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Dall eta antica alla preistoria

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Dall eta antica alla preistoria
Kéramos
Provincia di Pesaro e Urbino
Assessorato Beni Storici, Artistici, Archeologici
Progetto Centoborghi
Kéramos
Ideazione
Paolo Sorcinelli
Progettazione e cura editoriale
Dino Zacchilli
Progetto grafico
Dante Piermattei
Fotografie
Adriano Gamberini,
Ufficio Stampa della Provincia di Pesaro e Urbino
Barbara Piermattei
Disegni
Francesca Serrallegri
Stampa
Grapho5 Litografia
Fano
La pubblicazione di questo libro è stata resa possibile anche grazie alla sensibilità
della ditta Edil Giraldi del geom. Vittorio Giraldi e C.
di Cerasa di San Costanzo
© 2008, Provincia di Pesaro e Urbino
ISBN 978-88-95665-06-1
Barbara Piermattei
Kéramos
La ceramica antica
nella provincia di Pesaro e Urbino
Provincia di Pesaro e Urbino
Sommario
7
Presentazione
9
Introduzione
15
Cenni sul popolamento nella provincia di Pesaro
e Urbino in età antica
29
La ceramica antica in provincia dal neolitico
all’età romana
48
La ceramica preistorica
56
La ceramica greca
66
La ceramica romana
66
70
76
80
84
88
94
Ceramica a vernice nera (o campana)
Ceramica detta “terra sigillata”
Ceramica a pareti sottili
Ceramica comune e terrecotte da fuoco
Anfore
Lucerne
Terrecotte da edilizia, tegole e antefisse
100
Breve guida all’arte e alla conoscenza
della ceramica
100
108
Materiali, lavorazione e produzione
La classificazione ceramica antica
126
La ceramica antica nei musei della provincia
128
Bibliografia
6/7
Presentazione
In questi anni la Provincia di Pesaro e Urbino
ha cercato con caparbietà di offrire una lettura
degli aspetti storici, artistici, archeologici del
suo territorio di provincia bella, coniugando
il rigore della trattazione scientifica con il
proposito di un’ampia divulgazione delle
proposte culturali di volta in volta affrontate.
Quasi sempre si è trattato di percorsi inediti,
desueti o poco appariscenti, sulle tracce di
borghi nascosti e torri smozzicate, di siti
perduti (come la roccaccia della Montecopiolo
medievale e dei mulini travolti dalle piene di
torrenti solitamente mansueti), di affreschi
e pitture murali devastati dal tempo.
Un’appassionata e emozionante scorribanda
che ha coinvolto l’esperienza, la competenza
e la passione civile di esperti, studiosi e
ricercatori.
Oggi, nel momento in cui si fanno più accorati
i richiami alla difesa del patrimonio culturale
nazionale alle prese con spinte sempre più
centripete, licenziamo un ulteriore tassello del
progetto avviato quasi dieci anni fa. Infatti,
dopo Sulle tracce del passato (2002), Bronzi
e marmi della Flaminia (2002), Itinerari di
archeologia (2005), Il segno e il mito nei mosaici
antichi della Provincia di Pesaro e Urbino (2007),
è Barbara Piermattei a portare in primo piano
la manualità, la creatività, i segni artistici
di oggetti ornamentali e più spesso di uso
quotidiano ottenuti dalla terra sapientemente
lavorata. E lo fa indagando le raccolte di
ceramiche e di terrecotte dei numerosi musei e
antiquari sparsi sul territorio: da Acqualagna a
Casteldelci, da Fano a Fossombrone a Macerata
Feltria, da Novilara a Cagli e Cantiano, da
Pennabilli a Pergola, da Pesaro a Piobbico, da
San Costanzo a San Lorenzo in Campo, da
Sant’Angelo in Vado a Urbania e Urbino.
Si tratta per lo più di oggetti funerari e di
vasellame; di scodelle e di lucerne; di vasi
e di contenitori per unguenti e per derrate
alimentari che il tempo ha reso preziosi
testimoni delle espressioni artistiche e delle
culture materiali di un’antichità che nell’analisi
della Piermattei si dipana dal neolitico
all’Impero Romano.
Pezzi di passato, fatti di terra e emersi dalla
terra grazie alla ricerca archeologica, che nella
loro rigorosa produzione territoriale (l’autrice
tralascia volutamente le collezioni e le raccolte
non autoctone) stanno a dimostrare una
vocazione destinata ad attraversare il medioevo
e a esprimere nel campo della ceramica le
eccellenze rinascimentali urbinati, durantine
e vadesi, quelle settecentesche della “fabrica”
Casali-Callegari e quelle contemporanee dei
laboratori di Baratti, Mengaroni e Bucci. Oltre
naturalmente alla ricca e diacronica produzione
dei vasai la cui operosità, fra il Metauro e il
Cesano, non è mai venuta meno tanto che
ancora oggi presenta una vivace attività
artigianale, ad esempio, a Fratterosa e Barchi.
Tutto questo a indicare una sorta di “filo
rosso” che dai reperti archeologici presi in
considerazione in questa agile e volutamente
didascalica rassegna, scorre fino a noi, fra
ceramisti raffinati e sconosciuti artigiani che
dalla terra antica, per millenni, hanno imparato
a manipolare forme, a perfezionare tecniche e a
suscitare emozioni.
Anche attraverso Kéramos.
Pesaro, 11 novembre 2008
8/9
Prof. Paolo Sorcinelli
Sen. Palmiro Ucchielli
Assessore ai beni storici,
artistici, archeologici
Presidente della Provincia
di Pesaro e Urbino
Introduzione
L’attività creativa dell’uomo, i suoi prodotti,
gli utensili, le tecniche, nonché i materiali e gli
oggetti concreti della vita delle società, assieme
al linguaggio, hanno da sempre caratterizzato
l’essere umano nel suo rapporto con l’ambiente
naturale e sono stati fondamentali per la sua
evoluzione.
Gli “oggetti” trasmettono una serie complessa
di informazioni non solo tecniche
ed economiche ma sono portatori di “segni”
che afferiscono all’arte, alla religione, al diritto,
alla struttura sociale del gruppo umano di cui
sono manifestazione.
La cultura materiale tende a gettare un
ponte verso l’immaginazione dell’uomo e
la sua creatività e a considerare proprie tre
componenti fondamentali: lo spazio, il tempo
e la socialità. Risulta quindi interessante
delineare un percorso di avvicinamento
antropologico alla “materialità” attraverso gli
oggetti del quotidiano, quali condensatori
di valori simbolici, d’uso, d’espressione, di
mercato, per ricomporre il quadro di civiltà
della nostra identità culturale e tradizionale.
