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l`alfabeto del matrimonio
Ufficio diocesano per la Pastorale della Famiglia Casa Toniolo - via Longhin, 7 31100 TREVISO tel. 0422.576910 FAX 0422.576991 http://www.diocesitv.it/famiglia/ - e-mail: [email protected] Aggiornamento 2015-2016 Aggiornamento per sposi 2014-2015 L’ALFABETO DEL MATRIMONIO: 1. VIVERE L’AMORE, gli affetti e la sessualità San Gaetano di Montebelluna, 15 novembre 2015 Relazione di Daniela e Andrea POZZOBON Premessa Partiamo facendoci guidare dalla Parola che ci accompagnerà durante le tre tappe di quest’anno: “Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova: “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?”. Costui rispose: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”. E Gesù: “Hai risposto bene; fai questo e vivrai”. (Lc 10, 25-28) Questo brano di Luca ci rimanda al libro del Deuteronomio: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai, e quando ti alzerai. (Dt 6, 4-7) Per introdurci alla prima parte del tema (Vivere l’amore), ci sembra innanzitutto importante sottolineare alcune questioni che emergono con evidenza dai due brani: a) L’“Ascolta, Israele” ci suggerisce che la dimensione dell’ascolto in qualche modo precede, è condizione dell’amore. La dimensione dell’ascolto, che approfondiremo, è importante sia nella relazione d’amore con Dio sia nella relazione d’amore con il coniuge. b) L’amore e la Legge non sono due dimensioni contrapposte, ma sono una legata all’altra; l’amore è un comandamento (Gv 13, 34-35: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”). L’amore perciò non è riducibile alla sola dimensione affettiva, ma ha in sé anche una dimensione etica, legata al bene. Per fare un esempio: non c’è amore senza assunzione di responsabilità nei confronti dell’altro (sia questi il coniuge o un figlio o un amico). c) Amore per Dio, amore per l’altro e amore per se stesso sono amori tra loro inscindibili; è possibile amare l’altro senza amare Dio? E’ possibile amare se stesso senza amare l’altro? d) Il “fa questo e vivrai” suggerisce: se ami vivrai; vivere è amare Dio e amare l’altro. Siamo chiamati quindi a vivere l’amore, non semplicemente a soprav(vivere). Anche papa Francesco ci sollecita in questo senso: Dio “unisce i cuori di un uomo e di una donna che si amano e li unisce nell’unità e nell’indissolubilità. Ciò significa che l’obiettivo della vita coniugale non è solamente vivere insieme per sempre, ma amarsi per sempre!” (Omelia della Messa di apertura del Sinodo, 4 ottobre 2015). Questo amore, prosegue Francesco, è comprensibile solo alla luce della gratuità dell’amore pasquale di Gesù. 1. Cuore, anima, forze L’amore, nonostante le sue numerose banalizzazioni quotidiane, non è qualcosa di semplice, banale; Gesù ci invita ad amare con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questa articolazione di cuore, anima e forze ci guiderà in questi tre incontri. Cercheremo di percorrere insieme il cammino dell’esperienza amorosa che si esprime in almeno tre modalità: a) come attrazione dello spirito, cioè come amore spirituale (agape)>> richiama “amerai con tutto il tuo cuore” b) come attrazione del sentimento, cioè come amore sentimentale, affettivo (philìa)>> richiama “amerai con tutta la tua anima” c) come attrazione del corpo, cioè come amore erotico (eros) >> richiama “amerai con tutta la tua forza”. Queste tre dimensioni sono tutte espressioni dell’amore; non si dà una senza le altre. Non è pensabile un amore ridotto solo alla dimensione erotica o solo alla dimensione spirituale, ecc…; l’essere vivente è un essere unitario ed è corpo, anima e spirito in ogni suo gesto, in ogni suo comportamento, in ogni sua relazione con l’altro.Su questo aspetto ci viene in aiuto il libro della Genesi: “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e Adam [l’umano, il terrestre] divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato […] perché lo coltivasse e lo custodisse […]. 