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principali questioni in materia di compravendita
PRINCIPALI QUESTIONI IN MATERIA DI COMPRAVENDITA E APPALTO di Gianluigi Morlini Giudice presso il Tribunale di Ivrea 1 Sommario: - 1. Premesse - 2. E’ ammissibile l’azione di esatto adempimento nella compravendita? 2.1 La maggioritaria tesi giurisprudenziale della configurabilità dell’azione solo nel preliminare, non anche nel definitivo di compravendita 2.2. Le tesi della minoritaria giurisprudenza 2.3 Le critiche dottrinali 2.4 Spunti conclusivi di riflessioni - 3. La garanzia per qualità promesse nella compravendita ha una diversa disciplina rispetto alla garanzia per vizi? 3.1 Il contrasto tra dottrina e giurisprudenza sulla disciplina applicabile 3.2 L’articolata posizione giurisprudenziale 3.3 La conseguente importanza della distinzione tra vizi e qualità - 4. Risoluzione, riduzione prezzo e risarcimento del danno: i rapporti tra le tre azioni in tema di vizi della compravendita 4.1 L’alternatività tra risoluzione e riduzione del prezzo 4.2 L’autonomia della domanda risarcitoria - 5. E’ ancora configurabile la consegna di aliud pro alio, in tema di compravendita, dopo l’entra in vigore dell’art. 1519 quater c.c.? 5.1 I brevi termini di decadenza e prescrizione come limitazione alla tutela del compratore 5.2 L’aliud pro alio come limite all’applicazione dei brevi termini di decadenza e prescrizione 5.3 I dubbi di parte della dottrina in ordine alla persistente vigenza dell’aliud pro alio dopo l’entrata in vigore dell’articolo 1519 quater c.c. 5.4 Preferibilità della tesi circa la persistente vigenza della categoria dell’aliud pro alio - 6. Risoluzione, riduzione prezzo, esatto adempimento e risarcimento del danno: i rapporti tra le azioni in tema di appalto 6.1 La cumulabilità della domanda di risarcimento con le domande di adempimento e riduzione del prezzo 6.2 Il contenuto dell’azione di eliminazione dei vizi 6.3 I rapporti tra la normativa generale in tema di inadempimento e la normativa speciale in tema di appalto - 7. La responsabilità ex art. 1669 c.c. 7.1 L’ampia nozione giurisprudenziale circa il contenuto della norma 7.2 La disciplina e la natura extracontrattuale della responsabilità - 8. E’ configurabile una responsabilità per vizi dell’appaltatore ove siano presenti anche un progettista od un direttore dei lavori? 8.1 La responsabilità ex art. 1667 c.c. 8.2 La responsabilità ex art. 1669 c.c. 2 1. Premesse Risulta evidente come, nelle due ore concesse per la conversazione e per il dibattito relativi all’argomento trattato, sia oggettivamente impossibile affrontare, sia pure per linee generali, tutte le problematiche che possono scaturire dall’analisi di quelli che sono forse i due più rilevanti contratti disciplinati dal codice civile, cioè la compravendita e l’appalto. E’ allora necessario, per non scivolare in una mera elencazione di questioni giuridiche senza avere la possibilità di affrontarle in modo articolato, soffermarsi solo su alcune tematiche, che, per la loro complessità o per la loro opinabilità in ordine alla soluzione, possano rappresentare uno spaccato significativo, pur se non esaustivo, delle possibili questioni in tema di compravendita ed appalto; e che, in aderenza alle finalità cui si ispira il tirocinio per la formazione degli uditori giudiziari e l’aggiornamento dei magistrati, riguardino temi di quotidiana applicazione giurisprudenziale e siano trattati con un taglio concreto di interesse pratico. Sì è quindi pensato di approfondire alcune specifiche problematiche, tutte riconducibile alla più generale tematica della garanzia per vizi e difetti della cosa venduta o appaltata. E’ infatti un dato di comune esperienza quello per il quale, in molte situazioni, l’interesse delle parti è quello di interpretare nel senso della compravendita o dell’appalto il contratto stipulato, proprio al fine di potere utilizzare la disciplina sui vizi nel caso concreto ritenuta più favorevole. Sul punto, è appena il caso di accennare al fatto che, pur se in astratto la differenza tra le due fattispecie appare evidente -essendo la compravendita il tipico contratto ad efficacia reale avente un’obbligazione di dare, mentre l’appalto un contratto ad efficacia obbligatoria connotato da un facere- nella realtà la distinzione è spesso sfumata, ed in particolare i maggiori problemi si pongono nella distinzione tra appalto e vendita di cosa futura, che rappresenta certamente la figura di confine tra i due istituti. Ciò posto, ha spiegato la giurisprudenza che la soluzione data dall’interprete, a prescindere dal nomen iuris utilizzato dai paciscenti, deve essere quella di scrutinare la causa concreta del contratto alla stregua della comune intenzione delle parti, dovendosi parlare di compravendita nel caso di prevalenza della materia sul lavoro rispetto all’opera fornita, rappresentando il facere non lo scopo ultimo del negozio, ma solo un mezzo per il conseguimento della res; dovendosi invece parlare di appalto nel caso contrario, ove cioè la materia costituisca un mezzo per la produzione dell’opera ed il lavoro lo scopo principale del contratto. Conseguentemente, si avrà compravendita se il bene consegnato, pur con le modifiche apportate per soddisfare le esigenze di controparte, rientri comunque nella normale attività produttiva del fornitore, in ragione della marginalità e secondarietà dell’attività di modifica rispetto all’attività di produzione, che non snaturano l’essenza del bene stesso; si avrà invece appalto ove le attività di modifica del prodotto rendano lo stesso sostanzialmente diverso rispetto a quello normalmente realizzato dal fornitore (ex pluribus, cfr. Cass. n. 8445/2000, Cass. n. 14209/1999, Cass. n. 3678/1999, Cass. n. 5322/1998, Cass. n. 11643/1997, Cass. n. 3995/1997, Cass. n. 11522/1996, Cass. n. 2274/1996, Cass. n. 8630/1995, Cass. n. 3807/1995, Cass. n. 7697/1994, Cass. n. 6171/1993, Cass. n. 5074/1993, Cass. Sez. Un. n. 7073/1992, 3 Cass. n. 811/1992, in dottrina, cfr. Bianca1, Caredda2, De Tilla3, Cianflone4, Giannatasio5, Luminoso6, Moscarini7, Rubino-Iudica8). Nel caso invece di vero e proprio contratto misto, in ragione dell’imprescindibile presenza di elementi sia della vendita che dell’appalto, alla stregua dei principi generali in materia, la maggioritaria giurisprudenza applica il criterio della prevalenza, utilizzando per l’intero negozio ed unitariamente la disciplina del contratto comunque ritenuto nel caso concreto prevalente tra appalto e compravendita (Cass. n. 3578/1999, Cass. n. 3395/1997, Cass. n. 99/1997, Cass. n. 376/1995, Cass. n. 2161/1987, Cass. n. 2626/1984, Cass. n. 1951/1982); minoritaria è invece l’applicazione del principio della combinazione, che utilizza per ciascuna pattuizione negoziale la disciplina del contratto più simile tra compravendita ed appalto (Cass. n. 12199/1997). 2. E’ ammissibile l’azione di esatto adempimento nella compravendita? 2.1 La maggioritaria tesi giurisprudenziale della configurabilità dell’azione solo nel preliminare, non anche nel definitivo di compravendita E’ noto che, in tema di compravendita, il legislatore codicistico ha espressamente disciplinato, nel caso di vizi della cosa venduta ex art. 1490 c.c., le sole azioni edilizie di risoluzione del contratto (cd. azione redibitoria) e di riduzione del prezzo (cd. azione estimatoria o quanti minoris), ferma in ogni caso la possibilità di domandare il risarcimento dei danni subiti (cfr. artt. 1492 e 1494 c.c.). Al contrario di quanto disposto dall’art. 1668 c.c. in tema di appalto e dall’art. 2236 c.c. in tema di contratto d’opera, non è quindi stata espressamente prevista l’azione di esatto adempimento, id est un’azione per ottenere da parte del venditore l’eliminazione dei vizi tramite la riparazione o la sostituzione della res. La tradizionale giurisprudenza ha sempre da ciò fatto derivare la conseguente inconfigurabilità, nell’ambito della compravendita, di tale azione di esatto adempimento (per la Suprema Corte, cfr. Cass. n. 5541/1995, Cass. n. 12507/1993, Cass. n. 11450/1992, Cass. n. 9352/1991, Cass. n. 3656/1988, Cass. n. 4382/1985, Cass. n. 4980/1983, Cass. n. 5237/1979, Cass. n. 4565/19799, Cass. n. 5272/197810, Cass. n. 617/1977, Cass. n. 1194/1976, Cass. n. 2471/1974, Cass. n. 3405/197311, Cass. n. 1799/1972, Cass. n. 2484/1972, Cass. n. 3480/197112, Cass. n. 726/1970, Cass. n. 126/1966; per la giurisprudenza di merito, cfr. Trib. 1 Bianca, La vendita e la permuta, in Trattato di diritto civile, diretto da Vassalli, 1993, 47 ss. Caredda, Vendita e appalto, in Codice della vendita, a cura di Buonocore e Luminoso, 2001, 260. 3 De Tilla, La compravendita, 1999, 55 ss.; e L’appalto privato e pubblico, 1996, 59 e ss.. 4 Cianflone, Appalto di opere pubbliche, 1996, 66. 5 Giannatasio, L’appalto, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu-Messineo, 1971, 26. 6 Luminoso, La compravendita, 1998, 13 ss. 7 Moscarini, voce Appalto, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, 1984, 706. 8 Rubino-Iudica, voce Appalto, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja-Branca, libro quarto, delle obbligazioni, artt. 1665-1667, 1992, 43 ss. 9 In Giust. Civ. Mass., 1979, fasc. 8. 10 In Rivista Giuridica dell’Edilizia, 1979, I, 291. 11 In Giust. Civ., 1974, I, 899; ed in Giur. It., 1974, I, 1, 1294. 12 In Giur. It., 1972, I, 1, 1187. 2 4 Oristano 19/2/199913, Pret. Grottaglie 11/4/199014, Trib. Roma 30/10/198515 pur se resa in tema di mancanza di qualità promesse ex art. 1497 c.c..). In particolare, si argomenta come la mancata previsione dell’azione di esatto adempimento in tema di compravendita, e la sua conseguente inammissibilità, si spiegano alla luce del fatto che le obbligazioni principali del venditore codificate dall’art. 1476 c.c., non hanno per oggetto, neppure in via sussidiaria, un facere relativo alla materiale struttura della cosa venduta, ma solo un dare; pertanto, la possibilità di esperire un’azione per la riparazione, di fatto, connoterebbe con una prestazione di facere estranea alle originarie prestazioni contrattuali, il contenuto delle obbligazioni di compravendita (per tutti, cfr. Gorla16). Quanto alla sostituzione del bene, essa si risolverebbe in un’inammissibile condanna all’esecuzione di un prestazione già eseguita, mal eseguita ma pur sempre eseguita (per tutti, cfr. Bianca17). Pertanto, neppure nel caso di colpa del venditore -la cui configurabilità non è richiesta per la proposizione delle azioni redibitoria ed estimatoria (giurisprudenza pacifica fin dalla remota Cass. n. 1569/1952; da ultimo, cfr. Cass. n. 3425/2001)- è possibile esperire l’azione di esatto adempimento. L’azione stessa rimane quindi ammissibile solo ove le parti l’abbiano espressamente prevista in via convenzionale tramite la garanzia di buon funzionamento ex art. 1512 c.c., ed in tal caso all’azione di esatto adempimento non sono applicabili nemmeno i termini di decadenza e di prescrizione ex art. 1495 c.c. propri della garanzia legale (cfr. Cass. n. 8578/1997, Cass. n. 5541/1995, Cass. n. 9352/1991, Cass. n. 3813/1980, Cass. n. 1174/1976, Cass. n. 1262/1966, Cass. n. 3366/1959). La stessa giurisprudenza che ritiene inammissibile l’azione di esatto adempimento nella compravendita, è però, in larga misura, favorevole alla configurabilità dell’azione medesima nel caso di preliminare di compravendita. Va osservato in proposito che, a partire da Cass. Sez. Un. n. 1720/1985, la quasi unanime posizione della Suprema Corte si è consolidata nell’estendere al preliminare la tutela dettata dagli artt. 1490 e ss. c.c. in tema di compravendita, accordando quindi la possibilità al promittente acquirente, nel caso di vizi della cosa, di ottenere non solo la risoluzione del contratto, ma anche la riduzione del prezzo, (ex pluribus, cfr. Cass. n. 12323/2001, Cass. n. 5121/2000, Cass. n. 1296/2000, Cass. n. 3679/1999, Cass. n. 9560/1997, Cass. n. 9470/1997, Cass. n. 4459/1997, Cass. n. 5615/1996, Cass. n. 5096/1995, Cass. n. 947/1995, Cass. n. 9991/1994, Cass. n. 4895/1993, Cass. n. 11126/1990). Si argomenta infatti che una pronuncia del giudice che tenga luogo del contratto non concluso, fissando un prezzo inferiore a quello pattuito con il preliminare in seguito alla scoperta del vizio, configura un legittimo intervento riequilibratore delle contrapposte prestazioni. La conseguenza è che, in presenza di vizi e difformità del bene promesso in vendita, il promissario acquirente può esperire l’azione di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, anche contestualmente e cumulativamente con quella di riduzione del prezzo. Così facendo, si supera il dogma dell’intangibilità del preliminare e dell’impossibilità di ottenere ex art. 2932 c.c. un assetto di interessi che non sia perfettamente identico a quello cristallizzato nel contratto preliminare, ammettendosi che il Giudice, con la pronuncia che tiene luogo del contratto non concluso, fissi condizioni e modalità di pagamento che possano riequilibrare il sinallagma. Pacifica ormai la possibilità di esperire l’azione di riduzione del prezzo contestualmente e cumulativamente all’azione di esecuzione in forma specifica, si è detto che la maggioritaria giurisprudenza si è spinta a ritenere che, cumulativamente all’azione ex art. 2932 c.c. ed 13 In Riv. Giur. Sarda, 2000, 787, con nota di Fadda. In Arch. Civ, 1991, 331. 15 In Riv. Giur. Circol. Trasp., 1986, 344. 16 Gorla, Azione redibitoria, in Enc. Dir., IV, 879. 17 Bianca, Diritto civile, volume 5, la responsabilità, 1994, 242 ss; e La vendita e la permuta, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Vassalli, 1993, 1012. 