I prodotti della cultura materiale hanno la
valenza di fissare specifiche emozioni che
tendono a definire precisi sentimenti
di appartenenza, di senso comune, e
studiarli significa comprendere i pensieri e i
comportamenti umani che sono alla base della
produzione, dell’uso e dello scarto di essi,
come parte di un sistema di saperi complesso e
affascinante che ci lega alle nostre radici.
Da questi presupposti è nata l’idea del volume,
con un’attenzione esclusiva, in questo caso,
verso la ceramica, verso la “cultura dei cocci”,
semplici e non sempre artistici, ma densi di
“umanità”. Il manufatto per eccellenza, l’uomo
che plasma la terra con le sue mani, sapienza
antica quanto mai moderna.
La ceramica, la sua invenzione e il suo utilizzo
sono il frutto della manipolazione dell’argilla e
del suo cambiamento di stato mediante l’uso
del fuoco; i suoi fattori determinanti sono stati
molteplici e complessi, intervenendo in più
parti del mondo con tempi e modalità diverse,
caratterizzando da sempre la straordinaria
capacità demiurgica dell’uomo attraverso l’uso
della ragione e la padronanza della tecnica.
Fondamentale per gli archeologi è l’importanza
della sua presenza in determinate situazioni di
scavo perché è l’unico materiale frequente fra i
reperti, databile, funzionalmente significativo,
spesso vettore di messaggi in grado
di contribuire alla ricostruzione della storia
locale e a fondati confronti epocali fra distinte
aree geografiche.
Essa è inoltre espressione di una collettività
sociale ed economica e salda in modo
indissolubile l’attualità all’antico in un’unica
matrice: l’essere umano.
Lo studio della cultura materiale affascina da
sempre antropologi, storici, archeologi, storici
dell’arte ma anche il profano, il neofita e chi si
avvicina “in punta di piedi” a visitare un museo,
a leggere testi di questo genere.
È dunque il museo, legato al territorio, l’anello
di congiunzione tra storia e mondo, il vettore
e il custode delle “emozioni dei segni”. La
relazione tra museo e territorio non può
prescindere dalla trasformazione del concetto
di “bene culturale” in quello di “patrimonio”.
Esso diventa espressione valoriale dell’unicità e
singolarità dei materiali rappresentati, non solo
per il merito artistico ma perché anche reperti
umili e di scarso pregio diventano significativi
per il loro fascino narrativo, per la loro capacità
di raccontare cioè la storia, le storie, di una
10/11
comunità. Per questo, nella selezione dei
materiali proposti nella presente pubblicazione
si è esclusivamente privilegiato il patrimonio
“locale”, espressione storica del territorio
di Pesaro e Urbino, scegliendo volutamente
di tralasciare, magari per altro lavoro, quei
materiali frutto di collezionismo, di encomiabile
donazione ad alcuni musei della provincia ma
non direttamente o sicuramente riferibili agli
insediamenti umani della realtà archeologica
provinciale.
L’idea di dar vita ad uno strumento divulgativo
sulle ceramiche dell’età antica nella Provincia di
Pesaro e Urbino, pur limitata a testimonianze
che vanno dalla preistoria all’epoca romana,
è nata dalla constatazione dei numerosissimi
frammenti presenti nei musei e negli antiquaria
del territorio e, per contro, dalla mancanza di
una pubblicazione che li comprendesse nelle
loro caratteristiche e che permettesse ai non
addetti ai lavori di avere in mano una sorta
di guida di agile e facile lettura da cui trarre
indicazioni di carattere generale, didattico e
didascalico a proposito delle loro peculiarità.
Sulla ceramica e sulla sua tecnologia si è
già scritto moltissimo, in opere di carattere
scientifico, settoriale, monografico e a livello
locale, ma non c’è nessun lavoro che passi in
rassegna i ritrovamenti più singolari conservati
ed esposti nei musei della costa e dell’entroterra
della provincia di Pesaro e Urbino.
Questo volume vede l’edizione definitiva
dopo una paziente ricognizione dei luoghi e
degli spazi espositivi (quelli visitabili e non
chiusi per lavori di ristrutturazione), con la
raccolta delle informazioni sui reperti e la
verifica bibliografica, ma soprattutto a seguito
di una campagna fotografica resa possibile
dall’Amministrazione Provinciale e dalla
disponibilità dei musei, degli operatori e della
Soprintendenza per i Beni Archeologici
delle Marche. La scelta dei materiali da
presentare ha privilegiato il criterio della
fruibilità, selezionando cioè quegli oggetti
che è possibile andare a visitare direttamente
e personalmente, approfittando di itinerari
ameni, ricchi di bellezze naturali e culturali.
Compito di questa ricerca è quindi anche
la promozione del territorio, del suo
patrimonio artistico e archeologico, in modo
particolare partendo da un approccio “povero”,
“materiale”, legato più alla “funzione” che all’
“estetica” ma non per questo secondario o
meno affascinante.
Barbara Piermattei
Cenni
sul popolamento
nella provincia
di Pesaro
e Urbino
in età antica
1
1. Presso la gola del Furlo si può
ancora oggi visitare il luogo
di riparo dei primi uomini che
frequentavano l’Appennino
marchigiano. Si tratta di un
temporaneo rifugio sotto roccia
utilizzato in età preistorica.
1.
Tutto il territorio marchigiano era già
frequentato dall’uomo più di diecimila anni
fa. Significativa è la frequentazione nel
Paleolitico, la vera e propria età della pietra,
caratterizzata dalla caccia e dalla raccolta di
quanto la natura offriva. La presenza di grotte
e il recupero di diversi materiali litici, come selci
scheggiate, grattatoi, punte di freccia in pietra
ci testimoniano l’esistenza di gruppi umani che
sicuramente si trovavano a passare per i territori
della regione, anche se per questo periodo non
vi sono sepolture o abitazioni eccezion fatta per
il sito di Ponte di Pietra ad Arcevia.