1 Poi il Signore Dio disse: “Non è bene che l’Adam sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile [ezerkenegdo: “qualcuno con il quale poter incrociare gli occhi alla pari”]. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’Adam, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: “Questa volta essa è carne della mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna [ishàh] perché dall’uomo [ish] è stata tolta. Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne.” (Gn 2, 7-25) Dio plasma quindi l’Adam con la polvere della terra; crea direttamente il corpo, tutto il suo organismo. Ma Dio poi alita il suo spirito [ruah – principio vitale, respiro] suscitando la sua anima (“e l’uomo divenne un essere vivente”). La persona umana è fatta perciò di corpo, spirito e anima. Dio ha dato all’uomo la capacità di ricevere il suo spirito; è accogliendo lo spirito di Dio che l’uomo diventa uomo. Dio pone l’adam nel giardino dell’Eden dandogli il compito di custodire e coltivare la bellezza; ma l’adam da solo, non può farcela. Per questo Dio gli pone di fronte la donna, con la quale incrociare uno sguardo d’amore. La solitudine non è bene; la relazione d’amore rende piena l’umanità dell’uomo e della donna. Come ci ha insegnato Giovanni Paolo II, Dio, addormentando l’Adam, agisce come una seconda creazione. L’uomo e la donna sono corpo, anima e spirito in comunione. La distinzione è creata per la comunione. L’adam da solo, senza amore, è nulla. Siamo creati nuziali fin dall’origine. Siamo nuziali perché siamo ad immagine di Dio (Gn 1, 27). Dio è amore, è comunione. Accogliendo, ascoltando il suo spirito d’amore, possiamo a nostra volta vivere l’amore che ci è stato donato. Ma ora spostiamo l’attenzione un po’ di più sulla dimensione del cuore, dell’amore spirituale. 2. Amerai con tutto il tuo cuore1 Nel linguaggio biblico il cuore indica la persona nell’unità della sua coscienza, della sua intelligenza, della sua libertà; il cuore rappresenta quindi la persona nella sua totalità. Ma il cuore è anche il luogo dove si fa presente Dio se noi gli apriamo il nostro cuore. Nel Primo libro dei Re (3, 1-15) il Signore appare a Salomone dicendogli: “Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda”. Salomone, in quanto Re, potrebbe chiedere qualunque cosa; ma chiede al Signore: “Dona al tuo servo un cuore che ascolta (lev shomea)”. Ciò piacque al Signore che esaudì la sua richiesta: “Poiché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te molti giorni, né hai domandato per te ricchezza, né hai domandato la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco … ti dono un cuore sapiente e intelligente (1 Re 3, 11-12) Un cuore che sa ascoltare è quindi un cuore che ha avuto il dono della sapienza e del discernimento. Niente di più distante dall’idea comune della sapienza intesa come essere particolarmente capaci nel conoscere, nel capire. Una cosa è mettersi in ascolto dello Spirito, altra cosa è cercare di capire chi è e cosa vuole da me Dio. Una cosa è fare esperienza di Dio, altro è cercare di comprendere razionalmente. Agostino diceva: “Se hai capito, non è Dio” (cfr. anche 1Cor 2, 4-5). Lo stesso vale in coppia; se credo di aver capito tutto di mia moglie, di mio marito è come rendere l’altro un quadro “scialbo” dentro la mia cornice, rinunciando ad entrare profondamente in relazione con lui. La sapienza e il discernimento hanno a che fare quindi con un ascolto autentico, con un ascolto che ha la sua pienezza solo nel cuore; il nostro sentire, le nostre azioni, il nostro pensare dovrebbero nascere dal cuore in ascolto/accoglienza della Parola/Amore di Dio. In questa prospettiva assume pieno significato l’“Ascolta Israele”. Senza ascolto, ci dice Enzo Bianchi, si apre la strada alla terribile