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Dall eta antica alla preistoria
Kéramos Provincia di Pesaro e Urbino Assessorato Beni Storici, Artistici, Archeologici Progetto Centoborghi Kéramos Ideazione Paolo Sorcinelli Progettazione e cura editoriale Dino Zacchilli Progetto grafico Dante Piermattei Fotografie Adriano Gamberini, Ufficio Stampa della Provincia di Pesaro e Urbino Barbara Piermattei Disegni Francesca Serrallegri Stampa Grapho5 Litografia Fano La pubblicazione di questo libro è stata resa possibile anche grazie alla sensibilità della ditta Edil Giraldi del geom. Vittorio Giraldi e C. di Cerasa di San Costanzo © 2008, Provincia di Pesaro e Urbino ISBN 978-88-95665-06-1 Barbara Piermattei Kéramos La ceramica antica nella provincia di Pesaro e Urbino Provincia di Pesaro e Urbino Sommario 7 Presentazione 9 Introduzione 15 Cenni sul popolamento nella provincia di Pesaro e Urbino in età antica 29 La ceramica antica in provincia dal neolitico all’età romana 48 La ceramica preistorica 56 La ceramica greca 66 La ceramica romana 66 70 76 80 84 88 94 Ceramica a vernice nera (o campana) Ceramica detta “terra sigillata” Ceramica a pareti sottili Ceramica comune e terrecotte da fuoco Anfore Lucerne Terrecotte da edilizia, tegole e antefisse 100 Breve guida all’arte e alla conoscenza della ceramica 100 108 Materiali, lavorazione e produzione La classificazione ceramica antica 126 La ceramica antica nei musei della provincia 128 Bibliografia 6/7 Presentazione In questi anni la Provincia di Pesaro e Urbino ha cercato con caparbietà di offrire una lettura degli aspetti storici, artistici, archeologici del suo territorio di provincia bella, coniugando il rigore della trattazione scientifica con il proposito di un’ampia divulgazione delle proposte culturali di volta in volta affrontate. Quasi sempre si è trattato di percorsi inediti, desueti o poco appariscenti, sulle tracce di borghi nascosti e torri smozzicate, di siti perduti (come la roccaccia della Montecopiolo medievale e dei mulini travolti dalle piene di torrenti solitamente mansueti), di affreschi e pitture murali devastati dal tempo. Un’appassionata e emozionante scorribanda che ha coinvolto l’esperienza, la competenza e la passione civile di esperti, studiosi e ricercatori. Oggi, nel momento in cui si fanno più accorati i richiami alla difesa del patrimonio culturale nazionale alle prese con spinte sempre più centripete, licenziamo un ulteriore tassello del progetto avviato quasi dieci anni fa. Infatti, dopo Sulle tracce del passato (2002), Bronzi e marmi della Flaminia (2002), Itinerari di archeologia (2005), Il segno e il mito nei mosaici antichi della Provincia di Pesaro e Urbino (2007), è Barbara Piermattei a portare in primo piano la manualità, la creatività, i segni artistici di oggetti ornamentali e più spesso di uso quotidiano ottenuti dalla terra sapientemente lavorata. E lo fa indagando le raccolte di ceramiche e di terrecotte dei numerosi musei e antiquari sparsi sul territorio: da Acqualagna a Casteldelci, da Fano a Fossombrone a Macerata Feltria, da Novilara a Cagli e Cantiano, da Pennabilli a Pergola, da Pesaro a Piobbico, da San Costanzo a San Lorenzo in Campo, da Sant’Angelo in Vado a Urbania e Urbino. Si tratta per lo più di oggetti funerari e di vasellame; di scodelle e di lucerne; di vasi e di contenitori per unguenti e per derrate alimentari che il tempo ha reso preziosi testimoni delle espressioni artistiche e delle culture materiali di un’antichità che nell’analisi della Piermattei si dipana dal neolitico all’Impero Romano. Pezzi di passato, fatti di terra e emersi dalla terra grazie alla ricerca archeologica, che nella loro rigorosa produzione territoriale (l’autrice tralascia volutamente le collezioni e le raccolte non autoctone) stanno a dimostrare una vocazione destinata ad attraversare il medioevo e a esprimere nel campo della ceramica le eccellenze rinascimentali urbinati, durantine e vadesi, quelle settecentesche della “fabrica” Casali-Callegari e quelle contemporanee dei laboratori di Baratti, Mengaroni e Bucci. Oltre naturalmente alla ricca e diacronica produzione dei vasai la cui operosità, fra il Metauro e il Cesano, non è mai venuta meno tanto che ancora oggi presenta una vivace attività artigianale, ad esempio, a Fratterosa e Barchi. Tutto questo a indicare una sorta di “filo rosso” che dai reperti archeologici presi in considerazione in questa agile e volutamente didascalica rassegna, scorre fino a noi, fra ceramisti raffinati e sconosciuti artigiani che dalla terra antica, per millenni, hanno imparato a manipolare forme, a perfezionare tecniche e a suscitare emozioni. Anche attraverso Kéramos. Pesaro, 11 novembre 2008 8/9 Prof. Paolo Sorcinelli Sen. Palmiro Ucchielli Assessore ai beni storici, artistici, archeologici Presidente della Provincia di Pesaro e Urbino Introduzione L’attività creativa dell’uomo, i suoi prodotti, gli utensili, le tecniche, nonché i materiali e gli oggetti concreti della vita delle società, assieme al linguaggio, hanno da sempre caratterizzato l’essere umano nel suo rapporto con l’ambiente naturale e sono stati fondamentali per la sua evoluzione. Gli “oggetti” trasmettono una serie complessa di informazioni non solo tecniche ed economiche ma sono portatori di “segni” che afferiscono all’arte, alla religione, al diritto, alla struttura sociale del gruppo umano di cui sono manifestazione. La cultura materiale tende a gettare un ponte verso l’immaginazione dell’uomo e la sua creatività e a considerare proprie tre componenti fondamentali: lo spazio, il tempo e la socialità. Risulta quindi interessante delineare un percorso di avvicinamento antropologico alla “materialità” attraverso gli oggetti del quotidiano, quali condensatori di valori simbolici, d’uso, d’espressione, di