio lo sapeva, è il più grosso limite di chitettura del partito: chiavi di accesso, strin- un progetto che non ha mai dato l’idea di poghe di programmazione, elenchi tersi emancipare dai propri padri nominativi, server. Tutto. Il cuore Casaleggio è il fondatori: il rapporto fiduciario organizzativo del Movimento sta proprietario di tutta e quasi fraterno tra Casaleggio e nei server di Casaleggio. Senza ti- l’architettura Grillo ha una difficile declinaziodel partito: chiavi more di smentita. ne in termini di regolamento di E allora viene facile pensare di accesso, stringhe partito. Se è vero che il rapporto come un movimento politico che di programmazione, tra i due era «di qualche telefonaha delegato tutti i propri fonda- le mail, i server. ta al giorno e di incontri su Milamentali meccanismi sociali a Il cuore del no, Genova o Roma» (lo disse lo una serie di bit diventi ostaggio “Movimento stesso Casaleggio) ora la paternidi chi quei dati li possiede ed è in dei cittadini” è tà, che prima risultava indiscutigrado di decifrarli. Per questo la l’eredità di Davide bile per meriti di fondazione del processo politico, difficilmente può essere lasciata con leggerezza al figlio di Casaleggio in quanto, appunto, “figlio di”. Ed è questo il punto debole su cui Di Maio, Di Battista e altri sanno di poter contare: alla morte dei padri fondatori tocca mettere in pratica una forma credibile di meritocrazia. Niente scherzi. Meritocrazia che non può essere di cognome (del resto proprio il M5S parla di obbligo di due mandati, figurarsi il passaggio di testimone da padre in figlio) ma che deve avere delle basi di fiducia. Ma qui è l’enorme “baco” del sistema Casaleggio: in politica non è vero che “uno vale uno”. È vero invece che c’è da fare i conti con chi ha più propensione e capacità (e perché no, anche merito) di intercettare la fiducia rispetto agli altri. Di Maio non vale come un iscritto qualsiasi del Movimento e allo stesso modo Di Battista non è semplicemente “mezzo” di una volontà popolare, come vuole il mito dei 5 stelle, ma ha un’identità propria, precisa. Il sogno di Casaleggio si incaglia qui, nella convinzione (sbagliata e banale) che davvero la politica possa svestirsi della personalità, rimanendo solamente ai contenuti, in un Paese che celebra Berlinguer (più del berlinguerismo), Renzi (più del renzismo) e così via. Sarà stato un visionario, Casaleggio, ma è stato un pessimo realista. E la battaglia, nel Movimento, comincia ora. 28 23 aprile 2016 © Rodolfo Giuliani CHI È FEDERICO MARTELLONI E COSA VUOLE PER BOLOGNA C’è vita a sinistra. A Bologna tutti insieme per marcare il terreno nella città che - secondo i sondaggi - dovrebbe confermare sindaco il Pd Merola. Mentre Coalizione civica ha già raggiunto il 10% di Edoardo Barbi T ra i capoluoghi che vanno al voto il prossimo 5 giugno, insieme a Roma, Napoli e Milano, Bologna è la città che più può impattare sul risultato di questa tornata elettorale. Il risultato è apparentemente scontato e il sindaco uscente, Virginio Merola, nonostante un indice di gradimento non esaltante (49%, 88esimo su 101, rilevazione Sole 24 ore di gennaio 2016) sembra lanciato verso la riconferma, più per mancanza di veri competitor che per meriti particolari. A ulteriore riprova di un risultato dato per acquisito, la recente dichiarazione di Renzi, che - in visita a Bologna per inaugurare un progetto di allargamento della tangenziale dal sapore fortemente elettoralistico («Il progetto ancora non lo abbiamo», ha dichiarato Merola il giorno dopo, «visto che Autostrade ha tempo fino al 30 giugno per farlo, ne discuteremo meglio a luglio») - ha battezzato il candidato del Pd come sindaco «anche per i prossimi 5 anni». 23 aprile 2016 29 L’endorsement del presidente del Consiglio non è stato particolarmente pubblicizzato visto il calo di popolarità di Renzi dovuto anche alla recente battaglia referendaria (a Bologna hanno votato più di 100mila persone, circa il 37%), ma è stato visto comunque come una conferma delle buone probabilità di successo. Insomma i giochi parrebbero già fatti. Eppure da poco più di una settimana circola un sondaggio commissionato dalla trasmissione Piazza Pulita che disegna un quadro più complesso. Il Pd è dato al 42%, contro il 24% della Lega, il 22% del M5s e il 10% di Coalizione Civica. Il dato più impressionante è però quello della partecipazione al voto che prevede il 46% di astenuti e indecisi. Con tali cifre e un mese e mezzo di Per Renzi, Merola è campagna elettorale davanti il ri- sindaco «anche per sultato appare molto meno certo, i prossimi cinque tanto più che Forza Italia e il resto anni». Eppure della destra non hanno ancora un sondaggio dà indicato un candidato sindaco e il Pd al 42% contro sono sempre più vicini al collega- il 24% della Lega mento con Lucia Bergonzoni, can- e il 22% del M5s. didata sindaco della Lega. Il bal- Andrebbe dunque lottaggio con i leghisti non sembra al ballottaggio più così inverosimile, tanto da spingere Merola a solleticare la pancia degli elettori più intolleranti: rispondendo a chi gli chiedeva della gestione dei flussi migratori il sindaco uscente ci è andato giù pesante: «I bolognesi non avranno alcun disturbo, bisogna però che i migranti abbiano pazienza e non vadano in giro a chiedere l’elemosina». Con questi toni, in una città in cui i temi della sicurezza e del famigerato “degrado” han fatto breccia da tempo anche nell’elettorato più moderato, è facile comprendere che una larga fetta di cittadini, soprattutto di sinistra ma non solo, non si senta più rappresentata: si è rotto quell’equilibrio fragile che aveva consentito alla giunta Merola di barcamenarsi tra il nascente partito della Nazione ed una storia di solidarietà e uguaglianza decennale, già duramente incrinata dalla vittoria di Guazzaloca e dalla gestione securitaria di Cofferati. Gli sgomberi di alcune occupazioni abitative (ex Telecom) e del centro sociale Atlantide avvenute a opera del prefetto - e a quanto dichiarato “all’insaputa” dello stesso sindaco - hanno inasprito i conflitti sociali, aprendo una ferita profonda con una fetta di città. All’ombra delle due torri, insomma, si agitano fenomeni complessi che interrogano tutta la società italiana e non permettono più di considerare Bologna quell’isola felice, faro di cultura e innovazione, tolleranza e integrazione, che a lungo abbiamo im30 23 aprile 2016 © Rodolfo Giuliani Due immagini del candidato sindaco Federico Martelloni parato ad ammirare al punto da etichettarla come pro- Martelloni, che è nato a Lecce ma vive a Bologna ormai da più di vent’anni, pur non essendosi mai canverbiale esempio della socialdemocrazia all’italiana. Bologna “la dotta” ha perso di recente anche il suo didato in nessun partito ha già una lunga storia da atintellettuale più noto, l’alessandrino Umberto Eco, tivista, avendo attraversato gran parte dei movimenti quasi a voler simboleggiare la fine di un’epoca. È di e delle esperienze della sinistra italiana a partire dal questi giorni la clamorosa notizia della bocciatura a movimento delle Tute Bianche - punto di riferimenscrutinio segreto del nuovo e giovane Rettore Uberti- to della formazione politica di Pablo Iglesias (Podeni (classe 1970) - per cui aveva votato a favore persino mos) - con cui da giovane studente ha partecipato da Romano Prodi che si è poi immediatamente dimesso protagonista al G8 di Genova, fino ad aderire più di in polemica - dall’assemblea dei soci della Fondazione recente e fino al suo scioglimento, a Sinistra ecologia Carisbo, la maggiore fondazione culturale bolognese. e libertà. Adesso che guida una coalizione che schiera Bologna “la grassa” ha, in barba alla sua celebre tradi- al suo interno figure tra le più composite è chiamato zione godereccia e culinaria, introdotto nelle mense ad un compito improbo: recuperare al voto ed alla scolastiche i menù vegani, facendo parlare gli esperti partecipazione politica, partendo da una lista civica di “rischio anoressia”. posizionata saldamente a sinistra, Bologna “la rossa” ha invece sco- Martelloni conta sui quella parte di città che non ha ancora ceduto al racconto renziano o perto il daltonismo politico: il movimenti per l’acqua alla rabbia leghista. giallo a cinquestelle e il verde Lega e per la scuola,centri sostituiscono progressivamente sociali e partiti politici Ai lettori di Left questo cognome ciò che resta degli stanchi eredi del a sinistra del Pd: Sel, non sarà nuovo, essendo Federico Pci. Sarebbe tutto qui se in fondo al Possibile, l’Altra Europa. il figlio di Francesco Martelloni, lo tunnel non ci fosse una luce rosso- E le mille forme storico leccese che aveva suggerito a Veltroni, ai tempi della svolta blu che vale la pena di raccontare. di autorganizzazione Rosso e blu sono i colori di Bolo- e solidarietà tra cittadini della Bolognina, di sostituire Falce gna, ovviamente, ma anche di “Coe Martello con l’albero della libertà alizione Civica”, una lista civica, per l’appunto, nata della rivoluzione francese, per innovare pur conserda un appello lanciato da alcuni cittadini nel luglio vando tutti i valori della Sinistra. 2015 e rivolto alle energie civili che hanno animato Questioni “antiche” che oggi ritornano, soprattuti movimenti per l’acqua e per la scuola, le lotte alle to dopo la presentazione del comitato elettorale del infiltrazioni mafiose, le mille forme di autorganizza- primo cittadino uscente. Già bersaniano e ora timizione e solidarietà tra cittadini per «dare a Bologna damente renziano, Virginio Merola ha raccolto nel un’amministrazione dedita al bene comune». L’ap- suo “ufficio dell’immaginazione” l’ex presidente delpello, che ha raccolto centinaia di sottoscrizioni, la Regione Vasco Errani e Flavia Franzoni (in Prodi): ha dato origine a un’associazione con più di due presenze, tra le altre, che hanno molto esaltato seicento iscritti in cui sono con- la stampa locale affrettatasi a parlare per l’ennesima fluiti anche attivisti e rap- volta di rinascita ulivista. presentanti provenienti L’allusione non è sfuggita al giovane Martelloni, che dai movimenti e partiti nell’aprire la sua campagna in un bar scelto come politici a sinistra del Pd (Sel, comitato elettorale, ha rinnovato la tradizione storiPossibile, l’Altra Europa) e gli attivisti di alcuni dei co-botanica paterna presentandosi con una pianta principali centri sociali cittadini (su tutti il Tpo e il di ulivo e attaccando pesantemente Merola: «ComLabas). Coalizione Civica ha nei mesi passati dato prendo la necessità di Merola e del Pd di mascherare vita a gruppi di lavoro tematici e territoriali dove il partito della Nazione dietro le fronde appassite di elaborare un programma per la città facendo incon- un Ulivo ormai morto», ha dichiarato, «per fortuna trare generazioni e percorsi tra i più diversi, espe- noi preferiamo le piante vere e le esperienze vive, serienze che erano rimaste separate o parallele. Dopo minatrici di futuro, come la nostra Coalizione». delle accese primarie interne, il cui esito ha sancito Quanto questa nuova e strana pianta riuscirà ad atanche l’uscita di alcuni dei soci fondatori della stes- tecchire nel tessuto della città è tutto da scoprire, i sa associazione, Coalizione ha scelto come proprio lusinghieri sondaggi iniziali che la attestano intorno candidato sindaco Federico Martelloni, quaranten- al 10% pur essendo nata solo da pochi mesi offrono ne, professore associato di Diritto del lavoro, sposato spazio all’immaginazione e invitano a non perdere di con un’avvocato lavorista e padre di due figli. vista, di nuovo, Bologna “la rossa”. 23 aprile 2016 31 SE L’AUSTRIA ALZA IL MURO DEL BRENNERO Il valico con l’Italia è aperto alla libera circolazione dal 1995. Le nuove politiche di “gestione del confine” del cancelliere Faymann fanno traballare Schengen di Giacomo Zandonini «T utto procede come al solito: controlli, fermi, riammissioni… la routine quotidiana». Per Roberto Manfredi, segretario del Sindacato autonomo di polizia di Bolzano, il temuto “muro del Brennero” è un’ipotesi ancora remota. Eppure nell’aria, lungo il canalone scavato dalle acque dell’Adige attraverso il Trentino fino ai 1.370 metri del valico di confine, circondato da abeti e larici, c’è un senso d’attesa. Insieme ai primi reticolati semoventi, disposti nelle dalle autorità austriache a lato dell’autostrada, per aprire eventuali piazzole di sosta sulle vie dritte della cittadina di confine, sono tornati a passeggiare dubbi e fantasmi. Dietro alle nuove politiche di “grenzmanagement”, ovvero di gestione del confine, adottate dal cancelliere uscente Faymann, si nascondono dati - e prospettive - che raccontano un’Europa in equilibrio instabile sul filo di Schengen. Da quando, lo scorso febbraio, Werner Faymann ha reso pubbliche le intenzioni di costruire una barriera nel più trafficato dei passi alpini, per ridurre l’ingresso di migranti nel Paese, le voci e i timori si rincorrono. Ma gli agenti di polizia, spiega Manfredi, «per ora non hanno notato differenze». Se, come minacciato da Vienna, fossero ripristinati i controlli sistematici all’ingresso, previsti dal codice di Schengen in casi legati a ordine pubblico e sicurezza nazionale, «tutto potrebbe cambiare da un giorno all’altro, con code lungo l’intero asse dell’autostrada». I primi a risentirne, come paventato da più parti, 32 sarebbero insomma gli automobilisti e - soprattutto - gli autotrasportatori, sui cui mezzi passa il 70 per cento delle merci del Brennero, per un totale di due milioni di passaggi all’anno. Stime della Camera di Commercio viennese parlano di una perdita, per la sola Austria, di circa due miliardi di euro, cifra largamente superiore agli 1,5 miliardi che, secondo un documento di Ispi, peserebbero sull’interscambio commerciale di tutta l’area Schengen in caso di sospensione completa del Trattato. Sui treni, nella tratta Verona-Monaco, le polizie italiana, austriaca e tedesca conducono i pattugliamenti congiunti. Il treno è il mezzo scelto dai 300mila sbarcati in Italia e diretta a nord Rispetto all’efficacia di nuovi controlli sui migranti in transito, il rappresentante della polizia è però scettico: «Da novembre 2014 conduciamo pattugliamenti tripartiti, ovvero con colleghi austriaci e tedeschi, e quotidianamente facciamo scendere qualcuno a Bolzano o al Brennero, ma chi, dopo lo sbarco in Italia, vuole raggiungere il nord Europa, spesso ha già le informazioni su quali sono i treni meno controllati». Insomma, le pattuglie - previste dal 2001 e avviate su base giornaliera da fine 2014, «con una sperimentazione di pochi mesi estesa poi fino a oggi» - intervengono sulle quattro corse intercity che collegano ogni giorno Verona a Monaco di Baviera, a fronte di decine di treni locali che oltrepassano il confine, il cui pattugliamento richiederebbe sforzi molto superiori. 