esperienza che i profeti definivano sklerokardìa, durezza di cuore. Ci sono alcuni passi biblici sulla sklerokardìa; pensiamo ad esempio al passo sulla possibilità del divorzio: “Per la durezza del vostro cuore (sklerokardìa) egli [Mosè] scrisse per voi questa norma” (Mc 10,5; Mt 19,8). Dopo la risurrezione Gesù rimprovera agli apostoli “la loro incredulità e durezza di cuore” (Mc 16,1). Ma il Nuovo Testamento ci fornisce anche alcuni dimensioni positive di un cuore in ascolto. Innanzitutto il cuore di Maria che “custodiva tutte queste parole nel suo cuore” (Lc 2,51); Maria di Betania: “ascoltava la parola di Gesù stando ai suoi piedi” (Lc 10,39) scegliendo così la parte migliore; i discepoli di Emmaus: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli … ci apriva le Scritture?” (Lc 24,32). Ma il cuore è anche sede della lotta spirituale. Accogliere Dio nel nostro cuore chiede esercizio paziente, allenamento. Non dobbiamo sottovalutare infatti che la Bibbia, oltre a dirci che il cuore è il luogo del nostro incontro con Dio, ci dice anche che il cuore è sede di passioni deteriori, e dove male e bene si scontrano: “Il cuore è ingannevole in ogni cosa” dice il Salmo 64. Ma soprattutto in Marco 7, 21-23 leggiamo: “Dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo”. Nel nostro cuore quindi ogni giorno viviamo una lotta: siamo chiamati a scegliere se accogliere e fra fruttificare la Parola di Dio seminata in esso (cfr. la parabola del seminatore), oppure lasciarci guidare 1 Cfr. E. Bianchi, Con tutto il cuore, Qiqajon 2011. 2 progressivamente dalla sklerokardìa che ci fa sordi e chiusi allo Spirito e ci fa vivere ripiegati in noi stessi, forti delle nostre sicurezze e barricati nelle nostre idee. Il cercare Dio, l’accogliere il suo Spirito nel nostro cuore fa sì che si generi in noi l’amore, che la comunione renda marginale l’egoismo, che l’attenzione agli altri non li renda mai strumenti ai nostri occhi. Dio desidera quindi essere amato con tutto il cuore; ma desidera anche che, amando lui, amiamo gli altri. Con la consapevolezza che solo se amiamo Lui, siamo in grado di amare autenticamente gli altri (“Chi ama padre e madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio e figlia più di me, non è degno di me” – Mt 10,37). Esercizio 1 Un esempio quotidiano che ci aiuta a non farci prendere dalla sklerokardìa è il risveglio mattutino; possiamo accogliere l’altro con un sorriso, con un bacio o cominciare la giornata senza guardarci negli occhi e comunicandoci subito una mera e triste (per quanto importante) divisione di compiti. Darci la possibilità di guardarci negli occhi (e guardando anche i nostri figli) e ringraziare il Signore del dono dell’altro e della vita può dare alla giornata un senso e un tono diverso. (i) Ora ci facciamo in coppia un piccolo regalo … ci guardiamo negli occhi senza parlare per 30 secondi (basta veramente poco tempo …). (ii) Ora ringraziamo il Signore del dono della nostra relazione d’amore e affidiamo a lui la nostra skelokardìa : (insieme) Signore ti ringraziamo del dono della nostra relazione. Affidiamo a te i momenti in cui il nostro cuore è indurito, in particolare quando … (breve comunicazione in coppia). (iii) Ascoltiamo ora la domanda che Dio ha posto a Salomone e che oggi pone a noi: “Chiedetemi ciò che volete che io vi conceda …(come coppia)” (ci diamo un minuto per pensarci e per comunicarcelo). 