la pesca e la conservazione del tonno. Organiuazione, strumenti
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la pesca e la conservazione del tonno. Organiuazione, strumenti
Valeria Patrizia Li Vigni la pesca e la conservazione del tonno. Organiuazione, strumenti, tecniche e funzioni La pesca del tonno affonda le sue radici nella preistoria, ne sono testimonianza le pitture ritrovate nella non lontana Grotta del Genovese a Levanzo, che riproducono i tonni dipinti a scopo apotropaico, risalenti al periodo eneolitico. Queste raffigurazioni documentano il costituirsi delle prime forme di socialità attraverso le attività basilari al sostentamento tra le qua li la pesca del tonno rappresenta al meglio una prima forma di attività collettiva. Attraverso l'analisi delle fonti archeologiche si evince il passaggio dalla caccia alla pesca determinato da ll'abbondanza delle risorse naturali e dal consolidarsi delle attitudini umane nella creazione di sistemi idonei alla pesca nella costante ricerca di sostentamento. Si svi luppano sistemi di pesca sempre più elaborati attraverso il perfezionamento delle reti e delle trappole. La pesca del tonno con il suo sistema di reti collegate dapprima alla terraferma , e in un secondo tempo a mare rappresenta un ottimo indicatore dei percorsi evolutivi. Le prime testimonianze di questa tipologia di pesca ci pervengono dalle raffigurazioni su ceramiche e su monete di epoca greco-romana. L'abbondanza di raffigurazioni di tonni nella produzione dei vasi di terra cotta indica la diffusione di un elemento basi lare dell 'economia tanto da essere raffigurato nella iconografia delle monete. La pesca del tonno ha tradizioni antichissime; ne parlano gli scrittori greci Eliano, Ateneo e Plinio il Vecchio, che decantava il valore nutritivo de l tonno. Aristotele parla della pesca del tonno descrivendo le sue periodiche migrazioni dai mari situati oltre le colonne d'Ercole. Oppiano di Cilicia nel "de piscatione" descrive le tecniche di cattura dei tonni evidenziando la socializzazione di questa forma di pesca e contemporaneamente la stoltezza che uccide il pavido tonno. Erodoto indica questa pesca come la più remunerativa. Nel medioevo la pesca del tonno costituisce uno dei maggiori cespiti dell'economia siciliana e tutta la cultura mediterranea è strettamente connessa 61 a questa tipologia di pesca. A partire dalla fine del '700 abbiamo testimonianza, attraverso il D'Amico, di una certa normativa che regolava la pesca del tonno. Si faceva divieto di pescare tonni di piccole dimensioni e si autorizzava la pesca soltanto per quelli di grandi dimensioni, indicando i prezzi di vendita con un limite di ribasso prestabilito. Evidentemente erano differenti le finalità rispetto a quelle odierne; si tendeva a mantenere i prezzi ad un livello medio alto al fine di non svalutare il prodotto che era pescato in quantità copiose. Di Ferro in una guida di Trapani dei primi dell'800 asserisce che le tonnare rappresentano il sostentamento di molte famiglie .e una sorgente di ricchezza per i proprietari e per coloro che vi lavoravano. La Tonnara rappresentava un cardine dell'economia trapanese come, in tono minore, lo rappresenta ancora oggi. Il Pugnatore scriveva: "gli ignobili si danno all'agricoltura, alla pescagione et all'arti urbane (..) alla pescagione danno opera in tre maniere: la cui prima è quella del pesce che generalmente si mangia ( ..) la seconda è quella de' tonni intorno alla quale sono comunemente i suoi pescatori di tanta esperienza ( ..} la terza maniera di pescagione è quella del cora.llo". Il diritto siciliano prevedeva che la pesca del tonno fosse una concessione rilasciata _dal demanio regio. Il re concedeva la tonnara in regime di gabella con pagamento proporzionale alla previsione di pesca. Per calare a mare una tonnara bisognava avere una forte disponibilità economica. Pertanto questa attività era appannaggio delle grandi famiglie. Inoltre il privi legio non si limitava soltanto al diritto di pesca ma anche al prendere possesso dell'intero tratto di mare dove venivano calate le reti. Le tonnare calate nelle coste siciliane erano numerose e fra loro dovevano mantenere una distanza di circa tre miglia. Le prime tonnare controllate fra Trapani e Palermo erano dodici e Trapani deteneva il primato della quantità di pescato e capacità di esportazione e conservazione, dimostrando una rilevante competenza nelle iniziative imprenditoriali. La pesca del tonno riveste forte valenza apotropaica per la ri levanza economica che assume nelle comunità isolane. È molto diffusa nell'immaginario popolare la presenza di Santi particolarmente venerati per avere concessa 62 Bronzo di Solus ddla metà dd W~ atTesta di Her3des al dritto. tonno al rCMeSOO. una pesca miracolosa e abbondante.Molti altri autori hanno elogiato questo pregiato dono di Dio, cibo oggi piuttosto raro a causa del dissesto ecologico che ha trasformato il Mediterraneo in una grande camera della morte. Il termine tonnara indica comu nemente un impianto di reti a mare disposto a sbarramento di un determinato specchio d'acqua, composto da una "isola" formata da "camere" e