mercato, per ricomporre il quadro di civiltà della nostra identità culturale e tradizionale. I prodotti della cultura materiale hanno la valenza di fissare specifiche emozioni che tendono a definire precisi sentimenti di appartenenza, di senso comune, e studiarli significa comprendere i pensieri e i comportamenti umani che sono alla base della produzione, dell’uso e dello scarto di essi, come parte di un sistema di saperi complesso e affascinante che ci lega alle nostre radici. Da questi presupposti è nata l’idea del volume, con un’attenzione esclusiva, in questo caso, verso la ceramica, verso la “cultura dei cocci”, semplici e non sempre artistici, ma densi di “umanità”. Il manufatto per eccellenza, l’uomo che plasma la terra con le sue mani, sapienza antica quanto mai moderna. La ceramica, la sua invenzione e il suo utilizzo sono il frutto della manipolazione dell’argilla e del suo cambiamento di stato mediante l’uso del fuoco; i suoi fattori determinanti sono stati molteplici e complessi, intervenendo in più parti del mondo con tempi e modalità diverse, caratterizzando da sempre la straordinaria capacità demiurgica dell’uomo attraverso l’uso della ragione e la padronanza della tecnica. Fondamentale per gli archeologi è l’importanza della sua presenza in determinate situazioni di scavo perché è l’unico materiale frequente fra i reperti, databile, funzionalmente significativo, spesso vettore di messaggi in grado di contribuire alla ricostruzione della storia locale e a fondati confronti epocali fra distinte aree geografiche. Essa è inoltre espressione di una collettività sociale ed economica e salda in modo indissolubile l’attualità all’antico in un’unica matrice: l’essere umano. Lo studio della cultura materiale affascina da sempre antropologi, storici, archeologi, storici dell’arte ma anche il profano, il neofita e chi si avvicina “in punta di piedi” a visitare un museo, a leggere testi di questo genere. È dunque il museo, legato al territorio, l’anello di congiunzione tra storia e mondo, il vettore e il custode delle “emozioni dei segni”. La relazione tra museo e territorio non può prescindere dalla trasformazione del concetto di “bene culturale” in quello di “patrimonio”. Esso diventa espressione valoriale dell’unicità e singolarità dei materiali rappresentati, non solo per il merito artistico ma perché anche reperti umili e di scarso pregio diventano significativi per il loro fascino narrativo, per la loro capacità di raccontare cioè la storia, le storie, di una 10/11 comunità. Per questo, nella selezione dei materiali proposti nella presente pubblicazione si è esclusivamente privilegiato il patrimonio “locale”, espressione storica del territorio di Pesaro e Urbino, scegliendo volutamente di tralasciare, magari per altro lavoro, quei materiali frutto di collezionismo, di encomiabile donazione ad alcuni musei della provincia ma non direttamente o sicuramente riferibili agli insediamenti umani della realtà archeologica provinciale. L’idea di dar vita ad uno strumento divulgativo sulle ceramiche dell’età antica nella Provincia di Pesaro e Urbino, pur limitata a testimonianze che vanno dalla preistoria all’epoca romana, è nata dalla constatazione dei numerosissimi frammenti presenti nei musei e negli antiquaria del territorio e, per contro, dalla mancanza di una pubblicazione che li comprendesse nelle loro caratteristiche e che permettesse ai non addetti ai lavori di avere in mano una sorta di guida di agile e facile lettura da cui trarre indicazioni di carattere generale, didattico e didascalico a proposito delle loro peculiarità. Sulla ceramica e sulla sua tecnologia si è già scritto moltissimo, in opere di carattere scientifico, settoriale, monografico e a livello locale, ma non c’è nessun lavoro che passi in rassegna i ritrovamenti più singolari conservati ed esposti nei musei della costa e dell’entroterra della provincia di Pesaro e Urbino. Questo volume vede l’edizione definitiva dopo una paziente ricognizione dei luoghi e degli spazi espositivi (quelli visitabili e non chiusi per lavori di ristrutturazione), con la raccolta delle informazioni sui reperti e la verifica bibliografica, ma soprattutto a seguito di una campagna fotografica resa possibile dall’Amministrazione Provinciale e dalla disponibilità dei musei, degli operatori e della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche. La scelta dei materiali da presentare ha privilegiato il criterio della fruibilità, selezionando cioè quegli oggetti che è possibile andare a visitare direttamente e personalmente, approfittando di itinerari ameni, ricchi di bellezze naturali e culturali. Compito di questa ricerca è quindi anche la promozione del territorio, del suo patrimonio artistico e archeologico, in modo particolare partendo da un approccio “povero”, “materiale”, legato più alla “funzione” che all’ “estetica” ma non per questo secondario o meno affascinante. Barbara Piermattei Cenni sul popolamento nella provincia di Pesaro e Urbino in età antica 1 1. Presso la gola del Furlo si può ancora oggi visitare il luogo di riparo dei primi uomini che frequentavano l’Appennino marchigiano. Si tratta di un temporaneo rifugio sotto roccia utilizzato in età preistorica. 