23 aprile 2016 Passo del Brennero, manifestazione contro la costruzione del muro le 23 richieste di ripristino dei controlli interni registrate dalla Commissione Ue dal settembre 2015 a oggi, numero sproporzionato rispetto ai 36 episodi totali del decennio appena precedente. Dopo la Svezia, in un effetto domino che è arrivato a toccare i Balcani, a chiudere i confini nello scorso novembre sono state, più volte, Germania e Austria. Finora Vienna è intervenuta solo sulle frontiere con Slovenia e Ungheria, per sigillare la “Balkan route”, ma i controlli al Brennero «erano comunque nell’aria dallo scorso dicembre, in previsione di un nuovo afflusso via mare dalla Libia all’Italia», racconta Pieluigi La Spada, referente del Centro informativo per l’immigrazione della provincia di Trento. Tanto che l’Euregio, accordo di collaborazione fra Trento, Bolzano e Innsbruck, già allora aveva istituito un tavolo di monitoraggio ad hoc. © Jan Hetfleisch/Epa Ansa L’Alto Adige, secondo il direttore delle Politiche sociali della provincia di Bolzano, Luca Critelli, «è pronto da tempo a quelli che definiamo ristagni di persone, rimandate indietro al confine». E un piano provinciale per dare un tetto a chi è bloccato sull’asse del Brennero conterebbe sulla collaborazione del vicino Trentino, «ma se si creasse un’emergenza chiederemmo una ridistribuzione a livello nazionale delle persone». «È ingiusto demonizzare l’Austria, che nel 2015 ha ricevuto 88mila domande È proprio il treno, infatti, il Critelli, direttore Politiche di asilo, una delle percentuamezzo scelto da molte delle sociali di Bolzano: li più alte nell’Ue», avverte 300mila persone arrivate in «È ingiusto demonizzare Critelli: «Basti pensare che Italia via mare e partite alla l’Austria, che nel 2015 ha il solo Stato del Tirolo ospita volta di Germania, Svezia o ricevuto 88mila domande di 6.500 rifugiati». Danimarca. Mentre su stra- asilo. Il solo Stato del Tirolo È questo, probabilmente, il da, prosegue Manfredi, «per ospita 6.500 rifugiati» punto della questione: ripriora effettuiamo solo controlstinati i controlli ai confini di li a campione. E, insieme alla Stradale che opera Svezia e Germania, prime mete di chi ha chiesto attorno al casello di Vipiteno, abbiamo fermato asilo in Europa nell’ultimo biennio, lo Stato alpidiversi passeurs». no ha registrato un’impennata delle domande: 11mila a novembre 2015 e 15mila nei primi tre Sul Brennero, come su tutte le frontiere, si river- mesi del 2016, e il governo socialdemocratico, sano da sempre gli umori della capitali europee vicino alla scadenza elettorale del prossimo 28 (“Fin qui, madre Roma, si sente la tua voce”, reci- aprile, ha giocato a rincorrere le destre xenofota il cippo di confine posto sulla vecchia statale be, con nuove norme sull’asilo, fra cui un discusnel 1921), e la “barriera anti-migranti” in costru- so tetto di 127mila richieste in quattro anni, cenzione non fa che confermare una storia com- tri di detenzione ai valichi e - appunto - il “muro” plessa e dolorosa. Aperto alla libera circolazione del Brennero. Un milione di euro di spesa pubnel 1995, con l’entrata dell’Austria nello spazio blica che non basteranno, nel lungo periodo, a Schengen, rischia oggi di subire gli effetti del- un centrosinistra in crisi d’identità. 23 aprile 2016 33 34 23 aprile 2016 23 aprile 2016 35 © Kasia Gatkowska Photography (4) ALLO STUDENT HOTEL SIAMO TUTTI CITTADINI DEL MONDO Un albergo olondese popolato da startupper, ricercatori e studenti di 80 Paesi. All’insegna della condivisione, ecco come il business si unisce all’impegno per i migranti. Parla il fondatore, Charles Mac Gregor di Giorgia Furlan - da Amsterdam 36 23 aprile 2016 I mmaginate: la hall di un grande albergo, persone che si incrociano correndo veloci, spesso senza rivolgersi nemmeno uno sguardo o un saluto, vicini di stanza che sono estranei, pasti consumati in fretta e da soli al ristorante dell’Hotel. Ecco, ora pensate a uno spazio che ospita persone provenienti da ogni parte del mondo, con open-space dove è possibile chiacchierare amichevolmente con degli sconosciuti, pianificare le proprie piccole grandi rivoluzioni, realizzare progetti, studiare, dar vita a nuove imprese, ridere, ma soprattutto: sentirsi a proprio agio come a casa propria. Tutto questo è The Student Hotel, il format alberghiero diffuso in tutta Europa e presto in arrivo in Italia, ideato da Charlie Mac Gregor, giovane imprenditore scozzese, idealista e visionario. Nelle strutture alberghiere realizzate da Mac Gregor è un continuo via vai di startupper, imprenditori, architetti e designer in viaggio per lavoro, ma soprattutto di studenti, dottorandi e ricercatori che ormai sentono il bisogno di qualcosa di più di una semplice stanza nella quale andare a dormire la sera, di condividere e costruire relazioni umane e professionali. Per capire quanto il sogno di Mac Gregor sia tangibile e concreto basta entrare al The Student Hotel di Amsterdam City, un vecchio edificio industriale che era la sede di due giornali 23 aprile 2016 37 olandesi, il Trouw e il Parrol, a dieci minuti di Ma amore e passione, si sa, sono concetti in bicicletta dal centro della città. La struttura, continuo movimento che finiscono per travolcompletamente rimodernata, ospita 571 stan- gere e contagiare molti aspetti della vita di una ze curate nei minimi dettagli, una palestra, persona. È così che Mac Gregor non si è ferun’area comune con spazi di co-working, ca- mato a The Student Hotel, ma ha deciso anche bine Ted Talk, una biblioteca e una sala giochi di fondare Movement on the ground, una foncon tavoli da biliardo, da ping pong e calcio dazione per rispondere alla crisi umanitaria balilla. Ma soprattutto: «In tutti questi luoghi dei rifugiati. «Ogni individuo ha il diritto alla puoi vedere le persone passeggiare insieme e sicurezza, a un riparo, ad avere cibo e acqua», chiacchierare con un enorme sorriso stampato spiega. E questo non è un concetto così distante da quello di un albergo in cui sulla faccia», racconta lo stesso si crede che fra i diritti fondaMac Gregor, orgoglioso di aver «Lo student spirit mentali ci debba essere anche trasformato un hotel, un am- è una parte quello alla felicità. biente tradizionalmente conce- di noi che non smette «Negli ultimi mesi» racconta pito come sterile, indifferente mai di essere aperta Charlie «abbiamo cercato di imal passaggio delle persone e del e curiosa. pegnarci attivamente per dare tempo, in un luogo accogliente È con questo una mano. Siamo partiti e siasentimento che e famigliare. «In ogni città dove realizziamo abbiamo studiato mo andati a Lesbos, portando uno dei nostri alberghi si co- ogni dettaglio dei con noi cibo e tutto ciò che postruisce una comunità con ca- nostri alberghi» teva essere utile a chi sbarcava ratteristiche uniche ma sempre animata da ottimismo, entusiasmo e voglia di condividere», spiega Charlie. Uno dei valori Ora il format sbarca a Firenze cardine attorno al quale ruota l’idea di business su cui si fonda The Student Hotel è quelThe Student Hotel ha aperto la sua prima struttura a Rotterlo che Mac Gregor definisce student spirit, lo dam nel 2012 e ad oggi gestisce circa 3.000 camere nei Paspirito dello studente: «C’è una parte di noi, esi Bassi, Spagna e Francia. Il format nell’agosto 2017 sbarche non smette mai di essere aperta e curiosa. cherà anche in Italia a Firenze dove il gruppo ha acquistato Una parte nel nostro cervello che ci fa sentire uno dei palazzi storici, conosciuto come il Palazzo del Sonno al tempo stesso immortali e vulnerabili. Pieni - circa 20.000 metri quadrati - che si affaccia sulla Fortezza di potenziale e liberi di poter sbagliare. Io e i da Basso. «L’investimento complessivo nel progetto fiorenmiei soci volevamo che ogni dettaglio dei nostri alberghi incarnasse questo sentimento». E tino è di oltre 40 milioni di euro - ha spiegato il fondatore in effetti, nella sede di Amsterdam - il cui deCharlie Mac Gregor - e creerà circa 300 posti di lavoro fra l’opera di ristrutturazione e la futura operatività alberghiesign si avvicina moltissimo a quello che vedrera». La formula prevede tre tipi di soggiorno: a breve termine mo realizzato a Firenze nel 2017 - si possono (qualche giorno per un meeting o una vacanza), a medio trovare, sparsi in ogni angolo dell’hotel, frasi termine (circa 5 mesi) e a lungo termine (un anno). I costi e aforismi come may the student in you never delle stanze variano dai 50 ai 250 euro a notte per periodie, many minute of fame to start a revolution, di più brevi, mentre si aggirano sugli 850 euro mensili con everybody should love everybody. Perfino sulla formula all inclusive, esclusi pasti e pulizie, per periodi che chiave magnetica della stanza, la prima cosa vanno dai sei mesi a un anno. Oltre agli alloggi saranno preche alla reception viene consegnata nelle mani senti anche spazi di co-working e sale per Ted Conference. di un nuovo ospite, è stampata la scritta, un po’ Frank Uffen, partner di Mac Gregor ha spiegato: «La nostra monito un po’ suggerimento, love is the key. «L’amore qui è davvero la chiave. È il segreto strategia è quella di dare vita a circa 7 alberghi in Italia. Stiamo cercando attivamente in città universitarie come Roma, per far sì che persone provenienti da più di 80 Milano, Torino, Bologna, Venezia e Padova». Paesi diversi possano convivere, condividere esperienze e magari vivere l’anno più bello e significativo della loro vita», ci dice Charlie. 38 23 aprile 2016 © Kasia Gatkowska Photography (2) Sopra il ristorante The Pool e sulla destra uno spazio Ted Talk. In basso la spilla #relifevest realizzata in collaborazione con The Refugee Company da Mac Gregor e alcuni studenti sulle coste dell’isola. Ero nella C’è anche lo che si occupa di sviluppare posizione di fare qualcosa e vo- spazio per The progetti di business che coinvolgano i rifugiati presenti levo farlo a tutti i costi e così ab- Refugee Company, nelle nostre città e permettabiamo pensato di fornire anche un’organizzazione dei pannelli solari che potevano olandese che cerca di no loro di lavorare e sopratdare al campo rifugiati, gesti- coinvolgere i rifugiati tutto di vendere quello che realizzano, guadagnando delto dal governo greco, l’energia in progetti di lavoro le cifre ragionevoli e integrannecessaria perché tutte quelle e di integrazione. dosi nel tessuto sociale del Papersone potessero avere delle Da qui nasce la spilla ese. Soprammobili, magliette condizioni di vita almeno un #relifevest disegnate o ricamate, quaderpo’ più accettabili». Si capisce facilmente quindi perché, girova- ni, libri illustrati per raccontare il loro viaggando per la sede di Amsterdam di The Student gio fin qui, addirittura una scultura alta 120 Hotel e procedendo oltre The Pool - il ristoran- cm della Tour Eiffel costruita con materiali di te multietnico ideato dallo chef Bunmi Okolo- recupero, c’è di tutto, abbiamo anche creasi dove si possono gustare menu ispirati alla to una piccola spilla che abbiamo chiamato vecchia rotta commerciale della Via della Seta #relifevest. Si tratta di un’iniziativa ideata in - si arrivi ad una stanza dove, in alto all’entrata collaborazione proprio con alcuni studenti. campeggia la scritta “The Refugee Company”. La spilla, che richiama la forma del classico Entrando, ci si trova circondati da giubbotti di fiocco di adesione a una causa, è composta salvataggio, macchine da cucire, oggetti vari di una parte arancione ricavata dai giubbotrealizzati con materiali di recupero e video che ti di salvataggio dei rifugiati e da una parte mostrano cosa sta accadendo in quel mare che nera che riutilizza il materiale dei gommoni separa l’Europa dal Medio Oriente e che, pa- con cui, se sono fortunati, i migranti arrivano radossalmente, qui sembra più vicino ad Am- a riva. È un modo per riciclare e per sensibilizzare al tempo stesso le persone» conclude sterdam di quanto si possa pensare. «Abbiamo iniziato a collaborare con The Re- Charlie «sicuramente una goccia nel mare, fugee Company, un’organizzazione olandese ma è pur sempre qualcosa». 