da una "coda" o "pedale" predisposto in maniera da sbarrare il percorso dei tonni e costringerli ad awiarsi verso la "camera della morte" dove vengono intrappolati. Questo tipo di impianto mobile, che annualmente viene calato in mare durante la stagione dei tonni, si distingue in tonnara di andata (di deposizione delle uova) e di ritorno (dopo la riprod uzione). Quest'ultima serve per catturare il tonno durante il periodo della procreazione (agosto-settembre). Le tonnare di andata sono Favignana, Formica, S.Cusumano, Bonagia, Secco, Scopello, S.Giorgio, Oliveri, e tonnare di ritorno quelle di Avola, Marzamemi, Capo Passero, Tre Fontane. Nei mesi di aprilemaggio tutto l'equipaggio, circa 100 uomini, è pronto per attivare le operazioni della mattanza. Il ciclo lavorativo prevede tre fasi: - l'attività di preparazione a terra, la sistemazione delle reti e la manutenzione delle imbarcazioni; - l'attività di lavoro a mare, le fasi di posizionamento delle reti e le svariate battute di pesca collegate all'ingresso dei tonni; - la lavorazione del pescato e la conservazione sotto sale e sott'olio. La durata del lavoro era di circa otto mesi, da febbraio ad ottobre. Il fulcro dell'attività era la mattanza e le operazioni ad essa connesse prima e dopo, che presupponevano un'organizzazione scrupolosa con ruoli ben definiti. L'attività svolta a terra consisteva nella preparazione delle reti e nella manutenzione delle imbarcazioni; riguardava i pescatori e i maestri d'ascia marini. Nella seconda e terza fase veniva reclutato un grande numero di uomini, ta lvolta dediti alla co ltivazione dei terreni che, in periodo di "Tag liata di Tonnara", collaboravano alla produzione. In questa fase anche i condannati per pene civili venivano utilizzati nella tonnara nel periodo di produzione che veniva definito "ferie tonnitiorum". Le reti, nel periodo invernale, venivano controllate accuratamente e depositate nella "camparia" secondo l'ordine 63 progressivo delle camere al fine di consentirne un più agevole recupero, in aprile, quando si "ca lava la tonnara': Ripercorrendo a ritroso la nostra indagine sui sistemi di pesca troviamo testimonianze che ci attestano, presso i Bizantini, l'uso di reti collegate a impianti a terra. Ag li Arabi, invece si riferivano i sistemi più innovativi nella pesca del tonno con reti di sbarramento. La tradizione orale ci conferma la permanenza di tecniche di pesca e della terminologia tuttora in uso. l ritmi , i tempi della messa in posa delle reti, la ritualità e l'aspetto apotropaico si rifanno a un personaggio chiave - il Rais- termine di origine araba, che assume un ruolo carismatico, talvolta di Sciamano. Il Rais di volta in volta sceglieva il sito della tonnara, grazie ad una esperienza secolare tramandata da padre a fig lio e gelosamente custodita, f inalizzata a realizzare il maggiore beneficio dalla pesca sfruttando al meglio la conoscenza delle correnti e dei fondali. Al Rais si attestava la riuscita della pesca. Il momento iniziale della posa delle reti, detto "cruciateddu", era il più delicato perché da qui si snodava la maglia a croce della tonnara. Detto "cruciateddu" era fissato dalle ancore posizionate in direzione dei quattro punti cardinal i. Il Ra is eseguiva l'operazione di posizionamento del "cruciatu", che consisteva nella sistemazione dei cavi a pelo d'acqua. Il "calatu" era la caduta delle reti che venivano fissate in profondità. Il cavo di "summu" è retto da boe e il "calatu" da conci di tufo che avevano la funzione di fare aderire le reti al fondo e di formare le camere intercomunicanti che includevano il "corpu" o "camera della morte" dove avveniva la mattanza. Il "cruciatu" rappresentava il rito di fondazione della "città" Tonnara, costituita da una "isola" che era l'insieme delle reti che si svi- luppavano sulle due grandi linee centrali, interrotte dalle varie camere comunicanti tra loro. L'ultima, che era delimitata dalla "custura d'erba", indicava il passaggio simbolico dei tonni dalla vita alla mort e e realisticamente dalla morte dei tonni si generava la rinascita della comunità dei pescatori e il rinnovarsi dell'esistenza. Il sistema delle croci e la croce "spicu", posta all'entrata della tonnara, avevano sempre una funzione apotropaica perché rievocavano la croce di Cristo. Nella croce della tonnara erano raffigurati i Santi che dovevano proteggere 6S -la pesca. l Santi erano scelti dalla comunità dei pescatori e una particolare devozione del singolo, accettata dal gruppo, poteva portare all'inserimento di un nuovo Santo. È interessante notare come l'ultimo Rais di Favignana, aveva inserito un nuovo Santo nella Croce della mattanza del '99. Ciò sta ad indicare la presenza di un percorso evolutivo e di adeguamento alle esigenze della collettività religiosa. Solitamente le reti si ca lavano il giorno di S.Giorgio (23 aprile}. Il richiamo a questo guerriero-paladino è faci lmente comprensibile. Il guerriero normanno, che nell'iconografia era raffigurato mentre stava per infiggere il colpo mortale al drago che gli sbarrava la strada, combatteva il male ed il negativo e rappresentava l'eroe in cui ogni tonnaroto