3. Come possiamo vivere, noi sposi, il nostro amore oggi? Partiamo con il guardare insieme il dipinto di Marc Chagall, Cantico IV Pegaso (1958). Come ci suggeriscono i coniugi Bovani2, questo dipinto di Marc Chagall ci rimanda al significato della vita spirituale in coppia e all’audacia a cui siamo chiamati. Gli sposi, l’amato e l’amata del Cantico dei Cantici, sono rappresentati a metà tra cielo e terra, vivono il loro amore che è fatto di terra, corpo, quotidianità (simboleggiata dalla città sottostante), ma che attinge all’amore di Dio. Nel loro guardarsi negli occhi (l’ezer kenegdo della Genesi), nel loro abbraccio riescono a volare proiettandosi sia nella dimensione orizzontale, verso l’altro/a, sia nella dimensione verticale, verso Dio (tale dimensione è rappresentata dall’assenza di gravità – il gallo sottosopra – e dalla tensione verso il cielo – la donna che si tira su per i capelli). Il cavallo che vola in senso antiorario suggerisce un incontro senza tempo, per l’eternità. Il mazzo di fiori che sta davanti a Pegaso rappresenta la bellezza, lo Spirito. Pegaso si lascia guidare dal mazzo di fiori, noi sposi siamo chiamati a lasciarci guidare dallo Spirito, ad accoglierlo nel nostro cuore. Questo ci permette di vivere la nostra quotidianità (i nostri impegni, i nostri calcoli, le nostre ansie, …) inserita in un progetto d’amore, in ascolto dello Spirito che ci fa alzare i nostri sguardi verso Dio e verso l’altro, sguardi d’amore, di armonia tra i corpi, di accoglienza e di complicità che possono farci volare … Riprendiamo ora il filo rosso dell’incontro; siamo chiamati ad amare con tutto il cuore. Ci siamo detti che il cuore, che rappresenta l’unità della nostra persona, e quindi anche l’unità del “noi” coniugale, è importante che sia un cuore che ascolta, che accoglie: che ascolta e accoglie innanzitutto lo Spirito, che è Spirito d’Amore. Immaginiamoci come un vaso, siamo un corpo (una sola carne) che accoglie lo Spirito, il soffio di Dio. Siamo corpo e anima (“con tutta la tua anima, con tutte la tua forza”) chiamati ad accogliere lo Spirito, a diventare “spirito” insieme. Diventare “spirito” non vuol dire perdere il corpo. Dice don Francesco Pilloni: “Poiché Amore è Dio e Spirito è Dio, vivendo l’amore noi siamo chiamati a diventare Spirito.”3 Il rischio che noi coppie corriamo ogni giorno è quello di vivere l’amore solo nei sentimenti, negli affetti o solo nel corpo. “L’amore spirituale nasce quando sia l’attrazione del corpo sia l’attrazione del sentimento vengono governate da una dimensione superiore, più alta, più libera”. Lo spirito “non è nemico dell’amore erotico e dell’amore sentimentale, anzi è il loro più prezioso alleato”.4 L’amore (maturo) è relazione di unità tra eros, sentimento e spirito; è difficile crescere nell’amore separando tra loro queste dimensioni. 2 M. Prandino e U. Bovani, I colori della carne, Ancora 2015 F. Pilloni, L’uomo divenne un essere vivente (Gn 2,7), in Voce della Madonnina 2/2015, 15. 4 V. Mancuso, Io amo. Piccola filosofia dell’amore, Garzanti 2014, 65. 3 3 Ma come, quindi, possiamo vivere il nostro amore oggi? (i) Ci sembra che un prima dimensione da coltivare sia quella del desiderio. Quanto desideriamo accogliere l’amore, vivere l’amore, coltivare l’amore, farlo crescere? Intendiamo (e lo faremo sempre d’ora in poi) sia l’amore di Dio, sia l’amore per l’altro/a. Il desiderio in sé è tensione verso il bene, è un andare sempre al di là, alla ricerca di senso, di amore, della felicità. E’ non bloccarsi nelle nostre visioni, nei nostri calcoli, nelle nostre posizioni orgogliose, definitorie. Desiderio è sempre in primo luogo desiderio dell’altro; desiderare significa in primo luogo creare relazioni, legàmi. Ciò significa avere speranza nel futuro, avere fiducia che l’amore è crescita, che lo Spirito, l’altro è un dono da accogliere, non una minaccia da temere. In questo senso può venirci in aiuto un altro dipinto di Chagall, Amanti con uccello(1962). A dominare il quadro è un grande uccello in volo di colore blu (che è il colore della spiritualità). “La sua traiettoria parte dal basso, a sinistra, dove c’è una finestra chiusa con delle sbarre […] da cui si affaccia una donna che cerca di uscire”5, con una mano tesa che cerca di afferrare quel nucleo rosso (colore dell’amore) che racchiude l’amore tra un uomo e una donna. Le sbarre