14 5 alternativamente alla quanti minoris, il promittente acquirente possa anche ottenere dal promittente venditore l’eliminazione dei vizi tramite la generale azione di esatto adempimento, senza nemmeno soggiacere ai termini decadenziali di cui all’art. 1495 c.c. (ex pluribus, cfr. Cass. n. 29/2002, Cass. n. 12323/2001, Cass. n. 9636/2001, Cass. n. 15958/2000, Cass. n. 5121/2000, Cass. n. 3626/1999, Cass. n. 4354/1998, Cass. n. 9560/1997, Cass. n. 4459/1997, Cass. n. 5615/1996, Cass. n. 5096/1995, Cass. n. 4895/1993, Cass. n. 118/1992, Cass. n. 11126/1990; in dottrina, Giorgianni18, Luminoso19. Contra, nel senso dell’inammissibilità dell’azione di esatto adempimento nel caso di preliminare di compravendita, a meno di espressa pattuizione in tal senso delle parti, cfr. Cass. n. 5509/2002, Cass. n. 7471/2000, Cass. n. 1296/2000, Cass. n. 9991/1994, Cass. n. 4980/1983, Cass. n. 1194/1976, Cass. n. 3405/1973, Cass. n. 726/1970, Cass. n. 1262/1966, Cass. n. 968/1963; in dottrina, Bianca20, Gorla21, Mengoni22). La tesi, in tutta evidenza volta a potenziare gli strumenti di tutela del promissario acquirente, viene fondata sulle stesse argomentazione che, specularmente, sostengono l’inconfigurabilità dell’azione di esatto adempimento nel caso di compravendita. Si argomenta infatti che, mentre un obbligo di facere, quale la riparazione del vizio, è incompatibile con la struttura della compravendita, contratto ad effetti reali essenzialmente connotato da un obbligo di dare; tale incompatibilità non può essere ravvisata nel contratto preliminare di compravendita, che è un contratto con effetti meramente obbligatori già di per sé connotato da un obbligo di facere, quale la stipula del contratto definitivo. 2.2 Le tesi della minoritaria giurisprudenza Sulla base di quanto sopra riportato, può quindi riassumersi che, allo stato, la maggioritaria giurisprudenza ritiene inammissibile l’azione di esatto adempimento nella compravendita, ed ammissibile l’azione stessa nel preliminare di compravendita. Tale duplice approdo giurisprudenziale, peraltro, non può dirsi pacifico, soffrendo eccezioni relativamente ad entrambe le conclusioni cui giunge. Invero, con riferimento all’azione di esatto adempimento nella compravendita, alcune pronunce della Suprema Corte hanno osservato come sia ben vero che la riparazione della cosa venduta non sia ammissibile in via coattiva, se non nello specifico caso della garanzia convenzionalmente pattuita di buon funzionamento; ma come sia comunque possibile giungere ad un risultato simile in via indiretta e non coattiva, tramite l’azione di risarcimento del danno. In particolare, si argomenta come l’incompatibilità tra l’azione di esatto adempimento e la tradizionale azione redibitoria, sia limitata alla fattispecie di un ordine coercitivo di riparazione della res difettosa, rimanendo peraltro possibile per il venditore ritenere più conveniente la facoltativa sostituzione o riparazione della res, anziché la restituzione del prezzo ed il risarcimento del danno, questi sì coattivamente eseguibili. Pertanto, il compratore potrebbe coevamente proporre la domanda di eliminazione dei vizi ad opera del venditore, nonché quella, subordinata alla mancata esecuzione specifica della condanna all’eliminazione dei vizi, di restituzione del prezzo e di risarcimento del danno in misura pari all’importo delle spese necessaria a detta eliminazione; in tal caso, spetterebbe la Giudice, in ipotesi di accoglimento delle domande, fissare un termine alla cui scadenza il debitore che non abbia eseguito la condanna all’esecuzione specifica, resti tenuto al risarcimento del danno per 18 Giorgianni, L’inadempimento, 1975, 74 ss. Cfr. Luminoso, La compravendita, 1998, 48; e I contratti tipici ed atipici, in Trattato di dir. Priv., diretto da Iudica-Zatti, 1995, 26. 20 Bianca, Diritto civile, volume 5, la responsabilità, 1994, 244. 21 Gorla, Azione redibitoria, in Enc. Dir., IV, 879 ss. 22 Mengoni, Profili per una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi della vendita, in Rivista di diritto commerciale, 1953, I, 24 ss. 19 6 equivalente (Cass. n. 8336/1990, Cass. n. 5245/1983, Cass. n. 3257/1983; per la giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Cagliari 10/1/197923). In caso di effettiva sostituzione o riparazione del bene da parte del venditore, si avrebbe, quindi, un risarcimento del danno in forma specifica ex art. 2058 c.c. (sul punto, cfr. in dottrina Bianca24, Luminoso25), norma che, pur se dettata in tema di responsabilità extracontrattuale, è applicabile anche alla materia contrattuale (per la pacifica giurisprudenza, cfr. Cass. n. 2659/2001, Cass. n. 6035/1995, Cass. n. 3739/1984, Cass. n. 2763/1984, Cass. n. 3687/1982, Cass. n. 1386/1979, Cass. n. 1267/1979, Cass. n. 582/1973). Peraltro, non va obliato che, trattandosi pur sempre di domanda risarcitoria, è necessario l’accertamento della colpa del venditore; e che, essendo la domanda fondata sulla generale disciplina codicistica e non sulla specifica normativa dettata in tema di compravendita, la presunzione iuris tantum di colpa del promittente venditore si basa non sull’art. 1494 c.c., dettato in tema di compravendita, ma sulla norma generale di cui all’art. 1218 c.c.. Con riferimento invece alla ritenuta ammissibilità in linea generale dell’azione di esatto adempimento in tema di preliminare di compravendita, già si è più sopra evidenziato come un consistente, pur se minoritario, indirizzo giurisprudenziale, abbia sottoposto a vaglio critico tale conclusione (cfr. Cass. n. 5509/2002, Cass. n. 7471/2000, Cass. n. 1296/2000, Cass. n. 9991/1994, Cass. n. 4980/1983, Cass. n. 1194/1976, Cass. n. 3405/1973, Cass. n. 726/1970, Cass. n. 1262/1966, Cass. n. 968/1963). In particolare, si argomenta che la parificazione della disciplina tra preliminare e compravendita in tema di garanzia per vizi, dovrebbe essere completa: una volta deciso di estendere al preliminare la disciplina dell’actio quanti minoris posta in tema di compravendita, dovrebbe applicarsi al preliminare stesso nella sua interezza l’art. 1492 c.c., ove non vi è traccia alcuna della possibilità di chiedere l’azione di esatto adempimento. 2.3 Le critiche dottrinali Al prudente atteggiamento giurisprudenziale, che si è visto tendenzialmente negare la configurabilità dell’azione di esatto adempimento nella compravendita ed ammettere la stressa nel preliminare di compravendita solo con una parte delle pronunce di legittimità, fa riscontro una dottrina molto più possibilista ed aperta all’utilizzazione dell’azione stessa. Infatti, alcuni qualificati autori (tra gli altri, cfr. Giorgianni26, Greco-Cottino27, Luminoso28, Luzzato29, Messineo, Rubino30) hanno sempre sostenuto, pur se con diversi accenti, l’ammissibilità dell’azione di esatto adempimento tramite l’utilizzo del rimedio generale di cui all’art. 1453 c.c. (per il quale, “nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può, a sua scelta, chiedere l’adempimento…”), in base al quale il compratore sarebbe sempre legittimato a richiedere la condanna del venditore alla riparazione della cosa od alla sua sostituzione. Sotto questa prospettiva, quindi, la disciplina di settore della compravendita, delineata dal codice civile agli articoli 1470-1547 c.c., deve intendersi come disciplina speciale che deroga 23 In Giur. It., 1981, I, 2, 304. Bianca, La vendita e la permuta, in Trattato di diritto civile, diretto da Vassalli, 1993, 108 ss e 898 ss; e Diritto civile, volume 5, la responsabilità, 1994, 244 ss. 25 Luminoso, La compravendita, 1998, 210. 26 Giorgianni, L’inadempimento, 1975, 74. 27 Greco- Cottino, Della vendita, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja-Branca, sub. artt. 14701547, 1981, 280 ss. 28 Luminoso, La compravendita, 1998, 288. 29 Luzzato, La compravendita, edizione postuma a cura di Persico, 1961, 256. 30 Rubino, La compravendita, in Trattato di diritto civile, diretto da Cicu-Messineo, 1971, 287 ss e 825 ss. 24 7 alle disposizioni generali, ferma peraltro restando la possibilità di far riespandere la norma generale laddove la norma speciale nulla disponga. In altre parole, la disciplina in tema di vizi della cosa venduta deroga alla disciplina generale in tema di inadempimento, con riferimento alla nozione dell’inadempimento stesso (laddove l’art. 1490 c.c. individua nei vizi che rendono la cosa inidonea all’uso, quei vizi di non scarsa importanza che legittimano la risoluzione ex art. 1455 c.c.) e con riferimento alle modalità di denuncia (laddove l’art. 1495 c.c. sottopone a brevi termini decadenziali e prescrizionali un’azione che, se non diversamente disposto, sarebbe sottoposta alla generale prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c.). Ma, nulla disponendo in ordine all’azione di esatto adempimento, la disciplina speciale della compravendita non può travolgere l’ammissibilità dell’azione stessa, che rimane possibile in ragione della sua previsione nella normativa generale ed ai sensi di cui all’art. 1453 c.c.. La stessa dottrina ha poi ritenuto che tali conclusioni si fossero rafforzate, negli anni, a seguito dall’entrata in vigore nel nostro ordinamento dapprima della Convenzione di Vienna 11/4/1980, ratificata con legge n. 765/1985, e successivamente del recente D.Lgs n. 24/2002, che ha recepito la direttiva comunitaria n. 44/1999. Sul punto, basta osservare che tali normative hanno espressamente previsto un’azione di esatto adempimento nel caso di vendita internazionale di beni mobili (cfr. art. 46 commi 1-3 Conv. Vienna, che prevedono in capo al compratore il diritto di ottenere l’adempimento, la sostituzione dei beni viziati o l’eliminazione del difetto, in alternativa alla riduzione del prezzo od alla risoluzione del contratto) e nel caso di vendita di beni mobili al consumo (cfr. art. 1419 quater comma 2 c.c., ove si prevede il diritto per il compratore, senza spese per lui, di ottenere il ripristino della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione). Ciò posto, non vi è chi non veda come l’espressa previsione, sia pure settoriale, di un’azione di esatto adempimento nell’ambito della vendita internazionale di beni mobili e della vendita di beni mobili al consumo, rende davvero arduo continuare a sostenere che l’azione di esatto adempimento è inammissibile negli altri settori, sulla base di una pretesa incompatibilità strutturale tra l’azione stessa e gli obblighi derivanti dalla compravendita. Pertanto, poiché la configurabilità dell’azione di esatto adempimento è stata negata dalla giurisprudenza sulla base di una pretesa inconciliabilità logica tra l’azione stessa e gli obblighi nascenti in capo al venditore ex art. 1476 c.c.; e poiché tale inconciliabilità logica resta travolta dal fatto che il legislatore stesso ha previsto l’azione in due settori della compravendita; conseguentemente, non può che essere considerato non probante l’argomento principale posto a fondamento della scelta giurisprudenziale di non ritenere ammissibile l’azione di esatto adempimento nella compravendita, con necessità quindi di rimeditare le conclusioni cui la Suprema Corte era in passato giunta. 2.4 Spunti conclusivi di riflessioni Effettivamente, non pare essere seriamente revocabile in dubbio come, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 765/1985 di ratifica della Convenzione di Vienna nonché dell’art. 1519 quater c.c., appaia davvero arduo sostenere l’inammissibilità dell’azione di esatto adempimento in quelle tipologie di compravendita -quali la compravendita immobiliare e quella mobiliare non internazionale né al consumo- nelle quali l’azione non è normativamente prevista, argomentando circa la pretesa incompatibilità logica tra l’azione stessa ed il contratto di compravendita. Come più sopra evidenziato, tale pretesa incompatibilità non può che essere in radice esclusa dal fatto che, se l’incompatibilità fosse effettiva, non ci sarebbe spazio per configurare un’azione di esatto adempimento in nessuna tipologia di vendita; ma tale conclusione è 8 travolta dal fatto che è stato il legislatore stesso a ritenere, nelle due tipologie di compravendita sopra viste, configurabile l’azione di esatto adempimento. Ciò detto, non pare tuttavia necessitata la conclusione cui la maggioritaria dottrina sembra oggi approdare, e cioè la configurabilità dell’azione di esatto adempimento in ogni tipologia di compravendita, valorizzando il dato dei principi generali di cui all’art. 1453 c.c. o applicando analogicamente le due normative di settore date dalla legge n. 765/1985 e dall’art. 1519 quater c.c. anche alle diverse tipologie di compravendita. In realtà, occorre riflettere sul fatto che il codice ha individuato la compravendita, già sotto il profilo espositivo, come il primo tra i contratti tipici disciplinati; ha riservato alla stessa una funzione centrale, derivante anche dalla particolare valorizzazione che il legislatore del 1942 ha ritenuto di accordare alla tutela della proprietà; ha poi soprattutto riservato all’istituto un’imponente ed analitica regolamentazione, senza eguali negli altri contratti, fatta di ben settantasette articoli. Questi elementi portano a ritenere che la disciplina dettata in tema di compravendita sia stata ritenuta dal legislatore come esaustiva, completa ed autonoma, che non dovrebbe abbisognare di un’integrazione da parte della disciplina dettata in via generale sui contratti. Se così è, la scelta di non prevedere l’azione di esatto adempimento, prevista invece nei contratti di appalto e d’opera, non può essere ricondotta ad una sorta di vuoto od errore normativo, colmabile tramite applicazione dei principi generali, quanto piuttosto ad una precisa volontà del legislatore stesso. Alla luce di questa prospettiva, la successiva espressa previsione dell’azione di esatto adempimento nelle vendite di beni mobili internazionali e nelle vendite di beni mobili al consumo, non può che confermare l’inconfigurabilità dell’azione stessa nelle altre tipologie di vendita, in base al noto brocardo latino per il quale ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit. Per quanto concerne poi il tema della pretesa ammissibilità dell’azione di esatto adempimento nel preliminare di compravendita, possono essere mosse almeno due obiezioni. Sotto un profilo fattuale, è difficile