si identificava quando arpionava il tonno nella costante ricerca di sostentamento. Soltanto dalla morte dei tonn i rinasce la comunità dei pescatori. L' immagine di S.Giorgio ricorreva sempre nella continua ricerca di protezione divina e di identificazione con un personaggio positivo che nella lotta tra bene e male vinceva per riportare fede e giustizia alla comunità. Diceva Pitrè che una volta caricato in una barca tutto il complesso delle reti si iniziava il crociato il giorno della Santa Croce, si recitava un Avemaria, un Gloria Padre e un Padrenostro e si andava in mare. Si doveva attendere che la corrente si calmasse e quando era tutto in mare si gridava "Ewiva Lu Santissimu Sagramentu". Il Sacerdote, con cotta e stola, preparava l'acqua Santa nella cappella della Tonnara e benediceva la ciurma recitando litanie e, ricordando che gli apostoli erano pescatori di anime, augurava una pesca copiosa. San Giorgio incarnava il simbolo del bene che si doveva costantemente perseguire per superare i pericoli del quotidiano. L'immagine del San Giorgio era ricorrente nelle produzioni dell'artista popolare. Era presente sia nello "spicu" della Tonnara, sia nella cassa del fuso e nel portello del carretto, nei punti particolarmente a rischio dove maggiore era la richiesta di protezione. Il continuo punto di riferimento della comunità era la fede e la devozione rappresentata attraverso un simbolismo ricorrente, unico appiglio per una società che vive in una costante ricerca di superamento del quotidiano intriso di pericoli. La ricorrenza di elementi comuni conferma un collegamento tra cultura del mare e cultura della terra, tra pescatori e contadini. Una volta fissato il delicato sistema di reti aveva inizio la "mattanza" che si concludeva nella camera della morte delimitata alla sommità dai "cavi di summu", sostenuti dalle boe che formavano il quadrato di tonnara . Alle prime ore del mattino i pescatori occupavano le barche che venivano trainate da un rimorchiatore. Il Rais a bordo della "muciara" effettuava i controlli di rito. ll"vascello" di ponente si disponeva a ponente dell'isola, i due "parascarmi" si posizionavano accanto al vasce ll o, uno sopra e uno sottovento, le "muciare" si disponevano sopra e sottovento. Le barche così posizionate delimitavano il quadrato di tonnara. Quando i tonni erano nella "camera della morte" il capo della barca di guardia ordinava di chiudere la porta d'ingresso della camera. Il vascello di levante chiudeva la camera, gli equipaggi cominciavano a tirare le reti e il maggior numero di "tonnaroti" si trasferiva sul lungo corridoio laterale: lo "striatu", dove si posizionavano i "rimiggi" che arpionavano i tonni. Pitrè ricordava che ai due lati della "muciara" vi erano due barche con due capi guardia e la ciurma di almeno sei uomini ai quali veniva corrisposto un quarto di vino e "tri dinari" di calia che poteva essere barattata con altro vino. Pitré diceva inoltre che non sempre i tonni entravano facilmente nella camera della morte e in quel caso i pescatori minacciavano di gettare in acqua l'effigie di S.Francesco di Paola. Talvolta a scopo propiziatorio si immergeva realmente in acqua la statua di S.Antonio. Tutte le operazioni della ciurma si svolgevano accompagnate da canti, tra cui la cialoma, che scandivano le fasi lavorative. La statua di S.Antonio veniva letteralmente presa in braccio dal Rais che, seguito da una processione di tonnaroti, saliva a bordo della "muciara" e la riponeva a poppa riportandola a terra tutte le sere, dove le donne del paese attendevano il ritorno del Santo per tredici sere consecutive. Questo rituale propiziatorio si sviluppava sul principio del "do ut des': Si awiava, infatti, un dialogo figurato tra il pescatore e il Santo, dove il pescatore, come abbiamo accennato, fingeva di immergere il Santo in acqua qualora la pesca non avesse dato buoni risultati. Anche S. Anna era venerata, basti pensare alla chiesetta vicino alla "camparia" di Favignana che prendeva il suo nome. Si narrava di una pesca miracolosa e abbondante a seguito di 67 preghiere e invocazioni alla Santa; addirittura si diceva che i tonni portassero sul dorso inciso il nome della Santa. Simu ltaneamente a questa ricerca apotropaica esisteva un rituale magico simbolico che si rifaceva probabilmente ai riti greci di Demetra e Kore. A questi era collegato l'uso di sacrificare un agnello, sgozzandolo e facendone sgorgare il sangue a mare. Ciò indicava come da un elemento violento potesse generarsi l'auspicio di una buona pesca. Era inoltre fondamentale dimostrare che il sacrificio dei tonni era finalizzato al bene della comunità dei pescatori. Terminata la pesca avevano inizio le operazioni del "salpatu" che consistevano nello smontaggio dell'apparato delle reti della tonnara praticando i procedimenti inversi alla fase del montaggio, utilizzando i verricelli delle barche per il sollevamento del cavo di piombo. Questa operazione era piuttosto complessa e richiedeva attenzione e impegno finalizzato a recuperare il complesso sistema di reti. In merito all'attività lavorativa a terra abbiamo dettagliate desc·rizioni forniteci da