23 aprile 2016 39 QUEL PREZZO TROPPO ALTO PER IL SÌ DI ERDOGAN Merkel ha autorizzato il processo al comico che ha preso in giro il presidente turco. Ora è sotto attacco in Germania per aver ceduto al ricatto pur di chiudere l’accordo sui migranti di Uski Audino P artiamo dalla fine, dalla valanga originata dalla palla di neve. La reazione che ha suscitato il caso Böhmermann nell’opinione pubblica tedesca minaccia di compromettere il futuro della cancelliera Merkel. Da quando la satira è andata in onda sulla Zdf, suscitando le proteste di Ankara e l’agitazione del governo, il suo indice di gradimento è sceso in due settimane dal 56 al 45%, riporta il sondaggio del canale televisivo nazionale Ard. Secondo un altro istituto demografico, citato da Bild, due terzi dei tedeschi sarebbero contrari alla decisione di autorizzare il procedimento penale contro Böhmermann per lesa maestà. Ma cosa ha fatto precipitare la cancelliera così velocemente? Per capirlo serve un passo indietro. Una tv tedesca pubblica un video musicale su Erdogan: “Erdowie, Erdowo, Erdogan” (Erdo-come, Erdo-dove, Erdogan). Niente di terribile, ma il governo turco replica con durezza. Alcuni giorni dopo Böhmermann trae spunto da quel video per una nuova poesia satirica, spargendo sale su una ferita già aperta. Erdogan risponde con una doppia istanza al tribunale tedesco, come privato cittadino e come capo di Stato. Per procedere penalmente per lesa maestà in Germania serve però l’autorizzazione del governo. Giornali e opposizioni aspettano al varco la cancelliera, che temporeggia. Non una buona scelta, questa volta, perché fa salire la temperatura del dibattito. Quando infine il governo, il 15 aprile, autorizza Erdogan a procedere penalmente contro Böhmermann, Merkel diventa il bersaglio di un diluvio di critiche, dal conservatore Frankfurter Allgemeine Zeitung 40 (Faz) al progressista Die Zeit. Quello che fa discutere sono le motivazioni date da Angela Merkel, la quale spiega di aver concesso l’autorizzazione a procedere per lesa maestà perché Perché non ci si è limitati in uno Stato di diritto come la Ger- a perseguire il comico mania decidere in merito alla libertà nel processo intentato di espressione spetta ai giudici, non da Erdogan come privato al governo. Cosa che non sempre cittadino? Per affermare accadrebbe in Turchia. Ma la deci- la supremazia della politica sione di autorizzare il procedimento sulla libertà di espressione? per lesa maestà è politica, ribattono i giornali. Il governo, continua Merkel durante l’incontro con la stampa, ha un compito diverso. Per esempio esprimere un’indicazione sul paragrafo 103 del Codice penale che disciplina la lesa maestà, paragrafo da abolire entro due anni. «Perché dire - si chiede un lettore della Faz - che il paragrafo 103 del codice penale sarà abolito nello stesso momento in cui lo si applica? Se ha senso, lo si conserva, se non lo ha, non lo si applica». La Zeit si chiede poi perché non sia stato considerato sufficiente perseguire penalmente il comico nel processo intentato da Erdogan come privato cittadino. Forse per affermare una supremazia della politica sulla libertà di espressione? Insomma un pasticcio, a cui la Germania, dopo 10 anni di cancellierato materno e protettivo che aveva reso Merkel così popolare, non era affatto pronta. E una parte dell’opinione pubblica tedesca sembra emotivamente offesa dalla posizione di Merkel. Nelle interviste di strada dell’agenzia Afp, si sente ripetere che la libertà di opinione è un valore che non dovrebbe essere messo alla mercé di un capo 23 aprile 2016 © AP Photo/Axel Schmidt - Henning Kaiser/Epa Ansa L’attore sotto accusa Da sinistra, il presidente turco Erdogan, la cancelliara tedesca Angela Merkel e l’attore sotto accusa, Jan Böhmermann di Stato straniero. E il cabarettista turco-tedesco Serdar Somuncu, nel talk show di Anne Will, ricorda che Erdogan ha usato un altro piglio contro la stampa inglese e tedesca che seguiva il processo ai giornalisti turchi, colpevoli di aver svelato i rapporti dei servizi segreti con l’Isis. «Chi sono queste persone?» aveva detto il presidente turco. «Che cosa cercano? Questo non è il loro Paese, questa è la Turchia». È probabile, tuttavia, che la Merkel, proceda per la sua strada, in nome del realismo politico. Realismo - qualcuno lo chiamerebbe cinismo - che salta agli occhi se si mettono in relazione tre cose accadute lo stesso «Questo non è il loro giorno, il 17 marzo: sono iniziati i Paese» aveva detto Erdogan colloqui di Bruxelles che porteranquando la stampa inglese no agli accordi tra Ue e Turchia per e tedesca seguiva il caso affrontare la crisi dei migranti; è andei giornalisti turchi che dato in onda il primo video musicaavevano svelato i rapporti le satirico contro Erdogan, e quello dei servizi segreti con l’Isis stesso giorno il corrispondente tedesco di Der Spiegel, Hazaim Kazim, ha dovuto lasciare la Turchia perché le autorità turche gli avevano negato la tessera di giornalista. Insomma, gli accordi con la Turchia sui migranti e i problemi alla libertà di stampa in Germania hanno la stessa data di nascita, quel 17 marzo, e sembrano legate a filo doppio. Ma è giusto dare un colpo simile alla libertà d’espressione, pagare un tale prezzo, per compiacere Erdogan che promette fronteggiare la crisi dei migranti? 23 aprile 2016 Con Varoufakis ha conosciuto la notorietà, Erdogan potrebbe costargli la libertà. Dell’attore comico e presentatore tedesco Jan Böhmermann, nato a Brema nel 1981, si è parlato molto lo scorso anno per il video musicale ovviamente satirico - V for Varoufakis, dedicato all’ex ministro greco. Nelle scorse settimane, invece, le parole di scherno nei confronti di Erdogan gli sono costate - complice il via libera del governo tedesco - l’accusa di lesa maestà e una settimana sotto scorta. Tanto che il comico ha deciso di prendersi una pausa annunciando «un viaggio in Corea del Nord, così mi faccio spiegare bene come funziona questa faccenda della libertà di stampa». Böhmermann ha spiegato che resterà lontano dal piccolo schermo «affinché il pubblico e Internet possano concentrarsi su questioni importanti come la crisi primaverile, i video sui gatti o la vita amorosa di Sophia Thomalla», modella tedesca. Quando ha saputo che Beatrix von Storch, europerlamentare nota per aver evocato l’uso delle armi per frenare l’ingresso dei migranti in Germania, ha solidarizzato inneggiando alla libertà di espressione, ha sentenziato: «Ora chi mi resta da prendere in giro?». 41 THE YOUNG ITALIAN MAN CHE FU Se gli chiedi di Giulio Regeni, Al Sisi risponde parlando della sua politica interna: «Ciò che avviene in Egitto è un tentativo di spaccare le istituzioni dello Stato». E rispedisce al mittente le accuse di depistaggio di Michela AG Iaccarino T he young italian man Giulio di. Mentre Hollande è lì - mentre l’amRegeni - come spesso lo defi- basciatore italiano Massari è a Roma, niscono i media governativi richiamato in Italia dopo la tensione egiziani - è diventato - dopo la sempre più alta nei rapporti Egitto morte - fratello e amico di mol- Italia, e molti arrivano a bussare alla ti dopo che il potere, o uno dei poteri porta «del più importante alleato conlungo il Nilo, gli hanno tolto la vita. L’af- tro il terrorismo islamico» - Al Sisi rifaire Regeni è invece diventato un caso badisce: «Non potete immaginare cosa egiziano - anzi arabo, quanto italiano, succederebbe al mondo intero se quema non europeo. Piuttosto americano: sto Paese cade. Nostro dovere è proteg«L’indagine bloccata sull’omicidio del- gere un Paese di 90 milioni di persone». lo studente italiano ha costretto alme- «Noi egiziani abbiamo creato un prono un Paese, l’Italia, a rivalutare il suo blema con l’assassinio». Alla prima legame con l’Egitto, è tempo che altre beffa del rais è seguita una seconda. democrazie occidentali riconsideri- «Chi fa il giornalista deve avere fonti, no il proprio. È vergognoso il silenzio deve fare ricerche». In diretta tv dal suo della Francia», scrive il palazzo presidenziale New York Times. Sempre Gli slogan che la voce tronfia di Abdel meno europeo e più ver- questa settimana Fattah Al Sisi, con un record di giornalisti dietro gognoso lo è ora, men- rimbombavano di le sbarre, ha accusato tre uno dei più potenti nuovo per le strade dell’omicidio di Giulio premier dell’Eu, il presi- della Capitale sono dente francese Hollande, gli stessi di cinque un’imprecisata “gente firma un accordo sulle anni fa. Al Sisi malvagia”, insieme ai armi da 1,1 miliardi di erhal. Vattene! media in patria per le dollari con il governo del “menzogne” diffuse, poi generale, dopo quello datato 2015 che, ancora i social network, poi altri anper 24 aerei caccia e 2 navi da guerra, cora, senza nome, quelli che “vogliono ha fatto transitare già 5,2 miliardi di mettere in imbarazzo l’Egitto”. euro dal Nilo alla Senna. Inoltre al Cai- Peggio di prima. Gamal Eid, avvocato ro in previsione c’è la spesa di 4 miliar- e direttore del Network arabo per i didi destinati all’edilizia industriale, per ritti umani, ha scritto, ancora New York la costruzione di sei porti, quattro sta- Times, che «Mubarak era sicuro abba42 23 aprile 2016 Egitto, Cairo, 15 aprile 2016. Manifestazioone contro Al Sisi di fronte alla sede del sindacato dei giornalisti stanza da tollerare gruppi indipendenti che operavano fuori dal suo controllo, ad al Sisi manca questa sicumera. Con un’economia zoppicante, una contro insurrezione nel Sinai, un malcontento pubblico diffuso, il regime di Sisi si confronta con difficoltà più grandi di quelle di Mubarak nei suoi ultimi giorni di Governo». Gli slogan che questa settimana rimbombavano di nuovo per le strade della Capitale sono gli stessi di cinque anni fa. “Le persone chiedono la caduta del regime”. Al Sisi erhal. Vattene. Dal Cairo ad Alexandria è quello che gridavano i manifestanti contro il Governo egiziano, proprio come durante le proteste anti Mubarak che accesero Tahrir. È accaduto dopo la cessione delle due isole del Mar Rosso, Tiran e Sanafir, all’Arabia Saudita e re Salman che ha appena pompato nelle casse vuote del faraone caudillo 24 miliardi di investimenti. Tra nasseriani e nazionalisti, liberali e giovani del Tamarod, vecchi sostenitori dei Fratelli Musulmani, alla protesta sono stati 120 gli arrestati, © Mohamed Osam/Newzulu/Ansa molti i feriti negli scontri contro divise e lacrimogeni. Ripetiamolo di nuovo. Mentre Giulio moriva, al Cairo discutevano e brindavano 60 imprenditori italiani - Confindustria, Sace, Simesit - e sul piatto d’argento non c’erano i documenti del ricercatore italiano che scriveva di sindacati - la prima foto diffusa dai dipartimenti investigativi sul Nilo dei documenti di Giulio - ma 850 miliardi di metri cubi di gas potenziali, 5 miliardi di investimento per Zohr, il più grande giacimento di petrolio trovato nel Mediterraneo. Quello che la Lukoil della Russia di Putin è pronto a trivellare subito se l’Eni italiana dovesse fare anche solo un passo indietro. Ora c’è un’altra foto. Nella foto c’è un borsone rosso con su scritto Italia. Come una ridicola didascalia di appartenenza, un attestato di veridicità del ritrovamento. Carte di credito, tre paia di occhiali da sole, portafogli, cellulare e un portaoggetti con su scritto Love che luccica. Questo c’è da osservare e analizzare perché è questo quello che «Ciò che avviene in Egitto è un tenrimbalzano dalla Capitale egiziana. Era tativo di spaccare le istituzioni dello il 25 gennaio, erano i suoi 28 anni ed era Stato, istituzione dopo istituzioni La il suo cadavere ritrovato in una perife- polizia è attaccata, vengono mosse acria del Cairo il 3 del mese successivo a cuse per far cadere la polizia egiziana. cui sarebbero proseguiti altri giorni di Poi ci sono le accuse mosse alla magismentite, elenchi di tesi che già si sape- stratura, per far cadere la magistratura vano di comodo o indimostrabili. L’e- egiziana». Vuole allentare la pressione lenco delle prese in giro arrivate dopo politica che alcuni apparati riescono a è pari solo ai tentativi di fargli sentire da Roma, lo depistaggio arrivate all’i- «Con un’economia fa sapere tramite Ahmed nizio. Il borsone è stato zoppicante, una Abou Zeid, portavoce rinvenuto a casa di Tarek contro-insurrezione ministero degli Esteri. Abdel Fatah, capobanda nel Sinai, il regime Quando si è scelto di deporre Mubarak, il bracaccusato insieme ad altri di Sisi si confronta cio del Consiglio Supequattro criminali comu- con difficoltà più ni, dell’omicidio di Giulio. grandi di quelle riore delle forze armate La moglie di Fatah è stata di Mubarak si è mosso come durante arrestata quando ha di- negli ultimi giorni» tutti i golpe precedenti chiarato che il marito lo di ufficiali saliti al poteaveva ricevuto solo cinque giorni pri- re che hanno fatto la storia da faraoni ma della sua morte, che gli aveva detto del Novecento in Egitto. Quei servizi appartenere ad un amico, che non ha segreti che il rais al Sisi ha scagionato mai ammazzato né litigato con Regeni, in diretta tv per l’affaire Regeni ma ora come dichiarato dal suo Governo. potrebbero deporlo come è successo Se gli chiedi di Regeni, Al Sisi rispon- a tutti i predecessori, da un momento de parlando della sua politica interna: all’altro. 