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con il contributo di Ascanio Celestini, Chiara Saraceno e Nadia

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con il contributo di Ascanio Celestini, Chiara Saraceno e Nadia
23 APRILE 2016
NUMERO 17 | SETTIMANALE
€ 2,50
60017
9 771594 123000
con il contributo di Ascanio Celestini,
Chiara Saraceno e Nadia Urbinati
BioBottle Sant’Anna.
Per il benessere di mamme e bambini.
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Senza una sola goccia di petrolio.
www.santanna.it
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Il tappo è in PE e deve essere conferito nella raccolta differenziata della plastica.
ONDA PAZZA
di MAURO BIANI
23 aprile 2016
3
SOMMARIO DEL NUMERO 17 - 23 APRILE 2016
Numero difficile, perché quando tutti
vincono - i rederendari con 15 milioni
di voti, gli astensionisti che hanno
impedito il quorum - non vince la
verità. Chiara Saraceno ce lo racconta, il referendum No Triv, a modo suo.
Nadia Urbinati spiega che, vi piaccia
o no, questo era solo l’antipasto della
madre di tutta le battaglie, il referendum costituzionale, per il quale Renzi
si gioca il collo. E così facendo evita
che se ne parli nel merito. Vecchia
tecnica.
Insomma ci chiedono di seppellire
la Costituzione nata dalla Resistenza. Talmente grossa che Vauro, in
copertina, scrive “Non ci arRenziamo”. Ascanio Celestini, invece,
racconta le sue conversazioni con
Andrea Camilleri. E quando gli parlò
di un paesino delle colline metallifere dove, ammazzati dai nazifascisti,
finirono gli operai che difendevano le
miniere. Oggi non ti ammazzano col
plotone e i fucili puntati ma muori di
lavoro, muori di mancate protezioni,
muori perché il denaro è re e il lavoro
sembra tornato solo una variabile
dipendente.
Una goccia di sangue ci salverà? Può
darsi, ci spiega Pietro Greco. Pare che
nel sangue siano marcati i segni del
tumore che arriva. Controllare, prevenire, curare. Ma quanto costa e quando? Poi, dai, Left è anche da leggere,
parliamo di supereroi, prima e intorno
a Lo chiamavano Jeeg robot, che ha
vinto 7 premi al David di Donatello.
Damasco com’è, cosa si dice in Egitto
su the young italian man, il nostro Giulio Regeni, e Giulio Cavalli che indaga
sull’eredità di Gianroberto Casaleggio:
c.m.
come cambieranno i 5 stelle?
03 ONDA PAZZA di Mauro Biani
05 IL COMMENTO di Ilaria Bonaccorsi
06 LETTERE
07 PICCOLE RIVOLUZIONI di Paolo Cacciari
07 IL NUMERO
07 LA DATA
PRIMO PIANO
20
SOCIETÀ
26
L’eredità di Casaleggio:
un ottimista in rete
di Giulio Cavalli
Bologna, la sfida a sinistra
di Edoardo Barbi
Se l’Austria alza il muro
di Giacomo Zandonini
26
29
32
ESTERI
36
Cittadini del mondo
allo Student Hotel
di Giorgia Furlan
36
Quel prezzo troppo alto
per il Sì di Erdogan
di Uski Audino
40
The young italian man, Giulio Regeni
di Michela AG Iaccarino
42
New York ha parlato
di Corradino Mineo
44
CULTURA E SCIENZA
54
07 UP&DOWN
08 FOTONOTIZIE
12 PARERI di Paolo Guerrieri
34 VAURANDOM di Vauro Senesi
36 PARERI di Vito Laterza
60 LIBRI di Filippo La Porta
60 TEATRO di Massimo Marino
4
La Costituzione imposta
che dividerà i cittadini
di Nadia Urbinati
12
Numeri, trivelle e proclami di vittoria
di Luca Sappino
16
Ho votato e non pensavo a Renzi!
di Chiara Saraceno
18
Resistenza ed etica del lavoro
di Ascanio Celestini
20
Santa Libera dei Ribelli:
partigiani dopo la Resistenza
di Raffaele Lupoli
23
23 aprile 2016
Una goccia di sangue contro il cancro
di Pietro Greco
48
La scrittrice Suad Amiry racconta
Damasco
di Simona Maggiorelli
51
Niccolò Fabi: Libertà è consapevolezza
di Tiziana Barillà
54
Noi italiani da sempre supereroi
di Francesco Gatti
56
Martinelli: Teatro, arte e vita
58
di Donatella Coccoli
61 ARTE di Simona Maggiorelli
62 BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli
62 TELEDICO di Giorgia Furlan
63 APPUNTAMENTI
64 TRASFORMAZIONE di Massimo Fagioli
66 IN FONDO A SINISTRA di Fabio Magnasciutti
IL COMMENTO
di Ilaria Bonaccorsi
LA “TROPPA DEMOCRAZIA”
E L’ARTE DI TENDERE LA STORIA
Referendum e Costituzione, Costituzione e Resistenza. Resistenza e democrazia. E, persino, vita
e Resistenza. Volevamo mettere insieme tutto
questo. Per il 17 aprile scorso, per il 25 prossimo e
per l’ottobre che verrà. Settimana difficile questa,
al solito. Ma per quelle facili non è tempo. Perché
resistere oggi non vuol dire difendere la libertà, ci
racconta Ascanio Celestini, ma il lavoro. Persino
dalla morte. Quella fisica. Come a Taranto. Lavorare e morire insieme. Come un tempo a Niccioleta. Lo leggerete. La Resistenza del Terzo millennio vuol dire riuscire a “tenersi” un lavoro anche
se fa morire te e i tuoi cari. Vuol dire resistere “in
vita”. Come non sono riusciti a fare quei 400 in
mare. E vuol dire anche resistere, come scrive
Nadia Urbinati, a quelli che impegnati “a fare” ti
chiedono di non rompere troppo le scatole. Di
non chiedere troppo, di non volere troppo. Semmai la vita, quella fisica. Per il resto c’è tempo. E
ci pensano loro, perché loro “fanno”: «Ciascuno
faccia il proprio lavoro, noi “facciamo” e governiamo e voi “fate” i vostri interessi e lavorate; è
sufficiente che voi designiate con il voto ogni
cinque anni una classe di politici, ed è desiderabile che rompiate poco le scatole tra un’elezione
e l’altra e per questo, che il vostro vociare venga
ben filtrato e tenuto in sordina. Noi penseremo al
vostro bene, noi sbloccheremo il Paese - voi fidatevi e lasciateci governare», così leggerete su Left
di questa settimana. “Si prega di non pensare”,
sembra ci dicano i nostri governanti.
Resistenza, vita e lavoro nello scritto di Celestini.
Resistenza rifiuto e amore per la “troppa democrazia” in quello della Urbinati. Per Left è impossibile
“non pensare”. Siamo come i partigiani di Santa
Libera che si ribellarono a Togliatti, di cui scrive
Raffaele Lupoli. Utopici e irragionevoli, non riusciamo a non pensare. Qualche giorno fa qualcuno
ci scriveva irridendo la parola “democrazia”, che
valore ha la democrazia dunque? Ecco, per noi ne
ha uno grande. Immenso. Non è tempo per scherzare. Con la democrazia. Non è tempo per non capire che solo lei è garante di uguaglianza e libertà,
ed è garante di vita per una Sinistra che è venuta
e troverà anche rappresentanza politica. Perché,
come scrive sempre la Urbinati, questo governo
con questa riforma costituzionale sembra voglia
portare «a compimento l’idea della Trilaterale che
nel 1975 lanciò il progetto di domare i movimenti
di critica e di contestazione, accusati di destabilizzare i governi con le loro richieste di giustizia
sociale e le lotte per i diritti civili. Come scriveva
Samuel Huntington nel documento della Trilaterale che si intitolava La crisi della democrazia (“crisi” perché vi erano troppo attivismo dei cittadini e
troppe richieste della società) i cittadini vogliono
sapere troppo, anche ciò che è prudente che solo i
governi sappiano. La troppa democrazia è stato il
costante problema dei conservatori a partire dalla
fine della Seconda guerra mondiale - e la lotta per
cambiare le democrazie parlamentari è parte di
questo progetto». La “troppa democrazia” è stato
il costante problema dei conservatori. Anche dei
nostri “giovani” conservatori di potere (e non di
democrazia), perché nel disprezzo del «ciaone»
di Carbone non c’è “troppa democrazia”. Nella
definizione di «referendum bufala» di Renzi non
c’è “troppa democrazia”. Come anche nell’invito
all’astensionismo di Napolitano non c’è “troppa
democrazia”. Mentre nello scritto che ci ha inviato nella notte Chiara Saraceno, chiedendoci se ci
interessasse pubblicarlo, sì, c’è troppa democrazia. «Non mi indigno quindi per il fallimento del
referendum ad opera dei non votanti. Mi indigno
che Renzi (con il sostegno, ahimé, di Napolitano)
abbia dichiarato stupido, vittima di una bufala,
chi è andato a votare nel merito e populista chi lo
ha incoraggiato a farlo. Non è un messaggio destinato a rafforzare la fiducia dei cittadini verso la
politica e le istituzioni e a incoraggiare la cittadinanza attiva».
Si impone, arrivati a questo punto, un nostro “ciaone”, ideale e gentile, alla ganga governante, dobbiamo fare davvero troppe cose in questi mesi. E ve
le dobbiamo raccontare tutte. Resistere, per Left,
vorrà dire esercitare «l’arte di tendere la Storia»,
come ci racconta Pino Tripodi a pagina 25. Perché
il tempo per noi è prezioso. Non è denaro.
23 aprile 2016
5
Lettere
DIRETTORE
Corradino Mineo
[email protected]
VICE DIRETTORE RESPONSABILE
Ilaria Bonaccorsi
[email protected]
REDAZIONE
Una poesia di Baudelaire
per il mare dopo la delusione
del referendum
Tiziana Barillà
[email protected]
Donatella Coccoli
[email protected]
Ilaria Giupponi
[email protected]
Raffaele Lupoli
[email protected]
Simona Maggiorelli
[email protected]
Luca Sappino
[email protected]
TEAM WEB
Martino Mazzonis
[email protected]
Giorgia Furlan
[email protected]
GRAFICA
Alessio Melandri (Art director)
[email protected]
Antonio Sileo (Illustrazioni)
Monica Di Brigida (Photoeditor)
[email protected]
Progetto grafico: CatoniAssociati
EDITORIALENOVANTA SRL
Società Unipersonale
c.f. 12865661008
Via Ludovico di Savoia 2/B
00185 - Roma
tel. 06 91501100
[email protected]
Amministratore delegato:
Giorgio Poidomani
REDAZIONE
Via Ludovico di Savoia, 2B - 00185 - Roma
tel. 06 91501239 - [email protected]
PUBBLICITÀ
Federico Venditti
tel. 06 91501245 - [email protected]
ABBONAMENTI
Dal lunedì al venerdì, ore 9/18
[email protected]
STAMPA
Nuovo Istituto Italiano
d’Arti Grafiche S.p.a.
Via Zanica, 92 - Bergamo
Coordinamento Esterno:
Alberto Isaia [email protected]
DISTRIBUZIONE
Press Di
Distribuzione Stampa Multimedia Srl
20090 Segrate (Mi)
Registrazione al Tribunale di Roma
n. 357/1988 del 13/6/1988
Iscrizione al Roc n. 25400 del 12/03/2015
QUESTA TESTATA NON FRUISCE
DI CONTRIBUTI STATALI
Copertina: Vauro Senesi
CHIUSO IN REDAZIONE
IL 19 APRILE 2016 ALLE ORE 21
6
Tanti sono i poeti che, con rime struggenti, si ispirano a lui. Tanti sono i pittori
che, con impetuose pennellate, gettano
i suoi mutevoli colori su tele vuote... la
storia dell’arte è colma di lui. Fogli e fogli
di pentagrammi sono fitti di note marine.
Anche il fotografo più inesperto, non perde occasione per cogliere scatti che sa che
gli rimarranno nel cuore. È compagno
ideale delle nostre agognate vacanze, e le
sue lunghe battigie sono sempre lì, disponibili, per le nostre passeggiate. Quante
volte, lui, è stato galeotto supremo di baci
rubati, di amori appassionati, di cuori
infranti. I bambini, spensierati nella loro
essenza così pura, semplice, spontanea,
giocano con lui perché sanno di potersi
fidare. Non ne hanno paura. Forse risulterò troppo rigorosa e più poetica che
politica dinanzi a questo argomento, ma
voglio dire quello che sento e penso.
Tutto questo lo scrivo perché sono indignata e delusa di fronte al flop referendario, di fronte a quegli italiani “ignoranti”
che non hanno avuto coraggio e passione
di andare a votare, creando così anche un
flop economico. Si, perché i referendum
costano alle tasche del nostro Bel Paese
già abbastanza maltrattato.
Li invito, così, a leggere questa poesia di
Charles Baudelaire perché, forse, il mare,
non lo amano poi così tanto!
«Uomo libero, sempre amerai il mare!
Il mare è il tuo specchio, tu contempli la
tua anima nell’infinito muoversi della sua
onda, e il tuo spirito non è un abisso meno
amaro.
Ami tuffarti in seno alla tua immagine.
L’abbracci con lo sguardo, con le braccia,
e con il cuore a volte distratto dal proprio battito al rumore di questa distesa
indomabile e selvaggia. Siete tutti e due
tenebrosi e discreti.
Uomo, nessuno ha mai sondato il fondo
dei tuoi abissi!
Oh mare, nessuno ha conosciuto le tue
intime ricchezze, tanto siete gelosi di custodire i vostri segreti!
Eppure ecco che vi combattete da secoli
23 aprile 2016
[email protected]
immemorabili, che vi combattete senza pietà nè rimorso, talmente amate la
carneficina e la morte, o lottatori eterni, o
fratelli implacabili!»
(Charles Baudelaire, “L’uomo e il mare”)
Silvia Verzilli
Confindustria Sicilia
e la separazione dal passato
A proposito dell’articolo “L’antimafia degli
affari tutta chiacchiere e distintivo” pubblicato su Left del 26 marzo, riceviamo da
Confindustria Sicilia
Dal 2004 Confindustria Sicilia, partendo
da Caltanissetta, allora guidata da Antonello Montante, ha segnato una netta
linea di demarcazione con il passato,
buttando fuori dall’associazione alcuni
potentissimi colleghi, imprenditori che
avevano rivestito ruoli apicali negli organi
associativi regionali e che, come hanno
sottolineato alti magistrati in occasioni
pubbliche, grazie al metodo mafioso e a
protezioni politiche, avevano creato un
sistema di potere di portata regionale se
non nazionale. Tale rigenerazione non
è stata frutto di un pacifico e indolore
processo democratico, ma l’esito di un
vero e proprio braccio di ferro… A chi
giova, dunque, infangare e distruggere
ciò che Montante e Confindustria Sicilia
hanno fatto in questi anni? A chi giova
confondere le acque rendendole torbide? È risaputo che la mafia agisce in due
modi: uccide o si vendica screditando,
“mascariando”.
Nessuna voglia di “infangare” né di “mascariare”, resta che Antonello Montante è
sotto indagine per concorso esterno con la
mafia, che Ivanhoe Lo Bello è indagato per
una “associazione a delinquere” che avrebbe costituito insieme ad alcuni protagonisti dello scandalo Guidi-Gemelli. Certo,
ogni indagato è da considerarsi innocente
fino all’eventuale condanna. Ma il dovere
dell’informazione è di non tacere e non
presumere che i magistrati siano mossi da
intenti reconditi o inconfessabili.
c.m.
PICCOLE RIVOLUZIONI
di PAOLO CACCIARI
© Arcaini, Angelo Carconi/Ansa
QUANTI FICHI E CHE MERAVIGLIE
NEL GIARDINO DI POMONA
A Cisternino, nel cuore della Valle d’Itria, è sorto un
conservatorio botanico a pieno campo che è assieme un
centro di studi scientifici, un laboratorio didattico, un
centro culturale, un museo etnografico, un’arca di dieci ettari per cultivar antiche e rare. Si chiama I giardini
di Pomona, in onore della dea romana dei frutti. È una
Onlus (www.igiardinidipomona.it), fa parte dell’associazione nazionale per la valorizzazione della biodiversità,
della Rete delle masserie didattiche della Puglia e della
Rete mediterranea delle città del fico. L’ha creata più di
dieci anni fa Paolo Belloni, un ricercatore del Nord che si
è trasferito qui per trovare un sito idoneo per la sua missione: salvare il patrimonio genetico delle specie coltivabili eroso dalla perdita di fertilità dei suoli, dalla salinizzazione delle falde, dall’impoverimento microbiologico,
dalla chimicizzazione dell’agricoltura industriale, oltre
che dalla perdita di cultura contadina. Vorrei che immaginaste cosa sono in questi giorni di primavera I giardini
di Pomona. Colori, profumi, fragranze, canti di uccelli e
insetti che si sprigionano da oltre 1.000 varietà di piante fruttifere arboree messe a dimora. Una, fra tutte, è la
più amata da Belloni: Ficus carica (il fico), perché - mi
dice - «oltre a produrre un frutto squisito, è la pianta più
parsimoniosa e generosa che ci sia». La sua collezione ha
raggiunto le 560 varietà di fichi afgani, bosniaci, francesi,
portoghesi, albanesi, israeliani e naturalmente italiani. Si
tratta di una delle più importanti raccolte del mondo. Assieme a colleghi in Francia, Danimarca, Malesia ne studia
i comportamenti in condizioni diverse. Il fico è un piccolo
scrigno di tesori di elementi organolettici utili all’alimentazione e alla salute. Contiene più potassio delle banane,
più vitamina A dei kiwi, più fibre, calcio e minerali vari.
Soprattutto, l’albero è rustico, resistente ai cambiamenti
climatici, ai venti salini, cresce nei terreni pietrosi, non ha
necessità di essere impollinato dalle api, è facile da riprodurre. Quando l’essere umano avrà distrutto ogni forma
di vita intorno a sé, il fico (anche essiccato e conservato) ci salverà. Ma a Pomona c’è anche una collezione del
melograno (Punica granatum), una di melo e pero, una
di agrumi protetti da muretti a secco. Sta prendendo corpo un progetto di Foresta alimentare in aridocoltura (peramcoltura in condizioni estreme). I giardini di Pomona
sono meta di visite guidate e attività pratiche delle scuole
e di visitatori che possono così vedere una sorta di catalogo delle buone pratiche e delle tecnologie attualmente
disponibili per la conservazione della vita sul pianeta. Per
questo al centro di un labirinto di lavanda è stato messo
a dimora un simbolo universale della pace: il cachi di Nagasaki, figlio di una piantina scampata alla bomba e ritrovata fra le macerie. Era il 9 agosto del 1945.
LA DATA
IL NUMERO
26
aprile
1986
28%
Nella centrale nucleare di
Chernobyl, nell’Ucraina settentrionale, all’1 e 23 si verifica una violenta esplosione nel
reattore nr. 4. Da qui l’incendio e l’immissione nell’aria di
materiale radioattivo che contaminò i terreni e che provocò
l’evacuazione di oltre 300mila
abitanti. Il rapporto del Chernobyl Forum conta 65 morti
accertati e più di 4.000 casi di
tumore della tiroide fra quelli
che avevano fra 0 e 18 anni al
tempo del disastro. Secondo
Greenpeace la stima in 70 anni
è molto più grave: 6 milioni di
vittime. I Verdi europei hanno
calcolato invece una stima tra
le 30 e 60mila morti presunte.
È la percentuale degli italiani
che riesce a leggere solo frasi
brevi o singole parole ma non
un libro o un testo complesso. Sono i risultati dello studio
Adults skills in Focus pubblicato dall’Ocse-Piaac e che analizza persone dai 16 ai 65 anni
con dati che risalgono al 2013.
Mentre l’analfabetismo totale è scomparso, rimane una
fetta di popolazione vittima
del cosiddetto analfabetismo
di ritorno. Un fenomeno che
molti anni fa già denunciava
il linguista Tullio De Mauro
e che a quanto pare è ancora
molto presente in un Paese in
cui non si investe in formazione continua.
UP
DOWN
Ranieri eroe del Leicester
Bertinotti testimonial di Cl
C’è un italiano che in Gran
Bretagna è l’uomo dell’anno.
È Claudio Ranieri, 64 anni,
allenatore del Leicester, una
squadra “non miliardaria”, che
lottava per non retrocedere
e che adesso si trova a + 5 in
classifica. Non sarà facile arrivare alla vittoria, ma Ranieri,
bistrattato dalle squadre italiane come l’Inter o la Roma si
sta prendendo la sua rivincita.
Ha creato un ottimo rapporto
con la squadra e ne va fiero.
«I giocatori hanno il mio stesso temperamento, credono
che nella vita il carattere, la
tenacia, l’umiltà siano molto,
quasi tutto», ha detto in una
intervista a la Repubblica.
Lui la gramsciana (!) «connessione sentimentale» con il
popolo l’ha trovata. L’ha ritrovata, per la precisione, l’anno
scorso al Meeting di Comunione e liberazione. Così come è
rimasto colpito dalla «capacità
di prevedere il futuro» di don
Giussani ieri e di don Carròn
oggi, leader spirituali di Cl. Lui
è Fausto Bertinotti, segretario
di Rifondazione comunista
dal 1994 al 2006 e per qualche
anno, personaggio politico
che aveva incarnato le speranze della Sinistra. La quale però,
secondo Bertinotti, politicamente adesso «è morta». La
dimostrazione è che lui va in
tour col libro di Julian Carròn?
23 aprile 2016
7
FOTO NOTIZIA
SIRIA
RITORNO A PALMIRA
CON QUEL CHE RESTA
14 aprile 2016. Tappeti, qualche coperta, un frigorifero.
Una famiglia siriana torna là
dove c’era la sua casa per recuperare i ricordi di una vita.
Alle loro spalle, la cittadella di
Palmira, nella provincia centrale di Homs in Siria. Dall’inizio della guerra in Siria,
nel 2011, la storica cittadella
di Palmira ha subito molte
distruzioni: il tempio di Baalshamin risalente al II secolo a.C. e anticamente adibito
al culto del dio Mercurio, il
tempio di Bel, uno dei più
importanti edifici del sito archeologico siriano dedicato al
dio Bel, l’equivalente del dio
Zeus per i greci e Giove per i
romani, risalente al I secolo
a.C. Secondo il quotidiano
britannico The Independent,
i reperti delle rovine sono già
in vendita sul mercato nero
internazionale. Il 27 marzo
l’esercito regolare siriano ha
annunciato la riconquista di
Palmira e del suo sito archeologico, che dal 21 maggio
2015 erano nelle mani dell’Is.
Foto di Hassan Ammar, AP Photo
PARERI
ECONOMIA
di Paolo Guerrieri
L’alternativa economica
al “ristagno secolare”
L
a crescita dell’economia mondiale
continua, ma la sua dinamica già modesta potrebbe affievolirsi ulteriormente a causa di una serie di rischi
crescenti, di natura reale e finanziaria, che
minacciano da vicino Paesi avanzati e Paesi
emergenti. Questo è il messaggio, tutt’altro
che rassicurante, emerso dai Rapporti e dagli
incontri del Fmi e della Banca mondiale svoltisi la scorsa settimana a Washington. Il risultato è che circa 44 milioni di cittadini sono attualmente disoccupati nei Paesi avanzati, con
un incremento stimato di 12 milioni di posti
di lavoro persi rispetto al 2007, mentre l’inflazione ha raggiunto i livelli più bassi dai tempi
dell’inizio della crisi.
Il perché di andamenti così deludenti è presto
detto: c’è una carenza di domanda aggregata
a livello mondiale che finisce per deprimere
produzione e occupazione. La debole domanda complessiva per consumi e investimenti è
dunque alla radice dell’attuale anemico sentiero di crescita mondiale. Tanto che ormai si
parla di uno scenario di “ristagno secolare”
come una concreta inquietante prospettiva a
medio termine per la maggior parte dei Paesi
avanzati e non. Dovesse consolidarsi porterebbe a una ulteriore caduta degli investimenti rispetto ai livelli già molto bassi di oggi e
renderebbe pressoché impossibile recuperare
livelli di occupazione vicini a quelli precedenti
la crisi. Certo con significative differenze, come
sempre, da Paese a Paese. L’economia americana, ad esempio, presenta condizioni economiche di fondo sicuramente migliori di quelle
europee. Non tali, tuttavia, da poter evitare
negli Stati Uniti come in Europa una rinnovata modesta dinamica dei salari e una ulteriore
crescita delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito. Un fenomeno quest’ultimo che
ha fortemente contribuito alla debolezza della
domanda aggregata e dell’economia globale.