alcuni autori testimoni del tempo. Il tonno appena pescato veniva portato a terra nella spiaggia o "malfaraggio" di ogni tonnara per conservarlo sotto sale secondo una tecnica lavorativa valida per tutta la Sicilia, che prevedeva varie fasi lavorative, a seguito delle quali il tonno veniva appeso a dissanguare nel "bosco': Da una lettura delle cronache del tempo si evince la perfetta organizzazione delle varie fasi lavorative che si susseguono e del bagaglio culturale assunto nel corso dei secoli e sempre vivo nella pratica tramandata. Dalle relazioni economiche si evince una predominanza di produzione delle tonnare di Favignana e Formica -che operavano sin da tempi remoti. Si evince inoltre che queste tonnare, secondo un'antica prassi, fornivano un pagamento in prodotto alle autorità e in particolare la decima grana consistente in una parte di pescato che veniva concesso alla mensa vescovile di Mazara del Vallo, mentre una parte più piccola andava al vice ammiraglio della piazza di Trapani, al prefetto e ad altri uffici della città. Anche alla gente che lavorava presso la tonnara era assegnata una percentuale sul pescato così ripartita: la parte più cospicua - il "vantaggio"- andava al Rais e ai pescatori; una percentuale sul "vantaggio"- ) l il "percaggio" - andava invece alla gente che lavorava nella loggia, cioè al personale di terra (custodi, bottai e salatori). La vendita all'ingrosso e al dettaglio veniva effettuata sia all'interno della tonnara che attraverso il trasporto all'esterno. Il trasporto era effettuato via mare con barche noleggiate, oppure via terra con i ca rretti guidati talvolta anche dagli stessi marina i ai quali veniva corrisposto i l viaggio di andata e ritorno. Abbiamo riscontrato che l'attribuzione delle decime al Vescovo di Mazara del Vallo da parte delle tonnare delle Egadi è testimoniata fino al 1820; successivamente si trasformeranno in prestazioni in denaro fino al la metà di questo secolo. Lo sviluppo delle tonnare di Favignana, Levanzo e Formica si consolidò durante il periodo della dominazione spagnola allorquan do Filippo IV dispose la vendita dei beni demaniali tanto che i Pallavicina di Genova acquistarono per onze 75.000 le isole Egadi. Nel 1841 Vincenzo Florio prese in gabella le tonnare di Favignana e Formica dalle famiglie PallavicinoRusconi con tutto l'apparato di case e magazzini esistenti. Vincenzo Florio tenne in gabella le tonnare fino al 1859 quando le consegnò al nuovo affittuario Giulio Drago perché non le riteneva abbastanza redditizie. Giulio Drago si impegnava a prendere in gabella per nove anni le tonnare. All'atto della consegna venivano redatte quattro differenti perizie: una dal Rais per gli attrezzi, un'altra dai maestri di garbo per il barcareggio e l'armamento, un'altra dei maestri bottai per oggetti attinenti la bottega e infine una per i fabbricati esistenti. Attraverso la lettura dei documenti si deduce che fino al 1859 non esisteva la produzione industriale, infatti erano assenti i forni di cottura, le ciminiere e i depositi per l'olio indispensabili alla produzione del tonno sott'olio ma non indispensabili per quella sottosale che continuerà a coesistere per la conservazione di alcune parti del tonno. In quello stesso anno Ignazio Alessandro Pallavicini e i marchesi Giuseppe Carlo e Francesco Rusconi concedevano per nove an ni in gabella a Giulio Drago le tonnare di Formica e Favignana. In questo atto di concessione veniva ricordato l'obbligo di pagare la decima al vescovo di Mazara del Vallo. Al momento dello scadere della gabella, nel 1867, Drago ne otteneva il rinnovo per altri nove anni. Lo stabili- mento di Favignana era in funzione dalla metà dell'ottocento, attivato in coincidenza con il passaggio dalla conservazione sotto sale alla conservazione sott'olio in scatole di latta. Questo procedimento richiedeva un differente e più complesso processo lavorativo per il quale era indispensabile la trasformazione industriale. Dall'esame di documenti riscontrati intorno alla storia dello stabilimento e attraverso l'osservazione dei macchinari, tuttora conservati all'interno dello stabil imento stesso, possiamo con certezza datare l'awio della industrializzazione della tonnara intorno alla metà dell'ottocento. Questa tonnara ha rappresentato, sin dai tempi più antichi, l'impianto di pesca più importante della Sicilia occidentale, ingranditosi a partire dalla fine dell'ottocento grazie all'iniziativa dell'imprenditoria locale che ha spinto l'attività conserviera in concomitanza con la trasformazione del vecchio baglio. Nel 1874 Ignazio Florio comprava le isole ed entrava in possesso della tonnara soltanto allo scadere della gabella. Dagli atti di vendita risu lta dettagliatamente la consistenza patrimoniale. Si tratta delle "isole di Favignana Levanzo, Marettimo e Formiche, con le tonnare e il mare circostante, le case, casine, magazzini, giardini, tutto il materiale che costituiva il corpo delle tonnare e tutte le attrezzature ad esse attinenti, il terreno libero e coltivato nelle isole seguenti, le stanze per la ciurma e per gli attrezzi, i magazzini per la conservazione delle reti ed