giustificare la concessione dell’azione al promissario acquirente, allorquando essa non è concessa all’acquirente stesso. Invero, appare davvero singolare accordare una protezione minore ad una situazione, quella dell’acquirente, che dovrebbe essere tutelata quantomeno alla pari, o più ragionevolmente in modo addirittura superiore, rispetto ad una situazione avente un peso giuridico oggettivamente inferiore, se non altro perché propedeutica all’acquisto del diritto dominicale, quale quella rappresentata dal promissario acquirente. Sotto un profilo giuridico, l’impostazione più corretta per giungere alla decisione in ordine all’applicabilità o meno dell’azione di esatto adempimento al preliminare di compravendita, deve necessariamente muovere dalla più ampia tematica della disciplina applicabile al preliminare, ed in buona sostanza al tema della causa del preliminare stesso. Infatti, se la causa del preliminare fosse vista come un mero obbligo di dare il consenso alla stipula del definitivo, prescindendo dal contenuto di tale definitivo, non potrebbe esservi dubbi sul fatto che l’unica disciplina applicabile sarebbe quella dettata dal codice in generale sulla materia contrattuale, e non dovrebbero pertanto esservi ostacoli all’applicazione al preliminare dell’azione di esatto adempimento ex art. 1453 c.c.. A diverse conclusioni dovrebbe invece giungersi se la causa del preliminare fosse ricostruita come causa complessa, che non si esaurisce in un obbligo di fornire il consenso per il definitivo, ma attinge anche dal regolamento di interessi che connota il definitivo stesso. Così opinando, in un preliminare di compravendita, la causa dovrebbe essere rinvenuta anche nella causa della compravendita, posto che il preliminare verrebbe visto come contratto già fonte dell’impegno traslativo, che troverebbe piena attuazione con la conclusione del definitivo. Consegue che al preliminare di compravendita dovrebbero potersi applicare anche le norme 9 dettate in tema di compravendita31. E consegue quindi che, non essendo configurabile l’azione di esatto adempimento alla compravendita, l’azione stessa dovrebbe ritenersi inconfigurabile anche nel preliminare di compravendita. 3. La garanzia per qualità promesse nella compravendita ha una diversa disciplina rispetto alla garanzia per vizi? 3.1 Il contrasto tra dottrina e giurisprudenza sulla disciplina applicabile L’articolo 1497 c.c. dispone che, in caso di mancanza delle qualità promesse o comunque essenziali all’uso per il quale la cosa è stata destinata, il compratore “ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento, purché il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi. Tuttavia, il diritto di ottenere la risoluzione è soggetto alla decadenza e alla prescrizione stabilite dall’articolo 1495”. E’ di tutta evidenza, quindi, che nel disciplinare la fattispecie relativa alla mancanza di qualità, il codice si è limitato alla scarna enunciazione della possibilità di ottenere la risoluzione del contratto alla stregua dei principi generali, id est dell’art. 1453 c.c., con l’unica doppia precisazione che, per ottenere tale risoluzione, è necessario che il difetto ecceda i limiti di tollerabilità stabiliti dagli usi, e che si rispettino i termini decadenziali e prescrizionali previsti dall’art. 1495 c.c. in tema di garanzia per vizi. Nessun rinvio, invece, viene espressamente posto in essere relativamente all’applicazione delle ulteriori norme dettate in tema di garanzia per vizi ed astrattamente compatibili, quali quelle in tema di limiti al patto con il quale si esclude o limita la garanzia (art. 1490 comma 2 c.c.), di esclusione della garanzia per la conoscenza o la conoscibilità del vizio (art. 1491 c.c.), di possibilità di ottenere la riduzione del prezzo (art. 1492 c.c.) od il risarcimento del danno (art. 1494 c.c.), di non necessità della denuncia nel caso di riconoscimento del difetto da parte del venditore (art. 1495 comma 2 c.c.). Pur di fronte a questo inequivocabile dato normativo, la maggioritaria dottrina tende ad assimilare la fattispecie dell’assenza di qualità a quella della presenza di vizi, equiparando a tutti gli effetti le discipline, tramite un’estensione analogica ai casi di assenza di qualità delle norme dettate in tema di garanzia per vizi (tra gli altri, Bianca32, Giorgianni33, Luminoso34, Mengoni35, Rubino36, Siragusa37). Più prudentemente, invece, la giurisprudenza tende ad escludere tale assoluta equiparazione, distinguendo le due fattispecie e motivando tale scelta in base al dato letterale 31 E’ sostanzialmente ciò che fa la giurisprudenza con l’art. 1482 c.c., in tema di sospensione del pagamento del prezzo in caso di esistenza sul bene di garanzie reali o vincoli derivanti da pignoramento o sequestro. La norma, pur se dettata a proposito della compravendita, viene infatti estesa dalla Suprema Corte anche al preliminare (cfr. Cass. n. 3565/2002, Cass. n. 15380/2000, Cass. n. 9498/1994, Cass. n. 3450/1984, Cass. n. 4450/1982). 32 Bianca, Diritto Civile, volume 5, La responsabilità, 1994, 326; e La vendita e la permuta, in Trattato di diritto civile, diretto da Vassalli, 1993, 892 ss e 948 ss. 33 Giorgianni, L’inadempimento, 1975, 74. 34 Luminoso, La compravendita, 1998, 265 ss; e I contratti tipici ed atipici, in Tratt. Dir. Priv. diretto da Iudica-Zatti, 1995, 145. 35 Mengoni, Profili per una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi della vendita, in Rivista di diritto commerciale, 1953, I, 24 ss. 36 Rubino, La compravendita, in Trattato di diritto civile, diretto da Cicu-Messineo, 1971, 757 ss. e 888 ss. 37 Siragusa, La vendita, a cura di Bin, IV, tomo 1, 1996, 753. 10 del richiamo, da parte del 1497 c.c., di una sola delle norme dettate per la garanzia dei vizi, cioè quella della prescrizione e della decadenza di cui all’art. 1495 c.c., e del mancato richiamo di tutte le altre. Peraltro, pur movendo da tale chiaro assunto, le conclusioni sono talvolta distoniche rispetto al principio esposto, poiché alcune delle norme dettate in tema di vizi vengono coerentemente non ritenute applicabili alla fattispecie della mancanza di qualità; mentre altre norme, pur se non richiamate dall’art. 1497 c.c., sono comunque analogicamente utilizzate anche per la fattispecie della mancanza di qualità. 3.2 L’articolata posizione giurisprudenziale Una panoramica delle principali decisioni giurisprudenziali sul tema può aiutare a chiarire l’assunto sopra esposto. Alcune pronunce della Suprema Corte, infatti, movendo dal sopra tratteggiato diverso dettato normativo in tema di garanzia per vizi e garanzia per mancanza di qualità, evidenziano le conseguenti divergenze di disciplina. Così , è stato innanzitutto osservato che, per ottenere la risoluzione del contratto a seguito della presenza di vizi, è sufficiente provare un’apprezzabile diminuzione del valore della res, in base al disposto dell’art. 1490 c.c.; per ottenere invece la risoluzione del contratto a seguito dell’assenza di qualità, occorre il più rigido requisito dettato dal fatto che il difetto sia di non scarsa importanza, come acclarato dal rinvio disposto dall’art. 1497 c.c. alle disposizioni generali, e cioè anche all’art. 1455 c.c., ed occorre altresì che il difetto ecceda i limiti di tollerabilità stabiliti dagli usi, come evidenziato dallo stesso disposto dell’art. 1497 c.c. (cfr. Cass. n. 247/1981, Cass. n. 2488/1967). Da altra angolazione, si è chiarito che, mentre l’esercizio dell’azione di risoluzione per vizi della cosa alienata non presuppone l’esistenza della colpa dell’alienante, giusto il tenore dell’art. 1492 c.c., tale colpa è per converso richiesta nella diversa ipotesi di risoluzione per mancanza di qualità, in ragione del rinvio dell’art. 1497 c.c. alle disposizioni generali in tema di risoluzione per inadempimento, che come noto sono fondate sul principio della colpa dell’inadempiente (Cass. n. 639/2000). Inoltre, si è evidenziato come, in tema di vizi, la garanzia non è dovuta se i vizi stessi erano conosciuti o quantomeno conoscibili dall’acquirente, per il disposto dell’art. 1491 c.c.; ma come tale limitazione alla responsabilità del venditore non valga nel caso di mancanza di qualità, non essendo la norma in parola richiamata dall’art. 1497 c.c. (Cass. n. 3803/1978, Cass. n. 3695/1969, Cass. n. 500/1968, Cass. n. 2428/1956. In dottrina, cfr. nello stesso senso Greco-Cottino38 e Siragusa39; contra Bianca40, Cabella-Pisu41, Mirabelli42, Rubino43). Tuttavia, altre pronunce di legittimità, pur senza espressamente rinnegare il principio della differente disciplina tra mancanza di vizi e di qualità, estendono alla seconda fattispecie una parte della normativa dettata per la prima. Pertanto, pur se l’art. 1497 c.c. richiama solo le disposizioni dell’art. 1495 c.c. in tema di decadenza e prescrizione, si è innanzitutto esteso alla mancanza di qualità l’intero contenuto della norma in parola (cfr. Cass. n. 1917/196644; in dottrina, Siragusa45). Conseguentemente, 38 Greco Cottino, Della vendita, in Comm. Scialoja Branca, sub artt. 1470-1547, 1981, 311 ss. Siragusa, La vendita, a cura di Bin, IV, tomo 1, 1996, 749. 40 Bianca, La vendita e la permuta, in Trattato di diritto civile, diretto da Vassalli, 1993, 815 e 911. 41 Cabella-Pisu, Garanzia e responsabilità nelle vendite commerciali, 1983, 227. 42 Mirabelli, Dei singoli contratti, in Commentario del codice civile, libro IV, tomo 3, 1991, 104. 43 Rubino, La compravendita, in Trattato di diritto civile, diretto da Cicu-Messineo, 1971, 889. 44 In Giust. Civ., 1967, I, 93. 45 Siragusa, in La vendita, a cura di Bin, IV, tomo 1, 1996, 741. 39 11 devono ritenersi applicabili anche le disposizioni relative alla possibilità di derogare convenzionalmente ai termini decadenziali di otto giorni (art. 1495 comma 1 c.c.), alla non necessarietà della denuncia in caso di riconoscimento del vizio da parte del venditore (art 1495 comma 2 c.c.), alla possibilità per il compratore convenuto in giudizio per il pagamento di far valere la garanzia anche oltre i termini prescrizionali, pur se a condizione dell’avvenuta denuncia nei termini decadenziali (art. 1495 comma 3 c.c.). Similmente, si è ritenuta applicabile la norma di cui all’art. 1490 comma 2 c.c. relativa al patto di esclusione o limitazione della garanzia (Cass. n. 979/1972; in dottrina, Delogu46). Si è poi ritenuta ammissibile la proposizione dell’actio quanti minoris, non espressamente prevista dall’art. 1497 c.c., anche in tema di mancanza di qualità, sul presupposto che si tratti di un rimedio generale posto a tutela del compratore (Cass. n. 247/1981; in dottrina, cfr. Bianca47, Luminoso48, Stilo49). Una volta ritenuta configurabile la quanti minoris, si è conseguentemente esteso alla mancanza di qualità anche l’art. 1492 comma 3 c.c., dettato in tema di garanzia per vizi e non richiamato dall’art. 1497 c.c., che esclude il rimedio della risoluzione e legittima la sola quanti minoris nel caso di perimento della res per caso fortuito o per colpa del compratore, ovvero nel caso di alienazione o trasformazione da parte del compratore stesso. La norma, infatti, viene considerata di carattere generale, e come tale non limitabile al solo ambito applicativo della specifica previsione in tema di vizi redibitori (Cass. n. 521/1988, Cass. n. 5407/1979, Cass. n. 5361/1978). Nessun dubbio poi, può sussistere in ordine alla configurabilità dell’azione per il risarcimento del danno, che, integrando un rimedio di carattere generale, non può essere subordinata all’espressa previsione della singola fattispecie contrattuale (Cass. n. 5686/1985, Cass. n. 3190/1981, Cass. n. 247/1981, Cass. n. 1267/1979, Cass. n. 1028/1973). Peraltro, si è ritenuto che il rinvio operato dall’art. 1497 c.c. all’art. 1495 c.c., comporti la sottoposizione anche dell’azione risarcitoria ai termini decadenziali e prescrizionali previsti dalla norma in parola (Cass. n. 10728/2001). 3.3 La conseguente importanza della distinzione tra vizi e qualità L’articolata posizione giurisprudenziale sopra tratteggiata in ordine alle differenze di disciplina tra garanzia per vizi e garanzia per qualità, rende palese come sia rilevante distinguere, nel caso concreto, se il difetto denunciato integri una presenza di vizio od una mancanza di qualità. Sul punto, ha spiegato la consolidata giurisprudenza come i vizi riguardino le imperfezioni ed i difetti inerenti al processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione della cosa, ed in genere ogni altra imperfezione od alterazione, comportando ex art. 1490 c.c. l’inidoneità della cosa all’uso per il quale era stata destinata, ovvero un’apprezzabile diminuzione di valore; la mancanza di qualità attiene invece alla natura della merce e concerne tutti gli elementi essenziali e sostanziali -quali razza, materia, tessuto, fibra, colore, metodo ed origine- che, nell’ambito del medesimo genere, esprimono funzionalità, utilità o pregio, influendo sulla classificazione della cosa in una specie od in un tipo (Cass. n. 244/1997, Cass. n. 8537/1994, Cass. n. 1424/1994, Cass. n. 6988/1986, Cass. n. 4980/1983, 46 Delogu, in La vendita, a cura di Bin, IV, tomo 2, 1996, 1109. Bianca, La vendita e la permuta, in Trattato di diritto civile, diretto da Vassalli, 1993, 953-954. 48 Luminoso, La compravendita, 1998, 280. 49 A. Stilo, Inadempimento contrattuale: azione per l’adempimento, risoluzione del contratto e risarcimento del danno. La garanzia per vizi nei contratti di compravendita ed appalto, in Incontro di studi sul tema “corso di riconversione nelle funzioni civili”, organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura a Roma il 2125/10/2002. 