10
23 aprile 2016
Di fronte allo spettro del “ristagno secolare”
la risposta della politica economica in tutti i
Paesi avanzati è stata per ora debole. Non si è
finora andati oltre l’implementazione di politiche monetarie ultra espansive di natura non
convenzionale (Quantitative easing, Qe).
Pur se utili a evitare una nuova grande depressione, le politiche Qe per i loro intrinseci
limiti non sono riuscite a rilanciare stabilmente la crescita, dal momento che hanno
favorito molto di più i mercati finanziari che
l’economia reale. Com’è noto servirebbero politiche in grado di sostenere più direttamente
la domanda aggregata, come politiche fiscali
espansive, politiche di redistribuzione del reddito e, soprattutto, politiche dirette a realizzare
investimenti pubblici rivolti a soddisfare Non basta il quantitative
grandi bisogni col- easing: servono politiche
lettivi, come infra- fiscali espansive,
strutture materiali e redistribuzione del reddito
non, ricerca e edu- e soprattutto investimenti
cazione, mobilità e pubblici. Per ricerca,
sanità. Quest’ultimi mobilità, educazione, sanità
vengono invocati anche nell’ultimo Rapporto del Fondo monetario internazionale, ove si dimostra come tali
investimenti potrebbero essere agevolmente
finanziati nell’era dei tassi di interesse zero e
potrebbero anche contribuire - in presenza di
larghi margini di capacità produttiva inutilizzata - a ridurre il debito dei Paesi che li realizzino, generando reddito, produzione e occupazione aggiuntiva.
Esistono, in conclusione, alternative economiche percorribili all’approccio dominante.
Il problema è la forza dei gruppi di interesse
a livello nazionale e internazionale che si oppongono con successo alla loro realizzazione.
Anche se al prezzo di rischi crescenti per il futuro dell’economia mondiale.
PARIGI
di Vito Laterza
A proposito di “Nuit debout”
Non basta la protesta spontanea
N
uit debout è l’ultima incarnazione
delle forme di protesta spontanea di
massa che si diffondono con sempre
maggiore frequenza in varie parti
del mondo. Il 31 marzo scorso, dopo una marcia organizzata da sindacati e studenti contro
la riforma del lavoro proposta dal governo Hollande, alcuni dei manifestanti hanno deciso di
rimanere in Place de la Republique a Parigi e, da
allora, la piazza è occupata da manifestanti, giovani, intellettuali, pensionati, lavoratori, artisti,
che chiedono una società diversa, più umana e
democratica. Il movimento si è già diffuso in decine di città francesi e in molti altri centri europei. Come Occupy negli Stati Uniti, gli indignados in Spagna e, più recentemente, gli studenti
universitari in Sudafrica, il movimento si caratterizza per il suo spontaneismo, le sue assemblee permanenti, senza leader auto-proclamati
e senza gerarchie. Luoghi in cui si sperimenta la
democrazia diretta e, con l’uso attivo e costante
dei social media, si diffondono notizie di eventi
e messaggi per attirare sempre più partecipanti.
Il governo francese ha paura e cerca di porvi rimedi con l’antico metodo del bastone e della carota: azioni di repressione poliziesca intervallati
da annunci di aiuti ai giovani disoccupati. Alcuni analisti parlano già di un nuovo ’68. In realtà
è un film già visto e che ritroveremo sempre più
frequentemente nei prossimi anni. È forse arrivato il momento di limitare gli entusiasmi, senza, per questo, smettere di accogliere con favore
movimenti di questo tipo, che si battono contro
i mali e le distorsioni del sistema capitalistico.
È chiaro che l’effetto della piazza profonde in
tanti una piacevole sensazione di liberazione. La
percezione del cambiamento, quello vero, amplifica le passioni e infiamma gli animi. Finché ci
sarà gente in piazza e i social media produrranno
viralità, tutto sembra possibile. Ma i movimenti
spontanei degli ultimi anni hanno portato a pochi risultati effettivi. Sembra, appunto, di vivere
un eterno replay: la democrazia diretta senza le-
ader ha spesso significato confusione di ruoli e di
metodi, senza sapere chi debba fare cosa e contrattare con chi e su quale programma. Quando
ci sono obiettivi di breve termine da raggiungere,
non è chiaro chi abbia effettivamente il mandato
delle folle, e i leader temporanei vengono facilmente spodestati e rimpiazzati, a seconda dell’umore e delle varie lotte intestine tra i vari aspiranti. Quello che viene a mancare è, soprattutto,
qualsiasi approccio alla contrattazione: la spinta
utopica della massa sognante vuole tutto e ora, e
non è disposta a sedersi a un tavolo. Le trattative sono considerate materia per i burocrati, per
i corrotti, per i poteri forti che annichiliscono
qualsiasi tentativo di cambiamento.
E le folle fino a un certo punto hanno anche
ragione. La fobia palpabile per qualsiasi procedura tradizionale di
confronto e contrat- Basta con la litania modaiola
tazione è il risultato dei movimenti “giovani”
di un sistema che ha e “in crescita”. Chi aspira
reso tutte le leve della legittimamente a ricoprire
rappresentanza inef- ruoli nei nuovi modelli
ficaci, se non diretta- di organizzazione sociale
mente corrotte e ipo- deve crescere in fretta
crite. Basta, però, con
la litania modaiola dei movimenti “giovani” e
“in crescita”. Chi aspira legittimamente a ricoprire ruoli nei nuovi modelli di organizzazione
sociale deve maturarne la consapevolezza.
Bisogna tornare a riflettere sui metodi e sulla riforma dei sistemi di rappresentanza, oltre
che sui livelli di dibattito democratico necessari per il cambiamento. Bisogna riscoprire l’importanza della politica di comunità, a contatto
con i cittadini “fisici”, fuori dai social media,
delle iniziative a lungo termine, piuttosto che
l’assemblea spontanea tra estranei connessi
via facebook. Bisogna essere creativi, certo, e
anche scettici del sistema attuale. Stare in piedi
in piazza ogni notte può certo aiutare a scuotere gli animi, ma non produrrà in automatico il
cambiamento che tutti auspicano.
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© Illustrazione Antonio Pronostico
LA “COSTITUZIONE IMPOSTA”
CHE DIVIDERÀ I CITTADINI
“Troppa democrazia” fa male. Questo è il senso della revisione
della Costituzione appena approvata dal Parlamento italiano
e che sarà oggetto di referendum nel prossimo mese di ottobre
di Nadia Urbinati
I
l testo riformato della Costituzione della Repubblica italiana è stato approvato in seconda lettura da una Camera semivuota e con
i soli voti della maggioranza. Le opposizioni
hanno lasciato l’aula. Il testo è nato e si è imposto come espressione di parte e che soddisfa
prima di tutto e solo una parte. È un esempio di
come la politica ordinaria voglia costituzionalizzarsi; di come il potere di una parte voglia e
riesca ad imporre le sue regole a tutti e su tutti.
Dichiarando che chi si oppone non capisce o,
se capisce, è conservatore. A questa visione manichea del prendere o lasciare - per cui hanno
ragione solo coloro che vincono - si adatta bene
lo stile maggioritarista di questo testo rivisto
della Costituzione, un testo scritto con lo scopo
dichiarato di dare alla maggioranza un potere
straordinario - a questo serve la propaganda
del “fare” e del “decidere”-, senza troppo preoccuparsi di equilibrarlo con poteri di garanzia
e di controllo adatti a questo sbilanciamento
esecutivista dell’ordinamento istituzionale. La
legge di revisione della Carta appena approvata
è come uno schiaffo al costituzionalismo liberaldemocratico che con fatica e alterne vicende
si è fatto strada in questi due secoli e mezzo.
Dopo le Costituizioni “concesse” dell’Ottocento; dopo quelle conquistate e condivise del
Novecento; una nuova categoria dovrà essere
coniata per denotare questa revisione: quella
di Costituzione imposta. La Costituzione della
maggioranza è una Costituzione imposta - dividerà i cittadini come ha diviso il Parlamento e sarà a tutti gli effetti amata solo da chi ne
gode i frutti, ovvero da chi governa (non importa chi). Questa revisione svela l’ipocrisia
del governo rappresentativo, mostrando che,
come scrivevano i critici della democrazia,
esso non è che uno strategemma astuto grazie
al quale una minoranza comanda con il favore
della maggioranza.
Ma chi difende la democrazia non può accettare questa concezione, non può concludere che,
alla fin dei conti, tutti sono eguali e la differenza tra un governo democratico e un governo
autoritario è solo una distinzione sofistica.
Questa revisione e il modo con il quale è stata
voluta e gestita fa un pessimo servizio alla democrazia - che in effetti disprezza grandemente facendone l’equivalente di un orpello retorico che serve solo a far perdere tempo a chi
sta al governo. Il dirigismo (il mito scientista e
buro-tecnicratico della “governamentality” di
cui parlava Michel Foucault) è il mito che muove l’ideologia del “fare”. Visto che democrazia
è una parola vuota, perché non mettere nero
su bianco che chi governa deve avere una corsia preferenziale? L’ideologia sponsorizzata da
questa revisione è un capitolo nel libro scritto
dei critici della democrazia.
Per capirlo torniamo all’approvazione della riforma. Quell’importantissimo momento è passato senza quasi essere notato. Non ha avuto titoli cubitali e a tutta pagina. L’approvazione ha
come chiuso un processo il cui esito era scritto
- questo lo spirito che una stampa nazionale
quasi tutta allineata con la maggioranza ha patrocinato, preparato e gestito. Tanta stanchezza
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© Daniele Scudieri/Imagoeconomica
Alla guida
di Libertà
e Giustizia
La politologa Nadia
Urbinati, docente di
Scienze politiche alla
Columbia University
di New York, è il nuovo
presidente di Libertà
e Giustizia, l’associazione fondata nel 2002
con l’obiettivo, si legge
nel manifesto costitutivo, «di spronare i partiti
perché esercitino fino
in fondo il loro ruolo
di rappresentanti di
valori, ideali e interessi
legittimi». Dal 2004
LeG si impegna in
difesa della Costituzione ed è molto attiva nel
2006 nel coordinamento per il referendum
confermativo della
revisione costituzionale
voluta dal centrodestra,
respinta dal voto dei
cittadini. L’assemblea
annuale di LeG il 16
aprile ha eletto anche il
vicepresidente, lo storico dell’arte e docente
universitario Tomaso
Montanari.
dell’opinione si adatta poco al pomposo proclama con il quale Matteo Renzi presentò la
proposta in Senato lo scorso ottobre - «aspettiamo questa riforma da settant’anni». Tanta
stanchezza si spiega con il clima consensuale
che circonda questa maggioranza risicata - segno della discrepanza tra opinione e numeri:
questo spiega il senso della revisione imposta.
Ha numeri risicati in Parlamento ma un’opinione quasi unanime oschestrata dai media
nazionali. Chi governa? Governa l’opinione o
governano i numeri?
Il governo dell’opinione è ovviamente extraprocedurale; e questa revisione è nata fuori
dell’alvero del proceduaralismo democratico.
Ricapitoliamo in breve le tappe della sua storia. L’ha voluta una minoranza che per mezzo
di un’elezione tutta privata (le primarie del Pd
aperte, inoltre, anche ai non iscritti) ha conquistato un partito; e infine ha conquistato
il governo, per mezzo di un largo uso che il
Presidente della Repubblica ha fatto delle sue
prerogative di risolvere le crisi di governo senza andare alle elezioni. Arrivata a Palazzo Chigi nel febbraio 2014, la minoranza guidata da
Matteo Renzi e i suoi fedelissimi è riuscita in
poco tempo a domare la maggioranza del suo
partito e a cementificare la coaStranissima
minoranza-maglizione (tanto che pochi si ricor- Stranissima
gioranza che diventa come un
dano oggi che questo è un go- minoranzatreno ad alta velocità grazie a
verno di coalizione, tanto esso maggioranza questa,
tanti amici extra istituzionali,
sembra un monocolore Pd) - in che diventa un treno
questa condizione ha immedia- ad alta velocità
con il contributo determinanmente avviato la macchina del- grazie ad amici
te dell’opinione accreditata la revisione costituzionale.
extra istituzionali
sia delle testate giornalistiche
Agli elettori che avevano ge- e ai media allineati
private sia di quelle televisive
nerato il Parlamento, nessun
pubbliche. Una maggioranza
partito aveva proposto in campagna elettorale risicata nei numeri che gode del potere della
di voler fare una tanta riforma. Il Pd che Ren- voce che conta. L’allineamento dei mezzi di inzi ha preso sotto di sé sembra un altro partito formazione e comunicazione tradizionali fa di
rispetto a quello che aveva vinto (benché di questo governo debole nei numeri una potenza
pochissimo) le elezioni nel febbraio 2013. E - con il ben noto argomento dell’eccezionalità:
poi, il partito a guida Renzi non si premunì di «Non si dà alternativa a Matteo Renzi». Il quale
avviare alcun dibattito tra i suoi iscritti e soste- Renzi mette a frutto questo assurdo argomennitori per spiegare la necessità della revisione to dello spauracchio emergenziale con l’arma
costituzionale e i caratteri che doveva avere. propagandistica del referendum che egli stesso
Un leader extra parlamentare ha con la forza traforma in plebiscito: non la Costituzione è il
della sua maggioranza e del governo creato al tema del referendum, ma lui, Renzi.
Quirinale imposto un testo e dato ordini di ac- Non era mai successo nella nostra Storia recettarlo senza troppo scalpitare.
pubblicana questo gioco di prestigio, nemme14
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no nel lungo mezzo secolo Dalla fine
Sembra essere stata portata a comdi governi a guida demo- della Seconda
pimento l’idea della Trilaterale che
cristiana, quando vi erano guerra mondiale
nel 1975 lanciò il progetto di docomunque una società e per i conservatori
mane i movimenti di critica e di
un’opinione politica non il problema è la troppa contestazione, accusati di destabiomologate e non domate. Vi democrazia. Ora
lizzare i governi con le loro richieè da pensare che sia proprio hanno la loro riforma
ste di giustizia sociale e le lotte per
per chiudere quella pratica costituzionale
i diritti civili. Come scriveva Sadi opposizione, di pluralimuel Huntington nel documento
smo vociante, che questa riforma sia stata così della Trilaterale che si intitolava La crisi della
fortemente voluta. Come se chi fa politica per democrazia (“crisi” perché vi era troppo attiviprofessione e opera nelle istituzioni dicesse a smo dei cittadini e troppe richieste della socievoce alta ai cittadini: ciascuno faccia il pro- tà) i cittadini vogliono sapere troppo, anche ciò
prio lavoro, noi “facciamo” e governiamo e voi che è prudente che solo i governi sappiano. La
“fate” i vostri interessi e lavorate; è sufficiente troppa democrazia è stato il costante problema
che voi designiate con il voto ogni cinque anni dei conservatori a partire dalla fine della Seuna classe di politici, ed è desirabile che rom- conda guerra mondiale - e la lotta per cambiare
piate poco le scatole tra un’elezione e l’altra le democrazie parlamentari è parte di questo
e per questo, che il vostro vociare venga ben progetto. Questo è il senso della revisione della
filtrato e tenuto in sordina. Noi penseremo al Costituzione appena approvata dal Parlamento
vostro bene, noi sbloccheremo il Paese - voi fi- italiano e che sarà oggetto di referendum nel
datevi e lasciateci governare.
prossimo mese di ottobre.
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CON L’ASTENSIONE HA VINTO RENZI
MA A OTTOBRE CONTERANNO I SÌ E I NO
Ha vinto, puntando sull’astensione, e questo è innegabile.
Ma il dato del referendum sulle trivelle, in vista delle amministrative
e del referendum costituzionale, dice altro. Ecco un po’ di numeri
di Luca Sappino
M
atteo Renzi canta vittoria, anche se dice
che hanno vinto «gli operai». E si intesta il
risultato del referendum, con la vittoria più
che scontata dell’astensione. Sua è tutta l’astensione, suo è il trucco, sua la scelta tattica di sommare i contrari agli indifferenti, dando indicazione per la diserzione e non per il più diretto no,
che comunque più di due milioni di italiani hanno preferito mettere nero su bianco sulla scheda,
dicendosi così favorevoli al prolungamento oltre
la naturale scadenza delle concessioni per le trivellazioni in mare, entro le note 12 miglia. Parla
di operai Renzi («Io il quesito l’ho interpretato
così», gli fa eco il ministro Maria Elena Boschi,
«volete o non volete continuare a garantire undicimila posti di lavoro?»), ma considera sua la
vittoria dell’astensione. E non ha tutti i torti, perché il referendum è fallito e centrati sono i due
obiettivi del premier: vincere il primo di tre delicati passaggi elettorali - dopo le trivelle ci sono
le amministrative e poi c’è il referendum costituzionale - e tenere lì le trivelle, senza che nessuno metta fretta alle compagnie che potranno
estrarre con comodo quel poco gas e quel poco
petrolio che resta sotto.
Ma ha un problema, Matteo Renzi, che fa solo
finta di non vedere. A questo problema è dedicato questo pezzo, un’analisi del risultato referendario che parte da una verità sgradita al premier:
né alle amministrative né al referendum costituzionale, che è senza quorum, si può vincere puntando sull’astensione.
Su questo tema si era speso con efficacia Umberto Terracini, nei giorni in cui la seconda commis16
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sione della Costituente discuteva proprio della
necessità di prevedere un quorum per i referendum - in un clima di diffusa preferenza per la democrazia rappresentativa, meno soggetta al plebiscitarismo. Terracini, il 17 gennaio 1947 disse:
«Non si comprende perché un deputato eletto
col voto del trenta per cento degli elettori debba
essere riconosciuto come capace di esprimere la
volontà di un determinato raggruppamento della popolazione, mentre poi quando il trenta per
cento di quel gruppo popolare esprime direttamente la sua volontà, questa non dovrebbe avere
valore». Disse così Terracini e lo stesso potrebbe
valere per un sindaco: perché è sindaco anche
un signore eletto dal 45 per cento dei votanti,
come capitò a Ignazio Marino o al presidente
dell’Emilia Romagna Bonaccini, ma quello stesso 45 per cento dei votanti non può decidere per
quanto continuare a estrarre il suo petrolio dal
suo mare? Il dubbio è fondato. Ma così prevede
la Carta fondamentale. E Renzi lo sa.
Alle amministrative non c’è quorum e per questo
il dato del referendum, letto con più attenzione,
dovrebbe preoccupare, se non Renzi, almeno Roberto Giachetti, candidato renziano a Roma, già
pericolosamente finito terzo nell’ultimo sondaggio di Ghisleri pubblicato dal Corriere della Sera,
terzo al 20 per cento dietro Giorgia Meloni, salita
al 22. E non sarà così, per carità, ma a Roma sulle
trivelle ha votato il 34,74 per cento. Non tutti l’avranno fatto mossi da spirito antirenziano (e anzi
i più si saranno pure concentrati sul solo merito
del quesito, come ha fatto Chiara Saraceno, che
lo spiega nelle pagine che seguono), ma sicco-
IN SENATO DOPO IL REFERENDUM
© Giuseppe Lami/Ansa
S
me Ignazio Marino è stato eletto con il 63 per
cento dei consensi, espressi però dal 45,05 degli
aventi diritto, Giachetti deve proprio sperare che
il più del popolo NoTriv invece voti per lui, che,
peraltro, ha votato in favore delle trivellazioni. Il
problema è che a Roma, domenica 17, ha votato
poco più di un milione di persone, un milione e
73mila romani. E di questi 943.952 hanno detto
sì, mentre solo 119.015 hanno dato la stessa risposta di Giachetti. Sono meno della metà dei
voti che prese il Pd alle amministrative del 2013.
Sono poco più di un quinto dei voti raccolti dal
super Pd di Renzi alle ultime europee, quello che
nella capitale superò
A Roma sulle trivelle ha il 43 per cento (sul 52
votato oltre un milione per cento di votandi persone, di cui quasi ti), con 500mila voti.
994mila contro e solo Non sono paragoni
119mila a favore. Giachetti che fanno ben spedeve sperare che non siano rare. Consapevoli di
tutti elettori antirenziani questo meccanismo,
possiamo scommettere, i tre principali candidati del Pd alle prossime amministrative sono andati a votare - a votare no - senza essere sgridati da Renzi. È andato a
votare Giachetti, sono andati Fassino a Torino, e
Sala a Milano. Tutti e tre rischiano di non farcela
per un deficit di voto a sinistra e lì cercano di coprirsi. L’ultimo sondaggio Ipsos dà a Sala solo un
punto di vantaggio sul candidato di centrodestra
Parisi (38 per cento a 37), e a Milano al referendum è andato a votare il 29,88 per cento degli
elettori. Considerando che alle ultime amministrative ha votato il 67 per cento degli elettori,
apete di cosa ha parlato Schifani nel dibattito
sulla fiducia in Senato dopo lo scandalo GuidiTempa Rossa? Delle intercettazioni, che rovinano
le vite di stimati professionisti, che devono essere regolate, controllate, imbavagliate. Sulla scia
dell’apripista, il presidente emerito, Giorgio Napolitano che, dopo aver invitato all’astensione,
è subito passato al sodo: il bavaglio ai magistrati
che intercettano. Che mai più si odano frasi, forse irrilevanti sul piano penale, ma sapide sul piano politico, come quella con cui Federica Guidi
dice al suo amante, quasi marito, padre del figlio,
Gianluca Gemelli: «Non sono una sguattera guatemalteca». “Sguattera” dalla quale il bel amì non
pare pretendesse servizi sessuali, ma traffico di influenza, informazioni riservate, raccomandazioni
e spintarelle. Basta «barbarie giustizialista» fa eco
Renzi.
Volete sapere quali siano stati gli interventi più
appassionati in difesa del governo? Quello dell’ex
grillina Fucksia, del socialista Boemi e di D’Anna,
amico di Verdini. Il partito della maggioranza,
partito di Renzi, partito della Nazione è ormai un
robot che si clona da solo.
«Ascoltiamo tutti e poi decidiamo noi. Questo è
avere la schiena dritta» grida Renzi, dopo aver provocato in aula i grillini, «quando avrete finito con
le sceneggiate televisive, noi vi aspetteremo là». A
marzo, Renzi ha trascorso in tv 19 ore, 5 minuti e
53 secondi, mentre di lui si è parlato per 24 ore. Nel
2011 l’allora presidente del Consiglio, Berlusconi,
rimase in tv per 56 minuti al giorno: in totale, cinque ore in meno di Renzi. E la Rai? Il Tg1 ha dato
a Renzi 22 minuti e 38 secondi, il Tg2 17 minuti e
mezzo, il Tg3 12 e mezzo; nel 2011 Berlusconi era
stato alla Rai per 18 minuti e 27 secondi. Ma chi fa
sceneggiate nei Talk è sempre un altro. Secondo
Renzi, che fa infuriare persino Mentana. Quanto
alla premessa: “noi ascoltiamo”; sì, ma cosa? Maria
Elena Boschi racconta così il quesito referendario:
«Volete voi mantenere 11mila posti di lavoro?».
«Noi politici viviamo spesso in una bolla di autoreferenzialità», ha detto il premier. Parlava di sé?
Corradino Mineo
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© Antonio Calanni/AP Photo
non è poco. La situazione è migliore che a Roma,
anche perché a Milano non c’è il fattore 5 stelle,
benché nel 2011 c’era l’entusiasmo Pisapia mentre oggi è previsto dai più che l’affluenza sarà più
bassa. Nella città di Fassino, sempre sulle trivelle,
domenica scorsa ha votato il 36,40 per cento degli elettori. Difficile, certo, è che siano tutti antirenziani, come dicevamo. È quello che sperano
Michele Emiliano e la minoranza dem, in ottica
di conta interna, ed è quello che sperano i 5 stelle
o Sinistra italiana, in ottica di contesa elettorale.
Il tema qualcosa ha contato nel portare ai seggi quasi 16 milioni di italiani: «Se si valutano i
risultati con qualche attenzione», ha notato
giustamento Ilvo Diamanti, «l’importanza delle
“trivelle” appare evidente. Basta considerare la
geografia della partecipazione elettorale. I livelli
più elevati di affluenza si osservano, infatti, nelle aree maggiormente interessate al problema.
Cioè, alle trivellazioni. In particolare, la Basilicata (l’unica dove sia stato superato il quorum
del 50 per cento degli elettori aventi diritto),
quindi, la Puglia e il Veneto. Fra le Regioni che
hanno promosso il referendum, emergono li-
HO VOTATO NON PENSANDO
A RENZI, STRANO?