ancore, il barcareggio, le trizzane, il palazzetto per il fittavolo e lo stabilimento per il tonno sott'olio". Possiamo quindi asserire, da quest'ultima notazione, che lo stabilimento fu fondato sotto la gestione Drago; ma è riscontrabile un ulteriore incremento durante la gestione Florio, come attestano i documenti d'archivio da cui risulta che vengono · costruiti nuovi fabbricati, tra cui il corpo centrale a due piani destinato ad alcune fasi lavorative e alla sistemazione di nuovi impianti. L'evoluzione e il passaggio dalla tecnica di conservazione del tonno nei barili sotto sale a quella sott'ol io (stivando i pezzetti nelle scatole) è attestabile all'esigenza di un sistema di conservazione più duraturo. L'iter lavorativo della conservazione sott'olio prevedeva il lavoro degli olieri e degli stagnini. Si completava con l'ultima e importante operazione di sterilizzazione, con la qua le le scatole ven ivano portate ad ebollizione nelle grandi pentole a bagnomaria. 7S L'attività della tonnara era assicurata dall'ingente numero di personale che lavorava all'interno dello stabilimento che provvedeva, oltre alla lavorazione del pesce, alla fabbricazione dei recipienti in legno, a cura dei maestri bottai, dei recipienti di latta, a cura degli stagnini, sviluppando all'interno dello stabilimento attività lavorative in sinergia che imprimeva una doppia valenza industriale e commerciale. Quest'ultima era determinata dai cospicui acquisti di olio, dal noleggio delle barche per il trasporto, dall'acquisto dei contenitori di latta e del legname. All'interno della fabbrica lavoravano centinaia di pescatori da aprile a luglio per le operazioni propedeutiche alla pesca che avveniva da maggio a giugno (150 operai uomini, 50 donne e 500 facchini). A questi si aggiungevano, come abbiamo precedentemente accennato i reclusi, il cui numero variava da 100 a 500. Una severa gerarchia regolava le fasi lavorative. La figura di spicco era il rais, a questi si affiancava il sottorais di costa, destinato a sostituire il rais, il capo guardia, primo consigliere del rais insieme ai sottorais, i marinai, i faratici, i facchini, che scaricavano il tonno e i palascarmeri che trasportavano gli attrezzi utili per la tonnara con le loro imbarcazioni. È interessante osservare come tutte le parti del tonno venivano utilizzate e vendute per i più diversi scopi. Un procedimento corretto ed una particolare attenzione sin dal momento della pesca erano elementi indispensabili per avere un prodotto eccellente. Il tonno non appena caricato sul vascello veniva colpito, ancora vivo, vicino alla pinna pettorale al fine di provocare una rapida emorragia e un primo rapido dissanguamento. Venivano quindi depositati nel marfaraggio e dopo essere stati contrassegnati con croci (ricorre l'elemento della croce) e altri segni erano pesati ed appesi "sutto o' vuoscu" (sotto al "bosco") a dissanguare. Contemporaneamente si avviava il processo di separazione e salatura di interiora, lattume, uova, fegato e polmoni. Il giorno successivo a quello della mattanza i tonni venivano distesi sul pavimento del "bosco" per la "ronchiatura", ossia la separazione dei diversi tagli, denominati Ventresca, Tarantello, Bodano, Tonno. Tutti i tagli seguivano lo stesso ciclo di lavorazione, anche se diversi erano i gradi di salamoia ed i tempi di cottura in relazione al taglio e allo spessore dei tranci. 77 j Nel "marfaraggio" i tranci venivano tagliati in relazione al formato di scatola di destinazione e quindi messi nei tini di legno sotto forti getti d'acqua funzionali all'ultimo dissanguamento. l maestri tagliavano "li sorri" dei tonni e li appendevano a dissanguare. Le sarre, le tonnine e il tarantello erano subito salate e stivate nei barili. Si passava quindi alla fase della cottura nelle caldaie per quaranta minuti. A cottura ultimata si prelevavano le parti di tonno dai pentoloni estraendoli con grandi cestelli e ponendole a raffreddare sui "cannicci': A questo punto si differenziavano i pezzi di tonno che venivano riposti nei barili. Soltanto la fase dello "scabeccio", la conservazione in scatole di latta, rappresentava un'innovazione. Dato che il tonno sia sotto sale che sott'olio non si conservava a lungo nei barili, si procedette al la conservazione sott'olio nelle scatole di latta. Le scatole riportavano il nome dello stabilimento e la qualità del tonno contenuta contrassegnata da un bollo a fuoco per la ventresca, conservata nelle scatole gialle, da due bolli per il tarantello, conservato nelle scatole verdi e da tre per il tonno conservato nelle scatole rosse. Tutte le parti della testa venivano utilizzate, i sottoprodotti destinati alla salatura e le rimanenti parti erano destinate alla produzione di olio e farina di pesce. L'olio di pesce era di due qualità: quello di batteria prodotto per decantazione dalla schiumatura durante la cottura del tonno, di colore chiaro, paglierino e di migliore qualità e quello di pressa ottenuto dalla spremitura e quindi dalla decantazione di tutti i residui della lavorazione del tonno. Tutti i cascami (ossa, pinne, lische) dopo la spremitura nelle presse venivano distesi