Dopo l’ultima grande glaciazione che ha
caratterizzato il nostro pianeta, circa 10000
anni fa, che gli studiosi indicano come
“glaciazione di Wurm”, cambia il clima, diventa
più favorevole all’uomo. Nei nostri territori dalla
caratteristica morfologia nel contesto geografico
di vallate “a pettine” solcate da numerosi corsi
d’acqua, con abbondanza di selve e luoghi
naturalmente difesi, la presenza dell’uomo
viene facilitata. E’, però, con il Neolitico, cioè
l’età della pietra nuova, in cui l’uomo pratica
allevamento e agricoltura, che non richiede
più una vita nomade ma stabile, che la
provincia di Pesaro e Urbino comincia ad essere
maggiormente abitata. Ciò succede a partire
dal sesto millennio, per le province marchigiane,
quando il nuovo tipo di economia e la
creazione di villaggi stabili permettono appunto
la sedentarietà dei gruppi umani. I primi nuclei
abitativi, fatti di capanne e ripari, dapprima si
localizzano in insediamenti più interni, lungo
le vallate dei fiumi, sulle prime alture poi, via
via, in vista del mare. Testimonianze d’esempio
per questo periodo sono l’insediamento aperto
di Santa Marina di Focara, a Pesaro, e quelli
di S. Biagio nei pressi di Fano. In questa fase
pre e protostorica compare la produzione della
ceramica: l’argilla è impastata, essiccata e cotta
ancora con tecniche rozze, realizzando, come
prodotti, ceramiche ad impasto grossolano di
forme piuttosto semplici, decorate con motivi a
impressione, pizzicati, con ditate o fasci
di linee.
Con la metà del quarto millennio,
nella fase chiamata eneolitica,
l’insediamento umano comincia
a modificarsi e compaiono le
aree funerarie. La presenza dei
“cimiteri” è fondamentale per
la nostra conoscenza storica in
quanto con il defunto veniva
sepolto anche il corredo
funerario, vale a dire tutti
quegli oggetti che nel credo
popolare avrebbero potuto
servire al morto nell’aldilà
e lo identificavano con
il ruolo sociale acquisito
in vita. Alcuni di questi
oggetti, realizzati con
materiali che non si sono
distrutti con il tempo,
per l’appunto si sono
conservati e ne abbiamo
testimonianza grazie agli
scavi archeologici. Di ciò
provengono testimonianze
da Fano, Ghilardino di
Fossombrone, Cantiano,
solo per citarne alcune.
Le necropoli presentavano
sepolture di vario tipo, a
fossa, a grotticella, ad incinerazione, ma
tutte avevano l’usanza di contenere oltre
ai resti umani corredi funerari più o meno
ricchi. La maggior parte degli abitati rimaneva
16/17
2. A Cantiano è conservato un
frammento di fondo di vaso a
corpo ovoide e piede a tacco.
La decorazione incisa è
costituita da fasci di linee
oblique che si intersecano.
Proviene da San Rocco ed è
datato ad età neolitica.
3. Frammenti di ceramica ad
impasto conservati nel Museo
Civico di Fano. Si possono notare
le tecniche decorative differenti. I
reperti appartengono alla media
età del bronzo.
2.
4. Reperti fittili della civiltà
appenninica. Secoli XV-XIV a.C..
I frammenti si trovano al Museo
Vernarecci di Fossombrone.
3.
4.
5. Le immagini fanno riferimento
a due olle realizzate con la tecnica
della ceramica ad impasto. La
prima, di piccole dimensioni,
restaurata, si può vedere al Museo
di Acqualagna; fa parte di una
serie di vasi risalenti al VI secolo
a.C.. La seconda con manici, nella
realtà più grande della prima, è
conservata al Museo di Pergola.
Si tratta di una produzione tipica
della civiltà picena e dell’età del
ferro, a partire dal V secolo a.C..
5.
concentrata nelle aree interne, collinari e
pedemontane ma già si ebbero i primi contatti
tra civiltà sia all’interno dell’area dell’Italia
centrale che dal mare Adriatico, autentico
crocevia di navigazione commerciale tra la
Grecia, la Magna Grecia, la costa dalmata e i
grandi empori del nord, Adria e Spina.
Dalla fine del terzo millennio agli ultimi
secoli del primo, l’età del bronzo porta a
modificazioni di ordine economico, sociale e
tecnologico. Compare la suddivisione in classi
dell’organizzazione sociale. I rapporti di natura
commerciale e di scambio si intensificano e
alcuni degli abitati si spostano in posizione
costiera. Le zone interne del territorio
provinciale diventano mete nei movimenti
di transumanza. Con la fase finale dell’età
del Bronzo, tra XI e IX secolo a.C., la cultura
18/19
materiale delle zone delle Marche settentrionali
è influenzata dal protovillanoviano, una
cultura che anticipa quella di Villanova, antico
insediamento nei pressi dell’odierna Bologna.
Con l’inizio dell’età del ferro la regione in
ambito medio adriatico viene interessata
dalla diffusione della civiltà picena ma anche
dalla penetrazione, da nord, delle popolazioni
celtiche, provenienti dall’Italia settentrionale
e da oltralpe. Moltissimi sono i rinvenimenti
in contesti sepolcrali e imponente è la
quantità di reperti di ogni tipo. La provincia di
Pesaro e Urbino si trova ad essere interessata
da popolazioni di civiltà appenninica,
protovillanoviana, celtica e influenzata da
Piceni, Greci ed Etruschi. Nel VII secolo a.C.
si sviluppa nel territorio pesarese la civiltà di
Novilara. Vi era ormai una fitta rete di rapporti
7.
commerciali e intensi erano anche gli scambi
marittimi. Ai prodotti d’importazione erano
associati quelli di imitazione e di produzione
locale. Il VI secolo a.C. segna nella protostoria
marchigiana il periodo di massima densità
insediativa, con la consuetudine dei contatti
con Greci ed Etruschi. La società ormai si è
completamente strutturata, differenziandosi
e stratificandosi, anche se vi sono ancora
numerose aree territoriali in condizione
d’arretratezza culturale e civile. Fino al III secolo
a.C., quando al contesto indigeno si sovrappone
la presenza romana, vi è una notevole
evoluzione della cultura materiale grazie anche
all’importante porto di Ancona e dell’emporio
di Numana che collegavano il territorio con
l’estero. I Greci erano soliti risalire, utilizzando
la navigazione di cabotaggio, a vista della
costa, portando i loro carichi di merci fino ai
mercati del nord Italia, e di lì per essere inviati
6.
6. La vetrina che si trova presso
il Museo Civico Brancaleoni
di Piobbico, nella sezione
archeologica, contiene del
vasellame e armi in ferro risalenti
al IV-III secolo a.C. dalla necropoli
gallica del territorio di Piobbico
(da Il circuito dei 5 Musei, p. 22).
