...

Periferia e periferie

by user

on
Category: Documents
29

views

Report

Comments

Transcript

Periferia e periferie
Periferia e periferie
a cura di
Laura Fregolent
ARACNE
Copyright © MMVIII
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133 A/B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978–88–548–1772–2
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: maggio 2008
Indice
13 Periferia e periferie
di Laura Fregolent
13 1. Premessa
15 2. I contenuti di questo libro
18 3. Uno sguardo su come siamo
21 4. Politiche per le periferie
34 Distanze e frontiere
di Domenico Patassini
45 Le periferie, articolazioni, differenziazioni, politiche
di Francesco Indovina
58 “Periferie e periferie”. I quartieri residenziali pubblici come risorsa per la riqualificazione
della città contemporanea
di Paola Di Biagi
62 Appunti sulla città che viene e sul concetto di periferia
di Enzo Scandurra
67 Periferie come banlieues? Un convegno riuscito evidenzia i limiti della disciplina.
Usi ed abusi del concetto di disagio sociale
di Adriano Varotti
67 1. Le ragioni, in parte non–intenzionali, degli importanti risultati conseguiti dal convegno
72 2. Il carattere indeterminato del concetto di disagio sociale e la scarsa validità delle
evidenze empiriche fornite
84 3. Saranno banlieues? È difficile decifrare il cambiamento prima del suo inizio
8
98 Partecipazione, animazione di comunità, ricostruzione dei legami sociali nelle periferie
urbane. L’esperienza della Cascina Roccafranca (pic Urban 2 Torino)
di Lucia Bianco
98 1. Il punto di vista
99 2. Parlare di riqualificazione urbana delle “periferie”
101 3. Un progetto partecipato
103 4. L’esperienza della Cascina Roccafranca
107 5. Cinque sfide da realizzare
112 Esercizi di memoria diffusa: alcune ricerche recenti sulla storia delle periferie
di Filippo De Pieri
112 1. Premessa
113 2. Roma, o dell’oralità
117 3. Milano, o delle occasioni di memoria
119 4. Torino, o della memoria del lavoro
122 5. Storie della città pubblica
123 6. Conclusioni
125 Periferie, povertà urbana, esclusione: il dibattito in Francia e Germania
di Agostino Petrillo
125 1. Introduzione
125 2. Francia
138 3. Germania
151 4. Conclusione
Casi studio
157 Banlieue Bologna
di Giuseppe Scandurra
157 1. Premessa
9
158
160
162
163
164
164
165
166
167
169
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
Lacerazioni metropolitane: il caso della Bolognina e di Bologna 2
Processi di ghettizzazione
La retorica della Partecipazione
La seconda strage della Stazione Centrale
Anime separate
Luna–park Bologna
La moltiplicazione dei Comitati
Il degrado
Periferizzazione sottile
Banlieue Bologna
173 Le periferie della conurbazione catanese
di Paolo La Greca, Francesco Martinico e Sara Occhipinti
173 1. Le periferie di Catania. Aspetti urbanistici di un problema di rilevanza sociale
178 2. Le periferie dell’arcipelago metropolitano
183 3. Le periferie a rischio a Catania: alcuni casi di studio
194 4. Le periferie a rischio: scenari della resistenza
214 Messina. Dal “degrado pianificato” delle periferie alla “periferizzazione” della città
di Michelangelo Savino, Guido Signorino (coordinatori), Elena De Capua, Alessio Cardaci,
Tiziana Currò e Sabrina Munaò
214 1. Premessa. Una città in declino
219 2. Multiformi periferie
229 3. Un degrado pianificato
241 4. “Periferizzazione” della città e marginalizzazione delle “periferie centrali”
273 La fabbrica delle periferie. Produzione collettiva della scarsità, disagio e conflitti latenti
a Milano
di Elena Granata e Arturo Lanzani
273 1. Premessa
10
274
286
294
301
2.
3.
4.
5.