1. Tutto il territorio marchigiano era già frequentato dall’uomo più di diecimila anni fa. Significativa è la frequentazione nel Paleolitico, la vera e propria età della pietra, caratterizzata dalla caccia e dalla raccolta di quanto la natura offriva. La presenza di grotte e il recupero di diversi materiali litici, come selci scheggiate, grattatoi, punte di freccia in pietra ci testimoniano l’esistenza di gruppi umani che sicuramente si trovavano a passare per i territori della regione, anche se per questo periodo non vi sono sepolture o abitazioni eccezion fatta per il sito di Ponte di Pietra ad Arcevia. Dopo l’ultima grande glaciazione che ha caratterizzato il nostro pianeta, circa 10000 anni fa, che gli studiosi indicano come “glaciazione di Wurm”, cambia il clima, diventa più favorevole all’uomo. Nei nostri territori dalla caratteristica morfologia nel contesto geografico di vallate “a pettine” solcate da numerosi corsi d’acqua, con abbondanza di selve e luoghi naturalmente difesi, la presenza dell’uomo viene facilitata. E’, però, con il Neolitico, cioè l’età della pietra nuova, in cui l’uomo pratica allevamento e agricoltura, che non richiede più una vita nomade ma stabile, che la provincia di Pesaro e Urbino comincia ad essere maggiormente abitata. Ciò succede a partire dal sesto millennio, per le province marchigiane, quando il nuovo tipo di economia e la creazione di villaggi stabili permettono appunto la sedentarietà dei gruppi umani. I primi nuclei abitativi, fatti di capanne e ripari, dapprima si localizzano in insediamenti più interni, lungo le vallate dei fiumi, sulle prime alture poi, via via, in vista del mare. Testimonianze d’esempio per questo periodo sono l’insediamento aperto di Santa Marina di Focara, a Pesaro, e quelli di S. Biagio nei pressi di Fano. In questa fase pre e protostorica compare la produzione della ceramica: l’argilla è impastata, essiccata e cotta ancora con tecniche rozze, realizzando, come prodotti, ceramiche ad impasto grossolano di forme piuttosto semplici, decorate con motivi a impressione, pizzicati, con ditate o fasci di linee. Con la metà del quarto millennio, nella fase chiamata eneolitica, l’insediamento umano comincia a modificarsi e compaiono le aree funerarie. La presenza dei “cimiteri” è fondamentale per la nostra conoscenza storica in quanto con il defunto veniva sepolto anche il corredo funerario, vale a dire tutti quegli oggetti che nel credo popolare avrebbero potuto servire al morto nell’aldilà e lo identificavano con il ruolo sociale acquisito in vita. Alcuni di questi oggetti, realizzati con materiali che non si sono distrutti con il tempo, per l’appunto si sono conservati e ne abbiamo testimonianza grazie agli scavi archeologici. Di ciò provengono testimonianze da Fano, Ghilardino di Fossombrone, Cantiano, solo per citarne alcune. Le necropoli presentavano sepolture di vario tipo, a fossa, a grotticella, ad incinerazione, ma tutte avevano l’usanza di contenere oltre ai resti umani corredi funerari più o meno ricchi. La maggior parte degli abitati rimaneva 16/17 2. A Cantiano è conservato un frammento di fondo di vaso a corpo ovoide e piede a tacco. La decorazione incisa è costituita da fasci di linee oblique che si intersecano. Proviene da San Rocco ed è datato ad età neolitica. 3. Frammenti di ceramica ad impasto conservati nel Museo Civico di Fano. Si possono notare le tecniche decorative differenti. I reperti appartengono alla media età del bronzo. 2. 4. Reperti fittili della civiltà appenninica. Secoli XV-XIV a.C.. I frammenti si trovano al Museo Vernarecci di Fossombrone. 3. 4. 5. Le immagini fanno riferimento a due olle realizzate con la tecnica della ceramica ad impasto. La prima, di piccole dimensioni, restaurata, si può vedere al Museo di Acqualagna; fa parte di una serie di vasi risalenti al VI secolo a.C.. La seconda con manici, nella realtà più grande della prima, è conservata al Museo di Pergola. Si tratta di una produzione tipica della civiltà picena e dell’età del ferro, a partire dal V secolo a.C.. 5. concentrata nelle aree interne, collinari e pedemontane ma già si ebbero i primi contatti tra civiltà sia all’interno dell’area dell’Italia centrale che dal mare Adriatico, autentico crocevia di navigazione commerciale tra la Grecia, la Magna Grecia, la costa dalmata e i grandi empori del nord, Adria e Spina. Dalla fine del terzo millennio agli ultimi secoli del primo, l’età del bronzo porta a modificazioni di ordine economico, sociale e tecnologico. Compare la suddivisione in classi dell’organizzazione sociale. I rapporti di natura commerciale e di scambio si intensificano e alcuni degli abitati si spostano in posizione costiera. Le zone interne del territorio provinciale diventano mete nei movimenti di transumanza. Con la fase finale dell’età del Bronzo, tra XI e IX secolo a.C., la cultura 18/19 materiale delle zone delle Marche settentrionali è influenzata dal protovillanoviano, una cultura che anticipa quella di Villanova, antico insediamento nei pressi dell’odierna Bologna. Con l’inizio dell’età del ferro la regione in ambito medio adriatico viene interessata dalla diffusione della civiltà picena ma anche dalla penetrazione, da nord, delle popolazioni celtiche, provenienti dall’Italia settentrionale e da oltralpe. Moltissimi sono i rinvenimenti in contesti sepolcrali e imponente è la quantità di reperti di ogni tipo. La provincia di Pesaro e Urbino si trova ad essere interessata da popolazioni di civiltà appenninica, protovillanoviana, celtica e influenzata da Piceni, Greci ed Etruschi. Nel VII secolo a.C. si sviluppa nel territorio pesarese la civiltà di Novilara. Vi era ormai una fitta rete di rapporti 7. commerciali e intensi erano anche gli scambi marittimi. Ai prodotti d’importazione erano associati quelli di imitazione e di produzione locale. Il VI secolo a.C. segna nella protostoria marchigiana il periodo di massima densità insediativa, con la consuetudine dei contatti con Greci ed Etruschi. La società ormai si è completamente strutturata, differenziandosi e stratificandosi, anche se vi sono ancora numerose aree territoriali in condizione d’arretratezza culturale e civile. Fino al III secolo a.C., quando al contesto indigeno si sovrappone la presenza romana, vi è una notevole evoluzione della cultura materiale grazie anche all’importante porto di Ancona e dell’emporio di Numana che collegavano il territorio con l’estero. I Greci erano soliti risalire, utilizzando la navigazione di cabotaggio, a vista della costa, portando i loro carichi di merci fino ai mercati del nord Italia, e di lì per essere inviati 6. 