7. Vasetto monoansato della
prima età del ferro, proveniente
dall’abitato di San Costanzo,
data al VIII-VII secolo a.C., è
conservato al Museo Civico di
Fano. Da notare la forma askoide
e la decorazione a meandri e
piccoli cerchietti.
8. Rappresentazione di una scala
del tempo dal Paleolitico Inferiore
all’epoca romana. È stata
redatta per la guida del Museo
Archeologico e della via Flaminia
“Giulio Cesare Corsi”.
8.
10.
9.
in Europa. Il tratto medioadriatico occidentale
era fitto di scali e molti erano gli abitati ad essi
connessi.
I Romani stabilirono i primi contatti con la
costa orientale della penisola italica tra gli
ultimi decenni del IV e i primi del III secolo
a.C.; infatti, volevano ridurre la presenza celtica
nell’Italia centrale, che consideravano per loro
una grave minaccia e quindi si spinsero oltre
l’Appennino, sui territori piceni, che erano stati
stabilmente occupati dai Galli Boi e soprattutto
dai Galli Sènoni; per contrastarli i Romani si
allearono con i Piceni nel 299 a.C., pochi anni
più tardi, con la battaglia di Sentinum del 295
a.C., vi è la vittoria decisiva sugli avversari nel
territorio marchigiano. Nel 269 a.C. i Piceni
si ribellarono alla dominazione romana, ma
furono sottomessi nel 268 a.C.; i Romani
quindi proseguirono verso nord completando
la conquista fino a Rimini, l’antica colonia di
Ariminum. Nel 232 a.C. vi è la distribuzione
9. La stele in arenaria,
ritrovata a San Nicola
in Valmanente presso
Novilara conservata al
Museo Oliveriano di Pesaro,
rappresenta una scena di
combattimento navale che
attesta il popolamento del
territorio e la frequentazione
con popoli esterni provenienti
dal mare. Risale al VII-VI
secolo a.C..
10. Alcuni esempi dei vasi
che potevano raggiungere
i territori marchigiani
attraverso le rotte
commerciali greche. La
vetrina esposta al Museo
11.
Oliveriano mostra, a titolo
esemplificativo, una serie
di vasi attici, di ceramica
greca, che non appartiene
al territorio, ma fa parte di
collezione. Sicuramente dai
numerosissimi frammenti
ritrovati negli scavi effettuati
in provincia, anche nelle
nostre zone dovevano essere
presenti diversi esemplari.
11. La carta illustra
le principali rotte di
navigazione dei Greci lungo
il litorale adriatico fino ai
grandi empori padani (da
Archeologia nelle Marche,
p. 57).
12.
22/23
di terreni agricoli ai veterani delle guerre di
conquista di Roma e la capillare occupazione
anche del territorio della nostra provincia.
L’apertura della via Flaminia nel 220
a.C. varrà a suggellare
l’avvenuta e definitiva
romanizzazione.
La presenza di abitati di
modeste dimensioni che
servivano come tappe
per gli spostamenti lungo
i più importanti assi viari, di
villaggi, mercati e realtà rurali,
amministrate da genti locali e da
romani, si sviluppa sempre di più,
nonostante la seconda guerra punica
e lo scontro sul Metauro con i Cartaginesi
di Asdrubale, poi sconfitti. Nascono centri
romanizzati, destinati ad essere di riferimento
politico e amministrativo per l’impero, è
dedotta la colonia di Pisaurum nel 184 a.C.
e via via si delinea la geografia del territorio
che raggiungerà la fioritura del benessere
economico e sociale e della crescita urbana e
urbanistica tra la metà del I secolo a.C. e il I
d.C. per opera di Cesare Ottaviano Augusto a
cui si deve l’importante impegno economico
nella ristrutturazione e sviluppo dei centri della
Flaminia e del suo contesto territoriale. Il primo
periodo dell’impero romano, tra I e II secolo
d.C. rappresenta una fase di consolidamento e
sviluppo politico, economico, sociale ed artistico
per le zone legate al territorio marchigiano in
12. Ricostruzione del percorso della via
Flaminia nel tratto Pontericcioli-Gabicce.
La strada consolare inaugurata nel 220
a.C. da Gaio Flaminio congiungeva Roma
a Rimini. (da Sulle tracce del passato, p.
120).
13.
13. Coppa su piede, ricomposta e
restaurata, in ceramica grigia, conservata
al Museo di San Lorenzo in Campo.
14.
genere. Numerose, infatti, sono le testimonianze
archeologiche che possediamo. La progressiva
decadenza che poi porterà Roma alla crisi del
III secolo interesserà con alterne vicende un
po’ tutta la provincia di Pesaro e Urbino, che
si vede attaccata dalle genti barbare degli
Jutungi e Alemanni (270), e più tardi dai Goti di
Alarico, ma sarà il V secolo con le invasioni e le
scorrerie, con la successiva guerra greco-gotica
(VI secolo) a sancire definitivamente il collasso
economico dei centri della zona dell’Italia
centrale e di tutto il medio adriatico.
14. La foto d’insieme mostra un
esempio di vasellame fine da mensa
in vernice nera d’età repubblicana
romana. Questi oggetti provengono
tutti dallo scavo archeologico
effettuato alla villa rustica romana
di Colombara a Pole di Acqualagna
e si trovano esposti nel locale
Museo. Da notare anche le ciotole
contenenti ancora i resti carbonizzati
di semi, cereali e legumi.
(da Archeologia nelle Marche, p. 96).
15. Le Marche con i maggiori centri
abitati in epoca romana.
15.
24/25
16. Il tratto di strada Flaminia della
Provincia di Pesaro con i centri di
riferimento riportati dalla Tabula
Peutingeriana, antica carta utilizzata
da viaggiatori e mercanti medioevali.
16.
La ceramica
in provincia
dal Neolitico
all’Età Romana
2
17. (Alle pagine precedenti)
Le anfore romane del Museo
Vernarecci di Fossombrone.
18. Il grande dolio di epoca
romana conservato nel portico
esterno del Museo Civico di
Fano.
18.
Dalle brevi notizie sull’insediamento umano
nel nostro territorio e per l’importanza e la
diffusione della ceramica negli usi quotidiani è
chiaro che la presenza di questo materiale sia
una costante dei ritrovamenti di superficie e di
scavo che sono stati compiuti nelle zone della
provincia.