ad asciugare ed essiccare al sole nello spiazzale del reparto. Tali parti erano successivamente macinate presso il mulino per dedurne olio e farina di pesce. Seguiva quindi una dettagliata descrizione delle singole parti che venivano conservate e timbrate a fuoco. l sottoprodotti del tonno, venivano salati e conservati in appositi spazi interrati e cementati oppure in grandi botti; arrivati a maturazione venivano confezionati in barili di legno da kg.SO netto cadauno. l barili non erano stagni e quindi non era possibile riportare i dati del contenuto su litografie e simili e pertanto venivano marchiati a fuoco i seguenti simboli: 79 B Buzzonaglia salata Spine/la bianca salata Spine/la nera salata + Colliventri salati C Orecchie/le salate B Go/il/e salate Frontali salati 00 oo Occhi grassi salati X Stringhe salate CC Cozzi/li salati )( Calcagno/i salati f Sorra salata Il Badano era la parte molto magra e stopposa, destinato alla rilavorazione industriale (antipasti, condimenti oppure destinati a grossi consumatori). Il bodano veniva prodotto in scatole da 4/4 e da 1/2 chilogrammo. In caso di grandi confezioni si poteva miscelare al tonno. Dalla pulitura dei tranci di tutti i tagli si ricavava, oltre ai cascami destinati a olio e farina di pesce, Pezzetti di tonno, Pezzettini di tonno e briciole, Buzzonaglia: tal i prodotti erano inscatolati nelle apposite scatole litografate e contrassegnate. Effettuata la sistemazione delle scatole si passava al settore degli olieri che riempivano le scatole d'olio e dopo agli stagnini che ne saldavano il coperchio. A questo punto si passava alla sterilizzazione delle scatole a vapore nei locali denominati "California". Una funzione assai rilevante assumevano i falegnami di mare - detti "mostri d'ascia marini"- che si occupavano dello stato di conservazione delle barche insieme ai calafati che le incatramavano. La costruzione delle barche del barcareggio presupponeva una particolare capacità, esperienza e conoscenza del legname che veniva scelto accuratamente e ben stagionato. La flotta della tonnara era costituita, in ordine di grandez.za, dai vascelli di levante e di ponente, parascarmi, muciare (del Rais, dei sugheri, 'i guatan). rimorchiatori ("Schifazzu", Niobe) e da barche di segnalazione che solitamente erano dipinte di giallo ed avevano la funzione di segnalare ai natanti l'impian- S SS ° 80 to delle reti tramite segnali luminosi. Altri falegna mi - detti "mostri d'ascia d'apiro rossa"- si occupavano della costruzione delle botti. In particolare vi erano i maestri bottai e i bottai che avevano il com pito di preparare le botti per conservare il tonno sottosale. Altra maestranza era quella dei muratori che si occupavano della riparazione del tetto delle trizzane e delle stanze dove risiedeva la ciurma. Gli approvvigionamenti di vettovaglie avvenivano a Trapani con il Niobe, imbarcazione dapprima a trazione velica successivamente riadattata a motore. Tali vettovaglie venivano riposte nella dispensa ove un dispensiere e i garzoni si occupavano della distribuzione del cibo. Un "bagliere" si occupava, come dice lo stesso nome, della pulizia del baglio, dove si effettuavano le operazioni. Era presente anche un barbiere. Rare erano le volte in cui si doveva far ricorso a fornitori esterni. Altre qualifiche di lavoratori erano i "salatori", i "runchiatun"-coloro che squartavano i tonni predisponendone i risultant i tranci alle successive fasi di lavorazione, i "cuocitori", i "fuochisti e i "bagnerl' -questi ultimi coloro che pescavano i tranci dai tinali e li portavano con i "Bai là" alla cottura. Personale di stiva erano i caporal i, i levatori, le stivatrici, i braccianti, gli addetti alla casa dell'olio, alla galleria -reparto confezionamento scatole, gli stagni ni, gli aggraffatori e gli addetti ai locali "California" -reparto per la sterilizzazione a vapore del prodotto, dove si trovavano anche un conduttore delle caldaie e gli addetti alla sterilizzazione. Gli avventizi erano utilizzati come manovalanza seco ndo le necessità. Gli interventi architettonici volti a unifica re e integrare i fabbricati vennero realizzati su indicazione di Giuseppe Damiani Almeyda che si avvaleva della collaborazione dell'architetto La Porta, cui forniva i disegni esecutivi. Il progetto, rea lizzato nel 1874, prevedeva la sistemazione del fronte a mare con una struttura semplice. La costruzione presentava uno stile essenziale, estremamente funzionale all'attività d'uso; grandi arcate ogivali e archi a tutto sesto sostenevano una struttura piuttosto leggera. A conferma dell'ampliamento degli edifici va ricordata la partecipazione dei Florio all'esposizione di Palermo del 1891-92 che rappresentava il luogo ideale dove mostrare la riqualificazione di uno dei principali siti industriali siciliani e nazionali durante la propria gestione. Alla fiera si esponeva un plastico che riproduceva lo stabili- •• mento in scala con i forni di cottura, i magazzini, i laboratori ed una vasca di sei metri con barche e marinai che praticavano la mattanza. Il progetto di restauro dello stabilimento Fl orio, che prevede l'adattamento dell'emblematico