Con il futuro alle spalle
Di quel capitalismo così poco sociale
Tre prospettive dalle quali interrogare il progetto e le politiche
Le modalità di cambiamento della periferia milanese
310 Le periferie del comune di Napoli
di Giovanni Laino
310 1. Premessa
311 2. Le periferie napoletane
319 3. Le politiche urbane a Napoli negli ultimi anni
322 4. Le politiche per le periferie
326 5. L’assessorato alle periferie
328 6. Conclusioni
334 Prato: dalla città fabbrica alla società multiculturale
di Massimo Bressan, David Fanfani e Massimiliano Radini
334 1. Introduzione
335 2. Dinamiche socio–economiche del distretto tessile
344 3. La divisione sociale dello spazio urbano a Prato: segregazione e disagio sociale
354 4. Il Macrolotto zero: pratiche e spazi multiculturali nella città densa
360 5. Scenari di conflitto o di coevoluzione sociale ed urbana? Alcune considerazioni sulle
politiche e sul planning
380 Periferie romane: città di uomini e di pietre
di Carlo Cellamare (coordinatore), Giovanni Attili, Sara Braschi, Giordana Castelli, Giovanni
Caudo, Alessia Ferretti, Massimo Ilardi, Carmela Mariano, Anna Maria Gianotti, Francesca
Rossi, Ilaria Scarso, Alice Sotgia e Giuseppe Scandurra
380 1. Premessa
381 2. “Luoghi” di “periferia”
389 3. Che cos’è oggi periferia?
11
391
399
404
410
4.
5.
6.
7.
Il fenomeno dell’immigrazione a Roma
Periferia: il fronte nella città
Politiche integrate per la riqualificazione delle periferie
Spaccati di “periferia”
440 Torino. Le molte periferie della città post–industriale
di Francesca Governa, Cristiana Rossignolo e Silvia Saccomani
440 1. Introduzione
442 2. Le periferie torinesi fra crescita industriale e deindustrializzazione
445 3. Elementi di degrado e di criticità: la configurazione spaziale della situazione
socio–economica e socio–culturale della popolazione torinese
447 4. Le periferie esterne
452 5. Le periferie dell’edilizia pubblica
458 6. Le periferie interstiziali: la trasformazione delle barriere operaie
460 7. Le periferie interne: i luoghi dell’immaginazione
463 8. Le politiche della città per le periferie
467 9. Conclusioni
478 Bibliografia generale
Periferia e periferie
di Laura Fregolent
«Every great city has one or more slums, where the working class is crowed together. True,
poverty often dwells in hidden alleys close to the palaces of the rich; but, in general, a separate territory has been assigned to it, where, removed from the sight of the happier classes,
it may struggle along as it can. These slums are pretty equally arranged in all the great towns
of England, the worst houses in the worst quarters of the towns; usually one- or two-storeyed
cottages in long rows, perhaps with cellars used as dwellings, almost always irregularly built.
[…] The streets are generally unpaved, rough, dirty, filled with vegetable and animals refuse,
without sewers or gutters […]. Moreover, ventilation is impeded by the bad, confused method
of building of the whole quarter, and since many human being here live crowded into a small
space, the atmosphere that prevails in these working-men’s quarters may readily be imagined» (F. Engels, The condition of the working class in England, 1845).
«Stamani, mia moglie, che lavora in una scuola, mi ha raccontato che è andata da lei un’alunna
con una lettera della madre, in cui si chiedeva di poter pagare la tassa di iscrizione in due rate,
in quanto la donna, disoccupata da tempo, non poteva permettersi di pagarla in un’unica soluzione: si tratta di 40 euro (dicasi quaranta)» (da Lettere&commenti, “la Repubblica”, 2 feb. 2008).
1. Premessa
L’idea di questo libro nasce durante il seminario dal titolo Periferie come banlieue?1 organizzato da
Dipartimento e Facoltà di Pianificazione dell’Università Iuav di Venezia, sulla scia dei fatti accaduti
nelle banlieue francesi alla fine del 2005.