47 12 Cass. n. 1839/1982, Cass. n. 1261/1981, Cass. n. 3992/1980, Cass. n. 206/1978, Cass. n. 244/1977, Cass. n. 452/1973). Vizi redibitori e mancanza di qualità presuppongono peraltro entrambi l’appartenenza della cosa al genere pattuito, e si distinguono così a loro volta dalla consegna di aliud pro alio, la quale ricorre quando la cosa vendita appartiene ad un genere del tutto diverso, ovvero presenta difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale (vedi infra paragrafo 5.2). Quanto poi al contenuto della garanzia per qualità, non deve sfuggire come l’art. 1497 c.c. distingue tra qualità essenziali e qualità promesse. Ciò posto, ha chiarito la Suprema Corte che le due limitazioni poste dalla norma in parola all’operatività della risoluzione, subordinata al fatto che le qualità mancanti siano essenziali all’uso tipico per il quale la cosa è destinata ed eccedano la tolleranza stabilita dagli usi, valgono solo per il caso di qualità essenziali, non anche per il caso di qualità promesse. Pertanto, la risoluzione per inadempimento nel caso di mancanza di qualità promesse è possibile senza dover accertare l’essenzialità e l’intollerabilità del requisito mancante, essendo tale accertamento, ai fini della funzione economico sociale del contratto, già stato concretamente posto in essere dai contraenti (Cass. n. 4657/1998, Cass. n. 3550/1995, Cass. n. 4923/1977, in dottrina, contra Greco-Cottino50). La promessa di una qualità, poi, oltre che esplicitamente, può essere posta in essere anche implicitamente (Cass. n. 4681/1992, Cass. n. 6240/1993, Cass. n. 508/1982, Cass. n. 5257/1978). Infine, va evidenziato come l’istituto in parola sia del tutto autonomo rispetto all’annullamento per errore. Tra le due fattispecie, infatti, non sussiste alcun rapporto di incompatibilità od esclusione, atteso che l’annullamento per errore attiene al momento formativo del contratto, ed esclude la validità dello stesso sin dal suo sorgere; la risoluzione per mancanza di qualità riguarda invece il profilo funzionale della causa, ed attiene quindi all’inadempimento del venditore di trasferire al compratore la cosa alienata con le qualità promesse od essenziali all’uso cui è destinata (cfr. Cass. n. 2453/1984, Cass. n. 1151/1976, Cass. n. 1781/1972; in dottrina, Bianca51, Greco-Cottino52, Rubino53). 4. Risoluzione, riduzione prezzo e risarcimento del danno: i rapporti tra le tre azioni in tema di vizi della compravendita 4.1 L’alternatività tra risoluzione e riduzione del prezzo Si è già più sopra evidenziato come, secondo il dettato codicistico, le azioni previste in caso di vizi che rendono la cosa compravenduta “inidonea all’uso per cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore” (art. 1490 c.c.), siano quelle della risoluzione del contratto e della riduzione del prezzo (cfr. art. 1492 c.c.), oltre che della generale azione per il risarcimento del danno (cfr. art. 1494 c.c.). Ciò detto, diviene fondamentale capire quali siano i rapporti tra le tre azioni, ed in particolare la loro cumulabilità o la loro alternatività nella proposizione. 50 Greco-Cottino, Della vendita, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja-Branca, sub. artt. 14701547, 1981, 308. 51 Bianca, La vendita e la permuta, in Trattato di diritto civile, diretto da Vassalli, 1993, 1056. 52 Greco-Cottino, Della vendita, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja-Branca, sub. artt. 14701547, 1981, 304. 53 Rubino, La compravendita, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu-Messineo, 1971, 906. 13 Sul punto, ha spiegato la giurisprudenza che la risoluzione del contratto e la riduzione del prezzo si pongono in regime di sostanziale alternatività, fondandosi sui medesimi presupposti. Infatti, contrariamente a quanto potrebbe apparire a seguito di un’affrettata lettura della norma, il legislatore non ha riservato alla situazione di inidoneità all’uso l’azione di risoluzione, ed alla situazione di diminuzione del valore l’azione della riduzione del prezzo. Se ritenuto opportuno, quindi, il compratore ben potrebbe esperire la quanti minoris anche nel caso di res inidonea all’uso, o la redibitoria anche nel caso di mera diminuzione del valore. Pertanto, essendo alla base delle due azioni i medesimi presupposti dell’inidoneità all’uso o della diminuzione del valore, potendo il compratore liberamente scegliere tra le due azioni indipendentemente dalla gravità del vizio denunciato, ed essendo la scelta irrevocabile ex art. 1492 comma 2 c.c. se proposta con domanda giudiziale54, consegue l’inammissibilità della proposizione in via subordinata della domanda di riduzione del prezzo rispetto a quella di risoluzione: al rigetto della prima domanda non potrebbe che seguire anche il rigetto della seconda, per il cui accoglimento sono richiesti i medesimi presupposti richiesti per l’accoglimento della prima domanda (giurisprudenza costante a partire da Cass. Sez. Un. n. 2565/1988, che ha sanato il contrasto giurisprudenziale in materia: per le conformi pronunce successive, cfr. Cass. n. 1153/1995, Cass. n. 11036/1995, Cass. n. 3299/1996, Cass. n. 3398/1996; già prima delle Sezioni Unite, sulla medesima posizione erano Cass. n. 4471/1985, Cass. n. 4980/1983, Cass. n. 582/1982, Cass. n. 3519/1978, Cass. n. 2188/1978). Tuttavia, l’assolutezza del principio esposto relativo all’inammissibilità di una domanda giurisdizionale che gradui le due azioni, deve essere stemperato alla luce del fatto che, per alcune fattispecie, è il codice stesso a limitare la scelta tra le due azioni. Infatti, ex art. 1492 comma 3 c.c., è possibile richiedere la sola riduzione del prezzo ove si abbia il perimento della cosa per caso fortuito o per colpa del compratore, ovvero l’alienazione o la trasformazione da parte del compratore, posto che tali attività attestano la volontà dell’acquirente di accettare la cosa nonostante la presenza del vizio (Cass. n. 489/2001, Cass. n. 15104/2000, Cass. n. 3500/1998, Cass. n. 68/1996, Cass. n. 5552/1994, Cass. n. 1212/1993). Specularmente, sempre ex art. 1492 comma 3 c.c., la scelta viene nuovamente a mancare totalmente, ed è possibile solo chiedere la risoluzione, se la cosa consegnata è perita per effetto dei vizi. Pertanto, nei casi in cui sia in discussione ed oggetto di accertamento giudiziale il fatto storico del perimento, dell’alienazione o della trasformazione della cosa, appare ragionevole consentire al compratore di graduare le richieste, senza sanzionare come inammissibile la subordinata. In tali casi, infatti, l’accertamento in un senso o nell’altro dei fatti storici indicati, preclude in radice l’esperibilità di una delle due azioni descritte dall’art. 1492 c.c. (Cass. n. 9098/2000, Cass. n. 11036/1995, Cass. Sez. Un. n. 2565/1988). Si noti che l’azione di risoluzione per vizi in tema di compravendita si differenzia dalla generale azione di risoluzione per inadempimento ex art. 1455 c.c. per alcuni caratteri: individua nell’inidoneità all’uso o nella diminuzione apprezzabile del valore, il generico parametro della non scarsa importanza dell’inadempimento, precludendo quindi all’interprete la possibilità di apprezzare l’incidenza dei vizi secondo i parametri di cui all’art. 1455 c.c. (Cass. n. 3398/1996, Cass. n.. 3299/1996); rende irrilevante l’esistenza di una situazione soggettiva di colpa in capo al venditore (ex pluribus, cfr. Cass. n. 639/2000, Cass. n. 8338/1998, Cass. n. 8533/1994, Cass. n. 1325/1992); soggiace ai brevi termini decadenziali e prescrizionali di cui all’art. 1495 c.c.; fa un esplicito richiamo agli usi nell’ambito dell’art. 1492 c.c. 54 Per un’autorevole dottrina, tale irrevocabilità consegue anche ad una scelta stragiudiziale, purché accettata dal debitore: cfr. Bianca, La vendita e la permuta, in Trattato di diritto civile, diretto da Vassalli, 1993, 852. 14 In caso di risoluzione del contratto, il venditore deve restituire il prezzo e rimborsare al compratore le spese e i pagamenti legittimamente fatti per la vendita, mentre il compratore deve restituire la cosa se questa non è perita in conseguenza dei vizi (art. 1493 c.c.). 4.2 L’autonomia della domanda risarcitoria Emerge dal dato testuale offerto dal codice come, a differenza di quanto disposto per le azioni edilizie dagli artt. 1490 e 1492, per poter domandare il risarcimento del danno è anche richiesto il presupposto dell’imputabilità dell’inadempimento. Pertanto, il venditore deve rispondere dei danni subiti dal venditore se è in colpa, pur se la colpa è presunta iuris tantum ex art. 1494 c.c. (“in ogni caso, il venditore è tenuto verso il compratore al risarcimento del danno, se non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa”) in conformità alla regola generale di cui all’art. 1218 c.c., e vien meno soltanto se il venditore prova di avere ignorato l’esistenza dei vizi nonostante l’uso della ordinaria diligenza (Cass. n. 639/2000, Cass. n. 8338/1998, Cass. n. 4464/1997, Cass. n. 7863/1995, Cass. n. 7986/19991, Cass. n. 4564/1991). Al contrario di quanto previsto dall’azione generale di responsabilità ex art. 1453 c.c., ove il risarcimento del danno è accordato sul semplice presupposto della colpa del debitore ed anche nel caso in cui la domanda di risoluzione sia rigettata per la scarsa importanza dell’inadempimento, in tema di compravendita l’ammissibilità del risarcimento stesso è pur sempre sottoposta all’esistenza di vizi tali, ex art. 1490 c.c., da comportare l’inidoneità all’uso della res o la sua diminuzione apprezzabile di valore. Quanto al rapporto tra azione per danni ed azioni edilizie, è stato chiarito che il risarcimento può essere sia cumulato con le azioni di cui all’art. 1492 c.c., sia esercitato autonomamente ed alternativamente, sempre che, come sopra evidenziato, sussistano i requisiti della garanzia per vizi e la colpa del venditore (Cass. n. 5541/1995, Cass. n. 1425/1992, Cass. n. 1325/1992, Cass. n. 8336/1990, Cass. n. 5062/1986, Cass. n. 4382/1985, Cass. n. 4980/1983, Cass. n. 3190/1981; in dottrina, Bianca55, Luminoso56, Rubino57). E’ di non poco momento la conclusione della Suprema Corte secondo la quale, pur se esercitabile autonomamente rispetto alle azioni edilizie, la domanda di danni è comunque soggetta ai termini di prescrizione e decadenza di cui all’art. 1495 c.c. dettati per tali azioni (Cass. n. 6234/2000, Cass. n. 3257/1993, Cass. n. 1696/1980). Infine, per la prevalente tesi giurisprudenziale, le lesioni dei diritti assoluti provocate dalla cosa viziata, in modo indiretto ed ulteriore rispetto ai danni contrattuali, possono dar luogo ad illecito extracontrattuale. In tal caso, pertanto, è ammissibile il concorso tra azione contrattuale ed azione aquiliana, con la conseguenza che venditore risponde ex empto verso il compratore per i vizi tempestivamente denunciati ex art. 1495 c.c.; e risponde altresì , a titolo di illecito, del danno cagionato dai vizi all’utilizzatore, anche se terzo rispetto al contratto e senza necessità del rispetto dei termini di cui all’art. 1495 c.c., essendo l’azione assoggettata ai soli ordinari termini ex art. 2043 c.c. (Cass. n. 1158/1998, Cass. n. 11845/1997, Cass. n. 12577/1995, Cass. n. 3418/1993, Cass. n. 4089/1988, Cass. n. 4833/1986, Cass. n. 1696/1980; in dottrina, Bianca58). 55 Bianca, La vendita e la permuta, in Trattato di diritto civile, diretto da Vassalli, 1993, 981. Luminoso, La compravendita, 1998, 182. 57 Rubino, La compravendita, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu-Messineo, 1971, 824. 58 Bianca, La vendita e la permuta, in Trattato di diritto civile, diretto da Vassalli, 1993, 881 e 986-987. 56 15 5. E’ ancora configurabile la consegna di aliud pro alio, in tema di compravendita, dopo l’entra in vigore dell’art. 1519 quater c.c.? 5.1 I brevi termini di decadenza e prescrizione come limitazione alla tutela del compratore Si è più sopra cercato di tratteggiare il complesso sistema di tutela offerto dal legislatore codicistico per la garanzia del compratore nel caso di difetto della cosa venduta, sistema che mira alla protezione del compratore stesso nel caso di presenza di vizi o di assenza di qualità, assicurando le azioni di risoluzione del contratto, di riduzione del prezzo e di risarcimento del danno. Giusto quanto sopra esposto, peraltro, deve essere rimarcato come l’operatività dell’intero meccanismo di tutela, compresa l’azione di risarcimento del danno (cfr. Cass. n. 10728/2001, Cass. n. 15395/2000, Cass. n. 6234/2000), sia subordinata al rispetto delle condizioni di cui all’art. 1495 c.c., cioè alla denuncia del difetto nel termine di decadenza di otto giorni dalla scoperta ed all’esercizio dell’azione nel termine di prescrizione di un anno dalla consegna, con l’unica eccezione data dal riconoscimento del vizio o del suo occultamento da parte del venditore (art. 1495 comma 2 c.c.). Trattasi, in tutta evidenza, di disposizioni assolutamente onerose per il compratore, tenuto al rispetto di termini particolarmente brevi, non solo se rapportate alla disciplina generale in tema di contratti, che non conosce la decadenza e prevede una prescrizione decennale ex art. 2946 c.c. per far valere un diritto; ma anche se rapportate alla similare disciplina del contratto d’appalto, che ex art. 1667 c.c. prevede una decadenza di sessanta giorni ed una prescrizione biennale. Anche probabilmente a fronte di tale oggettiva situazione di difficoltà per il compratore, la giurisprudenza ha reagito con un’interpretazione volta a depotenziare gli effetti pratici del disposto normativo di cui all’art. 1495 c.c.. Così , è stato innanzitutto chiarito come il termine decadenziale decorre dal momento in cui il compratore ha acquisito la certezza oggettiva circa l’esistenza del difetto, non essendo sufficiente il semplice sospetto della loro esistenza (ex pluribus, cfr. Cass. n. 11452/2000, Cass. n. 6735/2000, Cass. n. 4657/1998, Cass. n. 12011/1997, Cass. n. 7541/1995, Cass. n. 1082/1995, Cass. n. 7202/1994, Cass. n. 1458/1994, Cass. n. 4116/1990), e tale certezza oggettiva in taluni casi può addirittura essere esclusa fino all’espletamento di un accertamento tecnico preventivo (Cass. n. 6735/2000, Cass. n. 7541/1995). Quanto alla denuncia del difetto, la comunicazione al venditore non richiede specifiche formalità e può quindi essere posta in essere anche verbalmente (Cass. Sez. Un. n. 328/1991, Cass. n. 6326/1986, Cass. n. 539/1986, Cass. n. 3907/1981); non abbisogna sin dall’inizio di una specifica indicazione dei vizi, che ben possono essere precisati un secondo tempo (Cass. n. 6234/2000, Cass. n. 5878/1993, Cass. n. 3816/1986); è ritualmente assolta se l’invio della contestazione è stato posto in essere entro gli otto giorni, non rilevando la data di ricezione della denuncia da parte del venditore, trattandosi di un atto giuridico in senso stretto (Cass. n. 539/1986, Cass. n. 1470/197559; in dottrina, Bianca60, Luminoso61, Rubino62). Peraltro, incombe sul compratore dimostrare la tempestività della denuncia in caso di contestazione da 59 In Foro Pad., 1975, I, 52; in Giur It., 1976, I, 1, 788; ed in Riv. Not., 1977, 447. Bianca, La vendita e la permuta, in Trattato di diritto civile, diretto da Vassalli, 1993, 1029. 