6. La vetrina che si trova presso il Museo Civico Brancaleoni di Piobbico, nella sezione archeologica, contiene del vasellame e armi in ferro risalenti al IV-III secolo a.C. dalla necropoli gallica del territorio di Piobbico (da Il circuito dei 5 Musei, p. 22). 7. Vasetto monoansato della prima età del ferro, proveniente dall’abitato di San Costanzo, data al VIII-VII secolo a.C., è conservato al Museo Civico di Fano. Da notare la forma askoide e la decorazione a meandri e piccoli cerchietti. 8. Rappresentazione di una scala del tempo dal Paleolitico Inferiore all’epoca romana. È stata redatta per la guida del Museo Archeologico e della via Flaminia “Giulio Cesare Corsi”. 8. 10. 9. in Europa. Il tratto medioadriatico occidentale era fitto di scali e molti erano gli abitati ad essi connessi. I Romani stabilirono i primi contatti con la costa orientale della penisola italica tra gli ultimi decenni del IV e i primi del III secolo a.C.; infatti, volevano ridurre la presenza celtica nell’Italia centrale, che consideravano per loro una grave minaccia e quindi si spinsero oltre l’Appennino, sui territori piceni, che erano stati stabilmente occupati dai Galli Boi e soprattutto dai Galli Sènoni; per contrastarli i Romani si allearono con i Piceni nel 299 a.C., pochi anni più tardi, con la battaglia di Sentinum del 295 a.C., vi è la vittoria decisiva sugli avversari nel territorio marchigiano. Nel 269 a.C. i Piceni si ribellarono alla dominazione romana, ma furono sottomessi nel 268 a.C.; i Romani quindi proseguirono verso nord completando la conquista fino a Rimini, l’antica colonia di Ariminum. Nel 232 a.C. vi è la distribuzione 9. La stele in arenaria, ritrovata a San Nicola in Valmanente presso Novilara conservata al Museo Oliveriano di Pesaro, rappresenta una scena di combattimento navale che attesta il popolamento del territorio e la frequentazione con popoli esterni provenienti dal mare. Risale al VII-VI secolo a.C.. 10. Alcuni esempi dei vasi che potevano raggiungere i territori marchigiani attraverso le rotte commerciali greche. La vetrina esposta al Museo 11. Oliveriano mostra, a titolo esemplificativo, una serie di vasi attici, di ceramica greca, che non appartiene al territorio, ma fa parte di collezione. Sicuramente dai numerosissimi frammenti ritrovati negli scavi effettuati in provincia, anche nelle nostre zone dovevano essere presenti diversi esemplari. 11. La carta illustra le principali rotte di navigazione dei Greci lungo il litorale adriatico fino ai grandi empori padani (da Archeologia nelle Marche, p. 57). 12. 22/23 di terreni agricoli ai veterani delle guerre di conquista di Roma e la capillare occupazione anche del territorio della nostra provincia. L’apertura della via Flaminia nel 220 a.C. varrà a suggellare l’avvenuta e definitiva romanizzazione. La presenza di abitati di modeste dimensioni che servivano come tappe per gli spostamenti lungo i più importanti assi viari, di villaggi, mercati e realtà rurali, amministrate da genti locali e da romani, si sviluppa sempre di più, nonostante la seconda guerra punica e lo scontro sul Metauro con i Cartaginesi di Asdrubale, poi sconfitti. Nascono centri romanizzati, destinati ad essere di riferimento politico e amministrativo per l’impero, è dedotta la colonia di Pisaurum nel 184 a.C. e via via si delinea la geografia del territorio che raggiungerà la fioritura del benessere economico e sociale e della crescita urbana e urbanistica tra la metà del I secolo a.C. e il I d.C. per opera di Cesare Ottaviano Augusto a cui si deve l’importante impegno economico nella ristrutturazione e sviluppo dei centri della Flaminia e del suo contesto territoriale. Il primo periodo dell’impero romano, tra I e II secolo d.C. rappresenta una fase di consolidamento e sviluppo politico, economico, sociale ed artistico per le zone legate al territorio marchigiano in 12. Ricostruzione del percorso della via Flaminia nel tratto Pontericcioli-Gabicce. La strada consolare inaugurata nel 220 a.C. da Gaio Flaminio congiungeva Roma a Rimini. (da Sulle tracce del passato, p. 120). 13. 13. Coppa su piede, ricomposta e restaurata, in ceramica grigia, conservata al Museo di San Lorenzo in Campo. 14. genere. Numerose, infatti, sono le testimonianze archeologiche che possediamo. La progressiva decadenza che poi porterà Roma alla crisi del III secolo interesserà con alterne vicende un po’ tutta la provincia di Pesaro e Urbino, che si vede attaccata dalle genti barbare degli Jutungi e Alemanni (270), e più tardi dai Goti di Alarico, ma sarà il V secolo con le invasioni e le scorrerie, con la successiva guerra greco-gotica (VI secolo) a sancire definitivamente il collasso economico dei centri della zona dell’Italia centrale e di tutto il medio adriatico. 14. La foto d’insieme mostra un esempio di vasellame fine da mensa in vernice nera d’età repubblicana romana. Questi oggetti provengono tutti dallo scavo archeologico effettuato alla villa rustica romana di Colombara a Pole di Acqualagna e si trovano esposti nel locale Museo. Da notare anche le ciotole contenenti ancora i resti carbonizzati di semi, cereali e legumi. (da Archeologia nelle Marche, p. 96). 15. Le Marche con i maggiori centri abitati in epoca romana. 15. 24/25 16. Il tratto di strada Flaminia della Provincia di Pesaro con i centri di riferimento riportati dalla Tabula Peutingeriana, antica carta utilizzata da viaggiatori e mercanti medioevali. 16. La ceramica in provincia dal Neolitico all’Età Romana 2 17. (Alle pagine precedenti) Le anfore romane del Museo Vernarecci di Fossombrone. 