opificio ad attività culturali, artigiana li, marinare e turistiche, si articola in quattro settori funzional i che occupano circa 30.000 mq.: -Un museo di archeologia subacquea,dedicato ai ritrovamenti effettuati nei fondali delle Egadi con annessi laboratori di restauro dei reperti e principalmente del legno bagnato. - Un centro studi di biologia marina collegato allo studio dei flussi biologici dei tonni. Saranno realizzate sale conferenze, sale proiezioni audiovisivi, aule didattiche e foresterie per realizzare gemellaggi con gli istituti scientifici europei. Inoltre sarà realizzato un centro di documentazione, una videoteca e una nastroteca. - Una biblioteca specializzata. -Il museo della Tonnara sarà fornito di una sa la di assistenza didattica propedeutica alla visita. L'allestimento didattico delle fasi lavorative connesse alla pesca, lavorazione e conservazione del tonno, secondo una lettura diacronica dalla fase artigiana le a quella industriale (con l'esposizione dei macchinari), partirà dalla prima trizzana, utilizzata per l'esposizione dei corredi da pesca, reti, attrezzi e arpioni. Il percorso scientifico prevede il passagg io dai forn i di cottura al bosco e al vecchio caricatore, alle logge di lavorazione e all'esposizione delle barche nel marfaraggio che introduce ad uno spazio didattico. Un cantiere aperto prevede i restauri e gli interventi di manutenzione ordinaria finalizzata alla rifunzionalizzazione e al recupero di elementi tutt'oggi presenti in questa particolare pesca e alla ricerca di tecniche di costruzione e manutenzione tradiziona le connessa con le barche. l laboratori artigiani, quali quelli del bottaio e del fabbro ferraio, completeranno il processo produttivo collegato con la pesca e conservazione del tonno rivitalizzata attraverso video installazioni e mostre didattiche che illustreranno le fasi prepa ratorie alla mattanza e le conseguenti attività conservative. È importante sostenere una tipologia d'intervento conservativo che salvaguardi un aspetto tradizionale della cu i- tura marinara della Sicilia che trova i suoi fondamenti nelle più antiche tecniche di pesca tramandate e ancora presenti nella memoria degli anziani. Va ripristinata annualmente la trad izionale pesca del tonno ricreando come in un museo "en plein air" una mattanza trad izionale. L'interesse di rivivere una mattanza e le fasi preliminari di manutenzione e riparazione rivitalizza un complesso simbolico necessario per conoscere le strutture di vita e il rapporto tra ambiente naturale e sociale. Soltanto attraverso una contestualizzazione della mattanza possiamo cogliere quell'insieme di gesti, ritualmente codificati, che rappresentano un prezioso patrimonio da conservare e che stanno alla base della cultura materiale. Il nostro obiettivo è quel lo di studiare le strutture profonde dei comportamenti soggiacenti ai sistemi di vita di un gruppo e del suo modo di rapportarsi con l'ambiente sociale e naturale. Ta li strutture tutt'oggi sono presenti in una forma di pesca arcaica come la pesca del tonno. Ripristinare una mattanza fornisce una duplice valenza: la prima di restaurare per l'uso i barconi in stato di degrado, documentando le tecniche di riparazione e manutenzione ordinaria; la seconda di recupera re un intero complesso di canti, leggende, ritualità e comportamenti ormai dimenticati e a rischio di totale abbandono. Nell'ambito di un percorso museologico dedicato alla tonnara il restauro delle barche rappresenta un momento di studio e ricerca ed un approfondimento di tecniche di costruzione e di manutenzione tradizional i connesse alle barche e ai corredi ad esse inerenti, restaurati non solta nto a scopo museografico, ma anche con l'obbiettivo di rifunziona lizzarle in una mattanza tradizionale. In questa ottica i restauri si devono affidare a vecchi artigiani e calafati, come è stato fatto nel nostro intervento pilota. Sono state documentate tutte le fasi offrendo, attraverso la realizzazione di mostre a cantiere aperto, fa possibilità di alcune visite in corso d'opera. Nell'intervento pilota si è proceduto curando scrupolosamente le fasi lavorative secondo uno studio approfondito su documenti d'archivio, fotografici e di tradizione orale. Il restauro consiste nel riempimento delle barche di acqua, allo scopo di verificarne la tenuta attraverso l'eventuale fuoriuscita. Si procede ad una meticolosa battitura delle pareti del fasciame per individuare ulteriori indebolimenti 87 della struttura lignea. Si inserisce negli interstizi tra tavola e tavola la canapa sfilacciata incuneandola con lo "scarpidduzzu" ed un particolare martello di legno dalle estremità cerchiate di ferro, detto "mazzotta ': Si stende la pece a caldo con un bastone alla cui estremità viene fissat o col fil di ferro un ritaglio di vello di montone che viene direttamente intinto nella pece disciolta in un secchia metallico posto direttamente su l focolare; contemporaneamente si espone la parte su cui intervenire alla fiamma viva per mezzo di una "mazzotta" di canapa (ricavata da reti in disuso) che viene presa con un forcone ed incendiata, per mantenere la fiamma più a lungo