Kéramos in greco significa argilla per stoviglie.
Proprio l’argilla è un tipo di materiale, assai
diffuso in natura, lungo le rive dei fiumi
o in cave, molto plastico, che si presta ad
essere lavorato a mano e garantisce, dopo
l’essiccatura o cottura, qualità come solidità
e resistenza, durevolezza nel tempo e facile
reimpiego. L’argilla rappresentava la materia
prima ideale per creare vasellame, recipienti
e oggetti indispensabili per conservare in
modo particolare cibi e bevande ma non solo.
Monumenti, strade, templi, necropoli, buche
di scarico, distruzioni, crolli, immondezzai
ci hanno conservato gli oggetti della vita
quotidiana, quelli che comunemente chiamiamo
“cocci”. È indispensabile considerare che la
ceramica fu ed è per molti aspetti un fatto
tecnologico, economico e sociale di rilevanza
secondaria ma la consistenza quantitativa dei
frammenti riferibili alla gran parte degli scavi
archeologici, la natura quasi incorruttibile
dell’argilla cotta la rende un’entità culturale
accessibile e manipolabile, con immediati
risultati conoscitivi.
Il mondo antico ci ha lasciato molti esempi di
contenitori di coccio; pensiamo ai crogioli, ai
colini, ai vasi con pareti forate, a muffole in
ceramica, alle arnie per le api, alle vaporiere,
ai pesi da rete, ai vasi per l’allevamento dei
ghiri, ma anche alle trappole per topi, ai
giocattoli, agli oggetti rituali, agli strumenti
musicali, agli orologi ad acqua, alle offerte
votive e all’uso funerario degli oggetti fittili.
Tutto ciò senza pensare a vasi da trasporto per
derrate alimentari, al vasellame da mensa e alla
produzione laterizia per edilizia, a cui siamo più
abituati.
Tutti conoscono le anfore che erano usate per
il trasporto di derrate alimentari come olio,
vino, salse, ad esempio il garum, salsa di pesce
usata come condimento, solo occasionalmente
contenevano olive, frutta, semi, legumi. Furono
utilizzate, anche se raramente, per trasportare
oli pregiati ed unguenti. Questi contenitori
in genere terminano con un puntale che era
funzionale alla movimentazione del recipiente
(stivaggio, impilamento, svuotamento ma anche
collocazione nel terreno). Le loro dimensioni
sono di una certa entità, anche se non mancano
esemplari più piccoli, magari per vini di un
certo pregio o che andavano consumati in breve
tempo.
Come contenitori da trasporto esistevano anche
i dolia, enormi recipienti, sicuramente utilizzati
per i cereali ma, dato il ritrovamento di alcuni
vasi con rivestimento di pece interno, anche per
il trasporto di vino. La capacità di un dolio era
di circa 3000 litri, mentre un’anfora conteneva
dai 20 ai 30 litri.
Altra testimonianza sempre presente nella casa
romana, dove le donne producevano i tessuti
necessari al consumo della famiglia, era il telaio
che utilizzava la terracotta per gli elementi che
lo costituivano come pesi e fusaiole, di varia
foggia e variamente decorati, sempre uguali
a se stessi. I pesi, lisci o decorati con motivi
piuttosto semplici, venivano utilizzati anche per
altre funzioni. Le fusaiole invece di solito hanno
forma schiacciata, a rotella, con il foro centrale
per poterle inserire nel fuso.
Anche ad esse sono attribuite varie ipotesi di
utilizzazione. Un esempio di telaio ricostruito si
30/31
19.
19. Dolium frammentario,
ricostituito, d’epoca romana
presso il Museo Civico di
Macerata Feltria.
20. Modello di telaio verticale
ricostruito presso il Museo
Antiquario di Acqualagna.
Aveva una struttura verticale
in legno, costituita da due
montanti congiunti con una
barra trasversale fissata
alle estremità superiori,
alla quale erano applicati i
fili dell’ordito; per impedire
che si aggrovigliassero e
per mantenerli ben tesi
erano appesi ad essi dei
pesi in terracotta con un
foro passante nella parte
superiore. Fra i fili dell’ordito
veniva poi fatta scorrere la
navetta con il filo della trama.
Prima della tessitura c’era la
filatura che si praticava con
la conocchia e il fuso. Il fuso
era un’asticciola di legno in
cui generalmente era infilato
un elemento in terracotta,
la fusaiola appunto che
con il suo peso facilitava
il movimento di rotazione
del filo e lo faceva ritorcere
adeguatamente.
20.
22.
21. Gli elementi fittili che
componevano il telaio sono
rappresentati dai pesi, dai
rocchetti e dalle fuseruole.
Questo tipo di reperti,
conservati in quasi tutti i musei
della provincia, sono ricorrenti
e diffusi negli scavi, si datano
dall’età preistorica a quella
medievale. Per queste immagini
sono stati scelti dei pesi
conservati al Museo di Cantiano
e al Museo Civico di Fano.
32/33
22. Parte della collezione
di lucerne presenti al
Museo Civico di Fano. In
particolare esemplari di
epoca repubblicana.
23. Elementi fittili per
colonna al Museo di
Cantiano.
trova al Museo di Acqualagna.
Gli strumenti di illuminazione più
comunemente usati nel
mondo antico erano
21.
le lucerne assieme a
fiaccole, torce e lanterne.
Nella provincia di Pesaro
e Urbino è presente un
cospicuo numero di reperti
attribuibile a quest’oggetto.
Nel museo di Fano è conservato il nucleo
più consistente di lucerne ellenistiche e
repubblicane della regione Marche.
Lo sviluppo dell’architettura porta a variare
i prodotti da costruzione e a produrre in
ceramica antefisse, gocciolatoi, fregi ma anche
tegole, elementi per colonne, canalette,
tubuli, ghiere degli archi, fistulae, vale
a dire tubi per il trasporto delle acque,
mattonelle pavimentali, mattoni circolari
per le suspensurae degli ambienti ad
ipocausto, cioè colonnette di sostegno che
permettevano la realizzazione
di pavimenti rialzati
che creavano
un’intercapedine
attraverso la quale
era fatta passare aria
riscaldata da appositi
23.
forni.
Gli oggetti
brevemente presentati fino ad ora sono quelli
più comuni, diffusi e rappresentati nell’antichità
ma sono anche quelli
che difficilmente è
possibile datare se
24.
non in riferimento al
contesto di scavo o,
a “forme” particolari,
tipiche di una certa
epoca piuttosto che di
un’altra, come accade
ad esempio per le
25.
lucerne ma non solo.
