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Un pomeriggio nelle ex miniere d

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Un pomeriggio nelle ex miniere d
18 Reportage
IN MARGINE AL PROGETTO «UNDERGROUND CITY XXI» PROMOSSO DALLE ASSOC
Un pomeriggio nelle ex miniere d
di Tanja Škopac
Chi soffre di claustrofobia
non ci pensi neanche ad azzardarsi a fare un’esperienza del
genere, perché anche chi non
teme il buio e gli spazi chiusi prova letteralmente piacere nell’intravedere la luce alla
fine del tunnel, quando, sceso
sottoterra, a 150 metri di profondità, esce finalmente dalle
gallerie delle vecchie miniere di Arsia. La visita alla quale abbiamo partecipato è stata
organizzata dal Centro di cultura “Lamparna”, durante la
settimana in cui, ad Albona,
si sono svolti il simposio e il
laboratorio di architettura intitolati “Costruire minando”,
con i quali ha preso il via la
seconda fase del progetto battezzato “Underground City
XXI”, ovvero Città sotterranea del ventunesimo secolo,
nell’ambito del quale un gruppo di appassionati avventurieri lavora alla ricostruzione
virtuale degli ambienti sotterranei dell’Albonese. Un’idea
insolita ma alquanto originale. A portare avanti il progetto
sono l’Associazione non governativa “Labin Art Express
XXI” di Albona e l’Associazione zagabrese “Platforma
9,81”.
D’obbligo il casco
e la lampada
È la prima volta che visitiamo delle gallerie minerarie.
Finora abbiamo avuto soltanto un assaggio di un’esperienza del genere nel percorso minerario simulato che è stato allestito a suo tempo negli spazi
del Museo civico di Albona.
Ma quella è un’altra cosa.
Un gioco da ragazzi. Lì, per
quanto reale possa sembrare
l’atmosfera creata all’inter-
no del percorso, si ha la certezza di trovarsi in un palazzo. Qui, invece, non abbiamo
garanzie: non possiamo sapere che cosa ci può capitare in
una miniera vera e propria, in
cui fino a una quarantina di
anni fa si estraeva carbon fossile ma dove da allora nessuno
ha più messo piede. C’è dunque un po’ d’ansia. Certo, seguiamo una guida che ci dà
una certa sicurezza. È il giovane Mladen Bajramović, che
la miniera di Arsia e le altre
gallerie minerarie dell’Albonese le conosce come le sue
tasche. Le ha visitate in varie
occasioni, per lo più facendo
da guida a gente curiosa come
noi. Ci troviamo con lui nella
piazza centrale di Arsia. Sembra entusiasta.
“Non vedo l’ora di scendere e di ripercorrere i corridoi
insieme a voi” – ci dice. “Sarà
un’esperienza entusiasmante,
credetemi”, ci rassicura.
Non ne siamo troppo convinti. Ci rincuora comunque
non essere soli. Del gruppo
fanno parte alcuni studenti e
dei giovani già laureati alla
Facoltà di architettura di Zagabria, nonché il noto geologo
Bojan Režun, che è vicesindaco della città mineraria slovena di Idria, gemellata con Albona e Bojan Jelen, ingegnere
dell’Istituto minerario di quella località.
Ci vengono distribuiti tutti gli accessori senza l’uso dei
quali non è concesso scendere
nelle gallerie di una miniera:
casco protettivo per il capo e
lampada per vedere dove mettiamo i piedi. Del resto siamo
già provvisti. Ci hanno consigliato di indossare una giacca
impermeabile e bene imbottita, per non bagnarci e non avere freddo e calzature adatte,
meglio se stivaloni. Ma pos-
sono andar bene anche scarpe
robuste. L’importante è non
scivolare. Noi abbiamo optato
per quest’ultima alternativa.
Conciati così ci incamminiamo verso l’entrata del pozzo, che si trova tra la centrale termica e la palazzina che
era un tempo sede della ditta
“Prvomajska”. Strada facendo Mladen ci parla delle particolarità dell’architettura della
cittadina. Arsia, come qualcuno già saprà, è stata progettata come città dei minatori ed
è stata fondata nel 1937, nove
anni dopo l’apertura della miniera di carbone. Passiamo
accanto all’edificio che era
un tempo la mensa in cui, prima di iniziare il duro turno di
lavoro quotidiano, i minatori consumavano il cosiddetto
“quarto pasto” e raggiungiamo l’entrata. È chiusa da un
cancello che ha un lucchetto che la nostra guida inizialmente non riesce ad aprire. La
cosa ci appare come se fosse
un segno premonitore. “Forse
è meglio desistere” – ci dice
la voce dell’inconscio. “Forse
sarebbe meglio rinunciare alla
visita”. Ma in aiuto a Mladen
intervengono i due sloveni, e
dopo un po’ riescono ad aprire
il lucchetto e il cancello. Ormai siamo in ballo. E dunque
balliamo.