La politicizzazione del referendum
è stata cercata dal premier e dai suoi
oppositori. Ed è un vero peccato
di Chiara Saraceno
H
o votato al referendum sulle trivellazioni. Sono stupida, antirenziana, una che «rema contro»? Nella
narrativa del presidente del Consiglio e della sua
maggioranza, dell’ex presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano ma anche di gran parte di coloro che hanno
incitato ad andare a votare e dei commentatori ex post
dei risultati, sembra che le alternative siano solo queste.
Anche un’amica che stimo, il giorno dopo il referendum,
saputo che ero andata a votare, mi ha molto sgridato, di-
18
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cendomi che così facevo il gioco di chi vuole buttare giù
il governo. Non c’è spazio per la posizione di coloro che
ritenevano il quesito referendario legittimo e importante
in sé, a prescindere dal loro giudizio sul governo Renzi e
su Renzi stesso. Non c’è spazio neppure per coloro che
ritenevano il quesito limitato ma comprensibile, quindi che erano e sono sufficientemente sicuri (arroganti?)
della propria intelligenza da averlo capito per quello che
era: non un giudizio di dio pro o contro Renzi, ma un
giudizio da esprimere su una questione molto concreta
e circoscritta, ovvero se fosse opportuno prolungare indefinitamente le concessioni di trivellazione fino a esaurimento dei giacimenti, o invece far valere la scadenza
delle concessioni.
In un Paese in cui tutto viene sempre prorogato, e una
volta che uno ottenga una concessione di suolo pubblico sembra aver acquisito un diritto eterno (si pensi alle
concessioni per lo sfruttamento privato delle spiagge),
non era un quesito del tutto irrilevante. Certamente non
una «bufala», come graziosamente l’ha definito Renzi
(con sprezzo anche dei giudici della Corte Costituzionale
che lo avevano ammesso). C’erano buone ragioni sia per
votare sì, sia per votare no.
velli di partecipazione molto elevati anche in
Molise e nelle Marche. Tra le altre: in Abruzzo ed
Emilia Romagna. In altri termini: lungo la fascia
adriatica». Però, e c’è un però, il referendum che
ci attende in autunno, come detto, non ha quorum, e sarebbe valido anche se andasse a votare
un solo elettore. E ancora una volta il dato delle
trivelle diventa meno buono per palazzo Chigi,
notando che le forze politiche schierate per il sì
- i 5 stelle, con decisione, solo dopo l’esplosione del caso Guidi - alle ultime Europee valevano
poco meno dei voti espressi al referendum (circa 12 milioni di voti, tra 5 stelle, la lista Tsipras,
Forza Italia e Lega). A quelle stesse elezioni sempre il super Pd di Renzi, il Pd del 40 per cento citato per quasi un anno a seguire per legittimare
«il governo del cambiamento», prese 11 milioni
di voti. Ne riuscirà a muovere di più, Renzi, in
autunno, raccontando di aver abolito un Senato
che non ha abolito ma solo svuotato di senatori eletti e funzioni? Riuscirà ad appassionare gli
italiani e non solo gli odiati talk show al destino
del Cnel senza fargli troppo notare che dietro la
«democrazia decidente» c’è un mix tra riforma e
legge elettorale fortemente maggioritario?
Quello che è certo è che servirà tutta la demagogia anticipata, non per nulla, dallo stesso premier: «Nel dibattito che farò in campagna elettorale», ha detto Renzi il giorno dell’approvazione
della riforma, «non discuteremo soltanto di singole norme o valutazioni giuridiche, discuteremo anche di argomenti più demagogici. Sarei
ingiusto se non lo dicessi». Servirà
tutta la sua narrazione, anche per- Prospero: «Dovrebbe
ché - e lo ricorda a Left il filososo e ricordarsi Renzi che
politologo Michele Prospero, «do- l’esercizio del potere che
vrebbe ricordarsi, Renzi, che l’eser- gli è concesso in questa
cizio del potere che gli è concesso fase si basa su un numero
in questa fase, questo dispotismo di di voti che è poco più della
minoranza, si basa su un numero di metà degli elettori che
voti che è poco più della metà degli hanno votato domenica»
elettori che sono andati a votare domenica contro il suo parere. Il Pd», è il dato che
ricorda il professore, «nel 2013 ha preso 8 milioni
e 600mila voti e anche alle Europee, che per mesi
sono stato il vanto del presidente del Consiglio,
la sua prima “legittimazione”, i voti furono 11
milioni, sempre meno dei soli sì di domenica».
A favore del sì c’era l’opportunità di non lasciare aperte
indefinitamente piattaforme che non sempre lavorano
a pieno regime, e in molti casi sono addirittura in stato non estrattivo, ma che ora rimarranno a disposizione
e non verranno smantellate ripristinando la situazione
ambientale per un tempo indefinito, ovvero fino a quando non si potrà dimostrare che i giacimenti sono effettivamente esauriti. E il pallino, così, è tutto in mano delle
compagnie. A favore del sì c’era anche l’opportunità di
dare un segnale in direzione di una maggiore coerenza
delle politiche energetiche con gli impegni presi a livello
internazionale.
A favore del no c’era la questione occupazionale (su cui
i fautori del sì hanno obiettivamente detto poco, almeno
sul che fare nel breve e medio periodo), gli investimenti
già fatti, un impatto ambientale ridotto rispetto a quello iniziale, quando le piattaforme sono state costruite e
messe al lavoro.
Buone ragioni da una parte e dall’altra, dunque, su cui
sarebbe stata opportuna una discussione, anche da parte del governo e di Renzi. Queste buone ragioni sono
invece state tacitate dalla forte politicizzazione del referendum da parte sia degli oppositori di Renzi, sia di Ren-
zi stesso. Sia chiaro: non considero il non andare a votare al referendum una prova di mancanza di democrazia.
Non solo perché l’astensione è legittima, ma perché il far
mancare il quorum è il modo più efficace per bocciare
un referendum. Quindi non andare a votare, in questo
caso, può essere un esercizio di democrazia esattamente
come andare a votare a favore e più potente che andare
a votare contro. Certo, risulta un gesto opaco e ambiguo,
perché alla scelta intenzionale si mescola quella degli
indifferenti, ma, almeno questa volta, non si può negare che anche tra chi ha votato sì si mescolano i voti di
merito con quelli di protesta antigovernativa, quindi anche in questo caso il significato del voto non è univoco.
Forse gli unici voti chiaramente identificabili come nel
merito della questione sono, in questo particolare caso,
quelli per il no. Non mi indigno quindi per il fallimento del referendum ad opera dei non votanti. Mi indigno
che Renzi (con il sostegno, ahimé, di Napolitano) abbia
dichiarato stupido, vittima di «una bufala», chi è andato
a votare nel merito e «populista» chi lo ha incoraggiato
a farlo. Non è un messaggio destinato a rafforzare la fiducia dei cittadini verso la politica e le istituzioni e ad
incoraggiare la cittadinanza attiva.
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RESISTENZA
ED ETICA DEL LAVORO
«Camilleri mi racconta una delle stragi meno conosciute, l’eccidio
nazifascista di Niccioleta in val di Cecina, in quelle colline metallifere
dove le vittime difendevano posti di lavoro». La loro vita
di Ascanio Celestini
L
avoravano tutti, lavoravano tanto, lavoravano sempre i minatori della Maremma. Si chiamavano anche operai di miniera. Gente che se ne va sotto
terra. Se ne va lì sotto a raccogliere argento e carbone, pirite e lignite.
All’inizio di agosto del 2012 vado a trovare Andrea Camilleri nella sua casa di
Bagnolo di Santa Fiora in provincia di Grosseto. Ci sediamo sotto due castagni
nel giardino. Si chiamava Angelo Mai il vecchio proprietario che gli ha venduto
il terreno. Gliel’ha venduto e poi ci ha ripensato è andato a trovarlo con l’accetta e voleva portarsi via quei due grossi alberi. Diceva che gli aveva venduto la
terra, ma non gli alberi che ci stavano sopra, ma Andrea riuscì a dissuaderlo e
stanno ancora lì nel suo giardino a fare ombra. C’era anche un serpente in questo pezzo di terra alcuni anni fa. «Era un innocuo verdone» mi dice. Il nome col
quale viene chiamato dipende dai posti. A Roma quel tipo di biscia l’ho sempre
sentita chiamare «frustone», in altri luoghi è chiamato «blacco» o «biacco». «Alle
sette del mattino attraversava qui e se ne andava» mi dice, «alle sette di sera
riattraversava. Allora gli davamo il latte e lui beveva». Lo chiamavano Don Gaetano a quel serpente e gli davano il latte come a un gattino.
Sotto ai castagni di Bagnolo salvati dall’ascia di Angelo Mai, però, Andrea Camilleri non mi vuole parlare della sua casa e di quando c’è venuto a stare per
passare qualche settimana d’estate. Ma lui è uno straordinario narratore e prima di arrivare al centro della storia mi ci vuole accompagnare piano piano. E
ancora per un po’ ci gira attorno. Mi racconta che in ogni paese c’è un cognome
che lo caratterizza. Per esempio a Castel del Piano si chiamano tutti «Ginanneschi» dice «e tutti si chiamano Peppe di nome. Una volta venne uno a chiedere
dei mietitori e partirono otto mietitori, otto Peppe Ginanneschi… racconto meraviglioso del sindaco di Castel del Piano, narratore meraviglioso. Otto Peppe
Giganteschi e un asino che si chiamava Peppe».
Così, piano piano, Andrea mi avvicina al suo racconto come quando fai un regalo a qualcuno e glielo porti in un pacco incartato e infiocchettato. Prima di
capire cos’è devi togliere il fiocco e scartarlo. Il regalo di Andrea è una storia del
paese di Niccioleta.
Ci stava la miniera a Niccioleta, ma non solo lì. C’erano miniere in molti paesi
attorno. Le chiamano «colline metallifere» e coprono un territorio che interessa quattro province. Furono sfruttate soprattutto tra la fine dell’800 e la prima
metà del ’900 quando ai cognomi tutti uguali che riempivano questi paesi se ne
aggiunsero altri che venivano dal Veneto e dalla Sicilia e dalla Sardegna. Venivano per lavorare Ernesto Balducci che era nato da quelle parti parla della «loro
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religione del lavoro e della famiglia, questa elementare religione del popolo che
essi hanno vissuto fino a morirne». E infatti è proprio di questo che Camilleri
vuole parlarmi.
Stava finendo la guerra ai primi di giugno del 1944 da quelle parti e i tedeschi
cominciavano ad andarsene, ma a Niccioleta i minatori temono che prima di
partire facciano saltare in aria la miniera. Così prendono le poche armi che
hanno, qualche pistola e qualche fucile da caccia e fanno i turni di guardia per
difendere il proprio lavoro. Dura poco perché si accorgono che se davvero arrivassero i tedeschi sarebbero meglio armati e per gli operai di Niccioleta finirebbe male. E infatti i tedeschi arrivano, ma sono tedeschi solo il comandante
e i sottufficiali. I militari erano tutti italiani con divise tedesche. Si tratta dei
militari scappati dopo l’8 settembre che i tedeschi avevano arrestato e internato. A loro era stata data la possibilità di tornare in libertà vestendo la divisa repubblichina o tedesca. La maggior parte rifiuta, ma quelli che accettano sanno
che verranno utilizzati per un lavoro di repressione nei confronti di partigiani
e civili. Lo sanno e accettano. Proprio questo accadde a Niccioleta. Il 13 giugno
vennero fucilate sei persone e il giorno successivo altre 77.
«Perché c’ho questa sorta di idea fissa su Niccioleta?» dice Andrea «Perché di
tutte queste stragi fatte dai tedeschi in Italia, questa è una delle meno conosciute. L’altra cosa che mi ha sempre colpito, e molto, è che questi che muoiono fucilati dai tedeschi non sono dei partigiani. Perché questi si organizzano? Perché
temono di perdere il posto di lavoro».
Questa storia che sembrava tanto lontana si rovescia e diventa parente di tante
altre che viviamo ancora oggi. Ecco la religione del lavoro della quale parla Balducci. La stessa di tanti operai dell’Ilva di Taranto, per esempio. Ce li ricordiamo
quando sono scesi in strada e hanno organizzato manifestazioni di protesta e
blocchi stradali perché il giudice aveva ordinato il blocco degli impianti. La motivazione erano i tanti decessi per tumore accertati in 7 anni e le tonnellate di
polveri immesse ogni anno nell’atmosfera. Infatti i Tamburi, il quartiere operaio, è un quartiere coperto di polvere. Le donne stendono i vestiti e le lenzuola ad
asciugare e quando li ritirano devono scrollarli da quella polvere. Sono le lenzuola tra le quali vanno a dormire, i vestiti che indossano loro e i loro bambini.
La prima volta che sono stato a Taranto era il 2009. Prima dello spettacolo partecipo ad un convegno. Un uomo seduto in platea si alza, prende il microfono
e racconta della figlia. «Otto anni fa in questo giorno abbiamo fatto il suo funerale. Aveva un linfoma fulminante. Non ho chiesto che le salvassero la vita, ma
almeno che avesse una morte dignitosa. Invece nell’ospedale non hanno potuto trovare nemmeno un respiratore pediiatrico per mia figlia di cinque anni».
Lavorano, lavorano tanto. Il lavoro è la loro fede. Per il lavoro non pretendono
più una vita dignitosa. Chiedono solo di morire con dignità.
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23 aprile 2016
«Colui che ri-racconta
un fatto realmente
accaduto inevitabilmente fornisce una
propria interpretazione
del fatto stesso. Anche
inconsciamente. Quindi,
Ascanio ti prego di
leggere le mie cartelle
come il mio personale,
e discutibile, punto di
vista», scrive Andrea
Camilleri nella nota che
accompagna il monologo di Ascanio Celestini
sulla strage di Niccioleta contenuta nel volume
Quanto vale un uomo
(Skira) scritto da Camilleri, Celestini Marco
Paolini,e Marco Baliani.
L’idea di farne un testo
teatrale, uno spettacolo
e un libro con cd è nata
allo scrittore siciliano
dopo aver letto un libro
dello storico Paolo
Pezzino ed aver ascoltato narrazioni orali. Al
centro di quei racconti
c’è il lucido e spietato
eccidio di 77 persone,
senza motivo, compiuto
dai nazisti in un vicolo
buio. Dunque anche
senza intenti dimostrativi. Quel crimine
efferato colpisce anche
perché senza movente
palese. E ancora oggi
solleva molte domande.
s.m.
© Illustrazione Antonio Pronostico
Racconti
di Camilleri,
Baliani, Celestini
e Paolini
I PARTIGIANI RIBELLI
FUORI DALLA STORIA UFFICIALE
Nel 1946 a Santa Libera, in Piemonte, un gruppo di partigiani si ribellò
all’amnistia voluta da Togliatti. «Non accettavano che la Resistenza
diventasse parola vuota», dice Pino Tripodi, che ci ha scritto un libro
di Raffaele Lupoli
U
na resistenza nella Resistenza. Anzi, dopo la ria ufficiale». Un divorzio, una dissonanza dalla
Resistenza. Dimenticata e senza la maiusco- narrazione mainstream, che ha condotto nel dila. Eppure, ancora in grado di dire tanto su menticatoio le gesta di quel gruppo di partigiani,
ciò che è stato e su ciò che è il nostro Paese. Il “ge- quasi tutti comunisti, che, arroccati nella fraziosto insurrezionale” dell’agosto 1946 a Santa Libe- ne sopra Santo Stefano Belbo (Cuneo), impura, piccola frazione tra le Langhe e il Monferrato, gnavano nuovamente le armi e minacciavano di
è al centro del nuovo libro di Pino Tripodi, Per usarle. Quell’amnistia voluta dal capo del Partito
sempre partigiano (DeriveApprodi). L’idea di par- rimetteva in libertà centinaia di fascisti appena
tenza era quella di un saggio che riconsegnasse imprigionati e questo era soltanto uno dei segnaai suoi giusti meriti la figura di Giovanni “Primo” li preoccupanti dell’orientamento, a loro avviso
Rocca, comandante partigiano tra i più impor- troppo conservatore, dell’esecutivo.
tanti e poi alla guida dell’insurrezione dell’agosto Serviva un gesto forte e quel manipolo di partigiadel 1946, scattata dopo il provni non esitò a rimettersi in giovedimento d’amnistia emanato «La ribellione di Santa
co. Un fatto eclatante, che il Pci
da Palmiro Togliatti, ministro Libera lancia un allarme
non prese sotto gamba, tanto
della Giustizia del governo di purtroppo ignorato.
che a trattare con loro, tra il 20
unità nazionale. «Durante un Quando la Costituzione
e il 26 agosto del 1946, fu inviapranzo convocato per discutere viene approvata l’Italia
to Cino Moscatelli, comandanla cosa mi sfuggì di dire “come si è già infilata nel tunnel te delle Brigate Garibaldi della
libro di Storia non servirebbe a democristiano»
Valsesia, in aggiunta all’intenulla ma come opera letteraria
ressamento diretto di Pietro
sarebbe fantastica”. I compagni di pasto furono Nenni. I partigiani rinunciarono all’insurrezione
d’accordo, talmente d’accordo che - infidi - mi af- e tornarono ad Asti, pressati da chi - dentro e fuori
fidarono l’opera», racconta a Left lo scrittore (au- il partito - evocava una guerra civile come quella
tore tra l’altro di Io sono un black bloc e Io servo che aveva già preso le mosse in Grecia. L’amnidello Stato e tra i promotori del progetto Terra e stia non fu cancellata e molte delle loro rivendilibertà/critical wine).
cazioni furono ignorate, ma la ribellione di Santa
È cominciata così, per Tripodi, una full immer- Libera resta agli atti come un lucido campanelsion di «19 mesi, il medesimo tempo che va dall’8 lo d’allarme. Purtroppo ignorato. Al punto che,
settembre ’43 al 25 aprile ’45, passati intensa- spiega Tripodi, «quando nel 1948 la Costituzione
mente a scrivere e a pensare, per via di quella viene approvata l’Italia si è già infilata nel tunnel
storia, alla Storia, per mezzo di quel personaggio, democristiano». Eppure la giustizia sociale e l’ua tutti i personaggi che fanno la Storia e che poi guaglianza, parole d’ordine del gesto insurreziosono dimenticati, costretti al divorzio dalla Sto- nale delle Langhe, sono anche nell’ossatura della
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Carta fondamentale. Allora che differenza c’è tra i sfatta». La ribellione di Santa Libera ci è vicina anvalori dei ribelli di Santa Libera e quelli della Resi- che per questo: allora come adesso «si ha bisogno
stenza che hanno gettato le fondamenta della Costi- di luoghi della trasformazione, della cooperazione,
tuzione italiana? «Quell’involucro formale - succede di luoghi dell’immanenza in cui mescolare la nospesso nella storia - viene sostanzialmente deriso e stra vita, non di non luoghi della trascendenza per
calpestato dalla realtà delle cose. Ci vorranno il ’68, consolare e bloccare in ghiacciaia ogni prurito di
l’autunno caldo e il ’77 per riprendere con le dovu- cambiamento». Sfogliando il libro non si può non
te differenze il filo di quella matassa», prosegue lo guardare all’oggi: quella dei ribelli di Santa Libescrittore. «I ribelli di Santa Libera non accettano che ra appare quasi come una profezia avverata. Ma
gli ideali della Resistenza rimangano parole vuote, che lezione può trarne la società dei giorni nostri?
che i padroni riprendano a governare, che le orga- «Una lezione eccezionale: quella che in Per semnizzazioni dei lavoratori facciano le belle statuine. pre partigiano viene denominata l’arte di tendere
Tolto dai piedi il fascismo, desiderano cambiamenti la Storia. L’imperativo di esperire ogni mossa per
sociali radicali, riconoscimento pieno dei diritti dei ottenere il massimo del possibile in una situaziopartigiani. Si vedono invece messi ai margini. Ciò ne storica data. Senza pretendere di più, ma senza
che poi si calpesta nonostante la Costituzione, Roc- accontentarsi di niente che risulti anche imperca e compagni lo pretendono prima che la Costitu- cettibilmente di meno». Il contrario di quello che
zione venga varata».
ci chiede oggi la politica del “fare purché si faccia”,
L’insurrezione di Santa Libera godeva di un grande del meno peggio al quale non c’è mai fine. Tripodi
appoggio proletario e partigiano, ma scontava una arriva a mettere in discussione il valore stesso della
situazione profondamente sfavorevole, a comincia- Resistenza con la maiuscola. Per lui non c’è nessun
re dal fatto che si scontrava con le direttive del Par- rapporto tra l’anelito dei ribelli di Santa Libera e le
tito. «Anche in questo Santa Libera è
celebrazioni del 25 aprile. Tanto che
stata precorritrice» dice Pino Tripo- «Allora come
nel libro scrive, a proposito di queste
di. «Quante altre volte i movimenti adesso si ha bisogno
ultime, che «i partigiani si rendono
sono andati oltre le organizzazioni di luoghi della
utili spolverandosi a festa una volta
che pure li avrebbero dovuto rap- trasformazione,
l’anno per dimostrare che tutte le
presentare. Stupisce che i movimen- della cooperazione,
nefandezze d’Italia vengono comti non se ne siano quasi accorti. Se dell’immanenza
piute nel nome della Resistenza». E
si guarda alle esperienze partigiane in cui mescolare
a Left conferma: «C’è di buono solo
più evocate, infatti, in tutti questi la nostra vita»
che, in attesa di trovare uno straccio
decenni che ci separano dalla Residi futuro, tanti ragazzi guardano con
stenza si sono osannate di più quelle dei Gap, o della interesse a quel passato». Una critica senza sconti,
Volante Rossa che a differenza di Santa Libera erano che ha il merito di riaprire il dibattito, di proporre
strettamente poste sotto il controllo del Pci e bazzi- una riflessione sull’Italia di ieri e di oggi e sulle pracavano spesso con le ali più staliniste del partito».
tiche di cambiamento. A questo proposito, il racScorrendo le pagine dense di Per sempre partigia- conto di Tripodi, iniziato a tavola, in qualche modo
no si legge: «Ridotta alla ragione santa libera (le finisce ancora a tavola, nello specifico davanti a un
minuscole sono dell’autore, ndr) rimangono tutti bicchiere di vino. Santa Libera dei Ribelli è anche il
fuochi fatui», come ad ammettere che il valore di nome di un vino rosso superiore che Claudio Solito,
quel progetto insurrezionale è nel suo essere contro dell’azienda La Viranda di San Marzano Oliveto (At),
la ragione, romantico ma quasi utopico. «È vero», ha dedicato all’insurrezione dell’agosto 1946. Un
replica lo scrittore, «tutte le profonde ragioni dei altro vino, Rosso Unito, mescola quattro esperienze
ribelli di Santa Libera cozzavano contro la ragione enologiche ribelli (La Viranda, Aurora, A vita, Valstorica. Ciò potrebbe far parlare di ribellione utopi- li Unite) in un esperimento di “unione delle forze”
ca. Ma non bisogna dimenticare che quei partigiani nato da una visione comune di società. Vini e libro
erano contadini, operai. Uomini pratici che inten- saranno presentati assieme il 25 aprile a Roma (vedi
devano risolvere con urgenza problemi fondamen- box a destra). «È una piccola dimostrazione che la
tali per l’Italia del tempo. Più che a un’utopia, a un rivoluzione si fa vedere nelle piazze, ma i suoi luoghi
non luogo - le utopie sono sorelle gemelle dei miti d’elezione sono i campi, le case, le tavole», conclu- pensavano, credo, a una topia, a un luogo preci- de lo scrittore. «La rivoluzione si esprime di tanto in
so - dell’Italia, dell’Europa - nel quale la loro sete di tanto con le urla delle folle ma marcia rapida negli
giustizia e uguaglianza cominciasse a essere soddi- atti minuti della quotidianetà».
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L’appuntamento
Il comandante partigiano Giovanni Rocca, nome
di battaglia “Primo”, nell’illustrazione di Antonio
Pronostico. All’epoca dell’insurrezione di Santa
Libera, nell’agosto del 1946, aveva 25 anni. Di
origini contadine, dopo la rivolta ha scritto il libro
Un esercito di straccioni al servizio della libertà
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Il pomeriggio del 25
aprile, alle 17, il libro
di Pino Tripodi Per
sempre partigiano sarà
al centro dell’evento
organizzato a Roma da
Left insieme all’associazione Officina
Culturale Via Libera.