e permettere una più omogenea distribuzione della pece. La pece raffreddando impermeabilizza la canapa rendendola solida e resistente. È indispensabile avere di questa cultura una visione diacronica attraverso i sistemi di preparazione e conservazione del tonno secondo il metodo tradizionale evidenziando l·e varie fasi produttive. l percorsi produttivi, all 'interno dello Stabilimento di Favignana sono decodificabili attraverso la compresenza di strutture e macchinari. Il deposito del sale per la conservazione, i forni di cottura con le grandi ciminiere e le vasche di eternit per la cottura a gas, il sistema del nastro meccanizzato per la catena di trasporto e la stanza dell'olio sono una testimonianza tangibile dell'integrazione e sovrapposizione dei sistemi lavorativi. A tal fine è stato approfondito il percorso lavorativo attraverso una ricerca filologica dei filmati degli anni venti, recuperati dagli archivi dell'Istituto Luce che hanno la funzione di rivita lizzare virtualmente lo stabilimento con i suoi cicli produttivi. È questo un importante recupero della tradizione e del patrimonio di vecchi artigiani, che sono il perno della nostra cultura, e ciò permette di comprendere la valenza antropologica delle tecniche tradizionali all'interno di una cultura locale nella quale sono essenziali i modelli comportamenta li, gli atteggiamenti emotivi e cognitivi che costituiscono il vero oggetto dell'an tropologia. Il restauro conservativo va fatto, trattandosi di materiali costruiti con tecniche arcaiche, recuperando le tradizioni artigianali relative e ciò è possibile poiché è viva negli anziani la memoria delle tradizionali tecnologie manifatturiere connesse con il mondo della tonnara. La parte innovativa del progetto consiste nella capacità di coniugare metodologie e tecniche del 89 moderno restauro scientifico con il recupero degli antichi mestieri. Si intende cogliere, all'interno del progetto della tonnara, i seguenti obbiettivi: -recupero di beni preziosi per il loro valore storico e antropologico; -rivitalizzazione di antichi mestieri producendo occasioni di lavoro ed arricchimento didattico dell'approccio turistico; -realizzazione di lavori di restauro a cantiere aperto che contribuiscano ad arricchire l'offerta turistica che le tonnare, prevalentemente situate in zone economicamente depresse, già oggi costituiscono; -creazione di nuove e qualificate opport unità di lavoro, con il conseguente indotto che costituisce un ulteriore contributo allo svi luppo economico. L'incidenza socio-economica del progetto è molteplice poiché, come si è detto, una tale operazione comporta una rivitalizzazione dei vecchi mestieri, la cui refluenza nel più vasto mercato della cantieristica è oggi possibile grazie all a rinascita del gusto per l'imbarcazione tradiziona le in legno. Soltanto così riusciremo a recuperare in piccola parte il dissesto economico che ha contribuito alla scomparsa delle nostre tonnare. Prendere in gabella una tonnara rappresentava un grande rischio di capitali che difficilmente potevano essere recuperati data la quasi totale scomparsa dei tonni nei nostri mari procurata da innumerevoli cause tra le quali vogliamo ricordare: -le interferenze negative sui cicli biologici dei tonn i bloccati nel loro secolare cammino. Si tratta della pesca a strascico, delle tonnare volanti e della pesca con fonti luminose; -i sistemi di cattura nell'oceano bloccano il normale ciclo biologico inibendo le fasi di riproduzione in mari più caldi; -il grave problema della diffusione del tonno pescato e conservato nelle tonnare spagnole e portoghesi che, venduto a costi bassissimi, ha sollecitato l'esigenza di istituire misure protezionistiche a tutela delle nostre tonnare, probabilmente in notevole ritardo; -l'inquinamento acustico dovuto alla vicinanza delle tonnare ai porti sempre più battuti dagli aliscafi, oppure vicini agli aeroporti, ha causato l'allontanamento dei tonni dalla costa. -l'aumento dei costi della manodopera divenuta sempre più rara dato che 9) Il progetto di restau ro rientra nei Proget ti Operativi Regionali presentato dalla Soprintendenza B.B.C.CAA. di Trapani, D.L. Stefano Biondo, Rosalia Camerata Scovazzo, Sebastiano Tusa, La ura Cappugi, Valeria Li Vigni. si sono prospettate nuove possibilità lavorative a tempo pieno per i tonnaroti che lentamente hanno abbandonato il mondo della pesca che offriva impegni lavorativi sempre più frammentari. Lo stabilimento-Fiorio di Favignana, monumento emblematico di archeologia industriale, può soprawivere soltanto come luogo della memoria, museo che rivitalizzi attività in via di estinzione soprawivendo cosi all'attacco che ha subito questa arcaica forma di pesca e la vita di questi grandi e produttivi opifici. 95 BIBLIOGRAFIA Per la parte storico-archeologica AA W, Atti del l Convegno Internazionale di Archeologia Subacquea del Mediterranea, suppl. a Sic.Arch. 56, 1984 AA.W., Lilibeo. Testimonianze archeologiche dal IV sec. a.C. al V sec. d.C., Palermo 1984 B.Accordi, Gli elefanti nani del Quaternaria della Sicilia, Le Scienze 1972, pp.45 sgg. 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