L’eco di tante
tragedie
Ci troviamo appena tre
metri al di sopra del livello
del mare e a circa 150 metri
al di sotto della parte collinare
di Albona. “A differenza delle miniere di Albona, dove le
gallerie iniziano al primo livello, queste di Arsia iniziano
all’ottavo” – ci spiega Mladen. “Questo è uno dei cosiddetti pozzi ciechi, ossia un
Un patrimonio industriale che oggi può fare turismo
L’ex miniera di carbone di
Arsia è una parte del patrimonio industriale dell’Albonese
particolarmente interessante e secondo Bojan Režun ha
tutti i potenziali per poter diventare un’attrattiva turistica.
“Spero proprio che riuscirete a trovare i mezzi necessari
per sfruttarla a questo scopo”
– ci ha detto il noto geologo e
vicesindaco di Idria.
Di quest’iniziativa si è discusso anche al recente simposio svoltosi al Centro culturale “Lamparna”. Il fatto
è che per adattare e rendere
sicuri i percorsi sotterranei
delle miniere si dovrebbe disporre di mezzi considerevoli. Ma di musei delle miniere al mondo ne esistono molti. In Italia, nel Sud Tirolo, ad
esempio, la miniera di Monteneve è stata trasformata in
uno straordinario e unico museo.
pozzo di trasporto che collega fra loro diversi livelli, ma
che non arriva in superficie”.
Decidiamo di immortalare
il momento e scattiamo una
prima foto di gruppo. Vedendoci piuttosto timorosi, il nostro cicerone aggiunge: “Le
gallerie delle altre miniere
dell’Albonese non sono affatto così interessanti. Credetemi”. Iniziamo a scendere e subito sentiamo freddo.
La differenza di temperatura
è più che percettibile.
La seconda sosta la facciamo all’altezza di una biforcazione tra due gallerie.
Una specie di piazzola dalla
quale si accede a due tunnel.
Uno dei due, ci spiega la guida, conduce a quello che negli
anni in cui la miniera era attiva era detto il cimitero, ovvero il luogo in cui venivano
trasportati i corpi dei mina-
tori che restavano vittime in
qualche tragedia. Di disgrazie tremende queste gallerie
ne hanno viste troppe. Quella
più grave fu senza ombra di
dubbio la sciagura del 28 febbraio del 1940, che la Comunità degli Italiani di Albona e
il Circolo di cultura istro-veneta “Istria” di Trieste ricordano ogni anno con una cerimonia commemorativa che si
svolge nella sede del sodalizio minoritario.
All’alba di quel giorno in
queste miniere 186 minatori
persero la vita. La loro morte e il ferimento di un centinaio di loro colleghi fu provocata con ogni probabilità
da un’esplosione suscitata da
una fuoriuscita di gas o dalla deflagrazione della polvere
di carbone. Fu la più grande
sciagura avvenuta nelle miniere istriane in quattro secoli
di attività.
“Stamattina 4,45 miniera
Arsa - Camera uno - Durante
sparo mine probabile scoppio
polvere carbone causava onda
esplosiva et forte produzione
ossido carbonio che invadeva
tutti cantieri camera uno et limitrofi camera tre...”, si legge
nel telegramma che fu inviato
il pomeriggio di quello stesso
giorno dall’ingegnere minerario Seguiti al Ministero delle Corporazioni di Roma. Il
cablo fa parte di un fascicolo
contenente tutta la documen-
LA VOCE DEL POPOLO
SABATO, 22 maggio 2010
19
IAZIONI «LABIN ART EXPRESS XXI» DI ALBONA E «PLATFORMA 9,81» DI ZAGABRIA
di Arsia, a 150 metri di profondità
tazione sul disastro minerario
che viene custodita a tutt’oggi negli archivi del Museo civico di Albona.
Tracce del regime
fascista
E nel bel mentre che a 150
metri sottoterra si stavano
commentando disgrazie del
genere, provocate da esplosioni di gas, uno dei membri
della comitiva ha tentato di
accendere una sigaretta. “Per
favore, spegnila!”, è stata la
subitanea richiesta degli altri. “È vero, meglio non correre rischi inutili” – ha commentato Mladen Bajramović.