61 Luminoso, La compravendita, 1998, 285. 62 Rubino, La compravendita, in Trattato di diritto civile, diretto da Cicu-Messineo, 1971, 832. 60 16 parte del venditore, integrando la denuncia stessa una condizione per l’esercizio dell’azione (Cass. n. 11519/1999, Cass. n. 844/1997). Inoltre, l’impegno assunto dal venditore, dopo la conclusione del contratto, di attivarsi al fine di eliminare i vizi, dà luogo ad un’autonoma obbligazione rispetto agli obblighi di garanzia nascenti dalla vendita, alla quale non possono essere applicati i termini di cui all’art. 1495 c.c., dovendosi invece applicare i termini ordinari decennali di prescrizione (ex pluribus, Cass. n. 15758/2001, Cass. n. 8294/2000, Cass. n. 6089/2000, Cass. n. 8439/1997, Cass. n. 8234/1997, Cass. n. 381/1995, Cass. n. 9562/1994). Il riconoscimento dei vizi, che ex art. 1495 comma 2 c.c. esclude in radice la necessità per il compratore di porre in essere la denunzia, può poi avvenire non solo in modo esplicito od in una forma determinata, ma anche tacitamente, per facta concludentia univocamente incompatibili con l’intenzione di respingere la pretesa del compratore o di far valere l’eccezione di decadenza (ex pluribus, cfr. Cass. n. 15758/2001, Cass. n. 5597/2001, Cass. n. 87294/2000, Cass. n. 4464/1997, Cass. n. 1561/1997, Cass. n. 6641/1991, Cass. n. 8226/1990, Cass. n. 857/1990). 5.2 L’aliud pro alio come limite all’applicazione dei brevi termini di decadenza e prescrizione Tuttavia, il più rilevante arresto giurisprudenziale in tema di decadenza e prescrizione del diritto di far valere i difetti della cosa venduta, è quello relativo alla creazione della categoria dell’aliud pro alio, non espressamente prevista dal legislatore, ma individuata appunto dalla giurisprudenza. Si è così chiarito come vizi e mancanza di qualità vadano nettamente distinti dalla più grave situazione dell’aliud pro alio, che riguarda la consegna non già di un bene meramente viziato o privo delle qualità promesse od essenziali, ma piuttosto di un bene i cui vizi o le cui mancanze di qualità promesse od essenziali, siano tali da farlo ritenere come bene radicalmente diverso da quello dedotto in contratto. Infatti, le garanzie per vizi e per qualità presuppongono entrambe l’appartenenza della cosa al genere pattuito; con l’aliud pro alio si vende invece una cosa appartenente ad un genere diverso, o che comunque difetta delle particolari qualità necessarie per assolvere alla sua naturale funzione economico-sociale o a quella particolare funzione che le parti abbiano concretamente assunta come essenziale (per la pacifica giurisprudenza, cfr. da ultimo, Cass. n. 13925/2002, Cass. n. 10188/2000, Cass. 2712/1999, Cass. n. 4899/1998, Cass. n. 1038/1998, Cass. n. 272/1998). L’importanza della distinzione tra consegna di un bene difettoso o di aliud pro alio, emerge con tutta chiarezza dalle importanti conseguenze in ordine alla disciplina applicabile che derivano dall’inquadramento nell’una o nell’altra delle due categorie. Con costante e mai smentito insegnamento, la Suprema Corte ha infatti in proposito statuito che, in caso di aliud pro alio, il compratore ha diritto ad esperire non l’azione ex art. 1495 c.c., ma la normale azione di risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c., ben più incisiva in quanto non soggetta né a decadenza per mancata tempestiva denuncia in otto giorni, né a prescrizionale annuale (cfr., ex pluribus e tra le più recenti, Cass. n. 10188/2000, Cass. n. 2712/1999, Cass. n. 4899/1998, Cass. n. 1038/1998, Cass. n. 844/1997, Cass. n. 244/1997). Pertanto, l’art. 1495 c.c. si applica solo alle meno gravi ipotesi di vizi o difetti della cosa venduta. Sempre in aderenza ai principi generali di cui all’art. 1453 c.c., e senza dover soggiacere a termini diversi rispetto all’ordinaria prescrizione decennale, è poi esperibile, in alternativa alla risoluzione del contratto, l’azione di esatto adempimento, la cui ammissibilità si è visto essere 17 negata nel caso di vizi redibitori; nonché l’azione di risarcimento del danno, autonomamente o cumulativamente con la risoluzione o l’esatto adempimento (Cass. n. 272/1998). Tra i più studiati casi giurisprudenziali di consegna di aliud pro alio, va certamente segnalata la vendita di immobili privi del certificato di abitabilità. Ha spiegato infatti la giurisprudenza di legittimità che, nella vendita di immobili destinati ad abitazione, l’abitabilità è un elemento che caratterizza l’immobile stesso (ex pluribus, cfr. Cass. n. 15969/2000, Cass. n. 7681/1999, Cass. n. 1391/1998, Cass. n. 442/1996, Cass. n. 10703/1994, Cass. n. 12860/1992, Cass. n. 6576/1991, Cass. n. 8450/1990, Cass. n. 8199/1990), tanto che la mancanza di abitabilità importa inadempimento del venditore per consegna di aliud pro alio, anche se il compratore era a conoscenza della mancanza del certificato, ma non vi ha espressamente rinunciato (cfr. Cass. n. 2729/2002, Cass. n. 7681/1999, Cass. n. 442/1996, Cass. n. 11521/1995, Cass. n. 10703/1994, Cass. n. 6576/1991, Cass. n. 521/1988, Cass. n. 829/1983), posto che, nella compravendita di case di abitazione, deve intendersi come implicito il requisito della abitabilità legale, a meno che il contrario non sia stato espressamente stabilito tra le parti (Cass. n. 10616/1990, Cass. n. 829/1983). 5.3 I dubbi di parte della dottrina in ordine alla persistente vigenza dell’aliud pro alio dopo l’entrata in vigore dell’articolo 1519 quater c.c.. Una delle più recenti ed interessanti normative settoriali in tema di compravendita è certamente quella rappresentata dal D. Lgs. n. 24/2002, che, recependo la direttiva CE 44/1999, ha introdotto gli articoli 1519 bis-1519 nonies nel codice civile, disciplinando i settori della vendita, somministrazione, permuta, appalto ed opera di beni mobili al consumo (cfr. art. 1519 bis c.c.). Tra le novità più rilevanti proposte dal legislatore del 2002, per quanto concerne il tema qui trattato e tenendo presente che la novella vale ovviamente solo per il caso della vendita di cose mobili al consumo, ve ne sono almeno tre che meritano menzione. La prima è rappresentata dal fatto che, in aderenza a quanto già in precedenza disposto dall’art. 35 della convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili63 ed utilizzandone il modello, vi è l’individuazione di un concetto unitario di difformità del bene rispetto al contratto, che supera la parcellizzazione operata dal legislatore del 1942 tra presenza di vizi e mancanza di qualità promesse ed essenziali ex artt. 1490 e 1497 c.c.. In particolare, ex art. 1519 quater c.c., si presume la conformità del bene allorquando coesistano quattro circostanze: il bene è idoneo all’uso al quale serve abitualmente un bene dello stesso tipo; è conforme alla descrizione fatta dal venditore e possiede le qualità che il venditore ha presentato come campione o modello; presenta qualità e prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo, che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi anche tenuto conto della pubblicità fatta al prodotto; è idoneo all’uso particolare voluto dal consumatore e portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto. La seconda novità è data dal fatto che vengono sensibilmente ampliati i ristretti termini di decadenza e prescrizione previsti dal codice all’articolo 1495 c.c., portando il termine decadenziale per la denuncia da otto giorni a due mesi, come nel caso dell’appalto previsto dall’art. 1667 c.c.; ed il termine prescrizionale per l’esercizio dell’azione da un anno a due anni e due mesi, superiore quindi anche ai due anni previsti per l’appalto sempre dall’art. 1667 c.c. (cfr. art. 1519 sexies c.c.). 63 Convenzione di Vienna 11/4/1980 sulla vendita internazionale di beni mobili, ratificata in Italia con la legge 11/12/21985 n. 765. 18 La terza novità consiste poi nel fatto che, in presenza di un difetto di conformità e nel rispetto dei termini decadenziali e prescrizionali, al consumatore viene espressamente garantita la scelta non solo tra risoluzione del contratto o riduzione del prezzo, come accade in tema di disciplina generale della compravendita, ma anche la possibilità di optare per l’esatto adempimento mediante riparazione o sostituzione del bene (cfr. art. 1519 quater c.c.). Ed anzi, l’esatto adempimento è visto come il rimedio principale, posto che risoluzione e quanti minoris sono possibili solo nei casi previsti dall’art. 1519 quater comma 7 c.c., id est se l’esatto adempimento sia impossibile od eccessivamente oneroso, se il venditore abbia inadempiuto alla riparazione o sostituzione, se la riparazione o la sostituzione abbiano arrecato notevoli inconvenienti al consumatore. Ciò posto, autorevole dottrina ha sostenuto come l’entrata in vigore di tale normativa di settore comporti la necessità di ripensare completamente la posizione giurisprudenziale in tema di aliud pro alio, figura che dovrebbe considerarsi ormai non più configurabile. Si argomenta che, quantomeno con riferimento ai contratti relativamente ai quali il legislatore ha previsto la generale figura del difetto di conformità, come nel caso di vendita di beni mobili al consumo ex art. 1519 bis e seguenti c.c. o nel caso di vendita di beni mobili internazionali ex convenzione di Vienna, non vi sarebbe più necessità di distinguere tra vizi redibitori e aliud pro alio (tra gli altri, Bin64, Calvo65, Fadda66, Luminoso67, Pardolesi68, Patti69, Pietravalle70, Stilo71; contra Di Prisco72). Infatti, accolta da parte del legislatore una nozione unitaria di difetto, comprendente ogni difformità del bene rispetto al contratto, verrebbe preclusa la possibilità di configurare un residuo spazio operativo per quel particolare tipo di difetto rappresentato dall’aliud pro alio; ed inoltre, previsti termini di decadenza e di prescrizione molto più ampi rispetto a quelli di cui all’art. 1495 c.c., verrebbe a mancare anche la ragione pratica per giustificare la creazione giurisprudenziale della figura. 64 Cfr. Bin, La non conformità dei beni nella convenzione di Vienna sulla vendita internazionale, in Riv. Trim. dir. proc. civ., 1990, 755, con riferimento alla vendita internazionale di beni mobili; nonché, con riferimento alla vendita di beni mobili al consumo, Per un dialogo con il futuro legislatore dell’attuazione: ripensare l’intera disciplina della non conformità dei beni nella vendita alla luce della direttiva comunitaria, in Contratto ed impresa/Europa, a cura di Galgano e Bin, 2/2000, 407. 65 Calvo, L’attuazione della direttiva n. 44 del 1999: Una chance per la revisione in senso unitario della disciplina sulle garanzie e rimedi nella vendita, in Contratto ed impresa/Europa, a cura di Galgano e Bin, 2/2000, 466, con riferimento alla vendita di beni mobili al consumo. 66 Fadda, Garanzia per i vizi della cosa venduta, in Codice della vendita, a cura di Buonocore e Luminoso, 2001, art. 1490 c.c., 499 ss e 560 ss, con riferimento alla vendita di beni mobili al consumo; e Il contenuto della direttiva 1999/44/CE: una panoramica, in Contratto e Impresa/Europa, a cura di Galgano e Bin, 2/2000, 423, sempre con riferimento alla vendita di beni mobili al consumo. 67 Luminoso, La compravendita, 1998, 335, con riferimento alla vendita internazionale di beni mobili; nonché, con riferimento alla vendita di beni mobili la consumo, relazione al Convegno Le nuove norme sulle garanzie nella vendita dei beni al consumo, organizzato dall’Università degli studi di Torino e dall’Unioncamere Piemonte a Torino il 22/3/2002. 68 Pardolesi, in Foro It., 2001, I, 1906 ss. 69 Patti, relazione al Convegno Secola dell’8 giugno 2001, citato da Bianca, Consegna di aliud pro alio e decadenza dai rimedi per omessa denunzia nella direttiva 1999/44/CE, in Contratto e Impresa/Europa, a cura di Galgano e Bin, 1/2000, 20. 70 Pietravalle, Rimedi per l’inadempimento del venditore, art. 51, in Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili, 1992, 246, con riferimento alla vendita internazionale di beni mobili. 71 A. Stilo, Inadempimento contrattuale: azione per l’adempimento, risoluzione del contratto e risarcimento del danno. La garanzia per vizi nei contratti di compravendita ed appalto, in Incontro di studi sul tema “corso di riconversione nelle funzioni civili”, organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura a Roma il 2125/10/2002, pag. 49. 72 Di Prisco, Rimedi per l’inadempimento del venditore, artt. 45-46, in Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili, 1992, 207, con riferimento alla vendita internazionale di beni mobili. 