23 aprile 2016 43 PARERI PRIMARIE USA di Corradino Mineo Hilary Clinton contro Donald Trump ma Sanders farà ancora parlare di sé L o Stato di New York ha parlato e quasi certamente saranno Hillary Clinton e Donald Trump a contendersi la Casa Bianca l’8 novembre. L’ex segretario di Stato ottiene a New York un milione di voti contro i 750mila di Bernie Sanders, in percentuale fa il 58 contro il 42%. Sono stati i voti delle donne e quelli degli afroamericani ad aver fatto la differenza, il senatore “socialista” ha convinto meglio gli elettori bianchi e i giovani. “Siamo in dirittura d’arrivo”, dice Hillary nel giorno della vittoria, con accanto il marito presidente, il governatore dello Stato Andrew Cuomo e il sindaco di New York Bill De Blasio. Subito lancia segnali di pace al suo campo: “Sono più le cose che ci uniscono - dice rivolta ai sostenitori di Bernie - siamo tutti progressisti, veniamo tutti dalla stessa tradizione, da Franklyn Roosevelt a Barack Obama, ora dobbiamo pensare a quegli americani - e sono tanti - che non si sono ancora risollevati dalla grande crisi. Dobbiamo pensare a loro con spirito costruttivo, perché è così che l’America risolve i problemi”. Sanders non si dà per vinto, un giorno per ricaricare le batterie e di nuovo in campagna per gli appuntamenti del prossimo martedì: Pennsylvania, Maryland, Connecticut. Ha l’amaro in bocca perche a New York non erano ammessi al voto gli “indipendenti” tra i quali sa di essere più forte: “Circa tre milioni di NewYorkers non hanno potuto votare perché registrati come indipendenti. Secondo me non ha senso”. E poi il ricorso presentato dal suo staff: 125mila elettori “scomparsi”, cioè cancellati per qualche motivo, dalle liste di Brooklyn. Ma Hillary Clinton ha confermato i pronostici, ha vinto “a casa”, nella sua New York, e ora dovrebbe perdere quasi ovunque e subire una disfatta molto, molto netta in California, stato che il 7 giugno assegnerà 546 delegati, perché Sanders possa contestare alla Convention la sua nomination. Tutti gli occhi sono, dunque, già puntati sullo scontro decisivo, contro il competitor repubblicano. Era ora, non c’è tempo da perdere. 44 E l’avversario di Hilary sarà Donald Trump, che ha spianato - come si direbbe da noi - i suoi competitor. Con oltre il 60% dei voti ha umiliato Kasich, 25%, e soprattutto Ted Cruz, che si è fermato al 14%. Ora se Trump parla ancora di “nomination truccata”, se paventa colpi di mano alla Convention, lo fa più per vendere la sua merce, di candidato populista e anti apparato, che perché davvero ci creda. New York ha parlato e lancia verso la sfida di novembre due suoi figli, Trump che qui è nato, Clinton che dello Stato è stata a lungo senatrice. Due personalità che non potrebbero essere più diversi. Sempre perfetta, misurata, sicura di sé e certa del sostegno degli apparati, la prima. Sbracone e sbruffone il secondo. Ora entrambi dovrebbero cambiare assetto di marcia: Donald per non spaventare troppo la destra ben educata -esiste ancora e per il momento lo detesta, basta vedere l’astio con cui lo tratta il mondo dei Bush -, Hillary dovrebbe sporcarsi le mani, somigliare per una volta a un blue collar, un lavoratore manuale che ha perso l’impiego in fabbrica, è stato riassunto dopo la crisi -nel terziario, commercio o ristorazione - ma con un salario nettamente più basso, meno coperture sociali e l’ansia di non poter promettere molto ai figli. Dopo questa lunghissima corsa, l’America non sarà più la stessa. Risentita col resto del mondo quella di Trump: “Ci hanno scippato e portato fuori dal paese i nostri posti di lavoro. Non permetteremo che accada piu”. Preoccupata di non chiudersi Bernie Sanders e i suoi nell’establishment, quella della giovani ed entusiasti Clinton dovrà fare i conti con la sostenitori hanno ottenuto meravigliosa, straordinaria realtà il 42% a New York, dove gli portata in luce dalla campagna “indipendenti” non votavano. di Bernie Sanders, con i tanti, Si è vista un’altra America. democratici e indipendenti, che Che vuole contare chiedono un presidente autentico e non un pollo di apparato, che chiedono un salario minimo a 15 dollari e che possa frequentare il college a ogni ragazzo che lo vuole. Bernie Sanders non è stato una meteora e saprà contare anche dopo le primarie. 23 aprile 2016 © Seth Wenig/AP Photo 23 aprile 2016 45 © Daniele Cametti Aspri La fotografia d’arte alla conquista di Milano Anche quest’anno dal 28 aprile al 2 maggio a Milano si terrà il Mia Photofair, la prima e più importante fiera italiana della fotografia d’arte, ideata e diretta da Fabio Castelli. Dopo il successo della quinta edizione, con il record di 22mila visitatori, viene rin- cofermata anche per la sesta la location di The Mall, nel quartiere di Porta Nuova - Varesine. La fiera ospiterà 80 gallerie provenienti da 13 diverse nazioni del mondo con 230 artisti esposti in 109 stand, e poi 16 editori specializzati e 16 artisti indipendenti. 23 aprile 2016 Fra questi Daniele Cametti Aspri con “Il Mio Diario Per Te” e “My American Dream”, Jacopo Di Cera con il progetto “Fino alla fine del mare” e Monica Silva con “Lux et Filum - una visione contemporanea di Caravaggio”. g.f. 47 Una goccia di sangue contro il cancro La scoperta nel sangue di frammenti di Dna di cellule tumorali e degli esosomi, le avanguardie del tumore, apre una strada alla diagnosi precoce. Ma c’è il rischio che i test non siano accessibili a tutti A di Pietro Greco lmeno un merito bisogna riconoscerlo, alla Pathway Genomics, azienda di diagnostica medica di San Diego, in California: mettendo sul mercato lo scorso mese di settembre, senza la preventiva autorizzazione e al prezzo di 699 dollari, il kit per la “biopsia liquida” capace di verificare la presenza di tumori in pazienti ad alto rischio, ha rapidamente portato al pettine quattro nodi importanti che riguardano la battaglia contro il cancro e, dunque, la nostra salute. Il primo è un nodo di natura squisitamente medica: potremo, in un futuro che sembra già iniziato, fare davvero a meno della dolorosa “biopsia solida” e verificare se siamo stati attaccati o meno da uno dei duecento tipi diversi di tumore con una semplice analisi del sangue? I test saranno (già sono) in grado di individuare l’eventuale malattia anche nei suoi primissimi stadi, con mesi di anticipo rispetto ai metodi tradizionali? E possono verificare l’efficacia di un’eventuale terapia in atto? Il secondo è di natura etico-scientifica: questo tipo di analisi non ha ancora superato, come rilevato dalla Food and drug administration, la massima autorità sanitaria degli Stati Uniti, le prove standard di valutazione di efficacia e tossicità. Possono essere già utilizzati e, addirittura, commercializzati, come vuole un nuovo pensiero liberista in campo medico? Il terzo è una valutazione di carattere sanitario: se il test si rivelasse davvero facile ed efficace, chi dovrebbe effettuarlo? Tutta la popolazione, in generale, oppure solo persone ad alto rischio? E chi ci assicura che non ci 48 23 aprile 2016 saranno falsi positivi (gente che risulta avere un processo tumorale in atto che in realtà non c’è)? Il quarto è di carattere economico e sociale: chi paga per questi test piuttosto cari (ma non carissimi): il servizio sanitario nazionale, che nel caso di un’analisi di massa rischia il crac finanziario, o le singole famiglie, col rischio che il test diventi un nuovo, odioso generatore di disuguaglianza di salute? È possibile abbassare il costo della “biopsia liquida” e come? Non pretendiamo di scioglierli subito, questi nodi. Chiediamo solo che si apra per tempo un dibattito, reso attuale dalla scoperta, relativamente recente e riproposta nei giorni scorsi sia da Science e Nature, le due più note riviste scientifiche al mondo, che al tema hanno dedicato grande spazio: a) oggi sappiamo che nel sangue circolano sia diverse truppe disperse sia le avanguardie di quel complesso esercito di malattie che chiamiamo cancro; b) oggi siamo sempre più in grado di individuarli questi nemici che si aggirano nel sangue con osservazioni non troppo invasive. Tra le diverse truppe sparse dell’esercito del cancro che fluttuano nel sangue spicca la soldataglia: piccoli frammenti di Dna rilasciati dalle cellule tumorali. In realtà, il liquido rosso che scorre nelle vene di noi tutti contiene frammenti di Dna rilasciati da cellule di ogni genere e tipo. Cellule che per la maggior parte sono sane. Ma di recente si è scoperto che i frammenti di Dna rilasciati dalle cellule tumorali sono un po’ diversi (più corti) e comunque portano precisi segni delle mutazioni tumorali. Segni che consentono di distinguere tra i vari tipi di tumore. Anche se sono come aghi in un 23 aprile 2016 49 pagliaio, oggi siamo in grado di individuare i frammenti di Dna tumorale. Un patologo chimico dell’università cinese di Hong Kong, Dennis Lo, ha trovato il sistema di scovare un frammento di Dna tumorale in mezzo a 1.000 frammenti di Dna sano. Nel 2013 il medico cinese ha analizzato il sangue di 1.300 persone (apparentemente) sane, trovando in 3 di loro i frammenti di Dna tipici di un tumore nasofaringeo nei primi stadi di sviluppo. Poiché l’analisi precoce consente una guarigione nel 95 per cento dei casi, ben si comprendono le potenzialità della scoperta. Ora Dennis Lo è pronto per consegnare alla comunità scientifica i risultati di un’analisi estesa a 20.000 persone. Altri ricercatori hanno trovato frammenti di Dna associati ad altri tipi di tumore o che annunciano metastasi. Gli studi sono già in fase avanzata e, sempre a San Diego, un’altra In Cina Dennis Lo, azienda biomedica, la Illumina, analizzando il Dna si dice pronta a proporre un test di 1.300 persone, genetico capace di individuare ha trovato 3 casi di nel sangue, con una sola analisi, tumore agli inizi. svariati tipi di tumori, anche in Negli Usa David fase precoce di sviluppo. Lyden punta sugli Qualcosa di simile succede con il esosomi, vescicole rilevamento di intere cellule turilasciate da cellule morali. Che queste cellule circotumorali e decisive lino nel sangue lo si sa da molto nelle metastasi tempo (dal 1869, per la precisione). Ma solo di recente si è scoperto che la loro presenza non è associata solo a tumori molto aggressivi e in uno stadio avanzato. Con buone tecniche analitiche oggi disponibili è possibile individuare rare cellule tumorali generate da un processo canceroso in atto. Ma poi nel sangue si aggirano le avanguardie del tumore: gli esosomi. Si tratta di piccole vescicole cui David Lyden, un ricercatore della Weill Cornell Medicine di New York, attribuisce un ruolo davvero maligno. Rilasciate da tumori anche nei primissimi stadi, circolano nel sangue fino a quando non vanno a impiantarsi nei tessuti preparando la strada affinché le vere e proprie cellule tumorali, quando arrivano per caso, trovino un ambiente adatto ad accoglierle. Gli esosomi, diversi e di diverso tipo, aiutano le cellule a eliminare le proteine inutili e, soprattutto, aiutano la comunicazione delle cellule del sistema immunitario. Ma anche le cellule tumorali producono in grande quantità esosomi con caratteristiche peculiari. Per esempio, sono così piccoli da poter essere scambiati per virus. Ebbene, queste minuscole vescicole di non più di 100 nanometri, sembrano assolvere a un ruolo decisivo in quel processo, chiamato metastasi, in cui cellule cancerose si 50 23 aprile 2016 distaccano dal tumore primario, e attecchiscono in luoghi diversi e, spesso, lontani. Ebbene, scrive Paula Kiberstis su Science, quello delle cellule che si distaccano dal tumore primario e si dirigono verso un sito metastatico non è un viaggio facile: anzi, è una vera e propria corsa a ostacoli: deve invadere tessuti, passare in capillari, vene e canali linfatici, sopravvivere nel difficile ambiente di questi condotti, uscirne, individuare un nuovo tessuto dove trovare riparo e crescere in un microambiente che, spesso, è molto diverso da quello del tumore primario. Secondo David Lyden, senza un aiuto le cellule tumorali avrebbero molta difficoltà a sopravvivere in questi ambienti ostili e ad attecchire in un tessuto molto lontano e molto diverso da quello della massa tumorale originaria. Ebbene, questo qualcuno sono proprio gli esosomi. Queste vescicole non sarebbero, dunque, solo messaggeri maligni, come li definisce la rivista Scence, ma vere e proprie truppe avanzate di un esercito invasore: esplorano il territorio e lo preparano all’arrivo del grosso dell’armata. L’ipotesi di David Lyden è ancora controversa. Molti suoi colleghi ritengono ancora troppo preliminari e poco chiari i risultati delle sue ricerche per attribuire alle minuscole vescicole un ruolo così decisivo nel processo di metastasi. Ma Lyden lo scorso mese di novembre in un articolo su Nature, ha sostenuto che gli esosomi non si limitano a preparare l’ambiente adatto per le cellule tumorali, ma dettano al tumore dove e come attecchire e svilupparsi. Tra quelle truppe avanzate ci sarebbe, dunque, anche lo stato maggiore dell’esercito del cancro. Certo, secondo i suoi colleghi Lyden, deve ancora portare prove inequivocabili di questa teoria. Resta il fatto, tuttavia, che gli esosomi sono quanto meno messaggeri maligni: la loro presenza annuncia lo sviluppo delle metastasi. Se, dunque, il ruolo degli esosomi e la possibilità di rilevarli con una normale analisi verranno confermati, la possibilità di contrastare le metastasi con terapie precoci aumenterà notevolmente. Difficile sopravvalutare la portata di questi studi: il 90 per cento delle persone che muoiono a causa di un tumore, infatti, muoiono non a causa del tumore primario, ma proprio delle metastasi. Non c’è dubbio, dunque, che lo sviluppo delle conoscenze sui frammenti di Dna tumorali, di cellule tumorali e di esosomi nel sangue potrebbe rivelarsi una svolta nella lunga battaglia contro il cancro. Ma come tutte le grandi svolte, anche questa spalanca non solo a nuove opportunità ma anche a nuovi problemi. Che conviene iniziare ad affrontare, se non vogliamo che le opportunità siano per