Per quanto riguarda
il vasellame, che serviva
per essere portato in tavola e
come oggetto “d’arredo”, ci si può sbizzarrire
per forme e nomi, fogge e decorazioni.
Possediamo brocche, ampolle, bottiglie, ciotole,
piatti, coppe su piede, bicchieri, crateri, pentole,
padelle, coppe, coperchi, scatole, boccette per
cosmetici e profumi, solo per citarne alcuni.
In quest’ambito oltre alla tipologia si conoscono
anche caratteristiche proprie di determinati
periodi o atèliers.
I “servizi buoni” dell’antichità erano motivo
d’orgoglio e prestigio per chi li possedeva
in vita ma anche in morte (spesso
il vasellame raffinato
proviene
da
27.
contesti
funerari). È
logica conseguenza che
26.
24. Frammento di
pavimentazione d’età
romana. Museo di
Cantiano. Le esagonette
sono completamente
in terracotta come
in questo caso ma
possono anche
presentare al centro
un incasso per
l’alloggiamento di una
tessera di mosaico.
Frammenti più o meno
estesi di varie tipologie
di pavimentazione in
terracotta sono visibili
in gran parte dei musei
della provincia.
25. Lacerto di pavimento
a “spina di pesce”.
Acqualagna, Museo
Antiquarium.
26. Resti di
pavimentazione romana
con elementi a pelta e
tessera di mosaico. Fano,
Museo Civico.
27. Ricostruzione di
canaletta costituita da
elementi fittili. Museo
Civico di Macerata Feltria.
anche per noi, oggi, questi ultimi rappresentano
la testimonianza più affascinante da vedere.
Nella provincia di Pesaro e Urbino per ora
non è stato ritrovato vasellame integro
di prestigio, come invece è possibile
trovare nei grandi musei archeologici
nazionali, anche se tutte le tipologie
e classi ceramiche sono rappresentate,
magari in frammenti, e di discreta
qualità tecnica.
Molta ceramica era prodotta
localmente. Nella regione Marche
luoghi di produzione importante furono
Numana ed Aesis, mentre nella Provincia
di Pesaro e Urbino abbiamo diverse
notizie di ritrovamenti appartenuti ad
antiche fornaci d’età romana. Ad esempio,
a Caminate di Fano, resti archeologici
pertinenti ad un impianto produttivo di età
romana imperiale sono stati messi in luce nel
2005, nel corso di lavori all’interno della cava di
inerti. Gli scavi hanno permesso di individuare
sinora le camere di cottura di almeno tre
fornaci, destinate verosimilmente alla
produzione di vasi e laterizi. Sono
stati recuperati altri vani interrati,
probabilmente di servizio alle
attività, alcune vasche accessorie
ed un tratto rettilineo di strada con
fondo in ghiaia lungo oltre sessanta
metri. Si conoscono strutture murarie
probabilmente riferibili ad un grande
laboratorio legato alla lavorazione dei laterizi,
34/35
28.
28. Brocca e piatto
restaurati in
ceramica comune.
Pergola, Museo
dei bronzi dorati. I
materiali ceramici
esposti al museo
costituiscono il
corredo di alcune
tombe romane ad
inumazione venute
in luce durante
lavori in località
Ramaglie.
29. Due brocche
con orlo trilobato
conservate nel
Museo Civico di
Fano. Servivano a
contenere e mescere
liquidi. La prima è in
30.
ceramica comune,
di epoca romana.
La seconda è un’
oinochóe trilobata
attica a vernice
nera. È un esempio
di un certo pregio
di contenitore per
liquidi. Proviene
dalla sepoltura
rinvenuta nel 1877
a Monte Giove, data
al V secolo a.C..
29.
30. Piatto in
ceramica comune,
Museo dei bronzi
dorati di Pergola.
in località Campanara a Pesaro. Anche nella
villa di Colombara ad Acqualagna sono risultate
dallo scavo una vasca di decantazione, rivestita
in cocciopesto, e due fornaci per la cottura di
laterizi. A Piobbico in centro storico durante
i lavori di restauro di una casa di proprietà
Carli sono venuti in luce resti di fornaci, d’età
tardo medioevale, ma molto interessanti, che
presentano due camere di cottura distinta ed
un complesso sistema per il convogliamento
dell’aria calda, mentre una seconda fornace si
trova verso l’angolo est all’interno della stessa
abitazione. Cantiano possiede nel suo museo
dei materiali anch’essi riferibili alla
presenza di fornaci
da Contessa
e queste
erano
32.
36/37
31.
31. Ricostruzione di un
modello di fornace romana.
32. La patera a vernice nera,
conservata nel Museo di
Acqualagna, riporta inciso il
nome MVSICVS. Il frammento
proviene dagli scavi della
villa rustica di Colombara ed
è attribuibile alla tarda età
repubblicana.
35.
33. Fondo di ceramica comune con
incisa la scritta HILARVS. Acqualagna,
Museo Antiquario.
33.
34.
34. Bollo in planta pedis sul fondo
interno di quella che era una coppetta.
I frammenti recuperati nello scavo della
splendida domus romana con mosaici
di Tifernum Mataurense sono stati
ricostituiti. L’iscrizione riporta la firma
CORNELI. Si data tra il 10 e il 50 d.C..
Museo di Sant’Angelo in Vado.
35. Sull’orlo di questa anfora conservata
al Museo Vernarecci di Fossombrone
si nota il bollo di fabbricazione. Sulle
anfore, i vasi da trasporto dell’antichità,
è possibile anche rinvenire iscrizioni
che descrivono il contenuto o il numero
riferito al carico o alla quantità di
prodotto.
36.
36. La terracotta che era utilizzata
per l’edilizia portava i suoi marchi di
fabbrica. In questo esempio notiamo
l’iscrizione C. APVS su di un frammento
di tegolone conservato nel Museo
di Macerata Feltria, antica Pitinum
Pisaurense.