Nell’ambito della Festa
della Liberazione del
Csoa Spartaco al Parco
degli Acquedotti (ingresso di via Lemonia),
la presentazione in
anteprima nazionale
del libro sarà accompagnata da un reading
e dalla degustazione
dei vini resistenti Santa
Libera dei Ribelli e
Rosso Unito (dolcetto,
barbera, gaglioppo
e montepulciano di
altrettante case vinicole unite in un’unica
bottiglia), assieme al
bianco Selva Lacandona prodotto a Chiaiano,
Napoli, nei terreni confiscati alla camorra.
Al protagonista del
libro di Tripodi, il
partigiano comunista Giovanni “Primo”
Rocca - classe 1921,
nativo di Canelli (At) la cooperativa agricola
La Viranda ha dedicato
un altro vino, il Libertario Rosso.
© Matteo Bazzi/Ansa
L’EREDITÀ DI CASALEGGIO,
OTTIMISTA INTERNETTIANO
Il Movimento 5 stelle non è nato dal basso ma da un colloquio
nel camerino di un teatro, tra i due fondatori, il comico e l’informatico.
Che ora lascia un’eredità difficile da gestire
di Giulio Cavalli
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23 aprile 2016
D
Luigi Di Maio e Alessandro
Di Battista al funerale di
Gianroberto Casaleggio,
il 14 aprile a Milano.
Nella pagina che segue,
il figlio Davide Casaleggio
i sicuro non sarà semplice, questo no. tro Smeraldo, prese vita il MoVimento 5 Stelle.
La morte di Gianroberto Casaleggio, al A chi si chiede chi c’è dietro Grillo o si riferisce
di là degli aspetti affettivi e umani che a “un’oscura società di marketing” voglio chialo legano a Beppe Grillo e a tutti i mi- rire che non sono mai stato “dietro” a Beppe
litanti del M5s delle origini, presenta Grillo, ma al suo fianco».
interrogativi importanti per il furto del Movi- Grillo e Casaleggio: solo guardandoli insieme
mento 5 Stelle e ne evidenzia i limiti.
possiamo dunque riuscire ad immaginare la
Ma andiamo con ordine: Gianroberto Casaleg- “testa” del Movimento. Casaleggio nella sua
gio non è stato banalmente un tecnico informa- azienda (la Casaleggio Associati, pochi passi
tico e nemmeno un aspirante politico, tutte le dalla Scala a Milano, oggi ufficialmente ereditaversione che cercano di rinchiuderlo in un solo ta dal figlio Davide) è l’uomo che di suo pugno
ambito peccano di superficialità o di malafede (o dei suoi collaboratori più fidati) scrive i post
visto che il “padre” del Movimento 5 Stelle è sta- firmandosi Grillo. Sono gli anni del boom dei
to uno tra i primi in Italia a intendere la rete non blog politici e l’Italia ha un modello: Antonio Di
solo come mezzo ma soprattutto come luogo. Pietro con la sua Italia Dei Valori. Il consulente
Quando in Italia Casaleggio disse «internet di- di Di pietro, quello che trasforma il claudicanventerà come l’aria, come profetizzò Nicholas te oratore in un tribuno 2.0 è proprio CasalegNegroponte», questo Paese cominciava ad ac- gio con la sua azienda, e sono in molti di quelli
creditare le email come mezzo istituzionale di vicino a Di Pietro a innervosirsi per la “troppa
comunicazione spingendo il telefax.
influenza” che il comunicatore Gianroberto rieÈ stato un visionario Casasce a prendersi anche sulle deleggio? Di sicuro è stato uno Molte delle idee alla
cisioni politiche: l’Idv è quindi
dei pochi a capire la ricaduta base del Movimento,
un M5s in nuce, con i bozzoli
dell’esser connessi nella vita la Casaleggio Associati
di tutti quelli che saranno poi
quotidiana; forse non ne è sta- le ha sperimentate con
i capisaldi dei grillini (e anche
to il precursore ma di sicuro l’Idv di Di Pietro, finché
la polemica sul ruolo della Caè stato il primo importatore anche lì non si pose
saleggio Associati).
dell’ottimismo internettiano il tema del ruolo troppo
I candidati giudicati dalla
che cominciava a galleggiare politico per una società
rete, ad esempio, sono un’idea
in giro per il mondo. Per que- di comunicazione
dell’Idv; il messaggio di essere
sto l’incontro tra Grillo e Cadiversi da tutti gli altri come se
saleggio è stata l’alchimia tra un precursore esistesse una casta e poi altro, è di Antonio Di
senza forza pubblica e una voce pubblica che Pietro, che galleggia per anni nel brodo di chi
stava per essere isolata: il risultato è inevitabil- vuol far credere di essere contro tutti e di avere
mente una miscela vincente. «Nel 2004 Beppe tutti contro; lo stesso vincolo di mandato (con
Grillo - scrive Casaleggio in una lettera indiriz- multe per i traditori) è una (sfortunata) idea di
zata al Corriere della Sera il 30 maggio del 2012 Di Pietro che è stata bocciata in tutte le sedi giu- lesse il mio libro Il Web è morto, viva il Web, diziarie; e poi c’è il “banchetto”, il “referendum”,
rintracciò il mio cellulare e mi chiamò. Lo in- la comunicazione non tanto di quello che avviecontrai alla fine di un suo spettacolo a Livorno ne in parlamento («l’attività parlamentare non
e condividemmo gran parte delle idee. In se- interessa a nessuno», era il mantra dell’esecuguito progettammo insieme il blog beppegril- tivo nazionale dei dipietristi) ma di ipotetiche e
lo.it, proponemmo la rete dei Meetup (gruppi ben rappresentate battaglie “contro i poteri forche si incontrano sul territorio grazie alla rete), ti” sono lo storytelling che funziona sulla rete ed
organizzammo insieme i Vday di Bologna e di è così che De Magistris “magistrato contro tutTorino, l’evento Woodstock a 5 Stelle a Cesena e ti” ottiene un miracoloso risultato alle europee
altri incontri nazionali, come a Milano dove, il del 2009 ed è così che “il cittadino qualunque”
4 ottobre 2009, giorno di San Francesco, al tea- diventa la rappresentazione ideale dell’oppres23 aprile 2016
27
so. L’Idv per Casaleggio sono le prove generali morte di Gianroberto inevitabilmente incorona
del Movimento 5 Stelle, con una differenza so- il figlio Davide (quanto di più lontano del resto,
stanziale: nel Movimento non ha cerchi magici dall’utopia di un movimento politico orizzonda cui difendersi come nell’Idv ma è lui stesso tale che si ritrova a fare i conti con una succesil cerchio magico. E così oltre che fondare un sione di sangue, quasi dinastica): solo dentro
partito che finge di essere partito dal basso ma gli uffici di Casaleggio si può consultare il cache in realtà nasce da un colloquio in camerino, pitale politico del movimento. E questo, anche
Casaleggio è anche il proprietario di tutta l’ar- Casaleggio lo sapeva, è il più grosso limite di
chitettura del partito: chiavi di accesso, strin- un progetto che non ha mai dato l’idea di poghe di programmazione, elenchi
tersi emancipare dai propri padri
nominativi, server. Tutto. Il cuore Casaleggio è il
fondatori: il rapporto fiduciario
organizzativo del Movimento sta proprietario di tutta
e quasi fraterno tra Casaleggio e
nei server di Casaleggio. Senza ti- l’architettura
Grillo ha una difficile declinaziodel partito: chiavi
more di smentita.
ne in termini di regolamento di
E allora viene facile pensare di accesso, stringhe partito. Se è vero che il rapporto
come un movimento politico che di programmazione, tra i due era «di qualche telefonaha delegato tutti i propri fonda- le mail, i server.
ta al giorno e di incontri su Milamentali meccanismi sociali a Il cuore del
no, Genova o Roma» (lo disse lo
una serie di bit diventi ostaggio “Movimento
stesso Casaleggio) ora la paternidi chi quei dati li possiede ed è in dei cittadini” è
tà, che prima risultava indiscutigrado di decifrarli. Per questo la l’eredità di Davide
bile per meriti di fondazione del
processo politico, difficilmente
può essere lasciata con leggerezza al figlio di
Casaleggio in quanto, appunto, “figlio di”.
Ed è questo il punto debole su cui Di Maio, Di
Battista e altri sanno di poter contare: alla morte dei padri fondatori tocca mettere in pratica
una forma credibile di meritocrazia. Niente
scherzi. Meritocrazia che non può essere di
cognome (del resto proprio il M5S parla di obbligo di due mandati, figurarsi il passaggio di
testimone da padre in figlio) ma che deve avere
delle basi di fiducia. Ma qui è l’enorme “baco”
del sistema Casaleggio: in politica non è vero
che “uno vale uno”. È vero invece che c’è da
fare i conti con chi ha più propensione e capacità (e perché no, anche merito) di intercettare
la fiducia rispetto agli altri. Di Maio non vale
come un iscritto qualsiasi del Movimento e allo
stesso modo Di Battista non è semplicemente
“mezzo” di una volontà popolare, come vuole
il mito dei 5 stelle, ma ha un’identità propria,
precisa. Il sogno di Casaleggio si incaglia qui,
nella convinzione (sbagliata e banale) che davvero la politica possa svestirsi della personalità,
rimanendo solamente ai contenuti, in un Paese che celebra Berlinguer (più del berlinguerismo), Renzi (più del renzismo) e così via. Sarà
stato un visionario, Casaleggio, ma è stato un
pessimo realista. E la battaglia, nel Movimento,
comincia ora.
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23 aprile 2016
© Rodolfo Giuliani
CHI È FEDERICO MARTELLONI
E COSA VUOLE PER BOLOGNA
C’è vita a sinistra. A Bologna tutti insieme per marcare il terreno
nella città che - secondo i sondaggi - dovrebbe confermare sindaco
il Pd Merola. Mentre Coalizione civica ha già raggiunto il 10%
di Edoardo Barbi
T
ra i capoluoghi che vanno al voto il prossimo 5 giugno, insieme a Roma, Napoli
e Milano, Bologna è la città che più può
impattare sul risultato di questa tornata
elettorale. Il risultato è apparentemente scontato e il sindaco uscente, Virginio Merola,
nonostante un indice di gradimento non esaltante (49%, 88esimo su 101, rilevazione Sole 24 ore di
gennaio 2016) sembra lanciato verso la riconferma, più per mancanza di veri competitor che per
meriti particolari. A ulteriore riprova di un risultato dato per acquisito, la recente dichiarazione di
Renzi, che - in visita a Bologna per inaugurare un
progetto di allargamento della tangenziale dal sapore fortemente elettoralistico («Il progetto ancora non lo abbiamo», ha dichiarato Merola il giorno
dopo, «visto che Autostrade ha tempo fino al 30
giugno per farlo, ne discuteremo meglio a luglio»)
- ha battezzato il candidato del Pd come sindaco
«anche per i prossimi 5 anni».
23 aprile 2016
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L’endorsement del presidente del Consiglio non è
stato particolarmente pubblicizzato visto il calo di
popolarità di Renzi dovuto anche alla recente battaglia referendaria (a Bologna hanno votato più di
100mila persone, circa il 37%), ma è stato visto comunque come una conferma delle buone probabilità di successo. Insomma i giochi parrebbero già fatti.
Eppure da poco più di una settimana circola un sondaggio commissionato dalla trasmissione Piazza
Pulita che disegna un quadro più complesso. Il Pd è
dato al 42%, contro il 24% della Lega, il 22% del M5s e
il 10% di Coalizione Civica. Il dato più impressionante è però quello della partecipazione al voto che prevede il 46% di astenuti e indecisi.
Con tali cifre e un mese e mezzo di Per Renzi, Merola è
campagna elettorale davanti il ri- sindaco «anche per
sultato appare molto meno certo, i prossimi cinque
tanto più che Forza Italia e il resto anni». Eppure
della destra non hanno ancora un sondaggio dà
indicato un candidato sindaco e il Pd al 42% contro
sono sempre più vicini al collega- il 24% della Lega
mento con Lucia Bergonzoni, can- e il 22% del M5s.
didata sindaco della Lega. Il bal- Andrebbe dunque
lottaggio con i leghisti non sembra al ballottaggio
più così inverosimile, tanto da
spingere Merola a solleticare la pancia degli elettori
più intolleranti: rispondendo a chi gli chiedeva della gestione dei flussi migratori il sindaco uscente ci è
andato giù pesante: «I bolognesi non avranno alcun
disturbo, bisogna però che i migranti abbiano pazienza e non vadano in giro a chiedere l’elemosina».
Con questi toni, in una città in cui i temi della sicurezza
e del famigerato “degrado” han fatto breccia da tempo anche nell’elettorato più moderato, è facile
comprendere che una larga fetta di
cittadini, soprattutto di sinistra ma
non solo, non si senta più rappresentata: si è rotto quell’equilibrio fragile
che aveva consentito alla giunta Merola di barcamenarsi tra il nascente partito della Nazione ed una storia
di solidarietà e uguaglianza decennale, già duramente
incrinata dalla vittoria di Guazzaloca e dalla gestione
securitaria di Cofferati. Gli sgomberi di alcune occupazioni abitative (ex Telecom) e del centro sociale Atlantide avvenute a opera del prefetto - e a quanto dichiarato
“all’insaputa” dello stesso sindaco - hanno inasprito i
conflitti sociali, aprendo una ferita profonda con una
fetta di città. All’ombra delle due torri, insomma, si
agitano fenomeni complessi che interrogano tutta la
società italiana e non permettono più di considerare
Bologna quell’isola felice, faro di cultura e innovazione, tolleranza e integrazione, che a lungo abbiamo im30
23 aprile 2016
© Rodolfo Giuliani
Due immagini
del candidato sindaco
Federico Martelloni
parato ad ammirare al punto da etichettarla come pro- Martelloni, che è nato a Lecce ma vive a Bologna ormai da più di vent’anni, pur non essendosi mai canverbiale esempio della socialdemocrazia all’italiana.
Bologna “la dotta” ha perso di recente anche il suo didato in nessun partito ha già una lunga storia da atintellettuale più noto, l’alessandrino Umberto Eco, tivista, avendo attraversato gran parte dei movimenti
quasi a voler simboleggiare la fine di un’epoca. È di e delle esperienze della sinistra italiana a partire dal
questi giorni la clamorosa notizia della bocciatura a movimento delle Tute Bianche - punto di riferimenscrutinio segreto del nuovo e giovane Rettore Uberti- to della formazione politica di Pablo Iglesias (Podeni (classe 1970) - per cui aveva votato a favore persino mos) - con cui da giovane studente ha partecipato da
Romano Prodi che si è poi immediatamente dimesso protagonista al G8 di Genova, fino ad aderire più di
in polemica - dall’assemblea dei soci della Fondazione recente e fino al suo scioglimento, a Sinistra ecologia
Carisbo, la maggiore fondazione culturale bolognese.
e libertà. Adesso che guida una coalizione che schiera
Bologna “la grassa” ha, in barba alla sua celebre tradi- al suo interno figure tra le più composite è chiamato
zione godereccia e culinaria, introdotto nelle mense ad un compito improbo: recuperare al voto ed alla
scolastiche i menù vegani, facendo parlare gli esperti partecipazione politica, partendo da una lista civica
di “rischio anoressia”.
posizionata saldamente a sinistra,
Bologna “la rossa” ha invece sco- Martelloni conta sui
quella parte di città che non ha ancora ceduto al racconto renziano o
perto il daltonismo politico: il movimenti per l’acqua
alla rabbia leghista.
giallo a cinquestelle e il verde Lega e per la scuola,centri
sostituiscono
progressivamente sociali e partiti politici
Ai lettori di Left questo cognome
ciò che resta degli stanchi eredi del a sinistra del Pd: Sel,
non sarà nuovo, essendo Federico
Pci. Sarebbe tutto qui se in fondo al Possibile, l’Altra Europa. il figlio di Francesco Martelloni, lo
tunnel non ci fosse una luce rosso- E le mille forme
storico leccese che aveva suggerito a Veltroni, ai tempi della svolta
blu che vale la pena di raccontare. di autorganizzazione
Rosso e blu sono i colori di Bolo- e solidarietà tra cittadini della Bolognina, di sostituire Falce
gna, ovviamente, ma anche di “Coe Martello con l’albero della libertà
alizione Civica”, una lista civica, per l’appunto, nata della rivoluzione francese, per innovare pur conserda un appello lanciato da alcuni cittadini nel luglio vando tutti i valori della Sinistra.
2015 e rivolto alle energie civili che hanno animato Questioni “antiche” che oggi ritornano, soprattuti movimenti per l’acqua e per la scuola, le lotte alle to dopo la presentazione del comitato elettorale del
infiltrazioni mafiose, le mille forme di autorganizza- primo cittadino uscente. Già bersaniano e ora timizione e solidarietà tra cittadini per «dare a Bologna damente renziano, Virginio Merola ha raccolto nel
un’amministrazione dedita al bene comune». L’ap- suo “ufficio dell’immaginazione” l’ex presidente delpello, che ha raccolto centinaia di sottoscrizioni, la Regione Vasco Errani e Flavia Franzoni (in Prodi):
ha dato origine a un’associazione con più di due presenze, tra le altre, che hanno molto esaltato
seicento iscritti in cui sono con- la stampa locale affrettatasi a parlare per l’ennesima
fluiti anche attivisti e rap- volta di rinascita ulivista. presentanti provenienti L’allusione non è sfuggita al giovane Martelloni, che
dai movimenti e partiti nell’aprire la sua campagna in un bar scelto come
politici a sinistra del Pd (Sel, comitato elettorale, ha rinnovato la tradizione storiPossibile, l’Altra Europa) e gli attivisti di alcuni dei co-botanica paterna presentandosi con una pianta
principali centri sociali cittadini (su tutti il Tpo e il di ulivo e attaccando pesantemente Merola: «ComLabas). Coalizione Civica ha nei mesi passati dato prendo la necessità di Merola e del Pd di mascherare
vita a gruppi di lavoro tematici e territoriali dove il partito della Nazione dietro le fronde appassite di
elaborare un programma per la città facendo incon- un Ulivo ormai morto», ha dichiarato, «per fortuna
trare generazioni e percorsi tra i più diversi, espe- noi preferiamo le piante vere e le esperienze vive, serienze che erano rimaste separate o parallele. Dopo minatrici di futuro, come la nostra Coalizione».
delle accese primarie interne, il cui esito ha sancito Quanto questa nuova e strana pianta riuscirà ad atanche l’uscita di alcuni dei soci fondatori della stes- tecchire nel tessuto della città è tutto da scoprire, i
sa associazione, Coalizione ha scelto come proprio lusinghieri sondaggi iniziali che la attestano intorno
candidato sindaco Federico Martelloni, quaranten- al 10% pur essendo nata solo da pochi mesi offrono
ne, professore associato di Diritto del lavoro, sposato spazio all’immaginazione e invitano a non perdere di
con un’avvocato lavorista e padre di due figli.
vista, di nuovo, Bologna “la rossa”.
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SE L’AUSTRIA
ALZA IL MURO DEL BRENNERO
Il valico con l’Italia è aperto alla libera circolazione dal 1995.
Le nuove politiche di “gestione del confine”
del cancelliere Faymann fanno traballare Schengen
di Giacomo Zandonini
«T
utto procede come al solito: controlli, fermi, riammissioni… la
routine quotidiana». Per Roberto
Manfredi, segretario del Sindacato autonomo di polizia di Bolzano, il temuto “muro del Brennero” è un’ipotesi
ancora remota. Eppure nell’aria, lungo il canalone scavato dalle acque dell’Adige attraverso il
Trentino fino ai 1.370 metri del valico di confine,
circondato da abeti e larici, c’è un senso d’attesa. Insieme ai primi reticolati semoventi, disposti nelle dalle autorità austriache a lato dell’autostrada, per aprire eventuali piazzole di sosta
sulle vie dritte della cittadina di confine, sono
tornati a passeggiare dubbi e fantasmi. Dietro
alle nuove politiche di “grenzmanagement”, ovvero di gestione del confine, adottate dal cancelliere uscente Faymann, si nascondono dati - e
prospettive - che raccontano un’Europa in equilibrio instabile sul filo di Schengen.
Da quando, lo scorso febbraio, Werner Faymann
ha reso pubbliche le intenzioni di costruire una
barriera nel più trafficato dei passi alpini, per
ridurre l’ingresso di migranti nel Paese, le voci
e i timori si rincorrono. Ma gli agenti di polizia,
spiega Manfredi, «per ora non hanno notato differenze». Se, come minacciato da Vienna, fossero ripristinati i controlli sistematici all’ingresso,
previsti dal codice di Schengen in casi legati a
ordine pubblico e sicurezza nazionale, «tutto
potrebbe cambiare da un giorno all’altro, con
code lungo l’intero asse dell’autostrada». I primi a risentirne, come paventato da più parti,
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sarebbero insomma gli automobilisti e - soprattutto - gli autotrasportatori, sui cui mezzi passa il 70
per cento delle merci del Brennero,
per un totale di due milioni di passaggi all’anno. Stime della Camera
di Commercio viennese parlano di
una perdita, per la sola Austria, di
circa due miliardi di euro, cifra largamente superiore agli 1,5 miliardi che, secondo un documento di
Ispi, peserebbero sull’interscambio
commerciale di tutta l’area Schengen in caso di sospensione completa del Trattato.
Sui treni, nella tratta
Verona-Monaco, le polizie
italiana, austriaca e tedesca
conducono i pattugliamenti
congiunti. Il treno è il mezzo
scelto dai 300mila sbarcati
in Italia e diretta a nord
Rispetto all’efficacia di nuovi controlli sui migranti in transito, il
rappresentante della polizia è però
scettico: «Da novembre 2014 conduciamo pattugliamenti tripartiti,
ovvero con colleghi austriaci e tedeschi, e quotidianamente facciamo scendere qualcuno a
Bolzano o al Brennero, ma chi, dopo lo sbarco in
Italia, vuole raggiungere il nord Europa, spesso
ha già le informazioni su quali sono i treni meno
controllati». Insomma, le pattuglie - previste dal
2001 e avviate su base giornaliera da fine 2014,
«con una sperimentazione di pochi mesi estesa poi fino a oggi» - intervengono sulle quattro
corse intercity che collegano ogni giorno Verona
a Monaco di Baviera, a fronte di decine di treni
locali che oltrepassano il confine, il cui pattugliamento richiederebbe sforzi molto superiori.
23 aprile 2016
Passo del Brennero,
manifestazione contro
la costruzione del muro
le 23 richieste di ripristino dei controlli interni
registrate dalla Commissione Ue dal settembre
2015 a oggi, numero sproporzionato rispetto ai
36 episodi totali del decennio appena precedente. Dopo la Svezia, in un effetto domino che è
arrivato a toccare i Balcani, a chiudere i confini nello scorso novembre sono state, più volte,
Germania e Austria. Finora Vienna è intervenuta solo sulle frontiere con Slovenia e Ungheria,
per sigillare la “Balkan route”, ma i controlli al
Brennero «erano comunque nell’aria dallo scorso dicembre, in previsione di un nuovo afflusso
via mare dalla Libia all’Italia», racconta Pieluigi
La Spada, referente del Centro informativo per
l’immigrazione della provincia di Trento. Tanto che l’Euregio, accordo di collaborazione fra
Trento, Bolzano e Innsbruck, già allora aveva
istituito un tavolo di monitoraggio ad hoc.
© Jan Hetfleisch/Epa Ansa
L’Alto Adige, secondo il direttore delle Politiche
sociali della provincia di Bolzano, Luca Critelli,
«è pronto da tempo a quelli che definiamo ristagni di persone, rimandate indietro al confine».
E un piano provinciale per dare un tetto a chi è
bloccato sull’asse del Brennero conterebbe sulla collaborazione del vicino Trentino, «ma se si
creasse un’emergenza chiederemmo una ridistribuzione a livello nazionale delle persone».
«È ingiusto demonizzare l’Austria, che nel 2015
ha ricevuto 88mila domande
È proprio il treno, infatti, il Critelli, direttore Politiche
di asilo, una delle percentuamezzo scelto da molte delle sociali di Bolzano:
li più alte nell’Ue», avverte
300mila persone arrivate in «È ingiusto demonizzare
Critelli: «Basti pensare che
Italia via mare e partite alla l’Austria, che nel 2015 ha
il solo Stato del Tirolo ospita
volta di Germania, Svezia o ricevuto 88mila domande di 6.500 rifugiati».