rappresentano le nostre paure, i nostri egoismi, le nostre difficoltà ad amare e ad essere amati. Quindi è il desiderare l’amore che ci permette di uscire (estasi), il desiderio d’amore, il desiderio di ascoltare l’altro, di accoglierlo in noi. Il candelabro rappresenta appunto il desiderio di andare oltre. Il buio della stanza si trasforma in un uccello che vola verso il sole giallo, caldo, che accoglie il profumo dei fiori (la bellezza, lo spirito, il giardino dell’Eden). Il desiderio ci fa capaci di volare verso l’amore. Per il lavoro personale e di coppia:(1) Quanto desideriamo accogliere l’amore, vivere l’amore, coltivare l’amore, farlo crescere nella nostra vita di coppia? E’ un desiderio presente ogni giorno nel nostro cuore? E’ un desiderio ingabbiato, ma è un orizzonte sempre presente? Oppure in questo momento mi sento ingabbiato, chiuso, in sklerokardìa… incapace di sentire il desiderio di amore che mi abita? (ii) Coltivare il desiderio ci permette di crescere, ci mette in contatto con la dimensione della creatività. Desiderare (l’amore, il bene) ci chiede di essere disponibili al cambiamento, di non bloccarci sulle nostre abitudini, esigenze, pregiudizi. Ci chiede di lasciarci stupire dall’Altro, di accogliere l’opportunità che porta con sé la differenza. Ci chiede di non “fissare” l’altro ai nostri bisogni, all’immagine che ci siamo fatti di lui/lei. Ciò significa essere creativi, cioè lasciare che la relazione con l’Altro cambi la nostra vita, la arricchisca, modifichi la sua rotta. (iii) Un’altra dimensione chiave per vivere un amore spirituale è quella del sentire. Non intendiamo con questo verbo un’attenzione generica alle sensazioni, ai vissuti, contrapposti al pensare, al capire. Intendiamo invece il desiderio di partecipare della vita dell’altro (di Dio Sposo, e dello sposo/a), a ciò che è e che vive. Spesso invece, nella nostra quotidianità, il sentire è minacciato dal pretendere che l’altro sia, faccia, dica ciò che noi vogliamo da lui/lei; non abbiamo, a volte forse, delle pretese anche nei confronti di Dio? E nei confronti di nostro marito e di nostra moglie? Il pretendere ha a che fare col possesso, dimensione tipica delle dimensioni erotica e/o affettiva quando sono separate dalla dimensioni spirituale. (iv) Ci sembra importante che l’amore spirituale vive anche del gustare, cioè dell’abitare l’altro, di godere della sua presenza. Quando preghiamo quanto desideriamo godere della presenza di Gesù o quanto invece rispondiamo ad un dovere, ad una pratica da espletare? Quando facciamo l’amore quanto accogliamo l’altro per quello che è, quanto godiamo di essere con lui/lei, di donarci e di accogliere il suo essere dono? Quanto, gustando la presenza dell’altro, gustiamo la presenza di Dio? Il gustare in questo senso si contrappone al gestire, al controllare, al programmare, alla logica dello scambio. Gustare l’altro significa donarsi e accogliere il dono. L’amore spirituale si nutre dell’esperienza del dono; che non è mai dono a perdere, perché ogni dono implica qualcuno che riceve e implica una restituzione (che però non sappiamo né cosa né come né quando avverrà). Il nostro primo dono come coppia è quindi quello di accogliere il dono dello Spirito d’amore 5 M. Prandino - …, cit., 40. 4 (che non sappiamo quali frutti porterà né come li porterà né quando li offriremo all’altro e al Signore). Ma la pratica del dono si contrappone alla logica dello scambio che minaccia ogni giorno il nostro amore di coppia e famigliare; lo scambio prevede che se io ti do questo, tu mi garantisci quell’altro, in quel modo e in quel momento. E quindi se io mi sveglio oggi per preparare la colazione, tu ti svegli domani; se vuoi che facciamo l’amore, prima dobbiamo chiarirci su questo o che tutto questo sia a posto, … Per il lavoro di coppia: (2) Sentiamo di gustare il dono della nostra relazione o troppo