37.
presenti nei territori attorno a Sant’Angelo
in Vado, a Macerata Feltria e San Lorenzo in
Campo. Questi dati dimostrano la ricchezza sul
territorio di fabbriche ceramiche soprattutto
destinate alla produzione di materiali per
edilizia ma sicuramente anche di vasellame
magari comune e anfore o dolia. Le fabbriche
specializzate nella produzione di ceramica
fine da mensa, i servizi più prestigiosi delle
tavole antiche, come già accennato, erano
famose e “firmavano” i loro prodotti che
diventavano riconoscibili per le caratteristiche
proprie di forme ceramiche, dell’uso di vernici
o decorazioni, ma anche perché riportavano
in bolli, cartigli, planta pedis i nomi dei
fabbricanti o dei ceramisti che li avevano
prodotti, rendendoli prestigiosi. Alcune firme
di artigianato artistico di periodo romano sono
ad esempio quella di Ateius, vasaio aretino, che
esportò e produsse in Europa e in Asia Minore,
ma anche quella di Sentius o di Serenus di
Puteoli. In ambito locale è di un certo interesse
la presenza di frammenti attribuibili certamente
all’officina di Marcus Perennius Bargathes,
che, per la raffinatezza di esecuzione, è da
considerarsi fra le migliori dell’epoca.
Un aspetto che va poi doverosamente rilevato
è quello religioso per cui molti reperti ceramici
esposti nei musei, pur testimoniando oggetti
d’uso quotidiano, provengono, come già
detto, più che da contesti domestici da quelli
funerari. I vasi facevano parte, assieme ad altro
materiale, del corredo funebre con cui il morto
veniva sepolto. La religione pagana prevedeva
che gli oggetti di accompagnamento della
sepoltura potessero avere una funzione e un
utilizzo nell’aldilà e anzi agevolare il passaggio
ponendo l’anima nelle condizioni di non sentirsi
in bisogno di nulla. Ecco quindi che le sepolture
femminili presentano corredi riferibili alla sfera
muliebre, all’estetica, alle mansioni della casa.
Le tombe maschili invece erano accompagnate
da reperti legati all’ambito del lavoro e della
guerra. I bambini venivano sepolti con ninnoli
e giocattoli. Non infrequente era l’utilizzo
di oggetti ceramici miniaturistici. Le tombe
rappresentavano anche la posizione sociale e
le facoltà economiche di chi veniva sepolto in
base alla raffinatezza dei prodotti che gli erano
associati. Vi erano delle ceramiche tipiche del
contesto funerario che, nella mente dei vivi,
dovevano servire per far libagioni e offerte
agli dei. Si fa riferimento in particolar modo
alle lékythos, slanciate brocchette con ansa e
beccuccio, alle patere, larghe ciotole dai bassi
bordi rialzati, all’urceus, brocca per versare
liquidi, e agli incensieri, alzate che contenevano
l’incenso utilizzato frequentemente nei riti sacri.
Nelle necropoli la ceramica trovava impiego,
magari riutilizzata, anche per la costruzione
stessa della tomba. Basti pensare ai tegoloni per
le tombe alla cappuccina, alle anfore, ai tubuli
38.
37. (Alle pagine precedenti) Corredo funebre
composto da un’olla cineraria con coperchio,
una lucerna a volute con la raffigurazione
della leggenda di Curzio che si getta a
cavallo nella voragine apertasi nel foro, una
coppetta e un laghinos, bottiglia dal collo
lungo e sottile. Gli oggetti provengono da una
sepoltura rinvenuta a Monte Montanaro nel
comune di Montefelcino, si datano al I secolo
d.C. e sono conservati al Museo Vernarecci di
Fossombrone.
39.
38. Piatto e lucerna a canale rappresentavano
il corredo funebre della tomba C del recinto
sepolcrale di Calmazzo. Il piccolo cimitero
della famiglia Cissonia (II-III secolo d.C.)
comprende un’area di 136 mq ed era recintato.
Si può visitare presso la località Calmazzo a
pochi chilometri da Fossombrone. Il corredo
invece si trova al Museo Vernarecci di
Fossombrone.
39. All’interno del Museo Civico di Fano sono
conservati tre tegoloni fittili di cui uno con
iscrizione. Erano utilizzati per la deposizione
dei defunti nelle tombe cosiddette “alla
cappuccina”, con altre tegole sistemate a
doppio spiovente.
40/41
40. Incensiere restaurato
a Macerata Feltria. L’orlo
è decorato a ditate e vi
sono nel corpo del vaso
delle decorazioni incise
a rotellature, a spina di
pesce, che si sviluppa
a spirale. Questo
oggetto era utilizzato
nei riti religiosi come
contenitore di incenso.
Data al II secolo d.C..
40.
41. Esempio di sepoltura
in anfora fittile. Le anfore
dopo l’uso che le era
proprio erano riutilizzate
sia in edilizia (spesso
erano triturate per
ottenere il cocciopesto)
sia in ambito funerario.
Esse, infatti, fungevano
da sepolcro, in particolar
modo per deposizioni
infantili. La foto
mostra un esempio
di ritrovamento di
sepoltura ad inumazione
in anfora scavata presso
la necropoli romana
di Fanum Fortunae,
rinvenuta in via Roma
(da P. Quiri, La necropoli
di via Fanella, in Fano
Romana, p. 455).
41.
per le libagioni che i vivi versavano ai defunti.
Un’ altra caratteristica legata alla religiosità
antica è quella dei santuari, luoghi sacri in
cui ci si recava a pregare e ad invocare la
protezione e l’aiuto degli dei, lasciando in
voto offerte relative alle richieste per cui si
pregava e per ringraziare dei favori che si
erano ottenuti. Molto importante per questo
tipo di riferimento è la presenza nel territorio
pesarese del lucus, un bosco consacrato alle
divinità, collocato parte sulla sommità, parte
sulle pendici nordorientali del colle della salute,
tra Santa Veneranda e San Pietro in Calibano
(oggi Villa Fastiggi), nei pressi della chiesetta
di San Gaetano. Dall’area proverrebbero oltre
150 terrecotte votive, tra cui numerose teste
e mezze teste isolate e velate, bambini in
fasce, parti anatomiche, animali domestici,
zampe d’animale e pesi
da telaio. Nel tempo i
materiali votivi sacri che
andavano accumulandosi
venivano raccolti in
depositi, stipi sacre e
fosse, per lasciare posto
ai nuovi. Il deposito a
cui attribuire i reperti, oggi al
Museo Oliveriano di Pesaro,
è riferibile per le somiglianze
con altri ritrovamenti dell’Italia
44.
centrale al III-II secolo a.C..
42/43
42.
43.
46.
47.
45.
42. Le immagini fanno
riferimento alla vetrina
riservata al Lucus Pisaurensis
all’interno del Museo
Oliveriano di Pesaro.