18. Il grande dolio di epoca romana conservato nel portico esterno del Museo Civico di Fano. 18. Dalle brevi notizie sull’insediamento umano nel nostro territorio e per l’importanza e la diffusione della ceramica negli usi quotidiani è chiaro che la presenza di questo materiale sia una costante dei ritrovamenti di superficie e di scavo che sono stati compiuti nelle zone della provincia. Kéramos in greco significa argilla per stoviglie. Proprio l’argilla è un tipo di materiale, assai diffuso in natura, lungo le rive dei fiumi o in cave, molto plastico, che si presta ad essere lavorato a mano e garantisce, dopo l’essiccatura o cottura, qualità come solidità e resistenza, durevolezza nel tempo e facile reimpiego. L’argilla rappresentava la materia prima ideale per creare vasellame, recipienti e oggetti indispensabili per conservare in modo particolare cibi e bevande ma non solo. Monumenti, strade, templi, necropoli, buche di scarico, distruzioni, crolli, immondezzai ci hanno conservato gli oggetti della vita quotidiana, quelli che comunemente chiamiamo “cocci”. È indispensabile considerare che la ceramica fu ed è per molti aspetti un fatto tecnologico, economico e sociale di rilevanza secondaria ma la consistenza quantitativa dei frammenti riferibili alla gran parte degli scavi archeologici, la natura quasi incorruttibile dell’argilla cotta la rende un’entità culturale accessibile e manipolabile, con immediati risultati conoscitivi. Il mondo antico ci ha lasciato molti esempi di contenitori di coccio; pensiamo ai crogioli, ai colini, ai vasi con pareti forate, a muffole in ceramica, alle arnie per le api, alle vaporiere, ai pesi da rete, ai vasi per l’allevamento dei ghiri, ma anche alle trappole per topi, ai giocattoli, agli oggetti rituali, agli strumenti musicali, agli orologi ad acqua, alle offerte votive e all’uso funerario degli oggetti fittili. Tutto ciò senza pensare a vasi da trasporto per derrate alimentari, al vasellame da mensa e alla produzione laterizia per edilizia, a cui siamo più abituati. Tutti conoscono le anfore che erano usate per il trasporto di derrate alimentari come olio, vino, salse, ad esempio il garum, salsa di pesce usata come condimento, solo occasionalmente contenevano olive, frutta, semi, legumi. Furono utilizzate, anche se raramente, per trasportare oli pregiati ed unguenti. Questi contenitori in genere terminano con un puntale che era funzionale alla movimentazione del recipiente (stivaggio, impilamento, svuotamento ma anche collocazione nel terreno). Le loro dimensioni sono di una certa entità, anche se non mancano esemplari più piccoli, magari per vini di un certo pregio o che andavano consumati in breve tempo. Come contenitori da trasporto esistevano anche i dolia, enormi recipienti, sicuramente utilizzati per i cereali ma, dato il ritrovamento di alcuni vasi con rivestimento di pece interno, anche per il trasporto di vino. La capacità di un dolio era di circa 3000 litri, mentre un’anfora conteneva dai 20 ai 30 litri. Altra testimonianza sempre presente nella casa romana, dove le donne producevano i tessuti necessari al consumo della famiglia, era il telaio che utilizzava la terracotta per gli elementi che lo costituivano come pesi e fusaiole, di varia foggia e variamente decorati, sempre uguali a se stessi. I pesi, lisci o decorati con motivi piuttosto semplici, venivano utilizzati anche per altre funzioni. Le fusaiole invece di solito hanno forma schiacciata, a rotella, con il foro centrale per poterle inserire nel fuso. Anche ad esse sono attribuite varie ipotesi di utilizzazione. Un esempio di telaio ricostruito si 30/31 19. 19. Dolium frammentario, ricostituito, d’epoca romana presso il Museo Civico di Macerata Feltria. 20. Modello di telaio verticale ricostruito presso il Museo Antiquario di Acqualagna. Aveva una struttura verticale in legno, costituita da due montanti congiunti con una barra trasversale fissata alle estremità superiori, alla quale erano applicati i fili dell’ordito; per impedire che si aggrovigliassero e per mantenerli ben tesi erano appesi ad essi dei pesi in terracotta con un foro passante nella parte superiore. Fra i fili dell’ordito veniva poi fatta scorrere la navetta con il filo della trama. Prima della tessitura c’era la filatura che si praticava con la conocchia e il fuso. Il fuso era un’asticciola di legno in cui generalmente era infilato un elemento in terracotta, la fusaiola appunto che con il suo peso facilitava il movimento di rotazione del filo e lo faceva ritorcere adeguatamente. 20. 22. 21. Gli elementi fittili che componevano il telaio sono rappresentati dai pesi, dai rocchetti e dalle fuseruole. Questo tipo di reperti, conservati in quasi tutti i musei della provincia, sono ricorrenti e diffusi negli scavi, si datano dall’età preistorica a quella medievale. Per queste immagini sono stati scelti dei pesi conservati al Museo di Cantiano e al Museo Civico di Fano. 32/33 22. Parte della collezione di lucerne presenti al Museo Civico di Fano. In particolare esemplari di epoca repubblicana. 