19 5.4 Preferibilità della tesi circa la persistente vigenza della categoria dell’aliud pro alio Pur se autorevolmente sostenuta, la tesi sopra esposta non pare convincente, e cioè per una molteplicità di ragioni. Sotto un profilo strettamente giuridico, non sembra revocabile in dubbio il fatto che, se la generale nozione di difetto di conformità ricomprende certamente nel suo genus le categorie della presenza di vizi e dell’assenza di qualità, rappresentandone la sommatoria, non può peraltro sostenersi che l’esistenza di tale figura di difetto di conformità sia di per sé incompatibile con l’esistenza di un’ulteriore figura, ad essa contrapposta, quale quella dell’aliud pro alio, rappresentata da un difetto di conformità che sia di tale gravità ed entità da impedire di potere qualificare la res consegnata come appartenente allo stesso genus di quella dedotta in contratto. In altre parole, se l’aliud pro alio era configurabile nei confronti dei difetti ex art. 1492 c.c. o delle mancanza di qualità ex art. 1497 c.c. particolarmente rilevanti, non si vede perché tale figura non possa più esistere laddove semplicemente si racchiuda in un’unitaria categoria quella dei difetti e delle mancanze di qualità in precedenza codificati da due diverse norme. Secondariamente, è proprio il riferimento alla Convenzione di Vienna che appalesa l’inaccoglibilità della tesi qui contestata. Infatti, posto che la dizione di cui all’art. 1519 quater c.c. in tema di vendita di beni mobili al consumo è stata pedissequamente ricalcata dall’art. 35 della Convenzione di Vienna in tema di vendita internazionale di beni mobili; e posto che, dopo poco meno di venti anni dal recepimento della Convenzione, la giurisprudenza non ha mai messo in discussione l’applicabilità della categoria dell’aliud pro alio alle vendite internazionali di beni mobili; se ne inferisce che non vi è motivo di ritenere che, la stessa dizione, possa far ritenere insussistente tale categoria nel settore delle vendite di beni mobili al consumo. L’argomentazione più forte, e probabilmente dirimente, che milita a favore della persistente vigenza dell’aliud pro alio, peraltro, è quella che muove dall’interpretazione sistematica della norma alla luce della sua ratio (in questo senso, Bianca73, De Cristofaro74, Ubaldi75). Invero, è facile osservare come apparirebbe davvero singolare un’interpretazione abrogatrice dell’aliud pro alio a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs n. 24/2002 ed in attuazione della direttiva 1999/44/CE, posto che entrambe le norme espressamente chiariscono come l’intenzione del legislatore sia quella di offrire una maggior tutela per il consumatore. Ciò posto, nel caso di fornitura di beni mobili al consumo aventi difetti tali da integrare una situazione di aliud pro alio, l’entrata in vigore dell’art. 1519 sexies c.c. comporterebbe un pesante regresso di tutela per il compratore-consumatore: nella situazione preesistente, infatti, egli avrebbe potuto agire nei confronti del venditore con l’unico limite del rispetto della prescrizione decennale; nella situazione successiva al vigore dell’art. 1519 sexies c.c., invece, l’esperibilità dell’azione sarebbe subordinata alla denuncia del vizio entro sessanta giorni ed all’esercizio nel termine prescrizionale di due anni e due mesi. 73 Bianca, Consegna di aliud pro alio e decadenza dai rimedi per omessa denunzia nella direttiva 1999/44/CE, in Contratto e Impresa/Europa, a cura di Galgano e Bin, 1/2000, 19; e Rimedi per l’inadempimento del venditore, art. 35, in Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili, 1992, 147. 74 De Cristofaro, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, 2000, 241. 75 Ubaldi, Rimedi per l’inadempimento del venditore, art. 36, in Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili, 1992, 155, con riferimento alla vendita internazionale di beni mobili. 20 6. Risoluzione, riduzione prezzo, esatto adempimento e risarcimento del danno: i rapporti tra le azioni in tema di appalto 6.1 La cumulabilità della domanda di risarcimento con le domande di adempimento e riduzione del prezzo L’articolo 1668 c.c. prevede la possibilità per il committente di ottenere, in caso di difformità o di vizi dell’opera, non solo la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo, così come avviene in tema di compravendita ex art. 1492 c.c.; ma altresì l’esatto adempimento, tramite l’eliminazione del vizio a spese dell’appaltatore. Il tutto, con salvezza di richiedere altresì il risarcimento dei danni, nel caso l’appaltatore versi in colpa, anche senza chiedere la risoluzione (Cass. n. 5632/2002); e potendo altresì contare sulla presunzione iuris tantum ex art. 1218 c.c. di tale colpa, posto che essa è presunta, vertendosi in tema di inadempimento contrattuale (Cass. n. 14124/2000, Cass. n. 4839/1988, Cass. n. 4637/1983, Cass. n. 4367/1982, Cass. n. 3223/1982, Cass. n. 4606/1981, Cass. n. 163/1981, Cass. n. 432/1980, Cass. n. 129/1978, Cass. n. 2798/1976; in dottrina, Rubino76, Stolfi77, Giannatasio78, Ulisse79, Cosentino80). Ciò posto, così come nel caso della vendita, si pone il problema di capire quale sia il rapporto tra le diverse azioni. Punto di partenza della riflessione non può che essere il dato testuale codicistico, che consente di acclarare due elementi differenziali rispetto alla compravendita. Il primo è che, al contrario di quanto disposto dall’art. 1492 c.c., ove tramite il comune richiamo all’art. 1490 c.c. si rende palese come i presupposti alla base delle azioni di risoluzione e di riduzione del prezzo siano i medesimi, l’art. 1668 c.c. disciplina differentemente i presupposti per l’operatività delle azioni. Invero, in caso di difformità o vizi, il primo comma della norma prevede la possibilità di ottenere la riduzione del prezzo o la quanti minoris; solo nel caso di difformità o vizi tali da rendere l’opera “del tutto inadatta alla sua destinazione”, il secondo comma legittima l’azione di risoluzione. Inevitabile conseguenza logica è che la risoluzione del contratto di appalto implica un inadempimento più grave rispetto a quello fissato dalla normativa generale di cui all’art. 1455 c.c., ove per risolvere il contratto è sufficiente che l’inadempimento sia di non scarsa importanza, o dalla normativa speciale dell’art. 1492 c.c. per la compravendita, ove per risolvere il contratto basta la presenza di vizi che diminuiscano in modo apprezzabile il valore (per tutte, Cass. n. 9613/1990). Il secondo elemento differenziale è dato dall’assenza, in tema di appalto, di un espresso divieto, quale quello imposto dall’art. 1492 c.c. comma 2 relativamente alla vendita, di irrevocabilità della domanda fatta con domanda giudiziale. Alla luce di tale doppia peculiarità, dottrina e giurisprudenza deducono la non reciproca incompatibilità tra le domande di risoluzione, riduzione del prezzo ed adempimento, 76 Rubino, L’appalto, in Trattato di Diritto Civile, diretto da Vassalli, 1993, 521; Rubino-Iudica, voce Appalto, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja-Branca, libro quarto, delle obbligazioni, artt. 1665-1667, 1992. 77 Stolfi, Appalto-trasporto, in Trattato di diritto civile, diretto da Grosso e Santoro Passarelli, 1966, pag. 62. 78 Giannatasio, L’appalto, in Trattato di diritto civile, diretto da Cicu-Messineo, 1971, 194. 79 Ulisse, Profili peculiari della tutela del committente in presenza di vizi o difformità dell’opera appaltata, in Giust. Civ., 1984, II, 333 e ss.. 80 Cosentino, La responsabilità civile dell’appaltatore, del progettista e del direttore dei lavori, in Il contratto internazionale di appalto, 1992, 170 ss.. 21 in tema di appalto, e la conseguente possibilità di proporle cumulativamente in un unico giudizio. In particolare, da una prima angolazione ben è possibile proporre la quanti minoris in subordine alla risoluzione (Cass. n. 9239/2000, Cass. n. 1475/1999, Cass. n. 4921/1993, Cass. n. 736/1986, Cass. n. 1264/1979, Cass. n. 290/197781, Cass. n. 2236/1976), posto che, da un lato, non essendo la quanti minoris una domanda di esatto adempimento, non opera il divieto di cui all’art. 1453 comma 2 c.c.; da altra angolazione, non esiste un’apposita norma quale l’art. 1492 c.c.; da ultimo e soprattutto, concettualmente è ben possibile che il vizio venga ritenuto non tale da integrare i parametri di cui all’art. 1668 c.c. comma 2, che legittimano la risoluzione, ma tale da integrare almeno quelli di cui all’art. 1668 comma 1 c.c., che legittimano la quanti minoris, e pertanto risulterebbe eccessivamente limitativa della tutela del committente una soluzione che imporrebbe ab origine la scelta di una sola tra le due azioni (cfr. anche L. Rubino82). Relativamente invece al cumulo tra domanda di risoluzione e di eliminazione vizi, è ben vero che sembrerebbe dover operare il generale divieto posto dall’art. 1453 comma 2 c.c., considerando che l’azione di eliminazione vizi rientra certamente nel genus di quella di esatto adempimento. Tuttavia, l’ultima argomentazione sopra svolta, e cioè la possibile presenza di vizi che legittimino la sola richiesta di esatto adempimento ex art. 1668 comma 2 c.c. e non anche la risoluzione ex art. 1668 comma 2 c.c., impone di preferire la tesi che consente la proposizione di una subordinata di eliminazione vizi rispetto alla principale di risoluzione (Cass. n. 1457/199583, Cass. n. 4921/1993); e di ritenere quindi che la disciplina speciale dell’appalto codificata dall’art. 1668 c.c. deroga ai principi generali posti dall’art. 1453 c.c.. Quanto invece al possibile cumulo tra quanti minoris ed eliminazione dei vizi, la risposta dovrebbe essere negativa, posto che è ben vero che non opererebbe il divieto di cui all’art. 1453 c.c. capoverso, non essendo nessuna delle due azioni finalizzata alla risoluzione del contratto; ma è altrettanto vero che i presupposti per l’accoglimento delle due domande sono, giusto il disposto dell’art. 1668 c.c., assolutamente identici, e pertanto il rigetto della principale comporterebbe inevitabilmente il rigetto della subordinata (arg. ex Cass. n. 3398/1996, Cass. n. 3299/1996, Cass. n. 11036/1995, Cass. n. 1153/1995, Cass. Sez. Un. n. 2565/1988, Cass. n. 4471/1985, Cass. n. 4980/1983, Cass. n. 582/1982, Cass. n. 3519/1978, Cass. n. 2188/1978, citate al paragrafo 4.1 in tema di compravendita relativamente al rapporto tra l’actio quanti minoris e la domanda di risoluzione). La cumulabilità tra le azioni di risoluzione e quanti minoris, nonché di risoluzione ed esatto adempimento, non risolve peraltro il distinto e diverso problema circa la possibilità di passare da una all’altra domanda in corso di causa. In tutta evidenza, infatti, altro è ammettere la possibilità di proporre sin dall’inizio ed in modo gradato diverse domande; altro è consentire la possibilità di formulare una sola di queste domande, e successivamente sostituirla con un’altra o prevederne una subordinata inizialmente non spiegata. Sul punto, non devono trarre in inganno le molteplici massime della Suprema Corte presenti nelle riviste e nelle banche dati, che sembrano ammettere la modifica tra le domande di risoluzione, riduzione del prezzo ed esatto adempimento, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, trattandosi infatti di massime dettate nel vigore del cosiddetto vecchio rito, cioè per controversie iniziate prima dell’entrata in vigore delle leggi n. 353/1990 e n. 534/1995. 81 In Foro It., 1977, I, 194. L. Rubino, Principali questioni in tema di vendita ed appalto, in Relazione svolta nel corso della settimana di studio relativa al tirocinio mirato riservata agli uditori giudiziari, tenuta a Roma il 14/3/2001, pag. 22-23. 83 Tale sentenza, che suo testo integrale chiaramente esprime il principio sopra richiamato, è peraltro in alcune banche dati massimata in modo impreciso, ed addirittura contrario al senso espresso dal provvedimento. 82 22 Pertanto, attualmente la possibilità di mutare domanda nel corso di causa deve essere scrutinata alla luce del disposto di cui all’articolo 183 comma 5 c.p.c., che consente, nell’appendice scritta successiva alla prima udienza di trattazione, di precisare o modificare le domande, cioè di emendare le stesse, ma non anche di proporre domande nuove. In base a tale presupposto, ed in attesa di un consolidamento giurisprudenziale sul punto, è quindi quantomeno opinabile la possibilità di muovere in corso di causa da una domanda all’altra. In prima approssimazione, e senza pretesa di completezza, si può forse argomentare che, ferma restando la medesimezza della causa petendi, pare ammissibile la proposizione di una domanda di riduzione del prezzo rispetto a quella iniziale di risoluzione, sul presupposto che essa integrerebbe una mera riduzione del petitum (cfr. anche Paladini84; in senso contrario, però, sembra Cass. n. 9239/2000, che ammette tale possibilità, ma chiarisce che si tratta di controversia soggetta al vecchio rito, così implicitamente avvalorando la tesi che solo per tale fattispecie la soluzione sia possibile); ugualmente ammissibile il passaggio da una domanda di eliminazione vizi ad una di risoluzione, sul presupposto che il mutamento non potrebbe importare alcun pregiudizio alla difesa di controparte, dovendosi anzi dare prova di un vizio più grave (cfr. Rubino85); inammissibile il passaggio da una domanda di riduzione del prezzo ad una di eliminazione vizi, sul presupposto della sostanziale diversità del petitum (cfr. anche Lapertosa)86 e per gli stessi motivi, inammissibile il passaggio dalla domanda di risoluzione a quella di adempimento (Rubino87); sempre in ragione del sostanziale mutamento di petitum, problematico è infine immaginare il passaggio dalla domanda di adempimento a quella di riduzione del prezzo o di risoluzione. 6.2 Il contenuto dell’azione di eliminazione dei vizi Pur se in tema di appalto non viene richiamata la norma di cui all’art. 1497 c.c. dettata per la vendita, ha chiarito la giurisprudenza che la garanzia a cui è tenuto l’appaltatore non è relativa ai soli vizi ed alle difformità dell’opera, ma si estende anche alla mancanza di qualità promesse, essenziali o pattuite, non essendo ipotizzabile una diversità di disciplina tra le predette ipotesi (Cass. n. 15247/2000, Cass. n. 1334/1996, Cass. n. 9001/1992). Quanto all’ambito di operatività della garanzia, la Suprema Corte ha poi statuito che, anche in presenza dei più gravi presupposti codificati dall’art. 1668 comma 2 c.c. che legittimerebbero la proposizione dell’azione di risoluzione, ben può il committente limitarsi a richiedere la riduzione del prezzo, l’esatto adempimento od il risarcimento del danno (Cass. n. 5632/2002, Cass. n. 3454/1996). In tal caso, l’ordinamento non prevede un limite all’obbligazione dell’appaltatore, relativamente alla consistenza ed al costo dei lavori di riparazione od alla misura massima della diminuzione del corrispettivo. L’appaltatore stesso, quindi, potrebbe essere chiamato a rispondere pur nel caso in cui la riduzione del prezzo fosse particolarmente gravosa rispetto all’opera svolta, ovvero l’eliminazione dei vizi particolarmente onerosa, al limite anche tramite l’integrale rifacimento dell’opera già eseguita (Cass. n. 7061/2002, Cass. n. 3454/1996, Cass. n. 8043/1994, Cass. n. 9064/1993). 