A Clichy-sous-Bois il 27 ottobre di quell’anno tre adolescenti in fuga dalla polizia cercano riparo
all’interno del recinto di un trasformatore elettrico, due di essi, Zyed Benna di 17 anni e Bouna Traoré
di 15, moriranno inceneriti. Nella ricostruzione dei fatti da parte del sopravissuto, i tre giovani tornavano da un torneo di calcio quando incontrano una pattuglia della polizia: la reazione dei giovani è
la fuga ma non per sfuggire agli agenti bensì per arrivare a casa in tempo per l’iftar — il pasto alla
fine del giorno durante il ramadam —. La polizia li insegue fino al tragico epilogo, che fa esplodere
collera e indignazione nelle periferie parigine.
Così comincia una rivolta che vedrà coinvolte 200 città, distrutte 10.000 automobili con danni per
13
14
centinaia di milioni di Euro, 5.000 fermati, 600 arrestati, la dichiarazione dello stato d’emergenza2,
l’intervento di 11.000 poliziotti chiamati per riportare alla “normalità” le città.
Nel film L’embrasement3 che racconta la storia del giovane sopravissuto, i tre giovani maghrebini
scappavano dalla polizia che li inseguiva, all’apparenza senza una motivata ragione, se non quella
della perenne tensione esistente tra polizia e giovani immigrati o figli di immigrati.
I poliziotti sembrano volersi accanire contro i tre giovani rei di avere solo origini o natali non francesi: questo è quanto osserviamo attraverso gli occhi del giornalista belga protagonista del film/documentario che si reca a Parigi durante le esplosioni di violenza nelle banlieue e che tenta di ricostruire i
fatti legati alla morte dei due giovani. Il protagonista intervisterà amici e coetanei dei due giovani
morti, avvicinerà la poliziotta che vive nelle banlieue con la figlia, incattivita con il mondo al punto tale
da perdere la lucidità di giudizio nei confronti di poliziotti troppo “zelanti”, immigrati maltrattati, ed
adolescenti colpevoli di essere solo giovani e vivaci. La ricostruzione avviene anche attraverso le parole
dell’avvocato del giovane scampato alla morte — Muhttin Altun di 17 anni —, che il giornalista accompagna in un sopralluogo per la ricostruzione dell’accaduto e in ospedale dove il giovane è ricoverato e
dove ha subito un interrogatorio intimidatorio da parte della polizia.
L’embrasement restituisce un quadro dettagliato dei fatti che hanno portato ai disordini e descrive
in maniera nitida la periferia francese e la coincidenza tra spazio fisico e spazio sociale nei quali emarginazione, degrado, difficile integrazione, solitudine, incomprensione del “diverso” convivono.
Molti hanno scritto e tentato di rispondere all’interrogativo del perché la banlieue francese sia “esplosa”, facendo riferimento soprattutto alle mutate condizioni sociali, ai processi di polarizzazione sociale ed
etnica in atto, ad un processo di segregazione che coinvolge molti dei comuni della regione parigina
(Lagrange, 2006), agli interventi volti a contenere la spesa pubblica in materia di welfare: «Dopo l’elezione di Jacques Chirac alla presidenza, nel 2002, le periferie sono diventate le prime vittime dei tagli al
bilancio, realizzati in nome del sacrosanto patto di stabilità ratificato con l’Unione Europea. In tal modo,
i governi di destra hanno ridotto le sovvenzioni destinate alla ricostruzione dei complessi abitativi più
degradati, soppresso centinaia di migliaia di “impieghi giovani” e di “aiuto educatori”, diminuito il numero degli insegnanti e di altri funzionari scolastici, sforbiciato le sovvenzioni pubbliche, sacrificato la polizia locale alle forze di intervento speciale, ecc. Il “piano” annunciato l’8 novembre dal primo ministro
Dominique de Villepin si accontenta di ristabilire in minima parte le sovvenzioni soppresse dal suo predecessore, e ne approfitta per mettere in discussione la scolarità obbligatoria, fino a 16 anni, imposta dal
generale de Gaulle nel 1959»4.