Presso i romani, il lucus
rappresentava un bosco
consacrato alle divinità a cui
si offrivano sacrifici e doni
per favorire e ringraziare del
loro intervento. L’esistenza
di questo luogo, presso
Pesaro, fu accertata già nel
corso del 1700 dall’insigne
studioso Annibale degli
Abbati Olivieri. Dalla zona,
oltre che iscrizioni e bronzetti,
provengono numerosi
reperti fittili composti da
teste, mezzeteste, statuette,
parti anatomiche, animali
e membra animali come
bovini e zampe, pesi da
telaio. Quasi tutti gli
esemplari sono eseguiti a
stampo, alcuni di fattura più
raffinata altri più sommari. Il
periodo di frequentazione di
questo luogo sacro legato a
divinità salutari con valenza
terapeutica è attestato tra il
III secolo a.C. fino alla prima
età imperiale.
Rinvenimenti fittili dal Lucus
Pisaurensis, particolari:
43. riproduzione di parti
anatomiche per cui si
invocava la guarigione o si
ringraziava perché avvenuta,
44. animali da allevamento e
lavoro, 45. ex voto di bambino
in fasce, 46. ex voto di teste
maschili e femminili. 47.
rappresentazione di divinità
in trono.
Ex voto sono pure presenti nei musei di Fano,
di Fossombrone, di Acqualagna, di San Lorenzo
in Campo.
Nell’ambito dei Musei della provincia di Pesaro
e Urbino, in ciascuno di essi, è possibile vedere
e seguire l’evoluzione della produzione di
terrecotte da quelle più antiche, preistoriche,
di cui ci rimangono in realtà molti frammenti,
che sono però affascinanti per la genuinità
della lavorazione, ottenuta a mani nude e
con strumenti molto semplici, via via fino
agli esemplari appartenenti con certezza di
datazione alla fase imperiale romana, raffinati
ed eleganti, raccolti assieme al vasellame per
tutti i giorni, dalle forme identiche ai vari
oggetti che anche oggi troviamo nelle nostre
cucine e più in generale nelle nostre case.
I materiali fittili presentati in questa
pubblicazione provengono tutti dal territorio
provinciale. La ceramica di età preistorica
appartiene ai ritrovamenti archeologici
delle zone attinenti a Macerata Feltria,
Cantiano, Sant’Angelo in Vado, Acqualagna,
Fossombrone, Pergola, San Costanzo, Fano e
Pesaro, in particolare quei reperti provenienti
dagli scavi relativi alla civiltà di Novilara. La
ceramica greca, attica, è presente a Fano,
Fossombrone e in piccoli frammenti nei territori
dell’entroterra. Frammenti riferibili a Pesaro e a
Sant’Angelo in Lizzola sono conservati al Museo
Archeologico Nazionale di Ancona. La maggior
44/45
parte delle testimonianze
conservate e visibili
appartengono, come
già riportato, alla civiltà
romana ed in particolare
al territorio dei centri
più conosciuti della
romanità provinciale,
situati per gran parte
lungo la via Flaminia:
Pisaurum (Pesaro), Fanum Fortunae
(Fano), Forum Sempronii (San Martino del
Piano di Fossombrone), Pitinum Mergens
(Acqualagna), Ad Calem (Cagli), Castrum
Luceolis (presso Cantiano). Altri centri sono
rappresentati da Urvinum (Urbino), Tifernum
Mataurense (Sant’Angelo in Vado), Pitinum
Pisaurense (Macerata Feltria); infine si
devono aggiungere i ritrovamenti sporadici
riferiti a località nei pressi di Urbania,
Piobbico ma anche per la vallata del Cesano,
San Lorenzo in Campo e Pergola.
48.
50.
49.
48. Una testina fittile a ceramica ad
impasto al Museo di Acqualagna.
49. Testine fittili femminili, ex voto.
Museo Archeologico di San Lorenzo
in Campo. III-II secolo a.C..
50. Ex voto fittili frammentari
conservati al Museo Vernarecci di
Fossombrone. Si tratta di offerenti
e devoti. Provengono da una stipe
sacra, un deposito di oggetti di
carattere votivo, venuta in luce
negli ultimi decenni dell’Ottocento
in seguito ad una piena del torrente
Tarugo, presso Isola di Fano. La
frequentazione del luogo sacro
è attestata dal V secolo a.C. fino
all’arrivo dei Romani.
La ceramica
preistorica
2
/1
La ceramica preistorica
Come già detto la lavorazione della terracotta
compare con l’età del Neolitico. La ceramica,
cosiddetta ad impasto, è modellata sotto forma
di olle a corpo ovoide, vasi globulari a collo
cilindrico, decorati ad impressione, con forme
semplici e con tipi di una classe più depurata in
qualche caso figulina. Dal IV millennio troviamo
vasi con decorazione pizzicata, ditata, unghiata
e a fasci di linee;
forme ovoidi su piede
a tacco e scodelle
troncoconiche. Al
Neolitico recente
appartengono
olle ad impasto
grossolano, scodelle
troncoconiche,
olle ovoidi, a collo
svasato figulino, vasi
a tulipano e ciotole carenate.
Nell’Eneolitico la
ceramica presenta una
classe ad impasto
grossolano con riporto
o applicazione di
argilla sulle pareti.
Vi è una produzione
più raffinata con superfici
48/49
51. (Alle pagine precedenti)
Serie di frammenti di anse
dalle caratteristiche forme a
corna di lumaca, a manubrio,
a cilindro, ad ascia, a nastro
forato, caratteristiche della
civiltà appenninica. Questo
tipo di reperti si trova in
diversi Musei della provincia
di Pesaro e Urbino. In
questo caso l’immagine si
riferisce al Museo Vernarecci
di Fossombrone, sezione
archeologica.
52.
53.
55.
54.
52. Gruppo di reperti
fittili recanti decorazione
impressa a crudo di
periodo Neolitico. Fano,
Museo Civico.
53. Frammento di ansa,
ceramica ad impasto con
decorazione incisa, Fano,
Museo Civico.
54. Olla, ceramica ad
impasto, senza coperchio.
Museo Antiquario di
Acqualagna.
55. Frammento di ciotola
monoansata a ceramica
d’impasto conservata
nella sala
archeologica del
Museo di Palazzo Cassi
a San Costanzo. Il
frammento, assieme
agli altri conservati
nella sala, proviene
dall’abitato protostorico
e dal sepolcreto piceno a
Contrada del Rio di San
Costanzo.
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