“Anche se in queste gallerie le ultime attività minerarie risalgono all’ormai lontano 1972 – ha spiegato – il rischio di esplosioni potrebbe
essere ancora elevato”.
Ci incamminiamo lungo
l’altro cunicolo e percorriamo centinaia di metri di galleria il cui fondo è coperto da
spessi strati di fango. Tanto
che ad un certo punto copre
anche le rotaie lungo le quali
un tempo passavano i carrelli
pieni di carbone. Ad un certo punto troviamo la strada
quasi sbarrata da un cumulo
di grossa ghiaia: è il pietrisco sprofondato nella miniera dopo un cedimento del terreno della petriera locale detta Carlotta e abbandonata da
anni. Nell’aria si sente forte
l’odore di zolfo. Riusciamo
a superare lo sbarramento, ci
lasciamo alle spalle una cabina dei trasformatori elettrici
e poco dopo ci imbattiamo in
alcune vecchie centraline telefoniche. Sono di produzione italiana. Lo capiamo dalle
due scritte sulle quali si legge
“aperto” e “chiuso”. Le tracce del periodo in cui le miniere venivano sfruttate in periodo fascista sono in parte ancora evidenti: ciò che è stato
cancellato del tutto e ovunque, anche sottoterra, sono i
simboli di quel regime. Agli
accessi di alcune gallerie, tuttavia, compaiono ancora le
targhe con segnate le date in
cui i cunicoli sono stati scavati. Su una di queste sta
scritto 3 settembre 1936. Era
il periodo in cui, nel corso di
una sua visita ad Arsia, quaggiù era sceso Benito Mussolini. Aveva promesso ai minatori un aumento dello stipendio di 10 lire.
Gli ascensori
della «Siemens»
Ad un certo punto del nostro “viaggio al centro della
Terra” la nostra guida ci rivela che oramai ci troviamo a
circa tre chilometri dall’entrata. Continuiamo a camminare verso Rogocana. Raggiungiamo dei complessi macchi-
nari che, come ci viene spiegato, servivano per l’asporto
del carbone. Si tratta di impianti simili a degli ascensori che venivano gestiti da un
minatore che stava seduto su
una specie di sedia, sui quali notiamo il marchio della
nota “Siemens”. Il complesso macchinario era dotato di
un sistema che misurava la
velocità dell’ascensore, che
si adeguava a seconda del carico che si doveva esportare.
Gli ascensori, ci spiega Mladen, si utilizzavano sia per
il trasporto in superficie del
carbone che dei minatori.
Oramai è da tre ore che
siamo sotto terra. Ci incamminiamo finalmente verso
l’uscita. Ad un tratto la batteria della nostra lampada
si esaurisce e ci ritroviamo
al buio. Succede proprio nel
momento in cui stiamo passando in margine a uno dei
cunicoli verticali che scendono a trecento metri di profondità. Per fortuna quella della
nostra guida è ancora funzionante. La seguiamo passo per
passo, badando a dove mettiamo i piedi. Mentre risaliamo Mladen ci fa vedere delle
stratificazioni di carbon fossile. Un po’ più in là ciò che
resta di una vecchia e arrugginita enorme dinamo, una
macchina elettrica rotante per
la trasformazione di lavoro
meccanico in energia elettri-
ca. Continuiamo il percorso
e troviamo sulla nostra strada un vecchio compressore.
Più avanti ancora troviamo
dei funghi.
Finalmente
la luce del sole
Poco prima di raggiungere l’uscita arriviamo in una
grotta carsica. Si è creata nel
corso di questi ultimi decenni in cui la miniera era inattiva. “In tutto abbiamo percorso una decina di chilometri” – ci dice Mladen. Una
bella e lunga passeggiata,
insomma. Ma nell’oscurità.
Poi, tutt’a un tratto, ecco che
ai nostri occhi, che ormai
si erano del tutto adattati al
buio, arriva un filo di luce.
Siamo vicinissimi all’uscita
che si trova nella zona di Arsia detta Carlotta, circa 100
metri più a nord e una ventina di metri più in alto rispetto all’entrata. Giunti a
qualche metro dallo sbocco, tra i membri della spedizione scoppia spontaneo
un applauso. Il pensiero va
agli eserciti di minatori che
per anni hanno lavorato in
queste miniere. E capiamo
quanto dovevano essere felici, quando, stanchi di un
lunghissimo turno di duro
lavoro, arrivavano nel punto
in cui ci troviamo e rivedevano la luce del sole.
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