23. Elementi fittili per colonna al Museo di Cantiano. trova al Museo di Acqualagna. Gli strumenti di illuminazione più comunemente usati nel mondo antico erano 21. le lucerne assieme a fiaccole, torce e lanterne. Nella provincia di Pesaro e Urbino è presente un cospicuo numero di reperti attribuibile a quest’oggetto. Nel museo di Fano è conservato il nucleo più consistente di lucerne ellenistiche e repubblicane della regione Marche. Lo sviluppo dell’architettura porta a variare i prodotti da costruzione e a produrre in ceramica antefisse, gocciolatoi, fregi ma anche tegole, elementi per colonne, canalette, tubuli, ghiere degli archi, fistulae, vale a dire tubi per il trasporto delle acque, mattonelle pavimentali, mattoni circolari per le suspensurae degli ambienti ad ipocausto, cioè colonnette di sostegno che permettevano la realizzazione di pavimenti rialzati che creavano un’intercapedine attraverso la quale era fatta passare aria riscaldata da appositi 23. forni. Gli oggetti brevemente presentati fino ad ora sono quelli più comuni, diffusi e rappresentati nell’antichità ma sono anche quelli che difficilmente è possibile datare se 24. non in riferimento al contesto di scavo o, a “forme” particolari, tipiche di una certa epoca piuttosto che di un’altra, come accade ad esempio per le 25. lucerne ma non solo. Per quanto riguarda il vasellame, che serviva per essere portato in tavola e come oggetto “d’arredo”, ci si può sbizzarrire per forme e nomi, fogge e decorazioni. Possediamo brocche, ampolle, bottiglie, ciotole, piatti, coppe su piede, bicchieri, crateri, pentole, padelle, coppe, coperchi, scatole, boccette per cosmetici e profumi, solo per citarne alcuni. In quest’ambito oltre alla tipologia si conoscono anche caratteristiche proprie di determinati periodi o atèliers. I “servizi buoni” dell’antichità erano motivo d’orgoglio e prestigio per chi li possedeva in vita ma anche in morte (spesso il vasellame raffinato proviene da 27. contesti funerari). È logica conseguenza che 26. 24. Frammento di pavimentazione d’età romana. Museo di Cantiano. Le esagonette sono completamente in terracotta come in questo caso ma possono anche presentare al centro un incasso per l’alloggiamento di una tessera di mosaico. Frammenti più o meno estesi di varie tipologie di pavimentazione in terracotta sono visibili in gran parte dei musei della provincia. 25. Lacerto di pavimento a “spina di pesce”. Acqualagna, Museo Antiquarium. 26. Resti di pavimentazione romana con elementi a pelta e tessera di mosaico. Fano, Museo Civico. 27. Ricostruzione di canaletta costituita da elementi fittili. Museo Civico di Macerata Feltria. anche per noi, oggi, questi ultimi rappresentano la testimonianza più affascinante da vedere. Nella provincia di Pesaro e Urbino per ora non è stato ritrovato vasellame integro di prestigio, come invece è possibile trovare nei grandi musei archeologici nazionali, anche se tutte le tipologie e classi ceramiche sono rappresentate, magari in frammenti, e di discreta qualità tecnica. Molta ceramica era prodotta localmente. Nella regione Marche luoghi di produzione importante furono Numana ed Aesis, mentre nella Provincia di Pesaro e Urbino abbiamo diverse notizie di ritrovamenti appartenuti ad antiche fornaci d’età romana. Ad esempio, a Caminate di Fano, resti archeologici pertinenti ad un impianto produttivo di età romana imperiale sono stati messi in luce nel 2005, nel corso di lavori all’interno della cava di inerti. Gli scavi hanno permesso di individuare sinora le camere di cottura di almeno tre fornaci, destinate verosimilmente alla produzione di vasi e laterizi. Sono stati recuperati altri vani interrati, probabilmente di servizio alle attività, alcune vasche accessorie ed un tratto rettilineo di strada con fondo in ghiaia lungo oltre sessanta metri. Si conoscono strutture murarie probabilmente riferibili ad un grande laboratorio legato alla lavorazione dei laterizi, 34/35 28. 28. Brocca e piatto restaurati in ceramica comune. Pergola, Museo dei bronzi dorati. I materiali ceramici esposti al museo costituiscono il corredo di alcune tombe romane ad inumazione venute in luce durante lavori in località Ramaglie. 29. Due brocche con orlo trilobato conservate nel Museo Civico di Fano. Servivano a contenere e mescere liquidi. La prima è in 30. ceramica comune, di epoca romana. La seconda è un’ oinochóe trilobata attica a vernice nera. È un esempio di un certo pregio di contenitore per liquidi. Proviene dalla sepoltura rinvenuta nel 1877 a Monte Giove, data al V secolo a.C.. 29. 30. Piatto in ceramica comune, Museo dei bronzi dorati di Pergola. in località Campanara a Pesaro. Anche nella villa di Colombara ad Acqualagna sono risultate dallo scavo una vasca di decantazione, rivestita in cocciopesto, e due fornaci per la cottura di laterizi. A Piobbico in centro storico durante i lavori di restauro di una casa di proprietà Carli sono venuti in luce resti di fornaci, d’età tardo medioevale, ma molto interessanti, che presentano due camere di cottura distinta ed un complesso sistema per il convogliamento dell’aria calda, mentre una seconda fornace si trova verso l’angolo est all’interno della stessa abitazione. Cantiano possiede nel suo museo dei materiali anch’essi riferibili alla presenza di fornaci da Contessa e queste erano 32. 36/37 31. 31. Ricostruzione di un modello di fornace romana. 32. La patera a vernice nera, conservata nel Museo di Acqualagna, riporta inciso il nome MVSICVS. Il frammento proviene dagli scavi della villa rustica di Colombara ed è attribuibile alla tarda età repubblicana. 35. 33. Fondo di ceramica comune con incisa la scritta HILARVS. Acqualagna, Museo Antiquario. 33. 34. 34. Bollo in planta pedis sul fondo interno di quella che era una coppetta. I frammenti recuperati nello scavo della splendida domus romana con mosaici di Tifernum Mataurense sono stati ricostituiti. L’iscrizione riporta la firma CORNELI. Si data tra il 10 e il 50 d.C.. Museo di Sant’Angelo in Vado. 35. Sull’orlo di questa anfora conservata al Museo Vernarecci di Fossombrone si nota il bollo di fabbricazione. Sulle anfore, i vasi da trasporto dell’antichità, è possibile anche rinvenire iscrizioni che descrivono il contenuto o il numero riferito al carico o alla quantità di prodotto. 36. 36. La terracotta che era utilizzata per l’edilizia portava i suoi marchi di fabbrica. In questo esempio notiamo l’iscrizione C. APVS su di un frammento di tegolone conservato nel Museo di Macerata Feltria, antica Pitinum Pisaurense. 