Danimarca. Mentre su stra- asilo. Il solo Stato del Tirolo È questo, probabilmente, il
da, prosegue Manfredi, «per ospita 6.500 rifugiati»
punto della questione: ripriora effettuiamo solo controlstinati i controlli ai confini di
li a campione. E, insieme alla Stradale che opera Svezia e Germania, prime mete di chi ha chiesto
attorno al casello di Vipiteno, abbiamo fermato asilo in Europa nell’ultimo biennio, lo Stato alpidiversi passeurs».
no ha registrato un’impennata delle domande:
11mila a novembre 2015 e 15mila nei primi tre
Sul Brennero, come su tutte le frontiere, si river- mesi del 2016, e il governo socialdemocratico,
sano da sempre gli umori della capitali europee vicino alla scadenza elettorale del prossimo 28
(“Fin qui, madre Roma, si sente la tua voce”, reci- aprile, ha giocato a rincorrere le destre xenofota il cippo di confine posto sulla vecchia statale be, con nuove norme sull’asilo, fra cui un discusnel 1921), e la “barriera anti-migranti” in costru- so tetto di 127mila richieste in quattro anni, cenzione non fa che confermare una storia com- tri di detenzione ai valichi e - appunto - il “muro”
plessa e dolorosa. Aperto alla libera circolazione del Brennero. Un milione di euro di spesa pubnel 1995, con l’entrata dell’Austria nello spazio blica che non basteranno, nel lungo periodo, a
Schengen, rischia oggi di subire gli effetti del- un centrosinistra in crisi d’identità.
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© Kasia Gatkowska Photography (4)
ALLO STUDENT HOTEL SIAMO
TUTTI CITTADINI DEL MONDO
Un albergo olondese popolato da startupper, ricercatori e studenti di
80 Paesi. All’insegna della condivisione, ecco come il business si unisce
all’impegno per i migranti. Parla il fondatore, Charles Mac Gregor
di Giorgia Furlan - da Amsterdam
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I
mmaginate: la hall di un grande albergo,
persone che si incrociano correndo veloci, spesso senza rivolgersi nemmeno uno
sguardo o un saluto, vicini di stanza che
sono estranei, pasti consumati in fretta e
da soli al ristorante dell’Hotel. Ecco, ora pensate a uno spazio che ospita persone provenienti
da ogni parte del mondo, con open-space dove
è possibile chiacchierare amichevolmente con
degli sconosciuti, pianificare le proprie piccole
grandi rivoluzioni, realizzare progetti, studiare,
dar vita a nuove imprese, ridere, ma soprattutto: sentirsi a proprio agio come a casa propria.
Tutto questo è The Student Hotel, il format alberghiero diffuso in tutta Europa e presto in
arrivo in Italia, ideato da Charlie Mac Gregor,
giovane imprenditore scozzese, idealista e visionario.
Nelle strutture alberghiere realizzate da Mac
Gregor è un continuo via vai di startupper, imprenditori, architetti e designer in viaggio per
lavoro, ma soprattutto di studenti, dottorandi
e ricercatori che ormai sentono il bisogno di
qualcosa di più di una semplice stanza nella
quale andare a dormire la sera, di condividere e
costruire relazioni umane e professionali.
Per capire quanto il sogno di Mac Gregor sia
tangibile e concreto basta entrare al The Student Hotel di Amsterdam City, un vecchio edificio industriale che era la sede di due giornali
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olandesi, il Trouw e il Parrol, a dieci minuti di Ma amore e passione, si sa, sono concetti in
bicicletta dal centro della città. La struttura, continuo movimento che finiscono per travolcompletamente rimodernata, ospita 571 stan- gere e contagiare molti aspetti della vita di una
ze curate nei minimi dettagli, una palestra, persona. È così che Mac Gregor non si è ferun’area comune con spazi di co-working, ca- mato a The Student Hotel, ma ha deciso anche
bine Ted Talk, una biblioteca e una sala giochi di fondare Movement on the ground, una foncon tavoli da biliardo, da ping pong e calcio dazione per rispondere alla crisi umanitaria
balilla. Ma soprattutto: «In tutti questi luoghi dei rifugiati. «Ogni individuo ha il diritto alla
puoi vedere le persone passeggiare insieme e sicurezza, a un riparo, ad avere cibo e acqua»,
chiacchierare con un enorme sorriso stampato spiega. E questo non è un concetto così distante da quello di un albergo in cui
sulla faccia», racconta lo stesso
si crede che fra i diritti fondaMac Gregor, orgoglioso di aver «Lo student spirit
mentali ci debba essere anche
trasformato un hotel, un am- è una parte
quello alla felicità.
biente tradizionalmente conce- di noi che non smette
«Negli ultimi mesi» racconta
pito come sterile, indifferente mai di essere aperta
Charlie «abbiamo cercato di imal passaggio delle persone e del e curiosa.
pegnarci attivamente per dare
tempo, in un luogo accogliente È con questo
una mano. Siamo partiti e siasentimento che
e famigliare.
«In ogni città dove realizziamo abbiamo studiato
mo andati a Lesbos, portando
uno dei nostri alberghi si co- ogni dettaglio dei
con noi cibo e tutto ciò che postruisce una comunità con ca- nostri alberghi»
teva essere utile a chi sbarcava
ratteristiche uniche ma sempre
animata da ottimismo, entusiasmo e voglia di
condividere», spiega Charlie. Uno dei valori
Ora il format sbarca a Firenze
cardine attorno al quale ruota l’idea di business su cui si fonda The Student Hotel è quelThe Student Hotel ha aperto la sua prima struttura a Rotterlo che Mac Gregor definisce student spirit, lo
dam nel 2012 e ad oggi gestisce circa 3.000 camere nei Paspirito dello studente: «C’è una parte di noi,
esi Bassi, Spagna e Francia. Il format nell’agosto 2017 sbarche non smette mai di essere aperta e curiosa.
cherà anche in Italia a Firenze dove il gruppo ha acquistato
Una parte nel nostro cervello che ci fa sentire
uno dei palazzi storici, conosciuto come il Palazzo del Sonno
al tempo stesso immortali e vulnerabili. Pieni
- circa 20.000 metri quadrati - che si affaccia sulla Fortezza
di potenziale e liberi di poter sbagliare. Io e i
da Basso. «L’investimento complessivo nel progetto fiorenmiei soci volevamo che ogni dettaglio dei nostri alberghi incarnasse questo sentimento». E
tino è di oltre 40 milioni di euro - ha spiegato il fondatore
in effetti, nella sede di Amsterdam - il cui deCharlie Mac Gregor - e creerà circa 300 posti di lavoro fra
l’opera di ristrutturazione e la futura operatività alberghiesign si avvicina moltissimo a quello che vedrera». La formula prevede tre tipi di soggiorno: a breve termine
mo realizzato a Firenze nel 2017 - si possono
(qualche giorno per un meeting o una vacanza), a medio
trovare, sparsi in ogni angolo dell’hotel, frasi
termine (circa 5 mesi) e a lungo termine (un anno). I costi
e aforismi come may the student in you never
delle stanze variano dai 50 ai 250 euro a notte per periodie, many minute of fame to start a revolution,
di più brevi, mentre si aggirano sugli 850 euro mensili con
everybody should love everybody. Perfino sulla
formula all inclusive, esclusi pasti e pulizie, per periodi che
chiave magnetica della stanza, la prima cosa
vanno dai sei mesi a un anno. Oltre agli alloggi saranno preche alla reception viene consegnata nelle mani
senti anche spazi di co-working e sale per Ted Conference.
di un nuovo ospite, è stampata la scritta, un po’
Frank Uffen, partner di Mac Gregor ha spiegato: «La nostra
monito un po’ suggerimento, love is the key.
«L’amore qui è davvero la chiave. È il segreto
strategia è quella di dare vita a circa 7 alberghi in Italia. Stiamo cercando attivamente in città universitarie come Roma,
per far sì che persone provenienti da più di 80
Milano, Torino, Bologna, Venezia e Padova».
Paesi diversi possano convivere, condividere
esperienze e magari vivere l’anno più bello e significativo della loro vita», ci dice Charlie.
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© Kasia Gatkowska Photography (2)
Sopra il ristorante The Pool e
sulla destra uno spazio Ted Talk.
In basso la spilla #relifevest
realizzata in collaborazione con
The Refugee Company da Mac
Gregor e alcuni studenti
sulle coste dell’isola. Ero nella C’è anche lo
che si occupa di sviluppare
posizione di fare qualcosa e vo- spazio per The
progetti di business che coinvolgano i rifugiati presenti
levo farlo a tutti i costi e così ab- Refugee Company,
nelle nostre città e permettabiamo pensato di fornire anche un’organizzazione
dei pannelli solari che potevano olandese che cerca di no loro di lavorare e sopratdare al campo rifugiati, gesti- coinvolgere i rifugiati tutto di vendere quello che
realizzano, guadagnando delto dal governo greco, l’energia in progetti di lavoro
le cifre ragionevoli e integrannecessaria perché tutte quelle e di integrazione.
dosi nel tessuto sociale del Papersone potessero avere delle Da qui nasce la spilla
ese. Soprammobili, magliette
condizioni di vita almeno un #relifevest
disegnate o ricamate, quaderpo’ più accettabili».
Si capisce facilmente quindi perché, girova- ni, libri illustrati per raccontare il loro viaggando per la sede di Amsterdam di The Student gio fin qui, addirittura una scultura alta 120
Hotel e procedendo oltre The Pool - il ristoran- cm della Tour Eiffel costruita con materiali di
te multietnico ideato dallo chef Bunmi Okolo- recupero, c’è di tutto, abbiamo anche creasi dove si possono gustare menu ispirati alla to una piccola spilla che abbiamo chiamato
vecchia rotta commerciale della Via della Seta #relifevest. Si tratta di un’iniziativa ideata in
- si arrivi ad una stanza dove, in alto all’entrata collaborazione proprio con alcuni studenti.
campeggia la scritta “The Refugee Company”. La spilla, che richiama la forma del classico
Entrando, ci si trova circondati da giubbotti di fiocco di adesione a una causa, è composta
salvataggio, macchine da cucire, oggetti vari di una parte arancione ricavata dai giubbotrealizzati con materiali di recupero e video che ti di salvataggio dei rifugiati e da una parte
mostrano cosa sta accadendo in quel mare che nera che riutilizza il materiale dei gommoni
separa l’Europa dal Medio Oriente e che, pa- con cui, se sono fortunati, i migranti arrivano
radossalmente, qui sembra più vicino ad Am- a riva. È un modo per riciclare e per sensibilizzare al tempo stesso le persone» conclude
sterdam di quanto si possa pensare.
«Abbiamo iniziato a collaborare con The Re- Charlie «sicuramente una goccia nel mare,
fugee Company, un’organizzazione olandese ma è pur sempre qualcosa».
23 aprile 2016
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QUEL PREZZO TROPPO ALTO
PER IL SÌ DI ERDOGAN
Merkel ha autorizzato il processo al comico che ha preso
in giro il presidente turco. Ora è sotto attacco in Germania per
aver ceduto al ricatto pur di chiudere l’accordo sui migranti
di Uski Audino
P
artiamo dalla fine, dalla valanga originata dalla palla di neve. La reazione che
ha suscitato il caso Böhmermann nell’opinione pubblica tedesca minaccia di
compromettere il futuro della cancelliera Merkel. Da quando la satira è andata in onda
sulla Zdf, suscitando le proteste di Ankara e l’agitazione del governo, il suo indice di gradimento
è sceso in due settimane dal 56 al 45%, riporta il
sondaggio del canale televisivo nazionale Ard.
Secondo un altro istituto demografico, citato da
Bild, due terzi dei tedeschi sarebbero contrari alla
decisione di autorizzare il procedimento penale
contro Böhmermann per lesa maestà. Ma cosa ha
fatto precipitare la cancelliera così velocemente?
Per capirlo serve un passo indietro. Una tv tedesca pubblica un video musicale su Erdogan: “Erdowie, Erdowo, Erdogan” (Erdo-come, Erdo-dove,
Erdogan). Niente di terribile, ma il governo turco
replica con durezza. Alcuni giorni dopo Böhmermann trae spunto da quel video per una nuova
poesia satirica, spargendo sale su una ferita già
aperta. Erdogan risponde con una doppia istanza al tribunale tedesco, come privato cittadino e
come capo di Stato. Per procedere penalmente
per lesa maestà in Germania serve però l’autorizzazione del governo. Giornali e opposizioni
aspettano al varco la cancelliera, che temporeggia. Non una buona scelta, questa volta, perché fa
salire la temperatura del dibattito. Quando infine
il governo, il 15 aprile, autorizza Erdogan a procedere penalmente contro Böhmermann, Merkel diventa il bersaglio di un diluvio di critiche,
dal conservatore Frankfurter Allgemeine Zeitung
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(Faz) al progressista Die Zeit. Quello
che fa discutere sono le motivazioni
date da Angela Merkel, la quale spiega di aver concesso l’autorizzazione
a procedere per lesa maestà perché Perché non ci si è limitati
in uno Stato di diritto come la Ger- a perseguire il comico
mania decidere in merito alla libertà nel processo intentato
di espressione spetta ai giudici, non da Erdogan come privato
al governo. Cosa che non sempre cittadino? Per affermare
accadrebbe in Turchia. Ma la deci- la supremazia della politica
sione di autorizzare il procedimento sulla libertà di espressione?
per lesa maestà è politica, ribattono
i giornali. Il governo, continua Merkel durante
l’incontro con la stampa, ha un compito diverso.
Per esempio esprimere un’indicazione sul paragrafo 103 del Codice penale che disciplina la
lesa maestà, paragrafo da abolire entro due anni.
«Perché dire - si chiede un lettore della Faz - che il
paragrafo 103 del codice penale sarà abolito nello
stesso momento in cui lo si applica? Se ha senso,
lo si conserva, se non lo ha, non lo si applica». La
Zeit si chiede poi perché non sia stato considerato
sufficiente perseguire penalmente il comico nel
processo intentato da Erdogan come privato cittadino. Forse per affermare una supremazia della politica sulla libertà di espressione? Insomma
un pasticcio, a cui la Germania, dopo 10 anni di
cancellierato materno e protettivo che aveva reso
Merkel così popolare, non era affatto pronta. E
una parte dell’opinione pubblica tedesca sembra
emotivamente offesa dalla posizione di Merkel.
Nelle interviste di strada dell’agenzia Afp, si sente
ripetere che la libertà di opinione è un valore che
non dovrebbe essere messo alla mercé di un capo
23 aprile 2016
© AP Photo/Axel Schmidt - Henning Kaiser/Epa Ansa
L’attore sotto accusa
Da sinistra, il presidente turco
Erdogan, la cancelliara tedesca
Angela Merkel e l’attore sotto
accusa, Jan Böhmermann
di Stato straniero. E il cabarettista turco-tedesco
Serdar Somuncu, nel talk show di Anne Will, ricorda che Erdogan ha usato un altro piglio contro la
stampa inglese e tedesca che seguiva il processo
ai giornalisti turchi, colpevoli di aver svelato i rapporti dei servizi segreti con l’Isis. «Chi sono queste
persone?» aveva detto il presidente turco. «Che
cosa cercano? Questo non è il loro Paese, questa
è la Turchia». È probabile, tuttavia, che la Merkel,
proceda per la sua strada, in nome del realismo
politico. Realismo - qualcuno lo chiamerebbe
cinismo - che salta agli occhi se si mettono in relazione tre cose accadute lo stesso
«Questo non è il loro giorno, il 17 marzo: sono iniziati i
Paese» aveva detto Erdogan colloqui di Bruxelles che porteranquando la stampa inglese no agli accordi tra Ue e Turchia per
e tedesca seguiva il caso affrontare la crisi dei migranti; è andei giornalisti turchi che dato in onda il primo video musicaavevano svelato i rapporti le satirico contro Erdogan, e quello
dei servizi segreti con l’Isis stesso giorno il corrispondente tedesco di Der Spiegel, Hazaim Kazim,
ha dovuto lasciare la Turchia perché le autorità
turche gli avevano negato la tessera di giornalista.
Insomma, gli accordi con la Turchia sui migranti e i problemi alla libertà di stampa in Germania
hanno la stessa data di nascita, quel 17 marzo, e
sembrano legate a filo doppio. Ma è giusto dare
un colpo simile alla libertà d’espressione, pagare
un tale prezzo, per compiacere Erdogan che promette fronteggiare la crisi dei migranti?
23 aprile 2016
Con Varoufakis ha conosciuto la notorietà, Erdogan potrebbe costargli la
libertà. Dell’attore comico e presentatore tedesco Jan Böhmermann, nato
a Brema nel 1981, si è parlato molto
lo scorso anno per il video musicale ovviamente satirico - V for Varoufakis,
dedicato all’ex ministro greco. Nelle
scorse settimane, invece, le parole di
scherno nei confronti di Erdogan gli
sono costate - complice il via libera del
governo tedesco - l’accusa di lesa maestà e una settimana sotto scorta. Tanto
che il comico ha deciso di prendersi
una pausa annunciando «un viaggio in
Corea del Nord, così mi faccio spiegare bene come funziona questa faccenda della libertà di stampa». Böhmermann ha spiegato che resterà lontano
dal piccolo schermo «affinché il pubblico e Internet possano concentrarsi
su questioni importanti come la crisi
primaverile, i video sui gatti o la vita
amorosa di Sophia Thomalla», modella
tedesca. Quando ha saputo che Beatrix
von Storch, europerlamentare nota per
aver evocato l’uso delle armi per frenare l’ingresso dei migranti in Germania,
ha solidarizzato inneggiando alla libertà di espressione, ha sentenziato: «Ora
chi mi resta da prendere in giro?».
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THE YOUNG ITALIAN MAN
CHE FU
Se gli chiedi di Giulio Regeni, Al Sisi risponde parlando della sua politica
interna: «Ciò che avviene in Egitto è un tentativo di spaccare le istituzioni
dello Stato». E rispedisce al mittente le accuse di depistaggio
di Michela AG Iaccarino
T
he young italian man Giulio di. Mentre Hollande è lì - mentre l’amRegeni - come spesso lo defi- basciatore italiano Massari è a Roma,
niscono i media governativi richiamato in Italia dopo la tensione
egiziani - è diventato - dopo la sempre più alta nei rapporti Egitto morte - fratello e amico di mol- Italia, e molti arrivano a bussare alla
ti dopo che il potere, o uno dei poteri porta «del più importante alleato conlungo il Nilo, gli hanno tolto la vita. L’af- tro il terrorismo islamico» - Al Sisi rifaire Regeni è invece diventato un caso badisce: «Non potete immaginare cosa
egiziano - anzi arabo, quanto italiano, succederebbe al mondo intero se quema non europeo. Piuttosto americano: sto Paese cade. Nostro dovere è proteg«L’indagine bloccata sull’omicidio del- gere un Paese di 90 milioni di persone».
lo studente italiano ha costretto alme- «Noi egiziani abbiamo creato un prono un Paese, l’Italia, a rivalutare il suo blema con l’assassinio». Alla prima
legame con l’Egitto, è tempo che altre beffa del rais è seguita una seconda.
democrazie occidentali riconsideri- «Chi fa il giornalista deve avere fonti,
no il proprio. È vergognoso il silenzio deve fare ricerche». In diretta tv dal suo
della Francia», scrive il
palazzo
presidenziale
New York Times. Sempre Gli slogan che
la voce tronfia di Abdel
meno europeo e più ver- questa settimana
Fattah Al Sisi, con un record di giornalisti dietro
gognoso lo è ora, men- rimbombavano di
le sbarre, ha accusato
tre uno dei più potenti nuovo per le strade
dell’omicidio di Giulio
premier dell’Eu, il presi- della Capitale sono
dente francese Hollande, gli stessi di cinque
un’imprecisata
“gente
firma un accordo sulle anni fa. Al Sisi
malvagia”, insieme ai
armi da 1,1 miliardi di erhal. Vattene!
media in patria per le
dollari con il governo del
“menzogne” diffuse, poi
generale, dopo quello datato 2015 che, ancora i social network, poi altri anper 24 aerei caccia e 2 navi da guerra, cora, senza nome, quelli che “vogliono
ha fatto transitare già 5,2 miliardi di mettere in imbarazzo l’Egitto”.
euro dal Nilo alla Senna. Inoltre al Cai- Peggio di prima. Gamal Eid, avvocato
ro in previsione c’è la spesa di 4 miliar- e direttore del Network arabo per i didi destinati all’edilizia industriale, per ritti umani, ha scritto, ancora New York
la costruzione di sei porti, quattro sta- Times, che «Mubarak era sicuro abba42
23 aprile 2016
Egitto, Cairo, 15 aprile 2016.
Manifestazioone contro Al Sisi
di fronte alla sede del sindacato dei giornalisti
stanza da tollerare gruppi indipendenti
che operavano fuori dal suo controllo,
ad al Sisi manca questa sicumera. Con
un’economia zoppicante, una contro
insurrezione nel Sinai, un malcontento pubblico diffuso, il regime di Sisi si
confronta con difficoltà più grandi di
quelle di Mubarak nei suoi ultimi giorni di Governo».
Gli slogan che questa settimana rimbombavano di nuovo per le strade
della Capitale sono gli stessi di cinque
anni fa. “Le persone chiedono la caduta del regime”. Al Sisi erhal. Vattene. Dal
Cairo ad Alexandria è quello che gridavano i manifestanti contro il Governo
egiziano, proprio come durante le proteste anti Mubarak che accesero Tahrir.
È accaduto dopo la cessione delle due
isole del Mar Rosso, Tiran e Sanafir,
all’Arabia Saudita e re Salman che ha
appena pompato nelle casse vuote del
faraone caudillo 24 miliardi di investimenti. Tra nasseriani e nazionalisti,
liberali e giovani del Tamarod, vecchi
sostenitori dei Fratelli Musulmani, alla
protesta sono stati 120 gli arrestati,
© Mohamed Osam/Newzulu/Ansa
molti i feriti negli scontri contro divise
e lacrimogeni.
Ripetiamolo di nuovo. Mentre Giulio
moriva, al Cairo discutevano e brindavano 60 imprenditori italiani - Confindustria, Sace, Simesit - e sul piatto
d’argento non c’erano i documenti
del ricercatore italiano che scriveva di
sindacati - la prima foto diffusa dai dipartimenti investigativi sul Nilo dei documenti di Giulio - ma 850 miliardi di
metri cubi di gas potenziali, 5 miliardi
di investimento per Zohr, il più grande
giacimento di petrolio trovato nel Mediterraneo. Quello che la Lukoil della
Russia di Putin è pronto a trivellare subito se l’Eni italiana dovesse fare anche
solo un passo indietro.
Ora c’è un’altra foto. Nella foto c’è un
borsone rosso con su scritto Italia.
Come una ridicola didascalia di appartenenza, un attestato di veridicità del
ritrovamento. Carte di credito, tre paia
di occhiali da sole, portafogli, cellulare e un portaoggetti con su scritto Love
che luccica. Questo c’è da osservare e
analizzare perché è questo quello che «Ciò che avviene in Egitto è un tenrimbalzano dalla Capitale egiziana. Era tativo di spaccare le istituzioni dello
il 25 gennaio, erano i suoi 28 anni ed era Stato, istituzione dopo istituzioni La
il suo cadavere ritrovato in una perife- polizia è attaccata, vengono mosse acria del Cairo il 3 del mese successivo a cuse per far cadere la polizia egiziana.
cui sarebbero proseguiti altri giorni di Poi ci sono le accuse mosse alla magismentite, elenchi di tesi che già si sape- stratura, per far cadere la magistratura
vano di comodo o indimostrabili. L’e- egiziana». Vuole allentare la pressione
lenco delle prese in giro arrivate dopo politica che alcuni apparati riescono a
è pari solo ai tentativi di
fargli sentire da Roma, lo
depistaggio arrivate all’i- «Con un’economia
fa sapere tramite Ahmed
nizio. Il borsone è stato zoppicante, una
Abou Zeid, portavoce
rinvenuto a casa di Tarek contro-insurrezione ministero degli Esteri.
Abdel Fatah, capobanda nel Sinai, il regime
Quando si è scelto di deporre Mubarak, il bracaccusato insieme ad altri di Sisi si confronta
cio del Consiglio Supequattro criminali comu- con difficoltà più
ni, dell’omicidio di Giulio. grandi di quelle
riore delle forze armate
La moglie di Fatah è stata di Mubarak
si è mosso come durante
arrestata quando ha di- negli ultimi giorni»
tutti i golpe precedenti
chiarato che il marito lo
di ufficiali saliti al poteaveva ricevuto solo cinque giorni pri- re che hanno fatto la storia da faraoni
ma della sua morte, che gli aveva detto del Novecento in Egitto. Quei servizi
appartenere ad un amico, che non ha segreti che il rais al Sisi ha scagionato
mai ammazzato né litigato con Regeni, in diretta tv per l’affaire Regeni ma ora
come dichiarato dal suo Governo.
potrebbero deporlo come è successo
Se gli chiedi di Regeni, Al Sisi rispon- a tutti i predecessori, da un momento
de parlando della sua politica interna: all’altro.