La Francia si trova a fronteggiare un problema che non è solo circoscrivibile alle banlieue e risolvibile con interventi di riqualificazione delle situazioni più a rischio e dei casi di degrado più evidenti e
pericolosi, ma che è legato ad una crisi economica e lavorativo, che ha interessato i molti che le ban-
15
lieue abitano5. Al tempo stesso non va dimenticato che non si «possono interpretare le rivolte come
un’espressione meccanica del livello delle disuguaglianze e delle frustrazioni. Le sommosse evidenziano una mancanza di riconoscimento, l’esistenza di una società multiculturale che vive nella negazione di questa realtà, un deficit di partecipazione nel senso di inclusione istituzionale e politica delle
minoranze» (Lagrange, 2006, p. 162).
2. I contenuti di questo libro
Agli esperti e studiosi invitati al seminario era stato richiesto di redigere un report sulle periferie
di alcune città italiane e di dibatterne insieme ad alcuni discussant invitati6, cercando di rispondere,
in particolare, ad una domanda presente nel dibattito nazionale durante le rivolte parigine e cioè se
le periferie italiane rischiassero di “esplodere” come le banlieue francesi.
Alla domanda gli intervenuti al convegno risposero mettendo in evidenza le differenze profonde e
sostanziali tra i due paesi. Le banlieue francesi hanno un’origine precisa: espansioni delle città dormitorio costruite nella seconda metà del secolo scorso per risolvere inizialmente il problema abitativo di
una fascia consistente di popolazione francese, per poi accogliere progressivamente fasce di popolazione a basso reddito, con problemi di integrazione sociale e soprattutto flussi migratori provenienti
dal nord Africa, dovuti a processi migratori a loro volta conseguenza di un passato coloniale.
Periferie italiane e banlieue francesi sono diverse, ma siamo certi che le condizioni sociali presenti
all’interno dei due contesti non possano in futuro essere confrontabili?
Le condizioni e le problematiche di carattere socio-culturale in Francia si sono progressivamente
articolate, accentuate dalle politiche per le banlieue degli ultimi governi che hanno progressivamente alimentato la frattura tra città e periferia.
Nel caso italiano durante la costruzione delle periferie nelle maggiori città del paese, non si sono
registrati quei problemi di ghettizzazione evidenti invece nel caso francese, accompagnati da una forte
immigrazione straniera che invece il nostro paese ha vissuto in tempi di molto successivi, ma gli errori della pianificazione — frutto di scelte localizzative rispondenti a logiche più speculative che non di
qualità —, della progettazione degli spazi privati e pubblici, spesso esteticamente discutibili e poco
funzionali, della realizzazione di opere e servizi spesso progettati ma mai realizzati7, impongono una
riflessione sul problema, fatto di degrado accelerato in atto dei quartieri esistenti, di numero di immigrati sempre più consistente (da anni ormai l’Italia è diventata un paese di destinazione e non più di
transito verso altre destinazioni europee più accoglienti e ricche), di convivenze da ridefinire e riproporre, di polarizzazione sociale crescente, di crescenti disparità non soltanto tra italiani ed immigrati
16
ma anche tra cittadini italiani appartenenti a categorie deboli.
Parallelamente, la non elusione del problema sta anche nell’osservare criticamente le politiche di
welfare che vanno necessariamente ridefinite rispetto alla società reale, ai diritti dei singoli, alle questioni di cittadinanza e giustizia sociale, al fenomeno dell’immigrazione e alla sua problematizzazione
che troppo spesso viene visto soltanto in termini di sicurezza e di intervento poliziesco sulle quali
necessariamente politici e amministratori dovranno confrontarsi.
2.1 Articolazione dei contenuti
Il concetto di periferia nasconde in sé più significati che rimandano ad una collocazione nello spazio, lontana da un centro, e ad una dimensione sociale di luogo del degrado e dell’emarginazione.