84 Paladini, I rimedi per l’inadempimento con specifico riferimento ai contratti di vendita ed appalto, in Relazione svolta nel corso di aggiornamento per magistrati, tenuto a Roma il 23/4/2002, pag. 45. 85 L. Rubino, Principali questioni in tema di vendita ed appalto, in Relazione svolta nel corso della settimana di studio relativa al tirocinio mirato riservata agli uditori giudiziari, tenuta a Roma il 14/3/2001, pag. 29. 86 Lapertosa, La responsabilità dell’appaltatore nell’appalto privato, relazione tenuta all’incontro di studio sul tema L’appalto privato e pubblico, organizzato dal CSM il 13-15/3/2000, pag. 17 87 L. Rubino, Principali questioni in tema di vendita ed appalto, in Relazione svolta nel corso della settimana di studio relativa al tirocinio mirato riservata agli uditori giudiziari, tenuta a Roma il 14/3/2001, pag. 30. 23 L’unico, ovvio limite, è allora quello per il quale non è possibile richiedere la risoluzione del contratto, ma solo la riduzione del prezzo o l’esatto adempimento, laddove i vizi siano di entità tale da integrare i parametri di cui all’art. 1668 comma 1 c.c., ma non anche quelli di cui all’art. 1668 comma 2 c.c. (per tutte, Cass. n. 9078/1994). Per quanto concerne più specificamente i presupposti per l’esercizio dell’azione di esatto adempimento, la locuzione usata dal legislatore relativamente al fatto che “il committente può chiedere che le difformità o i vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore”, ha dato luogo ad un contrasto giurisprudenziale. La tesi più favorevole al committente ritiene infatti che egli possa non solo richiedere all’appaltatore l’esecuzione delle opere necessarie all’eliminazione dei vizi, ma possa anche, in alternativa, richiedere la condanna dello stesso al pagamento della somma necessaria per provvedere a tale eliminazione, ferma restando, in tale caso, la possibilità per l’appaltatore di eliminare personalmente i vizi prima della sentenza di condanna (Cass. n. 169/1996, Cass. n. 2110/1991, Cass. n. 2974/1989, Cass. n. 3315/1980, Cass. n. 1386/1979, Cass. n. 1032/1973, Cass. n. 1825/1968). Tale ricostruzione, che ha oggettivamente il pregio di essere più aderente al dato letterale, di tener conto che ben è ammissibile in via generale il risarcimento per equivalente pecuniario, e di considerare che appare irragionevole mantenere in vita un rapporto contrattuale quale l’appalto laddove sia oramai venuto meno il rapporto fiduciario tra le parti, è tuttavia oggi minoritaria. Prevale così come nettamente maggioritaria la ricostruzione meno favorevole al committente, che ritiene invece come lo stesso possa solo chiedere la condanna dell’appaltatore ad eliminare il vizio, e solo in caso di inadempimento possa poi ottenere l’eliminazione del difetto a spese dell’appaltatore tramite il procedimento di esecuzione coattiva degli obblighi di fare ex artt. 2931 c.c. e 612 c.p.c. (Cass. n. 10571/2001, Cass. n. 15247/2000, Cass. n. 1334/1996, Cass. n. 2346/1995, Cass. n. 9078/1994, Cass. n. 7851/1994, Cass. n. 9001/1992, Cass. n. 3600/1989, Cass. n. 4839/1988, Cass. n. 4839/1988, Cass. n. 4836/1988, Cass. n. 2073/1988, Cass. n. 1016/1983, Cass. n. 5245/1983, Cass. n. 4367/1982, Cass. n. 1264/1979, in dottrina, Giannatasio88, Mirabelli89, Musolino90, Rubino91, Voltaggio-Lucchesi92). 6.3 I rapporti tra la normativa generale in tema di inadempimento e la normativa speciale in tema di appalto Come nel caso della vendita, anche nell’appalto l’intero architrave di tutela disegnato dal legislatore è subordinato al rispetto del termine decadenziale per la denuncia dei vizi e di quello prescrizionale per l’esercizio dell’azione, termini rispettivamente previsti dall’art. 1667 c.c. in sessanta giorni ed in due anni, decorrenti dalla conoscenza dei vizi e dalla consegna dell’opera; con la previsione, peraltro, che la garanzia nemmeno è dovuta, laddove l’opera sia stata accettata, per difformità e vizi conosciuti o conoscibili, ed in quest’ultimo caso non in malafede taciuti dall’appaltatore. Il vantaggio per il committente di poter contare su termini di decadenza e di prescrizione sensibilmente più ampi rispetto a quelli di otto giorni e di un anno previsti dall’art. 1495 c.c. in tema di vendita, è peraltro bilanciato dalla mancata previsione, in tema di appalto, della figura giurisprudenziale dell’aliud pro alio (in dottrina, favorevole a tale conclusione è 88 Giannatasio, L’appalto, in Trattato di diritto civile, diretto da Cicu-Messineo, 1971, 211. Mirabelli, Dei singoli contratti, in Comm. Del cod. civ., libro IV, tomo 3, 1991, 445. 90 Musolino, La responsabilità dell’appaltatore, in Riv. Trim. appalti, 1993, 98. 91 Rubino, L’appalto, in Trattato di diritto civile, diretto da Vassalli, 1993, pag. 509; e Rubino-Iudica, voce Appalto, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja-Branca, libro quarto, delle obbligazioni, artt. 1665-1667, 1992, 377. 92 Voltaggio-Lucchesi, L’eliminazione dei vizi e delle difformità dell’opera appaltata,1956, 836. 89 24 Rubino93; contra, Gabrielli94, M. Lipari95, Musolino96). Pertanto, i vizi e le difformità di tale gravità da snaturare l’essenza dell’opera appaltata, non soggiacciono alla disciplina generale posta dall’art. 1453 c.c., non soggetta a decadenza e soggetta alla sola ordinaria prescrizione decennale, ma possono al più essere inquadrati nell’alveo dell’art. 1669 c.c., che prevede una garanzia decennale, esercitabile se il vizio è denunciato in un anno dalla scoperta e l’azione è promossa entro un anno dalla denuncia. Ciò posto, così come più sopra evidenziato in tema di vendita, la giurisprudenza ha interpretato in senso certamente favorevole al committente il disposto dell’art. 1667 c.c.. Così , da un primo punto di vista, è stato evidenziato che non è necessaria una denuncia specifica ed analitica delle difformità e dei vizi, tale da consentire l’individuazione di ogni anomalia della cosa, essendo invece sufficiente ad impedire la decadenza una sia pure sintetica indicazione delle difformità, suscettibile peraltro di conservare l’azione di garanzia anche con riferimento a quei difetti accertabili nella loro reale sussistenza in un secondo momento (Cass. n. 644/1999, Cass. n. 6479/1981); e che il termine per operare la denuncia stessa decorre solo allorché si abbia un’adeguata conoscenza del difetto e delle sue cause, conoscenza che può conseguire anche all’esito del deposito di una CTU (Cass. n. 5311/1998). In ogni caso, però, l’onere di dimostrare la tempestiva denuncia incombe sul committente, trattandosi di una condizione dell’azione (Cass. n. 6774/2001, Cass. n. 5677/1994). Da altra angolazione, poi, si è chiarito che l’art. 1667 c.c. disciplina la garanzia per vizi solo ed esclusivamente nel caso di effettiva realizzazione, ultimazione e consegna di un’opera difettosa, ma non anche nelle diverse fattispecie relative all’omessa ultimazione dei lavori od al ritardo nella consegna. In tali casi di omessa ultimazione o ritardata consegna, pertanto, s’applicano i principi generali in materia di inadempimento, codificati dagli articoli 1453 e seguenti c.c., che integrano quindi la disciplina speciale dell’appalto dettata in tema di esecuzione viziata del lavoro. Alla stregua di tali principi generali, l’azione di risoluzione, di esatto adempimento, di riduzione del prezzo o di risarcimento dei danni patiti a seguito della mancata o ritardata consegna dell’opera appaltata, non presuppongono alcuna denuncia a pena di decadenza, né l’esercizio dell’azione nel rispetto di termini prescrizionali diversi da quelli generali di cui all’art. 2946 c.c. (ex pluribus, cfr. Cass. n. 4415/1999, Cass. n. 10255/1998, Cass. n. 3239/1998, Cass. 7364/1996, Cass. n. 10772/1995, Cass. n. 8903/1993, Cass. n. 11950/1990). L’impegno dell’appaltatore di provvedere all’eliminazione dei vizi dell’opera, implica poi il riconoscimento unilaterale dell’esistenza dei vizi stessi, e dà vita ad un’obbligazione nuova rispetto a quella ordinaria, svincolata dai termini di decadenza e di prescrizione di cui all’art. 1667 c.c. e soggetta invece all’originaria prescrizione decennale (ex pluribus, cfr. Cass. n. 1320/2001, Cass. n. 5984/2000, Cass. n. 10364/1997, Cass. n. 8439/1997, Cass. n. 7495/1995, Cass. n. 7216/1995, Cass. n. 7651/1994, Cass. n. 7147/1990). E tale impegno, in aderenza ai principi generali, può anche essere assunto tramite comportamenti concludenti (Cass. n. 7216/1995, Cass. n. 4936/1981). Da ultimo, il riconoscimento dei vizi o l’accettazione dell’opera, che ex art. 1667 comma 1 c.c. escludono in radice la necessità per il compratore di porre in essere la denunzia, possono avvenire non solo in modo esplicito, ma anche tacitamente per facta concludentia 93 Rubino, L’appalto, in Trattato di diritto civile, diretto da Vassalli, 1993, 484; e Rubino-Iudica, voce Appalto, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja-Branca, libro quarto, delle obbligazioni, artt. 1665-1667, 1992, 361. 94 Gabrielli, La consegna di cosa diversa, 1987, 86. 95 Lipari, La garanzia per i vizi e le difformità dell’oipera appaltata: risoluzione del contratto, mancanza di qualità promesse ed aliud pro alio, in Giust. Civ., 1986, I, 2942. 96 Musolino, La responsabilità dell’appaltatore, in Riv. Trim. appalti, 1993. 25 (Cass. n. 1320/2001, Cass. n. 8384/2000, Cass. n. 10364/1997, Cass. n. 4606/1981, Cass. n. 972/1981). 7. La responsabilità ex art. 1669 c.c. 7.1 L’ampia nozione giurisprudenziale circa il contenuto della norma Già si è più sopra evidenziato come la giurisprudenza abbia ritenuto di non applicare all’appalto la figura dell’aliud pro alio, che esaurisce quindi i suoi effetti nell’ambito della compravendita. Non è improbabile, peraltro, che tale scelta sia in parte dovuta al fatto che la normativa speciale in tema di appalto già conosce all’art. 1669 c.c. una specifica disciplina per i vizi di particolare gravità, in qualche modo assimilabili ai vizi che, per la loro consistenza, snaturano il prodotto e sostanzialmente comportano la dazione di un aliud rispetto a quanto pattuito. In particolare, la norma in commento prevede che, in tema di edifici od altri immobili destinati per loro natura a lunga durata, se nei dieci anni dal compimento, l’opera “per vizio del suolo o per difetto di costruzione rovina in tutto od in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti”, l’appaltatore è responsabile verso committente ed aventi causa, purché sia fatta denuncia entro un anno dalla scoperta e ferma la prescrizione del diritto in un anno dalla denuncia. Il rimedio consentito, in tale caso, è unicamente quello del risarcimento del danno. E’ di tutta evidenza, pertanto, che le modalità per fare valere il diritto, pur se non paragonabili a quelle poste dalla disciplina generale sull’inadempimento, che si limita a sancire una prescrizione decennale dell’azione, sono sensibilmente più vantaggiose per il committente rispetto a quelle previste dall’art. 1668 c.c. per far valere le difformità di cui all’art. 1667 c.c., atteso che la denuncia è richiesta in un anno e non in sessanta giorni, e che l’azione può essere esperita in un anno dalla denuncia e non in un anno dalla consegna. Ciò posto, la giurisprudenza, fors’anche al fine di estendere ulteriormente la tutela del committente in relazione alla mancata disponibilità dell’azione di aliud pro alio, ha dato una lettura particolarmente ampia della norma, valorizzando il dato letterale della presenza di “gravi difetti” in luogo di quello del “pericolo di crollo”. Così , si è chiarito che nella nozione di gravi difetti rientrano non solo quelli che possono pregiudicare la sicurezza o la stabilità dell’edificio, ma anche quelli da cui deriva un apprezzabile danno alla funzione economica od una sensibile menomazione del normale godimento dell’edificio o del suo valore di scambio, rivestendo il carattere della gravità tutte quelle alterazioni che incidono sulla sostanza dell’opera e su tutti quegli elementi che devono essere presenti affinché l’opera stessa possa fornire la normale utilità in relazione alla sua funzione economica e pratica (ex pluribus, cfr. Cass. n. 1468/1999, Cass. n. 456/1999, Cass. n. 2977/1998, Cass. n. 1393/1998, Cass. n. 1203/1998, Cass. n. 7992/1997, Cass. n. 10624/1996, Cass. n. 13106/1995, Cass. n. 5103/1995, Cass. n. 1164/1995, Cass. n. 1081/1995, Cass. n. 245/1995, Cass. n. 10218/1994, Cass. n. 13112/1992, Cass. n. 9081/1992, Cass. n. 1686/1991, Cass. n. 3339/1990). Consegue che può integrare la fattispecie prevista dall’art. 1669 c.c. anche un difetto dell’impianto centrale di riscaldamento (Cass. n. 1081/1995, Cass. n. 5002/1994, Cass. n. 7924/1992), della canna fumaria (Cass. n. 5252/1986 e Cass. n. 2763/1984, Cass. n. 3971/1981), della rete fognaria (Cass. n. 2775/1997, Cass. n. 13016/1995, Cass. n. 3339/1990), ovvero un difetto del tetto che importi infiltrazioni di acqua piovana negli 26 appartamenti (Cass. n. 117/2000, Cass. n. 4692/1999, Cass. n. 2260/1998, Cass. n. 3301/1996, Cass. n. 13112/1992, Cass. n. 9082/1991). 