spesso la nostra relazione è appesantita da pretese reciproche, è minata dal controllo, logorata da una logica di scambio? (v) L’amore spirituale si nutre del perdonare e del lasciarsi perdonare. Significa fare i conti con i propri limiti, con quelli dell’altro/a e con quelli della nostra relazione senza cadere nella logica di “presentare il conto”. Significa accogliere i limiti e i peccati dell’altro, non inchiodare l’altro alle sue disattenzioni, errori, peccati; significa anche accogliere e offrire i miei e i nostri limiti al Signore, fiduciosi che anche questo è un dono. E che se il Signore ci dona il suo perdono, e noi lo accogliamo, siamo più in grado di donare il perdono anche al nostro sposo e alla nostra sposa (ai figli, a gli altri). Per il lavoro di coppia: (3) Riusciamo ad affidare al Signore i nostri limiti, i nostri peccati? Riusciamo a chiedere perdono al nostro coniuge? Riusciamo ad accogliere il perdono del Signore e dell’altro/a e a offrire il nostro perdono? (vi) Come ci suggerisce sant’Ignazio, vivere un amore spirituale significa lodare, rispettare e servire Dio. Ma ciò significa al contempo, per uno/a sposo/a, lodare, rispettare e servire il proprio coniuge. Il lodare richiama il bene-dire, il dire bene dell’altro, cioè saper scorgere nell’altro sempre (e sempre più nel tempo) il bene che da lui scaturisce; questo è minacciato dai quotidiani episodi di sfiducia nell’altro che avvelenano il nostro amore, che fanno sì che l’altro non ci sia più di fronte con una sguardo d’amore, ma con uno sguardo già visto, già conosciuto, che non porta novità, stupore, gioia, piacere, crescita. Il rispettare significa riconoscere la diversità, l’unicità, la distanza dell’altro che permette con-unione; quante volte invece appiattiamo l’altro sull’immagine che abbiamo di lui, negandogli e negandoci la possibilità di dare un contributo di dono, di libertà e di amore alla nostra relazione. Il servire è vivere un’intimità che ci permette di essere pienamente dono e quindi di incarnare il sacrificio, nel senso di rendere-sacro, dare valore pieno, spirituale al nostro dono. Più che rinunciare a sé, servire Dio e servire l’altro è un valorizzare sé, la relazione con Dio, la relazione con il nostro sposo/sposa. Pensiamo in particolare ai momenti di difficoltà nella relazione, alla presenza della malattia nei quali come sposi siamo chiamati a servire per vivere pienamente il nostro amore spirituale. Esercizio 2 Con lo sguardo all’altro ognuno pensa: Ti benedico perché … (breve comunicazione in coppia) In conclusione ci sembra che le parole del Qoèlet (4,12) “… una corda a tre capi non si rompe tanto presto” richiamino un’immagine che sintetizza bene la nostra relazione d’amore: io, tu e lo Spirito d’Amore; ma anche l’amore spirituale, l’amore affettivo, l’amore erotico. A) Per il lavoro di ogni coppia: Riprendiamo le tre domande del lavoro di coppia e ci confrontiamo: (1) Quanto desideriamo accogliere l’amore, vivere l’amore, coltivare l’amore, farlo crescere nella nostra vita di coppia? E’ un desiderio presente ogni giorno nel nostro cuore? E’ un desiderio ingabbiato, ma è un orizzonte sempre presente? Oppure in questo momento mi sento ingabbiato, chiuso, in sklerokardìa… incapace di sentire il desiderio di amore che mi abita? (2) Sentiamo di gustare il dono della nostra relazione o troppo spesso la nostra relazione è appesantita da pretese reciproche, è minata dal controllo, logorata da una logica di scambio? (3) Riusciamo ad affidare al Signore i nostri limiti, i nostri peccati? Riusciamo a chiedere perdono al nostro coniuge? Riusciamo ad accogliere il perdono del Signore e dell’altro/a e a offrire il nostro perdono? B) Ognuno poi scrive per la propria moglie, per il proprio marito, una preghiera che ci consegneremo reciprocamente durante la celebrazione. Utilizziamo i fogli predisposti e inseriti in cartellina. 5