Ma analizzare la città, in particolare la città contemporanea, rispetto ai concetti di centro e periferia è riduttivo e fuorviante: la città contemporanea è città “nuova”, spesso a bassa densità, dispersa e
sparpagliata, fruibile e percorribile solo con l’automobile. In essa centro e periferia si intersecano spesso in strutture territoriali policentriche all’interno delle quali si riproducono “centralità” tipicamente
urbane, servizi non banali, funzioni centrali in contesti morfologici quasi “periferici”. Questo fenomeno è presente su ampia scala: esso interessa in maniera evidente le grandi città americane ma non è
estraneo neppure al contesto italiano; si manifesta sia in ambiti territoriali caratterizzati dalla presenza di una struttura policentrica di centri medi e piccoli interconnessi e interrelati (come nel caso della
città diffusa veneta) sia all’interno di sistemi metropolitani costruitisi intorno ad un nucleo centrale
che svolge ruolo di magnete (come nel caso di Milano) sia assumendo la forma di “sistema diffusivo”
vale a dire luoghi di «transizione tra insediamenti maggiormente strutturati, localizzati lungo la cintura metropolitana o in parti più remote ma prossime ad importanti assi di penetrazione urbana»
(Catania, § 2.4) e che, con i dovuti distinguo, presentano una forma simile al suburbio. In tutti e tre
questi esempi di dispersione e frammentazione morfologica degli insediamenti è evidente lo sfumarsi dei concetti di centrale e periferico.
Pur essendo questo un tema rilevante nell’analisi e nella comprensione della città contemporanea, sui
processi di “periferizzazione” della città — senza per questo volerne qui indagare gli effetti da un punto
di vista sociale e culturale — esso però ci porta a fare alcune considerazioni che in parte esulano dal dibattito e dai contenuti del libro nel quale invece trova più spazio, sia nei contributi iniziali dei discussant intervenuti al convegno, che nei saggi relativi ai casi studio, la definizione di periferie come luogo deficitario di
“qualcosa” sia in termini di distanza o lontananza da “qualcos’altro” che di privazione e assenza.
Agli autori dei diversi casi studio — Bologna, Catania, Messina, Milano, Napoli, Prato, Roma e
Torino8 — era stato chiesto, prima per il seminario e successivamente per la stesura del rapporto fina-
17
le, di analizzare le periferie secondo alcuni concetti chiave quali: immigrati, edilizia pubblica, degrado
sociale ed economico, criminalità organizzata, errori della progettazione e politiche per le periferie; che
dovevano aiutare nella difficile comparazione tra casi studio così diversi.
Le sei chiavi di lettura non sono state tutte declinate all’interno dei diversi rapporti sulle città, la voce
“criminalità organizzata”, ad esempio, non è stata trattata; all’interno dei casi studio ritornano solo marginalmente alcune situazioni di pericolosità, di violenza, di illegalità ma nessuno ha affrontato direttamente il tema dal punto di vista della quantificazione del fenomeno nelle aree periferiche delle città. Le
periferie — nell’accezione contenuta in tutti i rapporti, e cioè di aree che mancano di centralità in quanto mancano di servizi, di cura degli spazi, di un’adeguata qualità del vivere — sono luoghi spesso violenti, nei quali è alto il senso di insicurezza, luoghi talvolta in mano alla criminalità organizzata, questo
non solo nel sud Italia vessato da gruppi camorristici o mafiosi, ma anche nel nord ricco e opulento.
Tutti gli autori si sono soffermati sull’origine e la storia delle periferie delle singole città, sulla loro evoluzione, soffermandosi sul cambiamento che il concetto di “periferia” ha subito nel corso del tempo: la
periferia non è genericamente ciò che è lontano dal centro (Torino, § 1) poiché è nel centro dove troviamo quartieri sempre più interessati da fenomeni di marginalità, esclusione, emarginazione e degrado
sociale. Questo è evidente nel caso di Prato, dove la «dimensione spaziale centro–periferia tende a sfumare e confondersi con altri temi e categorie interpretative non necessariamente riconducibili allo spazio ma ad altre coppie dialettiche, come transitorietà e stabilità, integrazione e isolamento, appartenenza e anomia, inclusione e esclusione, privazione e empowerment, qualità e degrado» (Prato, § 1) o a
Catania dove si individuano insediamenti caratterizzati da fenomeni di degrado e marginalità all’interno
della città consolidata, oppure, anche se in maniera diversa, a Roma dove «parlare della periferia romana significa parlare di Roma» (Roma, § 2.1).