23 aprile 2016
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PARERI
PRIMARIE USA
di Corradino Mineo
Hilary Clinton contro Donald Trump
ma Sanders farà ancora parlare di sé
L
o Stato di New York ha parlato e quasi
certamente saranno Hillary Clinton e
Donald Trump a contendersi la Casa
Bianca l’8 novembre. L’ex segretario
di Stato ottiene a New York un milione di voti
contro i 750mila di Bernie Sanders, in percentuale fa il 58 contro il 42%. Sono stati i voti delle donne e quelli degli afroamericani ad aver
fatto la differenza, il senatore “socialista” ha
convinto meglio gli elettori bianchi e i giovani.
“Siamo in dirittura d’arrivo”, dice Hillary nel
giorno della vittoria, con accanto il marito
presidente, il governatore dello Stato Andrew
Cuomo e il sindaco di New York Bill De Blasio.
Subito lancia segnali di pace al suo campo:
“Sono più le cose che ci uniscono - dice rivolta ai sostenitori di Bernie - siamo tutti progressisti, veniamo tutti dalla stessa tradizione, da Franklyn Roosevelt a Barack Obama,
ora dobbiamo pensare a quegli americani - e
sono tanti - che non si sono ancora risollevati
dalla grande crisi. Dobbiamo pensare a loro
con spirito costruttivo, perché è così che l’America risolve i problemi”.
Sanders non si dà per vinto, un giorno per ricaricare le batterie e di nuovo in campagna
per gli appuntamenti del prossimo martedì:
Pennsylvania, Maryland, Connecticut. Ha l’amaro in bocca perche a New York non erano
ammessi al voto gli “indipendenti” tra i quali
sa di essere più forte: “Circa tre milioni di NewYorkers non hanno potuto votare perché registrati come indipendenti. Secondo me non ha
senso”. E poi il ricorso presentato dal suo staff:
125mila elettori “scomparsi”, cioè cancellati
per qualche motivo, dalle liste di Brooklyn.
Ma Hillary Clinton ha confermato i pronostici, ha vinto “a casa”, nella sua New York, e
ora dovrebbe perdere quasi ovunque e subire
una disfatta molto, molto netta in California,
stato che il 7 giugno assegnerà 546 delegati,
perché Sanders possa contestare alla Convention la sua nomination. Tutti gli occhi
sono, dunque, già puntati sullo scontro decisivo, contro il competitor repubblicano. Era
ora, non c’è tempo da perdere.
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E l’avversario di Hilary sarà Donald Trump,
che ha spianato - come si direbbe da noi - i
suoi competitor. Con oltre il 60% dei voti ha
umiliato Kasich, 25%, e soprattutto Ted Cruz,
che si è fermato al 14%. Ora se Trump parla ancora di “nomination truccata”, se paventa colpi
di mano alla Convention, lo fa più per vendere
la sua merce, di candidato populista e anti apparato, che perché davvero ci creda.
New York ha parlato e lancia verso la sfida di
novembre due suoi figli, Trump che qui è nato,
Clinton che dello Stato è stata a lungo senatrice. Due personalità che non potrebbero
essere più diversi. Sempre perfetta, misurata,
sicura di sé e certa del sostegno degli apparati, la prima. Sbracone e sbruffone il secondo.
Ora entrambi dovrebbero cambiare assetto di
marcia: Donald per non spaventare troppo la
destra ben educata -esiste ancora e per il momento lo detesta, basta vedere l’astio con cui
lo tratta il mondo dei Bush -, Hillary dovrebbe
sporcarsi le mani, somigliare per una volta a
un blue collar, un lavoratore manuale che ha
perso l’impiego in fabbrica, è stato riassunto
dopo la crisi -nel terziario, commercio o ristorazione - ma con un salario nettamente più
basso, meno coperture sociali e l’ansia di non
poter promettere molto ai figli.
Dopo questa lunghissima corsa, l’America non
sarà più la stessa. Risentita col resto del mondo quella di Trump: “Ci hanno scippato e portato fuori dal paese i nostri posti di lavoro. Non
permetteremo che accada piu”.
Preoccupata di non chiudersi Bernie Sanders e i suoi
nell’establishment, quella della giovani ed entusiasti
Clinton dovrà fare i conti con la sostenitori hanno ottenuto
meravigliosa, straordinaria realtà il 42% a New York, dove gli
portata in luce dalla campagna “indipendenti” non votavano.
di Bernie Sanders, con i tanti, Si è vista un’altra America.
democratici e indipendenti, che Che vuole contare
chiedono un presidente autentico e non un pollo di apparato, che chiedono
un salario minimo a 15 dollari e che possa frequentare il college a ogni ragazzo che lo vuole. Bernie Sanders non è stato una meteora e
saprà contare anche dopo le primarie.
23 aprile 2016
© Seth Wenig/AP Photo
23 aprile 2016
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© Daniele Cametti Aspri
La fotografia d’arte
alla conquista di Milano
Anche quest’anno dal 28 aprile al 2
maggio a Milano si terrà il Mia Photofair, la prima e più importante fiera
italiana della fotografia d’arte, ideata
e diretta da Fabio Castelli. Dopo il
successo della quinta edizione, con il
record di 22mila visitatori, viene rin-
cofermata anche per la sesta la location di The Mall, nel quartiere di Porta Nuova - Varesine. La fiera ospiterà
80 gallerie provenienti da 13 diverse
nazioni del mondo con 230 artisti
esposti in 109 stand, e poi 16 editori
specializzati e 16 artisti indipendenti.
23 aprile 2016
Fra questi Daniele Cametti Aspri con
“Il Mio Diario Per Te” e “My American
Dream”, Jacopo Di Cera con il progetto “Fino alla fine del mare” e Monica
Silva con “Lux et Filum - una visione
contemporanea di Caravaggio”.
g.f.
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Una goccia di sangue
contro il cancro
La scoperta nel sangue di frammenti di Dna di cellule tumorali
e degli esosomi, le avanguardie del tumore, apre una strada alla diagnosi
precoce. Ma c’è il rischio che i test non siano accessibili a tutti
A
di Pietro Greco
lmeno un merito bisogna riconoscerlo, alla Pathway Genomics,
azienda di diagnostica medica di San Diego, in California:
mettendo sul mercato lo scorso mese di settembre, senza la preventiva autorizzazione e al prezzo di 699 dollari, il kit per la “biopsia
liquida” capace di verificare la presenza di tumori in
pazienti ad alto rischio, ha rapidamente portato al
pettine quattro nodi importanti che riguardano la
battaglia contro il cancro e, dunque, la nostra salute.
Il primo è un nodo di natura squisitamente medica: potremo, in un futuro che sembra già iniziato,
fare davvero a meno della dolorosa “biopsia solida”
e verificare se siamo stati attaccati o meno da uno
dei duecento tipi diversi di tumore con una semplice analisi del sangue? I test saranno (già sono) in
grado di individuare l’eventuale malattia anche nei
suoi primissimi stadi, con mesi di anticipo rispetto
ai metodi tradizionali? E possono verificare l’efficacia di un’eventuale terapia in atto? Il secondo è di
natura etico-scientifica: questo tipo di analisi non
ha ancora superato, come rilevato dalla Food and
drug administration, la massima autorità sanitaria
degli Stati Uniti, le prove standard di valutazione di
efficacia e tossicità. Possono essere già utilizzati e,
addirittura, commercializzati, come vuole un nuovo
pensiero liberista in campo medico? Il terzo è una
valutazione di carattere sanitario: se il test si rivelasse davvero facile ed efficace, chi dovrebbe effettuarlo? Tutta la popolazione, in generale, oppure solo
persone ad alto rischio? E chi ci assicura che non ci
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23 aprile 2016
saranno falsi positivi (gente che risulta avere un processo tumorale in atto che in realtà non c’è)? Il quarto è di carattere economico e sociale: chi paga per
questi test piuttosto cari (ma non carissimi): il servizio sanitario nazionale, che nel caso di un’analisi
di massa rischia il crac finanziario, o le singole famiglie, col rischio che il test diventi un nuovo, odioso
generatore di disuguaglianza di salute? È possibile
abbassare il costo della “biopsia liquida” e come?
Non pretendiamo di scioglierli subito, questi nodi.
Chiediamo solo che si apra per tempo un dibattito,
reso attuale dalla scoperta, relativamente recente e
riproposta nei giorni scorsi sia da Science e Nature,
le due più note riviste scientifiche al mondo, che al
tema hanno dedicato grande spazio: a) oggi sappiamo che nel sangue circolano sia diverse truppe disperse sia le avanguardie di quel complesso esercito
di malattie che chiamiamo cancro; b) oggi siamo
sempre più in grado di individuarli questi nemici
che si aggirano nel sangue con osservazioni non
troppo invasive. Tra le diverse truppe sparse dell’esercito del cancro che fluttuano nel sangue spicca
la soldataglia: piccoli frammenti di Dna rilasciati
dalle cellule tumorali. In realtà, il liquido rosso che
scorre nelle vene di noi tutti contiene frammenti di
Dna rilasciati da cellule di ogni genere e tipo. Cellule
che per la maggior parte sono sane. Ma di recente
si è scoperto che i frammenti di Dna rilasciati dalle cellule tumorali sono un po’ diversi (più corti) e
comunque portano precisi segni delle mutazioni
tumorali. Segni che consentono di distinguere tra i
vari tipi di tumore. Anche se sono come aghi in un
23 aprile 2016
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pagliaio, oggi siamo in grado di individuare i frammenti di Dna tumorale. Un patologo chimico dell’università cinese di Hong Kong, Dennis Lo, ha trovato
il sistema di scovare un frammento di Dna tumorale
in mezzo a 1.000 frammenti di Dna sano. Nel 2013 il
medico cinese ha analizzato il sangue di 1.300 persone (apparentemente) sane, trovando in 3 di loro i
frammenti di Dna tipici di un tumore nasofaringeo
nei primi stadi di sviluppo. Poiché l’analisi precoce
consente una guarigione nel 95 per cento dei casi,
ben si comprendono le potenzialità della scoperta.
Ora Dennis Lo è pronto per consegnare alla comunità scientifica i risultati di un’analisi estesa a 20.000
persone. Altri ricercatori hanno trovato frammenti
di Dna associati ad altri tipi di tumore o che annunciano metastasi. Gli studi sono già in fase avanzata
e, sempre a San Diego, un’altra
In Cina Dennis Lo, azienda biomedica, la Illumina,
analizzando il Dna si dice pronta a proporre un test
di 1.300 persone, genetico capace di individuare
ha trovato 3 casi di nel sangue, con una sola analisi,
tumore agli inizi. svariati tipi di tumori, anche in
Negli Usa David fase precoce di sviluppo.
Lyden punta sugli Qualcosa di simile succede con il
esosomi, vescicole rilevamento di intere cellule turilasciate da cellule morali. Che queste cellule circotumorali e decisive lino nel sangue lo si sa da molto
nelle metastasi tempo (dal 1869, per la precisione). Ma solo di recente si è scoperto che la loro presenza non è associata solo a tumori molto aggressivi e in uno stadio avanzato. Con
buone tecniche analitiche oggi disponibili è possibile individuare rare cellule tumorali generate da un
processo canceroso in atto.
Ma poi nel sangue si aggirano le avanguardie del
tumore: gli esosomi. Si tratta di piccole vescicole
cui David Lyden, un ricercatore della Weill Cornell
Medicine di New York, attribuisce un ruolo davvero
maligno. Rilasciate da tumori anche nei primissimi
stadi, circolano nel sangue fino a quando non vanno a impiantarsi nei tessuti preparando la strada
affinché le vere e proprie cellule tumorali, quando
arrivano per caso, trovino un ambiente adatto ad
accoglierle. Gli esosomi, diversi e di diverso tipo,
aiutano le cellule a eliminare le proteine inutili e, soprattutto, aiutano la comunicazione delle cellule del
sistema immunitario. Ma anche le cellule tumorali
producono in grande quantità esosomi con caratteristiche peculiari. Per esempio, sono così piccoli da
poter essere scambiati per virus. Ebbene, queste minuscole vescicole di non più di 100 nanometri, sembrano assolvere a un ruolo decisivo in quel processo, chiamato metastasi, in cui cellule cancerose si
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23 aprile 2016
distaccano dal tumore primario, e attecchiscono in
luoghi diversi e, spesso, lontani. Ebbene, scrive Paula Kiberstis su Science, quello delle cellule che si distaccano dal tumore primario e si dirigono verso un
sito metastatico non è un viaggio facile: anzi, è una
vera e propria corsa a ostacoli: deve invadere tessuti,
passare in capillari, vene e canali linfatici, sopravvivere nel difficile ambiente di questi condotti, uscirne, individuare un nuovo tessuto dove trovare riparo
e crescere in un microambiente che, spesso, è molto
diverso da quello del tumore primario.
Secondo David Lyden, senza un aiuto le cellule tumorali avrebbero molta difficoltà a sopravvivere in
questi ambienti ostili e ad attecchire in un tessuto
molto lontano e molto diverso da quello della massa tumorale originaria. Ebbene, questo qualcuno
sono proprio gli esosomi. Queste vescicole non sarebbero, dunque, solo messaggeri maligni, come li
definisce la rivista Scence, ma vere e proprie truppe
avanzate di un esercito invasore: esplorano il territorio e lo preparano all’arrivo del grosso dell’armata.
L’ipotesi di David Lyden è ancora controversa. Molti
suoi colleghi ritengono ancora troppo preliminari e
poco chiari i risultati delle sue ricerche per attribuire
alle minuscole vescicole un ruolo così decisivo nel
processo di metastasi. Ma Lyden lo scorso mese di
novembre in un articolo su Nature, ha sostenuto che
gli esosomi non si limitano a preparare l’ambiente
adatto per le cellule tumorali, ma dettano al tumore dove e come attecchire e svilupparsi. Tra quelle
truppe avanzate ci sarebbe, dunque, anche lo stato
maggiore dell’esercito del cancro. Certo, secondo
i suoi colleghi Lyden, deve ancora portare prove
inequivocabili di questa teoria. Resta il fatto, tuttavia, che gli esosomi sono quanto meno messaggeri maligni: la loro presenza annuncia lo sviluppo
delle metastasi. Se, dunque, il ruolo degli esosomi
e la possibilità di rilevarli con una normale analisi
verranno confermati, la possibilità di contrastare le
metastasi con terapie precoci aumenterà notevolmente. Difficile sopravvalutare la portata di questi
studi: il 90 per cento delle persone che muoiono a
causa di un tumore, infatti, muoiono non a causa
del tumore primario, ma proprio delle metastasi.
Non c’è dubbio, dunque, che lo sviluppo delle conoscenze sui frammenti di Dna tumorali, di cellule
tumorali e di esosomi nel sangue potrebbe rivelarsi
una svolta nella lunga battaglia contro il cancro. Ma
come tutte le grandi svolte, anche questa spalanca
non solo a nuove opportunità ma anche a nuovi
problemi. Che conviene iniziare ad affrontare, se
non vogliamo che le opportunità siano per tutti e
non solo per alcuni.
© Milansys/iStock
Quando Damasco
era la perla dell’Oriente
La scrittrice Suad Amiry racconta gli splendori della città siriana
e la sua millenaria cultura. «Nessuno lascia la propria casa se non è
costretto, i rifugiati hanno bisogno di sostegno, trattiamoli con umanità»
È
di Simona Maggiorelli
una delle città più antiche al mondo,
«Damasco vanta una storia millenaria che, senza soluzione di continuità, arriva fino ad oggi», esordisce così
la scrittrice e architetto Suad Amiry,
parlando del suo nuovo romanzo.
«Ho scritto questo libro per portare i lettori nei
vicoli della città vecchia, a sentire il profumo dei
numerosi suk che vendono spezie, stoffe e cose
preziose, a conoscere lo splendore dei palazzi,
dei cortili con fontane e giardini. Con i suoi stretti vicoli, le sue case e la grande moschea degli
Omayyadi, Damasco fa da sfondo alla storia della
mia famiglia che ripercorro a ritroso nel tempo
per tre generazioni». Nel romanzo intitolato semplicemente Damasco (Feltrinelli) la scrittrice rian-
noda i fili della vicenda familiare, di sua nonna e
di sua madre, Samia Baroudi, fin dagli ultimi anni
dell’Ottocento, intrecciandola con fatti storici
come l’insurrezione palestinese del 1929 «contro
la creazione di un focolare ebraico in Palestina».
E poi con le altre rivolte che sarebbero seguite dal
1921 al ’36, al ’44, al ’47 fino al 2000 e oltre. A molte di queste sollevazioni suo padre, Omar Amiry,
insegnante di origine palestinese, partecipò come
attivista. Così, per ragioni di sicurezza, dovette
lasciare Giaffa dove era nato e poi Damasco per
trasferirsi con la famiglia nella più grigia provincia
giordana. Ma in questo nuovo lavoro, Suad Amiry più che di fatti storici si occupa della trama dei
rapporti affettivi e della vita più intima dei personaggi ricreando memorie d’infanzia e narrazioni
23 aprile 2016
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trasmesse oralmente. A cominciare dal racconto
del lungo viaggio, fra emozioni contrastanti, che
la giovanissima Teta (in arabo nonna) intraprese
da Nablus, nella Palestina rurale, per andare in
sposa al ricco mercante damasceno, Jiddo, che
aveva vent’anni più di lei. « In questo libro racconto la storia di una famiglia ricca di Damasco,
una storia d’amore ma anche di tradimenti e segreti. Dove si incontrano donne forti come mia zia
Laila che - ricorda la scrittrice - governava l’intera
famiglia». O come la stessa Teta che alla fine si lascia conquistare dalla simpatia del bambino della
domestica, nonostante sia nato dal tradimento di
suo marito. Oppure come la zia Karimeth che, da
nubile, decide di adottare una bambina.
Ripercorrere tutte queste vicende assume un significato nuovo e più profondo oggi che la Siria,
purtroppo, è dilaniata dalla guerra. Come in altri
romanzi di Suad Amiry anche qui la ricerca letteraria si fonde con l’impegno civile e politico.
«Volevo parlare dei siriani, della loro grande storia, perché oggi sono obbligati ad emigrare ma in
Occidente sono considerati dei mendicanti. È un
dolore immenso vedere gli abitanti di Damasco
e di Aleppo costretti a scappare per diventare rifugiati indesiderati. Queste persone, che oggi vediamo all’addiaccio, sono portatori di una cultura
«Io stessa sono stata rifugiata. I miei genitori
furono cacciati dalla loro casa come altri 850mila
palestinesi, dopo la nascita dello Stato di Israele»
ricchissima. Nessuno lascia la propria casa se non
è costretto. Ogni italiano, ogni europeo, ha un padre o un nonno che è stato rifugiato o emigrante
dopo la seconda guerra mondiale. Ma il guaio è
che tendiamo ad avere la memoria corta».
Da architetto che ha fondato il Riwaq Center for
architectural conservation a Ramallah e continua
ad occuparsi del recupero del patrimonio culturale palestinese aggredito dalla colonizzazione,
Suad Amiry come immagina una possibile ricostruzione della Siria? «Spero che questa guerra
finisca davvero- risponde la scrittrice -. E che al
più presto si possa cominciare a ricostruire la città vecchia di Aleppo con le sue splendide case e
il suo castello. Vorrei che potessero tornare al loro
antico splendore. Così come vorrei che fosse restaurata Palmira. Ma fino a quando il conflitto è
in atto i civili siriani hanno bisogno di sostegno,
trattiamoli in modo umano».
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La casa, come simbolo di un luogo interiore e poi, all’opposto,
come prigione sotto l’occupazione israeliana è un tema che
Amiry ha trattato in Sharon e mia suocera, dopo
essere tornata a vivere a Ramallah nel 1981.
Mentre il dolore di dover abbandonare la propria
abitazione è al centro del romanzo Golda Meir
ha dormito qui in cui racconta la vita dell’esponente israeliana in una casa araba, dopo averne
cancellato l’insegna in occasione di una visita di
delegati delle Nazioni Unite. Molti palestinesi
furono dichiarati “proprietari assenti” delle loro
case, abbandonate sotto i bombardamenti israeliani a partire dal ’48 e poi fu impossibile farvi
ritorno, se non a rischio di trovarsi faccia a faccia
coi nuovi inquilini ebrei.
La vicenda siriana in qualche modo oggi le rievoca quella palestinese? «Sì perché io stessa
sono stata una rifugiata. I miei genitori furono
cacciati dalla loro casa, come altri 850mila palestinesi, quando lo Stato di Israele conquistò
spazio. Nel mio lavoro c’è questo senso di sra-
23 aprile 2016
Damasco di Suad Amiry (in foto a destra)
è tradotto da Maria
Nadotti. E come tutti
i precedenti romanzi
e saggi della scrittrice
palestinese è pubblicato da Feltrinelli
© Witold Ryka/iStock
non ci sia niente da risolvere riguardo alla condizione della donna nei paesi musulmani e nel resto del mondo. Dico soltanto che in molte società
giudicate arretrate dall’Occidente ci sono donne
dalla forte personalità. Io stessa ne ho conosciute molte. Ma le donne che vengono dal mondo
musulmano sono incasellate secondo stereotipi.
Per esempio non si ricorda spesso che un famoso
architetto come Zaha Hadid era cresciuta nella
cultura araba, essendo di origine irachena!».
Anche rispetto alla vita intima e affettiva delle
donne nel mondo musulmano circolano molti
pregiudizi, sottolinea la scrittrice. Nel romanzo,
per esempio, tutta la famiglia Baroudi accetta in
modo naturale una bambina, Norma, adottata da una delle figlie non sposate. Ed erano gli
anni 50. «Una famiglia all’apparenza tradizionale come quella di mia madre si dimostrò aperta
di mente. Tutti in casa pensavano che si è madri
quando si ama un bambino e lo si cresce, non
contava il fatto biologico in sé». Quanto al rapporto con l’uomo e alla sessualità «sfortunatamente - dice Amiry - tutte le religioni, dall’ebraismo al cristianesimo all’islam, sono ossessionate
dal corpo delle donne: le suore devono coprirsi
la testa, lo fanno anche le ebree e le musulmane.
Tutte le religioni monoteiste cercano di controldicamento, questa impossibilità «Tutte le religioni monoteiste sono ossessionate
poi di sentirsi a casa, nonostante dal corpo delle donne e cercano di controllare
tutti gli sforzi». Essere un archi- la sessualità femminile. Le donne arabe, però,
tetto che si occupa di disegno non corrispondono agli stereotipi occidentali»
urbano, di progettare quartieri
e abitazioni «mi ha fatto capire che le case non lare la sessualità femminile, si intromettono in
sono fatte di pietre ma di storie umane, intime, questioni private come la decisione di abortire
personalissime. Questo - approfondisce Suad e perfino nel modo di vestire». Questo è il motiAmiry - è ciò che tiene insieme il mio lavoro di vo per cui, aggiunge la scrittrice, «la separazione
tutela del patrimonio architettonico e quello di fra Stato e Chiesa è un passaggio fondamentale
scrittrice. La mia cultura assomiglia a uno stra- nella storia di ogni Paese. Quando la scelta relitificato palinsesto, nato dalla sedimentazione giosa di alcuni diventa fatto politico siamo tutti
archeologica siriana e palestinese ».
nei guai, perché ogni credo religioso pretende
Tornando a Damasco, la bella dimora al centro di essere superiore. E quando qualcuno pensa
del romanzo è l’universo in cui si muovono le di essere un eletto o un essere superiore, codonne. E se la vita sociale di inizi Novecento era mincia il razzismo. Iniziano la paura e l’odio per
teatro esclusivo degli uomini nella sfera privata le l’altro, il “diverso”, un pregiudizio che è alla base
donne erano sovrane. «Questo non è tipico solo di guerre ancora oggi. Quando un musulmano
del mondo arabo. Mostrami una cultura in cui la commette un crimine tutti i musulmani sono
casa non sia il dominio delle donne! Mostratemi considerati criminali, ma quando un cristiano
un Paese in cui gli uomini non dominino la scena commette un crimine nessuno menziona il suo
pubblica, dall’Italia, alla Francia, all’Inghilterra. credo religioso. Non possiamo usare due pesi e
Con questo - precisa Amiry - non voglio dire che due misure».