37. presenti nei territori attorno a Sant’Angelo in Vado, a Macerata Feltria e San Lorenzo in Campo. Questi dati dimostrano la ricchezza sul territorio di fabbriche ceramiche soprattutto destinate alla produzione di materiali per edilizia ma sicuramente anche di vasellame magari comune e anfore o dolia. Le fabbriche specializzate nella produzione di ceramica fine da mensa, i servizi più prestigiosi delle tavole antiche, come già accennato, erano famose e “firmavano” i loro prodotti che diventavano riconoscibili per le caratteristiche proprie di forme ceramiche, dell’uso di vernici o decorazioni, ma anche perché riportavano in bolli, cartigli, planta pedis i nomi dei fabbricanti o dei ceramisti che li avevano prodotti, rendendoli prestigiosi. Alcune firme di artigianato artistico di periodo romano sono ad esempio quella di Ateius, vasaio aretino, che esportò e produsse in Europa e in Asia Minore, ma anche quella di Sentius o di Serenus di Puteoli. In ambito locale è di un certo interesse la presenza di frammenti attribuibili certamente all’officina di Marcus Perennius Bargathes, che, per la raffinatezza di esecuzione, è da considerarsi fra le migliori dell’epoca. Un aspetto che va poi doverosamente rilevato è quello religioso per cui molti reperti ceramici esposti nei musei, pur testimoniando oggetti d’uso quotidiano, provengono, come già detto, più che da contesti domestici da quelli funerari. I vasi facevano parte, assieme ad altro materiale, del corredo funebre con cui il morto veniva sepolto. La religione pagana prevedeva che gli oggetti di accompagnamento della sepoltura potessero avere una funzione e un utilizzo nell’aldilà e anzi agevolare il passaggio ponendo l’anima nelle condizioni di non sentirsi in bisogno di nulla. Ecco quindi che le sepolture femminili presentano corredi riferibili alla sfera muliebre, all’estetica, alle mansioni della casa. Le tombe maschili invece erano accompagnate da reperti legati all’ambito del lavoro e della guerra. I bambini venivano sepolti con ninnoli e giocattoli. Non infrequente era l’utilizzo di oggetti ceramici miniaturistici. Le tombe rappresentavano anche la posizione sociale e le facoltà economiche di chi veniva sepolto in base alla raffinatezza dei prodotti che gli erano associati. Vi erano delle ceramiche tipiche del contesto funerario che, nella mente dei vivi, dovevano servire per far libagioni e offerte agli dei. Si fa riferimento in particolar modo alle lékythos, slanciate brocchette con ansa e beccuccio, alle patere, larghe ciotole dai bassi bordi rialzati, all’urceus, brocca per versare liquidi, e agli incensieri, alzate che contenevano l’incenso utilizzato frequentemente nei riti sacri. Nelle necropoli la ceramica trovava impiego, magari riutilizzata, anche per la costruzione stessa della tomba. Basti pensare ai tegoloni per le tombe alla cappuccina, alle anfore, ai tubuli 38. 37. (Alle pagine precedenti) Corredo funebre composto da un’olla cineraria con coperchio, una lucerna a volute con la raffigurazione della leggenda di Curzio che si getta a cavallo nella voragine apertasi nel foro, una coppetta e un laghinos, bottiglia dal collo lungo e sottile. Gli oggetti provengono da una sepoltura rinvenuta a Monte Montanaro nel comune di Montefelcino, si datano al I secolo d.C. e sono conservati al Museo Vernarecci di Fossombrone. 39. 38. Piatto e lucerna a canale rappresentavano il corredo funebre della tomba C del recinto sepolcrale di Calmazzo. Il piccolo cimitero della famiglia Cissonia (II-III secolo d.C.) comprende un’area di 136 mq ed era recintato. Si può visitare presso la località Calmazzo a pochi chilometri da Fossombrone. Il corredo invece si trova al Museo Vernarecci di Fossombrone. 39. All’interno del Museo Civico di Fano sono conservati tre tegoloni fittili di cui uno con iscrizione. Erano utilizzati per la deposizione dei defunti nelle tombe cosiddette “alla cappuccina”, con altre tegole sistemate a doppio spiovente. 40/41 40. Incensiere restaurato a Macerata Feltria. L’orlo è decorato a ditate e vi sono nel corpo del vaso delle decorazioni incise a rotellature, a spina di pesce, che si sviluppa a spirale. Questo oggetto era utilizzato nei riti religiosi come contenitore di incenso. Data al II secolo d.C.. 40. 41. Esempio di sepoltura in anfora fittile. Le anfore dopo l’uso che le era proprio erano riutilizzate sia in edilizia (spesso erano triturate per ottenere il cocciopesto) sia in ambito funerario. Esse, infatti, fungevano da sepolcro, in particolar modo per deposizioni infantili. La foto mostra un esempio di ritrovamento di sepoltura ad inumazione in anfora scavata presso la necropoli romana di Fanum Fortunae, rinvenuta in via Roma (da P. Quiri, La necropoli di via Fanella, in Fano Romana, p. 455). 41. per le libagioni che i vivi versavano ai defunti. Un’ altra caratteristica legata alla religiosità antica è quella dei santuari, luoghi sacri in cui ci si recava a pregare e ad invocare la protezione e l’aiuto degli dei, lasciando in voto offerte relative alle richieste per cui si pregava e per ringraziare dei favori che si erano ottenuti. Molto importante per questo tipo di riferimento è la presenza nel territorio pesarese del lucus, un bosco consacrato alle divinità, collocato parte sulla sommità, parte sulle pendici nordorientali del colle della salute, tra Santa Veneranda e San Pietro in Calibano (oggi Villa Fastiggi), nei pressi della chiesetta di San Gaetano. Dall’area proverrebbero oltre 150 terrecotte votive, tra cui numerose teste e mezze teste isolate e velate, bambini in fasce, parti anatomiche, animali domestici, zampe d’animale e pesi da telaio. Nel tempo i materiali votivi sacri che andavano accumulandosi venivano raccolti in depositi, stipi sacre e fosse, per lasciare posto ai nuovi. Il deposito a cui attribuire i reperti, oggi al Museo Oliveriano di Pesaro, è riferibile per le somiglianze con altri ritrovamenti dell’Italia 44. centrale al III-II secolo a.C.. 42/43 42. 