La dimensione fisica è importante e contribuisce a cogliere la differenza con le banlieue francesi; i
luoghi degli scontri di fine 2005 (Clichy–sous–Bois, 28.300 abitanti circa) ma anche di fine 2007
(Villiers–Le–Bel, 26.200 abitanti circa) sono quartieri autonomi, composti da isolati di abitazioni ad
affitto regolamentato o case popolari, nei quali la separazione dal centro è netta, vi è una contrapposizione marcata tra centro storico e dirigenziale e periferia, mentre quella italiana è frantumata è una
periferia «che tende a nascondersi, che si confonde, che facciamo fatica ad identificare e che racconti più forti dal punto di vista simbolico rischiano di negare e offuscare» (Milano, § 4) a Milano così
come a Bologna che «non ha un grande centro ed una banlieue. La “malattia periferica” qui è sottile.
Spesso non ha a che fare con fattori temporali, puramente geografici, ma piuttosto psico–geografici.
Al punto che qui la banlieue e il centro sono invertiti: il centro storico è periferia» (Bologna, § 1.1).
Le periferie italiane dell’immediato secondo dopoguerra, sorte spesso ai margini della città ne sono
state progressivamente inglobate formando nuclei interni ormai parte del tessuto consolidato della
18
città stessa; questo è fenomeno accaduto al nord come al sud d’Italia anche se i tessuti edificati delle
singole città hanno, come ovvio, sviluppato caratteri diversi come accade, ad esempio, a Messina dove
nel tempo sono andate formandosi due distinte periferie a nord e sud della città con caratteri profondamente diversi e che continuano a mantenersi tali, ma nel tempo un crescente e sempre più diffuso
degrado ha favorito l’insorgere di una “periferia” anche nelle aree centrali della città quale esito di un
più generale processo di “periferizzazione” della città nel suo complesso (Messina, § 2.3). E questo processo appare sempre più diffuso nelle diverse città italiane, divenendo un ulteriore fattore di problematicità — in particolare nelle grandi aree metropolitane —, quando i fenomeni di crescita delle città
verso le prime e le seconde cinture urbane che si manifestano, da un punto di vista fisico, con l’allargamento e l’estensione dei caratteri della perifericità e da un punto di vista sociale con la «concentrazione di fasce sociali deboli, episodi di marginalità, carenza di servizi, dipendenza economica e culturale dal capoluogo» (Torino, § 4).
3. Uno sguardo su come siamo
Prima nel convegno, poi nella stesura del libro, si è a più riprese ribadita la diversità dei due contesti di partenza, italiano e francese, per alcuni aspetti inconfrontabili. Questo è stato al tempo stesso un punto di partenza ma anche un punto di arrivo al quale si è giunti dopo la disamina dei casi
studio e soprattutto delle problematicità da essi sottolineati.
D’altronde, quello che sembra emergere è soprattutto la fragile situazione che via via si sta rendendo sempre più manifesta all’interno del nostro paese. I giornali, gli speciali televisivi, i report giornalistici, sempre più frequentemente si occupano di un disagio crescente: le famiglie a basso reddito
sono in affanno, si arriva con difficoltà alla terza settimana del mese, si rinuncia non più solo al “superfluo” ma, qualche volta, anche ai beni primari. Insomma la nostra condizione sociale sta lentamente
peggiorando e non pare di scorgere misure di intervento capaci di invertire il fenomeno in tempi brevi.
Ma la di là dei toni allarmistici e un po’ retorici dei mass media, il Rapporto annuale dell’Istat invita seriamente ad un’analisi attenta della condizione economica delle famiglie ed i dati relativi alle famiglie italiane in condizioni di povertà sono abbastanza allarmanti e testimoniano di una situazione che
tende ad aggravarsi inesorabilmente. I risultati dell’indagine, inoltre, mettono in evidenza un profondo
divario esistente tra le condizioni economiche delle famiglie residenti al Nord e quelle residenti al Sud
del paese. La tabella riportata (tab. 1) restituisce in maniera sintetica quanto sta accadendo: il 14,7%
delle famiglie arriva con difficoltà a fine mese e ben il 12% non fa fronte alle spese mediche e una percentuale minore, del 5,8%, ma comunque significativa, ha rinunciato alla spesa di generi alimentari.
Fly UP