tutti e non solo per alcuni. © Milansys/iStock Quando Damasco era la perla dell’Oriente La scrittrice Suad Amiry racconta gli splendori della città siriana e la sua millenaria cultura. «Nessuno lascia la propria casa se non è costretto, i rifugiati hanno bisogno di sostegno, trattiamoli con umanità» È di Simona Maggiorelli una delle città più antiche al mondo, «Damasco vanta una storia millenaria che, senza soluzione di continuità, arriva fino ad oggi», esordisce così la scrittrice e architetto Suad Amiry, parlando del suo nuovo romanzo. «Ho scritto questo libro per portare i lettori nei vicoli della città vecchia, a sentire il profumo dei numerosi suk che vendono spezie, stoffe e cose preziose, a conoscere lo splendore dei palazzi, dei cortili con fontane e giardini. Con i suoi stretti vicoli, le sue case e la grande moschea degli Omayyadi, Damasco fa da sfondo alla storia della mia famiglia che ripercorro a ritroso nel tempo per tre generazioni». Nel romanzo intitolato semplicemente Damasco (Feltrinelli) la scrittrice rian- noda i fili della vicenda familiare, di sua nonna e di sua madre, Samia Baroudi, fin dagli ultimi anni dell’Ottocento, intrecciandola con fatti storici come l’insurrezione palestinese del 1929 «contro la creazione di un focolare ebraico in Palestina». E poi con le altre rivolte che sarebbero seguite dal 1921 al ’36, al ’44, al ’47 fino al 2000 e oltre. A molte di queste sollevazioni suo padre, Omar Amiry, insegnante di origine palestinese, partecipò come attivista. Così, per ragioni di sicurezza, dovette lasciare Giaffa dove era nato e poi Damasco per trasferirsi con la famiglia nella più grigia provincia giordana. Ma in questo nuovo lavoro, Suad Amiry più che di fatti storici si occupa della trama dei rapporti affettivi e della vita più intima dei personaggi ricreando memorie d’infanzia e narrazioni 23 aprile 2016 51 trasmesse oralmente. A cominciare dal racconto del lungo viaggio, fra emozioni contrastanti, che la giovanissima Teta (in arabo nonna) intraprese da Nablus, nella Palestina rurale, per andare in sposa al ricco mercante damasceno, Jiddo, che aveva vent’anni più di lei. « In questo libro racconto la storia di una famiglia ricca di Damasco, una storia d’amore ma anche di tradimenti e segreti. Dove si incontrano donne forti come mia zia Laila che - ricorda la scrittrice - governava l’intera famiglia». O come la stessa Teta che alla fine si lascia conquistare dalla simpatia del bambino della domestica, nonostante sia nato dal tradimento di suo marito. Oppure come la zia Karimeth che, da nubile, decide di adottare una bambina. Ripercorrere tutte queste vicende assume un significato nuovo e più profondo oggi che la Siria, purtroppo, è dilaniata dalla guerra. Come in altri romanzi di Suad Amiry anche qui la ricerca letteraria si fonde con l’impegno civile e politico. «Volevo parlare dei siriani, della loro grande storia, perché oggi sono obbligati ad emigrare ma in Occidente sono considerati dei mendicanti. È un dolore immenso vedere gli abitanti di Damasco e di Aleppo costretti a scappare per diventare rifugiati indesiderati. Queste persone, che oggi vediamo all’addiaccio, sono portatori di una cultura «Io stessa sono stata rifugiata. I miei genitori furono cacciati dalla loro casa come altri 850mila palestinesi, dopo la nascita dello Stato di Israele» ricchissima. Nessuno lascia la propria casa se non è costretto. Ogni italiano, ogni europeo, ha un padre o un nonno che è stato rifugiato o emigrante dopo la seconda guerra mondiale. Ma il guaio è che tendiamo ad avere la memoria corta». Da architetto che ha fondato il Riwaq Center for architectural conservation a Ramallah e continua ad occuparsi del recupero del patrimonio culturale palestinese aggredito dalla colonizzazione, Suad Amiry come immagina una possibile ricostruzione della Siria? «Spero che questa guerra finisca davvero- risponde la scrittrice -. E che al più presto si possa cominciare a ricostruire la città vecchia di Aleppo con le sue splendide case e il suo castello. Vorrei che potessero tornare al loro antico splendore. Così come vorrei che fosse restaurata Palmira. Ma fino a quando il conflitto è in atto i civili siriani hanno bisogno di sostegno, trattiamoli in modo umano». 52 La casa, come simbolo di un luogo interiore e poi, all’opposto, come prigione sotto l’occupazione israeliana è un tema che Amiry ha trattato in Sharon e mia suocera, dopo essere tornata a vivere a Ramallah nel 1981. Mentre il dolore di dover abbandonare la propria abitazione è al centro del romanzo Golda Meir ha dormito qui in cui racconta la vita dell’esponente israeliana in una casa araba, dopo averne cancellato l’insegna in occasione di una visita di delegati delle Nazioni Unite. Molti palestinesi furono dichiarati “proprietari assenti” delle loro case, abbandonate sotto i bombardamenti israeliani a partire dal ’48 e poi fu impossibile farvi ritorno, se non a rischio di trovarsi faccia a faccia coi nuovi inquilini ebrei. La vicenda siriana in qualche modo oggi le rievoca quella palestinese? «Sì perché io stessa sono stata una rifugiata. I miei genitori furono cacciati dalla loro casa, come altri 850mila palestinesi, quando lo Stato di Israele conquistò spazio. Nel mio lavoro c’è questo senso di sra- 23 aprile 2016 Damasco di Suad Amiry (in foto a destra) è tradotto da Maria Nadotti. E come tutti i precedenti romanzi e saggi della scrittrice palestinese è pubblicato da Feltrinelli © Witold Ryka/iStock non ci sia niente da risolvere riguardo alla condizione della donna nei paesi musulmani e nel resto del mondo. Dico soltanto che in molte società giudicate arretrate dall’Occidente ci sono donne dalla forte personalità. Io stessa ne ho conosciute molte. Ma le donne che vengono dal mondo musulmano sono incasellate secondo stereotipi. Per esempio non si ricorda spesso che un famoso architetto come Zaha Hadid era cresciuta nella cultura araba, essendo di origine irachena!». Anche rispetto alla vita intima e affettiva delle donne nel mondo musulmano circolano molti pregiudizi, sottolinea la scrittrice. Nel romanzo, per esempio, tutta la famiglia Baroudi accetta in modo naturale una bambina, Norma, adottata da una delle figlie non sposate. Ed erano gli anni 50. «Una famiglia all’apparenza tradizionale come quella di mia madre si dimostrò aperta di mente. Tutti in casa pensavano che si è madri quando si ama un bambino e lo si cresce, non contava il fatto biologico in sé». Quanto al rapporto con l’uomo e alla sessualità «sfortunatamente - dice Amiry - tutte le religioni, dall’ebraismo al cristianesimo all’islam, sono ossessionate dal corpo delle donne: le suore devono coprirsi la testa, lo fanno anche le ebree e le musulmane. Tutte le religioni monoteiste cercano di controldicamento, questa impossibilità «Tutte le religioni monoteiste sono ossessionate poi di sentirsi a casa, nonostante dal corpo delle donne e cercano di controllare tutti gli sforzi». Essere un archi- la sessualità femminile. Le donne arabe, però, tetto che si occupa di disegno non corrispondono agli stereotipi occidentali» urbano, di progettare quartieri e abitazioni «mi ha fatto capire che le case non lare la sessualità femminile, si intromettono in sono fatte di pietre ma di storie umane, intime, questioni private come la decisione di abortire personalissime. Questo - approfondisce Suad e perfino nel modo di vestire». Questo è il motiAmiry - è ciò che tiene insieme il mio lavoro di vo per cui, aggiunge la scrittrice, «la separazione tutela del patrimonio architettonico e quello di fra Stato e Chiesa è un passaggio fondamentale scrittrice. La mia cultura assomiglia a uno stra- nella storia di ogni Paese. Quando la scelta relitificato palinsesto, nato dalla sedimentazione giosa di alcuni diventa fatto politico siamo tutti archeologica siriana e palestinese ». nei guai, perché ogni credo religioso pretende Tornando a Damasco, la bella dimora al centro di essere superiore. E quando qualcuno pensa del romanzo è l’universo in cui si muovono le di essere un eletto o un essere superiore, codonne. E se la vita sociale di inizi Novecento era mincia il razzismo. Iniziano la paura e l’odio per teatro esclusivo degli uomini nella sfera privata le l’altro, il “diverso”, un pregiudizio che è alla base donne erano sovrane. «Questo non è tipico solo di guerre ancora oggi. Quando un musulmano del mondo arabo. Mostrami una cultura in cui la commette un crimine tutti i musulmani sono casa non sia il dominio delle donne! Mostratemi considerati criminali, ma quando un cristiano un Paese in cui gli uomini non dominino la scena commette un crimine nessuno menziona il suo pubblica, dall’Italia, alla Francia, all’Inghilterra. credo religioso. Non possiamo usare due pesi e Con questo - precisa Amiry - non voglio dire che due misure». 23 aprile 2016 53 La libertà è consapevolezza L’empatia perduta, lo stupore «di guardare le cose dal basso verso l’alto e non viceversa» e la possibilità di essere finalmente se stessi. Una somma di piccole cose è il suo ottavo album, ma anche la sua filosofia di vita. A colloquio con Niccolò Fabi di Tiziana Barillà iamo comodamente seduti sul divano della sua casa in campagna, dalla finestra si scorge un pacato panorama agreste. Anche se, in realtà, siamo dentro un palazzo della Capitale, tra quattro mura, in mezzo al traffico. È questo il potere di Niccolò Fabi, può portarti con sé non appena gli presti ascolto. «Hai studiato?», mi chiede mentre sistema la stanza per rendere l’ambiente più accogliente. E le domande comincia a farle lui: «E allora, ti è sembrato naturale o artificiale?», mi chiede di Una somma di piccole cose che è appena uscito, il 22 aprile, per Universal music. Nove crogioli che custodiscono una consapevolezza raggiunta in anni di fatica. E, in sottofondo, il folk rock della West Coast. Naturale, un disco sorprendentemente folk, alla Bon Iver giusto? Sì, è quello, indie folk americano. Anche se il folk di un 25enne del Wisconsin è diverso da quello di un 50enne di Roma (ride). Sono cresciuto con i genitori di questa nuova leva, con i Joni Mitchell e il Fort della West Coast, quel fricchettonismo americano del folk nella sua elaborazione rock. Perché hai scelto il West Coast? È una scelta non solo di stile musicale ma di ambientazione emotiva: una persona su un divano, isolata dal resto, fa una fotografia di quel preciso stato d’animo, rivisita la realtà che ha vissuto, la confusione, successi e insuccessi, gioie e dolori. E attraverso una lente di ingrandimento fa un’immersione dentro di sé. È un topos emotivo, un racconto interiore che anche l’ascoltatore riesce a sentire. 54 Con quest’album vuoi darci un consiglio? Indirettamente sì, contiene un consiglio ma non ha quella “missione”. Ma questo è il classico disco che piace più a chi l’ha fatto che a chi lo ascolterà. È un’acquisizione: non sarei stato in grado di farlo 20 anni fa, mi sarebbe mancata la necessaria consapevolezza. Ma un lungo percorso mi ha portato ad avere questa sicurezza, adesso sento di potermi fare un regalo, potermi prendere un lusso. Il lusso di essere te stesso, semplicemente. Ho sempre avuto un gusto musicale troppo raffinato rispetto alle mie capacità, ho ascoltato troppa musica, ho troppa conoscenza e il mio talento non era mai all’altezza di tutto questo. Mio padre è musicista e discografico, quando sono entrato in uno studio di registrazione per la prima volta avevo 3 anni, sono da sempre circondato da gente di talento. Il che è stata una fortuna, ma anche un peso per cui non ti senti mai all’altezza. Ma stavolta hai scritto, suonato, registrato. E anche filosofeggiato: cosa intendi per “somma di piccole cose”? L’equilibrio d’insieme... anche nella musica non mi affascina uno strumento in particolare, ma l’insieme. Quante volte la fisica ha frazionato le particelle alla ricerca dell’unità originaria per poi scoprire che anche quella è ancora divisibile? Qualsiasi cosa è il risultato di una somma. Da un punto di vista intimo, frazionare una difficoltà è utile per poterla comprendere. E c’è un aspetto rivoluzionario in questo: qualsiasi viaggio non è che una serie di passi, tra me e te non c’è che una somma di passi. Ma a volte la grandezza di una difficoltà o di un cambiamento diventano un alibi 23 aprile 2016 © Shirin Amini Io l’ho fatto e sono sereno in questa veste. C’è un’appartenenza emotiva che si scopre sin da subito, come quando da ragazzi, non appena trovata un’auto, si correva fuori porta per il week end. La campagna è un’atmosfera che in ogni stagione ha odori, colori e sapori diversi. Mentre in città se guardi quel muro (indica il palazzo di fronte, fuori dalla finestra) è lo stesso a dicembre e luglio. E poi ho passato gran parte della mia infanzia in provincia di Siena anche se ho vissuto in città, a Roma. Cos’è rimasto del piccolo Niccolò? La componente di scoperta e stupore, di guardare le cose dal basso verso l’alto e non viceversa. Sarà perché ho una predisposizione alla saggezza che se non bilanciassi con lo stupore mi annoierebbe tantissimo, perché sarebbe pronta ad arrivare subito alle conclusioni. Perciò ogni volta che chiudo una porta ne apro subito un’altra. Chiudi l’album con “Vince chi molla”, come a tracciare una sintesi delle canzoper non fare niente... Mi assumo il rischio ni precedenti. E giù di nichilismo. Invece tu che di quella porzione È una canzone testamentaria, di ingenuità direzione prendi? direi. Forse la più densa, dove si Mi assumo il rischio di quella por- che viene addossata scontrano spiritualità, politica e zione