43. 46. 47. 45. 42. Le immagini fanno riferimento alla vetrina riservata al Lucus Pisaurensis all’interno del Museo Oliveriano di Pesaro. Presso i romani, il lucus rappresentava un bosco consacrato alle divinità a cui si offrivano sacrifici e doni per favorire e ringraziare del loro intervento. L’esistenza di questo luogo, presso Pesaro, fu accertata già nel corso del 1700 dall’insigne studioso Annibale degli Abbati Olivieri. Dalla zona, oltre che iscrizioni e bronzetti, provengono numerosi reperti fittili composti da teste, mezzeteste, statuette, parti anatomiche, animali e membra animali come bovini e zampe, pesi da telaio. Quasi tutti gli esemplari sono eseguiti a stampo, alcuni di fattura più raffinata altri più sommari. Il periodo di frequentazione di questo luogo sacro legato a divinità salutari con valenza terapeutica è attestato tra il III secolo a.C. fino alla prima età imperiale. Rinvenimenti fittili dal Lucus Pisaurensis, particolari: 43. riproduzione di parti anatomiche per cui si invocava la guarigione o si ringraziava perché avvenuta, 44. animali da allevamento e lavoro, 45. ex voto di bambino in fasce, 46. ex voto di teste maschili e femminili. 47. rappresentazione di divinità in trono. Ex voto sono pure presenti nei musei di Fano, di Fossombrone, di Acqualagna, di San Lorenzo in Campo. Nell’ambito dei Musei della provincia di Pesaro e Urbino, in ciascuno di essi, è possibile vedere e seguire l’evoluzione della produzione di terrecotte da quelle più antiche, preistoriche, di cui ci rimangono in realtà molti frammenti, che sono però affascinanti per la genuinità della lavorazione, ottenuta a mani nude e con strumenti molto semplici, via via fino agli esemplari appartenenti con certezza di datazione alla fase imperiale romana, raffinati ed eleganti, raccolti assieme al vasellame per tutti i giorni, dalle forme identiche ai vari oggetti che anche oggi troviamo nelle nostre cucine e più in generale nelle nostre case. I materiali fittili presentati in questa pubblicazione provengono tutti dal territorio provinciale. La ceramica di età preistorica appartiene ai ritrovamenti archeologici delle zone attinenti a Macerata Feltria, Cantiano, Sant’Angelo in Vado, Acqualagna, Fossombrone, Pergola, San Costanzo, Fano e Pesaro, in particolare quei reperti provenienti dagli scavi relativi alla civiltà di Novilara. La ceramica greca, attica, è presente a Fano, Fossombrone e in piccoli frammenti nei territori dell’entroterra. Frammenti riferibili a Pesaro e a Sant’Angelo in Lizzola sono conservati al Museo Archeologico Nazionale di Ancona. La maggior 44/45 parte delle testimonianze conservate e visibili appartengono, come già riportato, alla civiltà romana ed in particolare al territorio dei centri più conosciuti della romanità provinciale, situati per gran parte lungo la via Flaminia: Pisaurum (Pesaro), Fanum Fortunae (Fano), Forum Sempronii (San Martino del Piano di Fossombrone), Pitinum Mergens (Acqualagna), Ad Calem (Cagli), Castrum Luceolis (presso Cantiano). Altri centri sono rappresentati da Urvinum (Urbino), Tifernum Mataurense (Sant’Angelo in Vado), Pitinum Pisaurense (Macerata Feltria); infine si devono aggiungere i ritrovamenti sporadici riferiti a località nei pressi di Urbania, Piobbico ma anche per la vallata del Cesano, San Lorenzo in Campo e Pergola. 48. 50. 49. 48. Una testina fittile a ceramica ad impasto al Museo di Acqualagna. 49. Testine fittili femminili, ex voto. Museo Archeologico di San Lorenzo in Campo. III-II secolo a.C.. 50. Ex voto fittili frammentari conservati al Museo Vernarecci di Fossombrone. Si tratta di offerenti e devoti. Provengono da una stipe sacra, un deposito di oggetti di carattere votivo, venuta in luce negli ultimi decenni dell’Ottocento in seguito ad una piena del torrente Tarugo, presso Isola di Fano. La frequentazione del luogo sacro è attestata dal V secolo a.C. fino all’arrivo dei Romani. La ceramica preistorica 2 /1 La ceramica preistorica Come già detto la lavorazione della terracotta compare con l’età del Neolitico. La ceramica, cosiddetta ad impasto, è modellata sotto forma di olle a corpo ovoide, vasi globulari a collo cilindrico, decorati ad impressione, con forme semplici e con tipi di una classe più depurata in qualche caso figulina. Dal IV millennio troviamo vasi con decorazione pizzicata, ditata, unghiata e a fasci di linee; forme ovoidi su piede a tacco e scodelle troncoconiche. Al Neolitico recente appartengono olle ad impasto grossolano, scodelle troncoconiche, olle ovoidi, a collo svasato figulino, vasi a tulipano e ciotole carenate. Nell’Eneolitico la ceramica presenta una classe ad impasto grossolano con riporto o applicazione di argilla sulle pareti. Vi è una produzione più raffinata con superfici 48/49 51. (Alle pagine precedenti) Serie di frammenti di anse dalle caratteristiche forme a corna di lumaca, a manubrio, a cilindro, ad ascia, a nastro forato, caratteristiche della civiltà appenninica. Questo tipo di reperti si trova in diversi Musei della provincia di Pesaro e Urbino. In questo caso l’immagine si riferisce al Museo Vernarecci di Fossombrone, sezione archeologica. 52. 53. 55. 54. 52. Gruppo di reperti fittili recanti decorazione impressa a crudo di periodo Neolitico. Fano, Museo Civico. 53. Frammento di ansa, ceramica ad impasto con decorazione incisa, Fano, Museo Civico. 54. Olla, ceramica ad impasto, senza coperchio. Museo Antiquario di Acqualagna. 55. Frammento di ciotola monoansata a ceramica d’impasto conservata nella sala archeologica del Museo di Palazzo Cassi a San Costanzo. Il frammento, assieme agli altri conservati nella sala, proviene dall’abitato protostorico e dal sepolcreto piceno a Contrada del Rio di San Costanzo.