23 aprile 2016
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La libertà
è consapevolezza
L’empatia perduta, lo stupore «di guardare le cose dal basso verso l’alto e non
viceversa» e la possibilità di essere finalmente se stessi. Una somma di piccole cose
è il suo ottavo album, ma anche la sua filosofia di vita. A colloquio con Niccolò Fabi
di Tiziana Barillà
iamo comodamente seduti sul divano della sua
casa in campagna, dalla finestra si scorge un
pacato panorama agreste. Anche se, in
realtà, siamo dentro un palazzo della
Capitale, tra quattro mura, in mezzo
al traffico. È questo il potere di Niccolò
Fabi, può portarti con sé non appena gli
presti ascolto. «Hai studiato?», mi chiede mentre sistema la stanza per rendere
l’ambiente più accogliente. E le domande
comincia a farle lui: «E allora, ti è sembrato naturale o artificiale?», mi chiede di Una somma di
piccole cose che è appena uscito, il 22 aprile, per
Universal music. Nove crogioli che custodiscono
una consapevolezza raggiunta in anni di fatica. E,
in sottofondo, il folk rock della West Coast.
Naturale, un disco sorprendentemente folk, alla
Bon Iver giusto?
Sì, è quello, indie folk americano. Anche se il folk
di un 25enne del Wisconsin è diverso da quello di
un 50enne di Roma (ride). Sono cresciuto con i genitori di questa nuova leva, con i Joni Mitchell e il
Fort della West Coast, quel fricchettonismo americano del folk nella sua elaborazione rock.
Perché hai scelto il West Coast?
È una scelta non solo di stile musicale ma di ambientazione emotiva: una persona su un divano,
isolata dal resto, fa una fotografia di quel preciso
stato d’animo, rivisita la realtà che ha vissuto, la
confusione, successi e insuccessi, gioie e dolori. E
attraverso una lente di ingrandimento fa un’immersione dentro di sé. È un topos emotivo, un
racconto interiore che anche l’ascoltatore riesce
a sentire.
54
Con quest’album vuoi darci un consiglio?
Indirettamente sì, contiene un consiglio ma non
ha quella “missione”. Ma questo è il classico disco
che piace più a chi l’ha fatto che a chi lo ascolterà.
È un’acquisizione: non sarei stato in grado di farlo
20 anni fa, mi sarebbe mancata la necessaria consapevolezza. Ma un lungo percorso mi ha portato
ad avere questa sicurezza, adesso sento di potermi fare un regalo, potermi prendere un lusso.
Il lusso di essere te stesso, semplicemente.
Ho sempre avuto un gusto musicale troppo raffinato rispetto alle mie capacità, ho ascoltato troppa musica, ho troppa conoscenza e il mio talento
non era mai all’altezza di tutto questo. Mio padre
è musicista e discografico, quando sono entrato
in uno studio di registrazione per la prima volta
avevo 3 anni, sono da sempre circondato da gente
di talento. Il che è stata una fortuna, ma anche un
peso per cui non ti senti mai all’altezza.
Ma stavolta hai scritto, suonato, registrato. E anche filosofeggiato: cosa intendi per “somma di
piccole cose”?
L’equilibrio d’insieme... anche nella musica non
mi affascina uno strumento in particolare, ma
l’insieme. Quante volte la fisica ha frazionato le
particelle alla ricerca dell’unità originaria per
poi scoprire che anche quella è ancora divisibile?
Qualsiasi cosa è il risultato di una somma. Da un
punto di vista intimo, frazionare una difficoltà è
utile per poterla comprendere. E c’è un aspetto
rivoluzionario in questo: qualsiasi viaggio non è
che una serie di passi, tra me e te non c’è che una
somma di passi. Ma a volte la grandezza di una
difficoltà o di un cambiamento diventano un alibi
23 aprile 2016
© Shirin Amini
Io l’ho fatto e sono sereno in questa veste. C’è
un’appartenenza emotiva che si scopre sin da subito, come quando da ragazzi, non appena trovata un’auto, si correva fuori porta per il week end.
La campagna è un’atmosfera che in ogni stagione
ha odori, colori e sapori diversi. Mentre in città se
guardi quel muro (indica il palazzo di fronte, fuori
dalla finestra) è lo stesso a dicembre e luglio. E poi
ho passato gran parte della mia infanzia in provincia di Siena anche se ho vissuto in città, a Roma.
Cos’è rimasto del piccolo Niccolò?
La componente di scoperta e stupore, di guardare
le cose dal basso verso l’alto e non viceversa. Sarà
perché ho una predisposizione alla saggezza che
se non bilanciassi con lo stupore mi annoierebbe
tantissimo, perché sarebbe pronta ad arrivare subito alle conclusioni. Perciò ogni volta che chiudo
una porta ne apro subito un’altra.
Chiudi l’album con “Vince chi molla”, come a
tracciare una sintesi delle canzoper non fare niente...
Mi assumo il rischio
ni precedenti.
E giù di nichilismo. Invece tu che di quella porzione
È una canzone testamentaria,
di ingenuità
direzione prendi?
direi. Forse la più densa, dove si
Mi assumo il rischio di quella por- che viene addossata
scontrano spiritualità, politica e
zione di ingenuità, di idealismo a chi si indispettisce
psicofarmaci! (ride) Me la somingenuo, che viene addossato a o si indigna di fronte
ministro al posto delle benzodiachi si indispettisce o indigna di ad alcune cose.
zepine.
fronte ad alcune cose. A dispetto A dispetto di chi dice
E quali benefici trai?
di chi ti dice che la realtà è così che la realtà è così e
Evito di indurire. È un fatto fisie non ci puoi fare niente, che la non puoi farci niente
co, il corpo ci comunica i cammacchina è inarrestabile e stiamo
biamenti con dei linguaggi che
andando a sbattere contro il muro. Io non ce la possono fare paura se non si impara a conoscerli.
faccio a stare con una sigaretta in mano e aspetta- «Molla» significa lascia andare e non lascia perdere di andare a sbattere contro il muro. Non voglio re... Tutto ciò che tratteniamo aggiunge peso sulle
essere connivente con lo sfacelo.
nostre spalle. Invece bisogna mollare gli ormeggi.
L’aspetto più urgente da rivoluzionare?
Musica terapeutica?
L’empatia, l’abbiamo persa. Sentire quello che Le canzoni non sono risolutive ma hanno un efsentono gli altri, entrare nel loro punto di vista fetto terapeutico. Ognuno è inevitabilmente solo
è fondamentale per considerarci alleati tra noi. ma la somma di queste solitudini è un sollievo,
Siamo inseriti in categorie, come consumatori o forse non così grande come abbracciare un albeelettori, che non consentono una reale empatia.
ro secolare che ti fa sentire la sua sublime immaL’empatia viene confusa per stoltezza, talvolta.
nenza, ma riconoscersi in un’altra persona ha un
Eh sì, lo so (alza le braccia), tanto più se non di- valore potentissimo. La musica è meravigliosafendiamo il “nostro spazio”. Alziamo mura a pro- mente capace di avere tanti ruoli nella vita delle
teggere e viviamo la vita attraverso una feritoia. La persone: la distrazione, l’evasione, il ballo! Sento
vita metropolitana ha contribuito molto a esaltare che il mio ruolo è questo. Un po’ il carattere e un
la rivalità tra di noi, cosa che nella vita di campa- po’ la vita mi hanno portato a raccontare questo
gna si percepisce meno.
tipo di sensibilità. Ecco, immaginare che questo
«Ritorneremo liberi come quelli che non san- disco possa essere utilizzato come terapia per chi
no», canti in “La filosofia agricola”. Meglio an- ne ha bisogno sarebbe per me la più grande delle
darsene in campagna?
soddisfazioni.
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Noi italiani
da sempre supereroi
Dal Maciste di Cabiria a Capitan Ventosa, una carrellata degli
antenati, straordinari o grotteschi, del Jeeg Robot che con il film
di Gabriele Mainetti ha conquistato ben sette David di Donatello
di Francesco Gatti
ederico Fellini citava Maciste all’inferno (film del
1926, diretto da Guido Brignone) come sua prima
memoria cinematografica e fonte di ispirazione,
mentre Gabriele Mainetti
regista del film del momento strapremiato ai David, Lo chiamavano Jeeg Robot (2015), cita i cartoni animati giapponesi. In entrambi i casi, a distanza
di quasi un secolo, il riferimento è però
simile: nel sogno e non nella realtà. In
entrambi i casi il modello è un eroe
dai poteri straordinari. Non vorremmo
dunque deludere chi ha visto nell’Enzo
Ceccotti, interpretato da Claudio Santamaria, il primo supereroe italiano: la
nascita di questo genere avviene molto
prima, e si sovrappone quasi a quella
della settima arte.
Già nel kolossal Cabiria (1914) di Giovanni Pastrone il pubblico restò colpito,
più che dall’accuratezza storica dei set,
più che dalle didascalie di D’Annunzio,
più che dalle innovazioni cinematografiche come i dolly e i carrelli, dall’invenzione di un eroe muscoloso, lo schiavo
Maciste, che grazie a Bartolomeo Pagano, ex scaricatore di porto, diventò un
campione al botteghino almeno per il
decennio successivo, incarnando anche
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il racconto in fieri di un’Italia nata relativamente da poco e in cerca di forza e
di unità.
Dopo il fascismo, i telefoni bianchi e la
guerra, e dopo la ripartenza in stile verità del neorealismo, quando negli anni
cinquanta si rimette in moto la macchina industriale, il cinema ricomincia
proprio dai generi, da Maciste, e dai suoi
cloni, come Ercole, Ursus e Sansone, dal
peplum, film in costume con eroi muscolosi e invincibili come protagonisti.
Un filone che i Cahiers du cinéma aiutarono a definire e a far apprezzare, nel
1962, in un numero monografico della
rivista. Nelle suggestive, fantasiose e a
volte un po’ ridicole articolazioni interne al genere d’azione, accadeva davvero un po’ di tutto. Zack Snyder non ce
ne voglia, ma non è stato il primo a far
scontrare due buoni nel suo Batman vs
Superman: Dawn of Justice (2016). Era
già accaduto in Zorro contro Maciste,
pellicola di Umberto Lenzi del 1963.
Esperimento dopo esperimento, gradualmente spuntò fuori l’eroe col costume, perché i forzuti precedenti avevano solo tunica e sandali, e poi, dalle
ambientazioni greco-romane, si passò a
un esotico presente in stile James Bond.
Come in Superargo contro Diabolikus
del 1966 firmato da Nick Nostro, che
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pur inserendosi nel filone imitativo degli 007 introduce il tema del fumetto. Il
costume di Superargo ricorda da vicino
quello de L’uomo mascherato, che con
gli Albi Spada era nelle nostre edicole
già dal 1962. Che il modello fosse proprio quello ce lo ha confermato lo sceneggiatore Ernesto Gastaldi, che scrisse
Flashman, nel 1967, di Mino Loy. guardando alle strisce di Lee Falk. «Il cinema
dei supereroi ancora non c’era, i fumetti sì, anche se il film nasce dal desiderio del regista di fare esperimenti con
apparizioni e sparizioni, trucchi che
si ottenevano con degli specchi semiargentati».
In realtà nell’ottobre del 1966 era arrivato, anche nelle nostre sale, il film
Batman, tratto dalla serie tv pop e
colorata. Non a caso intorno a questa
uscita si moltiplicano i supereroi nostrani, più lottatori di wrestling che esseri sovrumani, con zip del costume di
carnevale spesso in bella vista: Goldface, Il fantastico superman (1967) di
Bitto Albertini, I fantastici 3 Supermen
(1967) di Gianfranco Parolini (che diventerà una saga durata fino agli anni
80), Come rubare la corona d’Inghilterra (1967) di Sergio Grieco, e il sequel
Superargo - L’invincibile Superman
(1968) di Paolo Bianchini.
Il genere man mano si sgonfia e arrivan- Donner (1978), che portano ai due epido agli anni della contestazione e della sodi con supereroi di origine immancaliberazione dei costumi troviamo conta- bilmente aliena: Supersonic Man (1979)
minazioni eccentriche e aleatorie come di Juan Piquer Simón, e L’uomo puma
La donna, il sesso e il superuomo (1967) (1980) di Alberto De Martino. Ma il fuodi Sergio Spina, che guarda anche al co è talmente di paglia che la parodia
Blow-Up (1966) di Antonioni; e inevita- arriva subito: nel 1979 esce SuperAndy
bilmente si arriva alla parodia, a cartoni, di Bruno Maciste, Ursus e Sansone popolano le
Bozzetto, come Vip - Mio pellicole già dal 1916. Negli anni Sessanta
fratello superuomo del sono arrivati Goldface e Superargo.
Poi comincia la discesa, fino a Capitan
1968.
Quando il cinema di ge- Ventosa di Striscia, eroe da umiliare
nere, moribondo, spara le
sue ultime cartucce, ritroviamo i nostri - Il fratello brutto di Superman di Paolo
poveri eroi mascherati anche in peplum Bianchini, con Andy Luotto. Da qui in
erotici come Superuomini, superdonne, poi, per oltre due decenni, i supereroi
superbotte (1975) di Alfonso Brescia.
italiani scompaiono e semmai si fanno
Tutto sembra ripartire alla fine degli umiliare in tv a Striscia la notizia, con
anni 70, con il successo di Guerre Stel- Capitan Ventosa e a Mai Dire Grande
lari (1977), Incontri ravvicinati del terzo Fratello, con Medioman.
tipo (1977), con L’Uomo ragno (1977) Tuttavia due episodi recenti potrebbenato in tv, e il Superman di Richard ro non solo far rinascere il genere ma
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orientarlo verso canoni riconosciuti
all’estero: Il ragazzo invisibile (2014)
di Gabriele Salvatores, e il già citato
Lo chiamavano Jeeg Robot concepito
come una origin story che racconta di
come un supereroe ha acquisito i suoi
poteri. E a cosa guardano queste due
pellicole? Ancora una volta al cinema.
Salvatores apparentemente affronta il
problema del bullismo e della solitudine adolescenziale col protagonista
vessato peggio di Peter Parker, ma in
realtà cita E.T. e Spiderman. E anche
a Mainetti non è il sottobosco della criminalità romana ad attrarlo, ma
semmai Romanzo criminale - la serie
(2008). Entrambi si nascondono sotto
a un cappuccio, che da Unbreakable
(2000) in poi è il cliché per eroi ignari,
indistruttibili e metropolitani. Un tempo si mostravano i muscoli. Ora, dentro o fuori, frantumati o interi, sono
tutti fatti di cinema.
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Martinelli: «Il teatro,
arte e vita insieme»
Il drammaturgo, fondatore insieme a Ermanna Montanari del Teatro
delle Albe, ha scritto Farsi luogo, un manifesto poetico e non solo.
«Si deve aprire un varco, oggi che tutto sembra chiuso», racconta a Left
di Donatella Coccoli
uando Marco Martinelli finisce di leggere l’ultima pagina di Farsi luogo (Cue Press), per alcuni
minuti, la penombra dell’Angelo Mai sembra
conservare il suono delle sue parole. In piedi, in
mezzo agli spettatori dello spazio romano, l’artista dispiega un manifesto poetico che al tempo
stesso è anche politico. «Più che la messa in scena
mi interessa la messa in vita, un corto circuito, un
legame infuocato tra gli artisti e i cittadini» dice
il drammaturgo che con Ermanna Montanari e
altri compagni d’avventura ha reso il Teatro delle Albe di Ravenna una delle realtà culturali più
vive d’Italia. Per alcuni giorni la compagnia ha
fatto tappa a Roma: oltre alla lettura pubblica di
Farsi luogo anche lo spettacolo Vita agli arresti di
Aung San Suu Kyi al teatro Argentina. E dal 27 al
29 aprile, le Albe torneranno all’Angelo Mai con
Slot machine.
Farsi luogo, pubblicato dalla casa editrice di Mattia Visani, ha come sottotitolo “Varco al teatro in
101 movimenti”. «Varco come una breccia, una
fessura che si apre, oggi che sembra tutto chiuso», dice Marco Martinelli. Non si riferisce solo
al teatro: è il «pantano italiano di questi ultimi
trent’anni» che affiora. Scrive infatti in Farsi luogo: «Non c’è mai stata una seconda, una terza,
una quarta Repubblica: si vivacchia in una eterna Tangentopoli, nel Reame della Corruzione e
della Truffa, nel Regno di Fandonia e Cerimonia».
Come reagisce allora l’artista, cosa significa il “farsi luogo” nei “non luoghi”? «Dopo trent’anni di di
teatro - risponde - “farsi luogo” significa non poter separare il creare spettacoli dal creare mondo,
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comunità, legami. Non mi è sufficiente l’opera,
gli spettacoli devono essere la punta scintillante
dell’iceberg, ma sotto ci deve essere il mondo che
tu crei con la tua energia». Un’attività che non si
deve limitare al cerchio degli spettatori, per diventare «una spirale che invade la città e mette le
generazioni a contatto tra loro, attraverso i diversi linguaggi», continua Marco. «Così il teatro, non
più un passatempo serale un po’ nobile, torna al
suo vero luogo, nel cuore della città e delle sue
contraddizioni. Il grande teatro da Aristofane e
Shakespeare fino a Brecht è stato questo: teatro e
società, teatro e polis. La dimostrazione che è ancora possibile che gli esseri umani si relazionino
tra di loro là dove l’arte e la bellezza non sono separabili dalla sfera etica che non è una categoria
astratta, ma semplicemente è il rispetto dell’altro
essere umano».
Nel libretto, «sgorgato da solo, in 3-4 mesi tra una
tournée e l’altra», si parla di conoscenza (di “sete”)
e di necessità di dialogo e di ascolto. Del resto,
all’origine del Teatro delle Albe c’è l’ “omaggio”
agli asini «condannati ad ascoltare tutti i lamenti»
con le loro grandi orecchie (Siamo asini o pedanti, del 1989). Ma oggi la cultura “normale” sostiene che la verità non esiste e che è inutile cercare,
facciamo notare. «Non è vero, io parlo invece di
retta opinione. Anche se non la vediamo, comunque c’è!», dice ridendo. Poi spiega: «È un desiderio di conoscenza e di amore allo stesso tempo.
La sfera conoscitiva è indistinguibile da quella
erotica, nel senso proprio affettivo: noi siamo
carezze, siamo abbracci. Questa è la nostra sete
© Giampiero Corelli
e la nostra fame, non certo quella di cui parlano
i pubblicitari». Il “farsi luogo” diventa lettura del
presente sul palcoscenico, in Slot Machine, con
Alessandro Argnani come protagonista. «Vedendo tutte quelle persone, donne, anziani, persi davanti davanti a quelle macchinette mi chiedevo:
cosa sono queste vite e dove stanno andando?».
Così ha incontrato decine di giocatori d’azzardo,
si è fatto raccontare le loro storie. «Nel momento
in cui ho cominciato a scrivere io ero un giocatore
d’azzardo». Il protagonista, Doriano, contadino
mi lancio». È la storia dell’“orchidea d’acciaio”, il
premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, interpretata sulla scena da Ermanna Montanari. Il film
non sarà la ripresa video dello spettacolo, anche
se «il fuoco del lavoro è quello: la spinta spirituale
e politica che lo percorre». «Ma io nel film riparto
da una bambina che si perde in un grande magazzino di teatro, un labirinto, pieno di maschere, costumi, scenografie. Un luogo che è anche un
sogno», racconta Marco. Ad un certo punto apre
una porta e vede un toro vero, la richiude e scappa. «Finché, attraverso una portici«A 60 anni mi lancio e farò un film. La storia na non entra dentro l’abside di una
di Aung San Suu Kyi vista dagli occhi di una chiesa che fa parte del magazzino:
bambina. Una favola orientale su una donna che qui trova una carta geografica della
con la sua resistenza ha creato arte e bellezza» Birmania. A quel punto, lei, che è
stata sempre seguita dalla macchina
romagnolo ricco perché i genitori «si erano spac- da presa, si gira e guarda negli occhi lo spettatore,
cati la schiena a lavorare la terra», è rimasto lì, in dicendo: “Salve, io sono la vostra nuova maestra e
campagna. «Ma vive la dimensione del giudizio oggi vi racconterò di Aung San Suu Kyi e della Birdegli altri, ne ha paura. Una cosa che ci riguarda mania”». La bambina terrà in mano tutta la nartutti perché viviamo in un’epoca in cui il giudizio razione, sarà una favola orientale, continua Marè di una ferocia pazzesca», racconta Martinelli. Al co. I luoghi delle riprese ci sono già: il magazzino
suo Doriano accade di vincere, all’inizio, ma poi è quello della compagnia, sterminato, poi il teatro,
«entra in un inferno per cui conta solo giocare, dove esiste un’abside del ’200 e infine Punte Albestare davanti alla macchinetta, magari rubando rete, un luogo incontaminato: «Paludi, alberi rami soldi ai fratelli. E perché? Perché lì non c’è giu- picanti, animali: una Birmania a 5 km da Ravendizio, non ci sono gli altri che ti trattano male, lì, na». Aung San Suu Kyi, ha promesso che quando
non c’è più nulla. È l’alienazione più assoluta» verrà in Europa andrà a vedere lo spettacolo delle
dice serio. Chiediamo infine dei progetti in can- Albe. «Lei - conclude Marco - non è un’artista ma
tiere. Ed ecco la novità: un film come regista, il ha creato arte e bellezza nella vita, con la sua reprimo per l’uomo di teatro. «Ad agosto compio sistenza, con il suo non cedere al conformismo».
60 anni», sorride, «e ci facciamo questo regalo, Anche lei è riuscita a “farsi luogo”.
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CHI È
Insieme a Ermanna
Montanari, compagna
di vita e d’arte, Luigi
Dadina e Marcella
Nonni, Marco Martinelli
fonda nel 1983 il Teatro
delle Albe a Ravenna.
Tra le opere più importanti, I ventidue infortuni di Mor Arlecchino
con Mor Awa Niang,
I Polacchi, All’Inferno!,
Rosvita.
Ricerca linguistica e
meticciato teatrale
con i griot senegalesi
(come Mandiaye N’diaye) e apertura ai giovani con la “non-scuola”
sono le caratteristiche
di un’esperienza originale che da Ravenna si
irradia in tutta Italia.
CINEMA
La Germania
che non chiude
gli occhi sul passato
Il regista Kraumer
ripercorre la battaglia
di Fritz Bauer per
processare Eichmann
di Daniela Ceselli
A
rriva in sala Lo Stato
contro Fritz Bauer del
regista
italo-tedesco
Lars Kraumer, premiato a Locarno 2015. «Oggi la Germania
è fiera del suo miracolo economico e orgogliosa di essere la
patria di Goethe e Beethoven,
ma è anche il paese di Hitler,
Eichmann e dei loro tanti seguaci e sostenitori»: queste,
all’inizio del film, le parole di
Bauer, allora procuratore generale, che chiama i giovani a
confrontarsi con luci e ombre
del passato, incitandoli a porsi domande e non permettere che la memoria si dissolva
nell’oblio. È lui il perno della
vicenda: ebreo, comunista,
reduce dai lager, incaricato di
scovare criminali nazisti fuori
dalla Germania e consapevole
che alcuni di loro continuano
a prestare servizio nell’appartato tedesco. Una lettera, inviata da un esule in Argentina,
mette Bauer sulle tracce di Eichmann; l’ideologo e artefice
della “soluzione finale” si trova a Buenos Aires sotto falso
nome e lì vive con la famiglia
e lavora. Il Procuratore vuole
sottoporlo a processo in Germania, non ottenendo l’aiuto
sperato dallo Stato, che fa di
tutto per depistarlo, frustrarne
intuizioni e insidiarne tentativi, chiede aiuto al Mossad con
gli esiti che tutti conoscono:
Eichmann sarà prelevato in
Argentina, portato in Israele,
sottoposto a processo (15 anni
dopo Norimberga), condannato a morte e impiccato. Il
regista pedina con scrupolo
documentaristico il percorso
di Bauer tra indagini, relazio-
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ni, dichiarazioni, verità taciute e aspri scontri dialettici.
Introduce argomenti come
l’omertà, l’omosessualità, la
politica di riconciliazione di
Adenauer e i compromessi
del Cdu, ma non si integrano
pienamente con la pretesa di
verità e giustizia del protagonista e soprattutto il principio
di ricostruzione storica non li
lascia respirare liberamente.