di ingenuità, di idealismo a chi si indispettisce psicofarmaci! (ride) Me la somingenuo, che viene addossato a o si indigna di fronte ministro al posto delle benzodiachi si indispettisce o indigna di ad alcune cose. zepine. fronte ad alcune cose. A dispetto A dispetto di chi dice E quali benefici trai? di chi ti dice che la realtà è così che la realtà è così e Evito di indurire. È un fatto fisie non ci puoi fare niente, che la non puoi farci niente co, il corpo ci comunica i cammacchina è inarrestabile e stiamo biamenti con dei linguaggi che andando a sbattere contro il muro. Io non ce la possono fare paura se non si impara a conoscerli. faccio a stare con una sigaretta in mano e aspetta- «Molla» significa lascia andare e non lascia perdere di andare a sbattere contro il muro. Non voglio re... Tutto ciò che tratteniamo aggiunge peso sulle essere connivente con lo sfacelo. nostre spalle. Invece bisogna mollare gli ormeggi. L’aspetto più urgente da rivoluzionare? Musica terapeutica? L’empatia, l’abbiamo persa. Sentire quello che Le canzoni non sono risolutive ma hanno un efsentono gli altri, entrare nel loro punto di vista fetto terapeutico. Ognuno è inevitabilmente solo è fondamentale per considerarci alleati tra noi. ma la somma di queste solitudini è un sollievo, Siamo inseriti in categorie, come consumatori o forse non così grande come abbracciare un albeelettori, che non consentono una reale empatia. ro secolare che ti fa sentire la sua sublime immaL’empatia viene confusa per stoltezza, talvolta. nenza, ma riconoscersi in un’altra persona ha un Eh sì, lo so (alza le braccia), tanto più se non di- valore potentissimo. La musica è meravigliosafendiamo il “nostro spazio”. Alziamo mura a pro- mente capace di avere tanti ruoli nella vita delle teggere e viviamo la vita attraverso una feritoia. La persone: la distrazione, l’evasione, il ballo! Sento vita metropolitana ha contribuito molto a esaltare che il mio ruolo è questo. Un po’ il carattere e un la rivalità tra di noi, cosa che nella vita di campa- po’ la vita mi hanno portato a raccontare questo gna si percepisce meno. tipo di sensibilità. Ecco, immaginare che questo «Ritorneremo liberi come quelli che non san- disco possa essere utilizzato come terapia per chi no», canti in “La filosofia agricola”. Meglio an- ne ha bisogno sarebbe per me la più grande delle darsene in campagna? soddisfazioni. 23 aprile 2016 55 Noi italiani da sempre supereroi Dal Maciste di Cabiria a Capitan Ventosa, una carrellata degli antenati, straordinari o grotteschi, del Jeeg Robot che con il film di Gabriele Mainetti ha conquistato ben sette David di Donatello di Francesco Gatti ederico Fellini citava Maciste all’inferno (film del 1926, diretto da Guido Brignone) come sua prima memoria cinematografica e fonte di ispirazione, mentre Gabriele Mainetti regista del film del momento strapremiato ai David, Lo chiamavano Jeeg Robot (2015), cita i cartoni animati giapponesi. In entrambi i casi, a distanza di quasi un secolo, il riferimento è però simile: nel sogno e non nella realtà. In entrambi i casi il modello è un eroe dai poteri straordinari. Non vorremmo dunque deludere chi ha visto nell’Enzo Ceccotti, interpretato da Claudio Santamaria, il primo supereroe italiano: la nascita di questo genere avviene molto prima, e si sovrappone quasi a quella della settima arte. Già nel kolossal Cabiria (1914) di Giovanni Pastrone il pubblico restò colpito, più che dall’accuratezza storica dei set, più che dalle didascalie di D’Annunzio, più che dalle innovazioni cinematografiche come i dolly e i carrelli, dall’invenzione di un eroe muscoloso, lo schiavo Maciste, che grazie a Bartolomeo Pagano, ex scaricatore di porto, diventò un campione al botteghino almeno per il decennio successivo, incarnando anche 56 il racconto in fieri di un’Italia nata relativamente da poco e in cerca di forza e di unità. Dopo il fascismo, i telefoni bianchi e la guerra, e dopo la ripartenza in stile verità del neorealismo, quando negli anni cinquanta si rimette in moto la macchina industriale, il cinema ricomincia proprio dai generi, da Maciste, e dai suoi cloni, come Ercole, Ursus e Sansone, dal peplum, film in costume con eroi muscolosi e invincibili come protagonisti. Un filone che i Cahiers du cinéma aiutarono a definire e a far apprezzare, nel 1962, in un numero monografico della rivista. Nelle suggestive, fantasiose e a volte un po’ ridicole articolazioni interne al genere d’azione, accadeva davvero un po’ di tutto. Zack Snyder non ce ne voglia, ma non è stato il primo a far scontrare due buoni nel suo Batman vs Superman: Dawn of Justice (2016). Era già accaduto in Zorro contro Maciste, pellicola di Umberto Lenzi del 1963. Esperimento dopo esperimento, gradualmente spuntò fuori l’eroe col costume, perché i forzuti precedenti avevano solo tunica e sandali, e poi, dalle ambientazioni greco-romane, si passò a un esotico presente in stile James Bond. Come in Superargo contro Diabolikus del 1966 firmato da Nick Nostro, che 23 aprile 2016 pur inserendosi nel filone imitativo degli 007 introduce il tema del fumetto. Il costume di Superargo ricorda da vicino quello de L’uomo mascherato, che con gli Albi Spada era nelle nostre edicole già dal 1962. Che il modello fosse proprio quello ce lo ha confermato lo sceneggiatore Ernesto Gastaldi, che scrisse Flashman, nel 1967, di Mino Loy. guardando alle strisce di Lee Falk. «Il cinema dei supereroi ancora non c’era, i fumetti sì, anche se il film nasce dal desiderio del regista di fare esperimenti con apparizioni e sparizioni, trucchi che si ottenevano con degli specchi semiargentati». In realtà nell’ottobre del 1966 era arrivato, anche nelle nostre sale, il film Batman, tratto dalla serie tv pop e colorata. Non a caso intorno a questa uscita si moltiplicano i supereroi nostrani, più lottatori di wrestling che esseri sovrumani, con zip del costume di carnevale spesso in bella vista: Goldface, Il fantastico superman (1967) di Bitto Albertini, I fantastici 3 Supermen (1967) di Gianfranco Parolini (che diventerà una saga durata fino agli anni 80), Come rubare la corona d’Inghilterra (1967) di Sergio Grieco, e il sequel Superargo - L’invincibile Superman (1968) di Paolo Bianchini. Il genere man mano si sgonfia e arrivan- Donner (1978), che portano ai due epido agli anni della contestazione e della sodi con supereroi di origine immancaliberazione dei costumi troviamo conta- bilmente aliena: Supersonic Man (1979) minazioni eccentriche e aleatorie come di Juan Piquer Simón, e L’uomo puma La donna, il sesso e il superuomo (1967) (1980) di Alberto De Martino. Ma il fuodi Sergio Spina, che guarda anche al co è talmente di paglia che la parodia Blow-Up (1966) di Antonioni; e inevita- arriva subito: nel 1979 esce SuperAndy bilmente si arriva alla parodia, a cartoni, di Bruno Maciste, Ursus e Sansone popolano le Bozzetto, come Vip - Mio pellicole già dal 1916. Negli anni Sessanta fratello superuomo del sono arrivati Goldface e Superargo. Poi comincia la discesa, fino a Capitan 1968. Quando il cinema di ge- Ventosa di Striscia, eroe da umiliare nere, moribondo, spara le sue ultime cartucce, ritroviamo i nostri - Il fratello brutto di Superman di Paolo poveri eroi mascherati anche in peplum Bianchini, con Andy Luotto. Da qui in erotici come Superuomini, superdonne, poi, per oltre due decenni, i supereroi superbotte (1975) di Alfonso Brescia. italiani scompaiono e semmai si fanno Tutto sembra ripartire alla fine degli umiliare in tv a Striscia la notizia, con anni 70, con il successo di Guerre Stel- Capitan Ventosa e a Mai Dire Grande lari (1977), Incontri ravvicinati del terzo Fratello, con Medioman. tipo (1977), con L’Uomo ragno (1977) Tuttavia due episodi recenti potrebbenato in tv, e il Superman di Richard ro non solo far rinascere il genere ma 23 aprile 2016 orientarlo verso canoni riconosciuti all’estero: Il ragazzo invisibile (2014) di Gabriele Salvatores, e il già citato Lo chiamavano Jeeg Robot concepito come una origin story che racconta di come un supereroe ha acquisito i suoi poteri. E a cosa guardano queste due pellicole? Ancora una volta al cinema. Salvatores apparentemente affronta il problema del bullismo e della solitudine adolescenziale col protagonista vessato peggio di Peter Parker, ma in realtà cita E.T. e Spiderman. E anche a Mainetti non è il sottobosco della criminalità romana ad attrarlo, ma semmai Romanzo criminale - la serie (2008). Entrambi si nascondono sotto a un cappuccio, che da Unbreakable (2000) in poi è il cliché per eroi ignari, indistruttibili e metropolitani. Un tempo si mostravano i muscoli. Ora, dentro o fuori, frantumati o interi, sono tutti fatti di cinema. 57 Martinelli: «Il teatro, arte e vita insieme» Il drammaturgo, fondatore insieme a Ermanna Montanari del Teatro delle Albe, ha scritto Farsi luogo, un manifesto poetico e non solo. «Si deve aprire un varco, oggi che tutto sembra chiuso», racconta a Left di Donatella Coccoli uando Marco Martinelli finisce di leggere l’ultima pagina di Farsi luogo (Cue Press), per alcuni minuti, la penombra dell’Angelo Mai sembra conservare il suono delle sue parole. In piedi, in mezzo agli spettatori dello spazio romano, l’artista dispiega un manifesto poetico che al tempo stesso è anche politico. «Più che la messa in scena mi interessa la messa in vita, un corto circuito, un legame infuocato tra gli artisti e i cittadini» dice il drammaturgo che con Ermanna Montanari e altri compagni d’avventura ha reso il Teatro delle Albe di Ravenna una delle realtà culturali più vive d’Italia. Per alcuni giorni la compagnia ha fatto tappa a Roma: oltre alla lettura pubblica di Farsi luogo anche lo spettacolo Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi al teatro Argentina. E dal 27 al 29 aprile, le Albe torneranno all’Angelo Mai con Slot machine. Farsi luogo, pubblicato dalla casa editrice di Mattia Visani, ha come sottotitolo “Varco al teatro in 101 movimenti”. «Varco come una breccia, una fessura che si apre, oggi che sembra tutto chiuso», dice Marco Martinelli. Non si riferisce solo al teatro: è il «pantano italiano di questi ultimi trent’anni» che affiora. Scrive infatti in Farsi luogo: «Non c’è mai stata una seconda, una terza, una quarta Repubblica: si vivacchia in una eterna Tangentopoli, nel Reame della Corruzione e della Truffa, nel Regno di Fandonia e Cerimonia». Come reagisce allora l’artista, cosa significa il “farsi luogo” nei “non luoghi”? «Dopo trent’anni di di teatro - risponde - “farsi luogo” significa non poter separare il creare spettacoli dal creare mondo, 58 23 aprile 2016 comunità, legami. Non mi è sufficiente l’opera, gli spettacoli devono essere la punta scintillante dell’iceberg, ma sotto ci deve essere il mondo che tu crei con la tua energia». Un’attività che non si deve limitare al cerchio degli spettatori, per diventare «una spirale che invade la città e mette le generazioni a contatto tra loro, attraverso i diversi linguaggi», continua Marco. «Così il teatro, non più un passatempo serale un po’ nobile, torna al suo vero luogo, nel cuore della città e delle sue contraddizioni. Il grande teatro da Aristofane e Shakespeare fino a Brecht è stato questo: teatro e società, teatro e polis. La dimostrazione che è ancora possibile che gli esseri umani si relazionino tra di loro là dove l’arte e la bellezza non sono separabili dalla sfera etica che non è una categoria astratta, ma semplicemente è il rispetto dell’altro essere umano». Nel libretto, «sgorgato da solo, in 3-4 mesi tra una tournée e l’altra», si parla di conoscenza (di “sete”) e di necessità di dialogo e di ascolto. Del resto, all’origine del Teatro delle Albe c’è l’ “omaggio” agli asini «condannati ad ascoltare tutti i lamenti» con le loro grandi orecchie (Siamo asini o pedanti, del 1989). Ma oggi la cultura “normale” sostiene che la verità non esiste e che è inutile cercare, facciamo notare. «Non è vero, io parlo invece di retta opinione. Anche se non la vediamo, comunque c’è!», dice ridendo. Poi spiega: «È un desiderio di conoscenza e di amore allo stesso tempo. La sfera conoscitiva è indistinguibile da quella erotica, nel senso proprio affettivo: noi siamo carezze, siamo abbracci. Questa è la nostra sete © Giampiero Corelli e la nostra fame, non certo quella di cui parlano i pubblicitari». Il “farsi luogo” diventa lettura del presente sul palcoscenico, in Slot Machine, con Alessandro Argnani come protagonista. «Vedendo tutte quelle persone, donne, anziani, persi davanti davanti a quelle macchinette mi chiedevo: cosa sono queste vite e dove stanno andando?». Così ha incontrato decine di giocatori d’azzardo, si è fatto raccontare le loro storie. «Nel momento in cui ho cominciato a scrivere io ero un giocatore d’azzardo». Il protagonista, Doriano, contadino mi lancio». È la storia dell’“orchidea d’acciaio”, il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, interpretata sulla scena da Ermanna Montanari. Il film non sarà la ripresa video dello spettacolo, anche se «il fuoco del lavoro è quello: la spinta spirituale e politica che lo percorre». «Ma io nel film riparto da una bambina che si perde in un grande magazzino di teatro, un labirinto, pieno di maschere, costumi, scenografie. Un luogo che è anche un sogno», racconta Marco. Ad un certo punto apre una porta e vede un toro vero, la richiude e scappa. «Finché, attraverso una portici«A 60 anni mi lancio e farò un film. La storia na non entra dentro l’abside di una di Aung San Suu Kyi vista dagli occhi di una chiesa che fa parte del magazzino: bambina. Una favola orientale su una donna che qui trova una carta geografica della con la sua resistenza ha creato arte e bellezza» Birmania. A quel punto, lei, che è stata sempre seguita dalla macchina romagnolo ricco perché i genitori «si erano spac- da presa, si gira e guarda negli occhi lo spettatore, cati la schiena a lavorare la terra», è rimasto lì, in dicendo: “Salve, io sono la vostra nuova maestra e campagna. «Ma vive la dimensione del giudizio oggi vi racconterò di Aung San Suu Kyi e della Birdegli altri, ne ha paura. Una cosa che ci riguarda mania”». La bambina terrà in mano tutta la nartutti perché viviamo in un’epoca in cui il giudizio razione, sarà una favola orientale, continua Marè di una ferocia pazzesca», racconta Martinelli. Al co. I luoghi delle riprese ci sono già: il magazzino suo Doriano accade di vincere, all’inizio, ma poi è quello della compagnia, sterminato, poi il teatro, «entra in un inferno per cui conta solo giocare, dove esiste un’abside del ’200 e infine Punte Albestare davanti alla macchinetta, magari rubando rete, un luogo incontaminato: «Paludi, alberi rami soldi ai fratelli. E perché? Perché lì non c’è giu- picanti, animali: una Birmania a 5 km da Ravendizio, non ci sono gli altri che ti trattano male, lì, na». Aung San Suu Kyi, ha promesso che quando non c’è più nulla. È l’alienazione più assoluta» verrà in Europa andrà a vedere lo spettacolo delle dice serio. Chiediamo infine dei progetti in can- Albe. «Lei - conclude Marco - non è un’artista ma tiere. Ed ecco la novità: un film come regista, il ha creato arte e bellezza nella vita, con la sua reprimo per l’uomo di teatro. «Ad agosto compio sistenza, con il suo non cedere al conformismo». 