7.2 La disciplina e la natura extracontrattuale della responsabilità Detto dell’ampia interpretazione fornita dalla Suprema Corte in ordine all’applicazione della norma, è interessante segnalare i più rilevanti profili di disciplina della fattispecie, che confermano una posizione giurisprudenziale volta alla massima tutela possibile della posizione del committente. Innanzitutto, al pari di quanto già evidenziato in tema di vizi della compravendita e di vizi dell’appalto rientranti nell’alveo dell’art. 1667 c.c., non è richiesta alcuna forma speciale per la denuncia (Cass. n. 6404/1984). Il termine per la denuncia stessa decorre poi solo dal giorno in cui il committente consegue un’apprezzabile grado di conoscenza dell’oggettiva gravità degli stessi e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera, non essendo sufficiente far riferimento a manifestazioni ancora di scarsa rilevanza od addirittura a semplici sospetti (per la pacifica giurisprudenza, cfr. tra le più recenti cfr. Cass. n. 4622/2002, Cass. n. 9199/2001, Cass. n. 5319/2001, Cass. n. 6092/2000, Cass. n. 81/2000, Cass. n. 7612/1999, Cass. n. 3756/1999, Cass. n. 1993/1999, Cass. n. 1052/1999, Cass. n. 8689/1998, Cass. n. 1203/1998), e tale conoscenza ben potrebbe conseguire anche solo all’esito di una consulenza tecnica (ex pluribus, cfr. Cass. n. 4622/2002, Cass. n. 9199/2001, Cass. n. 1993/1999, Cass. n. 14218/1999, Cass. n. 11613/1998, Cass. n. 5311/1998, Cass. n. 2977/1998, Cass. n. 10218/1994, Cass. n. 5920/1993, Cass. n. 10106/1992, Cass. n. 2805/1990). Non è invece applicabile all’art. 1669 c.c. la norma eccezionale sancita dall’ultimo comma dell’art. 1667 c.c., secondo la quale il committente convenuto per il pagamento può sempre far valere la garanzia purché abbia denunciato i vizi nei termini, valendo invece il principio generale dell’art. 2934 c.c., per il quale la prescrizione estingue il diritto ed il diritto prescritto è paralizzato dalla semplice eccezione sollevata da controparte (Cass. n. 6393/1996). Consegue che, se convenuto in giudizio per il pagamento, il committente non può far valere la garanzia ex art. 1669 c.c. una volta passato un anno dalla denuncia del vizio. Da altra angolazione, la presunzione iuris tantum di responsabilità del costruttore posta dall’art. 1669 c.c., può essere vinta non già con la prova dell’essere stata da lui usata tutta la diligenza possibile nella scelta dei materiale e nell’esecuzione dell’opera, bensì solo mediante la specifica dimostrazione della mancanza di una sua responsabilità, conclamata da fatti positivi, specifici e concordanti (Cass. n. 15488/2000, Cass. n. 3756/1999, Cass. n. 1993/1999, Cass. n. 12106/1998, Cass. n. 2123/1991, Cass. n. 241/1985, Cass. n. 5624/1984, Cass. n. 5227/1983, Cass. n. 3529/1983, Cass. n. 4203/1976). Contrariamente a quanto visto a proposito dell’art. 1667 c.c., con l’azione ex art. 1669 c.c. il committente può chiedere la condanna dell’appaltatore alternativamente al pagamento della somma di denaro corrispondente al costo delle opere necessarie per l’eliminazione dei difetti, ovvero all’esecuzione diretta di tali opere. Infatti, il richiamo alla responsabilità risarcitoria senza la precisazione delle forme tramite le quali essa deve avvenire, impone di ritenere richiamato il principio generale di cui all’art. 2058 c.c., per il quale il risarcimento può essere disposto in forma specifica, o, per essere venuto meno il rapporto fiduciario, per equivalente pecuniario (Cass. n. 14449/1999, Cass. n. 10624/1996, Cass. n. 5103/1995, Cass. n. 3037/1995, Cass. n. 1406/1989, Cass. n. 2763/1984). Fermo restando il disposto dell’art. 2058 comma 2 c.c., che esclude il solo risarcimento in forma specifica ove troppo gravoso, l’appaltatore è tenuto alla garanzia indipendentemente dall’entità della somma di denaro occorrente per l’eliminazione dei vizi (Cass. n. 1203/1998, Cass. n. 1686/1991, Cass. n. 1948/1989, Cass. n. 241/1985). 27 Quanto all’eventualità per la quale l’appaltatore riconosca l’esistenza dei vizi, è vero che l’art. 1669 c.c. non richiama il disposto dell’art. 1667 c.c., che prevede in tal caso la superfluità della denuncia da parte del committente; tuttavia, si è ritenuto tale prescrizione come espressione di un principio generale, come tale applicabile anche all’ipotesi di cui all’art. 1669 c.c. (Cass. n. 11672/2000, Cass. n. 6682/2000, Cass. n. 11272/1995, Cass. n. 6404/1984, Cass. n. 4936/1981). Infine, deve essere rimarcato come la Suprema Corte abbia chiarito che la responsabilità di cui all’art. 1669 c.c. è di natura extracontrattuale, rivestendo l’articolo in parola natura di norma speciale e derogatoria rispetto a quella generale codificata dall’art. 2043 c.c. (per la pacifica giurisprudenza, cfr. da ultimo Cass. n. 4622/2002, Cass. n. 6997/2001, Cass. n. 15488/2000, Cass. n. 13003/2000, Cass. n. 6997/2000, Cass. n. 1290/2000, Cass. n. 81/2000. Contra la maggioritaria dottrina, a favore di un ricostruzione nei termini di responsabilità contrattuale: cfr. in particolare Abello97, Cianflone98, Costanza99, Giannattasio100, Marinelli101, Musolino102, Rubino103). Tale inquadramento dogmatico comporta che l’obbligazione risarcitoria non opera solo a carico dell’appaltatore nei confronti del committente, e cioè tra le parti contrattuali, come nel caso dei vizi di cui all’art. 1667 c.c.; ma ben può essere invocata da qualsiasi danneggiato terzo rispetto al contratto di appalto, quale l’acquirente, nei confronti del costruttore-venditore (ex pluribus, cfr. Cass. n. 4622/2002, Cass. n. 12406/2001, Cass. n. 13003/2000, Cass. n. 10719/2000, Cass. n. 8109/1997, Cass. n. 6393/1996, Cass. n. 1081/1995, Cass. n. 10218/1994, Cass. n. 7550/1994, Cass. n. 5514/1994, Cass. n. 5002/1994, Cass. n. 4198/1994, Cass. n. 12304/1993, Cass. n. 4900/1993, Cass. n. 13112/1992, Cass. n. 11450/1992, Cass. n. 2805/1990, Cass. n. 8/1990). 8. E’ configurabile una responsabilità per vizi dell’appaltatore ove siano presenti anche un progettista od un direttore dei lavori? 7.1 La responsabilità ex art. 1667 c.c. E’ certamente consueto che, nel caso di appalti relativi ad opere di una certa importanza o complessità, all’attività dell’appaltatore si affianchi quella del direttore dei lavori, nominato dal committente, e/o del progettista. Ciò posto, è di tutta evidenza che, in tali situazioni, è necessario chiarire il rapporto tra le responsabilità dei singoli nell’eventualità della presenza di vizi dell’opera. Con riferimento ai vizi di cui all’art. 1667 c.c. ed alla presenza di un progettista, non è in discussione che lo stesso risponda verso il committente nel caso in cui i vizi siano riconducibili ad un errore del progetto. 97 Abello, Appalto, in Trattato di dir. civ., diretto da Fiore e Brugi, 1992, 670. Cianflone, Appalto di opere pubbliche, 1996, 826. 99 Costanza, voce Perimento e deterioramento dell’opera, in Enc. Dir., XXXIII, 1983, 64. 100 Giannattasio, L’appalto, in Trattato di diritto civile, diretto da Cicu-Messineo, 1977, 226. 101 Marinelli, La responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669: un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in Giust. Civ., 1983, I, 948. 102 Musolino, La responsabilità dell’appaltatore, in Riv. Trim. appalti, 1993, 119. 103 Rubino, L’appalto, in Trattato di diritto civile, diretto da Vassalli, 1993, pag. 580; e Rubino-Iudica, voce Appalto, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja-Branca, libro quarto, delle obbligazioni, artt. 1665-1667, 1992, 424. 98 28 Tuttavia, ha spiegato la giurisprudenza come, in questo caso, l’appaltatore risponda solidalmente con il progettista nel caso in cui si sia accorto degli errori e non li abbia tempestivamente denunciati al committente; ovvero anche nel caso in cui, pur non essendosi accorto degli stessi, lo avrebbe potuto fare con l’uso della normale diligenza e delle normali cognizioni tecniche. Infatti, anche in presenza di un progetto, residua pur sempre un margine di autonomia per l’appaltatore, che gli impone di attenersi alle regole dell’arte e di assicurare alla controparte un risultato tecnico conforme alle esigenze. Conseguentemente, l’appaltatore è esentato da responsabilità solo ove dimostri che gli errori non potevano essere riconosciuti con l’ordinaria diligenza richiesta all’appaltatore stesso; ovvero nel caso in cui, pur essendo gli errori stati prospettati e denunciati al committente, questi ha però imposto, direttamente o tramite il direttore dei lavori, l’esecuzione del progetto ribadendo le istruzioni, posto che in tale eccezionale caso l’appaltatore ha agito come nudus minister, a rischio del committente e con degradazione del rapporto di appalto a mero lavoro subordinato (ex pluribus, cfr. Cass. n. 1154/2002, Cass. n. 10550/2001, Cass. n. 14598/2000, Cass. n. 11783/2000, Cass. n. 6088/2000, Cass. n. 187/2000, Cass. n. 8075/1999, Cass. n. 5455/1999, Cass. n. 3520/1997, Cass. n. 8395/1996, Cass. n. 169/1996, Cass. n. 5099/1995, Cass. n. 967/1994, Cass. n. 11290/1993, Cass. n. 6171/1993, Cass. n. 4921/1993, Cass. n. 3050/1992, Cass. n. 13039/1991). Simili considerazioni valgono, sempre in tema di vizi ex art. 1667 c.c., relativamente all’opera del direttore dei lavori. Infatti, il direttore risponde nei confronti del committente, ed in solido con l’appaltatore, nel caso in cui i vizi derivino dal mancato rispetto del progetto, posto che tra gli obblighi del direttore stesso vi è quello di riscontrare la progressiva conformità dell’opera al progetto (ex pluribus, cfr. Cass. n. 194/2002, Cass. n. 15124/2001, Cass. n. 11359/2000, Cass. n. 7180/2000, Cass. n. 3264/1995, Cass. n. 3801/1991). Parimenti, nel caso poi i vizi derivino da carenze progettuali, ferma la responsabilità del progettista e dell’appaltatore in base a quanto sopra argomentato, nei confronti del committente è tenuto a rispondere solidalmente anche il direttore dei lavori, posto che è suo obbligo quello di controllare che le modalità dell’esecuzione dell’opera siano in linea non solo con il progetto, ma anche con le regole della tecnica (da ultimo, cfr. Cass. n. 15124/2001, Cass. n. 11359/2000, Cass. n. 7180/2000), fino al punto di provvedere alla correzione di eventuali carenze progettuali (Cass. n. 7180/2000). Essendo poi l’obbligazione del direttore dei lavori un’obbligazione di mezzi e non di risultati, ad essa non si applica la disciplina dell’art. 2226 c.c., con la conseguenza che l’accettazione dell’opera oggetto dell’appalto da parte del committente, non esonera il direttore dalla responsabilità nei confronti del committente stesso per inadempimento delle obbligazioni assunte (Cass. n. 3269/1995, Cass. n. 11116/1991, Cass. n. 5463/1985). Alla stregua dei principi generali, poi, qualora il danno sia provocato da più soggetti (id est appaltatore, e/o progettista e/o direttore dei lavori) per inadempimento rispetto a diversi contratti (id est di appalto o d’opera) rispettivamente intercorsi tra ciascuno di essi ed il danneggiato (id est il committente), in base alla responsabilità solidale dei debitori, il creditore può rivolgersi a ciascuno dei danneggianti per ottenere il risarcimento di tutto il danno, ed il debitore escusso ha poi regresso verso ciascuno degli altri responsabili per la ripetizione della parte da ciascuno di essi dovuta, da presumersi uguale in mancanza di un accertamento contrario. Infatti, al fine di ritenere la solidarietà di tutte le parti all’obbligo risarcitoria, è sufficiente che le azioni o le omissioni di ciascuna di esse abbiano concorso in modo efficiente a produrre l’evento, a nulla rilavando che costituiscano autonomi fatti illeciti o violazioni di norme giuridiche diverse (per tutte, Cass. n. 13039/1991, Cass. n. 1114/1986, Cass. n. 4356/1980). 29 7.1 La responsabilità ex art. 1669 c.c. I medesimi principi sopra esposti relativamente alla responsabilità di progettista, direttore lavori ed appaltatore, valgono anche in tema di rovina o difetti inquadrabili nell’ambito dell’art. 1669 c.c.. Pertanto, come già chiarito, l’appaltatore risponderà ex art. 1669 c.c. anche ove abbia agito in presenza di un direttore dei lavori od abbia seguito un progetto, con il solo limite dell’irresponsabilità nel caso in cui abbia agito quale nudus minister; ed il direttore dei lavori risponderà ex art. 1669 c.c. ove abbia omesso di riscontrare la progressiva conformità dell’opera al progetto o non abbia controllato che le modalità dell’esecuzione dell’opera fossero in linea anche con le regole della tecnica (ex pluribus, cfr. Cass. n. 1290/2000, Cass. n. 187/2000, Cass. n. 8838/1999, Cass. n. 5455/1999, Cass. n. 2745/1999, Cass. n. 8689/1998, Cass. n. 7992/1997, Cass. n. 8395/1996, Cass. n. 7550/1995, Cass. n. 8904/1994, Cass. n. 11290/1993, Cass. n. 4900/1993, Cass. n. 3050/1992, Cass. n. 2123/1991, Cass. n. 5690/1990). Peraltro, deve essere evidenziato che l’azione ex art. 1669 c.c. può essere esperita non solo dal committente nei confronti di appaltatore, progettista e direttore dei lavori, solidalmente tra loro, così come nel caso dell’art. 1667 c.c.. Ma può altresì essere esperita, in ragione della sua natura extracontrattuale sulla quale ci si è diffusamente soffermati nel capitolo precedente, ed a differenza dell’azione contrattuale ex art. 1667 c.c., da parte del terzo acquirente nei confronti del costruttore-venditore, dell’appaltatore, del progettista e del direttore dei lavori, per i danni subiti (ex pluribus, cfr. Cass. n. 12406/2001, Cass. n. 13003/2000, Cass. n. 10719/2000, Cass. n. 8109/1997, Cass. n. 7619/1997, Cass. n. 5002/1994, Cass. n. 12304/1993, Cass. n. 4900/1993, Cass. n. 2805/1990). Anche in questa sede, va infatti chiarito che la solidarietà dal lato passivo non è esclusa dal fatto che le azioni o le omissioni costituiscano autonomi e distinti fatti illeciti o violazioni di norme giuridiche provenienti da fonti diverse, se le singole azioni od omissioni di venditore, appaltatore, progettista e direttore dei lavori, concorrono tutte in modo casualmente efficiente a produrre l’illecito extracontrattuale previsto dalla norma (Cass. n. 7992/1997, Cass. n. 8904/1994, Cass. n. 11290/1993, Cass. n. 4900/1993, Cass. n. 1406/1989, Cass. n. 2676/1984, Cass. n. 5342/1982). 30