La messa in scena risulta corretta, ma fin troppo televisiva,
se non fosse per l’ottima interpretazione di Burghart Klausner, che costruisce su di sé un
personaggio ostinato, schivo,
sgradevole, ossessionato dalla missione che si è imposto
di perseguire. C’è comunque
da riconoscere che la Germania culturalmente non volta
con supponenza le pagine
della storia, ma torna, seppur
con esiti non sempre compiuti, a parlare di se stessa e
del post-nazionalsocialismo,
chissà quando l’Italia riuscirà
a farsi qualche domanda sul
post-fascismo e il ruolo della democrazia cristiana nella
vita nazionale?
LIBRI
La filosofia
di Wittgenstein
fatta a strisce
Margherita Morgantin
rilegge l’opera del
pensatore tedesco in
un volume di disegni
di Filippo La Porta
W
ittgenstein è, insieme a Heidegger, il
filosofo più influente, citato, letto, chiosato,
frainteso del Novecento e se
proprio dovessimo scegliere
tra i due certo la nostra preferenza sarebbe interamente
accordata a lui. Anche perché
non simpatizzò affatto per il
nazismo, rinunciò alla ricca
eredità paterna vivendo in
modo frugale, insegnò per
vari anni come maestro elementare e a Cambridge fu un
docente universitario atipico e anticonformista. La sua
opera, a partire dal giovanile
Tractatus logico-philosophicus (1922) - testo insieme
limpido e impenetrabile, costruito su una logica inesorabile e aperto al mistico - ha
dato luogo a una infinità di
interpretazioni, commenti e
letture.
Ma se provassimo a commentare il pensatore austriaco con dei disegni (anche
tenuto conto che lui era uno
straordinario disegnatore)?
Questa la sfida dell’artista
visiva Margherita Morgantin con Wittgenstein. Disegni
sulla certezza (Nottetempo),
un testo che vorrei suggerire,
tra l’altro, come utile intro-
duzione alla filosofia di Wittgenstein.
L’autrice ha disegnato innumerevoli tavole, ispirate appunto agli aforismi di Della
certezza, scritti tra il 1949 e il
1951 (anno della morte), nei
quali si polemizza con il filosofo Thomas Moore e il suo
concetto di senso comune.
Non è facile descrivere i bellissimi disegni di Margerita
Morgantin: semplici e misteriosi, lievi e sapienziali,
proprio come gli aforismi che
accompagnano.
Il suo originalissimo lavoro
consiste in una ekphrasis al
contrario: se questa intende
cercare l’equivalente verbale
di una immagine, lei prova a
creare l’equivalente iconico
di una frase. Solo due esempi,
parzialissimi. Sotto la frase di
Wittgenstein «Qui è di nuovo
necessario un passo simile a
quello della teoria della relatività», c’è il grafico delle
ascisse, quello delle ordinate
e una linea che parte dall’origine e finisce con un fiore. E
sotto la frase «In conclusione
il sapere si fonda sul riconoscimento» due figure che si
abbracciano, fragili, apparse
in un bagliore chiaroscuro, e
insieme solidissime.
ARTE
Il fregio
di Kentridge
per “arte del lavare”
Al Macro i disegni
e i bozzetti preparatori
dell’opera di street art
sul Lungotevere
di Simona Maggiorelli
S
i è parlato molto dell’inaugurazione del lungo fregio creato da
William Kentridge sul Lungotevere, fra ponte Sisto e
ponte Mazzini: un’opera di
street art realizzata “per arte
del lavare”, potremmo dire
parafrasando Michelangelo (che parlava di «arte per
levare»). Perché l’artista sudafricano ha tratteggiato sui
faraglioni una lunga teoria
di icone ispirate alla storia di
Roma usando la tecnica dello stencil e un getto di acqua
ad alta pressione, per togliere la patina scura che si era
depositata nel tempo e far
comparire le figure in bianco.
Sono emersi così dallo sporco episodi e personaggi della
storia antica, accanto a protagonisti di quella più recente, seguendo un canovaccio
in cui i nessi sono analogici e
non seguono il filo razionale
della cronologia. Nel passato
di Roma Kentridge ha colto con intelligenza i punti di
contraddizione raffigurando, per esempio, il cupolone
accanto alla costruzione del
ghetto e al rogo di Giordano
Bruno. Nei suoi Triumphs
and Laments il dramma del
filosofo nolano bruciato vivo
da uomini di Chiesa è richiamato insieme a quello dei
migranti che rischiano la vita
in mare, cercando un non facile approdo in Italia. Ma si
trova anche vicino alla figura
di Giorgiana Masi, la studentessa che fu uccisa proprio a
ponte Sisto nel 1977 mentre
partecipava ad una pacifica
manifestazione dei Radicali.
Kentridge riaccende la memoria attraverso flash e subitanee visioni che si susseguono cinematograficamente in
rapida sequenza. Colpisce,
oltre alla spettacolarità del
risultato finale, il fatto che
sia un’opera a tempo, volutamente impermanente, destinata a svanire man mano
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che lo smog tornerà a depositarsi. Resterà di quest’impresa traccia nella memoria
del pubblico che l’ha vista
dal vivo. E resteranno anche
i disegni, i bozzetti e i cut-out
che l’artista ha realizzato nei
mesi scorsi, molti dei quali
sono esposti, fino al 2 ottobre, al Macro. Sono perlopiù
disegni a carboncino su carta, grandi fogli rigati e con
scritte che evocano gli elenchi del telefono, i tovaglioli
e le cartacce su cui, si narra,
Picasso disegnasse durante le
serate nei caffè di Parigi. Anche il segno di Kentridge negli
schizzi ad inchiostro ricorda
quello del geniaccio spagnolo quando scarnifica la figura
del toro fino a ridurlo a poche
linee essenziali. Kentridge ci
prova con i cavalli, arrivando a ridurli al loro scheletro,
rimanendo però molto più
legato alla mimesi di quanto
non facesse Picasso. Interessante nei video che accompagnano la mostra al Macro
anche il lavoro che Kentridge
ha fatto tagliando le figure a
pezzi dopo averle disegnate
per poi riassemblarle in nuove inaspettate combinazioni
dando vita a un immaginifico, dinamico, teatro di ombre
e figure.
BUON VIVERE
SOCIAL
Tolstoj: romanzi,
caccia e buona
tavola
Google il futuro
di YouTube lo vede
a 360 gradi
La passione venatoria
dello scrittore
lo portò a gustare
dell’ottima selvaggina
La piattaforma video
punta su streaming
più coinvolgenti.
Ecco come
di Francesco Maria Borrelli
di Giorgia Furlan
L
ev Nikolaevi Tolstoj.
Lo scrittore russo aveva una passione per la
caccia e per i piatti di selvaggina. Ricorda il figlio Ilya nel
libro Mio padre, Lev Tolstoj:
«Lo sport preferito era la caccia con i levrieri. Mio padre a
volte tirava abbastanza bene,
anche se spesso perdeva la testa e mancava il bersaglio freneticamente». In particolare,
«ricordo la caccia alla beccaccia. Fu il 2 o 3 maggio del 1880.
Mio padre sparò diversi colpi
e abbatté due uccelli», quando
all’imbrunire passò una beccaccia, ripartirono gli spari e ci
mandò a cercare l’uccello «insieme al cane ma non trovammo alcuna beccaccia». Possibile fosse stato un abbaglio?
No, «la beccaccia, nel cadere,
si impigliò in una forcella di
un ramo proprio in cima a un
pioppo» e solo percuotendo
forte il tronco «riuscimmo a
farla cadere e la portammo a
casa in trionfo». Beh, sappiamo che fine avrà fatto quella
beccaccia, non certo imbalsamata. Proviamo quindi a cucinarla noi, ripiena e al forno.
Ingredienti per 4 persone.
Beccacce 4; salsicce 200 gr;
pancarrè 4 fette; uova 2; aglio
2 spicchi; pangrattato; salvia;
lardo a fette larghe; olio Evo;
burro 80gr; sale; pepe; ro-
smarino; carote 2; cipolla 1;
sedano 1 costa; patate 3; vino
bianco.
Tritate aglio, salsicce e salvia,
impastateli con pancarrè, 1a
patata lessa, uova e un filo
d’olio: salate, pepate e passate
nel pangrattato. Spennellate
l’interno delle beccacce con
olio e inserite il ripieno nei
petti che cucirete: avvolgetele col lardo e mettetele in una
teglia. Aggiungete il burro,
carote, cipolla, sedano e due
patate a pezzi, foglie di salvia,
rametti di rosmarino, salate
e coprite con carta stagnola.
Infornate a 180°C per un’ora,
levate la stagnola, aggiungete
del vino e proseguite altri 30
minuti o finché le beccacce
non risulteranno dorate.
Vino consigliato: Montefalco
Sagrantino Docg, Milziade
Antano Fattoria Colleallodole. «Se la beccaccia è la regina
della cacciagione, il Sagrantino è il re dei vini di Montefalco. Nasce da un vitigno
autoctono 100% Sagrantino,
ha un tannino elegantissimo
che pulisce bene la bocca ed
una gradazione alta dove l’alcool non stride bevendolo.
Il tutto per un vino con un
gusto deciso e completo di
struttura, colori e profumi»,
spiega il proprietario Francesco Antano.
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Y
ouTube scende in campo con le dirette streaming a 360°. Il grande
banco di prova è stato il famosissimo festival musicale
di Coachella che ha utilizzato
il nuovo servizio del canale
video di Google per rendere
ancora più coinvolgente la
messa in onda dei live che si
sono alternati sul palco. Ma le
novità per il canale pioniere
nella diffusione dei video in
rete non finiscono qui. L’ altra
funzionalità
implementata
dal gigante di Mountain View
è il cosiddetto audio spaziale,
ovvero la possibilità di ascoltare la diretta di un evento
nella stessa qualità in cui lo si
potrebbe sentire dal vivo, nella vita reale. «È un perfezionamento che ci consente di
offrire un servizio in grado di
migliorare l’esperienza online di visione. Per restituire un
effetto realistico, la profondità, la distanza e l’intensità
giocano tutti un ruolo molto
importante» ha spiegato Neal
Mohan, Chief Product Officer
di YouTube.
Novità anche sul fronte della
risoluzione dei video in diretta: circa 1440 pixel per 60 frame al secondo che in pratica
corrispondo al 70% di pixel in
più rispetto all’attuale standard Hd di 1080p. L’obiettivo
non è solo rendere l’esperienza video più fluida, ma anche
quella di offrire un supporto
migliore ai video stream della
piattaforma per videogiochi
online YouTube Gaming, che
conta un pubblico di appassionati in aumento e sempre
più esigenti.
A chi vorrà sfruttare i prodigi
dei video a 360° e della realtà
virtuale basterà acquistare
una delle nuove telecamere
che supportano questa tecnologia (come il Jump Camera Ring), per tutti gli altri che
vogliono esserne spettatori
basteranno i Google Cardbord, in vendita online a circa
15 dollari sul Google Store. Lo
scopo di queste nuove tecnologie in sostanza sembra essere quello di coinvolgere sempre più persone in esperienze
nuove e d’impatto, nelle quali
lo spettatore diventa in prima
persona protagonista. Dalle
dirette YouTube ai reportage
del New York Times passando
per il cinema e i videogiochi,
le riprese a 360° sembrano segnare nettamente un nuovo
trend che cambierà totalmente il nostro approccio di fronte
allo schermo.
© Ansa Archivio
APPUNTAMENTI
Sindona fra mafia,
Chiesa e massoneria
Diversità
e uguaglianza
I cult di Bruce Lee
e film d’autore dall’Asia
Roma - S’intitola Diversità
nell’uguaglianza: una utopia
possibile il convegno dell’associazione Amore e Psiche
all’Università Roma Tre. Il
29 aprile si parla di violenza
nei confronti delle donne e
di percorsi dell’uguaglianza
tra illuminismo e rivoluzione.
Gli appuntamenti successivi
sono il 6 e il 20 maggio.
Udine - Dal 22 aprile a
​ l 30
aprile torna il Far East Festival con 60 titoli tra blockbuster e film d’autore da Cina,
HK, Taiwan, Corea del Sud,
Giappone, Filippine, Tailandia, Indonesia, Cambogia,
Malesia, Singapore e Vietnam. Con restauri di 4K e
delle pietre miliari di Bruce
Lee. www.fareastfilm.com
Roma - All’Istituto dell’enciclopedia italiana il 29 aprile
alle 17,30 Emanule Macaluso, con Pierluigi Ciocca, presenta Sindona, biografia degli anni Settanta (Einaudi), il
libro in cui Marco Magnani
ricostruisce la vicenda del
“banchiere di Dio”, fra mafia,
Chiesa e massoneria.
www.treccani.it
© Rolf Konow/SF FILM
Il nuovo cinema
che viene dal Nord
Omaggio
a Natalia Ginzburg
Roma - Alla casa del cinema,
dal 21 al 24 aprile torna il Nordic Film Festival. Tanti i film
da non perdere, per esempio,
il 23 aprile Rams di Grímur
Hákonarson, premiato a Cannes. Il 24 aprile, invece, verrà
presentato il film di Bille August Marie Krøyer,dedicato
alla storia della pittrice. www.
nordicfilmfestroma.com
Torino - Fino al 24 aprile Torinochelegge con decine di
incontri. Il 23 aprile segnaliamo quello con Fois, e poi iniziative su Cervantes e Shakespeare e su Natalia Ginzburg
nella passeggiata letteraria del
23. L’omaggio alla Gizburg si
amplia il 4, il 10 e il 18 maggio
all’Auditorium Grattacielo.
www.torinochelegge.it
© Maila Iacovelli
© Francesco Pititto
Venezia - Immagine. Nuove
immagini nell’arte italiana
1960-1969, a cura di Luca
Massimo Barbero, propone
un’inedita lettura dell’arte
italiana attraverso gli anni
60. La mostra punta ad analizzare la nascita di un’estetica originale. Dal 23 aprile al
19 settembre al Guggenheim.
www.guggenheim-venice.it
Debutta Kinder
di Lenz Teatro
Parma- I lavori di Lenz Teatro
sono noti per il loro taglio poetico, alto, coinvolgente. Il 25
aprile debutta Kinder Bambini sui temi della Resistenza e
della Shoah. Sulla tragedia dei
bimbi ebrei di Parma, vittime
dei nazisti. In scena un coro
di voci bianche con Valentina
Barbarini. Regia di F. Pititto.
www.lenzfondazione.it
Gli anni Sessanta
e i nuovi linguaggi dell’arte
Il romanzo di una vita
salvata da Shakespeare
Roma - «Ride delle cicatrici
chi non è mai stato ferito».
Cita Shakespeare Salvatore
Striano, per il suo intenso
romanzo La tempesta di Sasà
(Chiarelettere) che viene presentato il 23 alla libreria Pallotta. È la storia autobiografica di un giovane che, dopo
Rebibbia, è riuscito a rifarsi
una vita grazie al teatro.
23 aprile 2016
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TRASFORMAZIONE
Fantasia di sparizione e memoria dell’esistenza del corpo,
annullando il linguaggio articolato che è ricordo cosciente
creano la linea che è la parola del poeta
Poesia
è scrivere in solitudine. Non è parlare
E
ra, forse, il suono del vento che condusse nell’aria di
Roma l’immagine dell’aula dell’Università di Chieti in cui risuonò la voce che disse: “Un mattino andando in un’aria di vetro, arida, rivolgendomi, vedrò
compirsi il miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me”. Era il 2005. Dopo undici anni la memoria disegna un
tempo che non esiste più e la mano scrive le parole silenziose
sulla carta bianca.
Guardo i gabbiani che intrecciano un volo con un altro facendo figure ovali e rotonde e vedo che le parole di Montale
si trasformano, tornano ad essere linee continue e dicono:
non è il sorgere del sole, non è camminare, nell’aria fredda
del mattino. Subito, come se avessi raggiunto un pensiero
forte: non è la descrizione di una percezione della veglia che
fa il ricordo cosciente. Non c’è l’oggetto che rassicura l’essere
umano quando la coscienza dà un nome ad una realtà vista
e udita.
La mente, come se fosse quella di un vecchio che nella vita
ha pensato poco non ha più la certezza del rapporto cosciente con il mondo e la mano non ha più la sicurezza superba
che traccia le lineette assurdamente contorte della scrittura.
Un pensiero compare e dice parole strane: l’essere umano, se
perde il rapporto con la realtà materiale e il linguaggio articolato, perde l’identità.
La memoria suona la canzonetta che si udiva nel 1946 “Solo
me ne vò per la città” e compaiono i versi della poesia che la
professoressa di italiano mi fece studiare. “Sempre caro mi fu
quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”. La memoria racconta che,
forse, nel 1998, quando lasciai casa sopra l’antico Arco degli
acetari, un piccolo appartamento abbandonato mi sedusse
perché parlava di solitudine. Gli alberi disseccati divennero,
negli anni, foglie verdi dalle forme infinite che nascondevano uccelli che non volevano farsi vedere quando cantavano il
loro linguaggio senza parole, diverso l’uno dall’altro.
E, forse, il frusciare che emergeva dai cespugli, il fischio
del merlo, il battito del becco del picchio parlavano, nel
bosco che circondava il castello, della contessa bella dai
capelli neri. Sentivo il mondo della pazzia invisibile che si
muoveva negli occhi neri ma non avevo le parole per pensarlo. Mi appoggiavo agli alberi sottili, che quando giungeva il vento, mi facevano ondeggiare ma non persi l’identità
ricreata con la scomparsa della fanciulla dell’amore di un
anno. Poi la pazzia ebbe il regalo della parola e vidi la schizofasia che era schizofrenia.
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23 aprile 2016
Cinquanta è il numero che il vento ha disegnato sul pavimento della terrazza con le foglie secche cadute nell’autunno passato. La memoria, con il suono delle foglie nuove che
nascono dai rami pieni di linfa, canta il tempo passato con
una nenia che, quando diventa parola... ”il cor mi si spaura”. Dice per l’ennesima volta, fantasia di sparizione. Ballano intorno tenendosi per mano, le tre fanciulle che dissero
insieme, con una sola voce ad un parlare senza parola: non
è linguaggio umano.
Ancora certo della mente che non si è mai dissociata, penso al mio linguaggio inconsueto che è diventato sempre più
incomprensibile. Si è tolto dall’indicare gli oggetti dando ad
essi un nome. Dopo che tanti mi avevano detto: non hai detto nulla, altri diventando cortesi decisero, lucidamente, che
dovevo morire... dovevo impazzire, la mente doveva cadere
nel delirio e nella dissociazione verbale.
Ma lo psichiatra non era stato mai travolto, negli anni
sessanta, dalla cultura che aveva distrutto il linguaggio articolato che dava nomi alla realtà materiale. Aveva sempre
ricordato i rari “alienisti” che avevano tentato di dare un
nome al mistero della pazzia, oltre la strana fantasticheria
senza fantasia che diceva: lesione cerebrale, serotonina ecc.
o possessione demoniaca. Dissero: demenza precoce, psicosi maniaco-depressiva, schizofrenia.
Mi volsi verso il mistero oscuro della mente senza coscienza detta sempre luogo di mostri e del male. Osservai,
pensai senza credere, e portai il linguaggio articolato alla
realtà materiale senza coscienza. Sparivano i termini verbali che definivano, clinicamente, la malattia mentale perché erano nomi che indicavano una realtà della manifestazione sensibile percepita. Dissi: fantasia di sparizione.
Tantissimi mi dissero, per quarant’anni, “che hai detto?”.
Sei incomprensibile. Poi dopo decenni, dissero: ero malato
senza speranza, ora sto bene. Continuo a non comprendere... capisco sempre meno ma sto sempre meglio. Hai modificato sempre di più il linguaggio scritto. Quando ti vediamo e parli e ascoltiamo è tutto bello. Penso e vidi l’orrenda
realtà della cultura che favoriva il linguaggio verbale dissociato. Dissi: NO.
Tornano i versi di Leopardi e Montale che scrivono in un
linguaggio incomprensibile. Non dà nomi alle realtà materiali del corpo umano. Dieci anni fa, a Chieti, dissi che: “mattino” non era il mattino, andando non era camminare “l’aria
di vetro” non era di vetro. Non dissi anaffettività, separazione dalla notte con pulsione di annullamento del mondo.
Massimo Fagioli psichiatra
Poi il pensiero ritorna ad un tempo più antico l’adolescenza quando, tra Dante e Omero, mi dissero di ripetere le parole misteriose che
non davano un nome a realtà materiali viste dalla coscienza. La memoria mi dice di pensare a quando comparve nella mente cosciente
il linguaggio mai udito e imparato: fantasia di sparizione. Univa
due parole che avevano sempre avuto significati opposti.
Sembrò che fosse la prima volta, tale fu il tempo non esistente
dell’istante che la mente non ricorda. Ero certo che, nel corpo
umano non c’era il nulla ma la capacità di immaginare che
creava l’esistenza dell’umano con la memoria della sensazione
della pelle del feto. Venne la memoria del 1984 quando celebrai
la primavera ricordando l’Infinito di Leopardi.
Ma, nel 2012, oltre la memoria della solitudine dell’ “ermo
colle”, il respiro si fermò, i muscoli non si mossero più, la stazione eretta aspettò che il vento spingesse il corpo a stendersi
lungo, orizzontale sulla terra da cui ero venuto. Erano parole
che avevano soltanto un suono. Incomprensibile alla coscienza
che diceva... era soltanto fantasia che non parlava di nessun
oggetto materiale ricordato.
Il ricordo di Montale che disse “Un mattino andando in un’aria di vetro, arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, con un terrore di
ubriaco”, scompare e vengono le parole ancora più misteriose,
e incomprensibili. Ma sedendo e mirando interminati spazi di
là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel
pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura”.
“inconscio mare calmo”, scomparso negli anni passati
aveva lasciato, trionfante, fantasia di sparizione. 2016, sembrò
che le nuove dieci e quattro parole l’avessero abbandonata
nella vecchia soffitta di diciassette anni fa. Non ero turbato
perché il termine rinnovamento si era trasformato nella parola ricreazione. Veniva la brezza fresca del ponentino romano
e le parole di tanti sto bene, e sempre meglio, eliminavano
la solitudine. Dimentico Montale che parla di “nulla, vuoto e
terrore di ubriaco”.
In
un
istante
senza
tempo
Torna Leopardi il cui «ermo colle» con la carezza delle parole
compare la
che dicono: essere separato dal mondo umiliano il linguaggio nuovo che diceva
soltanto: memoria dell’esperienza vissuta. E vedo le parole che alla coscienza semveglia ed il mobrano linguaggio imparato e ricordato “...spazi...silenzi...quiete...”, come se non fossero
vimento dice che il
distinte l’una dall’altra perché c’è soltanto una linea continua ondulata che è suono.
corpo si sposta nello
Allontano il poeta... “andando in un’aria di vetro...” e sento il cervello uguale
spazio. Sparisce il silenal cuore rosso che piange lacrime di sangue per aver detto tante volte che la
poesia ha un linguaggio che è solo suono. Ho visto che dalla mano di Leozio della vita e le immagini
pardi è nato un linguaggio che con il suono dà un senso ad una irrealtà
silenziose vagano nella mente
che non è stata mai pensata. Forse invidioso, avevo pensato che “colle,
in cerca di parole. Ma la sonosiepe” erano ricordi coscienti.
Senza tristezza porto ad onorare “ermo colle”, con i miei “venti
rità del pensiero cosciente che
secondi”, “sovrumani silenzi”, interminati spazi con pulsione
ama le cose morte le travolge con la
di annullamento; profondissima quiete con il neonato che
sua freddezza e scompaiono. Uomini
non contrae i muscoli. Realtà del sonno. L’uomo che dorme.
Chiedendo all’indifferenza di non essere anaffettività,
solitari creano parole uguali ad altri che si
penso al termine “creazione” e rabbrividisco ricordanpresentano agli occhi e sono senza signifido il mistero.”... E mi sovvien l’eterno...”.
cato. Hanno un suono che è una linea continua
Esiste una carenza che chiama il non umano
che non è la natura animale e vegetale? No. È
segnata con la mano che si muove sempre facenla vita e le morte stagioni, è il divenire, è la
do cime e valli della montagna più alta dove non c’è
resurrezione delle mie piante a primavera
più il respiro. Ricreare. “gli uomini che non si voltano”
e la loro “morte” che è letargo perché la
fanno il rumore di una voce che ha perduto la capacità
nascita non è la morte. La verità umana non è il nulla alle spalle, il vuoto
di immaginare. Il sogno “amore prima insegnommi, e poi
dietro di me.
lasciommi in pianto”.
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IN FONDO A SINISTRA
di FABIO MAGNASCIUTTI
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23 aprile 2016
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