60 anni», sorride, «e ci facciamo questo regalo, Anche lei è riuscita a “farsi luogo”. 23 aprile 2016 59 CHI È Insieme a Ermanna Montanari, compagna di vita e d’arte, Luigi Dadina e Marcella Nonni, Marco Martinelli fonda nel 1983 il Teatro delle Albe a Ravenna. Tra le opere più importanti, I ventidue infortuni di Mor Arlecchino con Mor Awa Niang, I Polacchi, All’Inferno!, Rosvita. Ricerca linguistica e meticciato teatrale con i griot senegalesi (come Mandiaye N’diaye) e apertura ai giovani con la “non-scuola” sono le caratteristiche di un’esperienza originale che da Ravenna si irradia in tutta Italia. CINEMA La Germania che non chiude gli occhi sul passato Il regista Kraumer ripercorre la battaglia di Fritz Bauer per processare Eichmann di Daniela Ceselli A rriva in sala Lo Stato contro Fritz Bauer del regista italo-tedesco Lars Kraumer, premiato a Locarno 2015. «Oggi la Germania è fiera del suo miracolo economico e orgogliosa di essere la patria di Goethe e Beethoven, ma è anche il paese di Hitler, Eichmann e dei loro tanti seguaci e sostenitori»: queste, all’inizio del film, le parole di Bauer, allora procuratore generale, che chiama i giovani a confrontarsi con luci e ombre del passato, incitandoli a porsi domande e non permettere che la memoria si dissolva nell’oblio. È lui il perno della vicenda: ebreo, comunista, reduce dai lager, incaricato di scovare criminali nazisti fuori dalla Germania e consapevole che alcuni di loro continuano a prestare servizio nell’appartato tedesco. Una lettera, inviata da un esule in Argentina, mette Bauer sulle tracce di Eichmann; l’ideologo e artefice della “soluzione finale” si trova a Buenos Aires sotto falso nome e lì vive con la famiglia e lavora. Il Procuratore vuole sottoporlo a processo in Germania, non ottenendo l’aiuto sperato dallo Stato, che fa di tutto per depistarlo, frustrarne intuizioni e insidiarne tentativi, chiede aiuto al Mossad con gli esiti che tutti conoscono: Eichmann sarà prelevato in Argentina, portato in Israele, sottoposto a processo (15 anni dopo Norimberga), condannato a morte e impiccato. Il regista pedina con scrupolo documentaristico il percorso di Bauer tra indagini, relazio- 60 23 aprile 2016 ni, dichiarazioni, verità taciute e aspri scontri dialettici. Introduce argomenti come l’omertà, l’omosessualità, la politica di riconciliazione di Adenauer e i compromessi del Cdu, ma non si integrano pienamente con la pretesa di verità e giustizia del protagonista e soprattutto il principio di ricostruzione storica non li lascia respirare liberamente. La messa in scena risulta corretta, ma fin troppo televisiva, se non fosse per l’ottima interpretazione di Burghart Klausner, che costruisce su di sé un personaggio ostinato, schivo, sgradevole, ossessionato dalla missione che si è imposto di perseguire. C’è comunque da riconoscere che la Germania culturalmente non volta con supponenza le pagine della storia, ma torna, seppur con esiti non sempre compiuti, a parlare di se stessa e del post-nazionalsocialismo, chissà quando l’Italia riuscirà a farsi qualche domanda sul post-fascismo e il ruolo della democrazia cristiana nella vita nazionale? LIBRI La filosofia di Wittgenstein fatta a strisce Margherita Morgantin rilegge l’opera del pensatore tedesco in un volume di disegni di Filippo La Porta W ittgenstein è, insieme a Heidegger, il filosofo più influente, citato, letto, chiosato, frainteso del Novecento e se proprio dovessimo scegliere tra i due certo la nostra preferenza sarebbe interamente accordata a lui. Anche perché non simpatizzò affatto per il nazismo, rinunciò alla ricca eredità paterna vivendo in modo frugale, insegnò per vari anni come maestro elementare e a Cambridge fu un docente universitario atipico e anticonformista. La sua opera, a partire dal giovanile Tractatus logico-philosophicus (1922) - testo insieme limpido e impenetrabile, costruito su una logica inesorabile e aperto al mistico - ha dato luogo a una infinità di interpretazioni, commenti e letture. Ma se provassimo a commentare il pensatore austriaco con dei disegni (anche tenuto conto che lui era uno straordinario disegnatore)? Questa la sfida dell’artista visiva Margherita Morgantin con Wittgenstein. Disegni sulla certezza (Nottetempo), un testo che vorrei suggerire, tra l’altro, come utile intro- duzione alla filosofia di Wittgenstein. L’autrice ha disegnato innumerevoli tavole, ispirate appunto agli aforismi di Della certezza, scritti tra il 1949 e il 1951 (anno della morte), nei quali si polemizza con il filosofo Thomas Moore e il suo concetto di senso comune. Non è facile descrivere i bellissimi disegni di Margerita Morgantin: semplici e misteriosi, lievi e sapienziali, proprio come gli aforismi che accompagnano. Il suo originalissimo lavoro consiste in una ekphrasis al contrario: se questa intende cercare l’equivalente verbale di una immagine, lei prova a creare l’equivalente iconico di una frase. Solo due esempi, parzialissimi. Sotto la frase di Wittgenstein «Qui è di nuovo necessario un passo simile a quello della teoria della relatività», c’è il grafico delle ascisse, quello delle ordinate e una linea che parte dall’origine e finisce con un fiore. E sotto la frase «In conclusione il sapere si fonda sul riconoscimento» due figure che si abbracciano, fragili, apparse in un bagliore chiaroscuro, e insieme solidissime. ARTE Il fregio di Kentridge per “arte del lavare” Al Macro i disegni e i bozzetti preparatori dell’opera di street art sul Lungotevere di Simona Maggiorelli S i è parlato molto dell’inaugurazione del lungo fregio creato da William Kentridge sul Lungotevere, fra ponte Sisto e ponte Mazzini: un’opera di street art realizzata “per arte del lavare”, potremmo dire parafrasando Michelangelo (che parlava di «arte per levare»). Perché l’artista sudafricano ha tratteggiato sui faraglioni una lunga teoria di icone ispirate alla storia di Roma usando la tecnica dello stencil e un getto di acqua ad alta pressione, per togliere la patina scura che si era depositata nel tempo e far comparire le figure in bianco. Sono emersi così dallo sporco episodi e personaggi della storia antica, accanto a protagonisti di quella più recente, seguendo un canovaccio in cui i nessi sono analogici e non seguono il filo razionale della cronologia. Nel passato di Roma Kentridge ha colto con intelligenza i punti di contraddizione raffigurando, per esempio, il cupolone accanto alla costruzione del ghetto e al rogo di Giordano Bruno. Nei suoi Triumphs and Laments il dramma del filosofo nolano bruciato vivo da uomini di Chiesa è richiamato insieme a quello dei migranti che rischiano la vita in mare, cercando un non facile approdo in Italia. Ma si trova anche vicino alla figura di Giorgiana Masi, la studentessa che fu uccisa proprio a ponte Sisto nel 1977 mentre partecipava ad una pacifica manifestazione dei Radicali. Kentridge riaccende la memoria attraverso flash e subitanee visioni che si susseguono cinematograficamente in rapida sequenza. Colpisce, oltre alla spettacolarità del risultato finale, il fatto che sia un’opera a tempo, volutamente impermanente, destinata a svanire man mano 23 aprile 2016 61 che lo smog tornerà a depositarsi. Resterà di quest’impresa traccia nella memoria del pubblico che l’ha vista dal vivo. E resteranno anche i disegni, i bozzetti e i cut-out che l’artista ha realizzato nei mesi scorsi, molti dei quali sono esposti, fino al 2 ottobre, al Macro. Sono perlopiù disegni a carboncino su carta, grandi fogli rigati e con scritte che evocano gli elenchi del telefono, i tovaglioli e le cartacce su cui, si narra, Picasso disegnasse durante le serate nei caffè di Parigi. Anche il segno di Kentridge negli schizzi ad inchiostro ricorda quello del geniaccio spagnolo quando scarnifica la figura del toro fino a ridurlo a poche linee essenziali. Kentridge ci prova con i cavalli, arrivando a ridurli al loro scheletro, rimanendo però molto più legato alla mimesi di quanto non facesse Picasso. Interessante nei video che accompagnano la mostra al Macro anche il lavoro che Kentridge ha fatto tagliando le figure a pezzi dopo averle disegnate per poi riassemblarle in nuove inaspettate combinazioni dando vita a un immaginifico, dinamico, teatro di ombre e figure. BUON VIVERE SOCIAL Tolstoj: romanzi, caccia e buona tavola Google il futuro di YouTube lo vede a 360 gradi La passione venatoria dello scrittore lo portò a gustare dell’ottima selvaggina La piattaforma video punta su streaming più coinvolgenti. Ecco come di Francesco Maria Borrelli di Giorgia Furlan L ev Nikolaevi Tolstoj. Lo scrittore russo aveva una passione per la caccia e per i piatti di selvaggina. Ricorda il figlio Ilya nel libro Mio padre, Lev Tolstoj: «Lo sport preferito era la caccia con i levrieri. Mio padre a volte tirava abbastanza bene, anche se spesso perdeva la testa e mancava il bersaglio freneticamente». In particolare, «ricordo la caccia alla beccaccia. Fu il 2 o 3 maggio del 1880. Mio padre sparò diversi colpi e abbatté due uccelli», quando all’imbrunire passò una beccaccia, ripartirono gli spari e ci mandò a cercare l’uccello «insieme al cane ma non trovammo alcuna beccaccia». Possibile fosse stato un abbaglio? No, «la beccaccia, nel cadere, si impigliò in una forcella di un ramo proprio in cima a un pioppo» e solo percuotendo forte il tronco «riuscimmo a farla cadere e la portammo a casa in trionfo». Beh, sappiamo che fine avrà fatto quella beccaccia, non certo imbalsamata. Proviamo quindi a cucinarla noi, ripiena e al forno. Ingredienti per 4 persone. Beccacce 4; salsicce 200 gr; pancarrè 4 fette; uova 2; aglio 2 spicchi; pangrattato; salvia; lardo a fette larghe; olio Evo; burro 80gr; sale; pepe; ro- smarino; carote 2; cipolla 1; sedano 1 costa; patate 3; vino bianco. Tritate aglio, salsicce e salvia, impastateli con pancarrè, 1a patata lessa, uova e un filo d’olio: salate, pepate e passate nel pangrattato. Spennellate l’interno delle beccacce con olio e inserite il ripieno nei petti che cucirete: avvolgetele col lardo e mettetele in una teglia. Aggiungete il burro, carote, cipolla, sedano e due patate a pezzi, foglie di salvia, rametti di rosmarino, salate e coprite con carta stagnola. Infornate a 180°C per un’ora, levate la stagnola, aggiungete del vino e proseguite altri 30 minuti o finché le beccacce non risulteranno dorate. Vino consigliato: Montefalco Sagrantino Docg, Milziade Antano Fattoria Colleallodole. «Se la beccaccia è la regina della cacciagione, il Sagrantino è il re dei vini di Montefalco. Nasce da un vitigno autoctono 100% Sagrantino, ha un tannino elegantissimo che pulisce bene la bocca ed una gradazione alta dove l’alcool non stride bevendolo. Il tutto per un vino con un gusto deciso e completo di struttura, colori e profumi», spiega il proprietario Francesco Antano. 62 23 aprile 2016 Y ouTube scende in campo con le dirette streaming a 360°. Il grande banco di prova è stato il famosissimo festival musicale di Coachella che ha utilizzato il nuovo servizio del canale video di Google per rendere ancora più coinvolgente la messa in onda dei live che si sono alternati sul palco. Ma le novità per il canale pioniere nella diffusione dei video in rete non finiscono qui. L’ altra funzionalità implementata dal gigante di Mountain View è il cosiddetto audio spaziale, ovvero la possibilità di ascoltare la diretta di un evento nella stessa qualità in cui lo si potrebbe sentire dal vivo, nella vita reale. «È un perfezionamento che ci consente di offrire un servizio in grado di migliorare l’esperienza online di visione. Per restituire un effetto realistico, la profondità, la distanza e l’intensità giocano tutti un ruolo molto importante» ha spiegato Neal Mohan, Chief Product Officer di YouTube. Novità anche sul fronte della risoluzione dei video in diretta: circa 1440 pixel per 60 frame al secondo che in pratica corrispondo al 70% di pixel in più rispetto all’attuale standard Hd di 1080p. L’obiettivo non è solo rendere l’esperienza video più fluida, ma anche quella di offrire un supporto migliore ai video stream della piattaforma per videogiochi online YouTube Gaming, che conta un pubblico di appassionati in aumento e sempre più esigenti. A chi vorrà sfruttare i prodigi dei video a 360° e della realtà virtuale basterà acquistare una delle nuove telecamere che supportano questa tecnologia (come il Jump Camera Ring), per tutti gli altri che vogliono esserne spettatori basteranno i Google Cardbord, in vendita online a circa 15 dollari sul Google Store. Lo scopo di queste nuove tecnologie in sostanza sembra essere quello di coinvolgere sempre più persone in esperienze nuove e d’impatto, nelle quali lo spettatore diventa in prima persona protagonista. Dalle dirette YouTube ai reportage del New York Times passando per il cinema e i videogiochi, le riprese a 360° sembrano segnare nettamente un nuovo trend che cambierà totalmente il nostro approccio di fronte allo schermo. © Ansa Archivio APPUNTAMENTI Sindona fra mafia, Chiesa e massoneria Diversità e uguaglianza I cult di Bruce Lee e film d’autore dall’Asia Roma - S’intitola Diversità nell’uguaglianza: una utopia possibile il convegno dell’associazione Amore e Psiche all’Università Roma Tre. Il 29 aprile si parla di violenza nei confronti delle donne e di percorsi dell’uguaglianza tra illuminismo e rivoluzione. Gli appuntamenti successivi sono il 6 e il 20 maggio. Udine - Dal 22 aprile a l 30 aprile torna il Far East Festival con 60 titoli tra blockbuster e film d’autore da Cina, HK, Taiwan, Corea del Sud, Giappone, Filippine, Tailandia, Indonesia, Cambogia, Malesia, Singapore e Vietnam. Con restauri di 4K e delle pietre miliari di Bruce Lee. www.fareastfilm.com Roma - All’Istituto dell’enciclopedia italiana il 29 aprile alle 17,30 Emanule Macaluso, con Pierluigi Ciocca, presenta Sindona, biografia degli anni Settanta (Einaudi), il libro in cui Marco Magnani ricostruisce la vicenda del “banchiere di Dio”, fra mafia, Chiesa e massoneria. www.treccani.it © Rolf Konow/SF FILM Il nuovo cinema che viene dal Nord Omaggio a Natalia Ginzburg Roma - Alla casa del cinema, dal 21 al 24 aprile torna il Nordic Film Festival. Tanti i film da non perdere, per esempio, il 23 aprile Rams di Grímur Hákonarson, premiato a Cannes. Il 24 aprile, invece, verrà presentato il film di Bille August Marie Krøyer,dedicato alla storia della pittrice. www. nordicfilmfestroma.com Torino - Fino al 24 aprile Torinochelegge con decine di incontri. Il 23 aprile segnaliamo quello con Fois, e poi iniziative su Cervantes e Shakespeare e su Natalia Ginzburg nella passeggiata letteraria del 23. L’omaggio alla Gizburg si amplia il 4, il 10 e il 18 maggio all’Auditorium Grattacielo. www.torinochelegge.it © Maila Iacovelli © Francesco Pititto Venezia - Immagine. Nuove immagini nell’arte italiana 1960-1969, a cura di Luca Massimo Barbero, propone un’inedita lettura dell’arte italiana attraverso gli anni 60. La mostra punta ad analizzare la nascita di un’estetica originale. Dal 23 aprile al 19 settembre al Guggenheim. www.guggenheim-venice.it Debutta Kinder di Lenz Teatro Parma- I lavori di Lenz Teatro sono noti per il loro taglio poetico, alto, coinvolgente. Il 25 aprile debutta Kinder Bambini sui temi della Resistenza e della Shoah. Sulla tragedia dei bimbi ebrei di Parma, vittime dei nazisti. In scena un coro di voci bianche con Valentina Barbarini. Regia di F. Pititto. www.lenzfondazione.it Gli anni Sessanta e i nuovi linguaggi dell’arte Il romanzo di una vita salvata da Shakespeare Roma - «Ride delle cicatrici chi non è mai stato ferito». Cita Shakespeare Salvatore Striano, per il suo intenso romanzo La tempesta di Sasà (Chiarelettere) che viene presentato il 23 alla libreria Pallotta. È la storia autobiografica di un giovane che, dopo Rebibbia, è riuscito a rifarsi una vita grazie al teatro. 23 aprile 2016 63 TRASFORMAZIONE Fantasia di sparizione e memoria dell’esistenza del corpo, annullando il linguaggio articolato che è ricordo cosciente creano la linea che è la parola del poeta Poesia è scrivere in solitudine. Non è parlare E ra, forse, il suono del vento che condusse nell’aria di Roma l’immagine dell’aula dell’Università di Chieti in cui risuonò la voce che disse: “Un mattino andando in un’aria di vetro, arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me”. Era il 2005. Dopo undici anni la memoria disegna un tempo che non esiste più e la mano scrive le parole silenziose sulla carta bianca. Guardo i gabbiani che intrecciano un volo con un altro facendo figure ovali e rotonde e vedo che le parole di Montale si trasformano, tornano ad essere linee continue e dicono: non è il sorgere del sole, non è camminare, nell’aria fredda del mattino. Subito, come se avessi raggiunto un pensiero forte: non è la descrizione di una percezione della veglia che fa il ricordo cosciente. Non c’è l’oggetto che rassicura l’essere umano quando la coscienza dà un nome ad una realtà vista e udita. La mente, come se fosse quella di un vecchio che nella vita ha pensato poco non ha più la certezza del rapporto cosciente con il mondo e la mano non ha più la sicurezza superba che traccia le lineette assurdamente contorte della scrittura. Un pensiero compare e dice parole strane: l’essere umano, se perde il rapporto con la realtà materiale e il linguaggio articolato, perde l’identità. La memoria suona la canzonetta che si udiva nel 1946 “Solo me ne vò per la città” e compaiono i versi della poesia che la professoressa di italiano mi fece studiare. “Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”. La memoria racconta che, forse, nel 1998, quando lasciai casa sopra l’antico Arco degli acetari, un piccolo appartamento abbandonato mi sedusse perché parlava di solitudine. Gli alberi disseccati divennero, negli anni, foglie verdi dalle forme infinite che nascondevano uccelli che non volevano farsi vedere quando cantavano il loro linguaggio senza parole, diverso l’uno dall’altro. E, forse, il frusciare che emergeva dai cespugli, il fischio del merlo, il battito del becco del picchio parlavano, nel bosco che circondava il castello, della contessa bella dai capelli neri. Sentivo il mondo della pazzia invisibile che si muoveva negli occhi neri ma non avevo le parole per pensarlo. Mi appoggiavo agli alberi sottili, che quando giungeva il vento, mi facevano ondeggiare ma non persi l’identità ricreata con la scomparsa della fanciulla dell’amore di un anno. Poi la pazzia ebbe il regalo della parola e vidi la schizofasia che era schizofrenia. 64 23 aprile 2016 Cinquanta è il numero che il vento ha disegnato sul pavimento della terrazza con le foglie secche cadute nell’autunno passato. La memoria, con il suono delle foglie nuove che nascono dai rami pieni di linfa, canta il tempo passato con una nenia che, quando diventa parola... ”il cor mi si spaura”. Dice per l’ennesima volta, fantasia di sparizione. Ballano intorno tenendosi per mano, le tre fanciulle che dissero insieme, con una sola voce ad un parlare senza parola: non è linguaggio umano. Ancora certo della mente che non si è mai dissociata, penso al mio linguaggio inconsueto che è diventato sempre più incomprensibile. Si è tolto dall’indicare gli oggetti dando ad essi un nome. Dopo che tanti mi avevano detto: non hai detto nulla, altri diventando cortesi decisero, lucidamente, che dovevo morire... dovevo impazzire, la mente doveva cadere nel delirio e nella dissociazione verbale. Ma lo psichiatra non era stato mai travolto, negli anni sessanta, dalla cultura che aveva distrutto il linguaggio articolato che dava nomi alla realtà materiale. Aveva sempre ricordato i rari “alienisti” che avevano tentato di dare un nome al mistero della pazzia, oltre la strana fantasticheria senza fantasia che diceva: lesione cerebrale, serotonina ecc. o possessione demoniaca. Dissero: demenza precoce, psicosi maniaco-depressiva, schizofrenia. Mi volsi verso il mistero oscuro della mente senza coscienza detta sempre luogo di mostri e del male. Osservai, pensai senza credere, e portai il linguaggio articolato alla realtà materiale senza coscienza. Sparivano i termini verbali che definivano, clinicamente, la malattia mentale perché erano nomi che indicavano una realtà della manifestazione sensibile percepita. Dissi: fantasia di sparizione. Tantissimi mi dissero, per quarant’anni, “che hai detto?”. Sei incomprensibile. Poi dopo decenni, dissero: ero malato senza speranza, ora sto bene. Continuo a non comprendere... capisco sempre meno ma sto sempre meglio. Hai modificato sempre di più il linguaggio scritto. Quando ti vediamo e parli e ascoltiamo è tutto bello. Penso e vidi l’orrenda realtà della cultura che favoriva il linguaggio verbale dissociato. Dissi: NO. Tornano i versi di Leopardi e Montale che scrivono in un linguaggio incomprensibile. Non dà nomi alle realtà materiali del corpo umano. Dieci anni fa, a Chieti, dissi che: “mattino” non era il mattino, andando non era camminare “l’aria di vetro” non era di vetro. Non dissi anaffettività, separazione dalla notte con pulsione di annullamento del mondo. Massimo Fagioli psichiatra Poi il pensiero ritorna ad un tempo più antico l’adolescenza quando, tra Dante e Omero, mi dissero di ripetere le parole misteriose che non davano un nome a realtà materiali viste dalla coscienza. La memoria mi dice di pensare a quando comparve nella mente cosciente il linguaggio mai udito e imparato: fantasia di sparizione. Univa due parole che avevano sempre avuto significati opposti. Sembrò che fosse la prima volta, tale fu il tempo non esistente dell’istante che la mente non ricorda. Ero certo che, nel corpo umano non c’era il nulla ma la capacità di immaginare che creava l’esistenza dell’umano con la memoria della sensazione della pelle del feto. Venne la memoria del 1984 quando celebrai la primavera ricordando l’Infinito di Leopardi. Ma, nel 2012, oltre la memoria della solitudine dell’ “ermo colle”, il respiro si fermò, i muscoli non si mossero più, la stazione eretta aspettò che il vento spingesse il corpo a stendersi lungo, orizzontale sulla terra da cui ero venuto. Erano parole che avevano soltanto un suono. Incomprensibile alla coscienza che diceva... era soltanto fantasia che non parlava di nessun oggetto materiale ricordato. Il ricordo di Montale che disse “Un mattino andando in un’aria di vetro, arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, con un terrore di ubriaco”, scompare e vengono le parole ancora più misteriose, e incomprensibili. Ma sedendo e mirando interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura”. “inconscio mare calmo”, scomparso negli anni passati aveva lasciato, trionfante, fantasia di sparizione. 2016, sembrò che le nuove dieci e quattro parole l’avessero abbandonata nella vecchia soffitta di diciassette anni fa. Non ero turbato perché il termine rinnovamento si era trasformato nella parola ricreazione. Veniva la brezza fresca del ponentino romano e le parole di tanti sto bene, e sempre meglio, eliminavano la solitudine. Dimentico Montale che parla di “nulla, vuoto e terrore di ubriaco”. In un istante senza tempo Torna Leopardi il cui «ermo colle» con la carezza delle parole compare la che dicono: essere separato dal mondo umiliano il linguaggio nuovo che diceva soltanto: memoria dell’esperienza vissuta. E vedo le parole che alla coscienza semveglia ed il mobrano linguaggio imparato e ricordato “...spazi...silenzi...quiete...”, come se non fossero vimento dice che il distinte l’una dall’altra perché c’è soltanto una linea continua ondulata che è suono. corpo si sposta nello Allontano il poeta... “andando in un’aria di vetro...” e sento il cervello uguale spazio. Sparisce il silenal cuore rosso che piange lacrime di sangue per aver detto tante volte che la poesia ha un linguaggio che è solo suono. Ho visto che dalla mano di Leozio della vita e le immagini pardi è nato un linguaggio che con il suono dà un senso ad una irrealtà silenziose vagano nella mente che non è stata mai pensata. Forse invidioso, avevo pensato che “colle, in cerca di parole. Ma la sonosiepe” erano ricordi coscienti. Senza tristezza porto ad onorare “ermo colle”, con i miei “venti rità del pensiero cosciente che secondi”, “sovrumani silenzi”, interminati spazi con pulsione ama le cose morte le travolge con la di annullamento; profondissima quiete con il neonato che sua freddezza e scompaiono. Uomini non contrae i muscoli. Realtà del sonno. L’uomo che dorme. Chiedendo all’indifferenza di non essere anaffettività, solitari creano parole uguali ad altri che si penso al termine “creazione” e rabbrividisco ricordanpresentano agli occhi e sono senza signifido il mistero.”... E mi sovvien l’eterno...”. cato. Hanno un suono che è una linea continua Esiste una carenza che chiama il non umano che non è la natura animale e vegetale? No. È segnata con la mano che si muove sempre facenla vita e le morte stagioni, è il divenire, è la do cime e valli della montagna più alta dove non c’è resurrezione delle mie piante a primavera più il respiro. Ricreare. “gli uomini che non si voltano” e la loro “morte” che è letargo perché la fanno il rumore di una voce che ha perduto la capacità nascita non è la morte. La verità umana non è il nulla alle spalle, il vuoto di immaginare. Il sogno “amore prima insegnommi, e poi dietro di me. lasciommi in pianto”. 23 aprile 2016 65 IN FONDO A SINISTRA di FABIO MAGNASCIUTTI 66 23 aprile 2016 210x280,5_IlTest_Istituzionale.indd 1 04/04/16 17:56